Giustizia: chi alimenta paure e indifferenza ora raccoglie quello che ha seminato di Luigi Manconi Il Foglio, 20 ottobre 2010 Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, non se ne fa (e non ce ne fa) mancare una. L’ultima è stata la minaccia di denunciare per “omissione di soccorso” i passanti che non si sarebbero fermati ad aiutare Maricica Hahaianu l’infermiera romena colpita a morte da Alessio Burtone nella metropolitana di Roma. Alemanno è solo l’epigono più modesto di una sgangherata ondata di ipocrisia sollevata da quell’omicidio. Le sue parole, tuttavia, meritano attenzione: a pronunciarle è stata, infatti, la medesima persona che appena ieri parlava di Trattamento sanitario obbligatorio (!) per i “vagabondi”; e che solo due anni fa, proponeva un’ordinanza contro il “rovistaggio nei cassonetti” da parte di quanti vi cercano avanzi di cibo. Se vagabondi e rovistatori vengono presentati come minacce sociali e come individui da sanzionare (attenzione: non perché commettono reati, ma in ragione della loro condizione esistenziale) perché mai il cittadino non dovrebbe averne paura? E perché quello stesso cittadino, scorto per terra qualcuno di cui ignora lo stato dovrebbe chinarsi a soccorrerlo? Insomma, tutto quell’indecente chiacchiericcio sulla “indifferenza” mi è sembrato semplicemente immorale. Prima si crea indifferenza per via istituzionale e, poi, ci si straccia le vesti al suo manifestarsi. Analogamente, molti hanno evidenziato come al giovane romano, responsabile della morte dell’infermiera, fossero stati concessi gli arresti domiciliari. Forse perché la vittima è una straniera e l’omicida è un italiano? Questa domanda è, suggestiva quanto perversa. Intanto perché, quando è sopravvenuta la morte della Hahaianu, per Burtone è stata subito chiesta la reclusione in carcere a seguito del nuovo capo d’imputazione (omicidio preterintenzionale); e, poi, perché tra quanti hanno evidenziato il trattamento troppo mite nei confronti di Burtone, nessuno ha protestato né ora né all’epoca per il trattamento, troppo severo, inflitto a Doina Matei, la donna romena responsabile della morte di Vanessa Russo, sempre nella metropolitana di Roma (29 aprile 2007). La Matei è stata condannata a sedici anni (confermati dalla Cassazione nel gennaio 2010): e si tratta di una condanna particolarmente severa per un omicidio preterintenzionale avvenuto in circostanze controverse. Il clima che accompagnò quel fatto ebbe un ruolo determinante (ricordo il titolo di un quotidiano “ragazza rumena uccide italiana”): gli “imprenditori politici della paura” cercarono di innescare un conflitto razziale laddove si era consumata, in tutta evidenza, una infelicissima tragedia urbana. Una vicenda dove il caso avrebbe potuto invertire specularmente le parti, collocando la vittima al posto dell’assassina. E infatti pochi appresero, all’epoca, che Vanessa Russo veniva da una storia di tossicodipendenza e si trovava in terapia metadonica. Questo dato biografico ce la rendeva ancora più cara: anche lei, come Doina, aveva conosciuto l’asprezza e il dolore del vivere. E invece proprio quel particolare (la tossicodipendenza) suscitò all’epoca, per esempio in Alessandra Mussolini, una reazione sconsiderata: “adesso vogliono infamare la vittima per scagionare l’assassina”. Quasi che la condizione attuale o trascorsa di tossicodipendenza fosse un tratto diffamatorio o penalizzante. E, in effetti, è quella la lettura della tossicomania che tende oggi a prevalere. Più in generale sembra affermarsi l’idea preliberale che condizioni esistenziali e modi d’essere (immigrato irregolare, vagabondo, nomade, alcolista…) debbano essere classificati come fattispecie penale. Le grandi categorie dello stato di diritto, come quella di offensività (capacità di produrre danno a terzi e a beni giuridicamente protetti), vengono abbandonate a favore di una concezione pan-penalistica della vita sociale. In altre parole, perché non considerare reato il rovistaggio nei cassonetti? E se così fosse, chi mai si chinerebbe, come un buon sammaritano, sul corpo abbandonato per terra di un “rovistatore”? Ma le storie incrociate di Maricica Hahaianu, Alessio Burtone, Doina Matei e Vanessa Russo ci dicono molto altro. E rappresentano una sorta di parabola sapienziale (non so se religiosa o laica). Essa permette infatti di leggere, in quelle figure di vittime-carnefici, la grande questione del Male e - per rimanere alla nostra portata - il problema sociale della violenza e della responsabilità, del crimine e della colpa, secondo un canone che è crudamente fattuale e, insieme, intensamente profetico. Quelle storie ci dicono inequivocabilmente che la ripartizione netta del mondo, e di conseguenza dell’organizzazione sociale, tra “buoni” e “cattivi” non è semplicemente difficile (o meglio, impossibile): corrisponde, né più né meno, che a un inganno ideologico (o religioso o culturale o antropologico). La realtà è un’altra. Uomini e donne sono un impasto misterioso e inestricabile di virtù e vizi, di pulsioni aggressive e sentimenti pacifici, di volontà di potenza e di disponibilità alla cooperazione, di grettezza e di oblatività (e molte altre coppie di termini potrebbero essere evocate). Forse partire da qui è più utile che deprecare virtuosamente la “indifferenza”. Giustizia: gli stranieri e la violenza, da autori e da vittime di Carla Collicelli Il Riformista, 20 ottobre 2010 Rivolte nei centri di prima accoglienza e blocco dell’aeroporto di Cagliari, spari contro pescherecci nel mare Mediterraneo, e un’infermiera rumena morta a Roma per il pugno di un ragazzo. Anche questo autunno non ci risparmia lo strazio dei tanti episodi di violenza che hanno a che fare con gli immigrati, che si collocano sullo sfondo di un aumento generalizzato dell’aggressività e della violenza - dagli stadi, agli stupri, ai delitti passionali - , ma che risultano particolarmente frequenti: sia i reati di vario tipo che hanno come autori individui stranieri, come il delitto Reggiani, l’aggressione notturna ai turisti olandesi, o i tanti morti a causa della guida in stato di ebbrezza, che fanno sì che quasi il 50% degli arrestati e il 37% dei detenuti in Italia siano stranieri; sia quelli che li coinvolgono come vittime, dal 4% degli alunni stranieri che subiscono aggressioni fisiche nelle scuole italiane, alle migliaia di morti nei naufragi delle carrette della speranza, agli incendi delle baracche dei clandestini, all’aumento degli infortuni sul lavoro, che per più del 16% riguardano lavoratori stranieri. Eppure si tratta ormai di cinque milioni di persone che vivono nelle nostre città in media da sette anni, hanno titoli di studio paragonabili a quelli della popolazione italiana, contribuiscono per il 4% al gettito contributivo dell’Inps e per il 9% al Pil del paese, e costituiscono più del 6% degli alunni delle nostre scuole, più dell’ 11% dei nuovi nati ogni anno sul territorio italiano, e più del 70% degli assistenti familiari che accudiscono i bambini e i malati nelle nostre famiglie. Perché allora tanto astio e tante tinte fosche nella cronaca che li riguarda? In parte si tratta certamente del frutto di una rappresentazione eccessivamente enfatica e ridondante, che tende a sfruttare in termini mediatici l’effetto attrattivo di stereotipi vecchi e nuovi, che identificano il male con i diversi e i poveri. Un secondo ordine di motivazioni va individuato nel fatto che chi è straniero ha ovunque e da sempre più occasioni di infrangere la legge e minori possibilità di difendersi, anche perché conosce poco o per niente le leggi e la lingua del paese e non gode, come la maggior parte degli autoctoni, dei benefici di tutela degli imputati. E ciò spiega la alta presenza di stranieri nelle carceri e tra gli arrestati e i denunciati. Ma quando gli stranieri sono le vittime di discriminazioni gravi e di aggressioni di vario tipo, non si può non pensare a un terzo ordine di fattori, che ha a che vedere con le reazioni scomposte di una società impaurita e spaesata di fronte a quella che viene percepita come una minaccia. E ciò si collega alle opinioni di quella fetta di italiani, che considera gli immigrati extracomunitari un problema di ordine pubblico, perché responsabili dell’aumento della criminalità (il 29,7% di un recente campione Censis), o come una minaccia, in quanto portatori di fedi, valori e tradizioni incompatibili con la nostra cultura (10,8%). Sembrano ripresentarsi sulla scena oggi quel surriscaldamento sociale e quella conflittualità, che pensavamo di avere ormai superato, dopo le fasi critiche degli anni Ottanta e Novanta, quando un paese impreparato si era trovato ad affrontare flussi di immigrati sempre più consistenti ed eterogenei. E le cause delle nuove forme di intolleranza e di violenza vanno probabilmente cercate negli effetti dalla crisi economica e sociale in termini di indebolimento della coesione sociale e di diffusione dell’egoismo. La globalizzazione dell’economia e del lavoro, i suoi risvolti di disoccupazione, lo stallo ormai consolidato della mobilità sociale, l’indebolimento identità - rio hanno senza dubbio un legame con i fenomeni di rabbia aggressiva nei confronti di chi rappresenta nei nostri luoghi di vita la diversità e la concorrenza rispetto alle scarse risorse disponibili. E mentre nel passato gli immigrati andavano a collocarsi in un mercato del lavoro decisamente più strutturato, oggi un contesto lavorativo fluido e flessibile rende più difficili le possibilità di crescita professionale e sociale per tutti, il che si traduce nella moltiplicazione delle situazioni di insicurezza e marginalità. Al di là quindi dei tanti segmenti di immigrazione tutelati dai presidi naturali di regolazione sociale, diffusi in Italia a livello di società civile e di terzo settore, occorre attivare politiche forti di integrazione per quell’area oscura di immigrazione senza presidio sociale, soggetta a sfruttamenti e rischi di ogni genere, su cui finiscono spesso per scaricarsi le tensioni sociali collettive. Giustizia: Pedica (Idv); carceri vicine al collasso, gli agenti vivono come i detenuti Ansa, 20 ottobre 2010 “Necessarie almeno 6.500 unità in più di personale carcerario per garantire il minimo della sicurezza e i servizi di base all’interno delle carceri italiane e il rinnovo del contratto per il prossimo biennio: queste sono le condizioni minime per evitare che la situazione carceraria, già al collasso, esploda violentemente”. Così Stefano Pedica, senatore dell’IdV, che stamane era presente al presidio organizzato dal Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) davanti al Dap (Dipartimento amministrativo polizia penitenziaria) di Roma. “Da tempo - ha detto il senatore - l’Idv denuncia il dramma vissuto da detenuti e agenti: molti edifici carcerari sono fatiscenti, manca il personale per lavorare in sicurezza e dare ai carcerati la minima assistenza di cui hanno bisogno”. “Oggi in Senato durante lavori parlamentari interverrò leggendo il volantino distribuito questa mattina al sit in di protesta indetto, chiedendo azioni immediate da parte del ministro Alfano perché risolva la situazione carceraria e metta la polizia penitenziaria in adeguate condizioni lavorative”. Sono pronto, conclude Pedica, “ad atti di protesta durante cui piazzerò la tenda della legalità , sotto il ministero di Giustizia cercando di costringere Alfano a prestare attenzione alla drammatica situazione in cui versano le carceri italiane”. Giustizia: Ilaria Cucchi “la mia famiglia umiliata” e il Gup respinge la super perizia di Marco Incagnola www.linkontro.info, 20 ottobre 2010 “Mai e poi mai io e i miei genitori potevamo pensare di costituire un problema di ordine pubblico. Abbiamo subito l’umiliazione di dover essere scortati fuori dal tribunale dai carabinieri contro la nostra volontà. A mia madre è stato impedito di andare sul piazzale per fumare una sigaretta. Francamente non capiamo”. Sono le parole di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il ragazzo deceduto il 22 ottobre dello scorso anno dopo un arresto per droga. Parole pronunciate a pochi giorni da quell’anniversario che la società civile e tutti coloro che hanno a cuore la giustizia, si apprestano a celebrare. Parole pronunciate al di fuori del Tribunale di Roma dove oggi si è pronunciato il Giudice dell’Udienza Preliminare. “Ci spiace veramente di aver dato così fastidio al pm tanto da costringerlo a lamentarsene davanti al giudice - ha continuato Ilaria Cucchi - si parla della morte di una persona della nostra famiglia ma questo evidentemente non conta. In fin dei conti la morte di Stefano sta diventando soltanto un problema nostro e di coloro che ci stanno vicino. La morte di Stefano riguarda tutti. Ho detto e continuerò a dire solo la verità”. Un trattamento incomprensibile per una famiglia vittima di una grave ingiustizia. Ilaria Cucchi era stata ospite domenica scorsa nella trasmissione “Che tempo che fa” di Fabio Fazio in cui aveva detto che la sua famiglia si era dovuta persino preoccupare di “un pm che diceva ai nostri avvocati di non santificare la mia famiglia”. Nella stessa mattina il Giudice dell’Udienza Preliminare ha deciso che non si farà la super perizia chiesta dalla famiglia di Stefano Cucchi per far definitivamente luce sulle cause della morte del ragazzo. A respingere la richiesta è stato il Gup Rosalba Liso che deve decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio di 13 persone tra guardie carcerarie, medici, infermieri e un funzionario di polizia accusati di una serie di reati che vanno dalle lesioni aggravate all’abuso di autorità nei confronti di un arrestato, al falso ideologico all’abuso di ufficio, all’abbandono di persona incapace, all’omissione di referto e ad altro. La richiesta dei famigliari di Cucchi tendeva a dimostrare che per le tre guardie carcerarie imputate non si doveva ipotizzare l’accusa di lesioni gravissime bensì quella di concorso in omicidio preterintenzionale. Il legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo, ha poi tenuto a precisare, ai microfoni di CnRmedia, che la super perizia su Stefano Cucchi è stata rigettata non perché infondata, ma perché inammissibile in questa fase processuale. In parole semplici, non è una cosa che non si può fare, è un atto che è possibile fare dopo. Il ragionamento tecnico e giuridico è complesso - ha poi aggiunto - Si può riassumere così: è un provvedimento processuale, non nel merito”. Giustizia: Fp-Cgil; il processo per la morte di Stefano Cucchi sia trasparente Apcom, 20 ottobre 2010 “Continuiamo a seguire con apprensione le vicende processuali legate alla morte di Stefano Cucchi, che vedono coinvolte 13 persone, tra cui poliziotti penitenziari, medici e infermieri dell’ospedale penitenziario Pertini. E confidiamo in una celere conclusione del processo che faccia chiarezza e renda giustizia alla famiglia”. Così in una nota, Rossana Dettori, segretaria generale dell’Fp - Cgil, dopo che il giudice del tribunale di Roma ha respinto la richiesta di parte civile di disporre una nuova perizia medico - legale. “Casi come questo - prosegue la sindacalista - gettano ombre incancellabili sulle istituzioni e vanno affrontati pubblicamente con coraggio e ricercando la verità. Va sgombrato il campo da ogni possibile dubbio e assicurata la massima trasparenza e la pubblicità degli atti”. “Siamo fiduciosi sull’operato della magistratura - conclude Dettori - e quindi non entriamo nel merito delle scelte processuali, ma non possiamo fare a meno di richiamare l’attenzione sul processo, chiedendo che sia garantito il diritto di cronaca per la stampa e di informazione per i cittadini”. Campania: Pd; occorre un osservatorio permanente sulla sanità penitenziaria Ansa, 20 ottobre 2010 I consiglieri regionali Anna Petrone e Donato Pica, rispettivamente Vice Presidente della V commissione Sanità e Sicurezza Sociale e Presidente della Commissione Speciale contro ogni forma di discriminazione, hanno incontrato questa mattina i Responsabili Sanitari degli Istituti Penitenziari della Campania. Il tema al centro dell’incontro è stato quello di verificare gli standard qualitativi nell’offerta dei servizi sanitari nelle carceri. Gli Onorevoli Pica e Petrone, nei primi mesi della nuova legislatura, hanno visitato quasi tutti gli Istituti penitenziari della nostra Regione, incontrando i dirigenti, ascoltando gli operatori, raccogliendo le richieste dei detenuti e dei loro familiari. È emersa un’emergenza tra le emergenze, quello della sanità, dove i detenuti denunciano tempi di attesa assurdi per una semplice visita odontoiatrica (1 anno circa), oppure per un’indagine strumentale (Tac, ecografia o risonanza). Per i motivi innanzi esposti i Consiglieri Pica e Petrone hanno deciso di approfondire la questione, procedendo per singoli territori, e hanno proposto di istituire un Osservatorio permanente su tali questioni. La prima provincia da cui partirà il lavoro di approfondimento è Salerno. Il prossimo incontro, infatti, è stato fissato per il 21 ottobre alle ore 15.00 presso la Direzione dell’Asl Salerno, unitamente ai responsabili sanitari degli Istituti penitenziari, il manager De Simone, i dirigenti Asl di settore e i Consiglieri regionali. Sicilia: Uil-Pa: gli istituti penitenziari della regione in situazione drammatica Ansa, 20 ottobre 2010 È drammatica la situazione in cui versano gli istituti penitenziari della Sicilia. Gravi problemi strutturali, sovraffollamento e una forte carenza di personale hanno reso le nostre carceri invivibili. A denunciarlo è il coordinamento regionale della Uilpa Penitenziari, sottolineando che l’emergenza carcere in Sicilia è assolutamente da non sottovalutare. Sotto tutti i punti di vista. “Parlano i numeri - dice Gioacchino Veneziano, coordinatore regionale della Uilpa Penitenziari - : negli istituti penitenziari dell’Isola ci sono 8.031 detenuti a fronte di una capienza massima pari a 5.171 posti e quindi la percentuale di sovraffollamento supera il 55 per cento”. Gli fa eco il coordinatore provinciale Francesco Donia: “Ci sono stanze di circa 20 metri quadri con sette o anche otto persone dentro”. Accanto al sovraffollamento delle carceri, spicca una carenza degli organici di polizia penitenziaria. “Mancano all’appello - afferma Veneziano - 700 unità di polizia penitenziaria”. Auspica l’apertura di un confronto con il ministro Alfano la Uilpa Penitenziari, annunciando anche per la settimana prossima lo stato di agitazione. Anche il coordinatore nazionale della Fp Cgil polizia penitenziaria, Francesco Quinti, ieri a Palermo per visitare l’istituto penitenziario Ucciardone “fatiscente e con gravi problemi di sicurezza”, ha denunciato i gravi problemi che affliggono le carceri e ha annunciato, per fine mese, una manifestazione nazionale a Roma. Calabria: Magarò (Regione); serve una maggiore sensibilità verso i detenuti Asca, 20 ottobre 2010 “Quando una persona varca la soglia del carcere è una sconfitta per tutti, è lo specchio di una condizione di disagio della società. Per questo la società deve mostrare maggiore sensibilità ed attenzione verso i detenuti e lavorare per favorire il loro reinserimento nella società”. Lo ha detto Salvatore Magarò, presidente della Commissione del Consiglio regionale della Calabria contro il fenomeno della mafia, intervenendo, nella Casa Circondariale di Castrovillari (Cs), alla presentazione del progetto “Ne vale la pena” per l’avviamento di una sartoria all’interno dell’istituto penitenziario. “Le esperienze di lavoro in carcere - ha aggiunto - danno dignità ai detenuti e contribuiscono a creare nuovi, alternativi modelli di sviluppo. In una terra profondamente segnata dalla presenza della ‘ndrangheta, l’idea che all’interno di un carcere si possa organizzare un’attività onesta e redditizia è un eccezionale spot della legalità. In Calabria per fortuna non mancano significativi e proficui esempi di sviluppo e legalità. Penso alle tante associazioni e cooperative che operano sui beni confiscati alla criminalità organizzata”. Con queste cooperative, ha concluso, “abbiamo intrapreso un percorso che porterà alla commercializzazione dei loro prodotti anche attraverso una Bottega della legalità che sarà ospitata a Palazzo Campanella dove ritengo, nel quadro di un più ampio progetto che metta in rete tutte le iniziative di questo tipo, potranno trovare spazio anche i vestiti confezionati nella Casa Circondariale di Castrovillari”. Rieti: Uil-Pa; nuovo carcere utilizzato solo al 25% totem della disorganizzazione del Dap Ansa, 20 ottobre 2010 “Una struttura nuova e funzionale, operativa per il solo 25 per cento, già oberata da problemi di sovraffollamento nell’unico reparto attivo, non può non essere indicata come il vero totem dell’incapacità organizzativa dell’Amministrazione Penitenziaria”. È il giudizio severo sul carcere di Rieti di Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Penitenziari, che oggi ha visitato la Casa Circondariale aperta un anno fa. “La situazione della struttura è grottesca - sottolinea Sarno - perché avendo potuto attivare un solo reparto in un complesso nuovo che ha ben cinque reparti ed una ricettività di 250 detenuti (elevabile a 450), ci troviamo già di fronte ad un grave sovrappopolamento. Nelle celle originariamente previste ad ospitare un detenuto ve ne sono due, e in qualche caso tre, e in quelle costruite per due ve ne sono quattro. Pertanto rispetto ai 56 posti regolamentari per gli ambienti attualmente disponibili, stamani erano presenti 105 detenuti”. Il segretario della Uil Penitenziari accusa il Dap: “È sconcertante apprendere che non c’è una pianta organica del personale decretata, che non esiste un decreto di apertura, che non si conosce il livello di sicurezza attribuito alla struttura (costruita con i canoni di una custodia attenuata per detenuti a basso indice di pericolosità)”. Dei 105 detenuti presenti: 39 sono in attesa di 1 giudizio, 15 gli appellanti, 12 i ricorrenti, 25 con condanna definitiva e 14 con posizione giuridica mista. Due sono sottoposti a regime di grande sorveglianza, uno a sorveglianza speciale. “Purtroppo il contingente di polizia assegnato è e resta il punto dolente - osserva Sarno. Le 93 unità di polizia penitenziaria sono totalmente insufficienti, se si considera che sono ben 35 i posti di servizio direttamente connessi ai servizi di sorveglianza da coprire ogni giorno a cui occorre sommare le 5 unità addette al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti e le 25 unità impiegate in attività istituzionali d’ ufficio o in servizi complementari”. Bollate: nel carcere-quartiere celle aperte, scuole, palestre e anche l’ufficio postale di Andrea Galli Corriere della Sera, 20 ottobre 2010 Non finisce mai, a Bollate, e infatti il tempo passa. A mezzanotte e un quarto torna dagli allenamenti il calciatore dilettante, alle cinque escono gli spazzini, più tardi li seguono i becchini, e intanto qualcuno non avrà dormito per studiare italiano, ripassare il copione teatrale, correggere la tesi di laurea, e domattina qualcun altro penserà agli articoli del giornalino, a come stanno i cavalli, a quali nuovi fiori far crescere. Lo chiamano il carcere modello. Sbagliato: non è un carcere, oramai è un quartiere. Dicono che qui i detenuti sono liberi, e in un certo senso è vero: liberi di fare cose in altri istituti penitenziari vietati, impossibili, mai nemmeno immaginati. Il carcere ha una capienza di 1.200 persone, oggi ne ospita 1.100 e dunque vanta il record, in Italia davvero straordinario, di non essere sovraffollato. Ci sono ergastolani, pochi, ci sono stranieri, il 30%, soprattutto ci sono le celle aperte. Dalle 8 alle 20 per gli uomini, dalle 8 alle 21 per donne e ragazzi. A Bollate uno ci viene per scelta. Deve presentare domanda, e attendere che venga accettata da una speciale commissione. Più d’uno ci prova, in tanti ci marciano, nel senso che sperano di imboscarsi, viver meno peggio che nel vecchissimo e stretto San Vittore, approfittare della palestra, del campo di pallone, finanche dell’ufficio postale (sì, le poste, ve l’abbiamo detto, è un quartiere). “Ma non si pensi che è un posto di vacanza”, dice il direttore Lucia Castellano, “il detenuto firma un progetto con tappe, verifiche, obblighi”. Insomma, deve guadagnarsi la permanenza. Ci sono una sartoria e una falegnameria, il maneggio, corsi per idraulico e muratore, un vivaio, uno sportello giuridico con anche la consulenza del candidato sindaco a Milano Valerio Onida, il call - center di due aziende con duecento centralinisti; ci sono la scuola di alfabetizzazione, la scuola media, le superiori per perito aziendale, un polo universitario, per tutti la campanella suona all’una e mezza e le lezioni terminano nel tardo pomeriggio. Chi poi ha il permesso accordato dall’Articolo 21 e di fatto è in regime di semilibertà allora esce per mezza giornata, va per l’appunto agli allenamenti, e grazie a speciali convenzioni va a lavorare in Amsa, l’azienda milanese che raccoglie i rifiuti, o nei cimiteri. “Questa struttura è figlia del dottor Pagano”, dice la Castellano. Luigi Pagano è l’illuminato provveditore lombardo alle carceri, e dice: “I meriti sono della dottoressa”. Andiamo a trovarla. Il carcere è subito fuori Milano, a nord, su un lato è costeggiato dall’autostrada e sull’altro da una lunga zona industriale, muletti e tir, furgoni e furgoncini, operai in tuta e a ogni stop, a ogni incrocio, prostitute appoggiate sulla punta di sedie sgarrupate con le gambe una più lunga l’altra più corta. Il carcere, nato nel 2001, è un insieme di palazzi grigi, le finestre hanno il perimetro esterno colorato e su un davanzale è appoggiato un vaso di gerani. Lucia Castellano, una bella e tosta signora napoletana che sdrammatizza e sorride, che riempie di parole dolci i collaboratori, è nell’ufficio al secondo piano di una palazzina. Finisce una riunione, al telefono la avvisano che uno ha iniziato lo sciopero della fame (“Vengo a parlarci”), sempre al telefono le chiedono un consulto sul programma degli eventi per Natale, mette giù, la richiamano, è per il preventivo di un intervento di manutenzione, quindi tocca a noi, e domandiamo dei prossimi eventi in programma, se c’è qualcosa di particolarmente originale, e il direttore dice: “Beh, bisogna vedere cosa ha deciso la commissione cultura “. La commissione cultura è formata da trenta detenuti. Si riuniscono alle 14 del mercoledì. Vagliano, discutono, esaminano. Ai saggi compete la scelta sull’organizzazione di concerti, di dibattiti, l’invito di uno scrittore o di un giornalista, la scelta dei libri delle tre biblioteche, e per la cronaca l’impegno letterario è preso alla lettera: i volumi sugli scaffali sono già 25 mila. Fuori, nel parcheggio, sotto gli occhi di uno zio, un bimbetto accelera e prova a impennare con una motoretta, la mamma è dentro, a trovare il padre galeotto. All’ingresso del carcere si avvicendano avvocati e magistrati, altri figli e altre donne di detenuti. Più avanti, dentro, sulla destra, c’è un angolo verde, con piante e pergolati, qualcuno di passaggio si ferma a guardare, parlare, pensare, manco fosse la meta di una gita oppure un parco cittadino che all’improvviso sbuca in mezzo al traffico. Comunque, per la cronaca, da questo carcere si scappa, anche: pochissime le evasioni, vero, però ci sono state. L’ultima, doppia, a luglio. Si dice che il commento, in cella, all’epoca, sia stato di biasimo anziché d’invidia. Chi fugge, lo prendono sempre. Ricomincia la galera. E soprattutto a Bollate, è il minimo, non ci torna più. Prossima tappa: la Cooperativa Multiservizi per l’Expo 2015 Talmente avanti da essere in anticipo anche sui tempi (che peraltro qualcuno dirà lenti) delle istituzioni. Il carcere di Bollate è già in azione per l’Expo del 2015, la rassegna internazionale che sarà ospitata da Milano. Il direttore dell’istituto Lucia Castellano annuncia una delle prossime mosse: la costituzione di una cooperativa multiservizi. Lavori di idraulica e falegnameria, di idraulica e pulizia: la cooperativa nascerà per offrire un’ampia offerta e di farlo con personale già formato, non nascondendo certo la speranza di entrare nella galassia di appalti e subappalti del grande evento. I dipendenti potrebbero venir “pescati” dalle cooperative già presenti nel carcere. E, perché no, potrebbero esser utilizzati in una seconda operazione anche questa nei progetti della direzione di Bollate: riguarda la polizia penitenziaria. Molte guardie vivono in alloggi all’interno dell’istituto. Per loro, spiega la Castellano, servirebbe il potenziamento e l’arricchimento del dopolavoro, con iniziative, certo, “ma soprattutto con nuovi spazi, per l’attività fisica, e penso a palestre, ma non soltanto”. Individuare tecnici e manovalanza per eventuali ristrutturazioni non sarà certo difficile: dentro Bollate operano due ditte di vetro e falegnameria. Particolare non da poco: le ditte hanno titolare e operai rigorosamente detenuti. Firenze: Pd; Sollicciano sempre più in crisi, aumentano i detenuti e diminuiscono gli operatori Ansa, 20 ottobre 2010 Situazione di grave sovraffollamento ormai costante da mesi con la soglia di 1.000 detenuti superata (ad oggi 1011 più 3 bambini) a fronte di una capienza regolamentare di 497. Organico di operatori inferiore del 30% rispetto ai numeri necessari per la gestione. Questi i numeri, preoccupanti, dell’Istituto Penale di Sollicciano a Firenze dove oggi pomeriggio sono stati in visita i consiglieri regionali del Partito Democratico Enzo Brogi e Nicola Danti. “Il carcere di Sollicciano sta vivendo il momento peggiore degli ultimi anni - spiega Danti - in quanto a numeri abbiamo registrato un sovraffollamento per quanto riguarda i detenuti e una riduzione forte degli organici degli operatori carcerari. Il personale all’interno dell’Istituto Penale sta svolgendo un lavoro eccezionale che copre le ormai evidenti carenze di organico in una struttura che già per la sua conformazione è più complessa di altre. C’è grande attesa inoltre - conclude Danti - per l’apertura del nuovo Palazzo di Giustizia, dobbiamo accelerare perché questo porterebbe un risparmio e una facilitazione per chi lavora all’interno di Sollicciano”. “Un tema fondamentale - aggiunge Brogi - da affrontare al più presto è quello dei tossicodipendenti in carcere. Serve un intervento deciso per far sì che vada avanti il progetto di uscita dagli Istituti Penali come Sollicciano di queste persone che vanno affidate a strutture socio - sanitarie. A Firenze il carcere potrebbe svuotarsi di almeno 100 detenuti. Molto importante - conclude Brogi - anche l’istituzione del Garante regionale, una figura utile che come ci hanno confermato anche gli operatori servirebbe per rendere sempre migliori le condizioni di vita di tutti coloro che vivono il carcere, dai detenuti al personale”. Aosta: il direttore; celle aperte e attività produttive, per favorire il reinserimento dei detenuti Ansa, 20 ottobre 2010 I detenuti di quattro delle sei sezioni della casa circondariale di Aosta sono liberi di circolare, cambiare cella, socializzare con i colleghi, tutti i giorni, dalle 9 alle 18, comprese quindi le due ore d’aria al mattino e le due ore di aria nel pomeriggio. È la novità introdotta dal direttore, Domenico Minervini, responsabile del carcere dal gennaio scorso. Inoltre, sei detenuti sono occupati presso aziende valdostane e quindi lasciano il carcere al mattino e vi fanno rientro alla sera. “Il mio obiettivo - ha detto il direttore partecipando alla trasmissione “Il rosso e il nero” della web tv Aosta Oggi - è creare le condizioni perché effettivamente i detenuti possano seguire un percorso di recupero e di riabilitazione in previsione della fine della pena”. Secondo quanto riferito dal direttore molti detenuti partecipano ad attività formative e di studio. “Adottiamo - ha aggiunto Minervini - il criterio di dare la possibilità al maggior numero di detenuti di partecipare ad attività che possano contribuire al loro reinserimento nella società”. Il direttore vuole fare del carcere di Aosta, in collaborazione con l’Amministrazione regionale e le associazioni di volontariato, “un centro di attività produttive e di promozione sociale tant’è che è già attiva una lavanderia gestita da una cooperativa che occupa tre detenuti e altre attività produttive sono già programmate”. A tal proposito è stata realizzata una struttura che occupa parte del carcere dove saranno insediate nuove attività per conto terzi. Facendo poi riferimento al sovraffollamento del carcere, il direttore ha precisato che con i nuovi parametri introdotti per spazio/detenuti il carcere di Aosta è idoneo ad ospitare circa 280 persone, limite comunque pressoché raggiunto. Mentre, per quanto riguarda il personale di sorveglianza “il carcere presenta deficienze, ma confido - ha concluso il direttore - che con gli interventi del governo si possa al più presto assumere nuovi dipendenti in modo tale da rafforzare l’organico”. Taranto: un detenuto maghrebino con problemi mentali dà fuoco alla sua cella Ansa, 20 ottobre 2010 Un detenuto maghrebino con seri problemi di equilibrio mentale ha appiccato il fuoco nella sua cella del carcere di Taranto per togliersi la vita. È avvenuto sabato scorso - ma la notizia si è appresa oggi - nel reparto isolamento, a poca distanza dall’ infermeria in cui è rinchiuso Michele Misseri, reo confesso dell’ omicidio della nipote Sara. A darne notizie è il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria che parla di “tragedia sfiorata, evitata grazie all’ intervento degli agenti”. Il detenuto, con un accendino, ha dato fuoco al materasso e alle suppellettili. Un fumo intenso ha avvolto subito l’intera sezione isolamento ove erano rinchiusi altri detenuti, che hanno cominciato a chiedere aiuto. Federico Pilagatti, segretario del sindacato, ha detto che “il comandante e alcuni poliziotti penitenziari, a rischio della loro incolumità, senza maschere e con un panno imbevuto d’acqua sul viso per difendersi, si sono gettati nella colonna di fumo per aprire le celle dei detenuti e portarli in salvo all’esterno. Nel frattempo sono arrivati gli altri rinforzi con le maschere antigas ed estintori, riportando la situazione sotto controllo. Anche il detenuto magrebino è stato salvato ed allocato in altro posto”. Il Sappe ribadisce che questo episodio “non è che l’iceberg di una situazione di disagio e malessere che viene vissuta nel carcere di Taranto a causa dell’ormai non più accettabile sovraffollamento di detenuti: oltre 600 a fronte di 260 posti, e che scatena comportamenti sempre più drammatici dei detenuti” e chiede al sindaco di Taranto di emettere “un provvedimento in cui decreti la chiusura di alcune sezioni detentive, qualora l’Amministrazione penitenziaria non si impegni a riportare la situazione igienico sanitaria all’interno del penitenziario, nel rispetto delle legge e della costituzione”. Castrovillari (Cs): inaugurata sartoria di detenute, con griffe “Ne vale la pena” Adnkronos, 20 ottobre 2010 Si chiama “Ne vale la pena” la griffe dell’officina sartoriale nata dal progetto promosso dalla casa circondariale di Castrovillari e dalla Provincia di Cosenza, che coinvolge i detenuti dell’istituto penitenziario. La convenzione è stata firmata questa mattina. Si tratta di un incubatore di buone prassi sociali per consentire un percorso di recupero dei detenuti, da sottrarre all’influenza della criminalità. L’associazione “Itineraria Bruttii” onlus, centro di formazione professionale accreditato, si occuperà della formazione delle detenute. La produzione della sartoria riguarderà borse in tessuto da utilizzare per trasporti di beni di consumo (alimenti, piccoli oggetti) e altri gadget (porta telefonini, sacche, strofinacci da cucina, beauty case, tracolle) da commercializzare come prodotto solidale presso supermercati e negozi del territorio della Provincia di Cosenza. Il marchio che contrassegnerà le produzioni “Ne vale la pena” avrà l’obiettivo principale di diffondere, attraverso ingegno e creatività, un messaggio importante e un nuovo modello di comportamento. Volterra (Si): dopo 17 anni rischia di “saltare” il corso per geometri in carcere Il Tirreno, 20 ottobre 2010 “Salviamo il corso geometri nel carcere di Volterra”. L’appello è chiaro e la scuola, attraverso alcuni prof dell’istituto Niccolini, lancia un sonoro sos alla città e alle istituzioni. “C’è il rischio che la rete scolastica ci tolga la sezione staccata del corso al Maschio per trasferirla nel sistema dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti”, spiega Alessandro Togoli. Da ben 17 anni insegna italiano e storia agli studenti detenuti. Un legame importante che coinvolge ben 26 prof dell’Itcg volterrano. Ed è qui una delle note dolenti che si verrebbero a creare: “Se ci tolgono la sezione l’organico docenti diminuirebbe in modo vertiginoso - continua - e da 26 professori ne resterebbero 8”. Posti di lavoro che salterebbero, quindi. Insieme ad un profondo legame tra insegnanti e studenti che va avanti da oltre 20 anni. “La stessa direzione del carcere supporta questa nostra mobilitazione - puntualizza - anche perché se le cose dovessero cambiare sarebbe anche cancellato il corso dei cinque anni tradizionali, trasformato in lezioni abbreviate”. Alessandro Togoli fa una riflessione che abbraccia la natura del carcere volterrano. “Qua da noi i detenuti scontano pene lunghe, quindi è importante che ci sia un percorso didattico più incisivo anche per raggiungere risultati migliori”. Al momento l’istituto Niccolini ha fatto, come da copione, la propria proposta al Comune. Proposta che passerà al vaglio della rete scolastica provinciale e poi regionale. I tagli, se ci saranno, comincerebbero dal prossimo anno scolastico. Intanto da sabato sulla community di Facebook è nato il gruppo “salviamo il corso per geometri nel carcere di Volterra”. Centinaia già gli iscritti. “La cosa bella - conclude - è che ci sono tanti insegnanti, ma anche ex studenti del carcere e ex ragazzi del Niccolini”. Avezzano (Aq): firmato il decreto di riapertura del carcere di San Nicola, ospiterà 100 detenuti Il Centro, 20 ottobre 2010 Il ministero di Grazia e Giustizia ha firmato il decreto per la riapertura del carcere di San Nicola; il rientro del personale è già iniziato e si completerà entro la fine del mese. Una volta reintegrato l’organico necessario per la struttura, si procederà al trasferimento dei detenuti provenienti probabilmente dal carcere di L’Aquila e da quello di Sulmona. Il carcere di San Nicola, che è rimasto chiuso per ben tre anni, doveva essere riaperto già l’anno scorso, ma l’ultimazione dei lavori ha richiesto più tempo. Il penitenziario avezzanese sarà in grado di ospitare oltre cento detenuti e potrà contare su un organico di 42 agenti penitenziari. Chiavari (Ge): aperto il “giardino degli incontri”, per i detenuti-papà e i loro figli Vita, 20 ottobre 2010 Uno spazio attrezzato dove i papà detenuti possono incontrare i figli realizzato con un finanziamento di 20mila euro della Provincia di Genova. I detenuti - papà del carcere ligure di Chiavari da qualche giorno possono incontrare i loro figli all’aria aperta. Un’area verde, la prima realizzata in Liguria, di circa 120 metri quadrati, destinata agli incontri dei reclusi con la famiglia. Il giardino in erba sintetica all’interno del carcere è circondato da un muro rosa, per dare ai piccoli la sensazione che anche qui si può giocare. Incontri che non durano le classiche due ore, ma possono arrivare a quattro. Un’iniziativa della direttrice del carcere, Paola Penco, e che ha ottenuto dalla Provincia un contribuito di 20 mila euro. Nel giardino degli incontri tra i padri detenuti e i loro piccoli, c’è anche una fontanella con i pesci rossi, un cavalluccio e due tavoloni per mangiare all’aria aperta. Uno spazio che consente ai bimbi di vivere una situazione di normalità, anche se solo apparente. Anima del progetto è stata direttrice del carcere. Ex numero due nella casa circondariale di Marassi, a Genova, laurea in giurisprudenza e una grande passione per il mestiere che ha scelto: “Grazie anche all’area verde e alla disponibilità che mostrano le guardie carcerarie, sono riuscita a cancellare la conflittualità tra i detenuti in un carcere che, come gli altri istituti, soffre dei mali cronici del sovraffollamento - 105 detenuti contro i 75 previsti - e della carenza di personale - 36 agenti contro i 62 in previsione di organico”. Bologna: venerdì e sabato una “cella in piazza”, per far capire cosa significa vivere in carcere Dire, 20 ottobre 2010 Una cella in piazza: sarà montata dopodomani, venerdì mattina, in piazza Re Enzo a Bologna e resterà nel centro cittadino fino a domenica per far toccare con mano ai cittadini cosa significhi stare rinchiusi in carcere. L’iniziativa è organizzata dal difensore civico dell’Emilia - Romagna, Daniele Lugli, dalla Conferenza regionale volontariato giustizia e dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Vanna Minardi. L’intento è quello di richiamare l’attenzione sul problema delle carceri e sulle condizioni drammatiche delle strutture detentive dell’Emilia - Romagna, dove regna il sovraffollamento, non c’è lavoro e mancano risorse e personale. L’appuntamento è dunque per le 11 di venerdì in piazza Re Enzo, quando parleranno l’avvocato Lugli e la presidente della conferenza del volontariato giustizia, Paola Cigarini. La cella che arriverà in piazza Re Enzo, si legge nella nota che annuncia l’iniziativa, è “fedelmente riprodotta”, cioè uguale a quelle vere, e “sta girando l’Italia per risvegliare l’attenzione dell’opinione pubblica su un sistema giustizia che dall’inizio dell’anno ha prodotto 54 suicidi e un sovraffollamento che, nella nostra regione, raggiunge l’85,7%”. La speranza, scrivono gli organizzatori, è che i visitatori “potranno forse capire quanto sia difficile vivere 22 ore su 24 all’interno di una cella dove spesso la porta è chiusa e lo spazio vitale è ridotto al minimo, tanto che bisogna mangiare a turni perché il pavimento non può ospitare tutti in piedi contemporaneamente”. L’iniziativa è anche l’occasione per raccogliere firme per l’istituzione di un Garante dei detenuti a livello regionale. La cella in piazza sarà “aperta” venerdì e sabato dalle 10 alle 20 e domenica dalle 10 alle 13. “Non rappresenta solo l’opportunità di provare - anche se per pochi minuti - la difficoltà di muoversi in uno spazio molto angusto e di lavorarvi all’interno, ma è anche il pretesto per ragionare, discutere di carcere e di pena, l’occasione per insistere nella promozione di una pena utile già sollecitata in occasione del convegno promosso a Bologna dal Volontariato Giustizia lo scorso mese di maggio”, scrive la Conferenza regionale volontariato giustizia in una nota. Durante la tre giorni, si legge ancora, “volontari, giornalisti, autorità cittadine, rappresentati delle istituzioni, operatori penitenziari, magistrati, e persone detenute incontreranno i cittadini, proponendo letture, discussioni, interviste, incontri informali e documentazione sui temi legati alla Giustizia”. Napoli: il presidente degli industriali con i ragazzi di Nisida allo spettacolo di Saviano Apcom, 20 ottobre 2010 Il presidente dell’Unione industriali di Napoli, Gianni Lettieri, ha invitato un gruppo di ragazzi della Casa circondariale di Nisida ad assistere domani sera alla prima di Santos, lo spettacolo tratto da un racconto di Roberto Saviano, che debutta al teatro Delle Palme. L’iniziativa rientra nel quadro delle attività degli Industriali partenopei per promuovere la cultura della legalità e il reinserimento nella società civile dei giovani che hanno avuto problemi con la giustizia. Il testo sarà in scena fino a domenica 24 ottobre e vede coinvolti gli stessi attori che hanno interpretato il film di Matteo Garrone, Gomorra, tratto dall’omonimo romanzo di Saviano. I 12 giovani detenuti saranno accompagnati da altrettanti agenti della Polizia penitenziaria e dal direttore della casa circondariale, Gianluca Guida, che ha reso possibile questa partecipazione. Santos è un racconto di Roberto Saviano, uscito in una raccolta, ma praticamente sconosciuto, che narra la storia di quattro ragazzi che devono scegliere tra il calcio e la delinquenza, la realizzazione di un’aspirazione che porta al compimento di un destino migliore. Milano: appello del cappellano di San Vittore; aiutiamo chi prega dietro le sbarre Redattore Sociale, 20 ottobre 2010 Il cappellano del carcere milanese don Pietro Raimondi: “Tanti fedeli immigrati, chiedono Bibbie nella loro lingua. rosari, immagini sacre, ma anche tute e sapone”. “Aiutiamo chi prega dietro le sbarre”: è l’appello di don Pietro Raimondi, cappellano del carcere milanese di San Vittore, dal sito www.chiesadimilano.it, il portale dell’Arcidiocesi ambrosiana. Ad ogni Messa don Pietro ha tanti fedeli da ogni parte del mondo: “Da fare invidia al Papa alle giornate della gioventù. Un solo esempio: al reparto dei giovanissimi si stipano nella cappellina per la Messa la domenica mattina alle 8.30. Sono italiani, moldavi, rumeni, sudamericani, cinesi, marocchini ed egiziani. Tra loro ci sono cattolici, ortodossi, evangelici, musulmani e chi nemmeno sa che dire”. Il sacerdote è sommerso di richieste d’aiuto. “Chiedono Bibbie nella loro lingua e libri di preghiera: spagnolo, cinese, francese, inglese, rumeno, russo, italiano. Chiedono rosari: chi lo tiene in tasca, chi lo mette al collo. Chiedono immaginette da stringere forte, che li facciano sentire a casa, quando andavano da padre Pio o dalla Virgen de Guadalupe e davanti alle icone stupende e severe dell’Est. Chiedono francobolli, carta e penna e ci chiedono pure le tariffe, perché “così magari arriva davvero a casa la mia lettera” (0.60 euro per l’Italia, 0.65 per Europa e Nord Africa, 0.85 per il resto del mondo). Chiedono qualche felpa, qualche tuta, sapone e shampoo”. Il carcere di San Vittore ospita circa 1.500 detenuti, i posti disponibili sarebbero poco più di mille. E avrebbe bisogno di essere ristrutturato: due padiglioni sono chiusi perché inagibili. “Chiedono di poter sentire bene quanto dicono i cappellani alla Messa, perché se l’impianto audio fa cilecca, addio evangelizzazione! Chiedono - le donne - un tetto nuovo per la loro cappellina, chiusa qualche settimana fa perché pericolante. Era un luogo dove si sentivano a casa, in silenzio e in pace, con la statua della madonna che raccoglieva le loro preghiere, il lume acceso al tabernacolo e le stazioni della Via Crucis alle pareti. La riavranno? Ci sarà un tetto?”. Genova: ricatti sessuali in carcere; l’ex direttore di Pontedecimo chiede il rito abbreviato Agi, 20 ottobre 2010 Ha chiesto di essere processato con rito abbreviato l’ex direttore del carcere femminile di Genova Pontedecimo Giuseppe Comparone, accusato di violenza sessuale nei confronti di una detenuta marocchina. Comparone è comparso con i suoi legali, Mario Iavicoli e Stefano Savi, di fronte al gip Silvia Carpanini che ha accolto la richiesta. La discussione dell’abbreviato si terrà il 3 ed il 6 dicembre prossimi. La presunta vittima delle violenze si è costituita parte civile. Comparone secondo l’accusa avrebbe preteso favori sessuali in cambio di benefici alla detenuta che avrebbe ottenuto illecitamente la semilibertà e anche la facoltà di rientrare in ritardo in carcere in ritardo rispetto agli orari di lavoro. Comparone ha sempre negato ogni addebito. Televisione: domani mattina, su Canale Italia, una trasmissione dedicata agli operatori penitenziari Comunicato stampa, 20 ottobre 2010 Il mondo degli operatori penitenziari attraverso le testimonianze del segretario nazionale del Si.Di.Pe., del Segretario nazionale aggiunto del Sappe, del vice segretario generale dell’Osapp, alla trasmissione televisiva “Notizie Oggi” del 21.10.2010, su Canale Italia (ore 6.00/ 8.30 ca.). Non tutto è perduto, ancora è possibile riprendere la rotta del sistema penitenziario, purché davvero lo si voglia e si dia ascolto agli operatori penitenziari, in particolare quelli che operano sulla prima linea. Seppure risulta evidente che occorra ridisegnare un ampio progetto del mondo penitenziario, il quale non può essere subalterno ad altri, avendo delle specificità che lo rendono ben più complesso, siamo come Si.Di.Pe. convinti che, se soltanto si accettasse la pratica del leale reciproco confronto, e si desse ascolto ai nostri suggerimenti ed a quelli di quanti rappresentino il personale della prima linea, molti problemi seppure non risolti risulterebbero ridimensionati in meglio. In questa amm.ne la maggior parte di noi ha speso una quota vita importante, ha creduto, lottato, cercato di realizzare un sistema dell’esecuzione penale civile, rispettoso della legalità. Fino a qualche decennio fa, quando l’allora capo del Dap, Nicolò Amato, era riuscito a portare al centro dei problemi della Sicurezza e della Giustizia il Mondo delle carceri ed aveva avviato un profondo processo di riforma, coniugando sicurezza con ragionevolezza, sicurezza con trattamento, sicurezza con umanità, tutti noi operatori penitenziari ci sentivamo fortemente coinvolti e motivati consapevoli che ci fosse reale attenzione da parte dell’opinione pubblica, delle istituzioni, della politica. Quel processo di rinnovamento e di riforma si è incomprensibilmente fermato, mentre è andata a farsi strada la rassegnazione che le cose debbano andare così: ebbene intendiamo mostrare, anche attraverso questa trasmissione, che cambiare si può e si deve... Il dr. Durante, Segretario Nazionale Aggiunto del Sappe, il maggiore sindacato rappresentativo della polizia penitenziaria, il dr. Nicotra, direttore responsabile di Polpen, una delle più diffuse agenzie online di notizie penitenziarie, ed egli stesso vice - segretario nazionale dell’Osapp, il sottoscritto, Segretario Nazionale del Si.Di.Pe., lo storico sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari, insieme con il Prof. Martucci, esperto in materia penitenziaria e docente universitario di criminologia, daremmo vita ad un confronto dal quale auspichiamo si comprenda come la “diversità” di opinioni non sia un limite per la risoluzione dei problemi, ma al contrario offra una gamma più completa di rimedi che, ove soltanto fosse puntualmente colta dal Dap e dal Governo, migliorerebbe il clima lavorativo e agevolerebbe il processo di risoluzione di criticità le quali, invece di essere ad una ad una affrontate e superate, tendono a stratificarsi e radicarsi, rendendo difficile e ancor più tesa e pericolosa la quotidianità dei tantissimi operatori che assicurano, con impegno e lealtà, la loro missione penitenziaria. Enrico Sbriglia Segretario Nazionale del Si.Di.Pe.