Giustizia: carceri, mappa del sovraffollamento; il 30% finisce in cella per furti e rapine Adnkronos, 4 ottobre 2010 Sovraffollamento record nelle carceri italiane. Il numero dei detenuti ha toccato quota 68.749, sfiorando cifre mai registrate nella storia penitenziaria dell’Italia. Non c’è una regione, da Nord a Sud del Belpaese, che esca indenne dal fenomeno: nelle oltre 200 carceri italiane, è stata abbondantemente superata la capienza regolamentare. Dai sindacati di settore, arriva l’ennesimo grido d’allarme per una situazione che appare sempre di più una bomba a orologeria, tra tensioni e proteste in cella, evasioni, aggressioni frequenti agli agenti di polizia penitenziaria in servizio. L’eccesso di presenze, è del 53,3% rispetto alla capienza prevista. Cifre che crescono di giorno in giorno, se si pensa che il 20 settembre scorso, la Uil Pa penitenziari rilevava che i detenuti avevano raggiunto le 68.340 presenze. In testa, nella top ten delle regioni d’Italia dove le celle scoppiano, c’è l’Emilia Romagna, con un indice di affollamento dell’85,7% (4.444 detenuti presenti contro una capienza prevista di 2.393 unità). Seguono la Puglia con un indice dell’80,9% e il Veneto con il 71,6. A ‘respirarè è invece la Serdegna, che a fronte di una capienza di 1.970 detenuti ne contava qualche giorno fa, 2.368 (+20,2%). Meno affollate anche le carceri del Molise (481 detenuti per 354 posti previsti) e Lazio (6.345 a fronte di 4.614 posti). E negli istituti di Trentino Alto-Adige (48,8% l’indice di affollamento) e della Basilicata (46,3%) si sta più stretti che in quelli della Campania (39,5%). Ma a portare la maglia nera dell’istituto dove si sta più stretti, è il carcere di Caltagirone (Catania), dove a fronte di una capienza regolamentare di 75 persone, si trovano ora in 302: qui l’indice di sovraffollamento è del 302,6%. Seguono il carcere di Mistretta (Messina) con il 175%, Lamezia Terme (Catanzaro) con il 173% Piazza Armerina (Enna) con il 160% e Busto Arsizio (Varese) con 158%. Dati diffusi nel dettaglio dalla Uil penitenziari. Una situazione arrivata ormai al limite, come fa notare il segretario generale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece: “Un numero di detenuti mai raggiunto prima, carenze organiche di poliziotti gravissime (oltre 6mila e 500 agenti in meno) - spiega- e gravi eventi critici ogni giorno (primi tra tutti i suicidi di detenuti e le aggressioni agli agenti). Nel gennaio scorso il Ministro Alfano, in un incontro con i sindacati, aveva parlato della previsione di edificare 18 nuove carceri, di cui 10 flessibili (di prima accoglienza o destinate a detenuti con pene lievi), di 47 nuovi padiglioni affiancati a strutture carcerarie già esistenti e dell’assunzione di 2mila nuovi agenti di polizia penitenziaria in tempi rapidissimi”. Di fatto, però, fa notare Capece, “non si è ancora visto nulla di concreto. Né nuove assunzioni, né nuove carceri, né una nuova politica della pena. Ecco perché il Sappe ha chiesto un confronto urgente con il Ministro della Giustizia Angelino Alfano su questi temi. Ma qual è l’identikit dei detenuti che abitano le nostre carceri, e per quali motivi finiscono in cella? La maggior parte, quasi il 30%, è dietro le sbarre per aver commesso reati contro il patrimonio: furti, rapine, truffe ed episodi di riciclaggio, ricettazione, estorsione e usura. Lo dice l’elaborazione del Centro studi di Ristretti Orizzonti (sui dati forniti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), che ha stilato una classifica sui reati più commessi dal 2006 a oggi. In cima alla black list, ci sono dunque i reati contro il patrimonio (29%), che nel quadriennio preso in esame sono stati oltre 342mila; al secondo posto, i reati riguardanti la violazione della legge sulle armi (16,8%), nel dettaglio 192.762 casi commessi dal 2006 al 2010. Molto “gettonati” anche lo spaccio e l’uso di stupefacenti, i reati contro la persona, dall’omicidio alle lesioni, fino ai casi di omissione di soccorso, ingiuria e diffamazione: il 15% è finito in cella per questi delitti. Più in fondo alla classifica, trovano posto i reati contro la fede pubblica (4,1%), contro la pubblica amministrazione (3,4), amministrazione della giustizia (2,9%), associazione mafiosa (2,7%). In totale, dal 2006 a oggi, i reati commessi da chi è finito dietro le sbarre sono stati 1.127.316. E se la classifica di Ristretti Orizzonti svela il volto dei detenuti, in base alla tipologia di reato commesso, l’ultimo rilevamento del Dap (aggiornato al 31 agosto scorso) sulla situazione nelle carceri italiane, metteva in luce la posizione giuridica in cui si trovavano gli allora 68.345 detenuti (poche centinaia in meno del numero attuale). Ebbene, secondo le ultime statistiche, dei quasi 69mila reclusi, poco più di 37mila hanno avuto una condanna definitiva, 14.724 sono ancora in attesa del primo giudizio, 7.962 sono imputati appellanti, 4.978 i ricorrenti, 1.704 quelli con più reati a carico. E ancora, sono 1830 gli internati, e 71 i detenuti che si trovano in una situazione ancora transitoria (ovvero, quei soggetti per i quali è momentaneamente impossibile inserire nell’archivio informatico lo stato giuridico, in quanto non sono ancora disponibili tutti gli atti ufficiali necessari). Nel dettaglio, i condannati all’interno delle Case di reclusione, sono circa 9.400, contro gli oltre 27.500 delle Case circondariali e i 163 degli Istituti per le misure di sicurezza. Gli imputati, in attesa di condanna definitiva, delle Case di reclusione sono 1.542 contro i 27.720 delle Case circondariali e i 106 degli Istituti per le misure di sicurezza. A rendere ancora più critiche le precarie condizioni portate dal sovraffollamento, i detenuti stranieri. Quasi 25mila, secondo le statistiche del Dap: di questi, la metà ha avuto una condanna definitiva, 5.785 è in attesa del primo giudizio e 12.368 è ancora nella condizione di imputato. È la Lombardia a ospitare il maggior numero di detenuti stranieri nei suoi istituti (4.039), seguita da Piemonte (2514), Lazio (2.391), Toscana (2.349) e Emilia Romagna (2.269). Mentre in casi come il Molise e la Basilicata, superano di poco le 80 unità. Il 51,5% (12.868), quindi oltre la metà, proviene dai Paesi dell’Africa, molti dei quali dal Marocco (oltre 5.200) e dalla Tunisia (oltre 3.100). Predominano anche nazionalità europee, che caratterizzano il 37,22% della popolazione straniera dietro le sbarre: su 9.298, circa la metà è cittadino Ue, 2908 (11,64%) viene dall’Albania, un migliaio dai Paesi dell’Ex Jugoslavia e 648 da altri Paesi d’Europa. In minoranza invece gli asiatici (5,23% sul totale) e gli americani (5,94%) quasi tutti del Sud America. Anche gli istituti penali per minori scoppiano: sono 540 i ragazzi tra i 14 e i 18 anni reclusi nelle 18 strutture sul territorio nazionale, mentre 18 mila quelli che invece scontano la pena in comunità, affidati ai servizi sociali o a domicilio. Emblema di una baby delinquenza che cresce di giorno in giorno, il carcere minorile Beccaria di Milano e quello dell’isola di Nisida, dove aumentano i ragazzi detenuti, in maggioranza italiani e spesso coinvolti in crimini violenti come rapine e furti o legati allo spaccio di stupefacenti. “Stanno cambiando le modalità con cui i minori delinquono - ha spiegato Serenella Pesarin, direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari per i minori del ministero della Giustizia - sono sempre più violenti e per questo finiscono in istituto”. Al Beccaria di Milano ci sono 70 minori (di cui 9 ragazze rom accusate di furto), ma crescono le esecuzioni di pena: nel 2009 erano al 16,9% rispetto al 9,4% dell’anno precedente. Sui 136 ragazzi entrati dall’inizio del 2009, il 48,5% è italiano: una percentuale che si è impennata rispetto al 27% del 2008 e al 17 del 2007. Normalmente provengono dalle zone di periferia, dove, in assenza di punti di riferimento, vengono più facilmente reclutati dalle organizzazioni criminali. Molti i romeni e i bulgari (22,8% nel 2009), seguiti da rom e sinti (19,8%), magrebini (11,8%), sudamericani (4,4%) e albanesi (2,9%). Il reato più “gettonato” tra i baby delinquenti, è la rapina (45,5%) in crescita rispetto al passato (33,6% nel 2008), mentre aumentano in maniera preoccupante i tentati omicidi e gli omicidi: dal 3,2% del 2008 al 13,6 del 2009, con un forte coinvolgimento di minori di 16 anni (nel 30% dei casi). In diminuzione invece i furti (19,7% contro una media 2008 del 33,6%) e le violenze sessuali (1,5% rispetto al 2,1% dello scorso anno e il 4,3% del 2007). In crescita invece le estorsioni: 4,5% a metà 2009, contro il 2,9% dello scorso anno e il 5% del 2007. Nel carcere di Nisida, sono presenti 117 ragazzi (contro 176 nel 2008), in maggioranza condannati per spaccio di droga e rapine, rispetto ai reati più diffusi fino a pochi anni fa, come lo scippo o il borseggio, oltraggio al patrimonio). I crimini correlati alla droga sono sempre più diffusi: lo attesta anche l’ultima Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze, curata dal Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio. Infatti, il 60% degli ingressi nei centri di prima accoglienza per minori è legato al traffico di sostanze e dal 2007 gli ingressi in carcere per reati legati alla droga sono cresciuti del 38%, con una netta prevalenza maschile e una leggera maggioranza di italiani (54,2% del totale). Giustizia: Iacolino (Ppe); rivedere il modello degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Italpress, 4 ottobre 2010 “Malgrado gli sforzi degli operatori e la buona volontà del personale impegnato, l’attuale modello degli Ospedali psichiatrici giudiziari non è al passo coi tempi. Occorre andare nella direzione auspicata dalla legge 230 e dal Dpcm dell’aprile 2008. L’intero sistema deve essere riorganizzato con il concorso essenziale della Regione, fin qui assente”. Lo afferma l’europarlamentare e vicepresidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, Salvatore Iacolino a margine di un sopralluogo effettuato presso l’Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (Me) per verificare le condizioni di vita degli internati. “Gli Opg ancora aperti - continua Iacolino - sono strutture inadeguate a sostenere il percorso riabilitativo dei pazienti. Occorre procedere al recepimento della normativa nazionale che obbliga la Regione a programmi di reinserimento sociale nei confronti dei detenuti affetti da problemi psichiatrici anche attraverso rinnovate chance di lavoro per una efficace inclusione sociale. La Regione ha fin qui doppiamente fallito: non ha riorganizzato il sistema garantendo il diritto alla salute nei confronti del detenuto in condizione di normalità e non si è fatta carico del paziente psichiatrico detenuto negli Opg prevedendo percorsi di riabilitazione differenziati in ragione delle esigenze di salute di ciascun recluso”. Giustizia: il “Jail tour” di Paolo Massenzi tra le 80 cooperative dei detenuti italiani Corriere della Sera, 4 ottobre 2010 Ti capita di viaggiare in autostrada un giorno di autunno, proprio mentre la radio dà la notizia della morte assurda di Stefano Cucchi. La vita di un uomo può cambiare anche così, pensando a quella spezzata di un altro. È la storia di Paolo Massenzi, romano, 45 anni, che da due mesi ha iniziato un tour indipendente per le carceri italiane a bordo di un camper anni 80. Ha lasciato il suo lavoro di problem solver e si è immerso in quello più difficile del confronto, del capire. “Volevo capire se nelle carceri italiane ci fosse qualcosa di buono”, dice, per lui che ha fatto del comprendere un’esigenza morale. Paolo si è fatto già 16mila chilometri lungo lo Stivale, ha visitato tante strutture carcerarie, ha aperto il sito www.recuperiamoci.org, ormai il punto di riferimento per le cooperative di detenuti. Il lavoro di Paolo è quello di raccogliere, catalogare e poi portare in giro col suo camper il cosiddetto “made in carcere”. “Ci sono almeno 80 cooperative - racconta Paolo - che ho incontrato nel mio “Jail Tour 2010” e che producono, con professionalità, abbigliamento, generi alimentari, mobili e altri prodotti riciclando spesso materiali che altrimenti andrebbero buttati. Sono almeno 450 articoli, la mia speranza è di aprire presto un emporio a Roma cercando di valorizzare l’economia carceraria, che spesso non ha la possibilità di entrare nel mercato”. Quello che già sta facendo, mostrando in giro per l’Italia la creatività di persone che cercano di ritrovare una dignità nel lavoro. “Il nome “recuperiamoci” - conferma Paolo - non è stato scelto a caso. C’è la volontà di lanciare una messaggio, che il lavoro è capace di dare a queste persone un riscatto. Purtroppo ancora oggi si registra solo una minoranza di detenuti inseriti in progetti lavorativi. Un peccato, se si pensa che la recidività di chi lavora è del 10% contro il 70% di chi non ha un impiego. Insomma, il lavoro offre davvero una possibilità di recupero della propria persona”. Partito da Alba il 12 luglio, il “Jail Tour” ha toccato diverse regioni italiane e strutture carcerarie, collezionando il buono che c’è dietro le sbarre “che - dice Massenzi - è davvero tanto”. Riscontrando anche il forte calore della gente “che verso questi prodotti non è diffidente, ha sensibilità e questo è un messaggio importante”. Volendo addentrarci in un elenco non certo esaustivo di brand e prodotti, pensiamo alle magliette “made in carcere” icona di Rebibbia, a Roma, a Verbania con il marchio “Banda biscotti” si producono ottimi dolcetti, ci sono gli abiti del 700 realizzati dalla detenute della Giudecca a Venezia, nel carcere di Sollicciano (Firenze) si cuciono le bambole cuscino “Ninetta”, la Casa di Reclusione di Fossano ha lanciato la linea di oggetti in arredamento in metallo “Ferro&Fuoco Jail Design”, a Barcellona Pozzo di Gotto, nell’ospedale psichiatrico, è allestito un mobilificio. Tutti oggetti che Paolo porta in giro col suo camper in una mostra itinerante. “I soldi guadagnati da ciò che vendo - ci spiega - tornano a chi li ha prodotti. Poi, se avanza qualcosa, quello lo uso per il gasolio del camper”. Le ultime tappe del “Jail Tour” sono state il 23 settembre in una cooperativa romana, il 24 in un sit-in a Montecitorio promosso dalla Consulta del comune di Roma, poi a Cesena il 25 e 26 del mese, fino agli appuntamenti che verranno: a Firenze (dal 21 al 23 ottobre il camper di Massenzi sarà presente sul piazzale del carcere delle Murate durante il Festival della creatività), e Teano il 25 ottobre (in occasione dell’incontro dei comuni virtuosi d’Italia). “Il mio lavoro non nasce come protesta, ma è un messaggio a considerare che dietro una sbarra c’è anche del buono, che dal carcere può ripartire la speranza - sottolinea Massenzi - in futuro vorrei visitare le regioni che mancano ancora all’appello: Abruzzo, Sardegna, Molise, Campania e Liguria”, non prima di aver trovato l’immobile per l’emporio da aprire a Roma “il prima possibile”. Poi chiude con una riflessione data dall’esperienza personale. “Le carceri italiane non se la passano bene. Le cifre non mentono, gli spazi sono pochi e i detenuti tanti. Siamo di fronte ad una pentola a pressione, se non si spegne la fiamma e non si apre la valvola prima o poi il rischio è che esploda”. Lettere: speranze e non solo muri… ecco la mia idea di carcere di Francesco Dell’Aira (già direttore della Casa circondariale di Terni) Corriere dell’Umbria, 4 ottobre 2010 Questo è il carcere. Strano e fantastico perché sfugge alla dimensione concreta che si riesce a trasferire nella conoscenza delle persone che ne sono lontane e fantastico perché ognuno ne ha elaborato una sua immagine. Il luogo dove ogni giorno è uguale all’altro o può essere all’improvviso completamente diverso. In sostanza il carcere non si può descrivere e quando se ne discute viene percepito come il mondo dell’apparire, ma quando viene vissuto è quello dell’essere, della concretezza, della durezza. Confrontarsi sui mille temi che lo contraddistinguono è quindi difficile: è più facile farne demagogia, ma tenerlo lontano. Solo parole piene di un decisionismo avventato e superficiale, a volte, sembrano scuoterlo, ma sono sempre più vuote di progettualità perché il carcere è fatto di uomini, di menti che tutti i giorni analizzano, riflettono, sognano e che vivono una complessità data da una continua relazione. Giungere a dover deprivare un soggetto della propria libertà personale, rinchiudendolo in un carcere, impedendogli la gestione del proprio quotidiano, costringendolo in una condizione infantile, di forte regressione, del dover dipendere praticamente in tutto dagli altri per assolvere anche ai suoi bisogni primari e secondari, significa una sconfitta della società. Così come costruire un carcere fatto solo di muri e cancelli, senza tener conto progettualmente del fine costituzionale che tende al reinserimento significa deprimere, fin dall’origine, ogni possibilità concreta. E preparare uomini che debbano poi gestire questa condizione è compito arduo perché incide sulle coscienze di ciascuno, sui valori umani, sul diritto e la dignità ed è quindi necessario rendere trasparente l’agire e stimolare la professionalità, ma anche opportuno comprendere i limiti e non aver paura di chiedere l’aiuto ed il sostegno di ogni ente pubblico, del volontariato, del privato con interessi culturali e umani. Dal 16 dicembre 1996 sulla base di queste considerazioni ho cercato di interpretare il mio mandato ed è questa la chiave di lettura che ho usato nella direzione della Casa Circondariale di Terni. A distanza di quasi quattordici anni, ora che ho lasciato la direzione, riconosco di aver avuto la fortuna di un grande sostegno che ha consentito di rendere unica ed apprezzata questa realtà cui si riconosce una forte caratterizzazione ed una valenza positiva. Tanti e tutti insieme abbiamo molto costruito anche attraverso strategie innovative così per i numerosi corsi di formazione, con l’arte terapia, con la ristrutturazione ed ammodernamento della struttura, ma anche con convegni, mostre, spettacoli. Fra le ultime realizzazioni, un impianto a pannelli solari, una nuova sala conferenze, la cappella per il personale, una zona di confort per i familiari in visita, l’ampliamento della sala operativa e delle strutture di sicurezza, l’automazione degli accessi. Si sta realizzando l’ampliamento dell’intero complesso attraverso la costruzione di un nuovo padiglione e sono previste nuove strutture di servizio e l’aumento di personale. E desidero rendere pubblico questo ringraziamento a tutta la città. Mi si vorrà perdonare se non faccio un elenco dei molti con i quali ho condiviso l’impegno ed il senso delle istituzioni. Ho provato a farlo, ma è troppo lungo e rischierei di dimenticarne tanti ed importanti. Vi assicuro però che ne ricordo bene ognuno e sono stati e saranno tutti di grande valore per me e per l’amministrazione che rappresento ed entrambi li porteremo sempre nel cuore insieme alla gratitudine per quanto hanno voluto fare. Così più semplicemente ringrazio tutta la città ed a questa affido i miei meravigliosi collaboratori, con i quali è stato costruito un rapporto sinergico e di profonda stima personale e professionale come mai avrei potuto sperare e che restano ad affrontare la continua sfida che li attende per garantire la dignità delle persone e l’autorevolezza dello Stato, come fin qui hanno fatto. Lazio: Isabella Rauti (Pdl); voglio un istituto di custodia attenuata per detenute madri Adnkronos, 4 ottobre 2010 “Nel Lazio voglio creare un istituto di custodia attenuata per detenute madri, delle case famiglia dove le donne possano stare con i propri figli. Nel Lazio questa istituzione non c’è, c’è invece nella città di Milano. Noi stiamo cercando di replicare questo modello”. Lo ha detto Isabella Rauti, consigliere del Pdl alla Regione Lazio, ospite di Maria Latella a “Scusi, lei è favorevole o contrario?”, in onda domani alle 22.50 su Lei (Canale 125 di Sky). “Inoltre, porteremo avanti la proposta di legge per istituire un osservatorio di tutela antidiscriminatoria che riguarda sei categorie secondo le indicazioni europee, ovvero orientamento sessuale, razza, handicap, età, genere e religione e appartenenza etnica. Vorrei - ha detto Rauti - continuare ad occuparmi di politiche di pari opportunità, delle donne e della maternità”. “Mi interessa il rapporto tra donne e democrazia - ha aggiunto. Le donne devono essere presenti nei luoghi di decisione della politica soprattutto, ma anche dell’economia”. Sull’età di alcune giovani politiche ha aggiunto: “Arrivare giovane ad assumere una carica politica credo che non sia né un difetto né un limite. Molte giovani donne hanno dimostrato intuito politico. Io sono cauta, ogni tipo di giudizio perentorio non è corretto, molte si impegnano, alcune hanno una vocazione. Bisogna distinguere tra velinismo da un lato e le donne che hanno un senso politico dall’altro. Sono contraria alle dinastie politiche ma favorevole a figure individuali che contano - ha sottolineato - Mi piacerebbe se Manfredi dovesse fare il militante: la politica aiuta i ragazzi a crescere meglio e a maturare interessi. Se uno ha una vocazione va bene, per eredità no”. Alla domanda della Latella sulla presenza di “trote” in politica Rauti ha risposto: “Le trote, intese come metafora ci sono sia in politica ma anche nell’economia, nelle aziende di famiglia e negli studi legali. Invece dobbiamo far sì che le generazioni si formino e si affermino per merito e competenza, però dobbiamo aiutarli nella loro formazione”. Napoli: si impicca un detenuto di 35 anni, è il 52° suicidio in Italia da inizio anno Ansa, 4 ottobre 2010 Un detenuto di origini campane, Antonio Granata di 35 anni, arrestato il 29 settembre scorso, si è tolto la vita impiccandosi in tarda mattinata nel carcere napoletano di Poggioreale. A renderlo noto è il sindacato Uil-Pa. “Granata, appena fatto ingresso in carcere, era stato allocato al padiglione Firenze, reparto nuovi giunti; dopo che gli era stata notificata una ordinanza di custodia cautelare per 416-bis, era stato spostato nel padiglione Livorno alta sicurezza”. Ricorda il segretario della Uil-Pa penitenziari Eugenio Sarno: “Con quello odierno, sono 52 i suicidi verificatisi nelle celle delle prigioni italiane dal 1° gennaio a oggi. Una mattanza che il Dap e il ministero della Giustizia non sembrano capaci di arginare. Il loro colpevole immobilismo, coniugato a un incomprensibile silenzio, amplia responsabilità che appaiono ben delineate. Con il ministro Alfano diversamente impegnato e il capo del Dap a presiedere i cantieri edili, il sistema penitenziario è condannato a una deriva senza controllo”. Tra auto soppressioni, aggressioni, violenze, sovrappopolamento e violazione del diritto le nostre galere hanno perso ogni residuo di civiltà, umanità e legalità. Nonostante gli sforzi del personale, abbandonato a se stesso, nulla si può se non intervengono quelle soluzioni strutturali più volte richieste. L’aumento degli organici della polizia penitenziaria e del personale addetto al trattamento; maggior ricorso alle pene alternative; modifica del sistema sanzionatorio e abbreviazione dei tempi processuali. Queste sono alcune delle soluzioni indifferibili per recuperare civiltà, legalità ed umanità all’interno degli istituti penitenziari. Purtroppo abbiamo ragionevole certezze per sottolineare come non ci sia una volontà politica di questo Governo per risolvere il dramma penitenziario. Allora la lista dei morti e delle violenze è destinata, inevitabilmente, ad allungarsi. Salvo registrare il momentaneo, quanto inutile sdegno, di chi potrebbe cambiare le cose ma non lo fa. Detenuto suicida fu trovato con 1 milione del clan Antonio Granata, il detenuto suicidatosi oggi a Poggioreale, era incensurato, quando è stato arrestato, il 29 settembre scorso. Fu trovato con una valigia piena di contanti e titoli di credito, in originale e in fotocopia, per circa un milione di euro. Denaro che, secondo le accuse, era riconducibile al clan Mallardo, attivo nel napoletano. Prima di finire in carcere era gestore di un autolavaggio. Fu fermato dopo un inseguimento, a Giugliano, dai carabinieri della locale compagnia, a bordo di una Fiat ‘Puntò in via San Francesco a Patria. Sappe: carceri in emergenza, Governo e Parlamento non siano inerti “La situazione carceraria è in emergenza: Governo e Parlamento non possono più restare inerti”. Lo dice in una nota il segretario generale del Sappe, Donato Capece, commentando il suicidio di un detenuto nel carcere di Poggioreale. “I nostri agenti, prontamente intervenuti, non hanno purtroppo fatto in tempo a sventare il suicidio del detenuto”, continua il sindacato. “Il disagio individuale di chi è ristretto in celle sovraffollate all’eccesso, controllati da appartenenti a un Corpo di Polizia dello Stato come la Penitenziaria che patisce una carenza di organico che conta ben 6 mila e 500 agenti di polizia penitenziaria in meno, rispetto al previsto - conclude - determina queste tragedie”. Caserta: Corrado Gabriele (Pd); l’Opg di Aversa è un inferno, fatiscente e sovraffollato Ansa, 4 ottobre 2010 “Non è un ospedale, ma un inferno dal quale metà dei reclusi non sa se uscirà una volta scontata la pena, nonostante la buona volontà e gli sforzi quotidiani di chi dirige la struttura e del personale che vi opera”. Lo dichiara Corrado Gabriele, consigliere regionale del Pd che ieri ha effettuato una visita ispettiva nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa. Costruito nel 1898 il “Filippo Saporito” accoglie ben 302 detenuti, a dispetto di una capienza di circa 200 ospiti. Una struttura dove operano 80 agenti penitenziari, tre psichiatri che offrono consulenza psicologica solo al mattino, lavorando già nei presidi sanitari territoriali, un’unità infermieristica per ciascuno degli otto reparti ed una sezione staccata dove vivono in isolamento i soggetti ritenuti più pericolosi. “Anzitutto - spiega Gabriele - le condizioni igienico-sanitarie sono a dir poco pietose: bagni interni alle celle quasi tutti rotti, docce inesistenti, wc fuori uso dove i detenuti sono costretti a scaricare con una scopa, pavimenti sudici, finestre in plexiglass penzolanti, inferriate corrose dalla ruggine, lenzuola lerce il cui cambio è previsto ogni due settimane. Condizioni ai limiti della decenza dove i reclusi si occupano in prima persona delle pulizie, non essendo possibile affidare l’appalto ad una ditta esterna per ragioni di sicurezza”. Fatiscente anche il refettorio dove gli ammalati mangiano. Mentre l’unico spazio all’aperto è un cortile dove si allevano animali come capre e galline, “ma - sottolinea l’esponente del Pd - non è certo consentito ai carcerati di imparare un mestiere o di ricevere una piccola indennità per le occupazioni svolte. Ciò che manca, infatti, è una seria programmazione di interventi di reinserimento sociale, tant’è vero che il 50% dei ricoverati subiscono una proroga della pena da scontare, non esistendo strutture di accoglienza una volta trascorso il periodo di detenzione. L’unica possibilità per i malati mentali sono le iniziative messe in campo dalle oltre cento cooperative sociali che operano nella zona del Casertano, tra cui la Nco (Nuova cucina organizzata) a Casal di Principe, che rischia tuttavia di chiudere i battenti in conseguenza dei tagli previsti dal governo regionale e nazionale. A dimostrazione che in Campania c’è un servizio sanitario che non funziona e che non gode di finanziamenti per il recupero e il reinserimento di questi soggetti”. “Inoltre la colpa del sovraffollamento - rimarca l’ex assessore al Lavoro - è anche di un Nord che scarica al Sud i degenti degli Opg che presentano condizioni di disagio mentale non grave. Di conseguenza, su oltre 300 detenuti ad Aversa 100 provengono dal Nord Italia, che inviano qui i soggetti ritenuti più pericolosi. Questo crea maggiori disagi sia in termini di sovraffollamento della struttura sia per la lontananza delle famiglie, che già di per sé abbandonano i loro congiunti che soffrono. Bisognerebbe piuttosto reinserire attraverso il lavoro i reclusi con lievi disturbi psichici in modo da liberare gli spazi nella struttura, dove circa un quarto non soffre di particolari patologie mentali, e avviare il loro graduale reinserimento al lavoro, che potrebbe far calare il numero dei reclusi e rendere la struttura più a misura d’uomo”. Modena: Beltrandi (Ri); nel carcere innumerevoli illegalità e mancanza requisiti sicurezza Ansa, 4 ottobre 2010 Innumerevoli illegalità, gravissimi deficit infrastrutturali e assoluta mancanza dei requisiti di sicurezza degli impianti e della struttura. È il durissimo giudizio espresso dal deputato radicale Marco Beltrandi che ieri pomeriggio ha visitato senza preavviso il carcere di Modena insieme al segretario dell’Associazione Radicali Modena Riccardo Macchioni. Le illegalità riscontrate da Beltrandi riguardano il sovraffollamento (466 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 221) e la pianta organica degli agenti che prevederebbe 260 unità a fronte dei 170 attuali. E ancora “su quattro ascensori che collegano i settori ai servizi (fra cui l’infermeria) ne è in funzione solamente uno e la videosorveglianza non è attiva e non funziona”. Inoltre, fa sapere Beltrandi, “le celle di 8-9 metri quadri contano tre detenuti stipati come sardine ciascuna, l’acqua calda è inefficiente e l’igiene carente”. Vi sono, ha proseguito, infiltrazioni d’acqua diffuse, anche in infermeria e dalle macchie di umidità nelle docce si scorge qualche accenno di muschio. Pessima secondo i radicali anche la situazione dei locali sanitari: sono privi di aria condizionata e le visite specialistiche vengono effettuate all’esterno della struttura, cosa che comunque è resa impossibile dalla carenza di organico per l’accompagnamento. Dunque, ha concluso il deputato, se tutto ciò riguardasse una struttura privata, questa sarebbe già stata chiusa sia per l’assoluta mancanza dei requisiti di sicurezza degli impianti e della struttura, con gravi rischi per i detenuti e il personale che vi lavora, sia per l’inosservanza del regolamento penitenziario, entrato definitivamente in vigore nel dicembre 2005. Padova: il Sottosegretario Casellati; 2 mln, per 100 nuovi posti alla Casa circondariale Il Mattino di Padova, 4 ottobre 2010 Il sottosegretario alla giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati chiederà spiegazioni sullo stanziamento di due milioni di euro per migliorare la situazione del carcere Due Palazzi di Padova e non ancora utilizzato. La casa circondariale infatti è piena e le condizioni dei reclusi sono molto difficili. Ha preso carta e penna e ha mandato una lettera ufficiale al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Adesso Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia, attende una risposta in tempi rapidi. “A giugno - ricorda la senatrice del Pdl, che sabato si è precipitata in municipio, al tavolo convocato dal sindaco dopo il duplice omicidio dell’Arcella e della Guizza - sono stata in visita alla Casa di reclusione e ho garantito i 2 milioni necessari a completare i lavori nella palazzina adiacente: un intervento per assicurare l’ospitalità ad altri 100 detenuti “non definitivi”. I soldi erano disponibili già all’inizio dell’estate e pertanto mi ha sorpreso la recente protesta al Due Palazzi. Per questo ora voglio spiegazioni”. I 2 milioni destinati alla Casa di reclusione padovana fanno seguito ai 500 assegnati a Vicenza e agli 800 attribuiti a Venezia, a testimonianza di un occhio di riguardo per la realtà penitenziaria del Veneto. Alla risposta, in tempo reale, dei parlamentari padovani, ha fatto seguito la disponibilità del ministro dell’Interno Roberto Maroni, che dovrebbe essere a Padova giovedì o venerdì. “Spero proprio - aggiunge il sottosegretario Casellati - che la mia agenda “romana” mi consenta di essere presente all’incontro con Maroni”. L’arrivo in città del ministro potrebbe essere risolutiva sia per il progetto della Questura sia per l’individuazione della sede del Centro d’identificazione e di espulsione, che in un primo tempo si doveva fare nel Veronese e che più di recente è “traslocato” nel Polesine. Alle forze dell’ordine esprime un plauso l’onorevole Lorena Milanato. “Anche se in queste occasioni c’è il rischio di essere banali - afferma la coordinatrice provinciale del Popolo della Libertà - sono felice di poter dire che il lavoro del questore Luigi Savina e delle forze di Polizia, capaci di risolvere velocemente e brillantemente il caos, è un orgoglio per la città e per tutti i padovani. Al di là di ogni tipo di discussione, sono eventi come questo che permettono ai cittadini di sentirsi protetti e di aumentare la fiducia nelle istituzioni”. I Sindacati: basta promesse, tocca alle istituzioni intervenire Sull’emergenza sovraffollamento che vivono i 270 detenuti della casa circondariale (96 è la capienza regolamentare), scendono in campo la sezione padovana dell’Anm (Associazione nazionale magistrati) con Fp-Cgil e Cisl Fns, le sigle sindacali cui aderisce la polizia penitenziaria. In una nota la presidente dell’Anm padovana, Mariella Fino, prende atto “della drammatica condizione di sovraffollamento nella casa circondariale che ospita un numero di detenuti pari a circa il triplo della capienza regolamentare”. E “auspica che le autorità competenti adottino tempestivamente tutte le misure necessarie a ricondurre la situazione alla normalità nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona... considerato che tale situazione determina oggettive condizioni di promiscuità umanamente degradanti e che la grave carenza del personale (mancano circa 50 unità su 200 in organico) e la scarsità di risorse finanziarie costringono la polizia penitenziaria a turni di servizio particolarmente gravosi”, rendendo “improbabile l’utilizzazione a breve della nuova ala in fase di ultimazione”. L’Anm “invita la giunta esecutiva centrale dell’Associazione magistrati a farsi promotrice di tale istanza presso il Ministro della Giustizia”. Salvatore Livorno e Alessandro Chieregato (Fp Cgil) rilevano: “Insieme ad altre associazioni, da tempo denunciamo una situazione ormai al collasso. Strutture oltre ogni limite di capienza, condizioni igienico-sanitarie indegne di un paese civile, personale ampiamente insufficiente”. La Cgil ricorda di aver chiesto “nei giorni scorsi un incontro urgente al sindaco e al prefetto, ben sapendo che soluzioni definitive richiedono scelte normative nazionali ma che a livello locale alcuni provvedimenti possono essere adottati... Sollecitiamo nuovamente un tavolo di confronto, anche con tutti i soggetti impegnati nella realtà carceraria”. Matteo Iannuzzi (delegato Cisl Fns) rammenta che il 30 settembre si è verificato “il terzo caso di aggressione ai danni di un agente di polizia penitenziaria in servizio al Circondariale... L’aggressore è sempre lo stesso, un detenuto tunisino in carcere per droga... Diventano ormai quotidiane le ingiurie e le aggressioni al personale di polizia. Dopo tali episodi - avverte Iannuzzi - la direzione ha preso una saggia decisione, quella di sospendere il vino a tempo determinato, sei mesi, causa principale atta a creare euforia e sballo tra i detenuti. Questa sigla è ormai stanza di parlare di carcere sovraffollato e di detenuti che dormono per terra”. La Cisl insiste: “Noi vogliamo denunciare le istituzioni che ci hanno abbandonati, le promesse fatte e mai mantenute...”. Oltre al sovraffollamento, c’è dell’altro: “Il personale è ormai ridotto all’osso... I massa media non parlano più di questa realtà, forse non ritenendola interessante”. Massa: Sinappe; il carcere cade letteralmente a pezzi, qui gli agenti sono in pericolo Il Tirreno, 4 ottobre 2010 Leggere la lettera di Roberto Santini, segretario generale del Sinappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, fa davvero impressione. Pensi al carcere come ad uno dei posti più sicuri e invece scopri che il nostro “cade letteralmente a pezzi”. Tanto che Santini non usa mezze misure e descrive una situazione generalizzata di incuria e conseguentemente di pericolo per gli agenti della polizia penitenziaria. Non soltanto scrive a tutte le autorità competenti, nazionali e regionali, ma non teme ad annunciare che se non verranno presi i “necessari provvedimenti”, chiederà la “chiusura della struttura per ragioni di sicurezza”. Una lettera quella del sindacalista che prende in esame ogni dettaglio: dall’illuminazione, al sistema d’allarme, dai muri di cinta, alla qualità di vita di chi nel carcere lavora ogni giorno. “I poliziotti - precisa con forza Santini - sono completamente lasciati a loro stessi”. Poi è una rassegna di tutto ciò che non va: “Da tempo il cancello carrabile non funziona, la portineria ha il grave handicap di non permettere il riconoscimento a vista delle persone che suonano, alle quali quindi viene è aperta la porta, ma con “l’incognita”: le telecamere sono rotte. Per lo stesso identico motivo non è possibile effettuare il controllo del deposito armi. Anche la terza portineria presenta gravi problematiche dal punto di vista del funzionamento”. Problemi risolvibili con una sala regia: “Che non è mai entrata in attività. I reparti detentivi sono sprovvisti di allarme”. Ma il triste elenco sui rischi del poliziotto continua: “Nell’area passeggi “comuni” della sezione C l’agente deve “passeggiare” insieme ai detenuti, data l’assenza di un posto di guardia ad hoc e di un allarme. Sempre nella sezione C, dove la popolazione detenuta ha raggiunto quota 145, (anche il locale riservato agli agenti è stato adibito a cella) viene generalmente addetta una sola unità”. E peggio ancora sarebbe nella sezione A dove un solo agente dovrebbe controllare tantissimi detenuti. I due cancelli che consentono l’accesso alle sezioni penali A ed M sono comandati dallo stesso agente in servizio alla Terza Portineria”. Ancora: “La vasta area destinata alle lavorazioni, che impiega 35 detenuti e numerosi civili ed in cui è ordinario l’utilizzo di arnesi pericolosi, è affidata alla sorveglianza di due soli agenti. Anche il regolare svolgimento del servizio di sentinella sul muro di cinta è ostacolato dal mancato funzionamento degli allarmi e dei segnalatori antiscavalcamento, dalle serrature delle porte, che cadono letteralmente a pezzi, dalle radio trasmittenti rotte e dai telefoni guasti”. Poi Santini sottolinea: “Sono 246 i detenuti con 122 unità di polizia che si riducono a poco più di 90 in servizio. Poi la conclusione: “Vista la mancanza di un dirigente (dopo l’inchiesta che ha coinvolto Iodice ndr) il Provveditore regionale sarebbe dovuto intervenire. E la sintesi, fortissima: “Allo stato delle cose l’unica soluzione parrebbe quella di chiudere l’istituto”. Ne seguirebbe una ricollocazione dei detenuti in altre strutture, soluzione che “graverebbe tanto sugli istituti della regione Toscana quanto sugli stracolmi istituti della nazione, cosa che mal si concilia con il Piano Carceri”. Agenti a Pontremoli, ma l’istituto è chiuso La “radiografia” del sindacato Sinappe non dimentica il problema del sovraffollamento. A fronte di una capienza di 115 detenuti ed una tollerabilità di 179, l’istituto ospita oggi 246 detenuti, gestiti da 122 agenti, che si riducono a poco più di 90 effettivamente in servizio. “È palese - sostiene il Sinappe - che i poliziotti realmente operativi, non sono sufficienti a garantire un regolare svolgimento dell’attività in un “irregolare” struttura, se non facendosi carico di eccessivi carichi di lavoro privi della sicurezza minima necessaria”. Infine, la “ciliegina”: “Parte del personale in carico alla casa di reclusione di Massa fa servizio di sorveglianza alla struttura. Che è chiusa”. Gorizia: sovraffollamento abnorme e carenza di personale, la situazione è insostenibile Messaggero Veneto, 4 ottobre 2010 La delicata condizione del carcere di Gorizia è oggetto di un’accorata riflessione, proposta dal presidente provinciale dell’Ordine degli avvocati, Silvano Gaggioli, che definisce la casa circondariale di via Barzellini “fanalino di coda di tutta la regione in quanto a condizioni di vita e personale a disposizione. La situazione rischia di diventare esplosiva e per questo chiediamo, come Ordine, che il ministero della Giustizia intervenga”. Nell’analisi del referente provinciale degli avvocati si evidenzia come nella struttura carceraria goriziana è ospitato il 60 per cento di detenuti in più rispetto alla capienza consentita. Contemporaneamente, il personale penitenziario vanta carenze notevoli, con il 25 per cento in meno di impiegati rispetto alla pianta organica prevista. L’Ordine goriziano degli avvocati lancia poi un accorato allarme sulla situazione del Tribunale del capoluogo isontino: “Il Palazzo di giustizia goriziano è sotto organico - denuncia ancora Gaggioli. Per tamponare questa emergenza ci faremo parte attiva per far sì che si possa replicare quanto già fatto in Procura, dove grazie a un protocollo tra la Fondazione Carigo e la Provincia, il personale dell’ente territoriale è impiegato negli uffici del tribunale”. In particolare, la Provincia ha messo a disposizione della Procura della repubblica tre lavoratori socialmente utili, che fino al prossimo aprile svolgeranno compiti di segreteria e mansioni perlopiù amministrative. Secondo quanto riferito dal procuratore capo, Caterina Ajello, a causa del blocco dei trasferimenti alla sede goriziana manca un quarto degli impiegati: a fronte delle 28 unità previste, sono soltanto 21 infatti le persone che prestano servizio in tribunale, con una rilevante carenza di dirigenti. Cagliari: detenuto malato psichico picchia gli agenti e si getta dalla finestra dell’ospedale L’Unione Sarda, 4 ottobre 2010 Forse aveva deciso di farla finita. Oppure stava tentando la fuga. Un trentacinquenne cagliaritano, malato, con problemi psichiatrici e detenuto nel reparto infettivi dell’ospedale Santissima Trinità, ieri mattina ha fatto sudare freddo medici e poliziotti. Prima ha aggredito gli agenti della Polizia penitenziaria che lo piantonavano. Poi si è gettato dalla finestra della sua stanza, al secondo piano. Soccorso immediatamente, è fuori pericolo. Si è fratturato il bacino e un polso. Ora è nuovamente sorvegliato ma in una camera del reparto di ortopedia. IL SALTO Alle 9 la quiete al secondo piano dell’edificio che ospita il reparto infettivi è rotta dalle urla di un uomo. Il paziente-detenuto si agita. I due agenti cercano di calmarlo. Impossibile farlo con le buone. Ne nasce una colluttazione sotto lo sguardo di medici e infermieri che non possono intervenire. Il malato è forte. Si libera dalla morsa dei poliziotti e corre verso la finestra. Riesce ad aprirla e si getta di sotto. Il volo di otto metri per fortuna non è mortale. L’uomo nell’impatto con l’asfalto si frattura il bacino. Anche il polso di una mano è malmesso. Si lamenta per i dolori. Un’ambulanza dell’ospedale impiega pochi secondi a raggiungere il piazzale davanti al reparto. Il paziente-detenuto viene accompagnato al pronto soccorso per le prime cure. Scongiurate lesioni interne, il trentacinquenne è trasferito in ortopedia. Fuori dalla porta della sua nuova stanza ci sono altri due agenti della polizia penitenziaria. I colleghi, dopo il corpo a corpo con il detenuto, sono dovuti passare dal pronto soccorso per farsi medicare. Se la caveranno con qualche giorno di cura. EMERGENZA Un altro episodio che conferma l’importanza dell’apertura del reparto penitenziario dell’ospedale Santissima Trinità. È tutto pronto ma non può essere aperto per la cronica mancanza di poliziotti. Così gli agenti della polizia penitenziaria sono costretti a piantonare i detenuti malati in condizioni inadeguate. Non solo. C’è il rischio che questa settimana possa chiudere il centro clinico del carcere cagliaritano di Buoncammino dove sono ricoverati 33 detenuti. Se non arriveranno soldi, i pazienti cronici saranno trasferiti in istituti della Penisola. Gli altri negli ospedali cittadini, sempre che siano a disposizione gli agenti per il piantonamento. Le proposte dei lettori per il vecchio carcere L’imminente conclusione dei lavori nel nuovo carcere di Uta, che sarà consegnato al ministero della Giustizia nella seconda metà del 2011, ha riaperto il dibattito sulla destinazione di Buoncammino. I primi ad essere interpellati saranno gli enti statali e le amministrazioni locali che dovranno esprimersi sul possibile utilizzo di Buoncammino. Intanto, però, i nostri lettori non si sono tirati indietro e hanno voluto partecipare al dibattito promosso sul sito web www.unionesarda.it . Tra i commenti inseriti su Internet, non mancano quelli che delineano un futuro turistico per il vecchio carcere di Buoncammino. “Grandissimo Albergo di lusso con casinò”, scrive un lettore che si firma Osbourne . Roro78 , invece, rincara la dose e ironicamente propone un “nuovo Billionaire Alcatraz style. Celle con vasca a idromassaggio, tv lcd da 80 pollici e internet wi-fi da 20 megabyte. Refettorio trasformato in discoteca-sala bar con accesso gratuito per le ragazze e concessione speciale per vendere gli alcolici 24 ore su 24. Ufficio del direttore riadattato a suite presidenziale”. Ma poi il lettore conclude: “Idiozie a parte, che volete ci facciano di un carcere? Resti tale”. Non mancano poi i sostenitori di un nuovo campus universitario. Pietrassunta , ad esempio, parla di un nuovo Campus e dice: “Considerata anche la prossima dismissione dell’ospedale civile, si potrebbe finalmente pensare a Cagliari come città universitaria che dalla ex semoleria di viale la Playa salga su via palazzo Vivanet sino a via Ospedale e poi attraverso Buoncamino scenda verso piazza D’Armi e Sa Duchessa. Solo così si può sperare che questa città possa competere con le altre vere città universitarie, magari aprendosi alla parte meridionale del Mediterraneo: Tunisia, Marocco e Libia”. Infine, Stemelis propone: “E se destinassimo il carcere a tutti quei politici disonesti che continuano a mettere in ginocchio la Sardegna??? Ops... Probabilmente non basterebbero le celle... A parte tutto l’importante è che non diventi un rudere”. Siracusa: la Caritas “adotta” un detenuto, lavorerà come sacrista delle parrocchie La Sicilia, 4 ottobre 2010 Avviato ieri il progetto “Carcere aperto” che prevede l’assunzione di detenuti aventi diritto ad attività lavorative. È un’ iniziativa promossa dalla Caritas di Augusta. “Usufruendo del contributo dell’8 per mille - spiega padre Angelo Saraceno, coordinatore della Caritas cittadina - assumiamo, secondo una turnazione indicata dalla direzione della casa di reclusione di Augusta, a tempo determinato (un anno) partime (20 ore settimanali da distribuire secondo le necessità) con contratto sacrista factotum, il carcerato che lavorerà per due mesi nelle singole parrocchie, secondo un piano di lavoro preventivamente definito e ben dettagliato”. Le singole parrocchie avranno il compito di prelevare e ricondurre nel penitenziario i detenuti, seguirli durante il lavoro e impegnarsi, nei limiti del possibile, a far sì che essi possano ottenere una più stabile occupazione presso altri enti e ditte, anche in virtù degli sgravi fiscali di cui potranno usufruire assumendo detenuti. “A tal proposito - fa sapere padre Saraceno - il nostro comitato tecnico sarà a loro disposizione per eventuali chiarimenti, un comitato di professionisti di diversi settori che gratuitamente ci sostiene”. Trascorsi due mesi, il detenuto passerà alla parrocchia successiva; se nel frattempo verrà assunto da una ditta, la Caritas collocherà un’altra persona il cui nome è incluso nella lista fornita dalla direzione del carcere e così a rotazione. “Si tratta di un progetto che stiamo sperimentando - aggiunge padre Angelo - la commissione cittadina si impegna ad evidenziare problemi che man mano emergeranno e a cercarne la soluzione”. L’iniziativa nasce dalla speranza di inserire i detenuti nel mondo lavorativo. La Caritas di Augusta si mette in prima linea auspicando di allontanare i preconcetti della gente verso una realtà, quella del mondo carcerario, che esiste. “Sono persone a cui bisogna dare un’altra opportunità - conclude il sacerdote - ci auguriamo di dare il giusto esempio a chi potrebbe offrire loro un lavoro più stabile”. Intanto la Caritas cittadina continua il suo operato occupandosi dell’accoglienza dei detenuti che usufruiscono di permessi premio.. Da quasi due anni, ricordiamo, nei locali via Alabo 100, presi in affitto e pagati con i proventi dell’8 per mille destinati alla Chiesa, viene svolta questo tipo di attività a beneficio di coloro che, lasciato temporaneamente il carcere, non sanno dove andare (stranieri tra i quali extracomunitari, ma anche siciliani le cui famiglie risiedono dall’altra parte dell’isola). Rimini: riaperta la Sezione “Cassiopea” dopo la ristrutturazione, presenti 49 detenuti Corriere Adriatico, 4 ottobre 2010 Lunedì mattina l’On. Elisa Marchioni del Partito democratico è stata ospite al carcere Circondariale di Rimini, prima rappresentante delle istituzioni a visitare la nuova ala ‘Cassiopeà, in funzione dall’inizio di ottobre. L’On. Marchioni ha visitato la struttura accompagnata dalla direttrice dott.ssa Benassi, da rappresentanti della Polizia penitenziaria e del personale civile e dal rappresentante della Cgil Donato Fortunato. “Avevo preso l’impegno di tornare, dopo l’ultima visita, alla fine del mese di luglio - ha raccontato l’On. Marchioni - quando la sezione “Cassiopea” era ancora in ristrutturazione ma soprattutto in attesa del personale che ne consentisse il funzionamento. Sono onorata di essere la prima rappresentante istituzionale a visitarla; devo riconoscere che è davvero un buon lavoro. Alla direttrice va il merito per la determinazione con cui ha perseguito questo obiettivo, sia per i lavori di ripristino che per l’impegno che comporta tenere aperta una sezione in più con personale sempre sottodimensionato”. “La nuova ala oggi, al momento della mia visita, ospita 49 detenuti - ha proseguito la parlamentare riminese - in dodici celle dignitose, luminose, con i servizi. Anche gli spazi di incontro per i colloqui familiari e con gli avvocati, le postazioni di lavoro per gli operatori, gli educatori e i poliziotti sono ripensate per essere più accoglienti”. “Ogni cella ha una piccola cucina - ha continuato ancora la deputata - abbiamo visitato la sezione all’ora del pranzo, e lo spazio e l’attrezzatura consente di mangiare insieme, cosa che ho visto in molte celle stavano facendo. Sicuramente il clima complessivo risente in modo positivo di questa vivibilità migliore. La nuova sezione contribuisce anche ad alleviare il sovraffollamento oramai endemico delle carceri italiane, che colpisce anche Rimini: prima dell’estate i detenuti del nostro carcere circondariale erano 220, e sono 270 ad oggi. In buona parte contribuiscono a far aumentare i numeri anche gli arresti a causa della Bossi-Fini: un fallimento dal punto di vista della prevenzione e della gestione dell’immigrazione clandestina.” Larino (Cb): il Consigliere regionale Michele Petraroia oggi in visita al carcere Il Centro, 4 ottobre 2010 Dando seguito istituzionale all’iniziativa di vigilanza sulla situazione carceraria in Molise, il Vice-Presidente della Seconda Commissione, Michele Petraroia, accompagnato dall’Avv. Caterina Ciaccia dell’Associazione “ Padre Giuseppe Tedeschi” Onlus, ha visitato oggi l’Istituto Penitenziario di Larino che ospita 315 dei 550 detenuti delle nostre tre strutture penitenziarie. A Larino si pongono, più che a Campobasso e Isernia, problemi di sovraffollamento insieme ai disagi sofferti dai reclusi dopo il passaggio delle competenze in materia sanitaria dal Ministero di Grazia e Giustizia alle Regioni. Più in generale si pone la questione dell’umanizzazione nelle carceri italiane sollevata anche dai volontari e da chi fa servizio civile negli Istituti di Pena che sollecitano misure e pene alternative per tossicodipendenti, alcolisti, malati psichici e immigrati irregolari. È un errore tagliare 18 milioni di euro all’Amministrazione Penitenziaria perché limitano fondi già insufficienti per il mantenimento, l’assistenza e la rieducazione dei detenuti. Va modificato l’approccio culturale su questi temi. Non possono esserci 70 mila reclusi in Italia in spazi che ne potrebbero ospitare 43 mila. 40 suicidi di detenuti e 4 suicidi di agenti di custodia dall’inizio dell’anno attestano la drammaticità di una situazione non più sostenibile. Occorre evitare di riempire le carceri di immigrati e tossicodipendenti. C’è necessità di misure diverse per le madri che hanno figli fino a 3 anni, malati di Aids o di altre patologie gravi. Vanno incrementati e non tagliati i fondi per i corsi di studio e di formazione professionale, per attività lavorative e per impegni sociali e culturali che agevolino il detenuto nel successivo reinserimento nella società. Anche l’istituzione regionale ha compiti, competenze e responsabilità, sulle politiche carcerarie ed è opportuno innalzare il livello di sensibilità su una realtà che spesso viene rimossa per miopia o semplice indifferenza. Paliano (Fr): inaugurata la ludoteca, realizzata dai detenuti per accogliere i loro figli La Provincia di Latina, 4 ottobre 2010 È stata inaugurata, ieri mattina, la ludoteca all’interno della casa circondariale di Paliano realizzata dai detenuti. Il progetto, soste-nuto dall’associazione cultu-rale “L’Aquilone” e dalla Regione Lazio, si è, quindi, concluso con la cerimonia di inaugurazione che, ieri, alla presenza delle diverse autorità locali, provinciali e regionali ha avuto luogo nella fortezza palianese. A presentare le diverse personalità è stata la direttrice del carcere. “L’istituzione della ludoteca è un importante piano di miglioria per la vita dei detenuti - ha detto la direttrice. Ribadisco che la realizzazione di quest’area ludica e pensata per migliorare le condizioni di vita all’interno del carcere è stata ad opera degli stessi reclusi che sono riusciti a fare un ottimo lavoro”. Capo operatrice della struttura sarà Federica Romani. Presente ieri all’inaugurazione anche Alessandra Mandarelli, in rappresentanza delle istituzioni regionali. Come portavoce della Provincia, nel settore cultura, c’era invece, Sara Gensanti. L’assessore alla cultura Simone Marucci era invece presente come rappresentante dell’amministrazione comunale di Paliano. “È proprio facendo squadra con le istituzioni locali - afferma il presidente dell’associazione Finisterre, la cooperativa che gestirà la ludoteca, Pietro Noce - che è possibile realizzare opere come questa ma la necessità di mantenere il connubio con i reparti istituzionali resta essenziale per il buon proseguo del lavoro iniziale, senza il quale i risultati si disperderebbero immediatamente”. Roma: domani lettura di versi da “In morte segreta. Conoscenza di Stefano” Ansa, 4 ottobre 2010 Martedì 5 ottobre alle ore 18.30, presso la sala stampa della Camera dei Deputati (via della Missione, 4), presentazione e lettura dei versi per ricordare Stefano Cucchi da “In morte segreta- Conoscenza di Stefano” di Ugo De Vita. Saranno presenti Luigi Manconi, Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti, Nino Marazzita, Ilaria, Giovanni e Rita Cucchi. L’iniziativa si svolge nell’ambito del più ampio progetto “Parole oltre le sbarre” che dopo il recital, un video, e la raccolta poetica in ricordo di Stefano Cucchi propone l’avvio di un progetto didattico nelle carceri italiane. Promosso e patrocinato da Nessuno Tocchi Caino, A buon diritto, Ristretti Orizzonti e Alice in cerca di teatro oltre che dal Garante per i detenuti “Parole oltre le sbarre” vuole rinnovare l’attenzione sul problema dei diritti umani dei detenuti. Si prega di dare conferma di partecipazione inviando una mail a abuondiritto@abuondiritto.it. I sig.ri giornalisti sono pregati di accreditarsi presso l’Ufficio stampa della Camera al n. 06.67602620. Mondo: Di Biagio (Fli); 2.820 italiani detenuti all’estero in condizioni disumane 9Colonne, 4 ottobre 2010 Sono circa 2.820 i cittadini italiani rinchiusi in prigioni straniere, spesso in condizioni di detenzione che non rispettano i diritti umani. A lanciare l’allarme è Aldo Di Biagio, deputato di Futuro e Libertà eletto nella circoscrizione estero, che su questo tema ha presentato una risoluzione in commissione esteri della Camera. Con il documento si impegna il Governo “a predisporre eventuali iniziative coinvolgenti la struttura estera del Ministero degli affari esteri, al fine di fornire adeguate ed opportune forme di sostegno, psicologico, umano, legale e monetario ai connazionali detenuti nei territori esteri, al fine di garantire loro la sopravvivenza, ottemperando allo stesso tempo alle disposizioni previste dalle Convenzioni internazionali in materia di tutela del diritto del detenuto”. Secondo Di Biagio “la condizione di detenzione per molti connazionali risulta essere particolarmente gravosa in talune realtà nazionali dove il rispetto delle prerogative del cittadino detenuto e la salvaguardia dei diritti inderogabili della persona risultano essere particolarmente scavalcati e schiacciati”. Il deputato di Fli cita il caso del cittadino italiano detenuto nella Repubblica dominicana “dove le condizioni di detenzione appaiono crudeli e disumane” e che “da alcune settimane sta portando avanti uno sciopero della fame”. “Non si intende entrare nel merito delle condanne - precisa Di Biagio nella risoluzione - né dell’opportunità o meno di ricorrere a pene detentive nei confronti del singolo accusato, aspetti che meriterebbero una trattazione ad hoc, sussistendo la consapevolezza che laddove esista danno o colpa è auspicabile una misura sanzionatoria” ma che deve rientrare “inderogabilmente nei parametri di liceità e di garanzia previsti ampiamente dalle convenzioni internazionali in materia di tutela dei diritti umani”. Santo Domingo: tre cittadini italiani “dimenticati in carcere” dal Consolato di Dina Galano Terra, 4 ottobre 2010 Il caso di tre italiani reclusi in precarie condizioni di salute che denunciano “l’assoluta indifferenza e presa in giro” del Consolato italiano. Il deputato Raisi (Fli) invia un’interrogazione a Frattini. Santo Domingo, meta paradisiaca del turismo d’elite, sa trasformarsi in inferno. In tema di diritti dei detenuti, l’isola oltreoceano si rivela davvero troppo distante dall’Italia e dalle sue garanzie. A testimoniarlo sono le condizioni di trattenimento di tre cittadini italiani, di cui uno soltanto condannato con sentenza definitiva, ristretti nel carcere di San Cristobal. Lo scorso 28 settembre hanno ripreso lo sciopero della fame, ennesimo disperato tentativo di richiamare l’attenzione sul loro abbandono. Segregati in un penitenziario dove qualsiasi elementare diritto, dall’accesso all’acqua fino alla conquista di un posto letto, è venduto a caro prezzo i tre connazionali denunciano il completo isolamento in cui sono stati lasciati dalle autorità italiane. Si tratta di Ambrogio Semeghini, (in carcere dal 19 dicembre 2009 ed in attesa di giudizio). Luciano Vulcano (in attesa di giudizio da 11 mesi) e N.M. (l’unico dei tre che ha una pena definitiva. Ha avuto tre pre-infarti, ed è a quattro mesi da fine pena). E protestano da giorni. Invano. I tre hanno comunicato sia al direttore che alle autorità carcerarie domenicane di aver ripreso la protesta ad oltranza contro quella che definiscono “l’assoluta indifferenza e presa in giro” da parte del Consolato italiano. L’appello lanciato dai tre è stato raccolto dall’associazione Secondo Protocollo, che vigila sulle condizioni dei detenuti italiani nel mondo, e dalla giornalista e attivista per i diritti umani Annalisa Melandri. “Sono estremamente provati dalla detenzione”, ha raccontato Melandri che ha ottenuto, insieme al presidente della Commissione Nazionale dei Diritti Umani della Repubblica Dominicana Manuel Mercedes, l’autorizzazione necessaria per entrare a San Cristobal. Della sua visita del 22 settembre la giornalista ha raccontato un carcere in cui le condizioni igienico sanitarie “sono terribili”, dove i detenuti italiani “dormono in terra a meno di non pagare 1500 pesos al mese, bevono acqua igienicamente malsana a meno di non comprare bottigliette, le medicine di cui hanno bisogno in gran quantità le devono comprare a proprie spese, devono pagare per andare in bagno e per tutto”. E, ironia della sorte, le sarebbe stato riferito che gli italiani sono particolarmente discriminati per la loro nazionalità e “gli si chiede soldi per tutto”. Nell’arco della loro detenzione - quella più breve dura già da un anno - le visite delle autorità consolari si contano sulle dita di una mano. Alla notizia dell’ultimo diniego da parte del Consolato italiano di prestare diretta assistenza, che era attesa lo scorso 28 settembre, i tre hanno deciso per la protesta estrema. La condotta degli organismi diplomatici del nostro Paese presenti sull’isola dominicana rappresenta un caso di evidente omissione dell’obbligo di assicurare la cura umanitaria ai propri cittadini ed è, per questo motivo, arrivata fino in Parlamento. A farsi portavoce dell’istanza dei tre è stato il deputato Enzo Raisi (Futuro e libertà per l’Italia) che ha promosso un’interrogazione al ministro degli Esteri Franco Frattini. “I consolati di altri Stati europei - ha rammentato Raisi -provvedono mensilmente a sostenere i loro connazionali detenuti a Santo Domingo con visite periodiche e un sussidio che permette loro di vivere o almeno di comprare lo stretto necessario per la sopravvivenza mentre il Consolato italiano sembrerebbe lasciare i nostri connazionali in condizioni che non assicurano il rispetto dei fondamentali diritti umani”. Basterebbero 6 euro (equivalenti a meno di 50 pesos dominicani) al giorno per sostenere i bisogni di tutti e tre detenuti, quando invece altri Paesi europei fanno molto di più. Secondo i dati forniti dal deputato di centrodestra, infatti, il consolato tedesco concede ai suoi connazionali detenuti nella Repubblica Domenicana un sussidio di 7.500 pesos, quello francese 6.500 pesos, quello spagnolo 4.500 pesos. Nemmeno a dire che si tratterebbe di una spesa pubblica eccessiva, dato che gli italiani nelle carceri straniere non arrivano a 3.000. Franco Londei, di Secondo Protocollo, ha ricordato inoltre che “il 75 per cento di questi è detenuto in carceri europee che in molti casi garantiscono uno standard di diritti ben più elevato di quello presente nelle carceri italiane”. Cuba: Commissione Diritti Umani; altri detenuti politici saranno presto scarcerati Adnkronos, 4 ottobre 2010 Quando sarà terminata la scarcerazione del gruppo di 52 detenuti politici concordata nei mesi scorsi con le autorità ecclesiastiche cubane, il regime di Raul Castro potrebbe rilasciare altri esponenti dell’opposizione in prigione. Ne è convinto Elizardo Sanchez, della Commissione cubana dei diritti umani e riconciliazione nazionale (Ccdhrn), secondo il quale a “almeno 9 detenuti per motivi politici” è stato detto che la loro uscita dal carcere o dai campi di rieducazione cubani avverrà “a condizione che vadano via” dall’isola. A tale gruppo, i funzionari cubani hanno chiesto di riempire un formulario, specificando tra l’altro “i nomi degli otto familiari al massimo che potevano partire con loro”. Cuba nega l’esistenza di prigionieri politici in carcere e assicura che tutti i detenuti sono stati giudicati e condannati per reati contemplati dalle norme vigenti. Secondo la Commissione Ccdhrn all’opposizione, quando sarà terminato il rilascio dei 52, nelle prigioni dell’isola resteranno ancora un centinaio di detenuti politici. Nella lista compaiono anche alcuni condannati per attentati dinamitardi e omicidio di civili. Come nel caso del cittadino del Salvador Raul Ernesto Cruz Leon, autore dell’attentato del 4 settembre 1997 all’hotel Copacabana dell’Avana, costato la vita all’italiano Fabio Di Celmo. Cruz all’epoca venne condannato alla pena di morte, condanna non eseguita. Cambogia: il sovraffollamento delle carceri favorisce la diffusione di tubercolosi e hiv Agenzia Fides, 4 ottobre 2010 Il tasso di diffusione di tubercolosi e Hiv nel carcere più grande della Cambogia supera da sei a quattro volte la rispettiva media nazionale. Su un campione di 1.783 detenuti del carcere Prey Sar, a Phnom Penh, il 4% è malato di tubercolosi, mentre il 3% è sieropositivo. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della sanità e del Governo locale, la popolazione generale cambogiana riporta un tasso percentuale delle malattie rispettivamente dello 0.68 e dello 0.7 per cento. Secondo fonti locali, il sovraffollamento delle carceri del paese ha esacerbato questo problema globale, le 25 prigioni possono ufficialmente contenere fino a 8 mila detenuti, mentre in realtà ne ospita 14 mila, assistiti da 96 operatori sanitari. Dall’inizio del 2010, 7 carceri hanno ottenuto sussidi sanitari, ma non sono ancora completamente attrezzate.