Giustizia: il “carcere dopo Cristo”, meno Stato e più galera di Alessandro Margara Il Manifesto, 6 ottobre 2010 Sono convinto che la questione penitenziaria si collochi in un punto strategico e di forte crisi di questo nostro mondo dopo Cristo, come dice Marchionne, con una espressione che temo non voglia dire, come è d’uso, dopo la apparizione di Cristo, ma dopo la sua sparizione. Perché un punto strategico? Perché vi si incrociano due aspetti: da un lato, il trasferimento delle risorse economiche dalle politiche sociali - gli ultimi scampoli del welfare - alle politiche di contrasto di polizia e penale contro le crisi urbane (dallo stato sociale allo stato penale, come si dice); e dall’altro lato, la scoperta che tali politiche calamitano consenso, anche se del tutto inefficaci sul piano delle soluzioni delle crisi che si propaganda di affrontare. Meno stato e più galera. Il credo in cui tutti concordano, destra e sinistra, è: “La sicurezza è un diritto, l’insicurezza è una ingiustizia sociale”. E questo credo è accettato nonostante sia accertato che queste politiche colpiscono proprio le fasce più deboli della popolazione e quando è indubbio che il diritto alla sicurezza non riguarda la sicurezza sociale (dalla culla alla tomba, slogan ampiamente negato dalla demolizione del Welfare) e il recupero delle situazioni sociali critiche. L’adempimento di quel diritto è soddisfatto dall’arresto di più persone e dal placare, più che la paura, il cattivo umore della gente. La mia conclusione è che il sovraffollamento è ormai strutturale e che, per questo, non c’è modo di interromperlo. La volontà è questa (con le leggi riempi carceri, con l’inerzia a intervenire successivamente, maledicendo il condono e promuovendo, dopo lo stesso, un ritmo di ri-carcerazione più veloce di prima: aumento di 31.000 detenuti in 4 anni: il condono fu preceduto da un aumento di 10.000 detenuti in un decennio) e occorrerebbe una volontà opposta, che non si vede apparire all’orizzonte. In questa rubrica, sul Manifesto, sono intervenuti recentemente Franco Corleone (25/8), Mauro Palma (15/9) e Stefano Anastasia (22/9). Pongono problemi seri su un possibile ripensamento del carcere relativamente alla sua organizzazione interna e, in particolare, ai problemi del personale. Ci sono prospettive in questo senso? La risposta che mi viene immediata è no, perché è chiaro che questo governo rifiuta il dettato costituzionale (vedi le leggi Bossi-Fini, ex-Cirielli, Fini-Giovanardi) e pensa ad un carcere di sola contenzione, che rifiuta qualunque funzione riabilitativa, come dimostra la precisa scelta di carceri sempre più grandi, contro l’art. 5 dell’Op (vedi il fantomatico piano edilizio del Dap), che saranno sempre più affollati e nei quali parlare di trattamento individualizzato - art. 13 Op - è solo una “sfottitura”). Questa la politica dei responsabili attuali: nessuno spazio per i ripensamenti di Corleone, Palma e Anastasia. Ma, nel ripensare i ripensamenti, si può notare che gli stessi parlano di un carcere più ragionevole che, in qualche misura, può alleggerire le responsabilità dello Stato, cosa gradita oggi. La proposta di creare carceri con maggiore responsabilizzazione dei detenuti e minore impiego di personale viene incontro alle minori spese auspicate. E la presa d’atto che molte attività vengono via via passate ad altre amministrazioni, dalla sanità alla scuola, a tutte le iniziative riabilitative, nelle quali la Amministrazione sta arrivando a non mettere più un soldo e l’idea conseguente di spostare il personale di servizio sociale dallo Stato alle amministrazioni locali: anche qui risparmi e meno responsabilità per lo Stato. E, per la Polizia penitenziaria, è possibile un impiego più razionale e meno dispersivo, impegnata com’è anche in funzioni ben diverse da quelle che le sono proprie: un’altra possibilità di economie di personale e di risorse. Una conclusione molto sommaria, che sintetizza le varie proposte, può essere questa: responsabilizzare i detenuti per deresponsabilizzare lo Stato e i suoi rappresentanti. È ben vero che ne risulterebbero un carcere e una politica penitenziaria migliori, ma credo che si imporrebbe l’opposizione degli “spiriti della prigione”, che vogliono con fermezza la prigione e la vogliono così com’è, piena, incapace di pensarsi e vedersi, utile solo per propaganda, del tutto inutile e indifferente per gli uomini che ci sono chiusi. Il carcere dopo Cristo, appunto. Giustizia: sondaggio sulle carceri commissionato dal Dap…. soldi pubblici buttati? di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 6 ottobre 2010 Il 13 ottobre verrà presentato alla stampa un sondaggio sulle carceri commissionato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Sondaggio, curato dalla Ipr Marketing di Napoli, che ha come oggetto anche il livello di conoscenza e di gradimento delle attività del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ora, a prescindere dei risultati del sondaggio che non interessano, il solo fatto che il Dap abbia commissionato un sondaggio lascia a dir poco perplessi e suscita non poche domande. Quanti soldi pubblici sono stati spesi per tale ricerca? Quali criteri sono stati utilizzati dal Dap per conferire l’incarico del sondaggio alla società Ipr Marketing di Napoli? Ed ancora. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che ha un compito meramente amministrativo (e non politico), conosce bene la realtà delle carceri. I direttori delle patrie galere dipendono dal Dap. La Polizia penitenziaria dipende dal Dap. Il Dap, inoltre, può usufruire dell’ufficio statistica del Ministero della Giustizia ed ha addirittura i propri ispettori. Insomma una struttura complessa e ben organizzata. E di certo non a caso! Il Dap infatti, secondo la legge è chiamato a gestire, con gli opportuni provvedimenti amministrativi, la realtà carceraria. Realtà peraltro notoriamente degradata. Ovvio quindi che il Dap deve solo lavorare, lavorare tanto e bene. Punto. Ed allora: a cosa gli serve un sondaggio? Che ci fa il Dap con le risposte di un campione di mille cittadini circa la funzione principale svolta dal carcere, o circa la conoscenza e la valutazione del Dap stesso? Mah, mistero. Pur mettendo da parte i dubbi su presunte marchette, la verità è che oggi appare più importante vendere un’immagine, a prescindere dal servizio dato. Non interessa più la validità del lavoro svolto nella pubblica amministrazione. Interessa maggiormente come quella amministrazione appare. Tradotto: un modo per truffare la gente con soldi pubblici buttati al vento. Giustizia: sentenza della Cassazione; anche i recidivi possono patteggiare la pena di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2010 Le Sezioni unite penali della Cassazione, con la sentenza 35738 depositata ieri, hanno chiarito che la recidiva reiterata, la situazione giuridica in cui si trova chi ha commesso un nuovo reato non colposo, è una circostanza aggravante facoltativa che lascia libero il giudice di non applicarla dopo una valutazione della pericolosità dell’imputato. Anche quando dal certificato penale dell’imputato emergono più condanne. Un’interpretazione che smentisce le letture più severe della norma, articolo 99 del Codice penale, che da pochi anni, nel 2005, è stato modificato per effetto della legge ex Cirielli. Questa linea faceva perno sul ripristino, per effetto della legge n. 251 del 2005, di un regime di obbligatorietà nell’applicazione della recidiva che, vigente prima della riforma del 1974, sarebbe poi stato reintrodotto nella nuova versione del Codice. Per le Sezioni unite, però, l’obbligatorietà della recidiva reiterata e delle relative conseguenze sull’entità della pena inflitta, finisce per configurare una sorta di presunzione assoluta di pericolosità sociale e un automatismo punitivo indiscriminato. Per evitare questo rischio, è compito del giudice, quando la contestazione riguarda i primi 4 commi dell’articolo 99, e quindi anche nel caso della recidiva reiterata, quello di verificare in concreto se la ripetizione del delitto costituisce un vero sintomo di pericolosità sociale (tenendo conto anche della natura dei reati, della loro offensività, del periodo di tempo trascorso tra un illecito e l’altro e del tipo di devianza di cui sono segno). Dopo questa verifica il giudice potrà negare l’applicazione dell’aggravante evitando l’inasprimento della sanzione. Non solo però, perché l’esclusione trascina con sé anche tutta una serie di altri effetti, facendo venire meno il divieto del giudizio di prevalenza delle attenuanti e dando libero accesso al patteggiamento allargato e alla relativa riduzione della pena. Sempre in tema di circostanze, le Sezioni unite hanno ammesso ieri, con la pronuncia n. 35737, che le attenuanti si possono concedere anche a favore dello spacciatore che cede droga a un minore in presenza di elementi come la modica quantità o il fatto che il minore sia vicino a compiere 18 anni. I giudici hanno sottolineato che nemmeno la legge Fini ha cancellato la possibilità che la pena, per gli spacciatori, possa essere ridotta a causa di fattori di “minore valenza offensiva” del reato. Le norme antidroga del 2005, rileva la Cassazione, sono intervenute per introdurre “una nuova modulazione” dell’entità della pena che non fa distinzione tra droghe pesanti e leggere. Del resto, anche per i reati di violenza sessuale le attenuanti della minore gravità sono compatibili con l’aggravante di abusi su minori di 10 anni. Giustizia: Cucchi; all’udienza preliminare la sorella di Stefano chiede una nuova perizia di Giancarlo Castelli Il Fatto Quotidiano, 6 ottobre 2010 In famiglia Cucchi ha chiesto una nuova perizia “super partes” perché “si insiste nel negare l’evidenza dei tatti. È inaccettabile la tesi della procura che ha contestato le lesioni lievi ai poliziotti”. E Ilaria Cucchi ha rincarato amareggiata: “Non mi interessa partecipare a un dibattimento basato su una bugia. Sono disposta anche a rinunciare a prendere parte al processo”. Toni forti, quelli pronunciati dalla sorella di Stefano all’udienza preliminare di ieri dove, davanti al gup Rosalba Liso, era in discussione la richiesta di rinvio a giudizio fatta dai pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy nei confronti di 13 imputati, tre agenti penitenziari, nove tra medici e operatori sanitari e un dirigente dell’amministrazione penitenziaria, in merito alla morte di Stefano Cucchi, il giovane 31 enne, morto il 22 ottobre del 2009 nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini dopo un arresto per droga. La famiglia Cucchi, tramite gli avvocati Fabio Anselmo e Dario Piccioni, rifiuta l’accusa di lesioni a carico degli agenti perché considerata troppo lieve e parla invece di omicidio preterintenzionale. C’è un nesso, secondo una perizia della famiglia, tra le violenze subite dal ragazzo nella fase precedente al suo ricovero e la morte in ospedale per la quale sono coinvolti i sanitari con l’accusa di “abbandono d’incapace come causa di morte”, reato che prevede una pena fino a 8 anni. Il gup Liso si è riservata di esaminare la richiesta e ha rinviato la decisione per il 19ottobre prossimo. Contrari ad un nuovo esame si sono dichiarati i pm Barba e Loy e gli avvocati degli agenti mentre i legali della parte medica hanno detto di “non contrari” delegando la decisione al gup. La “guerra” di consulenze in sede di esame autoptico, presentata dalle parti, era scoppiata nella scorsa estate quando vennero presentate due relazioni diametralmente opposte: quella disposta dalla procura, affidata al professor Arbarello, escludeva un nesso causale tra i colpi subiti dal ragazzo e l’insorgenza di alcune patologie gravi, come alcuni scompensi idroelettrolitici e cardiaci, dando la responsabilità della morte all’incuria dei medici. L’altra, presentata dal professor Vittorio Fineschi, attribuiva alle gravi lesioni presenti nelle due vertebre L3 e cocclgea, la causa delle patologie. Una scheggia di vertebra, secondo loro, era andata a conficcarsi nel sacco durale del midollo spinale provocando quelle sofferenze fino alla morte. Il gup Rosalba Liso ha già fissato le nuove udienze, oltre a quella del 19, per il 26 ottobre e per il 9 e il 30 novembre. Lettere: di chi è la responsabilità di assumere o non assumere gli psicologi per il carcere? Lettera alla Redazione, 6 ottobre 2010 Il 24 maggio 2010 il Giudice del Lavoro ha stabilito la costituzione del rapporto di lavoro tra un gruppo dei 39 psicologi vincitori di concorso e il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, sulla base del diritto all’assunzione del vincitore di concorso e in relazione alla permanenza delle funzioni trattamentali in capo al Dap, svolte anche dagli psicologi. Il Ministero della giustizia, tuttavia, inspiegabilmente ha proposto appello a questa sentenza contraddicendo evidentemente quanto affermato dallo stesso Ministro Alfano in Commissione Giustizia il 27.11.2008 e cioè che, gli psicologi avendo vinto un concorso pubblico, hanno diritto all’assunzione, e in aperto contrasto con l’approvazione da parte del Governo di mozioni riferite alla situazione delle carceri, in virtù delle quali a gennaio 2010 il Governo ha preso impegni precisi per l’assunzione di psicologi in ambito penitenziario. Di recente la Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile la richiesta di sospensiva della sentenza. A questo punto la responsabilità dell’assunzione degli psicologi ricade sui vertici dell’Amministrazione penitenziaria che risponderanno in primis alla loro coscienza di amministratori della cosa pubblica e successivamente nelle sedi di competenza. Eticamente riteniamo non condivisibile la scelta operata tacitamente sinora dall’amministrazione di pagare le retribuzioni a conclusione del secondo grado. Significherebbe lasciare a casa gli psicologi per due anni e nel contempo stipendiarli. Dal 24 maggio abbiamo rinnovato la nostra disponibilità ad entrare in servizio, ma ad oggi , la nostra offerta è caduta nel vuoto. Il Dap continuerà a sostenere che gli psicologi siano stati trasferiti al Servizio Sanitario Nazionale, senza per altro fare nulla perché questo passaggio si realizzi concretamente, e nonostante il Dpcm 1.04.2008 sia stato sospeso nella parte in cui non garantisce il diritto all’assunzione dei vincitori di concorso? Il Dap continuerà a sostenere di non potere assumere personale che ha vinto un concorso pubblico per svolgere funzioni cruciali nel sistema penitenziario quali quelle di assistenza psicologica e trattamento dei detenuti? Il Dap continuerà a ad affermare di non potere assumere i vincitori di concorso, pur potendo, però, rinnovare centinaia di consulenze a psicologi esterni nello stesso ruolo? Il Dap continuerà a ribadire di non poter assumere 39 psicologi a fronte della disastrosa situazione in cui vessano gli istituiti e i servizi penitenziari? Gli psicologi di ruolo sono 17 per oltre 68.000 detenuti: nessuno sostiene che non ci sia bisogno di psicologi nel sistema penitenziario, quindi qualcuno oggi deve prendersi la responsabilità di assumere o non assumere 39 professionisti che hanno vinto un concorso pubblico e che un giudice ha dichiarato titolari di diritto soggettivo all’assunzione. Per i 39 psicologi la Coordinatrice, dott.ssa Mariacristina Tomaselli Belluno: il carcere è un inferno; celle umide e affollate, su 150 detenuti lavorano in 13 Il Corriere delle Alpi, 6 ottobre 2010 Stanze lunghe, strette e umide, pochi spazi di socializzazione e la chimera - sempre più tale - del re-inserimento lavorativo. È stata una fotografia amara quella scattata ieri all’interno del carcere di Baldenich dal consigliere regionale Pietrangelo Pettenò e dal bellunese Gino Sperandio. Ad attenderli fuori dalle mura c’era anche la madre di Mirco Sacchet, il giovane che si è suicidato una settimana fa. Mirco si è tolto la vita dietro le sbarre della sua cella nel reparto di isolamento, dove aveva chiesto di potersi ritirare. La verità - riportano i due - è che non ci sono nemmeno i soldi per il riscaldamento. Quello di Pettenò e Sperandio è stato un piccolo viaggio nell’orrore. “Abbiamo trovato una situazione drammatica”, dicono dopo che il cancello verde del carcere si chiude alle loro spalle. Il primo rilievo viene fatto alla struttura, vecchia e inadeguata per una popolazione carceraria che invece non accenna a diminuire. L’ala messa peggio - riferiscono i due - è quella maschile che è allo stesso tempo la più numerosa. Ogni cella ha la sua turca e un lavello che viene utilizzato anche per lavare utensili e stoviglie. Le docce sono in comune in una zona particolarmente umida. C’è poi la questione degli spazi vitali. “Le celle sono strette e sovraffollate”, ribadisce l’avvocato Sperandio. “E mancano i luoghi di aggregazione”. Va meglio alle donne e alle transessuali. In questo caso la questione è anche numerica. Ce ne sono meno e quindi riescono per lo meno a respirare: “Quella dei trans è l’ala più nuova”, sottolinea il rappresentante comunista. “I lavori sono datati 2005 e almeno qui ci sono i bagni singoli”. Altro capitolo è quello del reinserimento sociale e lavorativo, un obiettivo che - in tempi di ristrettezze economiche - è sempre più un miraggio. “Su circa 150 detenuti, lavorano solo in 13”, sottolinea Sperandio. Rincara la dose Pettenò: “La Regione ha tagliato drasticamente i fondi per i progetti di recupero all’interno delle carceri”. Quanto a Belluno la situazione è “pessima”, ma non è la peggiore. “Questa però non è certo una buona notizia”, ribadisce il consigliere regionale di Rifondazione Comunista. “Belluno continua a essere una delle strutture più vecchie e disagiate”. Vista dall’altra parte, ci sono le condizioni di vita delle guardie carcerarie. “La carenza di organico supera il trenta per cento”, prosegue Pettenò. “Non è facile nemmeno per loro lavorare in questo modo tra turni che saltano, ferie che non arrivano mai e straordinari”. Ma il libro nero di Baldenich non finisce qui. I due politici - che nelle due ore e mezza di visita hanno conversato a lungo con la direttrice, Immacolata Mannarella - riferiscono anche di alcuni problemi nel far quadrare i conti della struttura. “Ci sono pochi soldi. Anche per le carceri sono diminuite le risorse messe a disposizione dello Stato”. Belluno: la mamma di Mirco; vorrei la verità sulla sua morte, ma so che non verrà fuori Il Corriere delle Alpi, 6 ottobre 2010 Liviana Zannin lo ha saputo dai giornali. Finora - dice - ha saputo quasi tutto dai giornali. Eppure è lei la madre di Mirco Sacchet, il giovane che due domeniche fa si è tolto la vita in carcere a Baldenich. “Io voglio vederci chiaro. Secondo me non me l’hanno raccontata giusta”. Ieri pomeriggio con lei fuori dalle porte di Baldenich c’erano anche la madrina di Mirco e una cugina. Anche stavolta hanno saputo dell’incontro tra i due rappresentanti politici e la direzione del carcere dai giornali. “In una settimana ho sentito solo il mio avvocato”, dice la donna, che davanti ai cronisti ha ripercorso la storia già raccontata al nostro giornale una settimana fa, aggiungendo qualche nuovo particolare. “Non voglio comparire”, dice davanti alle telecamere delle tv locali. “Siamo qui solo per capire”. Ai familiari di Sacchet non tornano tante cose, a cominciare da quelle tre ore trascorse tra il ritrovamento del ragazzo morto e le nove del mattino, orario nel quale la direttrice del carcere ha contattato la madre. “Quando sono arrivata qui non ho visto nemmeno la cella e mio figlio si trovava già da un’altra parte”, afferma la donna. Ci sono poi i racconti di un compagno di carcere di Mirco che - dopo essere stato liberato - avrebbe riferito ai familiari di alcune tensioni tra il ragazzo e un agente di polizia penitenziaria. Anche su questo fronte, Liviana Zannin vuole vederci chiaro. Ci sono poi delle mail dove un ex detenuto racconterebbe altre storie. Tutte difficili, ma tutte da verificare. Una in particolare è stata consegnata e fatta leggere anche a Pietrangelo Pettenò e Gino Sperandio. Intanto è arrivato lo scatolone con gli effetti personali del ventisettenne. Mirco, in carcere, aveva cominciato un corso di portoghese. Si stava appassionando e si era anche procurato un piccolo dizionario. Non solo. Aveva cominciato anche a scrivere delle poesie. Versi malinconici come ricorda la madre, che ha letto alcuni versi contenuti in un diario. C’erano poi tante lettere. Nei suoi mesi di detenzione Mirco scriveva alla cugina, alla madre, alla madrina. Un modo come un altro per non aspettare le visite programmate. “Nello scatolone c’era anche un paio di pantaloni. Erano ancora bagnati”, prosegue la madre. “Io vado avanti, anche se in cuor mio so che la verità su tutta questa storia non verrà mai fuori”. Belluno: detenuto 20enne ricoverato in rianimazione dopo overdose, indagini in corso Il Corriere delle Alpi, 6 ottobre 2010 Si trova ancora ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Belluno ma è stato giudicato fuori pericolo di vita S.D.D., il 21enne feltrino detenuto nel carcere di Baldenich ricoverato d’urgenza lunedì mattina per un’overdose causata da sostanze oppiacee. Un primo racconto di quanto successo nella cella che ospitava il ragazzo insieme ad altri quattro detenuti arriva dalla madre del giovane, che martedì è stata tutto il giorno di fianco al letto del figlio sorvegliato anche da due guardie penitenziarie. “Mio figlio mi ha raccontato di aver preso un mix di diverse sostanze - racconta la madre del ragazzo -. Davanti alle guardie che lo piantonano parla poco e malvolentieri, così non sono ancora riuscita a capire che cosa ha assunto e perché. Ho intenzione, in ogni caso, di andare fino in fondo a questa vicenda: se i soccorsi fossero arrivati poco tempo dopo mio figlio ora non sarebbe vivo”. Per questo la madre del giovane accusa: “Non credo sia normale che all’interno di un carcere possano succedere cose di questo tipo. Andrò a parlare con la direttrice del penitenziario: mi aspetto delle spiegazioni chiare”. Ma proprio la direttrice del carcere di Belluno, Immacolata Mannarella, sembra non aver dubbi sul possibile passaggio di sostanze stupefacenti attraverso i rigorosi controlli su ciò che entra ed esce dal penitenziario. “Non mi risulta che nel mio carcere circolino cose proibite - assicura la direttrice -. Se qualcosa fosse sfuggito ai controlli saremmo i primi ad essere arrabbiati e rammaricati, ma prima di ipotizzare scenari di questo tipo sarebbe bene aspettare i risultati delle analisi fatte sul detenuto”. Il giovane feltrino nel frattempo è stato dichiarato fuori pericolo di vita. Resterà ancora per qualche giorno ricoverato in rianimazione, dove i medici stanno tenendo monitorato anche un possibile principio di polmonite. Dubbi sul fatto che abbia assunto sostanze stupefacenti non sembrano in ogni caso essercene, sia per quanto raccontato dallo stesso giovane alla madre, sia per quanto riscontrato dai medici che lo hanno curato al suo arrivo in ospedale: “Quando il giovane è arrivato in pronto soccorso - racconta il primario del reparto, Giovanni Gouigoux -, tutti i sintomi che abbiamo riscontrato riconducevano a un uso di sostanze oppiacee. Gli abbiamo immediatamente somministrato un antidoto e il ragazzo, poco dopo, si è risvegliato da un coma molto profondo”. A soli 10 giorni dal suicidio di Mirco Sacchet, dunque, il carcere di Baldenich torna a far discutere, e se negli ultimi giorni le polemiche si erano incentrate sulle cause della morte del giovane di Cesiomaggiore, ora se ne aggiungono altre per un possibile passaggio di droga all’interno del penitenziario. “Tutto riconduce sempre ai soliti vecchi problemi - assicura il consigliere regionale del Pd, Sergio Reolon: sovraffollamento, organici delle guardie inferiori a quelli necessari e strutture troppo obsolete. Credo che la direzione del carcere faccia quanto di più possibile per mandare avanti al meglio questa struttura, ma fatti come quelli accaduti in quest’ultimo periodo dimostrano che continui tagli e riduzioni di fondi e organici possono effettivamente portare a una carenza del servizio. Con conseguenze, poi, di una gravità inaudita”. Firenze: Sollicciano supera di nuovo quota mille e Corleone inizia lo sciopero della fame Redattore Sociale, 6 ottobre 2010 Il carcere fiorentino esplode: 1.014 detenuti presenti, più quattro bambini. Il Garante dei detenuti ricomincia la protesta con il digiuno. “Nessuna risposta agli allarmi che abbiamo lanciato”. Franco Corleone, Garante dei detenuti di Firenze, comincia un nuovo sciopero della fame in segno di protesta per le condizioni di sovraffollamento del carcere di Sollicciano, dove sono presenti 1.014 detenuti (più 4 bambini), oltre il doppio della capienza regolare. Corleone ha chiesto “un livello di presenze sotto quota mille, la garanzia dell’esame da parte del Senato del disegno di legge sulle “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”, la costituzione da parte della Regione di un “Tavolo” per la riforma del carcere e per la valutazione della sanità in carcere, il ripristino della presenza integrale della scuola in carcere”. “Due mesi fa - ha detto il garante - fu lanciato l’allarme per la situazione fuori controllo a Sollicciano. A settembre veniva ribadito il dramma del carcere aggravato anche dalla chiusura della scuola a Sollicciano e all’istituto Meucci. Eppure, nonostante il nostro impegno per invertire la rotta, nulla è accaduto. È inevitabile, pertanto, ripetere richieste già avanzate inutilmente a diversi destinatari”. “Le proposte per una radicale riforma del carcere in Italia - ha continuato Corleone - sono sul tappeto da tempo: la proposta di un nuovo ordinamento penitenziario (predisposto da Alessandro Margara) giace in Parlamento dal 2006, il nuovo Regolamento del 2000 ha festeggiato il decennale nel senso che gli è stata fatta davvero la festa. Sono solo alcuni degli esempi dell’inerzia colpevole del Governo e del Parlamento su un tema cruciale per la civiltà giuridica, ma che viene considerato trascurabile”. Vasto (Ch): un avvocato denuncia; troppi detenuti, il carcere scoppia Il Centro, 6 ottobre 2010 “Nella casa circondariale di Torre Sinello i detenuti vivono in condizioni estremamente disagiate. Il sovraffollamento esaspera i detenuti e rende estremamanete difficoltoso anche il compito degli agenti di polizia penitenziaria. È necessario trovare un rimedio”. La denuncia (fatta a nome anche di altri colleghi) è dell’avvocato Angela Pennetta. A tre anni dall’indulto il carcere vastese scoppia. Le celle realizzate per un centinaio di detenuti ne ospitano attualmente più di 240, il 40% dei quali di origine straniera. “Uno dei mie assistiti vive in una cella di due metri per tre con altri tre detenuti. Le quattro brande occupano quasi tutto lo spazio. Spesso i detenuti italiani rifiutano il cibo per protesta”, denuncia Angela Pennetta. “Una situazione così disagiata crea malumore e nervosismo. L’esasperazione può essere foriera di scatti di ira. È necessario intervenire prima che ciò avvenga”, chiede l’avvocato Pennetta a parere del quale a Torre Sinello la situazione ormai è esplosiva. Laboratori trasformati in celle. Detenuti di etnia, lingua e religione diversa costretti a convivere in pochi metri quadri. Nel carcere vastese è allarme sovraffollamento. Non più tardi di due mesi fa gli stessi sindacati di polizia penitenziaria lamentavano condizioni lavorative insostenibili. Tutte le sigle: Osapp, Uil, Cisl-Fns, Sinappe, Ugl e Cnpp hanno più volte segnalato i problemi e i disagi sopportati all’interno della casa circondariale al ministro della Giustizia. Il direttore dell’istituto di pena, Carlo Brunetti, a inizio anno inoltrò a Roma la richiesta di sfollamento urgente. Ma i tagli alla spesa pubblica della legge finanziaria non risparmiano nessuno. Tanto meno gli istituti di pena. “Qualcosa va comunque fatto per motivi di sicurezza”, insiste l’avvocato Pennetta. “Il numero di detenuti a Vasto non è mai stato così alto”. Tanti i trasferimenti a Vasto da Milano e dai grossi penitenziari del nord Italia. Le stanze a Punta Penna sono diventate poche e troppo piccole. Sempre più spesso il personale di custodia ha problemi per assicurare a tutti acqua calda. Cagliari: Pili (Pdl), impedire chiusura del Centro clinico penitenziario di Buoncammino Agi, 6 ottobre 2010 “Il ministro Alfano deve per impedire la chiusura del centro sanitario e clinico del Carcere di Buon Cammino di Cagliari”. Lo ha chiesto stamane il deputato sardo Mauro Pili con un’interrogazione urgente al Ministro della Giustizia Alfano. “È indispensabile - sostiene Pili - convocare con urgenza un incontro con la Regione Autonoma della Sardegna per definire un piano sanitario che consenta il prosieguo e il rafforzamento della struttura sanitaria all’interno del carcere sardo. Occorre salvaguardare - prosegue Pili - anche alla luce della condizione insulare della Sardegna tale centro sanitario proprio per evitare a carico della struttura penitenziaria ulteriori aggravi economici che finirebbero per pesare ancor di più sul bilancio dello Stato”. “Negli anni passati - ricorda Pili - sono stati effettuati importanti investimenti al fine di dotare la struttura sanitaria interna al carcere di nuove e moderne attrezzature comprese sale operatorie e oggi sarebbe grave non impedire la chiusura del centro. Il personale medico del carcere di Buon Cammino - aggiunge il parlamentare sardo - ha maturato una notevole competenza sul piano della specializzazione sulle problematiche sanitarie legate alle patologie maggiormente ricorrenti nella struttura penitenziaria e la chiusura del centro comporterebbe una perdita rilevante anche sul piano professionale”. “Il centro sanitario e clinico del carcere di Buon Cammino - conclude Pili - ha messo a punto un importante archivio relativo alle casistiche sanitarie dei singoli detenuti che costituisce un rilevante strumento di prevenzione e tutela sanitaria dei detenuti per l’intero sistema sanitario nazionale”. Roma: il Garante; a Regina Coeli i detenuti sono senza acqua calda da due mesi Apcom, 6 ottobre 2010 Da quasi due mesi gli oltre mille detenuti del carcere romano di Regina Coeli sono senza acqua calda. Lo rende noto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni secondo cui, nonostante i solleciti e gli appelli lanciati già nelle scorse settimane, non è ancora stata riparata la caldaia centralizzata che serve l’intera struttura. I disagi, hanno raccontato i detenuti al Garante, dovrebbero durare fino a quando l’impianto centralizzato non sarà sostituito con singole caldaie più piccole, in grado di servire ognuna le singole sezioni. “La mancanza di acqua calda - ha detto Marroni - ci preoccupa non poco soprattutto perché ci era stato assicurato che l’inconveniente sarebbe stato sicuramente risolto prima dell’inverno. E invece, con i mesi invernali alle porte e i primi freddi all’arrivo, ancora non si sa quando potrà essere ripristinato questo servizio essenziale per la vita all’ interno del carcere”. Anche lo scorso inverno i detenuti di Regina Coeli rimasero a lungo senza acqua calda e senza riscaldamenti causati da disguidi e lungaggini burocratiche nella gestione dell’appalto per il rifacimento dell’impianto di riscaldamento e delle tubazioni del carcere. Realizzato nel 1654, Regina Coeli è forse il carcere più antico d’Italia. Attualmente ospita oltre mille detenuti, molti dei quali in attesa di giudizio, su otto sezioni (spesso in 4 o 6 in ogni cella) e in un Centro clinico. I lavori di ristrutturazione che in questi ultimi anni hanno interessato molte delle sezioni non sono riusciti a risolvere i problemi che affliggono il carcere. “Nonostante l’encomiabile impegno degli agenti e degli operatori e i milioni di euro spese nelle ristrutturazioni - ha continuato Marroni - il carcere di Regina Coeli non è più in grado di garantire le condizioni minime di vivibilità soprattutto in un periodo caratterizzato da un sovraffollamento che non accenna ad attenuarsi. Spero che le Istituzioni, e in particolare il Commissario per l’emergenza carcerario Franco Ionta, prendano atto che gli ingenti fondi spesi ogni anno per cercare di far funzionare alla meno peggio Regina Coeli potrebbero essere usati per costruire un carcere più moderno. È ora di pensionare Regina Coeli come carcere e di restituirlo al pieno godimento della città”. Bologna: Osapp; 1.200 detenuti hanno solo 2 linee telefoniche per parlare con famigliari Il Velino, 6 ottobre 2010 “Alla Casa circondariale di Bologna attualmente sono ristretti 1.200 detenuti. Purtroppo ci tocca continuare a lamentare - afferma Mimmo Nicotra, vicesegretario generale dell’Osapp - le incongruenze del piano Ionta: parla di carceri nuove per risolvere i problemi dei penitenziari italiani e a Bologna, per telefonare ai propri familiari, i detenuti hanno a disposizione solo due linee telefoniche”. “Purtroppo questa è una causa ulteriore di aggressione al personale di polizia penitenziaria - dice Nicotra. E, comunque, di conflitti che possono sfociare in aggressioni. Ecco perché - conclude - chiediamo più attenzione per le carceri già in uso e che hanno tra l’altro un numero di detenuti maggiore di quello previsto”. Gela (Cl): il “nuovo” carcere è in costruzione da 30 anni… e ora i lavori sono bloccati di Martina La Gristina Corriere di Gela, 6 ottobre 2010 Gli appellativi che si è conquistato sono davvero tanti, c’è né per tutti i gusti. Lo hanno definito il “Carcere d’oro” per la cifra non propriamente irrisoria impiegata per costruirlo. Il “Carcere fantasma” per quante volte è stato inaugurato e mai aperto ai detenuti. Un progetto durato più di una soap opera e il carcere sulla strada statale 117 bis rimane chiuso. Un paradosso dopo l’altro, non c’è che dire. Prima anni e anni per progettare la struttura, poi la costruzione realizzata fra pause e riprese interminabili. Proprio la nostra città che soffre quotidianamente della radicata criminalità nel territorio, non apre le porte del carcere. Negli ultimi anni le forze dell’ordine si sono distinte in importanti operazioni condotte con fermezza in tutta la provincia, ma cadiamo miseramente sul finale. Quanto dobbiamo ancora attendere per l’apertura del carcere? Una struttura costata una fortuna, adeguata in ogni aspetto. La storia di questo carcere batte di gran lunga tutte le altre opere incompiute, lasciate li a marcire per non curanza o per chissà qualche altro motivo. Certamente quello che manca non è poca cosa date le circostanze, ma tempi così lunghi non trovano giustificazione. Di fatto pare che debba essere ultimato il sistema di sorveglianza e di videocontrollo. Ma la questione riguarda anche il Comune di Gela che paga la sorveglianza al fine di evitare eventuali atti vandalici. E dopo il danno per carità, la beffa è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Il sindaco di Gela, Angelo Fasulo ha sottolineato la questione al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Un carcere inaugurato anni addietro, addirittura dall’ex Guardasigilli, Clemente Mastella, con tanto di cerimonia, e ancora nulla? Se non è questa la vera emergenza, non si cos’altro lo sia. In una realtà così difficile per molti aspetti, fa rabbia pensare che il mezzo c’è ma non è fruibile. Sono piovute dal cielo date su date della famosa apertura, ma ancora tutto tace. La questione delle carceri in Italia è già un tasto abbastanza dolente. La condizione di sovraffollamento crea tanti disagi. Fra detenuti che vivono in pessime condizioni igienico-sanitarie e coabitazione di detenuti nella stessa cella, c’è poco da commentare. Tra case circondariali stracolme e mancanza di fondi per costruirne altri, il governo non sa più cosa inventarsi. La struttura gelese sarebbe già un passo avanti. Attualmente due guardiani sono gli unici custodi della struttura vuota, mai entrata in funzione. Inaugurato ben due volte, il carcere di Gela rimane l’esempio paradossale della lunga lista di opere incompiute. L’unica struttura che dovrebbe rassicurarci un po’ è chiusa. Ma probabilmente molti altri cittadini non sanno neanche che esista. Progettato nel 1959 come carcere mandamentale, in quanto a Gela era presente solo la Pretura, il progetto venne approvato diversi anni dopo. Anni e anni sono poi trascorsi per dare l’avvio effettivo ai lavori iniziati nell’82. Ma lo stato di cose della città era ben diverso. La criminalità che si estendeva a macchia d’olio, andava frenata in qualche modo. Venne istituito il Tribunale a Gela. Per questo la casa mandatale si trasformò in casa circondariale. Mentre venivano eseguite sentenze su sentenze, si tralasciava il dettaglio per niente trascurabile. E il carcere? Dopo anni e anni di sanguinosi attacchi da parte della criminalità, la direzione intrapresa sembrava quella giusta. Un pò di respiro per una città martoriata, impaurita e limitata persino della libertà personale. Nulla a che vedere con lo stato attuale di cose. Scene da film western si registravano negli anni ottanta, in una città che era costantemente la protagonista di fatti di sangue. Impossibile da immaginare per chi quegli anni di terrore, non li ha effettivamente vissuti. A voler fare il paragone, oggi paradossalmente Gela potrebbe essere definitiva l’isola felice. Per il carcere mancavano solo piccoli lavori di adeguamento. Ultimati i lavori, superati gli ostacoli. Con tante lungaggini e tante riprese, alla fine sono stati completati. Pare che per renderla funzionale debbano essere ultimati alcuni lavori esterni. Per fare un pò di chiarezza sulla questione del carcere abbiamo sentito l’Ing. Giovanni Costa, che ha seguito i lavori. Per quanto riguarda la struttura abbiamo seguito i lavori passo dopo passo per conto del ministero - afferma Costa - e adesso la questione non dipende più da noi. Dunque è competenza del ministero attivarsi per l’apertura della casa circondariale. Il comune si è impegnato a smuovere le acque, i lavori sono ultimati. Non manca quasi nulla. Insomma non si sa che altri impedimenti si ponga il ministero. Non ci resta che attendere, come del resto per i casi analoghi, che il carcere sia fruibile. La data fatta risaliva al primo luglio 2010. Siamo già ad ottobre 2010. Saluzzo (Cn): visita del Consigliere regionale Ponso; i detenuti chiedono più attività www.grandain.com, 6 ottobre 2010 “Dalla situazione contingente della protesta avviata dai detenuti, il discorso si è spostato alle problematiche che devono essere affrontate quotidianamente in una struttura come il carcere “Morandi” di Saluzzo. La visita che ho effettuato è stata molto costruttiva. Ora si tratta di verificare quali margini di manovra sussistono affinché la Regione possa intervenire concretamente”. Questo quanto dichiarato dal consigliere regionale Tullio Ponso all’uscita dal carcere di Saluzzo, da lui visitato lunedì scorso. “Uno degli aspetti su cui ha insistito il direttore, Giorgio Leggieri - prosegue Ponso - è che il territorio e le istituzioni, non devono lasciare da sola questa struttura, considerandola un corpo estraneo, bensì partecipare alle iniziative che vengono ideate in essa, in un progetto, a lungo respiro, di recupero dei detenuti. Non ho constatato il sovraffollamento di cui si sente parlare in altre carceri italiane mentre le lamentele dei detenuti riguardano i pochi corsi che si riescono ad attivare all’interno del “Morandi” e che necessariamente riescono a coinvolgere solo parte dei 430 reclusi, a causa della scarsità di risorse. Nel penitenziario servono più corsi di formazione, iniziando dalle scuole elementari e medie sino ad arrivare a quelli professionali. I carcerati non vogliono trascorrere il tempo, purtroppo per loro moltissimo, ad oziare, ma desiderano potersi impegnare nel tentativo di imboccare la strada del recupero che per molti di loro, ergastolani, è un obiettivo quasi utopico. Allo stesso tempo le richieste avanzate riguardano un’assistenza sanitaria adeguata e il miglioramento di alcune strutture, come quelle sportive. Io ho promesso il mio interessamento e già i miei uffici si sono messi all’opera per trovare risposte concrete a quanto ci è stato esposto durante la visita. Ai detenuti ho chiesto un gesto di buona volontà e cioè la sospensione della protesta in corso. Da parte loro ho riscontrato la voglia di dimostrare buona volontà e di collaborare, per cui mi aspetto che la protesta rientri. Il commissario Novena, comandante della polizia penitenziaria di Saluzzo, ha aggiunto le considerazioni riguardanti gli agenti e cioè la pianta organica insufficiente dal momento al “Morandi” sono in servizio 154 agenti invece dei 250 previsti, con le ovvie difficoltà gestionali che derivano da questa situazione. Nonostante ciò, dalla collaborazione degli agenti e del direttore del carcere sono nate iniziative che impegnano i detenuti, riscuotendo anche un certo successo, come il birrificio artigianale, che esporta in tutto il mondo la birra prodotta o le rappresentazioni teatrali, sempre molto apprezzate. Spero - conclude il consigliere regionale Tullio Ponso - di poter dare qualche notizia positiva al direttore del carcere di Saluzzo da parte della Regione che, ancora una volta, potrebbe sostituire lo Stato che per i detenuti, al momento, rappresenta un’entità assente”. Taranto: magistrato concede arresti a detenuto con tumore, dopo 40 giorni è ancora in carcere La Sicilia, 6 ottobre 2010 Si sono ulteriormente aggravate le condizioni di salute di Christian Bianchini, il detenuto di 28 anni, trovato affetto da tumore al fegato. Si sono ulteriormente aggravate le condizioni di salute di Christian Bianchini, il detenuto di 28 anni, trovato affetto da tumore al fegato. Ma dal carcere di Taranto, dove Banchini è ospitato, non hanno ancora provveduto a dare esecuzione all’ordinanza emessa agli inizi di settembre dal magistrato di Sorveglianza con cui concedeva gli arresti ospedalieri al detenuto, ordinandone l’immediato trasferimento a Palermo per essere ricoverato al centro clinico Ismet la cui direzione sanitaria si è detta disponibile ad accoglierlo e sottoporlo ad intervento chirurgico per l’asportazione del tumore. Quel provvedimento, che la cancelleria del dell’Ufficio del Magistrato di Sorveglianza di Taranto ha immediatamente notificato alla direzione della casa circondariale e per conoscenza alla Corte d’Appello di Catania, che ha processato Bianchini in abbreviato condannandolo a tredici anni di reclusione per mafia e traffico di droga, e al difensore dello stesso detenuto, avvocato Giuseppe Brandino, per motivi assolutamente incomprensibili, non ha trovato esecuzione. I genitori del giovane detenuto, allarmati per le condizioni del figlio, che da una settimana a questa parte, continua ripetutamente a sputare sangue e rifiuta il cibo che gli passa la mensa carceraria, hanno minacciato di presentare una denuncia a carico del direttore della casa circondariale e di trascinare a giudizio i responsabili del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per la omessa attuazione del provvedimento del Magistrato di Sorveglianza, nonché per il trattamento disumano cui è sottoposto Christian Bianchini, che, nonostante le sue gravi condizioni di salute, viene tenuto in una cella, senza alcuna assistenza sanitaria da parte dei medici del carcere. Le intenzioni del padre e della madre di Christian Bianchini sono state recepite dall’avvocato Giuseppe Brandino che ha immediatamente inoltrato una diffida sia al direttore della casa circondariale di Taranto che ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, trasmettendone una copia al Magistrato di Sorveglianza di Taranto, per sollecitare un suo eventuale intervento in grado di far sbloccare la pratica del trasferimento all’ospedale Ismet di Palermo di Christian Bianchini. I motivi della mancata osservanza dell’ordinanza del magistrato sarebbero da ricercare nella carenza di risorse finanziarie per sostenere i costi di trasporto del detenuto da Taranto a Palermo. Ma anche se così fosse, i genitori, e non solo loro, si chiedono indignati: per soldi lo Stato può fare morire un giovane di appena 28 anni? Christian Bianchini: mozione del consiglio provinciale di Siracusa Il consiglio provinciale di Siracusa ha votato all’unanimità una mozione con cui chiede alle autorità competenti di occuparsi con urgenza di Christian Bianchini, il detenuto che a causa delle gravi condizioni di salute deve essere trasferito in una struttura sanitaria. Nonostante infatti il provvedimento di traduzione già firmato dal giudice di sorveglianza, Bianchini si trova ancora rinchiuso in carcere. A presentare la mozione è stato il consigliere del Pd Carmelo Spataro che ha invitato il Consiglio a recepire la mozione, inviandola alle autorità competenti perché si attivino per risolvere la delicata vicenda e procedano all’individuazione di eventuali responsabilità amministrative e penali. Spataro ha detto in aula che il Consiglio ha già dimostrato, in queste vicende, una grande sensibilità, tanto è vero che sulla questione penitenziaria a suo tempo fu anche varata una speciale commissione che portò avanti una indagine conclusasi con una relazione e un Consiglio provinciale aperto. Nel corso del Consiglio provinciale di ieri sera, durato poco più di un’ora, è stato approvato il regolamento per la disciplina del diritto di accesso agli atti e documenti amministrativi. È stato approvato con il voto favorevole della maggioranza, mentre si sono astenuti i consiglieri d’opposizione presenti in aula (Liddo Schiavo, Alessandro Acquaviva, Gino Gionfriddo e Carmelo Spataro). Gli altri punti all’ordine del giorno sono stati ritirati su proposta dell’assessore Gaetano Amenta, del presidente del consiglio provinciale, Michele Mangiafico del consigliere Carmelo Spataro. Si tratta di questi argomenti: il regolamento per la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e vantaggi economici; l’approvazione del progetto per l’istituzione del Consiglio regionale delle autonomie locali e l’atto di indirizzo affinché venga ritirata la partecipazione al Consorzio universitario in quanto sono venute meno le ragioni istitutive che ne suggerirono la costituzione. Saranno invece discussi nel corso della prossima seduta altre tre questioni: l’ordine del giorno sulla situazione politica ed amministrativa alla Provincia regionale di Siracusa, l’ordine del giorno per la creazione di un fondo a sostegno delle piccole e medie imprese artigiane e la relazione conclusiva sulla mozione “ditta Pizzarotti” presentata dalla sesta commissione consiliare. Per quanto riguarda l’approvazione del regolamento per l’accesso agli atti, il servizio funzionerà così: il cittadino che ha l’esigenza di accedere a un atto dell’amministrazione provinciale lo richiederà all’Urp (ufficio relazioni con il pubblico) che provvederà a sollecitarlo al dirigente competente. Entro trenta giorni il cittadino dovrà venire in possesso dell’atto che avrà un costo per le spese amministrative che sarà definito dalla giunta. Sull’importante strumento il presidente Michele Mangiafico ha dichiarato che “l’approvazione da parte del Consiglio provinciale del regolamento per l’accesso agli atti amministrativi si inserisce nel solco di quell’attività che l’assemblea di via del Laberinto ha condotto in questi due anni per coprire alcuni vuoti normativi nell’ente di via Malta, venendo incontro alle generiche indicazioni contenute dal proprio Statuto che necessitano poi di una pratica regolazione. In questo caso, tra i principi fondamentali contenuti nello Statuto c’è proprio la volontà di favorire il diritto di accesso alle informazioni relative all’attività dell’ente, che andava regolata definendo un iter unico per il cittadino e ponendo in capo ad alcune figure dell’Amministrazione la responsabilità di questo procedimento. Bisognava, tuttavia, anche tenere conto delle spese amministrative sostenute da alcuni settori particolarmente oggetto di richieste di accesso agli atti, come la Polizia provinciale o l’Ufficio tecnico. Va dato atto al personale del I settore della provincia regionale di avere predisposto un ottimo strumento di lavoro sulla scorta delle norme che regolano la trasparenza amministrativa nella pubblica amministrazione. Enna: Sappe; muffa, pareti e soffitti scrostati… così è ridotto il carcere Enna Blog, 6 ottobre 2010 Dopo la denuncia della parlamentare radicale Rita Bernardini il carcere di Enna torna a far parlare di sé. A denunciare il disagio in cui lavorano gli agenti della polizia penitenziaria questa volta è il Sappe Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. In una nota, il delegato provinciale, Filippo Bellavia, scrive che “l’amministrazione ha avuto un’intera stagione estiva per correre ai ripari e porre rimedio alle forte infiltrazioni d’acqua che invadono i corridoi, gli uffici, e alcune sezioni detentive ogni qual volta piove ma non c’è alcun interesse a farlo. Solo parole, parole che non bastano per eliminare le condizioni di disagio e rendere più dignitoso l’ambiente lavorativo per il personale che vi opera” . Il Sindacato dichiara lo stato di agitazione, riservandosi di informare l’autorità giudiziaria, sanitaria e del lavoro. Secondo Bellavia presso il Reparto della Polizia Penitenziaria di Enna gli agenti lamentano una forte carenza igienico sanitaria, strutturale e seri problemi operativi che causa stress psicofisico, l’intera caserma, versa in pessime condizioni igieniche, i servizi igienici sporchi e puzzolenti, gli arredi assenti o guasti da diversi anni. Inoltre la struttura presenta evidenti segni di deterioramento, pareti e soffitti sono scrostati e pieni di muffa, l’umidità è costantemente presente, in più parti l’intonaco è crollato, l’applicazione della Legge 626 è inesistente, infatti vi sono cavi elettrici situati alla meno peggio, a volte gli stessi subiscono corti circuiti con forte fiammate e seri rischi per il poliziotto che vi opera; un solo agente di polizia deve ricoprire diversi posti di servizio per via della mancanza di poliziotti. “Nonostante i disagi e lo stress a cui vengono sottoposti gli agenti - conclude la nota - l’amministrazione penitenziaria rimane assente ed insensibile, obbligando gli operatori ad espletare attività lavorativa straordinaria, che non viene messa in pagamento, a cambi turno di servizio senza tener conto degli impegni familiari, obbligando gli agenti a recarsi presso i Reparti della Polizia Penitenziaria di fuori distretto”. Roma: cinque detenuti, in permesso premio da Pescara, in visita dal Papa Il Centro, 6 ottobre 2010 Cinque detenuti in permesso premio si sono recati questa mattina a Roma per partecipare all’Udienza generale del Santo Padre. L’udienza, nell’aula Paolo VI in Vaticano, è stata organizzata e sovvenzionata economicamente dalla Caritas diocesana di Pescara. Un’iniziativa fortemente voluta da Don Marco Pagniello, cappellano del carcere e rappresentante della Caritas, in favore dei detenuti. La stessa Caritas ha messo a disposizione dei detenuti e di altre venti persone, tra agenti penitenziari e personale civile, un autobus che ha esportato la folta comitiva dalla casa circondariale di San Donato di Pescara a Roma. Nel gruppo diretto all’Udienza papale sarà presente il vice comandante del carcere di Chieti, Valentino di Bartolomeo, e il direttore della casa circondariale pescarese, Franco Pettinelli. I 5 reclusi sono tutti condannati in via definitiva. Grazie alla regolarità della vita all’interno della casa circondariale pescarese manifestata attraverso un costante senso di responsabilità e di correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzative della propria attività lavorativa e culturale, i 5 hanno potuto beneficiare della giornata premio per recarsi a Città del Vaticano per assistere all’udienza papale. Ogni partecipante ha offerto al Santo Padre, Benedetto XVI, un regalo. Tra questi uno dei partecipanti, non vedente e disabile sulla sedia a rotelle, ha omaggiato Papa Ratzinger con un’eccellente bottiglia di vino a rappresentanza del territorio regionale: un Montepulciano d’Abruzzo. Brescia: Uisp “Progetto - Carcere”, continuano le iniziative sportive per i detenuti Ristretti Orizzonti, 6 ottobre 2010 Per il “Progetto-Carcere” dell’Uisp, realizzato in collaborazione con l’Associazione “Carcere e Territorio” di Brescia, col sostegno della Fondazione Asm Brescia e col patrocinio dell’Assessorato Allo Sport del Comune di Brescia, sono diversificate le iniziative in svolgimento. Nella Casa di Reclusione di Verziano per la Sezione Femminile , mentre in palestra il lunedì e giovedì si svolge il corso di ginnastica e di pallavolo, sabato scorso è terminato, con un piccolo rinfresco,il 35° torneo di volley femminile tra le detenute e le formazioni esterne : G.S. Senza Pretese, Associazione Promozione Sociale Tutte in Rete, Liceo Leonardo Brescia, Istituto L. Gigli Rovato, G.S. X Elle Brescia, Associazione Carcere e Territorio Brescia. Spazio ora per i detenuti di Verziano con il 26° Campionato di calcio a 7 giocatori “Memorial Giancarlo Zappa”, che inizierà sabato 9 ottobre per concludersi nel giugno 2011, con la partecipazione anche di squadre esterne, con dodici formazioni complessive suddivise in due gironi. Le gare d’esordio di sabato prossimo :i Campioni in carica de I Bonvicino affronteranno i detenuti “A”, mentre l’Avis Ghedi la formazione dei detenuti “B”. Sabato 16 ottobre in campo i detenuti “C” con Unione Equo Solidale Flero e Frigotek Montichiari -Tipografia Gandinelli. Sabato 23 ottobre Arci Uisp Nave Circolo di Nave con Polisportiva Euplo Natali Brescia e I Sans Papiers con Onoranze Funebri Alfio Remondina. Nella Casa Circondariale cittadina di Canton Mombello è in svolgimento con successo il corso di scacchi per tutte le Sezioni, mentre mercoledì 13 ottobre inizierà il torneo di calcetto,giunto alla 32° edizione, che si svolgerà nel cortile della Sezione Sud con la partecipazione di 8 squadre di detenuti : 4 della Sud e 4 della Nord. Verbania: ieri alla Casa circondariale il concerto del chitarrista Massimo Luca Comune di Verbania, 6 ottobre 2010 Gli applausi, la commozione dei detenuti e l’avvio d’un percorso educativo che veda gli studenti collaborare con i detenuti. Nonostante le comprensibili restrizioni di accesso al pubblico - lo spettacolo s’è tenuto nella casa circondariale di Verbania - l’eco positiva del concerto speciale che ha chiuso la Settimana della legalità ha varcato i muri del carcere. I primi a sottolineare con un lungo applauso, ma anche con una vena di commozione, l’apprezzamento per l’esibizione sono stati gli ospiti della casa circondariale. “Up around the bend”, questo il titolo del concerto, ha visto il chitarrista Massimo Luca (accompagnato alla tastiera da Andrea Pollione) ripercorrere, anche grazie ai ricordi personali e alle innumerevoli collaborazioni coi grandi cantautori italiani, l’ultimo trentennio della musica leggera nazionale. Per lui, che tra gli altri ha accompagnato Lucio Battisti, Fabrizio De Andrè, Paolo Conte, Mina, non è stato solo un concerto, ma un racconto condito da aneddoti vissuti in prima persona. Il pubblico ha particolarmente apprezzato e ha chiesto a gran voce un bis per i prossimi giorni. Anche se il concerto è stato un evento speciale e eccezionale, il rapporto tra la città e la casa circondariale non si esaurisce con l’appuntamento di ieri. Le note che hanno concluso la “Settimana della legalità” segnano infatti l’avvio di un progetto educativo che coinvolgerà i giovani (1.200 studenti venerdì mattina hanno assistito al dibattito tra l’onorevole Manlio Contento e i magistrati antimafia Giuseppe Ayala e Calogero Piscitello) e che farà conoscere loro il mondo del carcere. “Up around the bend” e tutti gli altri appuntamenti della “Settimana della legalità” erano inseriti nel programma di TeatroCultura 2010, la rassegna che accompagna Verbania verso il nuovo teatro cittadino e che avrà come ultimo atto, sabato sera alle 21 a Villa Giulia (con ingresso libero) Gabriele Lavia che recita le poesie di Giacomo Leopardi. Svizzera: aperto a Zurigo un “centro” con celle rosa, per smaltire ubriacature e sballi Corriere della Sera, 6 ottobre 2010 Nel nuovo centro della polizia finisce chi viene fermato in stato di ebbrezza o sotto effetto di droghe. Le spese sono a carico dell’ubriaco: 600 franchi per tre ore. Da marzo di quest’anno è operativo a Zurigo il primo centro svizzero per smaltire l’ubriacatura giovanile. Nella cosiddetta “Zentrale Ausnüchterungsstelle” (Zas) la polizia porta i giovani che vengono fermati per strada ubriachi o sotto l’effetto di droghe. I ragazzi rimangono rinchiusi nella struttura il tempo di smaltire la sbornia sotto sorveglianza medica. Una delle dodici celle è stata ridipinta ora completamente di rosa, un colore che - dicono i responsabili - ha il compito di calmare gli animi dei reclusi più agressivi. E l’esperimento sembra funzionare. In sei mesi sono stati 366 i giovani ubriachi che a Zurigo sono stati portati dalla polizia nel nuovo centro per lo smaltimento della sbornia situato vicino alla stazione centrale. Sono ragazzi e ragazze, perlopiù tra i 18 e i 24 anni, che escono dalle discoteche, ritornano a casa dopo una serata con gli amici e a malapena si reggono in piedi a causa dei tanti bicchieri di alcolici bevuti in precedenza o di qualche spinello di troppo. Il centro zurighese è operativo nel fine settimana, dal venerdì sera alle 22 fino alle 15 della domenica. Una volta passata l’ubriacatura, i genitori vengono chiamati a prendere in consegna i figli. Le spese per l’intervento di polizia vengono fatturate ai giovani stessi e, nel caso di minorenni, ai rispettivi genitori. Il costo è di 600 franchi (448 euro) per i fermi che durano fino a tre ore e di 950 franchi (710 euro) per quelli più lunghi. Gli occupanti nelle celle sono video sorvegliati, l’arredamento, invece, è alquanto spartano: un materasso e un wc. Obiettivamente può sembrare terribile, soprattutto per i diretti interessati. Tuttavia, l’espediente ha un suo perché: una delle celle è stata infatti interamente ridipinta di rosa, un colore che - confermano alcuni studi - attenuerebbe aggressività e malevolenza. “Anche il ‘clientè più difficile si è tranquillizzato in questa cella rosa”, ha sottolineato in una conferenza stampa Beat Käch, responsabile del progetto ZAS. L’idea non è nuova: questo stratagemma è già stato usato con un certo successo in passato in alcune prigioni svizzere. Effettivamente il colore rosa tranquillizava temporaneamente i detenuti violenti, ha spiegato all’Agenzia Telegrafica Svizzera, Rebecca de Silva, portavoce dell’Ufficio cantonale per l’esecuzione delle pene. Ciò nonostante, esistono pochi studi scientifici in merito. Stiamo parlando di “psicologia del colore”, un campo che evidenzia ancora molte sfumature. I primi esperimenti risalgono agli anni Settanta. Allora il ricercatore americano Alexander Schauss studiò le reazioni di alcuni soggetti al colore da lui soprannominato rosa “Baker-Miller” ed assodò: se usato nelle prigioni tranquillizza realmente i reclusi più aggressivi. Il centro zurighese per smaltire l’ubriacatura non è però pitturato di rosa “Baker-Miller”, ma di “rosa-zas”, un mix di produzione propria, ha rimarcato Käch.