Giustizia: due detenuti suicidi in poche ore, sale a 58 il numero delle vittime nel 2010 di Giulia Torbidoni www.innocentievasioni.net, 29 ottobre 2010 Due suicidi nell’arco di poche ore: a Foggia e a Bologna. Il primo è un detenuto seminfermo di mente che si è impiccato ieri sera nel carcere di Foggia. Si tratta di Giancarlo Pergola, di 55 anni, in prigione dal dicembre 2008 per matricidio. Ieri sera, verso le 19, si è impiccato con il lenzuolo nella sua cella, nel reparto precauzionale dell’istituto e il cadavere è stato trovato da un agente della polizia penitenziaria. Lo scorso 16 marzo, i giudici della corte d’assise di Foggia lo avevano condannato a 12 anni di carcere riconoscendogli la semi infermità mentale. L’uomo, la sera stessa del delitto, confessò di avere ucciso la madre perché stanco che la donna lo accusasse per la condizione economica e lavorativa. Secondo Ristretti Orizzonti, si arriva così ad ottobre, a 6 suicidi in carcere, mentre sono 57 dall’inizio del 2010: 47 si sono impiccati, 6 sono morti per asfissia con il gas delle bombolette da cucina, 3 per avvelenamento di farmaci e 1 dissanguato per essersi tagliato la gola. Per quanto riguarda la Puglia, quello di Pergola è il quinto suicidio del 2010, dopo i 2 avvenuti nell’istituto di Lecce, uno a Brindisi e uno ad Altamura. Ai 57 suicidi, però, va aggiunto il secondo suicida di queste ore. È un detenuto sloveno di 32 anni. Si è impiccato questa mattina nelle docce del carcere della Dozza di Bologna usando come cappio i lacci delle scarpe. Eugenio Sarno, segretario generale della Uil penitenziari, che ne ha dato la notizia, ha definito “un’ecatombe” il numero crescente di suicidi in carcere. “Abbiamo molte difficoltà – ha detto – a comprendere come mai l’informazione sia predisposta a una deriva gossip e non pare interessata ad approfondire quello che ogni giorno di più appare essere ciò che è: un dramma umanitario, sanitario e sociale. Analogamente abbiamo qualche difficoltà a comprendere l’immobilismo della politica e le azzardate dichiarazione di attenzione verso l’universo penitenziario. Questi corpi dovrebbero essere macigni sulle coscienze di chi dovrebbe e potrebbe gestire e risolvere, ma non lo fa. Le 6.500 unità mancanti alla polizia penitenziaria, i 600 educatori e i 500 assistenti sociali in meno, i circa 25 mila detenuti in più, le degradate e invivibili condizioni delle nostre prigioni sono l’humus in cui prosperano disperazione, depressione e violenza”. Giustizia: nelle carceri incuria e suicidi, nessuno ora crede alle lacrime di coccodrillo… di Gennaro Santoro Terra, 29 ottobre 2010 A.M., Solo, dimenticato, è andato in coma glicemico. Ed ora ha paura perché tra qualche giorno dovrà tornare in Sicilia, per il processo, salvo rinunciare al diritto di difesa. A.M. è cardiopatico, ha diabete, angina pectoris, pressione alta, problemi di circolazione, nonché incontinenza urinaria e fecale. Ha subito vari interventi (ben sette dal 2009) ai reni, alla bocca, alle emorroidi. è in attesa di giudizio e una volta, mentre lo conducevano da Rebibbia in Sicilia dove ha in corso il processo, si sono dimenticati i farmaci. E di lui. Solo, in un blindato, in compagnia dei suoi bisogni che non è riuscito a trattenere. Solo, dimenticato, è andato in coma glicemico. Ed ora ha paura perché tra qualche giorno dovrà tornare in Sicilia, sempre per il processo, salvo rinunciare al diritto di difesa. In carcere ha preso 40 kg. L’insulina la può prendere solo quattro volte al giorno (insieme a tanti altri medicinali) e non diluirla in dieci dosi giornaliere come faceva quando era libero. Così la fame aumenta e i valori della glicemia schizzano, a rischio di infarto e di ictus. Lo hanno arrestato in Germania. Lì aveva una famiglia, le cure mediche gratuite e adeguate, una pensione sociale di circa 1500 euro al mese. Qui ha cocktail micidiali di medicine da ingerire “a vista”. E lo riempiono di medicine, visto che frequentemente (ogni due mesi) gli ripuliscono il sangue. Si è presentato allo sportello del difensore civico di Antigone chiedendo aiuto. Non ha soldi, non ha nessuno, in Italia. Nel nostro piccolo, abbiamo contribuito a risolvere, in parte, le storie di A.A. e A.P.: paraplegici bisognosi di interventi urgenti, sono stati trasferiti presso il centro clinico di Opera (Milano) dove, quanto meno, potranno essere seguiti meglio da un punto di vista sanitario, e la loro salute resterà, ci si augura, stazionaria. Ma non sappiamo se lì potranno essere sottoposti agli interventi necessari. Resta il fatto che A.M., A.A. e A.P. sono entrati in carcere malati e a distanza di pochi anni le loro condizioni sono progressivamente precipitate, a rischio di vita. Avviene così che in carcere si muore per patologie che nella vita libera sarebbero curate. Allora non c’è da meravigliarsi se nelle patrie galere il tasso di suicidi è superiore di 20 volte a quello che si registra fuori. E ha ragione chi dice che in carcere è la mancanza di speranza a indurre al suicidio. Ed è forse per questo motivo che i suicidi in carcere si riscontrano soprattutto all’inizio del periodo di carcerazione o alla fine della pena. Ed è per questo che il maggior numero di suicidi si registra nelle carceri che maggiormente soffrono di problemi di sovraffollamento. Non a caso a Poggioreale, a Napoli, dove si arriva a vivere in nove in soli 18 mq, con 2.602 detenuti presenti a fronte di una capienza di 1.658 posti, sono stati consumati già tre suicidi dall’inizio dell’anno. Quindi, niente lacrime, coccodrilli, potevate pensarci prima! Giustizia: vite a perdere nelle carceri italiane, dalla Cgil 10 proposte contro l’emergenza di Massimo Solani L’Unità, 29 ottobre 2010 Sit in organizzato dal comparto sicurezza della Funzione Pubblica Cgil per denunciare la grave emergenza carceri del nostro paese e presentare 10 proposte per contribuire a risolvere i problemi di sovraffollamento. Le carceri italiane esplodono nel disinteresse della politica. La popolazione carceraria aumenta, l’organico degli agenti di polizia penitenziaria è gravemente carente e decessi e suicidi ricordano ogni giorno quanto grave sia il problema negli istituti di pena. Eppure il piano carceri elaborati del ministro della Giustizia Alfano e del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta sembra sparito, causa assenza di fondi adeguati, da un’agenda politica monopolizzata dai problemi con la giustizia del premier Berlusconi. Per questo ieri la Funzione Pubblica della Cgil ha deciso di portare in piazza i problemi di chi ogni giorno vive il carcere al di qua e al di la delle sbarre. E non in una piazza qualunque, ma in piazza Montecitorio davanti a quella Camera da troppo tempo sorda ai problemi dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziaria. Una protesta di grande impatto quella del sindacato (hanno aderito anche il Partito Democratico, i Radicali, Antigone, Radiocarcere, Magistratura Democratica e l’Unione delle Camere Penali) che fin davanti alla Camera ha portato la riproduzione di tre celle e “manichini detenuti”, per raccontare quali siano le condizioni di vita di chi in carcere lavora o sconta la propria pena. “Una emergenza umanitaria fuori controllo - ha spiegato il responsabile Nazionale Comparto Sicurezza Fp-Cgil Francesco Quinti - soprattutto in assenza di un progetto chiaro per uscire dalla crisi”. Per questo il comparto sicurezza del sindacato di Corso Italia ieri ha rilanciato la propria ricetta per aiutare il sistema carceri ad uscire dall’emergenza sovraffollamento e recuperare la vivibilità necessaria. Dieci proposte, hanno spiegato, che vanno dalla modifica della normativa sulla custodia cautelare alla messa in prova, dalla modifiche alle leggi Fini-Giovanardi (in materia di droga) e Bossi-Fini (contrasto all’immigrazione) all’adeguamento dell’organico della Polizia Penitenziaria con l’assunzione di almeno ornila agenti. Il tutto, ovviamente, passando per una concreta redistribuzione dei fondi a disposizione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (“riportiamoli almeno ai livelli del 2001”, chiedono) e per l’inserimento in Finanziaria di quel miliardo e mezzo di euro necessario al completamento del Piano Carceri. “Le nostre 10 proposte servono a questo - ha spiegato Quinti - a dare una via d’uscita, proponendo provvedimenti normativi, formule organizzative e strumenti nuovi per rendere il carcere un luogo di recupero e di reinserimento nella società, come garantisce la nostra Costituzione Repubblicana e la legge Gozzini, mai applicate del tutto. Il carcere è divenuto un luogo di reclusione e repressione del disagio sociale, un luogo angusto e malsano, tanto per i poliziotti quanto per i detenuti”. Giustizia: Alfano dice “Abbiamo seminato bene e continueremo a farlo”… non sarà mica una minaccia? di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 29 ottobre 2010 Bologna, venerdì 29 ottobre. Ore 11.30. P.G. di 32 anni, detenuto nel carcere La Dozza di Bologna s’impicca nelle docce del carcere usando come cappio i lacci delle scarpe. Il carcere La Dozza di Bologna potrebbe ospitare solo 502 detenuti, ma oggi ne contiene più di 1.100. Foggia, giovedì 28 ottobre. Ore 19.00. G.P. di 55 anni, detenuto nel carcere di Foggia e ristretto nella “sezione precauzionale” si uccide impiccandosi all’interno della propria cella. L’agente di servizio nulla ha potuto per salvare la vita al detenuto perché quando si è accorto dell’accaduto l’uomo era già cadavere. Il carcere di Foggia può contenere solo 403 detenuti, ma oggi ce ne sono 731. Questa la cronaca. Due suicidi in soli due giorni. Sono 57 le persone detenute che si sono uccise dall’inizio del 2010 e centinaia sono i detenuti morti per assenza di cure mediche. Un dato forse poco interessante, tanto che il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, afferma: “Abbiamo seminato bene e continueremo a farlo”. Un’affermazione propagandistica e surreale accompagnata da un silenzio assordante dell’opposizione che, tranne i Radicali, poco dice e nulla propone sia sul fronte della Giustizia penale che del carcere. Giustizia: Casellati; un Piano strutturale del governo per risolvere i problemi delle carceri di Luca Baccelletti Il Giornale, 29 ottobre 2010 Sono nella memoria di ciascuno di noi le notizie di cronaca che con cadenza settimanale, se non giornaliera, parlano di suicidi negli istituti di pena italiani. Una realtà dura quella del carcere, aggravata da un sovraffollamento che produce nei detenuti condizioni di alienazione e disagio psicologico devastanti e che mina la possibilità di un reinserimento sociale. Nel passato, anche recente, ogni qualvolta il numero dei detenuti diventava oggettivamente ingestibile, si preferiva un’amnistia o un indulto generale (ben 30 negli ultimi 60 anni) invece di affrontare concretamente un problema divenuto dramma costante. E per questi motivi che Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia con delega all’edilizia carceraria, si trova ad affrontare e risolvere il sovraffollamento cronico egli istituti di pena italiani. Il recente piano varato dal governo prevede una riforma strutturale del settore con un investimento di 600 milioni di euro per aumentare la ricettività dei 360 istituti i pena, potenziare gli effettivi di polizia penitenziaria, contestualmente, ripristinare quelle condizioni minime di umanità che spettano a qualunque persona. Quali sono i numeri dell’emergenza carceri in Italia? “Oggi i detenuti sono poco più di 68mila su una capienza regolamentare di 44.608 posti e una tollerabilità stimata in 67mila unità. Le cifre parlano chiaro: ci troviamo di fronte a una situazione di sovraffollamento della popolazione carceraria che provoca un grave disagio personale e sociale, tant’è che abbiamo dichiarato lo stato di emergenza. Bisogna rilevare, però, che la crescita annuale degli ingressi in carcere si è ridotta rispetto al 2008, del 17% nel 2009 e, dato numericamente ancora più significativo, del 62% con riferimento al maggio del 2010. Dati che confortano, ma che non fanno abbassare l’attenzione, che resta massima. Misure come l’indulto che negli ultimi 60 anni sono state adottate per svuotare le carceri - nonostante il valore morale che può essergli attribuito, quale precipitato istituzionale di una virtù come la clemenza - non sono oggi socialmente accettate e non sono perciò ripetibili. Urgono perciò risposte precise, efficaci e non dilazionabili”. Quali misure intende adottare il governo? “Il governo ha varato un piano strutturale che poggia su tre pilastri fondamentali: gli interventi di edilizia penitenziaria per la costruzione, in prima battuta, di 47 nuovi padiglioni e successivamente di 8 nuovi istituti; gli interventi normativi che introducono la possibilità della detenzione domiciliare per chi deve scontare solo un anno di pena residua; l’assunzione di 2.000 nuovi agenti di Polizia penitenziaria, per cercare di ridurre i tanti disagi del personale che quotidianamente si adopera con sacrificio per l’assistenza dei detenuti. Stiamo poi attuando accordi bilaterali con vari Stati per far sì che gli stranieri scontino la pena nel loro Paese d’origine”. Esistono delle concrete possibilità per un reinserimento in società al termine del carcere? “E giusto che il detenuto saldi il suo debito nei confronti dello Stato e delle vittime del reato; è importante però che lo stesso sia messo nelle condizioni di non tornare a delinquere una volta lasciato il carcere. La certezza della pena e l’espiazione degli errori sono elementi cruciali per la tenuta di una società, ma la privazione della libertà non è fine a se stessa perché funzionale alla rieducazione. Questa è la missione di uno Stato moderno, questo è ciò che contraddistingue una nazione civile. La riabilitazione è un percorso complesso che comprende gli aspetti del lavoro, della cultura e della formazione”. Lettere: sull’ennesima morte in carcere, una surreale intervista al capo del Dap Franco Ionta di Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus”) Ristretti Orizzonti, 29 ottobre 2010 L’approfondimento del Tg 3 ieri sera ha ospitato il Dott. Ionta per parlare della morte di Simone La Penna, detenuto a Regina Coeli. Anoressico, alto un metro e ottanta, pesava 49 chili. Aperta un’inchiesta sulla compatibilità con il regime carcerario. Ospite di “Linea Notte” il Dott. Franco Ionta, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, prende subito le distanze dall’ennesima morte negli istituti di pena italiani. Le eventuali responsabilità non sono attribuibili al suo dipartimento, in quanto la sanità in carcere non è più di sua competenza. Alle domande sull’emergenza-carcere afferma che il numero dei detenuti in Italia non è impressionante e che la soluzione è la costruzione di nuove carceri e l’assunzione di altro personale. All’affermazione del giornalista Piero Colaprico, che ha definito le carceri dei “contenitori”, ha risposto che in Italia non è così, né potrebbe essere così, perché lo vieta la Costituzione che prevede la rieducazione del condannato. Ha poi fatto riferimento al disegno di legge che prevede gli arresti domiciliari per chi sta scontando l’ultimo anno di pena, come atto concreto per combattere il sovraffolla mento, tranquillizzando allo stesso tempo i telespettatori, in quanto il provvedimento non sarebbe automatico, ma eseguibile solo dopo la valutazione discrezionale del Magistrato di Sorveglianza, sulla non pericolosità del soggetto. Non vi è dubbio che il Dott. Ionta è l’uomo giusto al posto giusto. Comandante di una nave alla deriva, tranquillizza - da terra - gli spettatori del naufragio, che in realtà non sono affatto preoccupati, perchè su quella nave non ci sono e sono, pertanto, bendisposti verso chi dice di occuparsi della nave. Sulla nave ci sono i detenuti, a cui doveva essere tolta la sola libertà, ma che ormai hanno perso anche la dignità e spesso la voglia di vivere. Ci sono i pochi educatori e la polizia penitenziaria che cercano, in tutti i modi e con ogni modalità, di trattenere il naturale istinto di ribellione dell’equipaggio, tenuto a bada anche dalla stravolta norma sulla liberazione anticipata, che avrebbe dovuto premiare - con 45 giorni di detenzione in meno ogni sei mesi - colui che effettua un’attività rieducativa, ma che in mancanza di tali attività, premia il detenuto buono che non protesta. Un vero uomo dello Stato, che difende il suo stato anche se nelle carceri italiane, in questi mesi del 2010, vi è stato un morto ogni 3 giorni, con un suicidio ogni 5 giorni. Che, dinanzi ad una percentuale di detenuti non-definitivi, cioè in regime di misura cautelare, del 44%, la più alta di Europa, afferma che il problema sono i detenuti extra-comunitari. Che dinanzi a 20 nuovi istituti di pena già costruiti e mai aperti, afferma che bisogna costruire nuove carceri, Che dinanzi ad una dichiarazione di “stato di emergenza” del Consiglio dei Ministri sul sovraffollamento, dichiara che il numero dei detenuti in Italia non è impressionante. Che vede nel disegno di legge in discussione - ormai da mesi - una possibile soluzione, quando ormai ciò che è rimasto della proposta altro non è che quanto già è in vigore e cioè il potere discrezionale del Magistrato di Sorveglianza di concedere gli arresti domiciliari, dove li ritenga idonei. Che nega che le carceri siano dei contenitori, perché la Costituzione non lo prevede. Per il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, che è anche Commissario Straordinario per il c.d. “Piano Carceri”, tutto va bene, ma, per stare meglio,basterebbe costruire solo altri istituti, perché i detenuti aumentano e, con le leggi ora in vigore e con la politica carcerogena attuale, aumenteranno ancora. Costruiamo, pertanto, costruiamo . Rinchiudiamo e costruiamo. Lettere: condannare a finire nei gironi carcerari vigenti è affare di sadici o di disperati di Adriano Sofri Il Foglio, 29 ottobre 2010 Il sostituto procuratore di Firenze Giuseppe Bianco ha aperto un’indagine “esplorativa” sul carcere di Soliicciano e sull’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo. All’origine dell’indagine sta un esposto della Camera penale fiorentina oltre che le ripetute denunce del Garante per i detenuti sulla condizione di Sollicciano - che al momento dell’esposto, lo scorso giugno, conteneva 957 detenuti contro una capienza regolare dì 476 e una “tollerabile” (tollerabile da chi?) di 760: solo che ieri mattina i detenuti di Sollicciano erano 1020, 544 più della capienza regolare, e 360 più di quella tollerabile (tollerabile da chi?). E, quanto all’Opg, il manicomio criminale che dovrebbe esser chiuso da tempo, e si limitò a cambiar nome, le sue condizioni intollerabili sono state ennesimamente descritte dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla sanità nazionale guidata dal senatore Ignazio Marino. Mi sono chiesto infinite volte come sia possibile che una illegalità sfrontata come il maltrattamento delle persone in carcere - chiamato tranquillamente “tortura” da alti magistrati in solenni discorsi inaugurali degli anni, anno dopo anno - non venga fatta oggetto delle attenzioni d’ufficio dei magistrati dell’accusa e poi del giudizio, che ne sono fra le maggiori vittime, subito dopo i detenuti e i loro cari, e gli agenti penitenziari e i loro cari. Perché il mestiere di giudicare e condannare è già tremendo, ma quello di giudicare e condannare a finire nei gironi carcerari vigenti è affare di sadici o di disperati. Se i giudici scioperassero perché non sopportano più di passare corpi umani ai birri a Sollicciano o a Montelupo o in una qualunque delle altre galere del reame, farebbero il gesto più umano. Se qualcuno di loro apre un’indagine, sia pure esplorativa, è già qualcosa. A esplorare là dentro, o ci si perde, o si trova. Sardegna: Consiglio regionale approva Odg sul trasferimento competenze sanità penitenziaria Agi, 29 ottobre 2010 Si sono conclusi con l’approvazione di un ordine del giorno a maggioranza i lavori del Consiglio regionale sullo schema di attuazione dello statuto speciale della Regione in materia di sanità penitenziaria. Il documento ha avuto i voti favorevoli della maggioranza. Il gruppo Comunisti-Sinistra sarda-Rosso Mori ha votato contro, mentre si sono astenuti Pd, Idv e i consiglieri Fli, Ignazio Artizzu e Matteo Sanna, ai quali si aggiunto Antonio Pitea (Pdl). L’ordine del giorno dà parere favorevole allo schema di attuazione della Regione e impegna la Giunta a operare per mantenere il trasferimenti dei fondi statali a copertura delle spese per la sanità penitenziaria e assicurare che l’ammontare sia sempre adeguato all’incidenza della presenza dei detenuti e delle strutture presenti sul territorio. Sul fronte del personale si chiede che ci sia effettiva omogeneità nell’inquadramento tra professionalità trasferite e professionalità del servizio sanitario regionale e che si tenga conto del personale in convenzione da almeno cinque anni, come previsto in un emendamento orale proposto dal capogruppo del gruppo Misto, Franco Cuccureddu (Mpa). Infine, si impegna la Giunta a impostare nel più breve tempo possibile la riorganizzazione dei servizi di sanità penitenziaria, in modo da assicurare un utilizzo coordinato ed efficiente di risorse e personale su tutto il territorio. Il Consiglio verrà riconvocato a domicilio. Al termine dei lavori è stata convocata una conferenza dei capigruppo. Bologna: Uil; detenuto sloveno 32enne si toglie la vita, nelle carceri un’ecatombe Dire, 29 ottobre 2010 Questa mattina intorno alle 11.30 un detenuto del carcere della Dozza di Bologna, P.G., si è tolto la vita impiccandosi con i lacci delle scarpe: era sloveno, aveva 32 anni e si è ucciso nei locali delle docce. A rendere noto il tragico episodio è il segretario generale della Uil Pubblica amministrazione Penitenziari, Eugenio Sarno. “È il 58esimo episodio - afferma Sarno in una durissima nota - questa dei suicidi in cella è un’ecatombe senza fine. Nessuno tra politici, operatori penitenziari, addetti all’informazione non può non subirne gli effetti sociali e morali”. E ricordando i precedenti 57 casi avvenuti nelle carceri delle diverse città d’Italia, Sarno prosegue: “Questi 58 corpi esanimi dovrebbero rappresentare 58 macigni sulle coscienze di chi dovrebbe e potrebbe gestire e risolvere ma non lo fa”. Ci si trova di fronte, incalza, Sarno, a “un dramma umanitario, sanitario e sociale”, in cui si delineano “livelli di responsabilità sono diversi e ben delineati”, a partire dall’”immobilismo della politica”. Il segretario generale della Uil Penitenziari si scaglia poi contro le gravi carenze di agenti ed educatori: alla Polizia penitenziaria “mancano 6.500 unità”, a cui si aggiunge la carenza di 600 educatori e 500 assistenti sociali. Il tutto in un contesto in cui i detenuti sono circa 25.000 più del dovuto e le carceri sono in “condizioni degradate e invivibili”. Per Sarno, l’insieme di questi elementi si trasforma in “humus in cui prosperano disperazione, depressione e violenza”. E conclude: “Forse è giunta davvero l’ora di dire a chiare lettere che la tanto reclamata e propagandata riforma della giustizia non può prescindere da una incisiva e concreta attenzione risolutiva verso il mondo penitenziario”. Foggia: detenuto di 55 anni si impicca, era seminfermo di mente Gazzetta del Sud, 29 ottobre 2010 Un’altra tragedia annunciata nel carcere di Foggia e si accendono i toni polemica sulla situazione di sovraffollamento ormai divenuta endemica delle carceri sul territorio nazionale. Giancarlo Pergola, di 55 anni, si è suicidato alle sette di ieri sera impiccandosi con un lenzuolo nella sua cella del reparto “precauzionale” del carcere di Foggia. A trovare il corpo dell’uomo un agente di polizia penitenziaria che non ha potuto fare nulla per salvarlo. A darne notizia è l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere. Pergola era detenuto dal dicembre 2008 e il 16 marzo scorso i giudici della corte d’assise di Foggia l’avevano condannato a 12 anni di carcere (riconoscendogli la semi-infermità mentale) per aver ucciso la madre, Maria Luisa De Nardellis, con un mattarello da cucina. La sera stessa dell’omicidio l’uomo confessò il delitto dicendo di averlo fatto perché stanco delle accuse che la madre gli rivolgeva per la sua condizione economica e lavorativa. Nel mese di ottobre salgono così a 6 i suicidi in carcere, mentre da inizio anno 57 detenuti si sono tolti la vita: 47 si sono impiccati, 6 asfissiati con il gas della bomboletta da camping, 3 avvelenati da mix di farmaci e 1 dissanguato dopo essersi tagliato la gola. L’ultimo suicidio avvenuto nel carcere di Foggia risale all’8 marzo 2009, quando si uccise il 25enne Leonardo Di Modugno. De Leonardis (Udc): carceri fuori dagli standard di dignità per detenuti Negli Istituti di pena pugliesi quello di Pergola è il quinto suicidio dell’anno: 2 sono avvenuti nel carcere di Lecce, 1 in quello di Brindisi e 1 di Altamura (Ba). “Ha meritato soltanto poche righe in cronaca nelle pagine locali di qualche media il suicidio di un detenuto nella casa circondariale di Foggia. Dovuto e condivisibile rispetto per una dolorosa vicenda umana, che non deve però attenuare la preoccupazione per una situazione generale nella struttura da tempo ben oltre i limiti della sostenibilità, con disagi estesi a operatori e guardie carcerarie costrette a turni massacranti, e agli stessi detenuti reclusi in numero di gran lunga superiore rispetto a uno standard accettabile di dignità e integrazione in un percorso di recupero e rieducazione garantito dal nostro Stato di Diritto”. Sono le parole del consigliere regionale della Puglia dell’Udc, e presidente della settima Commissione Affari Istituzionali, Giannicola De Leonardis che, in una nota, si dice “preoccupato per le gravi carenze del carcere di Foggia, assolutamente ignorate da un governo nazionale sempre e solo alle prese con leggi ad personam e improbabili lodi, mentre i problemi inerenti alla giustizia sono ben altri e interessano un Paese che non può pensare di tamponare le emergenze con gli indulti, che già dopo qualche mese hanno esaurito il loro effetto”. Cagliari: l’Inps apre uno Sportello per i detenuti del carcere di Buoncammino Ansa, 29 ottobre 2010 Anche i detenuti del carcere “Buoncammino” di Cagliari potranno accedere al sistema informatico dell’Inps per gli estratti conto dei versamenti, le pensioni e tanti altri servizi che prima dovevano affidare a familiari, volontari o assistenti sociali. Il protocollo d’intesa tra Istituto nazionale della previdenza sociale e la casa circondariale è stato siglato questa mattina. Negli uffici amministrativi del carcere sarà allestito un Punto erogazione servizi con modem per accesso Internet e stampante laser. La postazione, gestita da un operatore interno, sarà a disposizione per due giorni alla settimana con un minimo di tre ore giornaliere. La convenzione, la seconda di questo genere in Italia, durerà un anno. “Ma contiamo - ha detto il direttore regionale dell’Inps Salvatore Putzolu - non solo di rinnovarla, ma anche di potenziarla con altri servizi. E di estenderla ad altre case circondariali dell’isola”. Un’iniziativa che ha avuto subito il benestare del direttore del carcere Gianfranco Pala: “I detenuti - ha detto presentando la convenzione - hanno giustamente gli stessi diritti degli altri lavoratori. Ci sarà in questo modo la possibilità di snellire le pratiche senza passare attraverso intermediari”. Il servizio sarà messo a disposizione anche del personale del Ministero della Giustizia che opera all’interno del carcere. Milano: Pisapia; più accordi con le cooperative, reinserimento lavorativo ha ridotto recidiva Adnkronos, 29 ottobre 2010 “Le carceri sono un problema di civiltà. Come sindaco promuoverò la valorizzazione di accordi con le cooperative sociali impegnate nel reinserimento in ambito lavorativo degli ex detenuti e dei detenuti che godono di regime di semilibertà”. Lo afferma Giuliano Pisapia, candidato alle primarie del centrosinistra per sindaco di Milano, e in passato presidente della commissione Carceri della Camera dei Deputati. “Il centro destra - spiega Pisapia - crede che riempiendo le carceri si risolvano i problemi di sicurezza. Gli studi e le esperienze in Italia e all’estero dimostrano che il reinserimento lavorativo degli ex detenuti ha determinato una forte diminuzione della recidiva e quindi contemporaneamente la diminuzione dei reati e una maggiore sicurezza dei cittadini. Questa politica è l’unica che può rendere le città più sicure, con una sensibile diminuzione dei crimini”. Per Pisapia le prigioni sono lo specchio della civiltà di una nazione. “Questo grido alto e forte - conclude - al risveglio delle coscienze e all’indignazione per questa vergogna non può che venire da Milano, città che offende la memoria di uno dei suoi figli più illustri, Cesare Beccaria”. Alghero: la situazione dell’ex “carcere modello” ora è la peggiore tra gli istituti della Sardegna La Nuova Sardegna, 29 ottobre 2010 La situazione del carcere è la peggiore tra gli istituti della Sardegna, se non si interviene con estrema urgenza la gestione della casa di pena può accusare pesanti problemi di sicurezza. Da isola felice del sistema carcerario sardo, il San Giovanni è ora un disastro. A queste conclusioni, peraltro già note nel sistema penitenziario isolano ma anche a livello nazionale, è giunta una folta delegazione di sindacalisti della Polizia penitenziaria che ieri mattina ha visitato la struttura carceraria. Presente il sindaco Marco Tedde, presenza richiesta dal sindacato per una presa d’atto concreta della situazione, la delegazione era formata dal commissario di polizia Penitenziaria Antonello Brancati, dal segretario nazionale dell’Ugl Giuseppe Moretti, dal regionale, Salvatore Argiolas, dai provinciali delle Province di Sassari, Nuoro e Cagliari, Luigi Taula, Libero Russo e Alessandro Cara. A dare un quadro preciso del disagio sono sufficienti i numeri: 240 detenuti con 80 agenti in servizio, 2,7 reclusi per ogni unità di polizia penitenziaria. A Sassari i detenuti sono 180 e gli agenti 160. Soltanto nel 2000, quando la struttura era ancora “isola felice”, subito dopo la riqualificazione strutturale avvenuta dopo la chiusura dell’Asinara, i detenuti erano 80 e gli agenti 130. Sono ancora i numeri a riferire della pesantissima condizione nella quale si trovano gli agenti in servizio: quotidianamente dal carcere di via Vittorio Emanuele sono assenti tra i 15 e i 29 agenti. Causa malattia in larga misura dovuta agli stress provocati dal sovraccarico di lavoro. C’è gente che deve fare ancora le ferie del 2008. “Seguiamo con molta attenzione questa vicenda - sottolinea il sindaco Marco Tedde all’uscita dal carcere - perché fortemente preoccupati dalle difficoltà gestionali che gli operatori penitenziari stanno affrontando nello svolgimento quotidiano del lavoro. Ma ci preoccupano anche le condizioni della sicurezza e, per quanto riguarda il nostro carcere, il rischio che quelle attività di professionalizzazione dei detenuti in vista del loro ritorno nella società civile vengano a ridursi se non a mancare completamente, pur avendo raggiunto risultati eccellenti. Questo aspetto sarebbe gravissimo, fallimentare di quel progetto di recupero e reinserimento che costituisce un elemento indispensabile per chi ha pagato il suo debito con la giustizia”. L’Ugl si è rivolto al direttore generale dell’Ufficio personale del Dipartimento di Polizia penitenziaria chiedendo l’immediato reintegro degli organici. Il segretario nazionale del sindacato segnala che “fino a oggi la situazione non è esplosa per il senso del dovere e lo spirito di abnegazione degli agenti, ma tale situazione non potrà, evidentemente, durare all’infinito”. Mamone (Nu): Cisl; le porte delle celle sono ancora di legno, così la sicurezza non è garantita La Nuova Sardegna, 29 ottobre 2010 “Sostituire le porte di legno delle celle con porte blindate più idonee a garantire la sicurezza”. È la Cisl-Polizia penitenziaria che ancora una volta alza la voce e ribadisce la richiesta messa varie altre volte sul tavolo del provveditore delle carceri isolane. A scrivere a Cagliari, all’indirizzo del provveditore di Felice Bocchino (che ha assunto solo dallo scorso luglio l’incarico ricoperto per anni da Francesco Massida), nonché allo stesso direttore della colonia penale di Mamone Francesco Cocco, è Giovanni Villa, assistente capo e segretario generale del sindacato di categoria. Portavoce di una emergenza che rischia di travolgere la casa di reclusione. Dove continuano a ripetersi da tempo gli atti cosiddetti di “autolesionismo”, con i detenuti che si tagliano le vene e gli agenti che rischiano continuamente il contagio di malattie, anche gravi. L’ultimo clamoroso episodio è del 16 ottobre, quando i poliziotti hanno trovato in una cella un gruppo di reclusi intenti a distillare alcol con una caffettiera napoletana. “Prendiamo atto dell’intervento dell’amministrazione penitenziaria che ha provveduto all’allontanamento dei detenuti facinorosi - scrive oggi Villa -, ma certo è che questo intervento non risolve del tutto il problema di Mamone”. Dodici giorni fa, infatti, la distilleria artigianale era stata scoperta perché un detenuto era uscito dalla cella passando per la finestrella della porta di legno. Un caso che ha rischiato di chiudersi in tragedia, visto che i carcerati sorpresi ad armeggiare con la caffettiera si sono prima “tagliati” e poi si sono scagliati addosso agli agenti in servizio. “Perciò vanno cambiate le porte” continua il sindacalista della Cisl. Che insiste: “Nel frattempo chiediamo la chiusura della 5ª e della 6ª sezione affinché non si ripeta quanto già accaduto il 16 ottobre scorso”. “Ma ci sono anche altri disservizi da mettere sul tavolo dell’amministrazione” chiude Villa. Napoli: detenuti di Poggioreale e Secondigliano partecipano a Comitati per premio letterario di Sergio De Santis Il Mattino, 29 ottobre 2010 Il Premio Napoli fra i suoi Comitati di lettori ne ha due formati da detenuti delle carceri di Poggioreale e Secondigliano, e i vincitori del premio letterario vanno a discutere dei loro lavori con questi lettori particolari. Martedì è toccato ai tre autori di narrativa italiana, accompagnati da altri lettori, che da “fuori” hanno aspettato disciplinatamente il loro turno per consegnare documenti, cellulari, borse e ombrelli. Man mano che, uno dopo l’altro, alle nostre spalle si richiudevano innumerevoli cancelli, ognuno sorvegliato da un agente, un certo disagio, seppur irrazionale, strisciava palese tra i “visitatori”. Finalmente, dopo un ultimo cancello, ecco un cortiletto presidiato da una cappella adibita a luogo dell’incontro. Spesso le cose sono diverse da come le avevamo immaginate. Me n’ero accorto già arrivando a Napoli e trovandola accettabilmente pulita, più o meno come al solito, a dispetto delle catastrofiche immagini televisive. Nel carcere, poi, si aveva una sensazione di grande professionalità, a cominciare dagli agenti, attentissimi ma cortesi. Quanto ai nostri lettori detenuti, li avevo immaginati più interessati ai benefici della buona condotta che ai libri. Poi sono arrivati scortati dagli agenti, hanno preso posto disciplinatamente e hanno ascoltato con attenzione i saluti del presidente del tribunale di sorveglianza, del direttore del carcere, del presidente del Premio Napoli e di un avvocato dell’associazione “Il carcere possibile”, che insieme al Premio aveva organizzato l’incontro. Una professoressa, un’insegnante di quelli veri, che amano sul serio il loro lavoro, ha raccontato di come avesse discusso dei libri con “i ragazzi”, così li chiamava e così in effetti sembravano. A parte l’età, giovanissima per molti, l’atteggiamento di tutti era proprio quello di studenti interessati e composti che assistevano a uria lezione. Solo che, a differenza degli studenti normali, applaudivano convinti e grati a tutti gli interventi. Poi è venuto il momento delle domande agli scrittori. Mi è parso che tutti e tre, Benedetta Tobagi, Emanuele Trevi ed io, abbiamo risposto nel modo più sincero possibile. Per quanto mi riguarda, però, non credo di essere stato molto brillante, ero distratto da una ridda di pensieri che mi scoppiavano nella testa. Quel detenuto giovanissimo che si rigirava i tre libri tra le mani come preziosi talismani somigliava troppo a uno qualsiasi dei miei studenti liceali. Che ci faceva lì dentro? Qual era la sua storia? E quell’uomo sui quarant’armi dal volto durissimo che invece faceva domande che trasudavano una profonda sensibilità? Mi tornavano in mente le pagine di Dostoevskij, che aveva raccontato di quanta umanità avesse trovato nelle esperienze di detenuto. L’avvocato dell’associazione “Il carcere possibile” parlava con passione dei problemi dell’affollamento delle carceri italiane evidenziati dal rapporto dell’Associazione Antigone. Lui, il magistrato, il direttore, mostravano di credere tenacemente nel proprio lavoro, convinti, come già nel ‘700 il Beccaria, che la detenzione debba avere un intento non solo espiatorio ma anche, se non soprattutto, riabilitativo. Mi sono reso conto che un carcere è una comunità, come un ospedale, una scuola, come ogni realtà che raccoglie insieme della gente per un motivo specifico. Ogni comunità ha il suo ruolo, un suo fine, regole, diritti, doveri, problemi, difficoltà, e persone, buone o cattive. Soprattutto, una comunità per essere veramente tale deve avere una componente essenziale: l’umanità. Proprio quell’umanità che si è respirata dall’inizio alla fine dell’incontro. Certo dentro le celle affollate deve essere incredibilmente dura. Può esistere davvero un “carcere possibile”? Per quanto ne so, almeno per lo spazio di quella mattina, sì. Fuori dalla cappella un alberello verdissimo: doveva essere cresciuto tra un cancello e l’altro tra innumerevoli pianti e preghiere e bestemmie. Quando l’ultima porta si è chiusa alle nostre spalle riconsegnandoci al mondo di fuori mi è parso più chiaro che mai che le parole pesano, specialmente quelle scritte sulle pagine dei libri. Non sai mai chi e in quale condizione può leggere quello che hai scritto magari senza pensarci su troppo. Le parole pesano, tanto, e specialmente uno scrittore non dovrebbe dimenticarlo mai. Immigrazione: al Cie Ponte Galeria condizioni difficili, nonostante sforzo della coop che lo gestisce Adnkronos, 29 ottobre 2010 Condizioni di vita difficili per gli immigrati che vivono nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma, malgrado il grande impegno della cooperativa Auxilium nell’accoglienza e nell’assistenza sanitaria e psicologica. “Una cooperativa sociale che si è insediata nel marzo scorso prendendo il posto della Croce Rossa - ha spiegato all’Adnkronos Isabella Rauti che oggi ha visitato il Cie - e che sta svolgendo un lavoro di accoglienza e di assistenza importante e di grande spessore. Lo dimostrano le attenzioni poste negli aspetti della cura sanitaria e psicologica rivolti ai cittadini stranieri ospiti del centro. Nonché da altre attività svolte attraverso associazioni esterne che vengono organizzate all’interno centro come l’arteterapia, la danza e il cineforum”. “Nonostante questo sforzo notevole che va riconosciuto alla cooperativa Auxilium - ha aggiunto Isabella Rauti - le condizioni di vivibilità degli stranieri non sono delle migliori. A questo si aggiunge una questione legislativa che deve essere rivista: la legge prevede nei casi di non identificazione del cittadino straniero che dopo la permanenza al Cie, sei mesi massimo, l’immigrato esca e abbia cinque giorni per lasciare il territorio italiano o per ottenere la documentazione di identità che però, da sottolineare, non è riuscito ad avere mentre era all’interno del centro. E allo scadere dei cinque giorni la persona rischia l’arresto per il reato di clandestinità”. “La popolazione maschile del Cie, di gran lunga inferiore di numero rispetto a quella femminile, proviene per larghissima maggioranza dalle carceri e arriva al Cie perché, nonostante abbia scontato la pena, non possiede documenti di identificazione. Questo è un aspetto che deve essere corretto - ha detto ancora Isabella Rauti - con una diversa collaborazione con le autorità consolari presenti sul territorio dei paesi di provenienza degli stranieri ospitati nel centro”. Droghe: il Consiglio dei Ministri vara il nuovo Piano di azione nazionale Redattore Sociale, 29 ottobre 2010 Varato dal Consiglio dei ministri, il Piano è stato presentato dal sottosegretario Giovanardi e definito “innovativo e completo”. Attenzione a riabilitazione e reinserimento dei tossicodipendenti. Per la prevenzione, coinvolti anche i genitori Il Consiglio dei Ministri ha varato il nuovo il Piano di azione nazionale sulle droghe (Pan), un piano definito “innovativo e completo da un punto di vista strategico”. Presentato dal Sottosegretario Giovanardi, il Piano su fonda sui seguenti punti principali. Innanzitutto il Piano deriva dalle indicazioni europee e delle Nazioni Unite in materia, adattandole alla realtà italiana e chiedendo ad ogni singola Regione e Provincia Autonoma di prendere in considerazione tali linee, declinandole (in piena e totale autonomia) al fine di renderle effettive e concrete. Il Piano di azione nazionale, si afferma, è supportato da un “poderoso piano di progetti, già finanziati, concreti e molto articolati, al fine di trasformare gli intenti in attività reali nei cinque ampi di interventi prioritari: la prevenzione selettiva, la cura e la prevenzione delle patologie correlate, la riabilitazione e il reinserimento lavorativo delle persone tossicodipendenti (punto principale e portante di tutto il piano), la tempestiva e precoce osservazione del fenomeno, compresa la valutazione costante dei risultati dei trattamenti, il contrasto del traffico e dello spaccio, ma contemporaneamente la riformulazione e il riadattamento della legislazione per renderla più adatta alle odierne esigenze e problematiche”. In merito alla prevenzione, si è sottolinea il fatto che debba essere il più precoce possibile, “attivando interventi specifici fin dalle scuole elementari”. Un’altra importante indicazione è la necessità della scoperta precoce da parte dei genitori dell’uso di sostanze da parte dei figli, con tecniche di drug test professionali evitando il “fai da te”. Valorizzando l’approccio educativo sia nella famiglia che nella scuola. Sulla cura, in particolare, si sottolinea la necessità di studiare ed attivare un vera e profonda riforma dei servizi (sia pubblici che del privato sociale), evitando quindi la possibile cronicizzazione delle persone in trattamento e riqualificando l’intera rete dell’offerta, senza pregiudizi rispetto a tutte le terapie e trattamenti che “sarà necessario vengano costantemente valutate nella loro efficacia e selezionate sulla base di evidenze scientifiche”. Riabilitazione e reinserimento: “Questo è il pilastro centrale e portante del piano, a sottolineare il fatto che si ritiene possibile e fondamentale recuperare sempre e totalmente la persona tossicodipendente e reinserirla a pieno titolo nella società”. Per fare questo il Pan propone varie soluzioni concrete che prevedono l’attivazione di vere e proprie unità dedicate al solo reinserimento. Meno sanzioni e carcere, più cure e reinserimento Il Piano fa riferimento alla possibilità di incentivare l’accesso al Sert in alternativa alla sanzione amministrativa, a un piano per aumentare l’uscita dal carcere verso le comunità terapeutiche e i trattamenti ambulatoriali, ben monitorati. Sul monitoraggio e valutazione dei fenomeni legati alla tossicodipendenza, si evidenzia che “sono attivi, e verranno sempre più incentivati, i sistemi di allerta nazionali per contrastare l’introduzione di nuove droghe sul mercato. Lotta agli smart shop e al traffico di sostanze via internet. Sistemi avanzati di monitoraggio dei consumi attraverso il controllo dei metabolici nelle acque reflue e nell’aria. Attivazione di un sistema informativo (Sind) che permetterà una lettura più tempestiva delle variazione del fenomeno. Introduzione, come criterio di finanziabilità degli interventi, della presenza di sistemi di valutazione dei risultati e dell’efficacia degli interventi, nei servizi e nelle comunità”. Sui temi di legislazione e contrasto, molte le novità. In particolare la possibilità di iniziare un percorso di riadattamento della normativa di settore. “La revisione funzionale dell’art. 75 DPR 309/90 e la possibilità di incentivare l’accesso al Sert in alternativa alla sanzione amministrativa, un piano per aumentare l’uscita dal carcere delle persone tossicodipendenti (art. 94) verso le comunità terapeutiche e i trattamenti ambulatoriali condizionati e strettamente monitorati. Lo studio di una nuova norma che permetta addirittura di evitare l’entrata in carcere mediante l’accettazione di una alternativa terapeutica presso le comunità. L’incentivazione dei controlli stradali anche per l’uso di sostanze stupefacenti e non solo per l’alcol”. Esistono, infine, una serie di “azioni trasversali” che incentivano soprattutto la ricerca nel campo delle neuroscienze, la formazione degli operatori e il coordinamento tra tutte le forze in campo nonché i rapporti internazionali. In generale, si tratta di “un insieme di soluzioni e indicazioni strategiche che compongono un approccio bilanciato, equilibrato tra azioni di prevenzione, cura e contrasto. Un insieme molto articolato – si evidenzia -, che le Regioni potranno declinare secondo la loro autonomia decisionale, ma sempre tenendo conto che l’azione sarà tanto più efficace a livello nazionale quanto più sapremo coordinare e cooperare in un unico sforzo contro l’uso di tutte le droghe”. Il Pan verrà ora inviato in conferenza Stato Regioni. Sudafrica: circoncisione di massa in un carcere, come prevenzione al contagio dell’hiv Ansa, 29 ottobre 2010 I detenuti di un carcere sudafricano nella provincia di KwaZulu-Natal hanno deciso di farsi circoncidere per combattere la diffusione del virus hiv. Lo ha detto il ministro della salute della regione citato dalla Bbc on line. Sibongiseni Dhlomo ha aggiunto che finora sono 148 i detenuti che hanno scelto tale pratica. Ufficiali della provincia di KwaZulu-Natal, che registra il più alto numero di persone infette dal virus, hanno però precisato che il “taglio” non sarà obbligatorio. Recentemente il re degli Zulu, Goodwill Zwelithini, aveva tolto il bando sulla circoncisione che era stato imposto nel XIX secolo da un altro sovrano, scontento del fatto che i suoi giovani guerrieri dovessero restate a casa per mesi in seguito a tale operazione. Dallo scorso aprile sono più di 10 mila gli uomini che hanno scelto la pratica di rimozione del prepuzio, secondo la South African Press Association, mentre entro giugno 2014 si prevede che saranno due milioni e mezzo. Numerosi lavori scientifici hanno dimostrato finora che la circoncisione riduce il rischio di infettarsi con l’Hiv. Secondo uno studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista Aids da Godfrey Kigozi della Johns Hopkins University di Baltimora, maggiore è la grandezza del prepuzio maggiore risulta il rischio di infezione, in quanto questa parte dell’organo genitale ospita cellule dendritiche, cellule del sistema immunitario che fanno da apripista al virus dell’Aids. Le persone contagiate dal virus dell’hiv in Sud Africa sono oltre 5,7 milioni.