Giustizia: così i reati più piccoli fanno esplodere le carceri italiane di Enrico Bellavia e Piero Colaprico La Repubblica, 22 ottobre 2010 C’è chi viene arrestato per aver rubato una lattina di birra e chi per aver buttato segatura in un cassonetto. In cella meno di 48 ore, in condizioni disperate. Quattro detenuti su 10 non hanno precedenti penali. A chi serve il “carcere breve”? Chi si ricorda l’indulto? Quanto costa questa macchina infernale? E quali sono i rimedi proposti dal governo per uscire dall’incubo della bolgia? A ognuno di noi sembra molto ma molto difficile, se ci si comporta più o meno bene, entrare in carcere, in questa Italia. Anzi sembra che nei duecento “istituti di pena” non ci entri nemmeno chi “se lo merita”. Ma non è così. Dall’Unità d’Italia a oggi, nei 170 anni di storia italiana, non si sono mai registrati così tanti detenuti nelle nostre carceri. L’ultimo conteggio ufficiale del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, parla di 68.527 detenuti (ma sarebbero già 69.500), tra i quali 3mila donne. Di queste, sessantuno hanno i figli in cella. Rispetto ai 44.568 posti effettivamente disponibili, i detenuti sono circa 25mila in più. Un terzo non è nato da noi: sono stranieri, con in testa marocchini e algerini, due terzi dei detenuti sono italiani. Da dove nascono le cifre del record? Per quale “irragionevole ragione” la popolazione carceraria è così alta, appena quattro anni dopo l’indulto voluto dall’allora ministro Clemente Mastella? E se i reati, come assicura il ministero degli Interni Roberto Maroni, sono “complessivamente in calo”, com’è possibile un incremento così ansiogeno? Le porte girevoli In televisione “passano” gli arresti dei latitanti, quest’ondata infinita di catture improvvise, che sommerge boss e gregari anzianotti, reduci dei vecchi eserciti mafiosi in rotta. Ma nelle celle vanno ben altri. Per esempio, ci va un calciatore, delle giovanili della Juventus. E perché? Nella Chivasso dell’ultimo ferragosto incrocia una pattuglia dei vigili e vola qualche parola di troppo. E anche se l’arresto per resistenza a pubblico ufficiale è facoltativo, D. B., classe 1988, finisce dentro. Due giorni alle Vallette, sulle brandine sovraffollate, per ricomparire in tribunale il 16 agosto. Con il suo taglio di capelli scolpito, il fisico perfetto e la maglietta alla moda spicca tra gli stranieri e i “borderline” delle direttissime: viene scarcerato, ma due giorni se li è fatti. Cambiamo regione e professione: Felice e Salvatore sono due operai di Bagheria, hanno 28 anni, non hanno mai avuto un guaio con la giustizia, finché un giorno buttano in un cassonetto della segatura di legno. Lo avevano sempre fatto, alla fine del turno in falegnameria. Ma era appena cambiata la norma, rimasero tre giorni dentro. Qualche anno fa, e ancora ne ridono, entrò a San Vittore un diciottenne che non s’era fermato all’alt nella zona della stazione Centrale ed era scappato con lo skate - board. E a Reggio Emilia, solo quindici giorni fa, è stato messo in cella uno che aveva rubato una lattina di birra. É il reato che manco si sa di commettere a rendere il carcere una bolgia. Sono soprattutto i “pesci piccoli” - questa è la gran verità, omessa nei discorsi ufficiali sulla sicurezza e la giustizia - che rendono le carceri simili a una tonnara nei giorni della mattanza. E chi si occupa di detenuti accusa del disastro soprattutto le “porte girevoli”: è stato ribattezzato in questo modo il vortice d’ingressi (che si potrebbero evitare) e di repentine uscite. Come il calciatore, i falegnami e il ladro della lattina. I “nuovi rei”, ossia le persone che entrano in carcere per la prima volta, sono 32mila. Uomini e donne, con famiglie, con affetti, che vengono presi, perquisiti, spogliati, che ricevono dalla polizia penitenziaria gli “effetti letterecci” per dormire sulle brande. Vengono infilati in celle già affollatissime e ci restano, con le nuove, sconosciute e obbligatorie compagnie, non si sa quanto gradevoli, per quarantotto ore. E poi, ancora sporchi dell’inchiostro delle impronte digitali all’ufficio matricola, e con le stringhe da allacciare, ricevono tanti saluti: possono tornare a casa. In Lombardia, il provveditore regionale Luigi Pagano ha calcolato che, nelle due principali case circondariali, Milano e Brescia, la percentuale dei detenuti che “esce nel giro di una settimana varia dal cinquanta al sessanta per cento. A volte arriva uno alle 12 e alle 14 esce”. Mentre il nostro governo si dedica anima e corpo al cosiddetto lodo Alfano e al “processo breve”, a chi e a che cosa serve questo “carcere breve”? Non c’è una risposta che sia una. Ma è stato calcolato che quattro persone comuni su dieci, la cui fedina penale era pulita, e che se la potevano cavare con una denuncia a piede libero, incontrano il sistema penale italiano: meglio, ci sbattono contro. Una parte molto cospicua di questo “entra ed esci” riguarda quelli che vengono anche definiti “reati apparenti”, e cioè reati in cui manca la vittima. È il reato principe degli immigrati clandestini, come Frank: era un habitué dei portici di Palermo, ha collezionato un arresto ogni due settimane per mesi (“non ottemperava al decreto d’espulsione”) fino a quando è riuscito a far perdere le proprie tracce. Quello cui si sta assistendo - parlano i fatti - è un “repulisti” di poveracci, di stranieri e di tossici, messi nella “discarica” del carcere (sono tutte parole pronunciate nei convegni). Se questo può forse corrispondere a una precisa logica “d’ordine” (ordine almeno apparente, da immagine televisiva e non da strada), il problema non cambia. Il reato piccolo piccolo è in agguato per chiunque: Antonio è un odontotecnico, è stato accusato di un furto di corrente elettrica, si era dichiarato innocente, ma non ha avuto possibilità di difesa, giacché il tecnico dell’Enel aveva portato via il contatore. Quattro giorni di prigione e poi via di corsa a patteggiare, “pur di tornarmene fuori”, dice. Qual è la “colpa principale” per quasi la stragrande maggioranza dei detenuti italiani? Sono i “reati contro il patrimonio”: furti e borseggi. Poi c’è il piccolo spaccio. Molto impegnati nel “turn over” della giustizia sono i tossicomani, arrestati per possesso di droga sul cui uso, personale o per vendita, deve pronunziarsi il magistrato. Ben il 30 per cento dei detenuti è consumatore di droga (e molti sono affetti da epatite C) e dovreste stare in comunità (ma non c’è posto). Per omissione di soccorso, ingiuria e diffamazione finisce dentro il 15 per cento. In fondo alla classifica dei detenuti, ecco i responsabili di reati contro la pubblica amministrazione (3,4) e contro l’amministrazione della giustizia (2,9%). Le misure della tortura E i “cattivi” veri? A conti fatti, solo tre detenuti su dieci - attenzione - si sono macchiati o sono sospettati di crimini violenti. Più paradossale il tema dei “mafiosi in galera”: intere fette di territorio sono in mano ai clan, ma in carcere non arrivano a seimila detenuti. E, tra questi, è il 10 per cento che sconta il famoso o famigerato 41 bis, ossia il carcere durissimo. Quanti? Presto detto: 267 camorristi, 210 esponenti di Cosa nostra, 114 affiliati alla ‘ndrangheta. Una goccia nel mare. Vale la pena di ricordare che era il 2006 e con l’indulto avvenne “l’esodo dei 23mila”. Ma adesso “tutte le Regioni italiane hanno abbondantemente superato la capienza regolamentare”, come denuncia il sindacato di Polizia penitenziaria Sappe. Al Nord non si sta meglio che al Sud. Il top? È in Emilia Romagna: capienza totale 2393, numero dei reclusi oltre 4.400. “In percentuale è il 198 per cento, un dato cronico e destinato a superare ogni limite in Italia”, dice Franco Maisto, presidente del tribunale di Sorveglianza di Bologna. “Siamo in un frenetico e imperdonabile immobilismo, “si fa si fa”, dicono, e non si fa mai niente in nessuna direzione. Né aumentano i posti letto, né esce la gente”. “Detenuto in attesa di giudizio” è il titolo di un vecchio film, con Alberto Sordi protagonista. Raccontava di un innocente che finiva in carcere. Negli anni dell’inchiesta milanese “Mani pulite”, quando a entrare in cella erano politici, finanzieri, imprenditori, molti giuravano: “Mai più, bisogna cambiare le carceri”. Comunque la si pensi sul “pugno duro”, sul “giustizialismo” o sul “garantismo”, il dato è angoscioso: il 43 per cento degli attuali detenuti è in attesa di giudizio. Dietro le sbarre, dove qualche gangster resiste ancora, e non mancano i balordi, tra tossici e clandestini, gravitano oggi 30mila detenuti senza una condanna definitiva. E - attenzione - la metà di questi “non definitivi”, e dunque almeno quindicimila, sarà - la stima è dell’associazione Ristretti Orizzonti - assolta. In Europa, siamo un caso unico. È grazie a questo paranoico stato delle cose che in cento posti - branda sono ammassate - per statistica - 152 persone. Soltanto in Bulgaria il tasso di affollamento delle carceri è maggiore (155), mentre la media europea è di 107 detenuti ogni 100 posti. I letti a castello arrivano a tre, quattro piani, la testa di chi dorme è a 50 centimetri dal soffitto. Spesso lo spazio vitale del detenuto è molto al di sotto dello standard dei 3 metri quadrati che sono “la misura della tortura”. Il coefficiente, in molte carceri dell’Italia del G8, è del 2,66 periodico: un coefficiente accettabile solo tra innamorati. Caltagirone, in provincia di Catania, è al primo posto per l’indice di sovraffollamento: ospita 302 persone invece delle 75 previste. Lo segue un altro carcere siciliano, Mistretta (Messina), con l’indice al 175 per cento. E la Uil penitenziari fa notare anche il caso di Busto Arsizio (Varese), non enorme, ma con gli arresti dell’aeroporto internazionale della Malpensa, “è pieno come un uovo”. Si sta un po’ più larghi a Poggioreale: il carcere di Napoli ha una capienza di 1.658 persone, è arrivato a 2.801, numero che lo rende in termini assoluti quello più popolato d’Europa. Sommando tutti i numeri dei detenuti europei, fa effetto scoprire che uno su quattro si trova in Italia. L’exploit dei costi Ma quanto costa questa macchina infernale? E che rimedi propongono dal governo? Ogni detenuto costa allo Stato come se alloggiasse in un hotel quattro stelle: 113,04 euro. È questa la cifra media che il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, indica come costo giornaliero di un detenuto. In totale fanno 2,7 miliardi di euro. La cifra, non certo bassa, viene considerata ben al di sotto del necessario dagli operatori. L’associazione Antigone, che oggi diffonderà un suo dossier sulle carceri, ha calcolato che se si arrivasse alla cifra dei 44 mila detenuti previsti nelle tabelle, si risparmierebbero 1,5 miliardi di euro. Non mancano neppure sprechi “classici”: come le nuove manette acquistate in confezione da cinque per le quali però, stando a un sindacato, ci sono solo due coppie di chiavi. Gli agenti sono 39mila contro i 45 mila dell’organico. E seimila assenze pesano: nella sezione femminile del carcere pesarese Villa Fastiggi hanno dovuto lavorare anche agenti maschi, con sconcerto generale. Anche perché, nel gennaio scorso, il ministro Angiolino Alfano, in un incontro con i sindacati della polizia penitenziaria, aveva rassicurato tutti. Come? Annunciando diciotto nuove carceri, di cui dieci “flessibili”. E garantendo - parole sue - le “tanto agognate 2mila unità”. Risultato reale? Zero. Ma questo di Silvio Berlusconi non era il “governo del fare”? Un altro anno galeotto sta finendo, e tra due mesi scade anche il decreto ministeriale che aveva nominato commissario straordinario Francesco Ionta. I “Baschi azzurri” della polizia penitenziaria fanno le scorte. Ma - chiedono da qualche tempo - ha senso organizzare trasferte “di almeno tre uomini” non per i mafiosi, ma per chi sta per essere rilasciato? “Partiamo in tre con il cellulare - è il racconto concreto - per trasportare in un’altra regione qualcuno che va ai domiciliari, lo salutiamo e lo lasciamo libero anche... di evadere”, protestano. È anche successo che, durante un trasferimento, il furgone cellulare si sia fermato: siccome si taglia su tutto, nel serbatoio non c’era più benzina. Giustizia: da Stefano Cucchi a tutti gli altri, presentato il Rapporto sulle carceri di Antigone Redattore Sociale, 22 ottobre 2010 Utilizzo dei fondi della Cassa delle Ammende, effetti della legge Fini Giovanardi, Ospedali psichiatrici giudiziari: tanti i temi i caldi affrontati dal settimo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Si intitola “Da Stefano Cucchi a tutti gli altri. Un anno di vita nelle carceri italiane” il settimo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia dell’associazione Antigone, presentato questa mattina a Roma. Molti i temi trattati, a partire proprio dalla tragedia del geometra trentunenne morto in carcere a cui si accompagna una rassegna dei suicidi e degli altri eventi critici verificatisi nelle prigioni italiane. Nel Rapporto si trova poi un capitolo sull’evoluzione dell’esecuzione penale negli ultimi venti anni in Italia e un approfondimento sulla riforma della sanità penitenziaria, avviata nell’aprile del 2008 e ancora in fase di transizione. Un altro capitolo è dedicato, invece, al tema degli Ospedali psichiatrici giudiziari, recentemente oggetto di visite da parte del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia del sistema sanitario nazionale. Non manca una riflessione sugli effetti che la legge Fini - Giovanardi ha avuto sulla presenza nelle carceri dei tossicodipendenti, che attualmente rappresentano circa il 30% della popolazione detenuta. Un altro capitolo è dedicato alla destinazione di un’ampia quota dei fondi della Cassa delle Ammende, destinati al finanziamento di attività riabilitative, a due enti entrambi siciliani, uno dei quali viene definito dai curatori del Rapporto pressoché “sconosciuto agli addetti ai lavori da tempo impegnati nel campo”. Tra i temi caldi affrontati nel Rapporto vi sono anche l’inasprimento del regime speciale dell’art.41 bis e lo stato dei diritti nelle carceri italiane, analizzato attraverso una disamina delle recenti posizioni assunte dagli organi giurisdizionali italiani ed europei e del ruolo del garante per i diritti dei detenuti. “Le carceri sono fuorilegge” è invece il titolo di un’iniziativa che Antigone ha realizzato attraverso un ciclo di visite negli istituti penitenziari svolte tra giugno e luglio 2010: da queste visite sono emerse una serie di violazione di diritti socio - sanitari, che hanno successivamente costituito l’oggetto di una serie di esposti ai sindaci. Presenti, infine, alcuni focus sulle condizioni di detenzione all’interno degli istituti in Veneto, Emilia Romagna e Basilicata. In Italia quasi un detenuto su due non ha una condanna definitiva Rapporto Antigone: 68.527 i detenuti nei 206 istituti penitenziari contro 44.612 posti letto regolamentari. 28.154 i detenuti che hanno violato la legge sulle droghe. 463 gli over70. Solo 1 su 500 delinque durante le misure alternative. Sono 206 gli istituti penitenziari italiani, per un totale di 44.612 i posti letto regolamentari e 68.527 detenuti. La fotografia del sistema carcerario italiano arriva dall’Associazione Antigone, che questa mattina a Roma presenta il settimo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia realizzato anche grazie al contributi di 37 volontari che hanno visitato numerosi istituti penitenziari sparsi su tutta la Penisola. Stando ai dati presenti nel Rapporto, dunque, il nostro Paese detiene il record europeo per presenza di imputati nelle carceri, ben il 43,7%, mentre quelli in attesa di primo giudizio sono 15.233. Attualmente poi il 4,35% della popolazione carceraria è costituita da donne e il 2,6% da internati. Sono invece 57 i bambini sotto i tre anni che vivono in carcere con le loro madri e 11 le donne in gravidanza. Diciotto sono, invece, gli asili nido funzionanti e 22.675 i detenuti che hanno figli fuori dal carcere. Altri numeri del sistema penitenziario italiani riguardano i semiliberi (877), le persone in affidamento in prova (7.800) e le persone in detenzione domiciliare (4.692). Mentre le persone che hanno commesso un reato durante le misure alternative sono lo 0,23% del totale, sostanzialmente 1 su 500. Inoltre sono 5.726 i detenuti italiani e solo 71 quelli stranieri imputati o condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso. Mentre i detenuti che hanno commesso violazioni della legge sulle droghe sono 28.154 e quelli che devono scontare una pena inferiore a un anno 11.601. Di questi la metà sono stranieri. Gli ergastolani italiani sono invece 1.437, contro soli 54 ergastolani stranieri. Quanto al livello di istruzione, i dati presentati questa mattina dall’Associazione Antigone parlano di 930 detenuti analfabeti, 2.342 privi di titolo di studio, 9.197 che hanno finito la sola scuola elementare e 595 laureati. In carcere ci sono anche i giovani e gli anziani: sono infatti 463 gli ultrasettantenni e 7.311 i detenuti con meno di 25 anni. Sul fronte dei costi, poi, 113 euro è il costo medio giornaliero di un detenuto e 7,36 euro il costo medio giornaliero di un detenuto per il suo mantenimento (pasti, igiene e trattamento rieducativo). Nel 2009 le morti in carcere sono state 113 di cui 72 suicidi, 18 da accertare, 22 per mal Antigone: crollano gli ingressi in carcere negli ultimi tre mesi Nei primi sei mesi del 2010 i detenuti sono aumentati di 3.647 unità per un totale di 607 reclusi al mese. Negli ultimi tre mesi la crescita è stata di appena 269 unità. L’associazione: “Meno arresti perché non ci sono più posti”. Crescono di meno rispetto ai ritmi sostenuti dei mesi precedenti i detenuti nelle carceri italiane. Stando ai dati diffusi questa mattina da Antigone, nel 2008 i reclusi sono cresciuti di 5.503 unità, nel 2009 di 6.664. L’aumento prosegue nei primi sei mesi del 2010, quando si registrano 3.647 unità in più, di cui 899 stranieri. Un forte rallentamento di nota però negli ultimi tre mesi del 2010, con un aumento di appena 269 unità, tra cui 198 stranieri, che rappresentano comunque i 4/5 della crescita totale. Scendendo nel dettaglio, nel 2008 i detenuti sono cresciuti di 458 unità al mese, nel 2009 l’incremento è stato di 555 detenuti al mese e nel primo semestre 2010 di 607 detenuti al mese. Nell’ultimo trimestre, invece, l’aumento è stato di sole 89 unità al mese. Anche la crescita dei detenuti stranieri ha subito un rallentamento nell’ultimo trimestre. Questi sono cresciuti di 1.525 unità nel 2000 (127 nuovi stranieri al mese), di 3.310 unità nel 2008 (275 al mese), di 2.505 nel 2009 (208 al mese) e di 899 unità nel primo semestre 2010 (149 al mese). Nell’ultimo trimestre, però, l’incremento è stato solo di 198 unità, per un totale di soli 66 nuovi stranieri al mese. “La sorpresa dell’ultimo trimestre non è dovuta a una modifica delle leggi, ma al fatto che i poliziotti arrestano di meno perché non ci sono più posti” è il commento di Antigone. Antigone: in carcere un solo operatore sociale ogni 60 detenuti Un magistrato di sorveglianza devo occuparsi di quasi 400 detenuti per un totale di circa 4 mila procedimenti l’anno da smaltire. In servizio un poliziotto ogni due detenuti. Sono 178 i magistrati di sorveglianza in Italia contro un organico di 204. Lo rende noto l’Associazione Antigone che oggi ha presentato il suo settimo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Ogni magistrato, in media, deve occuparsi di 394 detenuti. E posto che ogni detenuto, in media, presenta dieci domande l’anno (tra misure alternative, reclami, liberazioni anticipate e ricoveri), ogni giudice si trova a smaltire circa 4 mila procedimenti, per un totale ipotetico di 10 al giorno, festivi compresi. La pianta organica della Polizia penitenziaria prevede, invece, un organico di 38.965 uomini e 3.303 donne, per un totale complessivo di 42.268 unità. Ma alla data attuale vi sono solo 34.165 uomini e 3.183 donne, che tutti insieme fanno 37.348 unità. Sommando quelli in esecuzione interna e quelli in affidamento e semilibertà, vi è un poliziotto ogni due detenuti da cui bisogna però sottrarre il personale non in servizio attivo pari a 2.794 uomini e 315 donne, per un totale di 3.109 unità. Risultano quindi in servizio 31.371 uomini e 2.868 donne, per un insieme di 34.239 unità. La pianta organica ministeriale prevede, infine, 1.331 educatori e 1.507 assistenti sociali. Ma al 1 settembre 2010 risultavano in servizio 1.031 educatori e 1.105 assistenti sociali, vale a dire circa 1 operatore ogni sessanta detenuti. Antigone: meno meridionali e più “padani” in cella Due terzi della crescita negli ultimi dieci anni dovuta agli straneri (25.164), il restante terzo ai settentrionali (Veneto escluso). Crollano le presenze di pugliesi, campani, calabresi, siciliani, sardi. Aumentano moltissimo emiliani e toscani. Secondo i dati diffusi questa mattina dall’Associazione Antigone, i detenuti ristretti nelle 206 carceri italiane sono 68.527, di cui 25.164 stranieri. Nel 2000, invece, erano 52.784, di cui 14.057 stranieri. In 10 anni, dunque, detenuti italiani e detenuti straneri sono cresciuti rispettivamente di 15.743 e 11.107 unità. I due terzi della crescita della popolazione reclusa è stata quindi determinata dagli stranieri che - secondo l’Associazione Antigone - finiscono in carcere soprattutto per via delle leggi che puniscono l’inottemperanza dell’obbligo di espulsione e prevedono aggravi di pena per i recidivi. Nel solo 2009 gli stranieri sono cresciuti di 1.351 unità. Scendendo nei particolari, attualmente sono presenti 5.330 detenuti marocchini contro i 3.096 nel 2000, 3.045 romeni (529 nel 2000) e 3.225 tunisini (2.148 nel 2000). Sono, invece, cresciuti di poco gli albanesi, mentre gli algerini sono rimasti numericamente gli stessi. Se i due terzi della crescita dei reclusi dal 2000 al 2009 è determinato dagli stranieri, l’altro terzo è dovuto invece ai detenuti nati nel Nord Italia. In particolare, dai dati diffusi questa mattina da Antigone emerge che nelle carceri italiane aumentano i padani (tranne i veneti che restano stabili) e crollano le presenze dei meridionali. I detenuti di origine settentrionale sono 9.782, quasi il 15% del totale e il 25% degli italiani in galera. Nella storia penitenziaria italiana non sono mai stati così tanti. Nel 2001, infatti, i reclusi nati in Lombardia erano poco più di un terzo rispetto a quelli nati in Campania, oggi sono pochi di meno: 4.843 contro 6.510. I detenuti del Centro Italia sono 9.291, i detenuti del Sud e delle isole 17.612. Il Centro - Nord ha quindi più detenuti del Sud. Crollano le presenze di detenuti pugliesi, campani, calabresi, siciliani, sardi, mentre crescono moltissimo i detenuti emiliani e toscani. In particolare - precisa Antigone - si regista un drastico calo dei detenuti provenienti dalle quattro regioni del Sud più a rischio di presenza di criminalità organizzata: Campania, Sicilia, Puglia e Calabria. Esse producono 17.439 detenuti, il 25% del totale. Ma nel 2001 i reclusi originari di queste regioni erano addirittura 25.668, ossia poco meno del 50% del totale, stranieri compresi. Violenze sessuali sui detenuti: la denuncia di Antigone Da Belluno a Frosinone, da Genova a Milano fino a Lecce, sono vari i casi di violenza sessuale nei confronti dei detenuti. Non mancano gli abusi sui minori. Da Belluno a Frosinone, da Genova a Milano fino a Lecce, sono vari i casi di violenza sessuale nei confronti dei detenuti documentati dall’Associazione Antigone, che questa mattina ha presentato a Roma il settimo Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia. Nella casa circondariale di Belluno un agente di polizia penitenziaria è indagato per violenza sessuale ai danni di un detenuto transessuale. I fatti sarebbero avvenuti nel giugno del 2009, quando l’agente avrebbe costretto l’uomo a un rapporto orale. La vittima avrebbe consegnato alla Procura un campione del liquido seminale conseguente all’atto sessuale. Ad oggi si attende il responso peritale. Continua il processo contro un agente di polizia penitenziaria, due funzionari e il vice direttore della casa circondariale di Frosinone imputati di violenza sessuale ai danni di un detenuto omosessuale e di omissione di atti di ufficio. I fatti risalgono al 2006. Ad oggi, si attendono ulteriori ed eventuali sviluppi. Ad aprile 2010 è iniziato il processo contro il direttore del carcere di Pontedecimo (Genova) imputato di violenza sessuale continuata e aggravata, concussione per motivi di ordine sessuale, induzione alla calunnia e falso. Secondo l’accusa, il direttore del carcere era solito concedere benefici in cambio di favori sessuali. Ad oggi si attendono ulteriori sviluppi. Un agente di polizia penitenziaria operativo nel carcere di San Vittore a Milano è indagato per violenza sessuale (reiterata) ai danni di un detenuto transessuale. I fatti (quattro episodi) sarebbero avvenuti tra i mesi di giugno e settembre del 2008. Ad oggi si attendono ulteriori sviluppi. Non mancano le violenze nei confronti di minori. Prosegue il processo contro nove agenti del carcere minorile di Lecce per abusi su minori e violenze. Secondo la magistratura, all’interno della struttura si sarebbe creata, dal 2003 al 2005, una pseudo associazione di intenti finalizzata a sopprimere con la violenza qualsiasi cenno di dissenso, tanto dei reclusi quanto del personale operante all’interno della struttura stessa. Giustizia: in Sicilia la metà dei fondi erogati dalla Cassa delle ammende tra il 2009 e il 2010 Redattore Sociale, 22 ottobre 2010 La denuncia di Antigone: “La Sicilia è l’unica regione in cui vengono finanziati progetti il cui capofila non appartiene alla Amministrazione penitenziaria”. L’utilizzo del fondo della Cassa Ammende al centro di uno dei capitoli del settimo Rapporto dell’Associazione Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia, presentato questa mattina a Roma. Il fondo le cui risorse derivano direttamente dalle ammende pagate dai condannati è da sempre destinato al finanziamento di programmi che attuano interventi di assistenza economica in favore delle famiglie di detenuti ed internati, nonché di programmi che tendono a favorire il reinserimento. Ma nel 2008 - si legge nel Rapporto - il governo, con il decreto “mille proroghe”, oltre a introdurre un gettone di presenza per i componenti degli organi della Cassa delle Ammende (si tratta dei massimi vertici del Dap), che in base al regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario dovrebbero prestare “la loro opera gratuitamente”, include tra i possibili usi dei fondi della Cassa l’edilizia penitenziaria. I soldi della cassa delle ammende andranno a finanziare il piano carceri. Ma non finisce qui perché - si legge ancora nel Rapporto - nel biennio 2009/2010 sono stati finanziati 20 progetti, per un ammontare complessivo di 17.380.594 euro. Se si tolgono i finanziamenti all’edilizia penitenziaria, che ammontano complessivamente a 1.172.022 euro, il finanziamento medio per ogni progetto è di 853.000 euro. Si tratta di progetti di varia natura - precisa Antigone - che hanno però sempre come capofila l’Amministrazione penitenziaria (singoli istituti, Uepe, direzioni dello stesso Dap, ecc.). Ma ci sono due eccezioni. La prima è l’Agenzia nazionale reinserimento al lavoro (Anrel), promossa dalla Fondazione Monsignor F. di Vincenzo di Enna, finanziata con 4.804.000 euro e gestita dal Movimento del Rinnovamento nello Spirito Santo, un soggetto che il Rapporto definisce “praticamente sconosciuto in ambito penitenziario” e che “ad oggi ha al proprio attivo un l’inserimento di soli 12 detenuti”. C’è poi il progetto “Luce e libertà”, proposto dalla Usl n. 5 di Messina e finanziato con 3.894.886 euro per sostenere un percorso di formazione e inserimento a favore di 56 internati in Ospedale psichiatrico giudiziario. Questo il commento dell’Associazione: “La Sicilia, unica regione in cui vengono finanziati progetti il cui capofila non appartiene alla Amministrazione penitenziaria, incassa così con questi due progetti 8.698.886 euro, la metà esatta di quanto erogato dalla Cassa Ammende tra il 2009 e il 2010. La strada individuata dal ministro Alfano è dunque quella di una eccellenza tutta siciliana sulla quale il Dap sembra pronto a scommettere o, almeno, a scommettere i pochi soldi per il reinserimento dei detenuti”. Giustizia: Gonnella; per limitare sovraffollamento indicazioni di non procedere ad arresti Redattore Sociale, 22 ottobre 2010 Per il presidente di Antigone tre le grandi anomalie: alta percentuale di detenuti in attesa di giudizio, alta presenza di stranieri e presenza di tossicodipendenti doppia rispetto alla media europea “I tassi di crescita dei detenuti sono stati pericolosamente alti nei primi mesi dell’anno. Negli ultimi tre mesi c’è stato invece un rallentamento della crescita. Dalle periferie d’Italia ci segnalano che ci sono state indicazioni di non procedere agli arresti”. Così Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, in occasione della presentazione del settimo Rapporto nazionale sulle condizioni dei detenuti, che si è svolta questa mattina a Roma proprio nel giorno dell’anniversario della morte di Stefano Cucchi. “Per tutto il 2008, il 2009 e i primi sei mesi del 2010 si è registrata una crescita di detenuti tra le 500 e le 600 unità al mese - ha precisato Gonnella - . Tra luglio, agosto e settembre le presenze sono però cresciute di circa 80 unità al mese e questo è accaduto in un periodo estivo in cui solitamente la crescita è più alta”. Secondo il presidente di Antigone il calo non è casuale: “Sappiamo che in molte città si sono riuniti i comitati per l’ordine pubblico e la sicurezza, dove le autorità penitenziarie con un grande senso di responsabilità hanno affermato che non ci sono più posti”. Intrattenendosi con i giornalisti Gonnella ha parlato anche di quelle che ha definito come “le tre anomalie italiane”. Si tratta dell’”alta percentuale di detenuti in attesa di giudizio”, della “presenza di tossicodipendenti doppia rispetto alla media europea” e della “presenza di stranieri quasi doppia rispetto alla media europea”. Tre poi i reati maggiormente responsabili del sovraffollamento: “la violazione della legge sugli stupefacenti, la violazione delle leggi sull’immigrazioni e i reati contro il patrimonio”. Quanto alle possibili soluzioni rispetto al problema del sovraffollamento Gonnella ha parlato di misure alternative, ma non solo. “Ci vuole coraggio - ha detto - questa è una fase politica in cui ci vuole coraggio”, evitando di “alimentare paure che non esistono”. “Alcune grandi questioni come quelle delle droghe e dell’immigrazione devono essere trattate con strumenti diversificati - ha concluso - . Bisogna anche costruire le carceri, nessuno dice di no, ma bisogna farlo sapendo che non è la soluzione del problema. È una soluzione parziale del problema”. Giustizia: Ferrante (Pd), per ridurre sovraffollamento puntare di più su misure alternative Ansa, 22 ottobre 2010 I penitenziari italiani sono in grandissima parte fuori legge per via degli aspetti socio sanitari, con un rapporto tra detenuti e posti letto che vede l’Italia in Europa seconda solo alla Bulgaria. Ad un anno dall’approvazione del Piano carceri del Governo e dalla previsione del ministro Alfano di edificare 18 nuove carceri pressoché nulla è cambiato, e anzi molti istituti di pena sono sempre più simili ad una Cayenna. Il governo prenda coscienza della situazione gravissima e riconosca che l’unica exit strategy è il ricorso ampio alle pene alternative. Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante, a conclusione della presentazione del rapporto sulle carceri italiane dell’associazione Antigone. Le misure alternative funzionano: un detenuto che sconta l’intera pena in carcere diventa recidivo nel 68% dei casi, un detenuto che fruisce di misura alternativa diventa recidivo nel 28% dei casi. Sarebbe poi interessante sapere che fine ha fatto il progetto del braccialetto elettronico, mezzo utilizzato nel resto d’Europa che, peraltro, costa allo Stato italiano ben 110 milioni di euro per dieci anni di contratto con la Telecom. Braccialetti di cui, secondo il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, risulterebbero essercene circa 400 inutilizzati presso il Ministero dell’Interno, conclude Ferrante. Giustizia: Rita Bernardini; malati psichici il 15% dei detenuti Redattore Sociale, 22 ottobre 2010 La senatrice radicale interviene alla presentazione del rapporto di Antigone. “Il 70% dei detenuti sono stranieri, tossicodipendenti e malati psichiatrici”. Il 15% delle persone detenuti in carcere sono malati psichiatrici. Lo ha detto stamattina Rita Bernardini, senatrice radicale, intervenendo a Roma alla presentazione del settimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia dell’associazione Antigone,”Da Stefano Cucchi a tutti gli altri. Un anno di vita nelle carceri italiane”. “Nelle carceri italiane - ha aggiunto - il 70% dei detenuti sono stranieri, tossicodipendenti e malati psichiatrici. Il 15%, in base ai dati diffusi dall’amministrazione penitenziaria sono malati psichiatrici”. Giustizia: Radicali; proposta Lega sul “carcere duro” nel segno di ideologia e propaganda Ristretti Orizzonti, 22 ottobre 2010 Dichiarazione di Irene Testa Segretario dell’Ass. Il Detenuto Ignoto e dell’avvocato Alessandro Gerardi di Radicali Italiani: “La proposta di legge presentata dalla Lega Nord volta ad estendere l’ambito di applicazione del cosiddetto “carcere duro” anche nei confronti di chi commette omicidi efferati rappresenta una offesa alla Costituzione e ai principi più elementari di umanità e dignità che dovrebbero regolare la detenzione carceraria in uno stato democratico, tanto più ove si consideri che essa si applica indifferentemente a detenuti in espiazione di una pena definitiva come a quelli in attesa di giudizio, e dunque assistiti dalla presunzione costituzionale di non colpevolezza. Questa iniziativa della Lega Nord, frutto di conformismo prima ancora che di radicata convinzione, rende ancora più necessario ed urgente diffondere con ogni mezzo una informazione completa e dettagliata sulla realtà applicativa del carcere duro, oramai assurto a moderno e legalizzato strumento di tortura, per evidenziarne ad un tempo la profonda disumanità e la sostanziale inutilità. Vogliamo sperare che, oltre ai deputati e senatori radicali, anche i parlamentari appartenenti agli altri gruppi politici vogliano opporsi alla retorica conformista e consociativa che vorrebbe rafforzare la assurda perpetuazione nel nostro sistema penitenziario di questo incivile istituto”. Giustizia: Renato Curcio; regime del 41-bis pensato con stessa razionalità lager Ansa, 22 ottobre 2010 “Il 41 bis è un istituto pensato razionalmente, con una razionalità straordinaria, come lo erano i campi di concentramento”. Lo ha detto Renato Curcio, direttore editoriale della cooperativa Sensibili alle Foglie, e fondatore delle Brigate Rosse, in un convegno sulla tortura nelle carceri italiane, organizzato dalla Federazione della Sinistra - Verdi. “Vincolando un tipo di carcerazione alla collaborazione con un magistrato - ha proseguito - dicendo che si esce di lì solo se si collabora, allora noi valutiamo la razionalità o meno di quell’istituto sulla base dei risultati: e visto che il 25% almeno delle persone che finiscono lì alla fine collabora, possiamo dire che quella istituzione è razionalissima, soddisfa le esigenze per cui è stata messa in piedi”. Secondo Curcio “ci deve preoccupare il fatto che oggi si chieda a qualcuno, nell’indifferenza generale, anche delle organizzazioni cattoliche e di sinistra, che si chieda a qualcuno di collaborare per uscire da una situazione di detenzione. Questo non ha nulla a che vedere con l’idea di pena, siamo proprio su un altro pianeta. C’è qualcuno che ha ucciso, rubato, saccheggiato e che viene punito in base al codice per ciò che ha fatto; qui c’è qualcuno che indipendentemente da ciò che ha fatto, per l’etichetta che ha sulla testa, viene messo in una istituzione particolare in cui gli viene detto ora per uscire di qui collabori. Questa è la tortura”. Per la situazione globale delle carceri italiane, ha detto Curcio, “non stiamo parlando di tortura, stiamo parlando di un’istituzione omicida per vocazione, che brutalizza le persone che ci sono dentro, né più né meno dei lavoratori precari, o dei lavoratori buttati fuori dal mondo del lavoro da un giorno all’altro”. Giustizia: Fp-Cgil; il 28 ottobre Polizia penitenziaria in piazza contro il sovraffollamento Apcom, 22 ottobre 2010 Il 28 Ottobre la Fp-Cgil sarà in Piazza Montecitorio a Roma, a partire dalle ore 10,00, e contestualmente in sit-in davanti a tutte le Prefetture d’Italia, per denunciare l’emergenza umanitaria vissuta nelle carceri italiane, le pesanti condizioni di lavoro degli operatori e lanciare 10 proposte per affrontare la crisi. Monteremo in piazza tre celle per testimoniare visivamente il dramma della vita in carcere e per cercare di rompere il silenzio delle istituzioni. All’iniziativa, intitolata “le carceri esplodono, noi le portiamo in piazza. 10 proposte per uscire dall’emergenza”, oltre agli operatori, ai delegati dell’Fp - Cgil e a quanti in queste ore stanno facendo pervenire la loro adesione, prenderanno parte, tra gli altri: Rossana Dettori, Segretaria Generale dell’Fp - Cgil Nazionale, Patrizio Gonnella, Presidente dell’Associazione Antigone, esponenti del mondo politico, dell’associazionismo, del volontariato. Giustizia: giornata dedicata alla memoria di Stefano Cucchi, un anno dopo la sua morte di Dina Galano Terra, 22 ottobre 2010 Una giornata dedicata alla memoria di Stefano Cucchi nell’anniversario della sua uccisione, ma anche a tutti gli altri. Alle “morti sospette”, alle cause “naturali” non meglio chiarite di decesso in carcere, alle malattie “fulminanti”. I familiari del giovane geometra deceduto a soli sei giorni dall’arresto per detenzione di stupefacenti, scelgono oggi di condividere la ricorrenza con rappresentanti delle istituzioni, della società civile, del giornalismo perché, ha spiegato il padre di Stefano, Giovanni, “il nostro caso appartiene a questa società”. “Per evitare che questo possa ancora accadere” è scritto sulla locandina che scandisce gli appuntamenti: una messa in suffragio, una rappresentazione teatrale, un dibattito aperto a partire dal libro scritto da Ilaria Cucchi “Vorrei dirti che non eri solo” (edizioni Rizzoli). Con l’udienza di martedì scorso in cui il Gup Rosalba Liso ha respinto la richiesta della parte civile di una nuova perizia sul corpo del giovane, la famiglia ha subito l’ultima offesa. “La Procura ha manifestato segnali di insofferenza nei nostri confronti che ci hanno veramente umiliato”, ha dichiarato il padre alla vigilia dell’anniversario. “Pretendiamo la stessa chiarezza e la stessa onestà - ha aggiunto con cui noi stiamo cercando di affrontare questa doloroso dramma che ci è capitato”. Restituire dignità a Stefano, ripete la famiglia. Alla sua vicenda e a quella delle altre “morti di carcere” è dedicato l’annuale rapporto dell’associazione Antigone sulle condizioni di detenzione in Italia. Un dossier la cui pubblicazione è stata fatta coincidere con l’anniversario di oggi perché, si spiega nell’introduzione, “si descrivono alcune delle condizioni che hanno reso possibile la tragedia di una persona fragile. in quel momento pressoché indifesa, uccisa mentre era nelle mani dello Stato che dovrebbe avere come obiettivo irrinunciabile la garanzia della sicurezza dei suoi cittadini”. Nella ricostruzione di un anno dietro le sbarre, Antigone si affida agli interventi di parlamentari che finora hanno tentato di portare in Aula il tema del sovraffollamento carcerario e dell’eccessivo ricorso alla reclusione. Dalla radicale Rita Bernardini al democratico Guido Melis senza trascurare membri della maggioranza come il deputato Fli Flavia Perina, né delle forze politiche extraparlamentari di Sel e Prc. A caratterizzare l’anno trascorso in carcere, secondo il dossier, gli “indurimenti delle leggi penali e delle pratiche di polizia”, ma anche interventi legislativi come l’approvazione del pacchetto sicurezza dell’agosto 2009. Le carceri sono sempre più piene, sfiorano le 70mila presenze; mentre continuano le pressioni politiche per irrigidire ulteriormente le condizioni di detenzione. L’ultima proposta, a firma Lega Nord, vorrebbe estendere il regime del 41bis ai casi di omicidio particolarmente efferati, “delitti odiosi” da punire col carcere duro. In controtendenza con il crescente allarme sociale, Antigone rende la fotografia di un sistema allo stremo che necessita di trovare alternative alla cella chiusa. Giustizia: Alemanno; si faccia chiarezza sulla morte di Stefano Adnkronos, 22 ottobre 2010 È estremamente grave che ad un anno dalla morte di Cucchi non ci sia ancora una verità. Sono molto colpito da queste morti che avvengono quando una persona si trova nelle mani di funzionari della Pubblica amministrazione. Lo ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno, al termine di un convegno svoltosi questa mattina all’Auditorium dell’Ara Pacis in riferimento al caso di Stefano Cucchi, il ragazzo romano morto un anno fa mentre era detenuto dalla polizia. “Ci vuole chiarezza - ha proseguito il sindaco - altrimenti non c’è credibilità da parte degli apparati dello Stato. Credo che tutti gli uomini onesti delle Forze dell’ordine, che sono la stragrande maggioranza, debbano essere i primi a pretendere la verità in questi casi, per evitare che ci siano tentativi di strumentalizzazione che possano gettare discredito su queste importantissime istituzioni. Da sindaco di Roma - ha concluso Alemanno - ancora una volta sollecito affinché sia fatta chiarezza ed esprimo massima solidarietà alla famiglia di Stefano nella sua battaglia. Giustizia: Ilaria Cucchi; il nostro solo torto è denunciare la realtà Redattore Sociale, 22 ottobre 2010 Un anno fa moriva Stefano Cucchi, la sorella alla presentazione del rapporto Antigone: “La gente deve sapere, questo è la sola cosa che ci ha aiutato ad andare avanti”. “Un anno fa mio fratello moriva e oggi si sta dicendo che nei sotterranei di quel tribunale non è successo nulla”. Ilaria Cucchi è intervenuta stamattina a Roma alla presentazione del settimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia dell’associazione Antigone,”Da Stefano Cucchi a tutti gli altri. Un anno di vita nelle carceri italiane”. “Oggi veniamo accusati per esserci rivolti ai mezzi d’informazione e per aver denunciato pubblicamente”, ha detto. “Veniamo umiliati e feriti in aula”, ha aggiunto sottolineando che “accusa e difesa sono coalizzate contro di noi”. “Oggi il pm si sente sotto pressione - ha proseguito - ma cosa ci possiamo fare?”. La sorella di Stefano Cucchi ha poi denunciato che “oggi si vuol negare la realtà” e che “il nostro solo torto è denunciare la realtà”. “La gente deve sapere, - ha concluso - questo è la sola cosa che ci ha aiutato ad andare avanti”. Giustizia: secondo la Cassazione la custodia cautelare non si addice ai bulli di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 22 ottobre 2010 Comportarsi da bulli non significa automaticamente essere socialmente pericolosi tanto da meritarsi la carcerazione preventiva. La seconda sezione penale della Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 22286 del 30 settembre 2010 ha sostenuto che non vi sia sempre necessità della custodia cautelare per neutralizzare ragazzi resisi responsabili di odiosi episodi di bullismo. La Corte ha annullato l’ordinanza del Tribunale dei minorenni di Potenza che lo scorso maggio aveva accolto l’appello del Pm contro il provvedimento del Gip contrario alla misura cautelare detentiva. Il Tribunale potentino, a dire dei giudici della Cassazione, non ha adeguatamente motivato il provvedimento restrittivo. È stato riscontrato un vizio di motivazione apparente. Non sarebbe stata per nulla indagata la possibilità di adottare misure cautelari diverse e meno gravose per i ragazzi imputati. Si desume dalla sentenza che, ogniqualvolta si tratti di fatti che riguardano minorenni, andrebbe sempre condotta una specifica indagine - nel caso in esame non effettuata - su quali sarebbero gli effetti di altre misure cautelari sull’allontanamento dei ragazzi “bulli” dall’ambiente scolastico e su quale potrebbe essere il pericolo concreto di reiterazione di condotte criminose. Mandare in galera due ragazzi - seppur violenti e bulli - potrebbe infatti risultare eccessivo. Rinchiudendoli in un istituto penale per minori li si etichetta, e forse li si fa diventare ancora più pericolosi e violenti. Gli episodi di bullismo, si deduce dall’argomentare dei giudici, richiedono una valutazione non solo di politica criminale ma anche di ordine sociale e pedagogico. Valutazioni assenti nelle decisioni dei giudici lucani nonostante essi avessero ammesso che “dopo l’intervento della Polizia il comportamento scolastico dei due indagati era cambiato come rilevato dalla relazione della dirigente scolastica e dagli operatori dell’azienda sanitaria”. Va specificato che il reato di bullismo non esiste. La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, due anni addietro, con sentenza n.19070 del 2008 aveva configurato il bullismo come una aggravante per futili motivi che andava ad appesantire la contestazione per il reato di lesioni personali. Il codice penale prevede numerose fattispecie di reato contestabili a chi si rende responsabile di episodi di bullismo: percosse (art. 581 codice penale), lesioni (art. 582 e seguenti), danneggiamento (art. 635), ingiuria e diffamazione (art. 594 e 595), minaccia (art. 612), molestia o disturbo alle persone (art. 660). La seconda sezione penale della Cassazione (tra l’altro composta dai giudici Piercamillo Davigo e Giuseppe Bronzini) con la sentenza suggerita dal giudice relatore Domenico Gallo ha giustamente evitato di avallare decisioni giudiziarie che rispondono solo ai bisogni di rassicurazione simbolica della collettività (nel caso in esame della comunità scolastica). Il collegio giudicante ha inteso dare un segnale di coesione sociale. Contro i peggiori bulli di quartiere deve essere sempre adottata una strategia inclusiva e non stigmatizzante. D’altronde le statistiche confermano che il carcere è un luogo di costruzione della recidiva. Il 70% di chi vi sconta per intero la pena ricommette, all’uscita, un nuovo reato. Le percentuali si abbattono (scendono al 20% circa) per chi, invece, durante la esecuzione della pena usufruisce di misure alternative alla detenzione. Tutto ciò ha un valore ancora più grande quando si parla di ragazzi minorenni per i quali il codice di procedura penale minorile considera il carcere una extrema ratio. Lettere: i conflitti sociali non si risolvono con la legge penale e con il carcere di Samuele Ciambriello (Antigone Campania) Roma, 22 ottobre 2010 Ogni anno in Campania seimila ragazzi dai 14 ai 18 anni rinunciando all’obbligo scolastico, ricevono una denuncia penale e amministrativa e molti entrano nelle carceri minorili e nelle comunità di accoglienza. Personalmente credo che una società che giudica un minore e lo metta in carcere sia una società malata che sta giudicando se stessa e la propria malattia. Il tema “la legge è uguale per tutti” è interessante, stimolante e, per certi versi, scandaloso. Presuppone una risposta, una verità che io non ho. Mi sembra opportuno partire dalle parole di Piero Calamandrei quando dice che “la legge è uguale per tutti” è “una bella frase che rincuora il povero quando la vede scritta sopra la testa di un giudice sulla parete dell’aula giudiziaria. Ma poi quando si accorge che per invocare l’eguaglianza della legge a sua difesa è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa, una beffa alla sua miseria”. Dopo che in Parlamento è stato approvato l’indulto, molti politici si sono dissociati, ma nessuno ha parlato della vera amnistia mascherata: la prescrizione, un’amnistia adatta soprattutto per i ricchi che hanno i soldi per pagare i grandi avvocati. Mai come in questo periodo il carcere attraversa una fase di crisi. Una crisi riconosciuta dallo stesso Governo con la proclamazione a gennaio di quest’anno dello stato di emergenza e da larga parte delle forze politiche. Nel carcere sono oggi presenti quasi 70mila detenuti e la situazione è certo peggiore di quella che quattro anni fa convinse a ricorrere ad un provvedimento di indulto. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli mai visti prima, nonostante l’amministrazione penitenziaria si nasconda dietro una fantomatica “capienza penitenziaria di necessità” che non sarebbe ancora stata superata. Sono diminuiti in questi anni i detenuti condannati a lunghe pene, mentre sono aumentati coloro che scontano pene fino a tre anni di carcere e potrebbero dunque potenzialmente accedere alle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario. Facendo mia l’analisi del Centro studi dell’associazione Antigone, mi sembra possibile che si possano individuare tre tipologie di risposte efficaci e “giuste” in tema di giustizia, tre tipologie che chiamerei “a breve termine, a medio e a lungo termine”. Tra le proposte a breve termine, quelle che è possibile adottare immediatamente, vi sono: provvedimenti non normativi volti a incrementare l’utilizzo delle misure alternative esistenti; la costruzione di strutture leggere e aperte da destinare all’espiazione di piccole pene detentive; la diffusione del gratuito patrocinio, spesso sconosciuto ai detenuti stranieri. Naturalmente tra le proposte a medio termine, non vi può che essere l’abrogazione della legge Fini - Giovanardi sulle dipendenze e della Bossi - Fini sull’immigrazione. Si tratta di due norme che hanno riempito le carceri non di pericolosi mafiosi ma di tossicodipendenti e migranti, a fronte di reati di ridotta gravità sociale. La Fini - Giovanardi è la normativa con il maggior impa tto sul sistema penale e penitenziario, tanto per le condotte che punisce, quanto per il fenomeno che disciplina, ovvero quello delle droghe. Cifre alla mano, dei circa 92.800 detenuti entrati in carcere nel 2008 30.528 erano tossicodipendenti. Analogo ragionamento sulla Bossi - Fini. Se nel 1998 sono entrati nelle carceri italiane 58.403 detenuti italiani e 28.731 detenuti stranieri, nel 2008 si registrava l’ingresso di 49.801 detenuti italiani e di 43.099 detenuti stranieri. Un cambiamento radicale dunque, dovuto anche alla maggiore discriminazione sociale e penale e penitenziaria a carico degli stranieri. A questo andrebbe aggiunta la modifica alla legge ex - Cirielli, diventata famosa come “legge salva - Previti”, che non ha soltanto ridotto i termini di prescrizione dei reati, ma ha dato nuova forma e contenuto alla figura e contenuto alla figura del “recidivo” e inventato la disciplina del “recidivo reiterato”. Il recidivo è divenuto il principale bersaglio del legislatore. Infine, ma questa, ne sono consapevole, è una proposta che richiede ben altro clima politico, è necessaria una riforma complessiva del codice penale, che recepisca un cambiamento di sistema dell’approccio normativo ai temi delle tossicodipendenze, dell’immigrazione e della recidiva, e che riduca la sfera dell’intervento penale facendo sì che sia extrema ratio e non lo strumento privilegiato nella soluzione dei conflitti sociali. Solo così credo potremmo venir fuori dalla condizione paradossale per la quale il nostro sistema penale poco ha a che vedere con la “Giustizia”. Per parafrasare un celebre verso, che credo dia il senso della fase che attraversiamo: “beato chi ha sete di giustizia, perché sarà giustiziato...”. Lettere: detenuto denuncia di aver subito un pestaggio, il Dap gli chiede 30mila € di multa di Stefano Anastasia e Simona Filippi Terra, 22 ottobre 2010 La scena finale è questa: a Sergio viene recapitata una lettera della Direzione del carcere in cui gli viene chiesto di risarcire l’Amministrazione penitenziaria per una somma di 30.354,05 euro. La scena finale è questa: a Sergio viene recapitata una lettera della Direzione del carcere in cui gli viene chiesto di risarcire l’Amministrazione penitenziaria per una somma di 30.354,05 euro. Trentamila trecento cinquanta quattro euro: più o meno quanto un detenuto ben inserito guadagna legalmente, in carcere, in sei - sette anni. Fosse fuori, Sergio potrebbe rivolgersi a degli strozzini, o prestarsi a qualche attività illecita più remunerativa del precariato legale, ma in galera come si fa a trovare tutti quei soldi? Ma torniamo all’inizio di questa storia. Un anno fa Sergio aveva denunciato quattro agenti di polizia penitenziaria che avrebbero usato violenza nei suoi confronti fino a farlo ricoverare d’urgenza in Ospedale. Nel frattempo anche i poliziotti sporgevano querela nei confronti di Sergio, colpevole - a dir loro - di averli colpiti e feriti. È sempre la stessa storia, come quando da ragazzini ogni litigata finisce nell’accusa reciproca: “è stato lui a cominciare!”. Come vuole la legge, sarà un giudice a decidere sullo svolgimento dei fatti e sull’attribuzione delle responsabilità, ma intanto la Direzione del carcere si attiva: quei 30mila e passa euro devono essere risarciti in applicazione dell’articolo 2043 del codice civile: “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un fatto ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. 30.354,05 euro sono il corrispettivo dei 284 giorni di assenza per infortunio dei quattro agenti che sarebbero stati malmenati da Sergio. Scopriamo così che da tempo il Dap interpreta fermamente quell’articolo del codice civile. Per gli infortuni, e le conseguenti assenze per malattia, derivanti da incidenti stradali, provvede l’assicurazione stipulata dall’Amministrazione oltre i limiti obbligatori della responsabilità civile; per le assenze causate da fatto illecito, l’Amministrazione dovrà rivolgere “al terzo autore dell’illecito, anche se detenuto”, “formale richiesta di recupero del trattamento economico corrisposto al dipendente” infortunato. Non staremo qui a dire della opportunità di tutelare l’Amministrazione penitenziaria con una apposita assicurazione anche su questo genere di incidenti, piuttosto che di andare a esigere crediti a soggetti naturalmente insolvibili, ma curiosa è la tempistica della richiesta rivolta a Sergio: non c’è ancora un giudizio definitivo su chi abbia commesso cosa (se Sergio o i quattro poliziotti), come si fa a chiedere l’applicazione di quell’articolo del codice civile i cui presupposti sono che vi sia stato un fatto illecito e che ne sia stata attribuita la responsabilità a qualcuno? Non sarà che a giorni deve svolgersi l’udienza preliminare e una simile richiesta di indennizzo può “ammorbidire” una delle parti in causa? Sardegna: Sdr; sempre più gravi conseguenze blocco di spesa sulla sanità penitenziaria Agi, 22 ottobre 2010 “Nonostante le assicurazioni, prosegue in Sardegna il blocco della spesa per la sanità penitenziaria con sempre più gravi conseguenze sulle condizioni di salute dei detenuti. Le preoccupazioni dei familiari, privi di certezze sul presente e l’immediato futuro, e degli operatori sanitari, che non riescono a fronteggiare le richieste di assistenza, stanno rendendo incandescente il clima all’interno delle strutture detentive. Pesante la situazione di Buoncammino sovraffollato e con numerosi pazienti con gravi disturbi, ma il disagio accomuna purtroppo tutti gli Istituti di pena. San Sebastiano e Badu ‘e Carros non fanno certo eccezione”. Lo denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”, richiamando ancora una volta l’attenzione sull’irrisolto problema del passaggio della sanità penitenziaria dal Ministero della Giustizia a quello della Sanità e quindi alle Aziende Sanitarie Locali. L’ex consigliere regionale sottolinea anche la necessità “di disporre di almeno 500mila euro per riattivare le guardie mediche, le visite specialistiche e i centri diagnostico terapeutici oggi affidati esclusivamente alla buona volontà di medici e infermieri e alla sensibilità degli agenti di polizia penitenziaria chiamati a rendere meno oppressiva la condizione dei detenuti”. “Avevamo accolto con ottimismo - afferma Caligaris - le dichiarazioni dell’assessore regionale della Sanità Antonello Liori che aveva affermato di essere impegnato nella individuazione dei fondi necessari a coprire le spese del 2010 in attesa del passaggio di competenze. Anche l’incontro con il Provveditore regionale Felice Bocchino ci aveva fornito rassicurazioni sulla imminente soluzione del problema. Invece i giorni passano inesorabilmente e continuiamo a ricevere segnalazioni di pericolose epidemie a partire da casi di Tbc nelle Colonie Penali che necessitano di lunghi periodi di profilassi per detenuti, agenti e operatori. L’associazione che ha inviato segnalazioni alle procure e al Presidente della Repubblica ritiene - sottolinea la presidente di SdR - che dentro gli istituti penitenziari si stia vivendo un’emergenza veramente pericolosa non più affidabile al senso di responsabilità dei cittadini privati della libertà e dei loro familiari. Occorre mettere subito rimedio con opportune iniziative amministrative. Il rischio che la Giunta regionale debba rispondere di omissione di atti d’ufficio per il mancato sostegno finanziario all’esercizio del diritto costituzionale alla salute dei carcerati. È grave però che mentre tutto ciò accade anche il Governo taccia e non assuma provvedimenti conseguenti. Appare insomma chiaro a tutti che i problemi dei detenuti - conclude Caligaris - non interessano se non quando ci scappa il morto”. Mantova: il carcere in “situazione tragica”, il sindaco promette aiuti economici La Gazzetta di Mantova, 22 ottobre 2010 “Gli spazi sono inadeguati e la struttura non è più funzionale per ospitare dei detenuti”. Lo hanno sostenuto ieri mattina il direttore della casa circondariale Enrico Baraniello e l’ispettore capo della polizia penitenziaria Raffaele Pierro durante un colloquio con il sindaco nel carcere di via Poma. Nella visita Nicola Sodano era accompagnato dall’assessore al welfare Arnaldo De Pietri, dal presidente del consiglio comunale Giuliano Longfils e dal consigliere Sebastiano Rivaberni. “La situazione della struttura della casa circondariale di Mantova è tragica - ha affermato - ma abbiamo il problema all’attenzione, è nella nostra agenda. Presto incontrerò il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo per discuterne”. Sodano avrebbe in agenda anche un incontro a breve con il procuratore capo Antonino Condorelli. Tra le necessità dei detenuti, in un carcere in cui vivono compressi in 204 (contro una capienza massima di 180) ci sono il lavoro e l’attività fisica. E qui l’interessamento del Comune è parso concreto. L’assessore De Pietri ha parlato di un possibile sostegno economico per acquistare materiale destinato alle attività motorie. Sodano invece ha garantito che si adopererà per fare in modo che il Comune richieda i faldoni e i raccoglitori necessari all’attività degli uffici municipali alla casa circondariale, per dare un lavoro retribuito ai detenuti. In carcere esiste infatti un laboratorio per l’artigianato dove i detenuti svolgono occupazioni retribuite, come appunto la realizzazione di raccoglitori in cartone. All’interno del penitenziario lavorano anche altri dipendenti, tra cui due donne in lavanderia. Il direttore Baraniello ha informato la delegazione comunale della situazione del carcere anche attraverso i dati. Eccone alcuni. Dei 204 detenuti presenti ieri (186 uomini e 18 donne) gli italiani sono 85 e gli stranieri 119. Novanta in tutto, quindi poco meno della metà sono tossicodipendenti. Un solo detenuto è in regime di semilibertà, mentre altri 12 possono uscire dal carcere e andare al lavoro. Gli agenti della casa circondariale in servizio sono trentacinque, ci sono anche un medico e degli educatori. Le celle sono cinquantanove, di cui 4 per il reparto femminile, quasi tutte con letti a castello per tre. Pistoia la Camera penale; inaccettabile la situazione nel carcere di Santa Caterina Il Tirreno, 22 ottobre 2010 A denunciarlo, ancora una volta, è la Camera penale di Pistoia. Gli avvocati penalisti del nostro foro sottolineano come “alla luce dell’ultimo, drammatico evento, che ha visto la morte di un giovane di 28 anni in custodia cautelare, la Camera Penale di Pistoia è costretta a rinnovare la denuncia della inaccettabile situazione carceraria della nostra città”. Lo scorso 18 giugno, gli avvocati penalisti avevano già segnalato il problema con un esposto alla Procura della Repubblica di Pistoia a al Tribunale di sorveglianza di Firenze. “In quella sede, di concerto ed in concomitanza con tutte le altre Camere penali italiane, si segnalava il preoccupante e drammatico sovraffollamento delle nostre carceri: a Pistoia, a fronte di una capienza massima tollerabile di 101 persone, alla data di presentazione dell’esposto si trovavano, infatti, ristrette 154 persone. Tale stato di fatto, non può che avere ripercussioni negative e aggravare da un punto di vista psicologico una condizione già critica come quella di chi si trova sottoposto a regime carcerario”. Peraltro, la Camera penale sottolinea come vittime indirette di questa situazione siano anche gli stessi operatori penitenziari, che quotidianamente vivono accanto ai detenuti i disagi creati da una realtà insostenibile. “Nell’esprimere il proprio cordoglio alla famiglia del giovane deceduto, la Camera Penale di Pistoia auspica un intervento effettivo da parte delle autorità competenti”. Padova: detenuto 25enne tenta il suicidio nella Casa Circondariale, salvato in extremis Il Mattino di Padova, 22 ottobre 2010 Un venticinquenne tunisino rinchiuso nella casa circondariale Due Palazzi ha tentato il suicidio attorno alle 4 del mattino: è stato notato e salvato da una guardai carceraria. Situazione tesissima in carcere a causa del sovraffollamento. Tragedia sfiorata nella casa circondariale di Padova, all’alba di oggi. Un detenuto di origine tunisina venticinquenne ha tentato il suicidio: é stato salvato ormai in extremis grazie all’intervento degli agenti di polizia penitenziaria che stavano svolgendo il normale controllo notturno. È accaduto intorno alle 4 di mattina. Il giovane, rinchiuso nella struttura penitenziaria sovraffollata oltre ogni limite per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti, ha approfittato del fatto che i compagni stavano dormendo. Legando un lenzuolo alle sbarre delle grate e poi avvolgendolo intorno al collo come un cappio, si è lasciando andare. Ma un agente, verificando la situazione nella cella attraverso lo spioncino, si è subito accorto di quella sagoma nella penombra della cella. Immediato l’allarme e il trasporto del ragazzo in infermeria dove sono in servizio i medici del carcere: non è stato necessario il ricovero in ospedale. Il venticinquenne si trova ora in osservazione. Padova: a lezione dal detenuto al Due Palazzi; ieri seminario sulla giustizia per i giornalisti di Emilio Randon Il Mattino di Padova, 22 ottobre 2010 I cortili interni del carcere Due Palazzi sono sporchi da fare schifo, un immondezzaio: i detenuti ci buttano di tutto, dalle finestre delle celle volano bottiglie, fazzoletti, avanzi di cibo, scatolame ed anche roba buona, arance fresche, mele intonse. In carcere si fuma, lo fanno tutti, guardie e detenuti, è il solo posto pubblico in Italia in deroga al divieto. Le due cose si notano e forse non hanno niente in comune. Ma solo per noi visitatori, in carcere tutto ciò che accade è in relazione. Ieri al Due Palazzi sono entrati i giornalisti, quelli che lo volevano e hanno aderito all’invito della redazione di “Ristretti Orizzonti” per una specie di seminario sulla condizione carceraria; il ministero che se ne occupa si chiama ministero di Grazia e Giustizia perché i costituenti nella loro saggezza avevano capito che non c’è giustizia senza speranza, la grazia riparatrice è atto di riconciliazione sociale che dichiara chiusa la ferita tra chi ha fatto il male e chi l’ha subito e consente di andare avanti. Al di fuori di questo c’è solo la vendetta. Al Due Palazzi i detenuti sono 820, i posti 350. Il 30% sono tossicodipendenti e passano la giornata stesi sulle brande in uno stato di ebetudine indotto dai sedativi. Vietare il fumo e i sedativi provocherebbe una rivolta, la prima di rabbia la seconda di follia. Anche queste cose divise, ma in carcere stanno insieme. Il carcere fa effetto a chi lo visita, figurarsi ai detenuti. Dovrebbe raccomandarsi alle scolaresche, ai maturandi, ai cercatori di verità, lo spettacolo degli uomini in gabbia è molto suggestivo e non regge il confronto con la rappresentazione che ne facciamo. Non a caso l’articolo della Costituzione che noi italiani meno capiamo, non sentiamo e non vogliamo sentire è il 27, laddove dice che il fine della pena è la rieducazione. Capiamo altre cose, magari scritte in altri codici e in epoche morte ma questa scritta nel nostro, capiamo il diritto della società di difendersi ed isolare i delinquenti, quello delle vittime ad una giusta retribuzione, persino l’espiazione cristiana ci sta. La rieducazione no, sul delinquente pesa la maledizione del mito: delinquenti si è una volta per tutte, condizione che stupi Graziano Scialpi e gli face dire “il detenuto non è un reato con le gambe, ma un uomo che ha commesso un reato”. Scialpi, detto “Dado” per via delle vignette che faceva, è un uomo morto di cancro due mesi fa, malattia diagnosticata negli ultimi giorni dopo un anno di sofferenze. Ma nessuno gli credette. Solo il 3 per cento di noi prova compassione per i detenuti - dice Marco Panella, che fa lo sciopero della fame contro il sovraffollamento - nel disinteresse del 97 per cento degli italiani. Ancora meno tolleriamo che escano prima, in libertà condizionata, agli arresti domiciliari, in affidamento sociale o in permesso premio - queste le tre condizioni consentite - ci pare che alleggerire la pena detentiva sia un’offesa alle vittime, un premio ai delinquenti e un incoraggiamento a farlo ancora. Marcello Bortolato, giudice di sorveglianza, ha dimostrato il contrario, la recidività si riduce tra chi fa meno carcere. Ha smentito che i detenuti escano su una sorta di automatismo contabile: “Dietro ad ogni beneficio c’è la decisione di un giudice”, c’è il parere degli educatori, c’è un percorso che comincia dopo aver scontato un quarto della pena e che a suo fondamento trova appunto il principio del carcere come riabilitazione del detenuto. Antonio, dentro da 20 anni, spiega che lui ha fatto il bravo, avrebbe gli anni, vorrebbe anche ma nessun educatore lo ha mai esaminato per proporlo a un regime diverso di carcerazione. Senza il bollo degli educatori non si muove niente. Al Due Palazzi, fino a ieri, gli educatori erano tre per 820 detenuti. Ora li hanno portati a otto. Bologna: oggi “cella in piazza”, per mostrare ai cittadini in che condizioni vivono i detenuti Dire, 22 ottobre 2010 Poco più di nove metri quadrati con quattro letti e lavandino, qualche armadietto e mensole “costruite” con pacchetti di sigarette perché quelle vere sono vietate. Ecco com’è la cella riprodotta ed allestita da questa mattina in piazza Re Enzo, nel pieno centro di Bologna, per mostrare ai cittadini in che condizioni vivono i detenuti delle carceri italiane. L’iniziativa è promossa dalla Conferenza regionale volontariato giustizia con il sostegno del difensore civico dell’Emilia - Romagna, Daniele Lugli, e dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, Vanna Minardi. Eduard, albanese di 36 anni, è stato detenuto per due anni e mezzo nel carcere di Piacenza e per un altro anno tra Vercelli e Milano. Oggi, mentre è passato ai domiciliari e si è iscritto all’Università, racconta ai cronisti la giornata di un detenuto. “È giusto pagare quando si sbaglia, ma così non ci sono le condizioni per recuperare una persona”, racconta, parlando di tre ore al giorno di aria e poi “sempre chiusi”, delle docce che non funzionano, della convivenza di tre persone in una cella prevista per una: “Ti si ghiaccia il cuore e ti manca l’aria”, racconta Eduard, “se uno non ha carattere poi nascono problemi psicologici”. Per quanto riguarda il sovraffollamento, Lugli spiega che all’inizio del 2010 nelle carceri regionali si denunciavano presenze “per oltre il 191% rispetto alla capienza regolamentare”. Da qui, a cascata, i problemi che anche i volontari devono affrontare tutti i giorni. “Siamo in grande difficoltà - spiega Paola Cigarini, responsabile della Conferenza - tra sovraffollamento, carenze di organico e cattiveria sociale prevale sempre di più l’idea che la pena sia esclusione ed allontanamento”. Da un anno, racconta Cigarini, “non si riescono più a fare le feste per i bambini”, cioè “momenti in cui i figli possono abbracciare i genitori e giocare insieme”. Inoltre cala l’attività scolastica, aggiunge Cigarini, “proprio ora che sarebbe più importante vista la percentuale di detenuti stranieri”, ma senza dimenticare che anche tra gli italiani ci sono casi di analfabetismo o dislessia. A Modena, è l’esempio di Cigarini, “tra tagli di Gelmini e sovraffollamento” da tre classi elementari si è passati ad una. Eppure “al volontariato si chiede molto”, sottolinea la responsabile della conferenza, in cella “il dentifricio o il sapone non lo dà nessuno, se non lo fanno i volontari”. E le condizioni igieniche ne risentono: “A Ravenna il sindaco ha detto che il carcere lo vorrebbe sfollato”, sottolinea Cigarini. Il paradosso è che le associazioni, assicura Cigarini, potrebbero anche fare di più “ma la struttura carceraria non è sufficientemente aperta per ricevere tutto ciò che potrebbe arrivare dall’esterno”. Le associazioni che operano alla Dozza (“critica” la situazione del sovraffollamento, dichiara Minardi) si soffermano in particolare sulle attività scolastiche e formative: su 1.180 sono al massimo 150 i detenuti coinvolti nei corsi di giardinaggio, cucina o per muratori, racconta un volontario dell’Avoc. “Noi cerchiamo di supplire ma vediamo poche persone”, aggiunge un’altra volontaria, sono attività “non supportate dalla direzione: se si fanno, bene; altrimenti per loro è lo stesso”: anzi, “spesso il volontariato è vissuto come un impegno in più per gli agenti, perché effettivamente sono pochi”. Però un supporto serve, sottolinea il presidente dell’Avoc, Giuseppe Tibaldi, “metà dei detenuti non ha assolutamente denaro e non può neanche telefonare o scrivere a casa”. Da Ferrara, invece, una volontaria dell’associazione “Renata di Francia” lamenta che non ci sono spazi per i corsi dedicati ai lavori manuali, quelli che tra i detenuti riscontrano l’interesse maggiore. Poi ci sono casi come quello di un detenuto italiano, di 55 anni, che in carcere ha terminato la quarta del liceo psico - pedagogico ma dovrà ripeterla: l’unico altro detenuto che doveva iscriversi alla quinta è stato trasferito e per una sola persona non si vuole insediare la commissione per l’esame di maturità, anche se il 55enne sarebbe disposto a prepararsi autonomamente. Sempre a Ferrara c’è un albanese di 29 anni, invece, che è stato trasferito da Modena dopo aver finito un corso triennale da elettricista: deve fare solo l’esame ma “è un anno e mezzo che aspetta”, riferisce la volontaria, anche se sia il carcere modenese che la scuola non pongono ostacoli. Il difensore civico regionale, Lugli, ricorda intanto che solo il 5% dei detenuti che usifruiscono delle misure alternative commette nuovi reati, mentre per gli altri la percentuale sale al 70 - 80%. “La penosità della pena non solo è un’aggiunta non necessaria - commenta Lugli - ma anche controproducente”. Lugli, con l’occasione, ribadisce che va istituita la figura del Garante regionale e che nel frattempo è disposto a ricoprire formalmente (in realtà già “lo faccio”) anche questo ruolo, così da poter accedere liberamente ai penitenziari. Intanto, per Lugli, la cella in piazza aiuta a superare le “tante chiacchiere da bar che si sentono sulla condizione dei detenuti”. Ma c’è chi critica: “L’iniziativa offende le vittime dei reati, i cittadini onesti e le forze di Polizia”, scrive il finiano Daniele Baldini, “i delinquenti cosa vorrebbero, un grand hotel super lusso?”. Volterra: i detenuti-attori della Compagnia della Fortezza scrivono al Presidente regionale Il Tirreno, 22 ottobre 2010 Un ponte tra il Maschio e la Regione. Regista e detenuti attori raccolgono le firme e le mandano direttamente al presidente della Regione Enrico Rossi. L’invito - lettera aperta mira a creare un ponte con Firenze per caldeggiare il progetto del Teatro Stabile nel carcere di Volterra. “Se avessimo la possibilità di costruirlo realizzeremmo il vero, primo teatro a contatto con una comunità, un teatro d’arte per tutti insomma”, la mano è quella di Armundo Punzo, il deus ex machina della Compagnia della Fortezza. La volontà è quella di far sapere che succede all’interno del Maschio. “Abbiamo bisogno di disegnare un futuro al nostro progetto, lo Stabile aprirebbe le porte ad una formazione dei detenuti sui diversi mestieri del teatro e metterebbe sempre più in relazione l’interno con l’esterno”. L’appello di Punzo e dei detenuti - attori, quelli che nei prossimi giorni saranno al Fabbricone di Prato con “Hamlice, saggio sulla fine di una civiltà”, è accorato. “Se si partecipa in qualche modo a questa vita, si sente che c’è qualcosa di speciale che chiede solo di crescere”. Punzo spiega presente e possibile futuro. “Il teatro stabile può diventare un catalizzatore di cultura ideale e fisico per Volterra e non solo, poiché la storia della Compagnia della Fortezza viene da lontano e col tempo ha saputo farsi ascoltare anche fuori dai confini della nostra città e del nostro Paese. Siamo riconosciuti come l’esperienza più innovativa e all’avanguardia, in questo campo, a livello internazionale. Al nostro lavoro viene riconosciuto anche il valore di indicazione politica concreta per il trattamento e la gestione degli istituti di pena. L’esperienza mi ha insegnato che spesso chi non ha mai visto niente di quello che facciamo, quando ci incontra per la via diretta, vive un inizio. Ed è la meraviglia di trovare qualcosa di bello e necessario proprio nell’ultimo posto dove avresti immaginato di trovarlo”. Punzo e i detenuti si rivolgono al presidente Rossi: “Mi auguro che queste poche righe e la tua naturale attenzione per le problematiche del sociale e della cultura ti possano convincere a venire a Volterra”. Caro Enrico. - Francesca Suggi Francia: caso Franceschi; Daniele ebbe un infarto, ma fu rispedito in cella di Meo Ponte La Repubblica, 22 ottobre 2010 Il cuore di Daniele Franceschi è rimasto in Francia. Insieme a cervello, polmoni, reni e una parte del fegato. È un cadavere svuotato di gran parte degli organi e ormai reso irriconoscibile dalla decomposizione quello che ieri mattina si trova di fronte il medico legale Lorenzo Varetto, consulente di parte degli avvocati della famiglia Franceschi, nell’obitorio dell’ospedale Versilia di Lido di Camaiore dove si effettua la prima autopsia “italiana” sui resti del giovane viareggino misteriosamente morto in una cella del carcere di Grasse. “Partendo da un’ipotesi di morte per infarto è impossibile capire che cosa sia successo a Daniele Franceschi mancando l’organo più importante, il cuore” spiega di il medico legale. Il primo esame autoptico sul corpo permette però di chiarire alcuni punti oscuri. Contrariamente a quanto ipotizzato nei giorni scorsi non ci sono fratture del naso e non c’è stata nessuna asportazione dei bulbi oculari. Gli anatomopatologi francesi, d’altronde, avevano segnalato nel loro rapporto “un’abrazione rotonda di 0,6 cm alla radice sinistra del naso, irregolare e senza ematomi associati ne fratture delle ossa palpabili…”. E il prelievo del cuore e degli organi è così chiarito da Varetto: “È un atto dovuto che prova che l’autopsia da parte francese è stata fatta con grande scrupolo”. Il medico legale della famiglia Franceschi conferma inoltre che esternamente sul corpo non ci sono tracce di violenza. Tutto ciò però non assolve le autorità carcerarie di Grasse dalle responsabilità per il decesso di Daniele Franceschi. Ad accusarle è il rapporto degli stessi medici legali francesi, ricevuto pochi giorni fa dall’avvocato Maria Grazia Menozzi, il legale di Cira Antignano, la mamma. Nove pagine in cui viene descritta l’autopsia del 31 maggio nella morgue dell’ospedale di Nizza. A pagina 3, ricostruendo i momenti precedenti alla morte, gli anatomopatologi riportano i risultati dell’elettrocardiogramma a cui Daniele fu sottoposto la mattina del 25 agosto, poche ore prima di morire. “Il 25 mattina il detenuto è stato esaminato dal medico della stabilimento penale, dottor Estrade, che gli ha praticato un elettrocardiogramma e un esame del sangue che ha rilevato le transamine normali e una troponina a un valore di 0,17 quando quella normale è a 0,06”. È quest’ultima frase che inchioda i responsabili del carcere di Grasse. “L’aumento dell’enzima cardiaco è un evidente segnale di un infarto in corso - spiega Varetto - qualsiasi medico italiano avrebbe immediatamente fatto ricoverare il paziente in ospedale. Il dottore Estrade invece ha rispedito Daniele nella sua cella. Nonostante il giovane, il giorno prima, avesse disperatamente chiesto di essere visitato con un biglietto lasciato nella cassetta della posta interna al carcere. L’ipotesi sempre più consistente è quindi che Daniele Franceschi sia stato ucciso dall’indifferenza dei suoi carcerieri. Omissione di soccorso e colpa professionale potrebbero essere quindi i titoli di reato che presto la magistratura francese potrebbe contestare al medico e al direttore della Maison d’Arret di Grasse. Sulla vicenda però ha aperto un’inchiesta anche la procura di Lucca. Il fascicolo “contro ignoti” è stato affidato al pm Fabio Origlio che per ora procede per omicidio colposo. Angola: carceri sovraffollate, necessarie nuove strutture penitenziarie Agiafro, 22 ottobre 2010 In Angola sono necessarie nuove e moderne strutture penitenziarie. Lo ha detto il presidente del tribunale provinciale di Huambo, Domingos Santos, che ha riconosciuto come il numero dei detenuti nel penitenziario della città sia troppo elevato. “La prigione”, ha detto Santos, “è stata costruita per ospitare 120 detenuti ma, attualmente, ve ne sono 600”. Il magistrato, inoltre, ha sottolineato che le condizioni della struttura sono precarie e per questo, oltre che alla costruzione di un nuovo palazzo di giustizia è necessario progettare anche un nuovo carcere.