Giustizia: Alfano; siamo il Governo che ha fatto di più per l’emergenza carceri Apcom, 26 ottobre 2010 In materia di costruzione di carceri il governo Berlusconi può vantare un record: siamo l’esecutivo che ha realizzato più posti nelle nuove carceri, rispetto a tutti i precedenti. Nel biennio 2008 - 2010 abbiamo realizzato oltre 2.000 nuovi posti, molti di più rispetto ai dieci anni precendenti. Lo ha sottolineato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, rispondendo, al termine di un incontro con l’Udc che si è svolto alla Camera, a una domanda al drammatico sovraffollamento degli istituti di pena. “Al Senato abbiamo in dirittura di arrivo delle norme di accompagnamento al piano carceri che produrranno deflazione nella presenza carceraria e l’assunzione di duemila nuovi agenti di polizia penitenziaria. Abbiamo anche avviato - ha continuato Alfano - le procedure per costruire nuove carceri e nuovi padiglioni. Ricordo che stiamo parlando di edilizia e che a costruirle non c’è un mago con la bacchetta magica. Stiamo facendo in modo di accorciare i tempi, ma ricordiamoci che stiamo sempre parlando di opere edili”. Giustizia: Vitali (Pdl); tra 2 anni 13 mila posti in più, saremo in linea con richieste Cedu Ansa, 26 ottobre 2010 Nel giro di 24 mesi ci saranno circa 13 mila posti in più per i detenuti in Italia. “Con la costruzione, ex novo, di 11 istituti penitenziari recupereremo 4-5 mila posti, mentre con l’edificazione di nuovi padiglioni all’interno di istituti già esistenti saranno recuperati 8-9 mila posti”, ha annunciato Luigi Vitali, deputato del Pdl e presidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, a margine di una conferenza stampa organizzata a Montecitorio in vista del sessantesimo anniversario della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che ricorrerà il prossimo 4 novembre. “Il Governo ha varato il piano carceri stanziando 1,6 miliardi di euro e già oggi sono a disposizione 800 milioni. Inoltre è in Senato la norma sulla detenzione domiciliare che prevede, tra le altre cose, l’assunzione di 2 mila nuovi agenti penitenziari. Insomma, nel giro di 24 mesi daremo un colpo importante al problema del sovraffollamento e ci metteremo in condizione di non avere più richiami dalla Corte Europea di Strasburgo”, ha spiegato Vitali, sottolineando che si tratta di un tempo record perché fino a qualche tempo fa per costruire un istituto penitenziario ci volevano 16-18 anni. Per i prossimi due anni, tuttavia, Vitali ha ammesso che il sovraffollamento nelle carceri italiane ci metterà nelle condizioni di non rispettare in maniera perfetta le indicazioni dei giudici della Corte. Giustizia: terzo decesso “anomalo” nel carcere di Ancona, si interroga il ministro Alfano Asca, 26 ottobre 2010 Lo scorso 22 ottobre è stato trovato morto, nella sua cella nel carcere di Ancona Montacuto, il ventiduenne Alberto Grande. Si tratta della terza vittima deceduta all’interno dell’istituto di pena anconetano dall’inizio dell’anno. Tre detenuti giovani e non affetti da particolari patologie: a maggio fu ritrovato senza vita sul pavimento della propria cella un giovane marocchino di 27 anni, “morto per cause naturali” secondo il Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria; il 25 settembre un tunisino di 26 anni, si chiamava Ajoub Ghaz, fu ritrovato morto nella sua cella dopo aver apparentemente ingerito un mix letale di farmaci. Una serie di morti “sospette” - l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, parla di “terza morte misteriosa” nel carcere Dorico - che ha indotto le Senatrici Magistrelli, Amati e Sbarbati a depositare un’interrogazione al Ministro di Grazia e Giustizia Alfano. Un gesto volontario, secondo gli inquirenti e le autorità carcerarie, anche quello di Alberto Grande, trovato morto pochi giorni fa dal compagno di cella. “La cosa certa al momento - si legge nell’interrogazione - è che sul corpo del giovane non sono stati trovati segni di morte violenta, e che l’autopsia, disposta dalla procura, sembra evidenziare che si tratti di intossicazione da assunzione di un mix letale farmaci o da sostanze stupefacenti”. La Procura della Repubblica di Ancona ha avviato un’indagine interna per chiarire l’accaduto, “rimane il fatto - scrivono le Senatrici - che un ragazzo di 22 anni, entrato sano in carcere lo scorso luglio, in carcere è morto”. Vista la drammatica situazione appare dunque necessario, da parte del Ministero, fare chiarezza sulla reale capacità della struttura carceraria di tutelare la salute dei detenuti. “Quello di Ancona - si legge nel documento - si sta rivelando un carcere da terzo mondo per sovraffollamento ove sussiste una situazione veramente critica”. Situazione già denunciata dalle firmatarie con Atto n. 4 - 03243 Pubblicato il 27 maggio 2010 Seduta n. 389. Sovraffollamento, scarsità di fondi per opere di manutenzione delle strutture e per acquistare beni anche di prima necessità, carenza di personale sia tra gli agenti di Polizia penitenziaria che tra educatori, psicologi, personale sanitario: la situazione appare insostenibile. Al Ministro si chiede, dunque, di riferire sui tre recenti decessi avvenuti nel Carcere di Ancona e sulle precise cause che li hanno provocati; di comunicare se sia a conoscenza delle problematiche del Carcere di Montacuto di Ancona, relativamente alla difficile situazione sanitaria, della carenza di personale e del suo grave sovraffollamento e di rendere note le iniziative programmate e che il governo intende assumere per risolvere tale complesso di problematiche. Giustizia: detenuto 32enne morì a Regina Coeli, indagati in sette tra medici e infermieri di Martina Di Berardino Il Messaggero, 26 ottobre 2010 Un altro Stefano Cucchi, forse. Perché morire a trentadue anni, in carcere, dopo aver perso 30 chili nel giro di pochi mesi ricorda il drammatico copione di una storia tristemente nota. Questa volta a morire è stato Simone La Penna, un ragazzo che era in arresto per detenzione di stupefacenti. E dietro la sua morte assurda emergono ancora errori ed imperizie imputabili ad alcuni sanitari che avrebbero dovuto vigilare sulla sua salute. È per questo che sotto il faro della Procura di Roma sono finiti adesso sette persone, tra medici ed infermieri del carcere di Regina Coeli, tutti indagati per omicidio colposo. Secondo gli inquirenti, alcuni di loro avrebbero scritto relazioni per il tribunale di Sorveglianza in cui attestavano che il giovane era compatibile con il regime carcerario. Altri non si sarebbero accorti che lentamente si stava spegnendo. Si chiamano Andrea F., Andrea S., Giuseppe T., Paolo P., Francesco P., Antonio C. e Domenico S. E in qualche modo sono chiamati in causa dalle 1800 pagine di relazione medica sulla morte di Simone La Penna firmata dai consulenti del pm Eugenio Albamonte. Che spiegano anche, scientificamente, le cause del decesso: arresto cardiaco provocato da uno squilibrio elettrolitico. Era il 27 gennaio 2009 quando Simone venne trasferito dalla sua abitazione presso la casa circondariale di Viterbo, per detenzione di stupefacenti. Le sue condizioni erano buone, anche se negli anni passati, dal 2003 al 2005, il giovane romano era stato curato presso l’ospedale Sandro Pertini perché soffriva di anoressia. Dopo un mese di detenzione, Simone La Penna iniziò a perdere velocemente peso; il vomito era ricorrente e le analisi indicavano degli squilibri nella presenza di potassio. Lo portarono nel reparto di medicina protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo dove grazie ad una terapia indovinata cominciò a dare segni di miglioramento. Ma non appena tornava in carcere, Simone ricominciava a vomitare e dimagrire, tanto che i consulenti del pm, nella relazione della Procura, parlano del sopraggiungere di uno stato di anoressia mentale. E così a causa di un peggioramento delle sue condizioni, l’8 giugno del 2009 venne trasferito presso il reparto medico del carcere di Regina Coeli. Qui lo stato di denutrizione di Simone La Penna precipitò in un mese, tanto da essere ricoverato il 27 luglio all’ospedale Sandro Pertini, dove restò due giorni per ricevere una terapia mirata. Fino a che, il 26 novembre, esattamente un anno fa, alle 8 di mattina due infermieri del carcere di Regina Coeli si ritrovarono a praticare le operazioni di rianimazione sul corpo di Simone La Penna, che dopo dieci minuti morì. In quel momento pesava 49 chili; e oggi il pm Albamonte si prepara a chiedere conto della sua morte ai medici che avrebbero dovuto segnalare le sue condizioni fisiche e mentali e non lo fecero. E anche a quelli che gli prescrissero medicinali che potevano salvarlo senza poi verificare che gli venissero somministrati davvero. Giustizia: la dolorosa vicenda di Stefano Cucchi non è bastata a cambiare il sistema di Massimo Martinelli Il Messaggero, 26 ottobre 2010 Ci eravamo illusi che la dolorosa vicenda di Stefano Cucchi sarebbe servita a qualcosa, Avevamo sperato che quel volto tumefatto, gli occhi semichiusi, il suo corpo martorialo sarebbero diventati un manifesto per ricordare e riaffermare con forza il diritto alla dignità personale di tutti coloro che temporaneamente perdono la libertà. Non sapevamo ancora che mentre Cucchi moriva, un altro ragazzo, Simone La Penna, suo coetaneo e con gli stessi problemi di assuefazione agli stupefacenti, stava percorrendo un calvario identico. Accompagnato dalla stessa indifferenza, dai medesimi errori, da un equivalente disinteresse degli uomini dello Stato che lo avevano preso in consegna. E che erano responsabili della sua salute. Le colpe di ognuno saranno valutate dai magistrati; ma un processo, una condanna, non potranno dare soluzione ad un problema di civiltà che continua a ripresentarsi con puntualità. Deve piuttosto diventare chiaro per tutti, a cominciare dai direttori delle carceri italiane, che chiunque si ritrovi limitato nella libertà personale non può mai essere privato della sua dignità personale e del diritto costituzionale alla salute. E che nessun sovraffollamento delle carceri, nessun vuoto in organico, nessuna rivendicazione sindacale possono giustificare gli errori, le omissioni, le arroganze, le superficialità che hanno drammaticamente segnato le morti di Simone La Penna, di Stefano Cucchi e dei tanti altri che, forse, non hanno avuto nemmeno la sorte di essere conosciuti dai nostri lettori. Giustizia: Moroni (Fli); magistratura chiarisca morte, che fine ha fatto il piano carceri? “La morte di Simone La Penna nel carcere di Regina Coeli, qualora la magistratura confermasse le ipotesi di accusa per medici e infermieri, sarebbe inaccettabile in uno stato che come il nostro si definisce civile”. Lo dichiara il vice capogruppo alla Camera di Futuro e Libertà per l’Italia, Chiara Moroni, che aggiunge: “Ci troviamo tutti d’accordo sul fatto che i colpevoli debbano scontare in carcere una pena certa, ma non possiamo trascurare che le condizioni delle carceri italiane siano pessime. “Le istituzioni hanno il dovere di intervenire affinché i detenuti possano espiare le loro colpe in strutture che assicurino loro non solo condizioni di vita migliori ma anche la rieducazione e il reinserimento in società. È arrivato il momento di rispolverare dal cassetto il piano carceri, tanto pubblicizzato dal governo e non ancora realizzato”, conclude il vice capogruppo di Fli. Giustizia: Staderini (Radicali); la morte di La Penna è un assassinio di Stato Il Velino, 26 ottobre 2010 “La morte di Simone La Penna è assassinio di Stato. Alle responsabilità individuali che saranno accertate dai magistrati, si sommano quelle di uno Stato che consapevolmente tiene 68 mila persone in celle che ne potrebbero ospitare 44 mila, privandoli di assistenza psicologica e di cure mediche adeguate, salvo riempirli di psicofarmaci. Ma il vero mandante, per Simone La Penna come per Stefano Cucchi, è quella politica criminogena che è il proibizionismo sulle droghe, che trasforma i consumatori in fuorilegge, i tossicodipendenti in criminali. Sono oltre 28 mila i detenuti per violazione della legge sugli stupefacenti, mentre 553 mila sono i consumatori che in questi anni hanno subito procedimenti amministrativi e penali per mera detenzione di droga. Occorre quanto prima superare il proibizionismo e abbattere i suoi costi sociali, civili e economici, tra i quali vanno ricomprese anche le torture cui sono costretti nelle carceri italiane detenuti e agenti penitenziari”. Lo dichiara Mario Staderini, Segretario di Radicali Italiani. Giustizia: caso Cucchi; pm chiede rinvio a giudizio imputati e condanna dirigente Prap Apcom, 26 ottobre 2010 “Disporre il rinvio a giudizio di tutti gli imputati e la condanna di Claudio Marchiandi a due anni di reclusione”. È stata questa la richiesta dei pubblici ministeri, Maria Francesca Loy e Vincenzo Barba, davanti al gup Rosalba Liso, rispetto al procedimento per la morte di Stefano Cucchi, il geometra 31enne deceduto il 22 ottobre 2009 all’ospedale Sandro Pertini, sei giorni dopo essere stato arrestato. Il giudice, che ha permesso l’accesso all’aula anche ai cronisti, ascolterà adesso gli interventi della parte civile e dei difensori. Sotto accusa ci sono 13 persone. Il rito ordinario è stato scelto da sei medici e tre infermieri dell’ospedale Sandro Pertini che ebbero in cura Cucchi, e tre agenti di polizia penitenziaria. Per quanto riguarda Claudio Marchiandi, il direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, che ha chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, i pm hanno sollecitato una condanna a due anni di reclusione. (segue) Lesioni aggravate, abuso di autorità nei confronti di arrestato, falso ideologico, abuso d’ufficio, abbandono di persona incapace, rifiuto in atti d’ufficio, favoreggiamento, omissione di referto, sono i reati contestati a seconda delle singole posizioni processuali. In particolare gli agenti penitenziari sono accusati, tra l’altro, di lesioni aggravate e di abuso d’autorità nei confronti di arrestati o detenuti per aver, secondo l’accusa, il 16 ottobre del 2009 picchiato Cucchi nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell’udienza di convalida. Medici e infermieri, in sostanza, per i magistrati avrebbero abbandonato il paziente “incapace di provvedere a se stesso”, omettendo anche “di adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza che nel caso di specie apparivano doverosi e tecnicamente di semplice esecuzione ed adottabilità e non comportavano particolari difficoltà di attuazione essendo per altro certamente idonei ad evitare il decesso di paziente”. Papà Stefano: ribadiremo richiesta nuova perizia “Il lavoro fatto dai pubblici ministeri noi lo apprezziamo. Certo è che ribadiamo e presenteremo alla prima udienza del processo la richiesta affinché venga effettuata una perizia definitiva per accertare le cause della morte di Stefano”. È quanto afferma Giovanni Cucchi, papà di Stefano, a margine dell’udienza nel processo che vede imputate tredici persone tra medici, infermieri e agenti penitenziari per la morte del giovane geometra romano. “Ci sono elementi determinanti e chiari - ha aggiunto - che a nostro parere indicano quel che è successo. Nella consulenza dei tecnici del pm non si legano i fatti l’uno all’altro. Non ci sono nessi causali, insomma. La frattura della vertebra L3 ha originato i problemi al midollo e la sostanziale immobilità. Bisogna ripartire dalla perizia - conclude - per valutare l’operato di chi è coinvolto in questa vicenda ed ha responsabilità nella morte di mio figlio”. Giustizia: corruzione nella PA; Italia al 67° posto, dopo il Ruanda e prima della Georgia Ansa, 26 ottobre 2010 L’Italia scende ancora nella classifica di Transparency International (Ti) sulla percezione della corruzione nella pubblica amministrazione. Quest’anno il Belpaese occupa il 67/o posto a livello mondiale con 3,9 punti, dopo il Ruanda (66/o posto, 4 punti) e solo un gradino sopra la Georgia (68/o posto, 3,8 punti). Rispetto al 2009, quando era 63/a con 4,3 punti, l’Italia perde così quattro posizioni. In testa alla graduatoria ci sono Danimarca, Nuova Zelanda e Singapore, tutte a 9,3 punti. Seguono Finlandia e Svezia (9,2 punti ciascuna) e Canada (8,9 punti). L’indice di Ti misura la percezione della corruzione che manager, imprenditori, uomini d’affari e analisti politici si fanno di un determinato Paese soprattutto sulla base di notizie dei media. La Somalia, con 1,1 punti, è in coda alla classifica di 178 paesi esaminati, preceduta da Afghanistan e Myammar (1,4 punti). Il punteggio dell’Italia “non sorprende più di tanto - ha commentato in un comunicato la sezione italiana di Transparency International - , in considerazione di dodici mesi passati caratterizzati dal riemergere di fatti corruttivi, o sospettati tali, a vari livelli di governo (locale, regionale, nazionale) e che ha visto coinvolti sia funzionari che esponenti politici di ogni schieramento”. Sardegna: con assestamento bilancio soldi per garantire l’assistenza sanitaria ai detenuti Ansa, 26 ottobre 2010 “Con l’assestamento di bilancio arriveranno i soldi per garantire l’assistenza sanitaria nelle carceri, almeno fino alla fine dell’anno. Si tratta di un atto di civiltà che la Giunta regionale non poteva disattendere”. Lo ha detto l’assessore regionale della Sanità, Antonello Liori, dopo le denunce di alcune associazioni che lamentavano l’interruzione del servizio di sanità penitenziaria. “Finora, non c’è stata alcuna inadempienza, né alcun ritardo da parte della Regione - ha aggiunto l’assessore Liori - perché ancora oggi l’assistenza è di competenza dello Stato. Considerata la difficile situazione, però, avevo promesso che mi sarei impegnato, come amministratore di buon senso, a reperire nelle pieghe del bilancio la somma necessaria di 500.000 euro. Grazie alla sensibilità dell’Esecutivo regionale ed alla collaborazione con il presidente Cappellacci e con l’assessore della Programmazione La Spisa posso comunicare che ci siamo riusciti. Poi, dal 2011 quando la sanità penitenziaria entrerà a pieno titolo nel Servizio sanitario regionale, sarà necessario organizzare il settore, ma soprattutto sarà importante sapere come lo Stato intende coprire economicamente questo nuova competenza assegnata all’Amministrazione regionale”. Sardegna: il Provveditore ripristina l’assistenza sanitaria negli istituti penitenziari L’Unione Sarda, 26 ottobre 2010 La Regione recupera 500 mila euro e il provveditore dell’amministrazione penitenziaria ripristina il servizio di sanità penitenziaria. Una disposizione, valida per tutti gli istituti di pena isolani, che annulla la drastica restrizione a prestazioni specialistiche, mediche e infermieristiche bloccate dal 7 ottobre per mancanza di fondi. Il finanziamento ha come obiettivo il ripristino dell’assistenza medica ai detenuti in attesa del passaggio di consegne della Sanità penitenziaria dallo Stato alle Asl. La lettera firmata dal provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Felice Bocchino è già nelle caselle di posta elettronica dei direttori degli istituti di pena e dei presidenti dei Tribunali di sorveglianza isolani. Nella circolare (20414) il responsabile del Dap dispone “con decorrenza immediata il ripristino dell’attività sanitaria secondo le modalità vigenti al primo gennaio 2010”. La decisione nasce da “una nota nella quale si evidenzia che il capo di gabinetto della Giunta ha manifestato la disponibilità della Giunta a stanziare 500 mila euro”. Un impegno che l’assessore regionale alla sanità Antonello Liori ha ribadito in un incontro con Bocchino. “Con l’assestamento di bilancio arriveranno i soldi per garantire l’assistenza sanitaria nelle carceri, almeno fino alla fine dell’anno. Si tratta di un atto di civiltà che la Giunta regionale non poteva disattendere”, ha precisato l’assessore Liori. “Finora, non c’è stata alcuna inadempienza, né alcun ritardo da parte della Regione, perché ancora oggi l’assistenza è di competenza dello Stato. Considerata la difficile situazione, però, siamo riusciti a reperire nelle pieghe del bilancio la somma necessaria di 500 mila euro. Poi, dal 2011 quando la Sanità penitenziaria entrerà a pieno titolo nel Servizio sanitario regionale - ha spiegato - sarà necessario organizzare il settore, ma soprattutto sarà importante sapere come lo Stato intenda coprire economicamente questa nuova competenza assegnata all’amministrazione regionale”. Nell’istituto di pena cagliaritano di Buoncammino verranno ripristinate le cure odontoiatriche, la fisioterapia, i servizi di radiologia, l’assistenza psichiatrica e i servizi infermieristici e di guardia medica. L’Aquila: detenuto 30enne morì in cella, medici indagati per omicidio colposo di Marcello Ianni Il Messaggero, 26 ottobre 2010 Arrestato per droga a Magliano dei Marsi nel 2008 era poi morto nel carcere dell’Aquila. Il giovane, Renato De Acutis, aveva 30 anni ed era di Roma. Il giovane si trovava in cella con un altro detenuto quando all’improvviso si sentì male. Verso le 5.30, si era alzato per andare in bagno. Poi il compagno di cella non lo aveva più sentito. Alle 7.30 lo trovarono agonizzante nel letto. Era intervenuta subito la guardia medica del carcere, fissa 24 ore su 24, che, notata la gravità delle condizioni del detenuto, aveva richiesto immediatamente l’intervento del 118, ma i medici non avevano potuto fare altro che constatarne la morte. Per i medici non vi erano dubbi: a stroncare il giovane era stato un improvviso malore. Non per i familiari del detenuto che avevano presentato un esposto alla procura della Repubblica dell’Aquila, chiedendo che sul caso fosse aperta un’inchiesta in quanto secondo loro la morte del ragazzo era da addebitarsi a un caso di malasanità, ovvero: i medici che lo avevano preso in cura non si erano adoperati nel giusto modo. In effetti, le indagini condotte dai Carabinieri della sezione di Polizia giudiziaria della Procura hanno in qualche modo avvalorato l’ipotesi dei familiari. Con l’accusa di omicidio colposo sono indagati i medici del carcere “Costarelle” di Preturo. Si tratta di Gregorio Marinelli di 54 anni di Coppito; Giuseppe Carducci di 49 anni; Gianni Paolo Consorte di 56 anni; Carlo Miccoli di 50 anni; Angelo Onorato di 52 anni; Maria Grazia Marinangeli di 47 anni; Mauro Daniele di 55 anni, tutti dell’Aquila; Gaetano Felli di 50 anni di Borgorose (Rieti) ma residente a Aosta; Roberto Loffredi di 45 anni di Roma e residente all’Aquila e, infine, Maria Guerrera di 58 anni di Caserta, residente a Scoppito. Per tutti l’accusa è di omicidio colposo per la morte di Renato De Acutis “il quale - come si legge nel dispositivo del pm - faceva ingresso in stato di custodia cautelare il 28 dicembre 2007 presso la casa circondariale dell’Aquila e decedeva sempre presso lo stesso istituto il giorno 15 gennaio 2008 alle ore 6.30 circa per arresto cardiorespiratorio presumibilmente riconducibile all’assunzione concomitante di farmaci e sostanze agenti sul sistema nervoso centrale. In particolare farmaci depressori quali il metadone, le benzodiazepine, il metamizolo e la prometazina. La cocaina verosimilmente assunta in tempi prossimi al decesso potrebbe aver compromesso ulteriormente gli effetti a carico del cuore”. Ieri mattina, in sede di incidente probatorio, il perito nominato dal Gip ha depositato la propria consulenza, confermando che a cagionare la morte del ragazzo è stata un’assunzione forte di cocaina, droga che potrebbe essere arrivata al detenuto in svariati modi. Su questo aspetto non è stata aperta alcuna indagine interna. Ora gli atti torneranno al pm titolare dell’inchiesta, Simonetta Ciccarelli, che potrebbe disporre l’archiviazione o la richiesta di rinvio a giudizio per i dieci indagati, assistiti dagli avvocati Cecchini, Bonanni, Rossi, Perilli, Farina, Di Giacomo. Renato De Acutis era stato arrestato per spaccio di droga insieme ad altri tre giovani dopo essere stati trovati dalla Compagnia delle Fiamme gialle dell’Aquila in possesso di 850 grammi di cocaina; droga che, immessa sul mercato, avrebbe fruttato un guadagno di circa 500 mila euro. L’arresto era avvenuto fuori il casello di Magliano dei Marsi nel corso di un controllo. A fiutare la droga il cane “Iaba” delle Fiamme gialle. Sulmona (Aq): detenuto appicca fuoco in cella, per l’ennesima volta sfiorata la tragedia Ansa, 26 ottobre 2010 Il nuovo episodio di violenza lo racconta Mauro Nardella, segretario provinciale Uil Penitenziari che assicura che “solo grazie al tempestivo intervento della Polizia penitenziaria si è evitato il peggio”. Un internato ieri ha appiccato il fuoco nella sua cella ed è stato salvato grazie alla solerzia del personale di polizia penitenziaria di stanza presso l’istituto di via Lamaccio. “Gli agenti”, racconta Nardella, “malgrado in sotto organico vista l’ora (era l’una di notte) non si è lasciato prendere dal panico e con prontezza è riuscito a salvare l’uomo e a domare un incendio che ha praticamente distrutto l’intera cella. Si è evitato, attraverso l’apertura delle finestre, che il fumo si propagasse per l’intera sezione”. “Intanto”, denuncia sempre il segretario, “aumentano in modo preoccupante in tutta Italia i casi di suicidio tra i poliziotti penitenziari”. L’ultimo caso si è verificato ieri. “Un assistente della polizia penitenziaria in servizio al nucleo traduzione e piantonamenti del carcere di Ferrara infatti si è tolto la vita con la pistola d’ordinanza, dopo aver sparato e ucciso con la stessa arma l’ex compagna”, denuncia il segretario della Uil. “Bisogna correre ai ripari ed evitare che nei prossimi anni questi casi ora isolati non diventino parte integrante di una strage. 35 anni da passare all’interno del carcere sono tanti. Il Governo deve rivedere la politica gestionale di questo Corpo di Polizia il quale, e bisogna sottolinearlo, dal 1995 sta vivendo un vero e proprio esperimento. Infatti fino al 1995 i poliziotti erano posti in quiescenza maturati 19 anni 6 mesi e un giorno. Prima di allora già si contavano a migliaia i casi di disagiati psichici vittime di un lavoro così usurante figuriamoci oggi dove da tempo gli anni in media passati all’interno delle carceri italiane per un poliziotto penitenziario ha superato di gran lunga il numero di 25. I poliziotti penitenziari sono allo cavie di un sistema che se non verrà modificato farà inevitabilmente altre vittime”. Fossombrone: (Pu): i lavori di ristrutturazione “urgenti” sono stati rinviati Corriere Adriatico, 26 ottobre 2010 Di questo passo che fine è riservata al carcere di Fossombrone? I lavori urgenti di ristrutturazione non sono iniziati. Il blocco è totale. La preoccupazione in forte aumento. Gli interventi immediati per il muro di cinta, è il caso di ribadire che il servizio di vigilanza viene svolto a terra e non più sui tradizionali camminamenti, che dovevamo essere effettuati direttamente in economia il provveditorato regionale li ha rimessi al ministero. Tradotto in parole povere vuol dire che a questo punto serve una mobilitazione forte di tutti gli organi istituzionali locali, provinciali e regionali. Non ha torto chi chiede un tavolo permanente perché le esperienze passate non sono consolanti a Fossombrone. Bisogna ribadire per l’ennesima volta che non c’è solo il problema del tetto del braccio di ponente, ma la vecchia chiesa inutilizzata dal cornicione pericolante il che ha comportato la chiusura di un passeggio, la questione della nuova cucina che non viene avanti danneggiando la funzionalità della caserma interna degli agenti di polizia penitenziaria. L’alloggio riservato al direttore è impraticabile ragione per cui nessuno sceglie questo carcere mentre si sa bene quanto sia importante avere un direttore in loco. Una vicenda che più tempo passa più evidenzia particolari impressionanti. Torino: agente con problemi psichiatrici; gli ritirano la pistola e lui minaccia il suicidio di Lorenza Pleuteri La Repubblica, 26 ottobre 2010 Un anno di assenza per malattia, per problemi psichiatrici, quelli che gli specialisti inquadrano nei “disturbi della personalità”. I colloqui terapeutici al Centro di salute mentale di Rivoli, con il rifiuto di prendere farmaci, per il timore di perdere il posto. “Voglio tornare a fare il mio lavoro in carcere - era il suo chiodo fisso - è la cosa alla quale tengo di più, la cosa che so fare”. Poi la concessione della piena idoneità al servizio, porto d’ armi compreso, data dalla Commissione medica ospedaliera di Milano, dove si era presentato scortato da uno psichiatra e da un avvocato. E il rientro alle Vallette, turno 18 - 24, addetto all’ accompagnamento dei detenuti semiliberi. Ma giovedì sera alle otto e mezzo qualcosa è scattato di nuovo nella testa di Antonio M., l’ agente della polizia penitenziaria ritenuto guarito, da un mese tornato al Lorusso e Cutugno con la Beretta calibro 9 nella fondina. Per più di mezz’ ora il quarantenne in divisa è rimasto sull’ attenti, fermo sotto le bandiere all’ ingresso dell’ istituto. Immobile. Senza motivo. Senza senso.I colleghi, conoscendolo, si sono preoccupati. La semiautomatica a portata di mano. Il timore di altri comportamenti strani. Il rischio di gesti incontrollabili. Con una scusa lo hanno chiamato all’ interno della terza caserma, sede del nucleo traduzioni e piantonamenti, e, come da regolamento, gli hanno fatto depositare l’ arma in un armadietto della portineria. All’ uscita, con un altro pretesto, non gliel’ hanno restituita. Antonio M. l’ ha presa malissimo. Si è barricato dentro la sua Punto, nel posteggio del carcere, e ha chiamato i carabinieri raccontando di aver avuto una lite con un superiore. Poi ha minacciato, per ore, di togliersi la vita. Non aveva più un’ arma da fuoco. Avrebbe potuto usare un cacciavite, un oggetto, la macchina stessa, lanciata contro la recinzione. Al carcere, lui sempre chiuso nell’ abitacolo, sono arrivate gazzelle, ambulanze, vigili del fuoco. È stata chiamata la moglie, sono accorsi i genitori. Parlargli a lungo - l’ allarme è cessato dopo le 2 di notte - non è bastato. I pompieri sono stati costretti a forzare il nottolino della vettura per permettere l’ intervento del personale sanitario. Il poliziotto penitenziario è stato sedato e trasportato al Maria Vittoria, ricoverato lì in “trattamento sanitario obbligatorio”, in attesa che a Rivoli si trovi un posto nel reparto psichiatrico e si riprenda il percorso da lui interrotto un mese fa. “Aveva promesso di continuare a venire per le sedute, non si è più fatto vedere”. Ha riavuto il posto, ha riavuto la pistola, sembrava tutto risolto. “Alla fine - sdrammatizzano dal carcere, dopo la nottata di tensione e preoccupazione - nessuno si è fatto male”. “Non ho nulla da dire - è il solo commento del direttore, Pietro Buffa - e comunque si tratta di una questione personale”. Sarà. Ma dallo stesso Lorusso e Cutugno, 1.680 detenuti che con gli agenti sono ogni giorno a stretto e obbligato contatto, centinaia di operatori e di poliziotti stremati, viene posta una domanda: “Perché è stato dichiarato idoneo al servizio e alle armi un poliziotto penitenziario con problemi psichiatrici, evidentemente non risolti del tutto, anziché spostarlo nei ruoli civili?”. Criminalità: nessun nesso tra aumento degli stranieri e aumento delle denunce Immigrazione: Dossier Caritas; tasso criminalità dei regolari uguale a quello degli italiani Redattore Sociale, 26 ottobre 2010 Tra il 2007 e il 2009 calano del 13,5% le denunce nei confronti degli immigrati (regolari e non): nello stesso periodo gli stranieri residenti crescono del 25%. Non vi è correlazione tra l’aumento delle presenze di cittadini stranieri in Italia e l’aumento delle denunce penali a loro carico. È quanto emerge dal ventesimo Dossier Immigrazione di Caritas - Migrantes, che viene presentato questa mattina a Roma. I dati delle denunce presentate all’autorità giudiziaria forniti dal ministero dell’Interno - si legge nel Dossier - mostrano chiaramente che negli ultimi due anni il numero di denunce nei confronti di cittadini stranieri è diminuito, sia in termini assoluti che relativi (299.874 nel 2007, 297.708 nel 2008 e 259.434 nel 2009). La flessione complessiva nel periodo è stata, dunque, del 13,5% a fronte di un aumento degli stranieri residenti di quasi il 25%. Un dato particolarmente significativo - si legge ancora nel Dossier - anche perché nel numero complessivo delle denunce sono inclusi sia gli irregolari sia gli altri stranieri presenti sul territorio, compresi quelli temporaneamente presenti in Italia per turismo o per affari. Diminuisce, inoltre, l’incidenza delle denunce nei confronti di stranieri sul totale di quelle verso autore noto (da 35,5% del 2007 a 31,7% del 2009). Un andamento, quest’ultimo, che si manifesta nelle diverse zone geografiche, anche se nel Nord il numero delle denunce verso stranieri è aumentato tra il 2007 e il 2008, per poi diminuire nettamente l’anno successivo. Quanto al tasso di criminalità degli stranieri in posizione regolare, il Dossier ancora una volta ricorda che risulta sostanzialmente simile a quello degli italiani. Immigrazione: Vitali (Pdl); gli stranieri sono 1/3 dei detenuti... il problema sicurezza c’è Asca, 26 ottobre 2010 “In Italia abbiamo circa 70 mila detenuti e un terzo di questi sono extracomunitari. Se ci sono 50 mila italiani su una popolazione complessiva di 60 milioni e 20 mila stranieri su una popolazione di circa 5 milioni, c’è qualcosa che non va ed è anche una questione di sicurezza”. Così Luigi Vitali, deputato del Pdl e presidente della delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, ha commentato il “XX Rapporto sull’immigrazione. Dossier statistico 2010” messo a punto da Caritas Migrantes, a margine della presentazione del Convegno internazionale su “Storia e attualità della Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” nel sessantesimo anniversario della firma a Roma, che si terrà il 3 novembre a Palazzo Barberini. E in merito all’accoglienza auspicata proprio nel dossier Caritas, Vitali ha sottolineato: “Per quanto riguarda l’accoglienza, da una parte ci sono i rifugiati che devono essere accolti obbligatoriamente, un’altra cosa però è il fenomeno che vede dei disperati che arrivano qui cui bisogna garantire una casa e un posto di lavoro per altro in una situazione economica come la nostra che non è rosea”. Immigrazione: niente espulsione per gli irregolari che hanno figli minorenni in Italia di Caterina Pasolini La Repubblica, 26 ottobre 2010 Niente foglio di via o rimpatrio anche se sono immigrati irregolari e hanno compiuto reati. Niente espulsione per gli stranieri con figli se questa rischia di provocare danni psicologici e traumi nei bambini. Lo ha stabilito la Cassazione perché le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, non devono essere loro a pagare lo scotto dei comportamenti degli adulti ritrovandosi abbandonati o sradicati dalle loro abitudini, strappati al paese dove stanno crescendo. E così tra il difendere i minori e la gestione delle frontiere, pur tenendo presente l’esigenza di protezione della sicurezza interna, per la Suprema Corte passano prima i più piccoli. Almeno temporaneamente. La Cassazione ha infatti accolto il ricorso di una signora africana, madre di tre figli residenti a Perugia in affido part rime ad una famiglia umbra, condannata anche in Appello per sfruttamento della prostituzione e raggiunta per questo da foglio di via. Un caso complesso - anche perché i ragazzi erano stati dati in affido proprio perii comportamento della donna che però negli ultimi tempi ha mantenuto contatti e relazioni affettive con i piccoli - e che proprio per questo motivo è stato valutato dalle Sezioni Unite. C’era contrasto infatti sulla tutela da offrire ai minori che non possono andarci di mezzo, ma nemmeno essere usati da chi vuole guadagnarsi tramite loro il diritto illimitato a rimanere. E così ora, vista la nuova sentenza, i giudici umbri dovranno rivalutare la loro decisione nei confronti della donna considerando anche il possibile danno psicologico che dal suo espatrio, dal suo allontanamento definitivo, deriverebbe ai ragazzi. La sentenza è stata accolta con favore da Save the children e definita storica da Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci. “Perché mettere chiarezza e viene dopo una di marzo che faceva prevalere l’interesse del Paese e della gestione delle frontiere su quello del minore. Questa invece rimette le cose a posto fa prevalere l’interesse del bambino, un principio su cui si basa la giurisprudenza italiana ma anche quella straniera, nonché la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo”. Ma ecco nel dettaglio le motivazioni che hanno spinto la suprema corte ad accogliere il ricorso della madre. Secondo la Cassazione i gravi motivi che, in base alle norme sull’immigrazione, consentono la temporanea autorizzazione del genitore con foglio di via a rimanere in Italia, debbono essere interpretati in maniera elastica. Non solo applicati a situazioni di emergenza contingenti ed eccezionali legati a problemi di salute. Ma a qualsiasi circostanza che rischi di provocare “un danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psicofisico derivi o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto”. Germania: maggior parte dei detenuti in carcere per pene brevi ma non c’è affollamento di Roberto Giardina Italia Oggi, 26 ottobre 2010 Per la costruzione di un nuovo carcere in Germania sarebbero volate bustarelle. Ma la notizia, per un italiano, non è questa. I tedeschi non sono onesti come vorrebbero i luoghi comuni; però, rispetto agli italiani, sono ancora amateur, dilettanti. Il futuro carcere è riservato alle pene brevi, anche di qualche giorno. I responsabili si preoccupano che un cittadino non proprio integerrimo, ma non un serial killer, finisca in cella insieme con un delinquente professionista. Se il vostro vicino di casa, a Roma o a Milano, suona il tamburo in piena notte, non avete scampo. Meglio traslocare. A Berlino, o altrove, chiamate la polizia e gli agenti arrivano nel giro d’un quarto d’ora. La prima volta ammoniscono il maniaco, la seconda volta lo multano, la terza la cifra raddoppia. E se lui insiste, prima o poi, finisce condannato a un paio di giorni di carcere, o una settimana. Dato che a nessuno fa piacere un soggiorno in cella, vi lascerà dormire in pace. Si finisce in galera per una multa non pagata, per guida senza patente, e anche per aver evaso il fisco (se si esagera). Una notizia che mette sotto una luce diversa il paragone, fatto in Italia, con quanto avviene all’estero. Si ritorna a dire che le carceri sono insufficienti, si vorrebbero condonare le pene lievi, si chiede un’amnistia e si denuncia che quasi il 50% dei detenuti sarebbe ancora in attesa di giudizio. In Germania la percentuale è del 15,2%. Un dato che andrebbe spiegato. La percentuale è meno di un terzo rispetto all’Italia non perché in Germania siano più buonisti. Al contrario: i processi sono rapidi, e si finisce presto assolti o condannati. E chi fa appello, attenderà la nuova sentenza in galera. Inoltre il giudice può decidere che il colpevole non debba usufruire di sconti e abbuoni vari. Come è stato per il caso di Herr Sgarbi, il playboy svizzero che ricattava Susanne Klatten, lady Bmw. Sconterà i suoi cinque anni fino all’ultimo giorno, nello stesso penitenziario dove finì Hitler negli anni ‘20. Non occorre condannare a 18 anni perché se ne passino un paio al massimo dietro le sbarre. Certamente le carceri tedesche sono più accoglienti di quelle italiane e, comunque, non assomigliano a un hotel a due stelle. I tedeschi già importano la spazzatura dall’Italia; forse potrebbero accogliere (a pagamento) anche i detenuti. Costruirebbero nuove carceri, e magari intascherebbero qualche mazzetta sottobanco. Ma nessuno è perfetto. Cuba: imprenditore italiano in carcere ha fatto testamento; mi lascio morire in cella Gazzetta di Modena, 26 ottobre 2010 Angelo Malavasi ha deciso di morire. In uno degli ultimi messaggi fatti arrivare in Italia dal carcere di Cuba dove è detenuto da mesi, ha fatto sapere di avere fatto testamento. “Meglio morire che restare qui, in queste condizioni”. Uno sciopero della fame che esprime la drammaticità di una situazione che sembra finora inestricabile, nonostante l’attenzione del personale diplomatico dell’ambasciata italiana cui è consentito saltuariamente di rendere visita all’imprenditore 40enne, arrestato con altri italiani e cubani in una operazione di polizia che resta ancora oscura. Almeno in Italia, almeno a sentire le poche telefonate e a leggere le poche lettere che il malcapitato mirandolese è riuscito a consegnare al personale diplomatico. Il tutto mentre su Facebook si stanno mobilitando gli amici di Angelo, che hanno costituito un gruppo per chiederne la liberazione. Nel frattempo un parlamentare italiano, Pietro Marzaccan, ha presentato una interrogazione al Ministro degli esteri, Frattini. “Premesso che il 14 giugno Malavasi è stato arrestato nella città di Bayamo dalla polizia cubana e che dopo circa 40 giorni di carcere scontati a Granma è stato trasferito presso il carcere de “La Condesa” nei pressi de L’Avana - scrive l’onorevole nell’interrogazione - le accuse formulate a suo carico sarebbero pesantissime. Si parla di spaccio di droga, corruzione ed omicidio: se confermate, sarebbero sanzionate con pene durissime”. “La famiglia del Malavasi è stata avvertita il 23 luglio tramite l’ambasciata italiana a Cuba, informata dal Ministero degli esteri. Solo in data 16 agosto - incalza l’interrogazione - è stato permesso all’ambasciata di fare una visita consolare al Malavasi”. Il parlamentare dell’Udc fa notare quanto scritto da Angelo nelle sue lettere, ovvero che “oggi dopo 4 mesi di prigionia, non conosce ancora esattamente le accuse che gli vengono mosse né la propria posizione e sembrerebbe che il suo legale non possa accedere agli atti o avere puntuali e ufficiali informazioni circa la posizione del suo assistito”. In attesa del processo - precisa l’interrogazione - il Malavasi non può contare su una adeguata assistenza legale e sanitaria. Peggio: “Nell’ultima telefonata ai genitori, Angelo avrebbe detto: “Ho fatto testamento, preferisco morire che rimanere qua da innocente”, rivela Marzaccan, che chiede a Frattini di “attivare ogni utile canale istituzionale volto a chiarire l’esatta posizione del Malavasi, che si ritiene vittima di una situazione rispetto alla quale ha sempre dichiarato una totale estraneità, e a fornire tutta l’assistenza legale e sanitaria che necessita”. Malavasi a Mirandola si era fatto un nome come riparatore di orologi. Dopo una esperienza professionale a Roma, aveva conosciuto una ragazza cubana, durante i suoi viaggi in Sudamerica. Trascorreva molto tempo a Bayamo dove contava di rifarsi una vita. Stati Uniti: al momento dell’esecuzione dubbi sul farmaco letale, pena di morte sospesa Ansa, 26 ottobre 2010 È accaduto in Arizona. Le autorità di Phoenix si sono rifiutate di divulgare la provenienza del preparato che sarebbe stato impiegato per “giustiziare”, tramite iniezione letale, Jeffrey Landrigan, 48 anni, condannato per omicidio L’impiego di un farmaco sconosciuto ha indotto un giudice federale a bloccare in Arizona un’esecuzione. Le autorità di Phoenix, infatti, si sono rifiutate di divulgare la provenienza del preparato che sarebbe stato impiegato per “giustiziare”, tramite iniezione letale, Jeffrey Landrigan, 48 anni condannato alla pena capitale per un omicidio del 1989. L’esecuzione avrebbe dovuto essere eseguita questa mattina. Nonostante la Hospira, il solo produttore dell’anestetico (il tiopental sodico) utilizzato per le esecuzioni negli Stati Uniti fosse a corto di scorte (non ne sarà disponibile alcuna dose fino al primo trimestre del 2011), l’Arizona aveva annunciato il 30 settembre di essersi procurata una quantità sufficiente per eseguire la condanna di Landrigan. Il giudice Roslyn Silver ha accolto la richiesta di sospensione dell’esecuzione avanzata dai legali dell’uomo secondo cui l’uso di un preparato ignoto avrebbe potuto causare sofferenze atroci al loro assistito. Le autorità statali avevano rifiutato di fornire precise risposte, precisando che si trattava di un prodotto importato, forse non in linea con le norme americane. Gran Bretagna: nelle tecniche di interrogatorio dell’esercito detenuti denudati e umiliati Ansa, 26 ottobre 2010 Umiliati, denudati e minacciati: così devono essere trattati i detenuti secondo le tecniche di interrogatorio impartite dall’esercito britannico. A rivelarlo è il quotidiano britannico The Guardian, che ammonisce sul rischio che queste tecniche siano in aperta violazione delle convenzioni di Ginevra sui prigionieri. In una scheda datata settembre 2005, destinata a quanti vengono addestrati per gli interrogatori dei detenuti, si sottolinea che i prigionieri dovrebbero essere denudati prima di essere interrogati: “Denudateli, teneteli senza abiti se non rispondono ai comandi”. In un’altra, stilata più o meno nello stesso periodo, si suggerisce anche di bendare il detenuto per metterlo sotto pressione. In un manuale datato aprile 2008, continua il quotidiano, si afferma che i prigionieri devono essere intimiditi e tenuti in condizioni di grande disagio fisico. In altre schede più recenti si suggerisce anche l’uso di manette di plastica e di bende e si afferma che i detenuti dovrebbero dormire o riposare otto ore ogni 24, garantendo loro solo quattro ore di riposo indisturbato. Le convenzioni di Ginevra vietano ogni “coercizione fisica o morale”, in particolare per ottenere informazioni. L’esistenza di questi manuali viene svelata solo pochi giorni dopo la diffusione, da parte di Wikileaks, di documenti riservati in cui si riferisce di torture, esecuzioni sommarie e crimini di guerra commessi durante la guerra in Iraq. Santo Domingo: detenuti usati come “bersagli” e picchiati con mazze da baseball Ansa, 26 ottobre 2010 Già in passato se ne era parlato. Ma adesso ecco la prova in un video. Prigionieri colpiti con pezzi di legno trasformati in mazze da baseball, immagini che arrivano dalla Repubblica Dominicana, pubblicate su Liveleak. I secondini colpiscono ripetutamente e con violenza i detenuti, nudi, costretti a subire, trasformati in bersagli umani mentre i loro carcerieri ridono divertiti. Immagini shock, riprese probabilmente con un telefonino, anche se non è chiaro esattamente quando siano state girate. D’altronde già da qualche anno si parla di torture nelle carceri dominicane, indiscrezioni che, ora lo sappiamo, erano più che fondate.