Giustizia: attesa al Senato per la conclusione dell’iter del ddl sulle pene domiciliari Asca, 5 ottobre 2010 La Commissione Giustizia si è riunita oggi per proseguire l’esame del ddl 2313 che prevede l’esecuzione presso il domicilio dei residui di pena non superiori ad un anno. Il testo, ampiamente discusso ed approvato alla Camera, si innesta nel quadro degli interventi diretti ad affrontare il sovraffollamento delle carceri. La Commissione dovrà decidere se chiedere - come proposto dal Presidente Berselli - la riassegnazione in sede legislativa per concludere rapidamente il lungo iter parlamentare L’audizione effettuata la scorsa settimana del Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta ha evidenziato che il numero complessivo dei detenuti è di 68.000 unità (dei quali 3.000 donne), un livello di saturazione che si è ricostituito molto rapidamente nei 4 anni trascorsi dall’indulto che aveva fatto scendere il numero a 39.005. I detenuti con pena detentiva residua inferiore o uguale ad un anno sono - ha precisato Ionta - 10.436 dei quali 5.677 italiani e 4.759 stranieri. Tenendo conto dell’elevato numero di questi ultimi che non dispongono di un domicilio, la platea di potenziali beneficiari scende a 7.992. Il numero indicato è, però, più alto di quello che nei giorni scorsi aveva fornito in Commissione il Sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo perché escludendo i responsabili di reati gravi o di atti di terrorismo o condannati per appartenenza ad organizzazioni criminali,il reale impatto del provvedimento ai fini della riduzione del sovraffollamento carcerario sarà inferiore alle 2.000 unità. Se non si arrivasse rapidamente al definitivo avallo del ddl 2313 il numero potrebbe ulteriormente ridursi in quanto il beneficio sarebbe ininfluente per un detenuto con un residuo di pena di 5 o 6 mesi anche tenendo conto dei tempi necessari per l’iter giudiziario per la concessione dei domiciliari. Giustizia: Ionta (Dap); carceri sempre più affollate, serve la detenzione domiciliare di Pietro Calvisi La Repubblica, 5 ottobre 2010 Parla il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: “Quasi 70mila detenuti per 44mila posti. Stiamo costruendo altri spazi, ma è essenziale approvare la legge che permette di scontare gli ultimi mesi della pena a casa”. Suicidi, morti in carcere, proteste. Il tema del sovraffollamento penitenziario torna fra i tavoli della politica con tutta la sua gravità. Nel pianeta carcere italiano si sono superare le 68mila presenze a fronte dei 44mila posti disponibili e dei 67mila gestibili in periodi di massima emergenza. Cifre record che si accompagnano al tragico bilancio dei suicidi: 51 dall’inizio dell’anno e 608 dal 2000. Il totale dei morti in carcere, dal primo gennaio, arriva a 130 se si tiene conto dei decessi per malattie, overdose e delle cosiddette cause da accertare. Le proposte per superare la crisi del sistema penitenziario vanno dalla costruzione di nuove strutture di detenzione, all’aumento dell’organico degli agenti e alle tanto attese riforme sulla giustizia. Per comprendere meglio la situazione abbiamo incontrato Franco Ionta, ex magistrato impegnato in prima linea nella lotta al terrorismo brigatista, internazionale e islamista, che da due anni è il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). “Che la situazione sia difficile - esordisce Ionta - è sotto gli occhi di tutti. Lo stesso governo riconosce che c’è un affollamento penitenziario tanto grave da decretare lo stato di emergenza. Per questo sono stato nominato commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. Attualmente sono in corso una serie di procedure per attuare un piano per creare almeno diecimila nuovi posti. Naturalmente questa non è l’unica soluzione, ma uno dei tasselli che può tentare di risolvere la situazione. Quanti sono i detenuti e che cambiamenti ci sono stati dall’indulto del 2006? I detenuti sono 68.337 (dati aggiornati al 31.8.2010, ndr) e il trend è in crescita. Sicuramente abbiamo raggiunto e superato i numeri pre indulto. L’incremento è evidente dal momento in cui si è passati dai 39mila detenuti post indulto, di tre anni fa, ai dati di oggi. La struttura carceraria è stressata e questo comporta un maggior impegno della polizia penitenziaria. Naturalmente la situazione non è così omogenea sul territorio. Il problema più grave è sicuramente al nord, poiché buona parte del personale proviene dal sud. C’è in itinere un provvedimento di legge che dovrebbe aumentare di 2mila unità la polizia penitenziaria e un altro che è abbastanza avanti sulla detenzione domiciliare. Se questi tre elementi riescono ad essere portati a compimento, credo che si possa non solo migliorare ma stabilizzare il sistema. Esiste il pericolo che si verifichino delle proteste violente? Ci sono una serie di segnali che teniamo sotto controllo e in taluni casi si verificano delle proteste anche giuste. L’anno scorso, per esempio, sono andato al carcere di Sollicciano (Firenze, ndr.) il 15 agosto, poiché c’era stata un protesta, anche da parte del garante dei detenuti, per una presunta fornitura di pane non fresco nella struttura. Non credo comunque che ci sia il pericolo di una rivolta generalizzata. Se l’amministrazione fa bene il suo lavoro, i motivi di malcontento possono essere di gran lunga diminuiti. Lo sforzo del Dap è di monitorare le realtà più delicate. Nel 2010, come ho già fatto l’anno scorso, ho costituito un team operativo che segue le situazioni difficili e si attiva per risolverle. Ci siamo dati tre anni di tempo, ma è importante ottenere la detenzione domiciliare e l’assunzione di 2mila poliziotti. L’organico della polizia penitenziaria è carente. Di quanto? C’è un organico fissato per legge che è di 45121 unità, adesso siamo fra le 39 e le 40mila. La condizione economica che attraversa il paese non può permettere un adeguamento tout court del personale che ci manca. Abbiamo tuttavia stimato che con 2mila agenti in più riusciamo a gestire sufficientemente la situazione, che ripeto è comunque difficile. Il segretario generale del Sappe (il maggior Sindacato della polizia penitenziaria, ndr.), Donato Capece, sostiene che “in queste condizioni di sovraffollamento è possibile che il fine ultimo della detenzione, cioè il reinserimento del detenuto nella società, si perda per strada con il carcere che diventa una università del crimine”. Cosa ne pensa? Questa è un opinione che non condivido, perché l’amministrazione finanzia molti progetti che tendono al reinserimento del detenuto. Di recente abbiamo stanziato 4milioni e ottocento quatto mila euro per dare la possibilità, attraverso una verifica delle capacità professionali, di svolgere dei lavori a una platea di circa 6mila detenuti in 5 regioni. Inoltre, abbiamo fondato un progetto che si chiama articolo 27, sono stato a Bari per siglare un accordo con il comune, ma anche a Genova, come in Sardegna. Tuttavia il problema è sempre legato alle disponibilità economiche, ai rapporti con gli enti locali e con i privati. Tutti devono contribuire, l’amministrazione non può agire da sola. Ciò che invece dobbiamo fare è tenere separati i condannati definitivi dalle persone in attesa di giudizio e, tendenzialmente, lo facciamo. Come sta cambiando, in questi ultimi anni, la tipologia della popolazione detenuta? È fortemente cambiata. Circa il 30% dei detenuti è di origina extra italiana. Questo ha comportato un problema nel problema anche ai fini del reinserimento. Non a caso, nella proposta di legge sulla detenzione domiciliare è prevista la possibilità di una detenzione o presso un privato domicilio o presso un domicilio che venga fornito dagli enti locali o dalle associazioni. In questo modo tutti possono utilizzare tale opportunità. Voglio dire inoltre che molto spesso si fa confusione tra detenzione domiciliare e provvedimento di indulto. In realtà la prima è una forma di detenzione, sicuramente attenuata rispetto al carcere, ma sempre una detenzione. Non a caso abbiamo aumentato, almeno nel progetto è così, le pene per l’evasione. Una persona uscita dal carcere, per esempio, non sarebbe completamente libera perché si troverebbe nella detenzione domiciliare. Se dovesse evadere, la pena per la fuga verrebbe raddoppiata. C’è una controspinta quindi e non credo che in termini di pericolosità sociale questa proposta vada a decremento della sicurezza. Un numero x di persone, che potrebbe uscire attraverso questo provvedimento, uscirebbe comunque dopo qualche mese. Nel frattempo viene tenuto sotto la detenzione domiciliare e tendenzialmente non dovrebbe delinquere. Cosa pensa della dichiarazione del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che a maggio definì “peggio di un indulto” il provvedimento sull’ultimo anno di pena da scontare ai domiciliari? Le valutazioni della politica non mi spettano. Io registro alcuni fatti: l’indulto del 2006 ha fatto uscire libere dalle carceri 25mila persone. Questo provvedimento non fa uscire libero nessuno e si riferisce a una platea di circa 9mila detenuti che, potenzialmente, potrebbero usufruirne. La differenza sta nel fatto che l’indulto ha fatto uscire libere delle persone che dovevano scontare tre anni di prigione. Tale proposta di legge si riferisce ai detenuti a cui mancano pochi mesi, massimo un anno, che non escono liberi ma vanno ai domiciliari. Non pensa che questi interventi di emergenza, come l’indulto nel 2006 e il provvedimento dei domiciliari di oggi, servano solo a rimandare il problema di qualche anno? È evidente che l’edilizia penitenziaria, l’incremento dei poliziotti e la deflazione (dei detenuti, ndr.) darebbero una buona risposta alla soluzione del problema. La detenzione domiciliare di un anno non è una misura straordinaria che si prende solo nel 2010 perché, se si dovesse adottare, questa andrebbe a regime e, anno per anno, la situazione si stabilizzerebbe. Giustizia: Roia (Csm); ricorso alle pene detentive da limitare solamente ai casi più gravi di Patrizia Maciocchi Il Sole 24 Ore, 5 ottobre 2010 “Se tutto è reato niente è più reato”. Ricorre a un paradosso il giudice del tribunale di Milano Fabio Roia per spiegare come un esercizio “capillare” dell’azione penale, anche in casi meno gravi, si traduca di fatto in una denegata giustizia. Forte dell’esperienza maturata al Csm, Roia indica le sue riforme “taglia tempi”. Il processo breve ha scontentato tutti, avvocati e magistrati. Resta comunque da risolvere il problema di tagliare i tempi dei processi. Lei ha qualche indicazione? La strada da percorrere è quella del diritto penale “minimo”. Bisogna ricorrere alla pena solo nei casi più gravi, visto che anche le sanzioni amministrative hanno un’efficacia deterrente. Nella consapevolezza che se tutto è reato si finisce per cancellare il reato perché diventa impossibile perseguirlo efficacemente. Utile anche l’introduzione del principio di improcedibilità per irrilevanza penale del fatto, come accade già davanti al giudice di pace o nei processi a carico di minori. Un altro passo è quello di deflazionare gli appelli strumentali, eliminando il divieto di “reformatio in peius”. Il ricorrente deve accettare il rischio che la sua situazione peggiori. Per finire, la madre di tutte le riforme è nella revisione della geografia giudiziaria. Una razionalizzazione che deve essere gestita dal Csm d’intesa con il ministero della Giustizia. La fase delle indagini è quella che assorbe il maggior tempo. C’è un modo per ridurla? Si potrebbe eliminare l’obbligo di avviso del deposito delle conclusioni di indagine nel caso di un indagato che ha già piena conoscenza del fatto. Da rivedere anche l’utilità dell’udienza preliminare, ormai snaturata rispetto alle previsioni originarie e divenuta una sorta di grado intermedio di giudizio. La sua esperienza al Csm l’ha aiutata a individuare il “guasto” nel sistema? Di chi è la colpa dei processi infiniti, dei magistrati o dei politici che non fanno le riforme? Per i magistrati non è pensabile un carico maggiore. Il problema - esistente anche se marginale - delle toghe che non lavorano va risolto con i provvedimenti disciplinari. La svolta è negli interventi che ho accennato. Giustizia: Pannella; carceri sono discarica, riportarle almeno a livello regime fascista Italpress, 5 ottobre 2010 “Le carceri italiane sono diventate la discarica sociale di tutto il mediterraneo, li si vive una nuova shoah e noi stiamo facendo una battaglia per riportarle almeno a livello di qualità del regime fascista”. Queste le parole di Marco Pannella, che ospite della trasmissione di Radio2 “Un Giorno da Pecora”, condotta da Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro, ha spiegato i motivi per cui ha iniziato da pochi giorni un nuovo sciopero della fame. “Noi stiamo assistendo ad una struttura di persecuzione sociale, perché in Italia si sono voluti risolvere col carcere due problemi: la droga e l’immigrazione”, ha detto il leader storico del Partito Radicale. Giustizia: Sidipe; il progetto delle “carceri galleggianti” non deve essere abbandonato Ansa, 5 ottobre 2010 Il progetto di Fincantieri delle piattaforme penitenziarie galleggianti non deve essere abbandonato. Lo ha sostenuto il segretario del Sidipe (Sindacato dirigenti penitenziari), Enrico Sbriglia. Il progetto prevede di ospitare 640 detenuti in 320 celle (doppie) di 16 mq - tutte dotate di bagno con doccia, fornello elettrico, ventilazione naturale e condizionata - in navi da collocare in determinati scali nazionali. Secondo il Sidipe sarebbe un’occasione straordinaria per evitare quegli sprechi che rendono le carceri italiane costose ed alienanti, sia per le persone detenute sia per gli operatori penitenziari. Il progetto, sposato da Fincantieri, pare invece segnare il passo. Oggi il Sidipe ha detto che attardarsi ancora significherebbe non assumersi, con doveroso coraggio, la responsabilità di fare delle scelte innovative e con la definizione certa dei tempi di realizzazione. Per noi devono essere velocissimi se non vogliamo davvero annegare nella ipocrisia delle lamentazioni e dei rinvii - ha concluso Sbriglia - mentre si susseguono i suicidi di detenuti e il rischio di essere additati, dall’opinione pubblica internazionale, barbari e disumani. Giustizia: Sappe; Alfano vigili sulla tutela dell’immagine della Polizia penitenziaria Il Velino, 5 ottobre 2010 “Sensibilizzare il ministro della Giustizia Angelino Alfano alla tutela dell’immagine e della professione degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria, atteso che a ciò non provvede chi invece dovrebbe esservi istituzionalmente preposto come gli uffici stampa - Relazioni esterne del Dap, che pure dovrebbe occuparsi di comunicazione e promozione dell’immagine dell’amministrazione e del Corpo di polizia penitenziaria”. È quanto scrive in una lettera inviata questa mattina da Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria, al ministro Guardasigilli Angelino Alfano. Al ministro, Capece esprime “la grande amarezza e sconforto degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria che, con costante regolarità, continuano a essere definiti da alcuni giornalisti “guardie carcerarie”, “secondini” e “agenti di custodia”, termini che non identificano affatto il nobile e duro lavoro dei nostri Baschi Azzurri”. L’esponente sindacale auspica perciò un intervento da parte di Alfano presso le redazioni degli organi di informazione italiani. Per il Sappe “è grave che a intervenire per precisare, rettificare e puntualizzare non sia mai l’ufficio stampa e relazioni esterne del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che pure dovrebbe avere nella sua mission istituzionale la comunicazione e la promozione dell’immagine dell’Amministrazione e del Corpo di polizia penitenziaria”. L’intervento auspicato da Capece dovrebbe servire a chiarire “la reale personalità giuridica di chi lavora per la sicurezza delle carceri e un espresso richiamo all’ufficio dipartimentale indicato perché faccia ciò per cui è stato istituito”. Giustizia: Federserd; 30% detenuti consumatori di droghe, aumentano malati di epatite C e Hiv Il Mattino di Padova, 5 ottobre 2010 Circa il 30% dei detenuti in Italia (ma anche in Veneto) sono consumatori di sostanze stupefacenti e di questi circa l’80% è affetto da epatite C, mentre circa il 25% sono Hiv positivi. Fra questi solo pochi sanno di essere malati e fra coloro che sanno di esserlo pochissimi sono in grado di accedere alle cure. Il dato è stato reso noto dalla Federazione italiana degli operatori dei servizi e dei dipartimenti delle dipendenze del Veneto in previsione del convegno “Il trattamento del consumatore di sostanze ed il territorio” in programma F8 ottobre a Padova. La giornata di studio sulle patologie correlate nei tossicodipendenti e sui programmi alternativi per i detenuti vedrà la partecipazione di un centinaio di professionisti del settore. “È compito della Regione - sottolinea il presidente della commissione Sanità della Regione, Leonardo Padrin - garantire l’assistenza sanitaria anche ai detenuti”. “La situazione nelle carceri venete - spiega Felice Nava, coordinatore FeDerSerD Veneto - è allarmante. Solo nelle due carceri di Padova, dove sono presenti in sovraffollamento oltre un migliaio di detenuti, almeno 300 sono i consumatori di sostanze, circa 200 sono probabilmente affetti da epatite C e molte decine sono i soggetti Hiv positivi, malattie che possono essere curate con successo anche nei tossicodipede-nenti, ma sono ancora pochi i pazienti che ricevono le cure più appropriate”. Giustizia: processo per la morte di Stefano Cucchi; prima udienza per i quindici indagati di Giulio De Santis Il Messaggero, 5 ottobre 2010 Guerra di perizie tra accusa e parte civile nel processo sulla morte di Stefano Cucchi, il piccolo spacciatore deceduto misteriosamente il 22 ottobre scorso all’ospedale Pertini. Oggi, nel corso dell’udienza preliminare, i legali della famiglia chiederanno al gup Rosalba Liso un incidente probatorio per stabilire attraverso una consulenza super partes se il presunto pestaggio compiuto dalle guardie carcerarie fu o meno la causa della fine dell’ex ragioniere di Tor Pignattara. Il gup, esaurite le questioni preliminari, dovrà anche valutare le quindici richieste di rinvio a giudizio formulate dai pm. L’istanza dei legali di parte nasce dal totale contrasto tra le conclusioni dei periti nominati dai magistrati e quel- li della parte civile. Due ricostruzioni discordanti che determinerebbero accuse differenti nei confronti delle guardie carcerarie. La Procura di Roma, avuti i risultati delle perizie, ha chiesto il rinvio a giudizio con la semplice accusa di lesioni per Nicola Minichini, Corrado Santantoriio e Antonio Domenici, cosa che comporterebbe una condanna massima a tre anni di carcere. Invece l’avvocato Fabio Anselmo, legale dei Cucchi, chiede l’incrimina-zione per omicidio preterintenzionale dei tre secondini. Reato che prevede una pena fino a 15 anni. A dividere pm e parte civile sono le perizie. Secondo gli esperti della Procura, tra cui il direttore dell’Istituto di Medicina Legale della Sapienza, le presunte percosse subite da Cucchi non sarebbero state la ragione del decesso. Per i pm a provocare la morte di Cucchi sarebbero state le negligenze e le omissioni dei medici e degli infermieri che lo ebbero in cura durante il ricovero all’ospedale Pertini. Una conclusione in netto contrasto con la perizia degli esperti della parte civile i quali sostengono che la morte di Cucchi fu determinata dai presunti maltrattamenti delle guardie carcerarie. I professori Vittorio Fineschi, Cristoforo Pomara e Guglielmi non hanno dubbi: ci fu un pestaggio. In particolare, i tre consulenti soffermano la loro analisi sulla frattura di una vertebra che avrebbe finito per provocare la morte di Cucchi. La lesione, a loro giudizio, avrebbe intaccato il midollo osseo procurando il decesso in un secondo momento. Secondo i periti, la rottura della vertebra può essere stata causata soltanto da un calcio o da una caduta dalle scale conseguenza di una spinta. Inoltre, sempre per i periti, si può escludere che la frattura, determinante per la morte di Stefano, sia antecedente al presunto pestaggio. Ma i periti dellaProcu-ra hanno concluso che c’era callo osseo sulla frattura e che quindi il trauma risaliva a tempo prima. Cucchi fu arrestato il 15 ottobre scorso per spaccio di stupefacenti. Morì sette giorni dopo in un letto di ospedale in circostanze tutt’ora misteriose. Cassone (Pdl): urgente accertare responsabilità “Trent’anni fa moriva Nanni De Angelis, giovane esponente della destra romana e appartenente alla formazione di Terza posizione, in circostanze che ancora oggi lasciano molti dubbi, ma con tutta probabilità in seguito a un pestaggio all’interno del carcere dove era detenuto. A trent’anni di distanza da quella tragica morte, la verità sembra ancora molto lontana, ma la cosa che ancora di più ci addolora è constatare che dopo tutto questo tempo la situazione nelle carceri italiane ha ancora degli elementi oscuri, come testimonia la vicenda di Stefano Cucchi. Ci chiediamo come possano accadere ancora oggi vicende come questa, e come ancora non sia stata diradata la nebbia che avvolge le responsabilità di un tale grave episodio. Troviamo, pertanto, importante la costituzione di parte civile da parte del Comune di Roma, e sottolineiamo ancora più la necessità di creare la figura del garante dei detenuti, come chiesto in un odg che ho presentato con il collega Domenico Naccari”. Lo dichiara Ugo Cassone, consigliere Pdl di Roma Capitale. Osapp: avremo voluto esserci a presentazione libro “Avremo gradito che alla presentazione del libro dedicato a Stefano Cucchi, oggi presso la sala stampa della Camera dei deputati, fosse invitata anche la Polizia penitenziaria - lo rende noto Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria (Osapp) una delle prime e più rappresentative organizzazioni sindacali di categoria. La verità su Stefano sta affiorando pian piano, piaccia o no - sottolinea il sindacalista - e là, dove prima il risentimento, l’odio, la pena per le immagini del geometra morto, su letto di obitorio, facevano ricondurre tutte le responsabilità ai poliziotti penitenziari, adesso, quelle stesse immagini, ad un anno dalla tragedia, i continui suicidi, le morti, le situazioni gravi che si scatenano all’interno delle sezioni, le tremende crisi in cui è coinvolto il nostro apparato penitenziario, devono far riportare necessariamente quell’episodio nell’alveo stesso di un agguato di sistema, in cui vittima sembra essere non solo il povero Stefano ma anche lo stesso carnefice che lo prese in carico a P.le Clodio quel triste giorno. La nostra, purtroppo, è una realtà per cui non esiste un dato positivo, o che guardi al futuro. Quale rappresentanti di un’istituzione autorevole che qualcuno ha tentato di annientare strumentalizzando il caso, siamo disgustati ancora da una vicenda che ha assunto via via tutti contorni di un caso politico e che ha rischiato di disonorarci. Ci riferiamo - continua - a quegli stessi politici che sono corsi tutti in difesa del Cucchi additando la polizia penitenziaria come un corpo istituzionale anomalo e che, adesso, dovranno certamente ricredersi. Le ombre ci uccidono - evidenzia il segretario - uccidono l’intera categoria alla quale ci esaltiamo di appartenere quando Stefano Cucchi diventa un vessillo di democrazia, di libertà, di verità. Probabilmente - conclude Beneduci - questo Paese non potrà mai dirsi compiutamente democratico fin quando qualcuno crederà ancora (e ci rivolgiamo a tutti coloro che oggi parteciperanno in onore di Stefano) che si possa combattere la grave emergenza sociale del carcere schierandosi dalla parte del bene, i detenuti, contro il male identificato anche con i poliziotti penitenziari”. Campania: Antigone; in regione 8mila detenuti, attivare un tavolo di crisi per l’emergenza carceri Ansa, 5 ottobre 2010 Secondo i dati dell’Osservatorio sulla detenzione dell’Associazione Antigone Campania, con quella di Antonio Granata, 35 anni, che si è tolto la vita oggi nel padiglione Livorno nel carcere di Poggioreale, salgono a 27 le morti nelle carceri campane avvenute tra il 2009 e il 2010. Ben 15 sono suicidi. “Negli ultimi 12 mesi - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila, portavoce di Antigone Campania - sono 8 i decessi avvenuti nel solo carcere di Poggioreale, che ospita circa 2.700 detenuti su una capienza di 1.347 posti. Negli ultimi due mesi abbiamo registrato 4 decessi (due dei quali per suicidio) segno di una situazione che si aggrava di giorno in giorno”. A lanciare l’allarme anche Samuele Ciambriello, presidente de La Mansarda. Secondo Dell’Aquila e Ciambriello è indispensabile che si apra un tavolo di crisi sulle condizioni detentive di Poggioreale. Vogliamo ricordare che la stessa magistratura di Sorveglianza ha espresso un giudizio severo sulle condizioni di detenzione all’interno d questo istituto. In Campania vi sono complessivamente circa 8.000 detenuti, su una capienza di 5.229 posti. “A nostro avviso - proseguono - è innanzitutto necessario comprendere le cause di questa impressionante sequenza di morti, specie di quest’ultima avvenuta nel padiglione dell’Alta sicurezza e dell’isolamento. Al di là delle indagini penali chiediamo ci sia da parte dell’Amministrazione penitenziaria un livello di attenzione più alto per Poggioreale e l’istituzione di una commissione di inchiesta interna per comprendere le dinamiche di queste morti. Sono necessari più attenzione ai livelli di prevenzione degli eventi critici e maggiori risorse umane da impiegare nelle attività sociali. Ci auguriamo - concludono - anche che le istituzioni locali diano il loro contributo per impedire questa triste sequenza di morte. Sardegna: Sdr; nelle carceri diritto salute a rischio perché Regione e Governo litigano sulle spese Ansa, 5 ottobre 2010 “Il diritto alla salute nelle carceri della Sardegna viene compromesso, giorno dopo giorno, in seguito al braccio di ferro tra Governo e Regione sulle spese sanitarie e farmaceutiche da affrontare fino al 31 dicembre in attesa del passaggio delle competenze dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario regionale”. Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente di Socialismo Diritti e Riforme, associazione a cui si sono rivolti numerosi familiari e gli stessi detenuti durante i colloqui in carcere con i volontari. È una situazione drammatica che rischia di avere gravi conseguenze - continua Caligaris - che suscita forte preoccupazione anche tra gli operatori sanitari che si trovano nell’impossibilità di far fronte ad una situazione di emergenza per mancanza di fondi a disposizione. È indispensabile un intervento straordinario e urgente del Ministero della Giustizia o della Regione per ripristinare la normalità nell’assistenza ai detenuti, in attesa di definire il passaggio di competenze e l’eventuale contenzioso. Se la Regione, responsabile di quanto sta accadendo, stante l’attuale crisi politica, non è in grado o non intende assumere un provvedimento straordinario, i fondi devono essere garantiti dal Governo attraverso il Ministero della Giustizia. In caso contrario il perdurare dell’attuale situazione - conclude il presidente di presidente di Socialismo Diritti e Riforme - configura l’interruzione di pubblico servizio e richiede un intervento della magistratura e dei sindaci dei Comuni interessati. Toscana: al via un progetto pilota per il servizio sanitario all’interno dei penitenziari Il Tirreno, 5 ottobre 2010 La giunta regionale toscana, con una recentissima delibera, ha avviato un progetto pilota per tutta l’Italia, destinato alla realizzazione di un servizio sanitario all’interno dei penitenziari della nostra regione. Il sovraffollamento carcerario, al momento attuale, rappresenta infatti il primo e più difficile ostacolo da superare. Sono infatti 4800 i detenuti (di cui 200 donne) presenti nelle strutture detentive toscane che complessivamente hanno una capienza di 2.830 posti. Detenuti come polli nelle stie. Il sovraffollamento ha raggiunto punte di estrema criticità a Firenze, Sollicciano, Prato, Pisa, Livorno, Pistoia, Lucca. Una situazione che ha spinto la Corte Europea dei diritti dell’uomo a condannare l’Italia a risarcire alcuni detenuti che avevano denunciato la situazione. Nella sentenza si rileva come la superficie a disposizione del detenuto è sovente molto inferiore agli standard stabiliti dal Comitato per la Prevenzione della Tortura che stabilisce in 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella. Considerazioni che di fatto mettono fuori legge la maggior parte delle prigioni, dove i detenuti trascorrono oltre 20 ore al giorno nel proprio letto. In tal senso va il piccolo ma significativo gesto, compiuto dal governatore Enrico Rossi che, consapevole delle croniche ristrettezze economiche dell’amministrazione penitenziaria, ha messo a disposizione 4.500 materassi e il set di igiene orale. “Per la realizzazione del nostro progetto che è a buon punto - dice il professor Francesco Ceraudo - direttore del dipartimento regionale per la salute in carcere - abbiamo monitorato ogni singolo istituto. I dati raccolti sono stati prospettati alle Asl per procedere alle azioni indispensabili per il miglioramento sul piano strutturale, su quello tecnologico e sul potenziamento del personale con particolare riferimento alla psichiatria, e ai servizi di guardia medica”. Un’operazione per la quale, sono stati stanziati 3 milioni e 500mila euro. “Uno sforzo notevole, quello della Giunta regionale - conclude Ceraudo - che consentirà di passare dalla medicina penitenziaria d’attesa e difensiva ad un criterio di medicina penitenziaria di iniziativa e di opportunità”. Sicilia: progetto di reinserimento per 300 detenuti minorenni, faranno barche a vela e film Agi, 5 ottobre 2010 Le attività si svolgeranno sia dentro che fuori le mura dei Centri e delle Comunità interessate (Palermo, Caltanissetta e Messina) e saranno gestite dalle cooperative sociali coinvolte nel progetto: “Azzurra”, “Giovanni Paolo II”, “Infomedia”, “Santa Agostina”, dall’Associazione Giovanile Efrem onlus e dall’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. Tra i laboratori previsti in progetto, oltre alle attività sportive, quello di alfabetizzazione, informatica, cucina, proposte di attività ludico-ricreative e socializzanti in cui oltre alla presa in carico del minore c’è anche quella della famiglia. “Crescere educando - ha evidenziato il coordinatore Giorgio Urbano - è un progetto connotato da una forte valenza educativa e non meramente punitiva. I ragazzi vedono attraverso noi una possibilità reale, con una motivazione giusta, di uscire fuori dalla delinquenza e dalla tossicodipendenza”. Le proposte di attività mirano, infatti a non colpevolizzare il minore, ma piuttosto a responsabilizzarlo rispetto alle proprie azioni e accompagnarlo nel “difficile” percorso di crescita e sviluppo di un progetto di vita nella legalità. Di “progetto innovativo” ha parlato il parlamentare regionale Salvo Pogliese, portando il saluto del ministro della Gioventù Giorgia Meloni: “Ha una funzione pedagogica ed educativa importante - ha rilevato - in un percorso di recupero dei giovani”. Lecce: Uil; agenti penitenziari salvano la vita a due detenuti che avevano tentato il suicidio Il Velino, 5 ottobre 2010 “Nei giorni scorsi (sabato e ieri) altri due detenuti hanno tentato di togliersi al vita nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce e sono stati salvati dagli agenti penitenziari”. Lo dichiara Eugenio Sarno , segretario generale della Uil Pa Penitenziari. “Sempre sabato nella Casa di reclusione di Sant’Angelo de Lombardi (AV) un altro detenuto ha tentato di impiccarsi ma è stato prontamente soccorso e salvato dagli agenti penitenziari. È del tutto evidente, quindi, che quotidianamente la polizia penitenziaria è impegnata nel salvare vite umane. Nonostante le gravi deficienze organiche e la pressoché totale mancanza di mezzi e strumenti atti a pervenire o a difendersi. Forse l’opinione pubblica non sa che gli agenti penitenziari all’interno delle sezioni, pur dovendo sorvegliare decine se non centinaia di detenuti, operano senza alcuna arma o strumento di difesa. Le uniche armi di cui disponiamo - sottolinea Sarno - sono il buon senso, la tolleranza, la disponibilità, la professionalità e l’istinto. Ed è solo grazie all’esperienza e alle capacità, non certo per la formazione, che si riescono a salvare centinaia di vite umane. Per la maggior parte l’avviso della tragedia imminente è dato dal rumore dello sgabello che si rovescia. E questo lo si impara lavorando per ore ed ore nelle degradate e puzzolenti sezioni detentive”. Non conosce sosta l’attività dedicata all’informazione di ciò che accade nei penitenziari da parte della Uil Pa Penitenziari. “Dei 52 suicidi avvenuti in cella in questo 2010 , il 50 per cento (26) ha riguardato detenuti compresi nella fascia di età dai 26 ai 35 anni; il 27 per cento (14) detenuti in età compresa dai 35 ai 50 anni; il 14 per cento (7) in età over 50 ed il 9 per cento (5) in età under 26 anni. 47 suicidi sono avvenuti a mezzo impiccagione, 2 mediante inalazione del gas di fornellini da campo, 2 con overdose da farmaci e uno attraverso il taglio della vena giugulare”. Eugenio Sarno, però non manca di polemizzare con il Tg3 sul servizio andato in onda ieri sera riguardante un transessuale che ha denunciato di aver subito violenze da parte degli agenti penitenziari. “Ieri quel Tg nazionale ha doverosamente informato su presunte violenze che un transessuale ha denunciato di aver ricevuto nelle carceri milanesi di San Vittore e Bollate. Il 100 per cento di quello spazio informativo, però, è stato dedicato alla presunta vittima che ha potuto liberamente esternare. Senza alcun contraddittorio. Senza che la testata abbia assunto eventuali dichiarazioni da parte degli agenti interessati, o dei loro legali. Questo ci pare un modo scorretto di informare perché orienta unilateralmente i giudizi. Nessuno esclude che in carcere possano accadere questi episodi, che trovano la nostra più ferma e convinta condanna, ma nemmeno si possono trasformare uomini dello Stato in carnefici prima ancora che le indagini ed il processo abbiano stabilito i fatti e le eventuali responsabilità soggettive. Attenti a non sbattere il mostro in prima pagina. Auspichiamo che sul dramma penitenziario si rifugga dalla tentazione sensazionalistica e dalla rincorsa allo scoop. La situazione nelle nostre carceri è talmente tragica, che di per sé rappresenta una notizia sensazionale e degna di ogni scoop. Purtroppo sul punto non registriamo informazione, tantomeno scoop, meno che mai notizie”. Viterbo: il Garante; trovate le risorse economiche per acquistare busto speciale a detenuto malato Dire, 5 ottobre 2010 “Arrivato in Italia il 18 agosto e subito arrestato, da oltre un mese era costretto da una grave malattia in un letto del reparto per detenuti dell’ospedale Belcolle di Viterbo perché, senza un busto che lo sorregge, ogni movimento potrebbe provocargli la lesione del midollo spinale. Ora questo giovane potrà, a breve, alzarsi dal letto e iniziare la terapia di recupero con uno speciale busto”. Lo comunica, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. La nota spiega che “il detenuto di origine togolese, A.B., era arrivato all’ospedale di Viterbo dal carcere di Civitavecchia, dove era stato recluso, con dolori importanti al dorso e alla pelvi. Dopo alcuni esami clinici e diagnostici i medici gli avevano diagnosticato una spondilite tubercolare con ascesso ossifluente di d10 e una epididimite tubercolare. Per evitare fratture che potevano lesionare il midollo spinale, A.B. aveva bisogno di uno speciale busto, consigliato dagli ortopedici, che non poteva essere comperato per l’assenza di risorse finanziarie sia della Asl che del carcere di Civitavecchia. In attesa che la situazione si risolvesse, per evitate guai peggiori A.B. ha passato oltre un mese a letto”. Informato della situazione dai medici e dal personale infermieristico della struttura protetta per detenuti dell’ospedale Belcolle, “il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ha attivato i canali istituzionali della Regione Lazio che, in pochi giorni, hanno messo a disposizione le risorse economiche necessarie ad acquistare il busto”. Così Marroni: “Non appena appresa la vicenda ci siamo subito attivati non solo per preservare la salute di quest’uomo, ma soprattutto per restituirgli quella dignità di cui ha pieno diritto. Soprattutto in periodi come questi di ristrettezze economiche, il diritto alla salute in carcere e quello a vivere dignitosamente anche in una cella sono fra i più sottovalutati”. Roma: Pdl; istituire Garante comunale dei detenuti, i Consiglieri devono poter visitare le carceri Dire, 5 ottobre 2010 “L’istituzione del garante dei detenuti di Roma è una proposta presentata anche da diversi esponenti del Pdl del Campidoglio, e richiesta nell’ambito della riforma di Roma Capitale”. Lo dichiarano, in una nota, i consiglieri Pdl dell’Assemblea Capitolina, Ugo Cassone e Domenico Naccari. “Riteniamo opportuno che venga conferita la possibilità ai consiglieri dell’assemblea capitolina di far visita nelle carceri romane. Questo rappresenta non solo un dovere ma rientra anche nelle competenze della stessa amministrazione capitolina, considerati i molteplici rapporti tra il dipartimento servizi sociali e le carceri presenti sul territorio- aggiungono Cassone e Naccari- Non possiamo dunque che auspicare che si proceda nella direzione dell’istituzione del garante anche presso l’amministrazione capitolina”. Carrara: iniziativa di Legambiente, 17 detenuti in permesso fanno pulizia nel borgo di Sorgnano Il Tirreno, 5 ottobre 2010 Anche quest’anno all’iniziativa di Legambiente “Puliamo il mondo”, ha partecipato un nutrito gruppo di detenuti, 17, della casa circondariale di Massa: obiettivo pulire l’antica peschiera romana di Sorgnano e i giardini della scuola del paese (nelle foto, alcuni partecipanti all’iniziativa). I detenuti lavorano durante la giornata di “Spiagge Pulite” (sempre organizzata da Legambiente), e alla “Colletta alimentare”, in più vi fu l’adesione alla Marcia della Pace Perugina - Assisi. L’educatore Gino Paolini, sottolinea: “Per venire qui i detenuti utilizzano un permesso premio che avrebbero potuto sfruttare in altro modo”. “Queste sono proprio occasioni di contaminazione in senso positivo, tra il dentro e il fuori - prosegue Paolini - che aiutano a convincere la cittadinanza dell’importanza del recupero di chi, scontata la propria pena, si troverà a doversi reinserire nella società”. Soddisfatti i detenuti. “Una bella giornata di sole e adesso andremo a mangiare tutti insieme: siamo contenti e speriamo che lo siano anche gli abitanti di Sorgnano del lavoro che abbiamo svolto”, afferma Giuseppe; “Veniamo sempre tanto volentieri”, prosegue Khalid che ringrazia l’educatore: “Ci è sempre vicino per darci una mano e organizzare giornate come queste”. Aggiunge Enrico: “L’incontro con gente che non vive la nostra realtà ci permette di scambiare idee, stringere legami che, altrimenti, non ci sarebbero offerti”. Abd Aziz, è il più stakanovista: “Eh sì, mi piace tanto lavorare. Anche in carcere, lavoro il ferro, faccio il fabbro”. Giornata positiva secondo Federica Ghelardini, socia di Legambiente ed organizzatrice dell’evento. “Abbiamo fatto un buon lavoro tutti insieme e un ringraziamento speciale va anche ai volontari della Vab ed al personale Amia. Un rammarico l’assenza quasi totale degli abitanti del paese”. Nuoro: Melis (Pd); la nuova sezione nel carcere di Badu e Carros non è per i detenuti del 41 bis Agi, 5 ottobre 2010 “Il nuovo braccio in costruzione nel carcere di Badu e Carros, a Nuoro, non sarà destinato ai detenuti ex 41 bis”. Lo rende noto il parlamentare PD, Guido Melis, dopo la risposta ricevuta oggi, in Commissione Giustizia della Camera, all’interrogazione presentata dai deputati sardi. L’allarme era stato lanciato in agosto dal sindaco di Nuoro Bianchi, preoccupato che coi detenuti più pericolosi arrivassero a Nuoro, come in passato, i germi di un contagio della criminalità organizzata. “Naturalmente”, prosegue Melis, “bisognerà ora utilizzare con intelligenza la nuova disponibilità di spazi a Badu e Carros, deconcentrando le altre carceri sarde attraverso opportuni trasferimenti. A Sassari c’è lo scandalo di San Sebastiano, del quale abbiamo chiesto la chiusura per le intollerabili (e illegali) condizioni di detenzione. Si potrebbe intanto”, conclude il deputato Pd, “in attesa del nuovo edificio in costruzione di Bancali, portare a Nuoro parte almeno dei detenuti di San Sebastiano”. Napoli: “Gabbie” di matti, sul mensile “Max” un viaggio fotografico negli Opg della Campania Corriere della Sera, 5 ottobre 2010 Rippa, psicologo dell’Ospedale psichiatrico giudiziario: “Negli Opg non ci sono criminali, ma poveracci”. Con gli ergastoli bianchi pene lievi significano “carcere” a vita” per i pazienti. La Campania è l’unica regione ad avere due ospedali psichiatrici giudiziari. Come riporta il mensile “Max”, la maggior parte degli internati non sono criminali ma “poveracci”, così li ha definiti Arturo Rippa, psicologo del centro di salute mentale di Aversa. A Secondigliano c’è un uomo condannato per essersi presentato davanti a una scuola travestito da donna. È accaduto 25 anni fa e l’uomo è ancora rinchiuso. Solo nel centro aversano, grazie ai vari progetti coordinati dall’Asl ex Caserta 2 di Peppe Nese, molti dei reclusi stanno uscendo. Nonostante le lievi condanne molti “malati” rimangono reclusi per anni, altri escono e non ritrovano più nulla della loro precedente vita, spesso non hanno più la casa, i parenti li abbandonano. A tutto questo si aggiunge il fatto che le Asl non organizzano progetti di inserimento. Da qui la continua proroga dei magistrati di sorveglianza di allungare i tempi di detenzione di sei mesi in sei mesi, fino a tramutarsi in ergastoli. Luigino (57 anni) è stato affidato alla cooperativa Aria Nuova di Caserta a causa di una lite in un bar. Durante la discussione ha colpito un uomo che poi si è rivelato un carabiniere, il trasferimento al tribunale di Rieti è stato automatico. Tre mesi dopo il processo è stato portato ad Aversa. Condannato a due anni per oltraggio. È stato tre anni nel Opg aversano e poi è stato trasferito a Caserta, nei 35 ettari di terra confiscati al clan camorristico dei Nuvoletta. Non vede i figli da 13 anni, la moglie gli riattacca sempre il telefono, nonostante non gli dispiaccia la campagna, tornerebbe a casa di corsa. Ben diverso è il caso di Giovanni, 57 anni, di cui 20 trascorsi nell’Opg di Aversa. È stato condannato a cinque anni per aver accoltellato la sorella e il fratello durante una lite. Ma la reclusione è durata 15 anni. Ora vive con la sorella che lo ha perdonato, fa una vita “normale”. Racconta i momenti difficili della reclusione, di quando i secondini per calmarlo gli mettevano il lenzuolo sulla faccia e gli rompevano i denti con i pugni, o di quando fecero picchiare un detenuto da un altro, finché non è rimasto ucciso. Busto Arsizio: “Dolci libertà”, il primo laboratorio di cioccolateria d’Italia dentro un carcere di Rosy Battaglia www.varesenotizie.it, 5 ottobre 2010 Inaugurato il primo laboratorio di cioccolateria d’Italia, all’interno della casa circondariale di Busto Arsizio. “Il lavoro è uno strumento di elevazione e di giustizia sociale”. Con queste parole Don Franco Agnesi, prevosto della città, accompagnato dal cappellano Don Silvano Brambilla, ha benedetto e inaugurato “Dolci libertà”, il nuovo ed unico in Italia, laboratorio di produzione di cioccolato, nato all’interno del carcere bustese. Progetto che ha trasformato 40 detenuti in “mastri cioccolatai” e veri tecnici del mestiere, in un laboratorio di 800 mq già in funzione, in cui si arriveranno a produrre, giornalmente, 700 kg di cioccolato, in forma di praline, tavolette, uova pasquali e 300 kg di pasticceria, tra biscotti lisci e ricoperti, torte, tortine e panettoni. Prodotti che possono essere già acquistati direttamente dal sito www.dolciliberta.com, anche se il vero trampolino di lancio sarà, il 15 ottobre, all’Eurochocolate di Perugia. “Tutto grazie ad una sinergia tra enti pubblici e privati, in grado di creare posti di lavoro per i detenuti” ha precisato il direttore dell’istituto penale, Salvatore Nastasia, durante l’affollata cerimonia di presentazione del progetto, realizzato grazie agli investimenti della Sport&Spettacolo Holding S.p.A., che ha assunto direttamente i 40 detenuti. Un evento atteso, con tanto di “taglio del nastro”, ad opera del vice capo dipartimento del Ministero di Giustizia, Santi Consolo, del consigliere regionale Giorgio Puricelli e del provveditore regionale alle carceri, Luigi Pagano, già in prima linea con il modello “Bollate” e per “Articolo 27” , l’agenzia regionale di promozione del lavoro penitenziario, nata un anno e mezzo fa. Che ha sottolineato come “il lavoro all’interno delle mura carcerarie non deve essere più di tipo assistenziale, ma diventare una vera professione, in grado di misurarsi con il mercato”. Un’idea imprenditoriale perfettamente corrispondente a quella di “Dolci Libertà” ha sottolineato Roberto Colombo, amministratore delegato della holding: “Puntiamo alla qualità del prodotto, prevedendo un ritorno non solo economico, ma anche da un punto di vista umano e etico”. Una società particolare la dolci-liberta2_320x240”Sport&Spettacolo”, infatti, che vanta, tra i propri soci, professionisti del mondo calcistico, tanto che, oltre lo stesso Colombo, attuale portiere della Triestina, erano presenti Franco e Beppe Baresi. Tutti d’accordo nel sostenere con formazione e programmi di riqualificazione professionale coloro che hanno deciso di cambiare vita. La strada scelta è quella di avvalersi di tecnici qualificati, come Michele Gentile, che in pochi mesi hanno formato veri pasticceri (in collaborazione con gli educatori e gli agenti di rete Enaip già attivi nel carcere). Professionista del campo dolciario, non nuovo a questo tipo di esperienza ci ha confessato la sua sensibilità: “Avevo già partecipato alla creazione della gelateria “Aiscrim... prigionieri del gusto” nel carcere di Opera. Qui, ho trovato un gruppo di persone magnifiche, con cui continuerò a lavorare nei prossimi mesi, ma che spero di ritrovare presto fuori di qui”. Anche perché l’attestato rilasciato alla fine del corso e l’esperienza acquisita saranno ugualmente riconosciuti a livello regionale. Ma pur nella “dolcezza” della giornata “ non si può dimenticare il triste primato del carcere di Busto. “Il quinto per sovraffollamento di tutta Italia e sotto organico per la vigilanza - ha ricordato, a Varese notizie, Angelo Urso, segretario nazionale UIL della Polizia Penitenziaria. Apprezzando comunque il progetto: “Ogni iniziativa che impegna i detenuti in un’attività lavorativa è lodevole”. Intanto tra i primi “assaggiatori” ufficiali, il sindaco di Busto Arsizio, Gigi Farioli, che ha ringraziato oltre tutti gli amministratori del territorio presenti, anche la dottoressa Rita Gaeta, responsabile dell’area educativa della struttura di detenzione. “A Busto si ha la capacità di sognare e fare i miracoli nel quotidiano, superando tutte le amarezze”. Padova: venerdì un seminario di studio carcere, malattie infettive e tossicodipendenza Ristretti Orizzonti, 5 ottobre 2010 La Federazione Italiana degli Operatori dei Servizi e dei Dipartimenti delle Dipendenze (Federserd), regione Veneto, organizza per venerdì 8 ottobre presso l’Aula Ippolito Nievo dell’Università di Padova, un seminario dal titolo: “Il Trattamento del Consumatore di Sostanze ed il Territorio”. Il seminario che ha ottenuto il patrocinio della Facoltà Medica patavina vedrà la partecipazione di un centinaio di professionisti del settore e sarà aperto dai saluti del Magnifico Rettore Giuseppe Zaccaria, del Direttore Generale dell’Ulss 16 Fortunato Rao, dal Presidente della V Commissione Sanità della Regione Leonardo Padrin e dall’Assessore alla Sicurezza della Provincia di Padova Enrico Pavanetto. Il seminario vedrà la presenza di relatori, anche internazionali, e tratterà temi di straordinaria attualità: le patologie correlate nei tossicodipendenti e i programmi alternativi alla carcerazione. La cospicua presenza di tossicodipendenti in carcere rappresenta una conseguenza della violazione della legge sugli stupefacenti e contribuisce in maniera determinante al sovraffollamento degli Istituti. Circa il 31% dei detenuti sono consumatori di sostanze e di questi circa l’80% è affetto da epatite C, mentre circa il 25% sono hiv positivi. Secondo questi dati nelle due carceri di Padova, dove sono presenti a causa del sovraffollamento più di 1.000 detenuti, almeno 300 sono i consumatori di sostanze, circa 200 sono probabilmente affetti da epatite C e molte decine sono i soggetti hiv positivi. La cura delle patologie correlate nei tossicodipendenti detenuti diventa perciò una priorità, anche a protezione della collettività. Negli ultimi anni sulle cure delle patologie infettive sono state effettuate notevoli progressi. La lettura magistrale del prof. Jag Khalsa del National Insitute of Health (Nih) di Bethesda negli Stati Uniti - uno dei massimi studiosi nel settore - avrà lo scopo di aggiornare gli specialisti dei Servizi delle Tossicodipendenze e delle Comunità Terapeutiche del Veneto sulle innovazioni delle cure per le patologie correlate nei tossicodipendenti. Seguirà una relazione sulla co-morbilità psichiatrica di Ivan Montoya uno dei massimi psichiatri delle dipendenze che lavora al Nih di Bethesda. “Oggi le malattie come l’epatite C e l’hiv possono essere curate con successo anche nei tossicodipendenti”, spiega Felice Nava, medico farmacologo Presidente di Federserd Veneto, “ma sono ancora pochi, purtroppo, i pazienti che ricevono le cure più appropriate”. Una tavola rotonda in cui saranno presenti magistrati, avvocati, i direttori delle carceri di Padova, giornalisti, gli operatori dei Servizi pubblici, del privato sociale e del volontariato affronterà invece la realtà dei programmi alternativi alla carcerazione. La dottoressa Calzavara dell’Unità Funzionale Carcere di Padova ritiene opportuno “Incrementare le pene alternative, in quanto sono il modo migliore per diminuire quella pressione umana che oggi abbiamo dentro le mura penitenziarie. Vale sicuramente la pena investire in progetti risocializzanti, sulle persone a scarsa pericolosità sociale, piuttosto che sulla costruzione di nuove carceri. In questo modo, senza ledere sulla certezza della pena, si garantisce il principio di rieducazione della persona detenuta e nel contempo la sicurezza dei cittadini. Come Federserd riteniamo inoltre opportuna l’istituzione del Garante dei diritti civili, già formalizzato in molti Paesi europei, il quale potrebbe sicuramente vigilare sulla violazione dei diritti umani all’interno degli Istituti penitenziari”. Non resta che sperare che nel futuro lo scenario sarà migliore di quello di oggi. Verona: “Tra Mura Les: arte in carcere”, dal 9 al 17 ottobre in mostra i lavori dei detenuti Redattore Sociale, 5 ottobre 2010 Torna anche quest’anno la mostra “Tra Mura Les: arte in carcere” che si terrà dal 9 al 17 ottobre all’interno del convento di San Bernardino. L’allestimento, organizzato dall’associazione La Fraternità, vedrà esposti i lavori artigianali realizzati dai detenuti di Verona. L’inaugurazione si svolgerà sabato 9 ottobre alle 11.30 e la mostra rimarrà aperta tutti i giorni dalle 10 alle 12.30 e dalle 15 alle 18.30. Nel chiostro si potranno inoltre visitare una riproduzione di una cella del carcere di Montorio, ricostruita e arredata in dimensioni reali. Altre le iniziative correlate all’esposizione: martedì 12 ottobre, alle 17, inaugurazione della sede rinnovata dell’associazione La Fraternità e, alle 18, tavola rotonda “Dalle povertà ai reati: spezzare la catena nella tradizione dei grandi Santi veronesi”. Giovedì 14 ottobre, alle 16, presentazione del percorso didattico “L’immagine riflessa” a cura delle psicologhe Lara Simeoni e Federica Ferrari. Venerdì 15 ottobre, alle 11, presentazione del progetto “Carcere-Territorio” e domenica 17 ottobre, alle 9, incontro con le famiglie del progetto “Affettività” e con i detenuti in permesso accompagnati dall’associazione Don Tonino Bello. Sempre domenica, alle ore 16, proiezione di immagini sulla storia delle carceri a Verona. Informazioni e programma nel sito www.lafraternita.it. Televisione: domani sera “Le Iene Show” al carcere di Pianosa Italpress, 5 ottobre 2010 Domani, in diretta alle 21.10, su Italia 1 nuovo appuntamento con “Le Iene Show”, con servizi, indagini e reportage esclusivi. In questa stagione al timone del programma ci sarà l’ormai collaudato trio composto da Luca e Paolo e Ilary Blasi. La Iena Luigi Pelazza si è recata a Pianosa, isola dell’arcipelago toscano ormai diventata parco naturale, dove in una carcere fino al 1998 erano reclusi detenuti in regime di 41 bis. Attualmente il carcere è chiuso, ma l’isola ospita, in un’altra struttura a regime articolo 21, 6 detenuti, interessati al reintegro nella società, selezionati in base alla loro condotta in carcere, al loro effettivo pentimento e alla volontà mostrata di voler tornare a lavorare. La scelta dei detenuti non dipende dai reati commessi; non vengono ammessi solo coloro che si sono macchiati di reati di mafia. L’isola è ora praticamente disabitata, fatta eccezione di due guardie del carcere e dei detenuti, che gestiscono l’unico ristorante rimasto aperte e si occupano della ristrutturazione degli edifici sull’isola. I detenuti, quindi, lavorano, possono possedere un cellulare, vengono stipendiati e non sono rinchiusi nelle classiche celle, ma in stanze aperte notte e giorno. In questo modo viene data una seconda possibilità a coloro che hanno sbagliato, ma che desiderano reintegrasi nella società. Radio: da domani “Jailhouse Rock”; suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni Ristretti Orizzonti, 5 ottobre 2010 Da domani alle 20 per un’ora sulle frequenze di Radio Popolare Roma (103.3 fm) va in onda Jailhouse Rock ovvero suoni, suonatori e suonati dal mondo delle prigioni. Si parla di carcere e di rock. “Un orologio digitale Timex rotto, un profilattico non usato, uno usato, un paio di scarpe nere”. È l’inizio dell’elenco degli oggetti che la guardia riconsegna a John Belushi prima di metterlo in libertà all’inizio del film The Blues Brothers. Alla fine l’intera band sarà di nuovo dentro a cantare Jailhouse Rock, dopo aver trionfato nella propria missione per conto di Dio. Da Johnny Cash a James Brown, da Leadbelly ai Sex Pistols, da Vìctor Jara ai fratelli Righeira: suoni e suonatori, racconti di storie che in un modo o in un altro attraversano le prigioni. Il carcere di ieri e il carcere di oggi, dove capita ancora che qualcuno venga suonato. Conducono la trasmissione Patrizio Gonnella e Susanna Marietti (presidente e coordinatrice di Antigone). Inviato speciale da Rebibbia il direttore del carcere Carmelo Cantone. Chiamando allo 06899291 i radioascoltatori potranno intervenire in diretta dicendo la loro. La trasmissione si può ascoltare in streaming su ww.radiopopolareroma.it. Gran Bretagna: il ministro della Giustizia; detenuti ai “lavori forzati”, anche per risarcire vittime Apcom, 5 ottobre 2010 Il ministro britannico della Giustizia, il conservatore Ken Clarke, intende costringere i detenuti della Gran Bretagna a veri e propri “lavori forzati” in carcere, un impegno settimanale di 40 ore che dovrebbe consentire di ridistribuire una parte dei loro compensi alle famiglie delle vittime dei loro reati. Il piano, secondo quanto riferisce oggi il Wall Street Journal, dovrebbe essere annunciato oggi al congresso dei Tories in corso a Birmingham. Il progetto di Clarke prevede la collaborazione di tutte le società private che offrono lavoro ai prigionieri in carcere nel tentativo di aumentare i risarcimenti alle famiglie delle vittime: l’intenzione del governo di Londra, si legge sul quotidiano, è quella di instaurare “un regime di lavori forzati” nelle carceri britanniche. “La maggior parte dei prigionieri conduce una vita pigra e noiosa, in cui alzarsi dal letto diventa un optional”, dirà Clarke durante il suo intervento, sottolineando come degli attuali 85.495 detenuti solo una minima parte sia attualmente impegnata in qualche attività lavorativa in prigione. Più lavoro nelle carceri britanniche, con i detenuti impiegati fino a 40 ore a settimana e pagati il salario minimo, poco meno di 6 sterline l’ora: è questa la proposta del ministro della Giustizia Ken Clarke che oggi al congresso del partito conservatore ha annunciato la sua intenzione di coinvolgere imprese private nel progetto, arrivando forse persino a costruire prigioni accanto a fabbriche o impianti per il riciclo dei rifiuti dove i detenuti verrebbero impiegati in vista del loro reinserimento . Clarke vuole che i detenuti si abituino a un “duro lavoro di routine” in grado per prepararli alla vita che li attende fuori dal carcere. Troppo spesso infatti, le prigioni sono luoghi di inezia e noia dove alzarsi dal letto la mattina viene visto come ‘un optional’. Parte dei soldi guadagnati dai prigionieri, circa una sterlina ogni cinque, verrà utilizzata per risarcire le vittime dei loro crimini, secondo il progetto. Il resto dei soldi servirà a coprire i costi del loro soggiorno in carcere e a pagare i sussidi alle loro famiglie, con il resto accumulato in un fondo disponibile al rilascio. Molti dei detenuti, sostiene Clarke, potrebbero così acquisire nuove esperienze lavorative, utili a trovare un impiego una volta fuori dal carcere. “Il mio obiettivo è di trasformare le prigioni in luoghi di duro lavoro e di riabilitazione per i criminali che meritano la reclusione, rendere le sentenze ai lavori socialmente utili davvero più dure e più efficaci per coloro che non hanno bisogno di essere rinchiusi e ridurre il crimine pagando a seconda dei risultati quelle organizzazioni e quegli investitori che riescono a ridurre la percentuale di ex detenuti che torna a violare la legge”, ha detto il ministro, aggiungendo: “Quelli che sono preparati a fare uno sforzo hanno bisogno di nuove opportunità per imparare un mestiere”. Secondo il sottosegretario Crispin Blunt è necessario però che questi cambiamenti vengano introdotti “con cura” per evitare che i carcerati finiscano per rubare il posto ai lavoratori, danneggiando le comunità locali. Anche Juliet Lyon, direttrice della Prison Reform Trust, ha dichiarato di non essere sicura che ci sarebbe abbastanza lavoro per tutti e ha espresso perplessità circa i detenuti disabili e anziani. Ma si è detta favorevole all’idea di far acquisire ai prigionieri nuove esperienze di lavoro. “I risarcimenti alle vittime e un lavoro vero per un salario vero hanno senso. Il miglior modo per proteggere il pubblico è fare in modo che i criminali minori lavorino duro nella comunità, che i criminali più seri lavorino duro dietro le sbarre e che i malati di mente e i tossicodipendenti ricevano le cure di cui hanno bisogno”, ha detto la Lyon. Svizzera: fino al 1981 i giovani con “condotta dissoluta” venivano internati senza processo Ansa, 5 ottobre 2010 Dal 1942 al 1981, giovani svizzeri, forse migliaia, sono stati rinchiusi in istituti educativi o penitenziari senza aver commesso un reato, ma per presunta “condotta dissoluta” o motivi simili. Una triste pagine del passato, recentemente riemersa in occasione di un evento presso il penitenziario di Hindelbank, nel cantone di Berna, dove le autorità del Paese hanno chiesto scusa per tali pratiche. In Svizzera, fino al 1981, le autorità tutorie hanno collocato molti minori in diversi penitenziari e istituti educativi per “condotta dissoluta”, sregolatezza, alcolismo e motivi analoghi semplicemente in virtù di una decisione amministrativa, senza una procedura giudiziaria e senza che i minori interessati potessero chiedere a un giudice il riesame di tali misure. Sovente sono stati collocati in penitenziari in cui si sono ritrovati a contatto con detenuti comuni, ammette una nota di Berna. Non è stato possibile risalire al numero esatto delle vittime, riferiscono i media svizzeri, ma negli ultimi anni sempre più donne sono uscite allo scoperto, mentre sono invece pochi gli uomini che hanno reso pubbliche le loro esperienze e sofferenze. Ed è accogliendo le richieste di un gruppo di donne collocate a suo tempo presso il penitenziario di Hindelbank che le autorità hanno partecipato ad un incontro di riparazione morale. Nel corso dell’evento alcune vittime hanno raccontato la loro esperienza e in nome della Confederazione la ministra Eveline Widmer-Schlumpf, capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia, si è scusata. “Non permettete che quanto è avvenuto si ripeta”, ha insistito Ursula Mueller-Biondi, rinchiusa a 17 anni nel carcere di Hindelbank quando era al quinto mese di gravidanza. Secondo Hans-Juerg Kaeser, rappresentante della Conferenza dei direttori cantonali di giustizia e polizia presente all’evento, è negli anni a ridosso della Seconda Guerra mondiale che il fenomeno toccò il suo apice.