Giustizia: sbarre e miliardi, il metodo dell’emergenza e l’ombra della “cricca” Il Fatto Quotidiano, 19 ottobre 2010 I lavori per i nuovi penitenziari affidati con procedure riservate. Il ruolo del commissario Franco Ionta. L’ennesima emergenza italiana si chiama carceri. E come per ogni emergenza, viene nominato un Commissario con poteri straordinari per aggirare le troppo farraginose leggi dello Stato che fanno perdere tempo a chi deve andar di corsa. Si può riassumere così l’ordinanza del presidente del consiglio dei ministri che attribuisce al capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) Franco Ionta la nomina di commissario delegato - cioè straordinario - per l’edilizia carceraria con tutti i poteri che ne conseguono che lo trasformano di fatto nel Bertolaso delle carceri. Per dirla con Berlusconi secondo il “modello Abruzzo”. Una nomina che pone una questione non secondaria, rappresentata dal doppio ruolo di Ionta di commissario straordinario per l’edilizia e capo dell’amministrazione penitenziaria. Come Bertolaso alla Protezione civile, Ionta può avvalersi, in deroga alle norme, anche di consulenti esterni, e può decidere la secretazione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Le procedure saranno così semplificate e, sotto la responsabilità del presidente del Consiglio, la documentazione relativa agli appalti potrà essere classificata come “riservatissima”. Esattamente come si legge nella bozza di piano carceri “si presenta idoneo a selezionare gli operatori economici interessati agli appalti e a proteggere la documentazione relativa”. L’attività di indirizzo e controllo, cui spetta l’approvazione del piano e l’attività di vigilanza sull’attività d’azione del commissario delegato, è svolta da un comitato presieduto dal ministro della giustizia composto dal ministro delle infrastrutture e dal capo della protezione civile. E le risorse? Proverranno dai fondi previsti dal decreto anticrisi, 600 milioni di euro, per ora solo promessi, dai finanziamenti derivanti dai capitoli di bilancio ordinari del Dap e della cassa delle ammende. E dal finanziamento dei privati, aggiunge il ministro Alfano. Privati che potranno concorrere “con strumenti contrattuali innovativi come per esempio il project financing”. Di innovativo in verità il project financing ha ben poco visto che si conoscono bene i danni prodotti dal mettere in secondo ordine la trasparenza del procedimento e l’affidabilità delle imprese rileva-tesi spesso in stretto legame - diretto o indiretto - con la criminalità organizzata. Tra i poteri straordinari di Ionta oltre alla riduzione dei tempi per i ricorsi e l’impossibilità che le gare vengano bloccate in fase di contenzioso anche quello - in deroga a diverse normative - di poter fare i progetti, individuare le ditte, affidare i lavori, contattare i presidenti delle regioni e sentire i sindaci delle aree interessate alle nuove opere, e molto altro. C’è da ricordare che tra le imprese che si sono già aggiudicate l’appalto per la costruzione degli istituti di pena in Sardegna ve ne sono alcune che hanno ottenuto appalti attraverso gare informali finite al centro dell’inchiesta del G8 della Maddalena. Come la ditta Anemone per il carcere di Sassari. È forse per questo che alla luce dei risultati prodotti dall’emergenza post-terremoto e non solo il ministro Alfano ha messo un suo uomo di fiducia a guardia del “pollaio” viste le volpi in circolazione? Giustizia: i ddl sulle pene domiciliari e le detenute madri nelle “secche” del Parlamento Asca, 19 ottobre 2010 La Commissione Giustizia del Senato, impegnata oggi nel seguito del confronto sul ddl relativo al Lodo Alfano costituzionale, ha in programma per domani il seguito dell’esame del ddl 2313 che prevede l’esecuzione presso il domicilio dei residui di pena non superiori ad un anno. Più volte il Sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo è intervenuto nel dibattito per ribadire l’urgenza di queste misure come soluzione ponte per attenuare il sovraffollamento delle carceri. Ma le riserve espresse sull’articolato dai senatori di opposizione e l’orientamento espresso anche dalla Lega Nord a presentare ulteriori ritocchi ha bloccato la richiesta di riassegnazione del testo in sede deliberante. Ora, quindi, dovranno essere valutati gli ulteriori emendamenti puntando a concludere in tempi stretti l’iter referente. Detenute madri, oggi il termine per gli emendamenti Scade oggi il termine fissato in Commissione Giustizia alla Camera per la presentazione di emendamenti al controverso testo unificato contenente norme per la tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. Un nuovo schema base è stato presentato dal relatore la scorsa settimana per cercare di risolvere le numerose riserve espresse da vari deputati, anche di maggioranza, sullo schema normativo e per giovedì è fissato il seguito dell’esame in sede referente. Giustizia: oggi il Sappe in piazza contro l’amministrazione penitenziaria Redattore Sociale, 19 ottobre 2010 Oltre un centinaio di agenti penitenziari manifestano questa mattina a Roma. Capece: “Chiediamo al Capo dipartimento di agire finalmente nel concreto per risolvere i numerosi problemi che viviamo quotidianamente”. Fischietti in bocca, bandiere al vento, cappellini in testa: oltre un centinaio di agenti penitenziari aderenti al Sappe, manifestano questa mattina davanti alla sede del Dap, in largo Luigi Daga a Roma. Arrivano soprattutto da Lazio, Campania, Abruzzo, marche e Molise. Presente anche una delegazione della sezione calabrese. Il traffico nella zona è rallentato con la polizia municipale impegnata ad attenuare i disagi per gli automobilisti. “Siamo qui, e siamo solo una piccola rappresentanza - dice Donato Capece, segretario del Sappe -, per protestare contro l’immobilismo del Dap e per chiedere al Capo dipartimento di agire finalmente nel concreto per risolvere i numerosi problemi che viviamo quotidianamente. Servono risorse per pagare gli straordinari, che sono ormai diventati una consuetudine obbligatoria e che per giunta non vengono pagati da circa un anno. Così pure - continua - chiediamo una decisione definitiva sull’assunzione dei 2 mila nuovi agenti di cui si parla dal 2009: queste assunzioni potrebbero portare almeno una boccata di ossigeno, dal momento che oggi mancano all’organico circa 6.500 agenti e altri mille andranno in pensione a fine anno”. A tutto ciò, secondo Capece, si andranno ad aggiungere le conseguenze dell’annunciato Piano carceri sull’edilizia penitenziaria (11 nuove carceri e 20 nuovi padiglioni in 3 anni). “Chi controllerà i nuovi detenuti?”, domanda Capece. Fra le richieste dei sindacato al Dap ci sono anche il pagamento delle competenze per i servizi di missione dei nuclei traduzione e piantonamenti e lo stanziamento delle risorse necessarie all’ammodernamento degli automezzi e del vestiario. Il sit-in di protesta va avanti fino alle ore 13. Ci hanno spremuti, non ce la facciamo più Sit-in del Sappe davanti alla sede del Dap. “Non vogliamo privilegi, ma le nostre condizioni di lavoro sono insostenibili: turni di nove ore al giorno, dieci mesi di straordinari, traduzioni e piantonamenti non pagati, organico sottostimato” “Ci hanno spremuti come limoni, ora non ce la facciamo più”. Straordinari obbligatori e non pagati, carenza di organico, provvedimenti annunciati e mai concretamente assunti per fronteggiare l’emergenza carceri e migliorare le condizioni di lavoro anche degli agenti della polizia penitenziaria: è un coro unanime di protesta quello degli agenti della polizia penitenziaria che protestano a Roma davanti alla sede del Dap. Sono quasi solamente uomini, la maggior parte fra i 40 e i 50 anni, tutti “armati” di fischietto e di molta esasperazione. Le rimostranze davvero non mancano: “Non mi pagano lo straordinario da gennaio”, “Facciamo turni di lavoro di otto o nove ore, una condizione massacrante”, “Non solo non ci pagano, ma non ci rimborsano neppure le piccole spese che abbiamo anticipato di tasca nostra”. Non c’è rassegnazione, però, fra gli uomini del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria. Bandiere blu al vento, scandiscono cori e chiedono a gran voce al vice- capo del Dipartimento, Emilio Di Somma, di “andare via”, di pagare in prima persona “l’inerzia” avuta fin qui nella gestione dei problemi degli agenti penitenziari. “Ci sono uomini vecchi di anni che in questo palazzo - dice il segretario generale del Sappe Donato Capece - stanno a poltrire mentre gli agenti affondano sommersi dai problemi che loro contribuiscono a non risolvere”. E di questo passo - minaccia - la nostra prossima tappa saranno “le finestre del ministro Alfano”, sotto via Arenula, sede del ministero della Giustizia. La protesta è civile ma dura nei toni. “Non vogliamo privilegi, ma noi semplicemente non ne possiamo più”. Un agente in servizio in un carcere laziale racconta le sue giornate: “Da tempo ormai gli straordinari sono diventati parte del normale orario di lavoro: siamo obbligati a farli, e dunque li pianifichiamo fra di noi. Come se non bastasse, però, capitano talvolta necessità ed emergenze che ci costringono ad allungare ulteriormente i nostri turni di lavoro. Facciamo, insomma, lo straordinario dello straordinario. E il tutto non ci viene pagato da mesi: io non prendo un euro per quella parte del mio lavoro dal mese di gennaio”. Da Roma sono arrivati anche da altre regioni: “Dalla Calabria o dalla Pugglia, siamo pronti a fare ancora tutti i chilometri necessari per tornare a protestare”. “I giornali e le televisioni - dicono altri agenti - parlano della casa a Montecarlo o delle proprietà alle isole Cayman o ad Antigua: a noi queste cose non interessano, le carceri scoppiano e i media parlano di altro. Speriamo che si aprano gli occhi sui problemi reali del paese, ad iniziare dall’emergenza carceraria”. E subito dopo, eccoli indossare tutti quanti la maglietta bianca e azzurra del sindacato. Ne danno una anche al senatore dell’Idv Stefano Pedica, arrivato per manifestare la solidarietà del partito: “Sono qua - dice - per combattere con voi la battaglia per tutelare il vostro lavoro e il vostro stipendio e per denunciare ancora una volta l’inerzia del governo di fronte al drammatico problema delle carceri. Questo pomeriggio, al termine dei lavori, parlerò della vostra battaglia al Senato, indossando anche la vostra maglietta”. Parole accolte dagli applausi, prima di ricominciare, fischietti e bandiere in mano, la rumorosa protesta davanti al Dap. Giustizia: Ionta (Dap) riceve il Sappe e promette “porterò le vostre richieste ad Alfano” Redattore Sociale, 19 ottobre 2010 Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha ricevuto una delegazione del sindacato autonomo di polizia penitenziaria al termine del sit-in di questa mattina. Capece: “La prossima volta manifesteremo sotto le finestre del ministro”. Il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, al termine del sit-in organizzato questa mattina dal Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) ha ricevuto una delegazione composta dai dieci segretari regionali presenti e guidata dal segretario generale del sindacato Donato Capece. Secondo quanto riferito dallo stesso Capece, il capo dipartimento ha ascoltato l’esposizione delle motivazioni della protesta e si è impegnato ad accogliere l’esortazione del Sappe di trasmettere le richieste, nella stessa giornata di oggi, al ministro Alfano. “Siamo soddisfatti: è stata una giornata importante - afferma Capece - perché al punto al quale siamo arrivati solamente l’interessamento reale del ministero può contribuire a migliorare la situazione delle carceri e quella delle condizioni quotidiane del nostro lavoro. Pazienteremo dunque per una settimana, dando tempo al ministro di occuparsi della questione: se non vedremo risultati, torneremo a manifestare nuovamente, e stavolta sotto le sue stesse finestre”. Secondo quanto riferito da Capece, il capo dipartimento Ionta si è comunque mostrato “ottimista” sull’andamento di uno degli interventi diretti ad affrontare il sovraffollamento nelle carceri, e cioè il ddl 2313, attualmente all’esame del Senato, che prevede nuove modalità per l’esecuzione presso il domicilio dei residui di pena non superiori ad un anno. Il testo, già ampiamento discusso e approvato alla Camera, è attualmente in Commissione giustizia a Palazzo Madama e dovrebbe consentire almeno una riduzione del numero dei detenuti: si parla di una cifra vicina alle duemila unità, dal momento che dal provvedimento resterebbero esclusi i responsabili di reati gravi o di atti di terrorismo o condannati per appartenenza ad organizzazioni criminali. Giustizia: sentenza della Cassazione; Facebook vietato per chi è agli arresti domiciliari di Giovanni Negri Il Sole 24 Ore, 19 ottobre 2010 È la nuova comunicazione, bellezza. E anche la Cassazione ne deve prendere atto. Tanto da potere fare spalancare le porte del carcere per chi, agli arresti domiciliari, si diletta con Facebook non potendo mettere il naso fuori di casa. A mettere nuovi paletti, prendendo atto, casomai ce ne fosse bisogno, della rilevanza anche penale dei social network, è la sentenza n. 37151 depositata ieri. La pronuncia si preoccupa di aggiornare quel divieto di comunicazione con “persone diverse dai familiari conviventi” previsto dal Codice di procedura penale. Una prescrizione che, sottolineano i giudici, deve essere oggetto di un’interpretazione estensiva, prevedendo un divieto di parlare non solo con persone non della famiglia e non conviventi, ma anche, pur in assenza di disposizioni specifiche, di comunicare attraverso internet. Ma non tutto internet, o non tutti gli utilizzi di internet finiscono sotto la tagliola dei giudici. A fare la differenza è infatti il diverso impiego della rete. Per la Cassazione, “l’uso di internet non può essere vietato tout court ove non si risolva in una comunicazione con terzi comunque attuata, ma abbia solamente funzione conoscitiva o di ricerca, senza entrare in contatto, tramite il web, con altre persone”. I giudici ricordano che la tecnologia moderna permette oggi un agevole scambio di informazioni anche con mezzi diversi dalla parola, tramite il web e anche questa trasmissione di informazioni deve essere compresa nel concetto di “comunicazione”, pur non essendo vietata dalla legge. Il divieto colpisce allora non solo la comunicazione diretta, ma anche tanti altri strumenti, che vanno dai più rudimentali “pizzini”, ai gesti, alle comunicazioni televisve anche mediate (impossibile su questo punto non avvertire un’eco delle polemiche sorte dopo la scoperta che detenuti al 41 bis erano coinvolti in messaggi diffusi in note trasmissioni televisive), per arrivare sino ai messaggi online. Attenzione, però, come detto non si può parlare di una sorta di presunzione, impedendo comunque l’utilizzo della rete. Tocca alla pubblica accusa, spiega la sentenza, dimostrare che lo strumento informatico è stato utilizzato per comunicare con l’esterno. Il beneficio degli arresti domiciliari, accompagnato dalla prescrizione di non comunicare con persone diverse dai familiari, può essere revocato (torna in carcere) se il condannato comunica con altre persone tramite facebook. Nel caso approdato sino all’esame della Cassazione, il Gip di Caltagirone aveva respinto la richiesta del Pm di convertire la misura degli arresti domiciliari con la custodia in carcere nei confronti di due persone imputate di reati di criminalità organizzata. I due, infatti, avevano, secondo il pubblico ministero, violato il divieto di intrattenere rapporti con l’esterno, comunicando via internet sul sito Facebook con altre persone. La sentenza della Cassazione censura la condotta del giudice delle indagini preliminari che si era limitato a respingere la richiesta dell’accusa senza entrare nel merito dell’uso fatto dai due imputati del noto social network. Di qui l’annullamento del provvedimento e il rinvio al tribunale di Caltagirone per una nuova valutazione alla luce dei principi affermati. Giustizia: caso Cucchi; no alla superperizia chiesta dalla famiglia su cause morte Apcom, 19 ottobre 2010 Almeno per il momento non si farà la superperizia per accertare le cause della morte di Stefano Cucchi, il geometra 31enne deceduto il 22 ottobre scorso all’ospedale Sandro Pertini, sei giorni dopo essere stato arrestato. Il gup del tribunale di Roma, Rosalba Liso, ha respinto l’istanza degli avvocati di parte civile ritenendo che questi non sono abilitati a chiedere un approfondimento di indagini all’inizio udienza preliminare. Secondo gli avvocati della famiglia, Fabio Anselmo e Alessandro Gamberini, il reato di lesioni colpose, contestato agli agenti penitenziari è insufficiente e che si debba loro contestare l’omicidio preterintenzionale. “La condotta di chi aveva in custodia Cucchi ha determinato la morte di Stefano”“. I pm Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy hanno chiesto al gup di rendere pubblica l’udienza, autorizzando così ad assistervi anche giornalisti con registratori e telecamere. La Procura ha chiesto il processo per 13 persone: sei medici e tre infermieri dell’ospedale Sandro Pertini che ebbero in cura Cucchi, tre agenti penitenziari e del direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Le accuse sono quelle di lesioni aggravate, abuso di autorità nei confronti di arrestato, falso ideologico, abuso d’ufficio, abbandono di persona incapace, rifiuto in atti d’ufficio, favoreggiamento, omissione di referto. I reati sono contestati a seconda delle singole posizioni processuali. Gli agenti penitenziari sono accusati, tra l’altro, di lesioni aggravate e di abuso d’autorità nei confronti di arrestati o detenuti per aver, secondo l’accusa, il 16 ottobre del 2009 picchiato Cucchi nelle camere di sicurezza del tribunale in attesa dell’udienza di convalida. Medici e infermieri, in sostanza, per i magistrati avrebbero abbandonato il paziente “incapace di provvedere a se stesso”, omettendo anche “di adottare i più elementari presidi terapeutici”. Giustizia: riaperte le indagini sulla morte di Claudio Tomaino nel carcere di Viterbo Ansa, 19 ottobre 2010 Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Viterbo, Salvatore Fanti, ha disposto che la Procura prosegua le indagini sul suicidio di Claudio Tomaino, di 30 anni, reo confesso dell’omicidio di quattro suoi familiari compiuto il 27 marzo del 2006 nelle campagne di Caraffa (Catanzaro). Tomaino si è suicidato il 19 gennaio scorso mentre era detenuto nel carcere di Viterbo. Il Gip ha rigettato la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica ed ha accolto la richiesta del legale della madre di Tomaino, l’avvocato Noemi Balsamo. Il giudice ha disposto che la procura prosegua le indagini per altri tre mesi e che verifichi se ci sono elementi per ipotizzare il reato di omicidio di Tomaino. L’avvocato Balsamo sulla vicenda ha evidenziato che non c’erano ragioni per il suicidio visto che Tomaino aveva già confessato tutto. La nostra ipotesi è che Tomaino sia stato ucciso in carcere per evitare che rivelasse la verità sulla vicenda. Recentemente la Procura della Repubblica di Catanzaro, su istanza della madre di Tomaino, ha deciso di riaprire le indagini sulla strage. Il sostituto procuratore della Repubblica, Paolo Petrolo, ha sentito la madre del trentenne la quale ha ripercorso quanto avvenne nei giorni precedenti la strage. Il 19 febbraio del 2008 i giudici della Corte d’assise di Catanzaro hanno chiuso il processo per morte del reo. Nella strage di Caraffa furono assassinati l’infermiere Camillo Pane, zio di Tomaino; la moglie, Annamaria, ed i figli Eugenio e Maria. La strage, secondo quanto sostenuto dall’accusa nel processo, fu provocata da un movente economico. Tomaino, infatti, aveva un debito di 450 mila euro con Camillo Pane, insieme al quale gestiva un’attività di compravendita immobiliare. Cagliari: volontari e familiari dei detenuti manifestano davanti al carcere Redattore Sociale, 19 ottobre 2010 I motivi: sovraffollamento, ore in fila per le visite sanitarie, diritto negato all’affettività. Nei giorni scorsi ha ottenuto i domiciliari la detenuta di 77 anni con gravi problemi di salute per la quale da mesi si batteva l’associazione Sdr. Volontari incontrano i familiari dei detenuti del carcere di Buoncammino a Cagliari. Questo pomeriggio, l’Associazione “5 novembre per i diritti civili” ha incontrato le famiglie dei tanti carcerati che, in occasione delle visite, devono attendere ore in fila davanti al penitenziario del capoluogo sardo. “Tutti i cittadini sensibili e le associazioni che difendono quotidianamente i diritti civili e umani dei detenuti - ha fatto sapere il portavoce - hanno presente il disastro sanitario che il mancato trasferimento delle competenze al servizio sanitario nazionale rischia di generare: un massacro di tanti innocenti. Questa situazione infame e drammatica ha cancellato lo stato di diritto e ha fatto strage dei principi costituzionali”. Oggi, in occasione anche della diretta di un programma Rai che ha ottenuto di poter entrare nel carcere cagliaritano, i volontari hanno denunciato le condizioni di difficoltà in cui vivono i carcerati, sempre troppi rispetto agli edifici che li accolgono. “Fino a quando non verrà approvata una legge che garantisca il diritto all’affettività dei detenuti - fanno sapere dall’Associazione - e applicate le misure alternative al carcere chiediamo alla società civili di impegnarsi a far conoscere i problemi di chi vive recluso”. Nei giorni scorsi, intanto, la donna di 77 anni gravemente malata che era detenuta a Buoncammino ha finalmente ottenuto gli arresti domiciliari. Non più in salute, con condizioni non compatibili col sistema carcerario, l’anziana detenuta ha ottenuto dal magistrato di sorveglianza la misura alternativa, dopo una relazione del medico il centro clinico del carcere. Reclusa da 22 mesi, le sue condizioni si erano poi aggravate. Per lei si era battuta l’associazione “Socialismo, diritti riforme”. La denuncia: li lasciano morire “Non si rispettano i diritti umani e la legge”. Così sintetizzano le ragioni della loro protesta gli organizzatori della manifestazione svoltasi ieri alle due del pomeriggio di fronte all’entrata del carcere di Buoncammino. Alla manifestazione organizzata dall’associazione “5 novembre” hanno partecipato anche l’Associazione sarda per l’attuazione della riforma psichiatrica, Sos sanità, Auser, Federazione della sinistra e Sinistra e libertà, oltre ad una rappresentanza dei familiari dei detenuti. I manifestanti si sono riuniti per chiedere “l’applicazione della legge Bindi che prevede il passaggio della sanità penitenziaria dal ministero di Giustizia alle Regioni, l’istituzione del garante dei detenuti, il rispetto della legge Gozzini sulle misure alternative al carcere e la predisposizione di una legge nazionale sul diritto all’affettività dei detenuti, che si concretizzerebbe in colloqui più costanti e fuori dal carcere”, come afferma Roberto Loddo, portavoce di “5 novembre”. Dora Pau, familiare di un detenuto, accusa il ministero e la Regione, perché dall’11, a Buoncammino manca l’assistenza sanitaria. “Li stanno lasciando morire”, afferma, “se un recluso si ammala, non c’è un medico che possa fare una diagnosi”. “La Sardegna è l’unica Regione dove non c’è stato il passaggio della sanità dal ministero alle Asl”, rincara il consigliere regionale dei Rossomori Claudia Zuncheddu, “nonostante la mozione votata a maggioranza per l’applicazione della normativa, nessuno interviene. L’assessore alla Sanità Liori ha fatto richiesta di 500.000 euro fino al 31 dicembre. E dopo?” A Buoncammino ieri sono entrate le telecamere Rai della trasmissione “Presa Diretta”, per documentare la situazione del carcere cittadino. Rimini: 252 detenuti in carcere contro un capienza di 208, ma altrove è peggio Romagna Oggi, 19 ottobre 2010 Una presenza pari a 252 detenuti contro una capienza massima prevista pari a 208. Le condizioni più delicate si vivono alla sezione quattro, con 32 detenuti contro 22, e alla sezione uno, con 99 detenuti contro 84. Tutto questo basta a Sinistra Ecologia e Libertà Emilia Romagna per parlare del “Casetti” di Rimini come di un carcere “che accusa i suoi problemi” ma che comunque, almeno non d’estate, “sta senz’altro meglio di altri istituti penitenziari in giro per la regione”. Nell’ambito dell’iniziativa “I lunedì in carcere”, il consigliere regionale dei vendoliani Gian Guido Naldi ha guidato la delegazione che lunedì si è recata al carcere riminese. Naldi e compagni prima sono stati ricevuti dalla direzione del penitenziario, visitandone i vari padiglioni, poi hanno incontrato le varie associazioni di volontariato, come Caritas, attive sul territorio nel sostegno e nel recupero della popolazione carceraria. Dopo i nuovi spazi aperti qualche mese fa per far fronte alle emergenze principali, l’inaugurazione di nuove sezioni o la loro ristrutturazione, come nel caso della parte del “Casetti” che ospita una decina di transessuali, è strettamente legata alla disponibilità di fondi da Roma. “Abbiamo trovato progetti interessanti - osserva Naldi a margine della visita - di recupero dei detenuti, come al reparto Andromeda dove 12 persone praticano con successo alcune forme di autogestione. Anche l’ultimo reparto aperto quest’estate per i tossicodipendenti (1,2 milioni di euro per 50 posti, ndr), Cassiopea, pare funzionare. In generale, a Rimini esiste un quadro con più luci che ombre in merito alle condizioni sanitarie dei detenuti. Altrove ci sono più problemi”. Intanto, di carcere si è parlato anche lunedì mattina nel corso della prima commissione consiliare in Comune. All’ordine del giorno, in presenza dei dirigenti comunali delegati alla questione carcere, la proposta del consigliere del Pd Vincenzo Gallo, avvocato, che ha rilanciato senza ottenere risultati concreti la mozione sull’istituzione del Garante dei diritti dei cittadini detenuti nel Comune di Rimini. Il Pdl la ritiene poco più di una manovra elettorale. Il popolare liberale Eraldo Giudici dopo l’incontro vede anche a Rimini “una situazione di sovraffollamento, più grave nel periodo estivo, con una palese inadeguatezza sia degli spazi di restrizione, che di quelli di socializzazione, ma anche dalla carenza del personale di custodia”. La proposta di Gallo, secondo Giudici, svela “il grave ritardo locale nell’attuazione delle politiche regionali in materia di tutela dei diritti delle persone recluse”. Il consigliere del Pdl ricorda che la Regione con la legge 3 del 2008 ha previsto il garante (opera soltanto in tre capoluoghi), ma “questa figura, lo si è appreso in commissione, non è mai diventata operativa”. Per questo la proposta del Pd “ci pare quanto meno tardiva, se non incongrua rispetto all’ordinamento regionale, di schietto sapore preelettorale”. Giudici e soci mettono sul tavolo la questione dei Ctp, i corsi di istruzione per adulti, ma soprattutto chiedono di utilizzare la nuova questura “esorbitante ed inutilizzata” per ospitare detenuti. Chi ritiene invece “indispensabile” un “Consiglio comunale aperto in carcere” è ancora Sel, per bocca del consigliere comunale Eugenio Pari: “La proposta c’è già”. Forlì: parlamentari ispezionano il cantiere del nuovo carcere, completarlo entro il 2012 Dire, 19 ottobre 2010 Complessivamente si parla di poco meno di 60 milioni di euro, per un totale di 250 detenuti. La prima parte dei lavori è completata. La seconda parte, al momento sospesa, viene prevista ultimata per la fine del 2013, ma i parlamentari chiederanno al Governo di poterla terminare un anno prima. Le istituzioni forlivesi, promettendo che i disagi ai detenuti riscontrati dall’Ausl negli ultimi giorni verranno segnalati al ministero, tengono d’occhio il nuovo carcere cittadino e provano di accelerarne la realizzazione. Oggi i parlamentari Laura Bianconi, Sandro Brandolini e Gianluca Pini, insieme con il vice presidente della Provincia Gugliemo Russo, sono stati accompagnati dalla direttrice del carcere Rosalba Casella e da Roberto Gambarota, del provveditorato regionale delle opere pubbliche, al nuovo penitenziario in zona Quattro per verificarne lo stato di avanzamento con la direzione lavori e con l’impresa costruttrice. Mentre è stata completata la prima fase comprendente la recinzione dell’area, di una parte degli alloggi di servizio e del block-house di ingresso, la seconda parte dei lavori, vale a dire il primo stralcio, è attualmente sospesa per i ritrovamenti archeologici da completare entro l’anno. “La fine dei lavori dello stralcio viene confermata alla scadenza del 18 dicembre del 2013”, informa una nota della Provincia. L’ultima parte del secondo stralcio, invece, sarà appaltata “entro l’anno” e dovrà essere eseguita “entro i prossimi due anni”. La delegazione ha verificato di poter anticipare la conclusione entro il 31 dicembre 2012, sollecitandolo all’amministrazione penitenziaria e decidendo di chiedere un incontro con Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia. In occasione del sopralluogo, aggiunge la Provincia, si sono affrontate con il direttore del carcere le problematiche igienico-sanitarie dell’attuale istituto “che saranno anche esse oggetto di sollecitazione al ministero della Giustizia”. Infine, i parlamentari hanno comunicato alla direzione del carcere la volontà di procedere entro la fine dell’anno con nuove cinque unità di polizia penitenziaria. Nel corso della visita si è anche fatto il punto sulle dotazioni alla nuova struttura: 100 posti alla sezione di media sicurezza, 50 alla custodia attenuata, 50 alla sezione protetti, 30 alla sezione femminile, 20 alla semi-liberi. Per quanto riguarda la spesa, la prima fase è costata 7.556.000 euro, il primo stralcio (lavori iniziati) vale 31.697.000 di euro, il secondo (da appaltare) 20.000.000. Rovigo: Cgil; carcere stracolmo, 37 agenti per 114 detenuti, servono più lavoratori Il Gazzettino, 19 ottobre 2010 Solo 37 agenti per 114 detenuti. Il sindacato denuncia la grave situazione in cui sono costretti i lavoratori della Polizia penitenziaria dell’istituto detentivo di Rovigo. E minaccia azioni legali. Una situazione insostenibile quella del carcere di Rovigo. Troppi detenuti, a fronte di un numero esiguo di agenti. A dirlo è la Cgil che più volte ha denunciato questa criticità ai tavoli istituzionali senza mai ricevere risposte concrete. I dati sono allarmanti. L’istituto rodigino può ospitare 79 detenuti, mentre allo stato attuale sono ben 114 tra uomini e donne. Gli agenti sono solamente 60, a fronte dei 66 richiesti per legge. Ma non è tutto: 23 agenti per vari motivi non possono garantire la loro presenza in loco, in particolare per i turni serali. Tutto questo a discapito dei rimanenti costretti ad orari impossibili per garantire il servizio durante l’arco della giornata. Una situazione inaccettabile per la Cgil che si scaglia contro le autorità con una lettera piuttosto dura. “Signor Presidente gli accordi locali non sono rispettati - dice Cgil, rivolgendosi al presidente della Provincia veneta - e i diritti minimi al personale sono in certe occasioni calpestati in nome e per conto delle esigenze di servizio e di conseguenza della sicurezza. Diritti di cui chiediamo il rispetto ma che immancabilmente sono calpestati, come quelli di avere una propria vita privata, di avere un pò di riposo, ferie equità, di avere pari opportunità, non sono assicurati”. La richiesta avanzata dalla sigla sindacale è quella di avere un faccia a faccia con gli organi istituzionali sul problema dell’Istituto di Rovigo, chiedendo di far rientrare il personale in distacco, inviare a Rovigo almeno due unità di Polizia Penitenziaria femminile e maschile, temendo che la situazione possa precipitare progressivamente. Nel caso non vengano presi provvedimenti, il sindacato minaccia di intraprendere vie legali per il rispetto del diritto, del riposo settimanale, delle ferie, di diminuire i turni notturni, e, in particolare di non far orari non previsti dagli accordi. Canicattì (Ag): quattro ex detenuti al lavoro grazie al Comune La Sicilia, 19 ottobre 2010 Quattro persone che in passato hanno avuto problemi con la giustizia, potranno reinserirsi in società grazie ad un progetto portato avanti dall’assessorato alla Solidarietà sociale retto dall’assessore Daniela Marchese Ragona. Presso gli uffici comunali di via Battisti, dove ha sede l’assessorato ai Servizi sociali, il personale comunale sta provvedendo a stilare la graduatoria inerente i lavori socialmente utili riguardanti soggetti che in passato hanno avuto problemi di carattere penale. In totale, sono state 16 le richieste ma solo alcuni di loro potranno svolgere i servizi previsti dal progetto. I prescelti saranno impiegati in lavori che prevedono la cura e la custodia del cimitero comunale di via Nazionale e la pulizia del centro urbano. Inizialmente inizieranno a lavorare 4 di loro in base ai limiti di reddito previsti dal progetto. Sarà l’amministrazione comunale, in base alle disponibilità economiche dell’Ente, a decidere se allargare la graduatoria. Coloro che rientreranno nei primi posti, percepiranno un contributo che dovrebbe aggirarsi intorno a 400 euro mensili. Il comune di Canicattì, è il secondo Comune della provincia di Agrigento che si è attivato affinché questo progetto potesse andare in porto. L’amministrazione comunale, ha insistito affinché questi giovani potessero avere una possibilità di riscatto sociale. Chiavari (Ge): libri e multimedialità nella nuova biblioteca del carcere 9Colonne, 19 ottobre 2010 Cinque postazioni di computer, modernissime attrezzature video con un grande schermo per le proiezioni, e tanti scaffali di volumi per leggere, studiare e confrontarsi. È la nuova biblioteca multimediale - allestita con il sostegno della Fondazione Carige e costantemente rifornita di libri dal Bibliobus della Provincia, ente che finanzia anche una borsa-lavoro per la gestione della biblioteca, affidata a una persona reclusa - inaugurata nella Casa Circondariale di Chiavari alla presenza del direttore dell’istituto penitenziario Paola Penco, del vescovo monsignor Alberto Tanasini, dell’assessora provinciale alle carceri Milò Bertolotto con i rappresentanti di molti enti e istituzioni, i docenti dell’istituto Caboto e della scuola media di Lavagna. Al rinnovo delle opere murarie dei locali, molto luminosi e con un allestimento moderno e funzionale, ha lavorato un gruppo di detenuti di Chiavari, ha ricordato Paola Penco che ha definito la nuova biblioteca “un luogo di pace e cultura, particolarmente prezioso e importante all’interno delle mura di un carcere.” Monsignor Tanasini durante la benedizione ha detto “questa biblioteca apre in modo moderno una via d’incontro nella concordia e in nome della conoscenza attraverso i libri, che anche il Signore ha scelto per condurre gli uomini alla scoperta della verità e che custodiscono la cultura e le opere del pensiero umano e quando sono al servizio del bene rivelano il senso della vita”. Milano: legato e pestato in caserma, a giudizio tre carabinieri Corriere della Sera, 19 ottobre 2010 Il gip milanese Simone Luerti ha rinviato a giudizio due carabinieri, Piero A. e Gianluca P., di 44 e 29 anni, accusati di lesioni gravi per aver legato e picchiato un uomo in una caserma di Milano, dopo averlo fermato a bordo di un’auto rubata. Il giudice ha mandato a processo anche un terzo carabiniere, Thomas M., 28enne, accusato di omessa denuncia e di favoreggiamento per aver cercato di “coprire” la vicenda. Per i tre il processo comincerà il prossimo 15 febbraio davanti alla prima sezione penale del Tribunale di Milano. Il giudice ha condannato a un anno e 4 mesi di reclusione, con rito abbreviato, anche la vittima del pestaggio, Antonio Sangermano, accusata di calunnia, perché in occasione della denuncia ha esagerato nell’enumerare le lesioni riportate, raccontando falsamente di aver perso un incisivo a causa di uno dei pugni subiti. Essendo un pregiudicato, non ha ottenuto la sospensione condizionale della pena. L’episodio risale al 12 agosto del 2009, quando i carabinieri, all’epoca in servizio nella caserma Montebello, bloccarono l’uomo, Luciano F., con precedenti per droga, che stava guidando un’auto rubata, dopo aver incontrato alcuni pusher per una compravendita di eroina non andata in porto. L’uomo venne portato in caserma e, stando alle indagini del pm di Milano Antonio Sangermano, i due militari di 44 anni, e 29 anni, con del nastro isolante gli avrebbero chiuso la bocca e poi lo avrebbero picchiato mentre era steso a terra, con le mani legate, usando anche dei manganelli. Dopo l’aggressione, l’uomo era anche stato arrestato con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e poi portato a San Vittore. L’uomo nel procedimento si è costituito parte civile. Immigrazione: 300mila euro di danni per le rivolte di ottobre nel Cpa di Cagliari L’Unione Sarda, 19 ottobre 2010 Sapevano che i materassi sono parzialmente ignifughi. Li hanno squarciati, hanno estratto l’imbottitura, quella sì infiammabile, ci hanno aggiunto carta e capi di vestiario, hanno realizzato un monticello ed hanno appiccato il fuoco. Il fumo nero e le fiamme, alte quasi cinque metri hanno fuso le plafoniere, annerito e danneggiato i soffitti e le reti dei letti a castello. È successo il primo ottobre, giorno della prima delle tre rivolte di questo mese. Cinque giorni dopo un altro incendio ha distrutto il poco che restava, mobili compresi. Hanno rischiato di morire in 39. Lunedì scorso, data della fuga dei clandestini che ha paralizzato l’aeroporto per tre ore - 12 voli cancellati, cinque dirottati, 11 arresti, probabilmente nessuna condanna - il lavoro di devastazione è stato completato con la rottura degli infissi interni ed esterni. Secondo una prima stima, i danni al Centro di accoglienza di Elmas ammontano a 300 mila euro. Ai quali bisognerà aggiungere il prezzo del rafforzamento dei sistemi di sicurezza chiesto dal ministero dell’Interno Roberto Maroni. Il progetto di ristrutturazione è nelle mani del Provveditorato opere pubbliche, ma i tempi di riapertura non sono prevedibili. Né è scontato che i soldi si trovino in tempi rapidi. Il problema è: ha senso spendere tanto per una struttura che in due anni ha causato per sei volte la chiusura dello scalo? Maroni, una settimana fa, è stato esplicito: “Questa posizione è utile per facilitare il rimpatrio dei clandestini, ma rafforzeremo la sicurezza”. C’è un altro nodo: i Centri di accoglienza e soccorso dovrebbero accogliere gli immigrati per pochi giorni. E se così accadesse i rischi sarebbero ridotti. Ma non accade mai visto che di fatto custodiscono gli immigrati anche per settimane. Da questo punto di vista è annunciata una svolta. Ieri Giulio Calvisi, che ha visitato il centro assieme a Paolo Fadda, Amalia Schirru, all’assessore alle Politiche sociali della Provincia Angela Quaquero e al sindaco di Elmas Valter Piscedda, ha riferito che “in futuro il centro cambierà gestione e si specializzerà in funzioni di accoglienza e non di custodia. Quindi gli ospiti resteranno al massimo 48 ore per poi essere destinati altrove”. Cioè nei centri di espulsione, i luoghi dove non vorrebbero mai andare. E infatti è per questo che scoppiano le rivolte. Ad Elmas e altrove. Ma agli esponenti del Pd la modifica non basta. “Il centro deve essere trasferito perché è in un luogo inidoneo come l’aeroporto”, ha detto Fadda. “Non è tollerabile che i sardi, già penalizzati dall’insularità, debbano pagare anche per il blocco dei voli”. “Non siamo contro i centri, perché rispettiamo i diritti degli immigrati, ma contro il luogo”, ha chiosato Schirru. Per sollecitare il trasferimento della struttura, i parlamentari Pd hanno presentato un’interrogazione al ministro (primo firmatario Caterina Pes), preparano un’interpellanza e invitano alla mobilitazione anche i consiglieri regionali. Negli ultimi due anni le interruzioni del traffico aeroportuali sono state otto, secondo quanto riferito ieri ai parlamentari dal viceprefetto Bruno Corda, che assieme al vicequestore Giovanna Lori ha accompagnato la delegazione. Ad occupare il Centro, ieri, c’era solo un immigrato, rimasto ferito in un tentativo di fuga. Gli altri, compresi gli undici clandestini arrestati lunedì, sono stati trasferiti nei centri di espulsione di Gradisca d’Isonzo, nel Goriziano, Bari, Brindisi, Bologna e Torino. Tra loro non c’è una famiglia, padre, madre e tre bambini, trasferiti in una struttura protetta. Il tribunale dei minori ha suggerito di tenerli assieme. Forse i genitori otterranno asilo politico e almeno loro eviteranno l’espulsione. Il problema principale riguarda i minori adolescenti “non accompagnati”. Come prevede la legge, vengono ospitati in comunità protette di tutta l’Isola. Ma non essendo reclusi, possono fuggire. E infatti fuggono, senza che nessuno possa fare nulla. Un altro problema riguarda il mantenimento di chi non può essere espulso. “I costi gravano sui Comuni, che hanno già abbastanza problemi”, spiega Quaquero. “Per questo è necessario che la Regione rifinanzi l’articolo della legge 4 del ‘98 e dia respiro ai Municipi”. Anche Piscedda, in linea con i colleghi di partito, chiede il trasferimento del centro altrove. Ma dietro la sua richiesta c’è un’altra rivendicazione: “Vorremmo che, se ci sarà il trasferimento, il ministero ci cedesse l’edificio che destineremmo alle centinaia di indigenti che vivono nei container”. Disperati anche loro, ma sardi. Droghe: dagli Stati Uniti un progetto di sterilizzazione (volontaria) dei tossicodipendenti Apcom, 19 ottobre 2010 Sterilizzare i tossicodipendenti per evitare che generino figli ai quali rischiano di trasmettere la loro dipendenza. È questo il controverso progetto che, partito dagli Stati Uniti, è ora sbarcato in Gran Bretagna e che offre compensi ai drogati che vi si sottopongono. A proporlo è l’associazione benefica americana Project Prevention che offre 200 sterline ai drogati che accettano di sottoporsi a vasectomia. Il primo che ha accettato è un 38enne che ha iniziato a prendere droghe quando aveva 11 anni: “Ci avevo pensato e avevo già deciso di farlo”, ha detto l’uomo alla Bbc. L’ideatrice del progetto, l’americana Barbara Harris - del North Carolina - ha raccontato che l’idea le è venuta dopo aver adottato quattro bambini cui era stata passata la dipendenza dalle droghe dai loro genitori. “È terribile vedere il danno che queste droghe hanno provocato ai bambini”, ha detto. “Ero arrabbiata con la mamma all’inizio, ma poi mi sono chiesta perché glielo lasciamo fare?”. Dopo essere riuscita a sottoporre 3.500 americani alla sterilizzazione, Harris ha deciso di esportare l’idea anche in Gran Bretagna. “Pensavo che appena il trattamento fosse stato disponibile anche qui ci sarebbe stata la fila per farlo - ha detto il suo primo paziente britannico - non sarei in grado di crescere un bambino. Posso a stento pensare a me stesso”. Francia: caso Franceschi; il procuratore di Grasse “su Daniele nessun pestaggio” La Nazione, 19 ottobre 2010 Le dichiarazioni rilasciate ieri dal procuratore di Grasse, Jean-Michel Caillau, hanno avuto l’effetto di una bomba sul caso di Daniele Franceschi, il giovane viareggino morto il 25 agosto scorso in circostanze poco chiare nel carcere della cittadina francese dove era detenuto da febbraio con l’accusa di avere utilizzato una carta di credito falsa in un casinò di Cannes. “È stato assolutamente escluso dall’autopsia che Daniele Franceschi abbia subito percosse in carcere” e “non c’è nulla di irregolare nell’inchiesta aperta dalle autorità francesi sulla morte di Daniele Franceschi”: frasi, quelle del procuratore, che hanno fatto sobbalzare la madre del giovane, Anna Cira Antignano, che da quasi due mesi si batte con tutte le forze per sapere la verità. Frasi che hanno subito innescato un ‘botta e rispostà a distanza fra inquirenti francesi e legali italiani. “I risultati delle perizie tossicologiche - ha aggiunto il magistrato - mi saranno comunicati il 31 ottobre, quelli dell’analisi anatomo-patologica il 15 novembre, ma è una data che slitterà perché serve più tempo. Con quei risultati in mano analizzeremo tutte le ipotesi possibili e tutti gli elementi che abbiamo. Come la decisione del medico del carcere di non ricoverare il giovane in ospedale dopo il malessere che aveva lamentato poche ore prima di morire”. Un particolare, questo, subito contestato ieri da uno dei due legali della famiglia di Daniele, l’avvocato Maria Grazia Menozzi. !Il 24 agosto, il giorno prima della morte, Daniele scrisse al service medical chiedendo di essere visitato per un forte dolore al cuore e al braccio sinistro e aggiungendo: “sono sicuro che è una cosa grave”. La mattina del 25 agosto - prosegue il legale - gli fecero l’elettrocardiogramma che si rivelò “normale”, ma “con un leggero aumento della concentrazione degli enzimi cardiaci”. Nel pomeriggio, il decesso!. Infarto? Se sì, Daniele fu soccorso in tempo, visti i preoccupanti segnali del giorno prima? E se invece non fosse stato un infarto? “È stato assolutamente escluso dall’autopsia che Daniele Franceschi abbia subìto percosse in carcere”, ha aggiunto ieri il procuratore francese. “Prima dell’autopsia, la madre aveva ottenuto la possibilità di vedere il cadavere. Fu lì che rilevò una piccola ferita sotto il naso. Una ferita che non ha mai sanguinato e non ha prodotto alcun ematoma. Un taglietto che Franceschi si è prodotto al momento della morte, probabilmente cadendo”. Pronta la risposta dell’avvocato Aldo Lasagna, l’altro legale della famiglia. “L’elemento della presunta “piccola ferita al naso” è smentito dalle prime risultanze dell’accertamento esterno compiuto dal medico legale all’ospedale Versilia: si tratterebbe, in realtà, di una rottura del setto nasale. In ogni caso - ha aggiunto Lasagna - quello che sconcerta i familiari è che dalle dichiarazioni degli inquirenti francesi emerga una sorta di anticipazione degli esiti finali di un’istruttoria in corso ed aperta ad ogni sviluppo”. Una dichiarazione simile, paradossalmente, l’ha resa proprio ieri il portavoce del Ministero della Giustizia francese, Guillaume Didier. “Nessuna pista deve essere esclusa perché sia fatta luce sulla morte di Daniele”. Intanto anche questo caso sta diventando mediatico e la madre di Daniele, Anna Cira, dopo essere intervenuta ieri a varie trasmissioni televisive e radiofoniche, in attesa di ricevere la chiamata del ministro italiano degli Affari Esteri, Franco Frattini (“ha detto che mi convocherà: aspetto”), stamani a Viareggio incontrerà “Le Iene” di Italia 1, pronte a tornare insieme a lei in Francia. A caccia della verità. Francia: l’ultima lettera di Franceschi; ho male al cuore, ricoveratemi in ospedale di Meo Ponte La Repubblica, 19 ottobre 2010 “Io, Franceschi Daniele, chiedo di poter essere visitato in un ospedale “esterno”, dato che sento un forte dolore al cuore e alla spalla sinistra. È urgente!...”. Così scriveva in francese al medico del carcere di Grasse il giovane italiano il 24 agosto scorso, il giorno prima di morire. Franceschi, che conosceva tre lingue ed aveva una grande esperienza di viaggi all’estero, si era reso immediatamente conto delle sue condizioni di salute: come dimostra il documento, di cui Repubblica è venuta in possesso. Ora che anche la stampa francese si occupa del caso, la magistratura di Grasse comincia a mostrare qualche segno di nervosismo. Mentre il portavoce del ministro della Giustizia assicura che “nessuna pista sarà esclusa”, Jean Michel Caillau, il procuratore capo, alle domande dei cronisti francesi l’altro giorno ha sbottato: “Non ho l’abitudine di prendere alla leggera una morte in prigione. Non resterò certo con le mani in mano se si appurerà che sono stati commessi degli errori nel soccorrere il detenuto italiano”. Caillau, visibilmente infastidito dal clamore suscitato dalla vicenda, però ha ancora una volta ribadito che l’autopsia effettuata sul corpo di Daniele Franceschi non ha rilevato tracce di violenza sottolineando: “La madre che vide il cadavere qualche minuto prima dell’autopsia dice di aver visto una ferita al naso. I medici legali mi hanno spiegato che si tratta di un piccolo taglio di appena sei centimetri che non ha mai sanguinato e che probabilmente Franceschi si è procurato cadendo. I risultati delle analisi tossicologiche ci saranno consegnati il 31 ottobre e quelli definiti dell’autopsia il 15 novembre. Tutto sarà comunque fatto nella massima trasparenza. Cercheremo di capire anche il perché della decisione del medico del carcere di non ricoverare in ospedale Franceschi che prima di morire aveva lamentato un malore...”. Dal carcere spiegano che probabilmente Daniele ha scritto quel biglietto disperato dopo che la posta interna del carcere era già stata ritirata. Dal rapporto del brigadiere capo della polizia Arnaud Pagotat, intervenuto con i suoi uomini dopo la scoperta del cadavere, però arriva la conferma che la mattina successiva il giovane detenuto era stato effettivamente sottoposto ad una visita cardiologica nell’infermeria del carcere. “Dovevano quindi aver ricevuto la sua richiesta” sottolinea l’avvocato della famiglia Franceschi, Maria Grazia Menozzi. Le precisazioni della procura di Grasse dimostrano che le pressioni del console generale di Nizza, Agostino Chiesa Alciator, e soprattutto la disperata ricerca della verità di Cira Antignano sulla morte del figlio sono riuscite a smuovere le autorità giudiziarie francesi. Ha anche pesato il fatto che la segreteria di Carla Bruni ieri ha fatto trapelare che la premiere dame sta seguendo la vicenda e presto risponderà all’appello della madre di Viareggio. Domani Cira Antignano incontra il ministro Frattini Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, incontrerà domani Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, l’operaio di 36 anni morto in circostanze ancora da chiarire all’interno del carcere francese di Grasse. L’incontro avverrà a Roma, nella sede del ministero degli Esteri. La donna sarà accompagnata dalla cugina e dal sindaco di Viareggio, Luca Lunardini. La famiglia del detenuto morto confida nell’aiuto della Farnesina per poter finalmente ricostruire le modalità che hanno portato al decesso del giovane. Un primo incontro fra il ministro Frattini e la madre di Daniele Franceschi era già avvenuto il 2 settembre scorso.