Giustizia: i soliti, insopportabili Radicali e la vera “politica del fare” di Valeria Gandus Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2010 Come tanti, spero tantissimi, ho visto in televisione da Fazio Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, il giovane morto di carcere un anno fa, cui ha dedicato il libro “Vorrei dirti che non eri solo”. La forza di questa donna minuta e dagli occhi incredibilmente luminosi, mi era già nota: tutti i suoi interventi, pubblici e dunque doppiamente dolorosi, avevano mostrato quanto determinata fosse la volontà, sua e della sua famiglia, di accertare le responsabilità della morte atroce e assurda di quel fratello fragile e amatissimo. A cominciare dalla decisione di rendere pubbliche le foto del corpo massacrato di Stefano, un corpo tempestato di lividi e ridotto a pelle e ossa: Stefano aveva perso dieci chili in una settimana perché si rifiutava di mangiare fino a che non gli avessero fatto incontrare il suo avvocato. Che non incontrò mai, così come la sua famiglia non ricevette, se non dopo la sua morte, la lettera affettuosa che Stefano aveva scritto. Stefano morto per le percosse e per la rivendicazione dei suoi diritti. Ilaria e la sua famiglia che lottano perché a nessun altro succeda quel che è successo a lui e a loro. Pensando a Ilaria e alla sua battaglia mi è venuto naturale pensare a Marco Pannella, dal 2 ottobre in sciopero della fame: per celebrare la Giornata internazionale della nonviolenza, ricordando lo scandalo della guerra in Iraq “che Bush e Blair fecero letteralmente scoppiare solo perché non scoppiassero in Iraq la libertà e la pace; con l’esilio, oramai accettato, da Saddam”. Ma anche per chiedere giustizia nelle carceri, per i diritti negati di chi vive in condizioni disumane dietro le sbarre, puntando il dito sulle morti di troppi detenuti: 135 di cui 57 suicidi, solo quest’anno. Il solito Pannella, i soliti radicali. Insopportabili come quelli che hanno (quasi) sempre ragione. Fissati nella loro insopprimibile esigenza di legalità. Infatti sono sempre loro che a Milano hanno sollevato, carte alla mano, il “caso Formigoni”, o delle firme false apposte alla presentazione della lista “Per la Lombardia” delle ultime Regionali: 374 vergate dalla stessa mano, secondo il perito calligrafo del Tribunale. E ancora loro stanno raccogliendo a Milano le firme per cinque referendum per la qualità della vita: riduzione del traffico, raddoppio del verde pubblico, conservazione del futuro parco dell’area Expo, risparmio energetico e riduzione gas serra, ripristino della Darsena e riapertura del sistema dei Navigli (sono state già raccolte più di 10 mila firme, ma ne servono altre 5mila). Sono solo le ultime iniziative di quel manipolo di ostinati rompicoglioni. Determinati e assetati di giustizia come Ilaria Cucchi. C’è chi parla, a sproposito, di politica del fare. Beh, nel loro poco splendido isolamento Pannella, Bonino, Cappato & C. fanno. Parlano tanto, è vero (conosco per esperienza diretta la torrenzialità di Pannella), ma poi fanno. E sanno quel che fanno. E ci aiutano, noi che parliamo e scriviamo, a confrontarci con i problemi veri, con la vita, con la morte. Giustizia: Sappe; sulle carceri l’immobilismo della politica, domani sit-in di protesta Ansa, 18 ottobre 2010 “Sono ormai passati quasi dieci mesi - era il 13 gennaio 2010 - da quando il Governo decretò ufficialmente lo stato di emergenza nazionale conseguente all’eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale, ma la situazione non è affatto cambiata. Anzi, è peggiorata. Dai 64.791 detenuti che c’erano nelle 206 carceri del Paese il 31 dicembre 2009 siamo arrivati a contare 68.536 presenze il 13 ottobre scorso, rispetto alla capienza regolamentare di poco superiore a 43mila posti letto. Si era ravvisata la necessità di procedere, in termini di somma urgenza, all’immediato avvio di interventi volti alla realizzazione di nuove infrastrutture carcerarie e l’aumento della capienza di quelle esistenti, al fine di assicurare la tutela della salute e la sicurezza dei detenuti, garantendo una migliore condizione di vita degli stessi e la funzione rieducativa della pena, ma non è stato fatto fino ad oggi nulla. La realtà è che il grave momento di crisi della questione penitenziaria ricade quasi unicamente sui quasi trentanovemila Agenti di Polizia Penitenziaria, che sono obbligati (considerate le 6mila e 500 unità in meno negli organici e le più volte solo annunciate assunzioni di 2mila nuovi Agenti) a prestare numerose ore di lavoro straordinario e a servizi di missione per trasporto di detenuti in tutta Italia che non sono retribuite per mancanza di fondi. Per protestare contro tutto questo, contro l’immobilismo asfissiante e l’apatia dei vertici del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del mondo della politica ai problemi quotidiani dei Baschi Azzurri, centinaia di aderenti al primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE, manifesteranno domani martedì 19 ottobre, dalle ore 9, davanti alla sede del Dap.” È quanto preannuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “L’attuale grave emergenza dovrebbe travalicare qualunque calcolo politico e possibili passarelle mediatiche. Il momento di estrema gravità che i nostri 39 mila colleghi della Polizia Penitenziaria e le loro famiglie sono costretti a vivere, sopportare, subire, per le indifferenze mostrate fino ad oggi da tutto l’arco parlamentare, ci impongono, come primo sindacato di Polizia Penitenziaria, di portare pubblicamente in piazza il nostro malessere e la nostra rabbia. Gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria hanno mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza vedersi pagato lo straordinario e i servizi di missioni che si è stati obbligati a fare, senza perdere il senso del dovere e dello Stato nonostante vessati da continue umiliazioni e da ben 260 aggressioni dall’inizio dell’anno. Ma non si può andare avanti così! Per questo saremo in piazza. Per sollecitare impegni urgenti, seri e concreti per la Polizia Penitenziaria e per il sistema carcere”. Giustizia: Pedica (Idv); gli agenti penitenziari sono “prigionieri di governo” Ansa, 18 ottobre 2010 Il senatore dell’Italia dei Valori, Stefano Pedica, definisce drammatica la situazione in cui vivono i 46mila agenti penitenziari “prigionieri di governo” e ritiene che possano essere considerati alla stregua dei 68mila detenuti nelle carceri. Per questa ragione ha reso noto che sarà presente domani al sit-in organizzato dal Sappe, il sindacato degli agenti penitenziari, davanti al Dipartimento di Polizia penitenziaria. Pedica osserva che sono necessarie almeno 6.500 unità in più di personale carcerario per garantire il minimo della sicurezza e i servizi di base all’interno delle carceri e il rinnovo del contratto per il prossimo biennio. “Queste - spiega ancora Pedica - sono le condizioni minime per evitare che la situazione carceraria, già al collasso, esploda violentemente. Da tempo - prosegue il senatore dipietrista - l’IdV denuncia il dramma vissuto da detenuti e agenti: molti edifici carcerari sono fatiscenti, manca il personale per lavorare in sicurezza e dare ai carcerati la minima assistenza di cui hanno bisogno. C’è poi lo scandalo, già in passato denunciato, delle nuove carceri pronte e rimaste inutilizzate proprio per la mancanza di personale”. Il senatore dell’IdV rimprovera poi al ministro della Giustizia Alfano di aver promesso un piano straordinario e assunzioni ‘ma l’unico atto concreto è stato il blocco degli stipendi agli agenti di polizia penitenziaria per i prossimi tre anni, rendendoli, vista la loro situazione lavorativa, i nuovi carcerati del governò. Giustizia: Ass. Detenuto Ignoto; aggressione metro; no a logiche giustizia di piazza Ansa, 18 ottobre 2010 Dichiarazione di Irene Testa, Segretario dell’Associazione Radicale il Detenuto Ignoto. Il Sindaco di Roma Gianni Alemanno critica le affermazioni del suo collega di partito Francesco Giro circa la non giustificata necessità per Alessio Burtone di misure cautelari in carcere, sostenendo (in anticipo su qualsiasi perizia e giudizio) che si tratti di una persona “socialmente pericolosa”. Pur confidando che il Sindaco non rilasci certe dichiarazioni senza una qualche cognizione di causa, e ritenendo parimenti di assoluta e inammissibile gravità il gesto di Burtone che ha determinato la morte dell’infermiera Marcica Haianu, non ho mai creduto che logiche manettare di piazza debbano regolare l’amministrazione della giustizia. Ricordo al Sindaco che le carceri del Paese sono gravemente sovraffollate e quasi la metà dei detenuti sono in attesa di giudizio, situazione che attesta l’Italia al primo posto in Europa per l’ampio (e, secondo il Comitato antitortura dell’Onu, eccessivamente lungo e troppo spesso arbitrario) ricorso alla custodia cautelare in carcere. Se certo non dev’essere questo il punto, occorre verificare però che quanto prescritto dalle leggi, e ricordato da Giro, sull’applicazione della custodia cautelare sia rispettato. In questo caso, seppure ci troviamo di fronte a un soggetto socialmente pericoloso, non sembrano sussistere le fattispecie del caso, e quindi la custodia ai domiciliari, che comunque terrebbe il Burtone lontano dal prossimo, sembrerebbe ponderata. Non si capisce invece per quali ragioni il sindaco Alemanno, che pure appartiene a uno schieramento che si professa garantista, invochi a gran voce le manette preventive e lo sconsiderato incremento di una pratica che è concausa della drammatica e sempre meno sostenibile situazione delle carceri nazionali, tra l’altro oggetto in questi giorni dell’iniziativa nonviolenta di sciopero della fame di Marco Pannella. Lettere: la lenta agonia di Graziano Scialpi, morto numero 136 nelle carceri italiane di Luigi Manconi L’Unità, 18 ottobre 2010 La sera del 14 ottobre intorno alle ore 23 è morto Graziano Scialpi. Aveva 48 anni ed era detenuto da tempo nella casa di reclusione di Padova dove collaborava come disegnatore alla rivista Ristretti Orizzonti. Suo era il personaggio di Dado, protagonista di quelle strisce. Da un anno circa, Scialpi, accusava dolori diffusi che dallo scorso novembre erano diventati intollerabili. I medici hanno sempre minimizzato e per un anno non hanno ritenuto opportuno sottoporlo a risonanza magnetica. Qualche mese fa Scialpi ha iniziato a orinare con difficoltà, problema attribuito a “disturbi dell’età” da uno dei sanitari. La notte del 23 agosto si è ritrovato paralizzato. La mattina successiva è stato portato all’ospedale sulla sedia a rotelle e con le manette ai polsi. È stato operato immediatamente, essendo stato riscontrato un carcinoma che dal polmone aveva ormai invaso spina dorsale, midollo, ossa, cervello. Si è spento l’altra sera nell’ospedale civile di Padova. Graziano Scialpi è il 136° detenuto morto nel corso del 2010, nel sistema penitenziario italiano, per cause che vengono definite - non so se più per ottusità o per crudeltà - “naturali”. Nello stesso periodo 55 sono stati i suicidi all’interno della popolazione detenuta. Lettere: il Prap della Campania presenta un progetto per l’e-learning in carcere di Vincenzo Di Gerardo Ristretti Orizzonti, 18 ottobre 2010 Il Provveditorato Regionale Amministrazione Penitenziaria della Campania - nell’ambito del suo programma di attività finalizzate ad adeguare la formazione dei ristretti italiani agli standard europei - ha proposto in questi giorni alla Cassa delle Ammende del Ministero della Giustizia la possibilità di finanziamento del progetto “E-learning in carcere”, un corso online per il conseguimento del “Diploma di Liceo Scientifico - opzione Scienze Applicate”. L’iniziativa è scaturita dall’esperienza internazionale maturata dal gruppo di studio e ricerca composto dalla dott.ssa Michelina Cassese, dott. Giovanni Suriano, dott.ssa Rita Romano, dott.ssa Dolorosa Franzese, dott. Angelo Sorrentino, impegnati da circa due anni sul progetto finanziato dall’Unione Europea “E-Learning Education For Prisoners and Prisoner’s Professional’s”, che ha come obiettivo quello di promuovere l’E-learning in carcere in ambito europeo. “E-learning in carcere” prevede una serie di interventi qualitativi che hanno come finalità centrale la “rieducazione” e il “reinserimento lavorativo” delle persone prive della libertà. Il progetto vede impegnati, come da protocollo d’intesa, da circa tre anni la Direzione dell’Icatt di Eboli, funzionari del Prap Campania, docenti del Liceo Scientifico “E. Medi di Battipaglia” e dell’Università degli Studi di Salerno - Dipartimento di Sociologia e Scienza della Politica. Il progetto si configura come un’azione volta alla formazione di persone in condizioni svantaggiate, attraverso l’uso delle moderne tecnologie informatiche e telematiche. Esso favorisce e rende praticabile l’esercizio del diritto allo studio delle persone detenute ed ex-detenute; in particolare intende offrire ai detenuti dell’Icatt di Eboli la possibilità di frequentare un percorso formativo liceale, finalizzato all’acquisizione di un diploma, realizzando un’esperienza sperimentale ed un esempio di buone pratiche, generalizzabili ed espandibili successivamente ad altre realtà penitenziarie del Paese. Esso si pone come un’esperienza pilota che, partendo da un ambito circoscritto e sulla base di un investimento solo iniziale, è in grado di essere applicato su larga scala. Il corso impegnerà gli studenti, detenuti ed ex detenuti, in attività didattiche realizzate in modo innovativo ed efficace. Sarà curato da tutor e da volontari ex art.78 Op, che faciliteranno l’addestramento all’uso del personal computer e dei software della piattaforma E-learning utili per l’apprendimento. Gli studenti accederanno ai contenuti educativi via telematica, mantenendo i propri ritmi di apprendimento e approfondendo le tecnologie studiate, applicando anche le nozioni apprese in aula direttamente nel laboratorio preventivamente allestito, grazie anche al lavoro dei detenuti stessi, per garantire il normale svolgimento delle lezioni. Particolare attenzione sarà rivolta al rispetto delle disposizioni in merito alla sicurezza dei rapporti fra detenuti e mondo esterno inserite nell’Ordinamento Penitenziario. Il corso sarà garantito al detenuto - che ha iniziato il percorso di studio - anche successivamente al termine della pena. Is Arenas (Ca): Sdr; dopo caso tbc in carcere urgente finanziare medicina penitenziaria Agi, 18 ottobre 2010 “Il caso di tbc polmonare, registrato ad Is Arenas impone la revoca immediata delle limitazioni imposte alla sanità penitenziaria. È necessario un accordo tra l’assessorato regionale della Sanità e il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per coprire la spesa fino al 31 dicembre. Solo così potrà essere ripristinata completamente l’assistenza medica e farmaceutica per i detenuti in Sardegna”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente di “Socialismo Diritti Riforme”, rilevando che “sono trascorsi dieci giorni dai tagli imposti e l’assenza di risposte da parte di Regione e Ministero della Giustizia, configura l’ipotesi di omissione di atti di ufficio”. “Il caso del detenuto, affetto da tubercolosi, e numerose segnalazioni delle difficoltà esistenti negli Istituti nella distribuzione dei medicinali e nel garantire le visite ed i ricoveri, dimostrano - sottolinea Caligaris - che le misure per fronteggiare l’emergenza sono insufficienti creando delle gravi situazioni di limitazione del diritto costituzionale alla salute. Senza sottovalutare le preoccupanti segnalazioni dei detenuti e dei loro familiari. Anche la situazione degli agenti della polizia penitenziaria, come del resto denunciano le organizzazioni sindacali di categoria, è peraltro insostenibile senza nuove assegnazioni in Sardegna. Ad Is Arenas sono stati sottoposti a profilassi medica specifica, per evitare il contagio, non solo i detenuti ma anche tutti coloro che sono stati in contatto con l’extracomunitario ammalato, compresi gli agenti della polizia penitenziaria”. L’associazione Socialismo Diritti Riforme, oltre all’appello al Presidente Napolitano e agli esposti alle Procure di Cagliari, Sassari e Nuoro, sta valutando con un legale la sussistenza di elementi per un esposto alla Corte dei Conti per il danno erariale che il blocco alla sanità penitenziaria comporta. Sassari: piano di “rientro spese” del Prap, tagliata l’assistenza medica per i detenuti L’Unione Sarda, 18 ottobre 2010 Da ieri i detenuti del carcere di San Sebastiano devono scegliere con cura il momento in cui ammalarsi; in caso contrario rischiano di non poter essere soccorsi da nessun medico. L’assistenza sanitaria nell’istituto di pena sassarese ha subito un drastico ridimensionamento, e nel rispetto del Piano di rientro spese predisposto dal provveditorato regionale, sono state tagliate 180 ore di servizio per medici di guardia e infermieri. “Siamo molto preoccupati”, spiega Marco Puggioni, segretario regionale della Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria onlus). “In questo modo la presenza di medici e infermieri all’interno del carcere di San Sebastiano non può essere garantita 24 ore su 24, si rischia seriamente di lasciare ore scoperte. Ieri notte per esempio, il medico di guardia era solo, senza l’assistenza di infermieri. Che cosa potrebbe succedere in caso di emergenza? Si rischierebbe una tragedia”. Con il taglio del monte ore di assistenza sanitaria, a San Sebastiano la presenza di medici e infermieri passa dall’intera copertura di 24 ore a 18 ore a giornata. Tutto questo per cercare di arginare l’emorragia di denari che dissangua i bilanci: un risparmio attuato sulla pelle dei detenuti, mettendo a rischio la loro salute. Nel carcere di Sassari lavorano sette medici di guardia, due medici sanitari incaricati, nove infermieri strutturati e sei cosiddetti parcellisti. A questi si aggiunge l’opera dei medici specialisti che periodicamente visitano i detenuti. Forze già sottodimensionate rispetto alle reali esigenze di un carcere superaffollato come quello sassarese, e che ora dovranno ridurre la propria presenza al servizio e a garanzia della salute dei detenuti. “Queste difficoltà nascono anche come conseguenza del mancato passaggio della sanità penitenziaria dalle mani del Ministero a quello delle Regioni e quindi delle Asl”, commenta Puggioni. “In Sardegna questo passaggio non è ancora stato approvato dal Consiglio regionale, che ha posto delle precise condizioni alle quali deve rispondere la commissione paritetica Governo-Regione”. In questa situazione anche il futuro professionale dei medici penitenziari è in forse: i loro incarichi sono sicuri fino alla fine dell’anno. Dal 1° gennaio 2011 non sanno se Ministero e Regione metteranno a disposizione i fondi necessari per pagare l’assistenza sanitaria all’interno delle carceri della Sardegna. Parma: Cgil in visita agli istituti penitenziari, per verifiche su condizioni di lavoro Agenparl, 18 ottobre 2010 Lo scorso 14 ottobre una delegazione della Cgil di Parma, composta dalla segretaria generale Patrizia Maestri, dal segretario regionale Fp Cgil Maurizio Frigeri e dalla segretaria territoriale Fp Cgil Luisa Diana, ha visitato gli istituti penitenziari di Parma, un sopralluogo che ha avuto come finalità l’osservazione dell’organizzazione del carcere e delle condizioni e attività di lavoro al suo interno. “Abbiamo potuto constatare - osserva Patrizia Maestri - che gli istituti penitenziari di Parma offrono prestazioni sanitarie di particolare rilievo in questa regione, ma che tuttavia cui il personale sanitario è costretto ad operare con scarsità di risorse e in condizione di arretratezza tecnologica. L’implementazione dei servizi sanitari intramurari è un’esigenza primaria sia a garanzia delle condizioni di detenzione, che a garanzia delle condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria, già costretta a fare quotidianamente i conti con un grave deficit di organico”. Garantire maggiori prestazioni all’interno ridurrebbe, infatti, le difficoltà dovute alla carenza di personale del Nucleo Traduzioni e Piantonamenti, costretto ad operare con sempre maggiori disagi che finiscono per gravare fortemente sulla sicurezza di scorte e scortati, soprattutto negli spostamenti presso i luoghi di cura. La presenza delle più svariate tipologie detentive, il mancato invio da parte del Ministero, nonostante i continui solleciti, del Gruppo Operativo Mobile del Corpo di Polizia Penitenziaria a cui dovrebbe essere deputata la sorveglianza del 41/bis, amplificano a dismisura la carenza di personale. Ad oggi, alcuni turni di vigilanza vengono coperti con un agente per 50 o anche 100 detenuti. Risulta impensabile con l’attuale organico di Polizia Penitenziaria realizzare la riapertura di ulteriori 5 sezioni di detenzione. “Abbiamo anche toccato con mano - prosegue la segretaria Cgil - quante risorse strumentali manchino all’interno dell’istituto penitenziario, a partire dai computer. A fronte di quanto osservato è all’Azienda Sanitaria locale, a cui è deputata la sanità penitenziaria, che chiediamo una pronta risposta sui servizi sanitari intramurari, mentre Governo e Istituzioni Locali devono farsi carico della necessità di garantire le risorse umane e strumentali di cui il carcere ha bisogno, in attesa di risposte da parte del Ministero che tardano ad arrivare per dare soluzione a bisogni che si fanno ogni giorno più impellenti”. “Questa visita - conclude la Maestri - ci ha permesso, semmai ve ne fosse bisogno, di prendere atto della grave situazione in cui versa il nostro sistema carcerario. Temo che anche da noi l’istituto penitenziario continui ad essere percepito come discarica sociale, dei cui problemi, come il sovraffollamento o il rispetto dei diritti minimi di dignità e salute, non vogliamo preoccuparci. Il carcere è invece un fondamentale presidio democratico, parte integrante di una collettività che ha il dovere di farsene carico, anche per prevenire quelle possibili derive che sembrano essere oggi l’unico modo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e risvegliare le coscienze individuali e istituzionali alle proprie responsabilità”. Torino: la fabbrica dietro le sbarre, dove il tempo messo a frutto diventa produttivo di Renato Rizzo La Stampa, 18 ottobre 2010 Ha le mani di uno che ha fatto pugilato, non necessariamente su un ring: forti, grandi, il pugno a martello. Potrebbero spezzare senza sforzo il mestolo d’acciaio posato sul tavolo, eppure si muovono, inaspettatamente, caute e delicate mentre sistemano attorno a una torta decori di panna. Il proprietario di queste mani è romeno, si chiama Andrea e ha, da poco, imparato a fare il pasticciere. “Prima di che cosa si occupava?”. Lui: “Facevo il delinquente”. “Di mestiere?”. “Certo”. Ha finito ieri di scontare 7 anni per spaccio ed è qui, nelle cucine del carcere delle Vallette ad aspettare che la giustizia gli dica quando dovrà tornare in Romania per sciropparsene altrettanti. La galera, l’ha messa a frutto: s’è preso il diploma di scuola media e quello professionale. Adesso è occupato con altri 25 compagni - stipendio 1000-1100 euro al mese - nella cooperativa “Liberamensa” che, oltre a preparare prodotti di gastronomia e pasticceria, realizza catering per cerimonie ed eventi. Il breve viaggio nella prigione che lavora comincia su queste mani e su una frase: “Il carcere è un ozio senza riposo dove il facile è reso difficile dall’inutile”. Il direttore delle Vallette, Pietro Buffa, fa spesso questa citazione quando parla dell’importanza d’avere un’occupazione dietro le sbarre. E aggiunge: “Le aziende sostengono che il tempo è denaro. Noi siamo una banca del tempo e riattivare questo tempo, indirizzarlo positivamente, è determinante per chi, come i reclusi, ne ha tanto a disposizione”. A inizio estate la Casa Circondariale ha presentato il primo bilancio come polo produttivo: “Nel 2009 il fatturato è stato di 2,5 milioni di euro dei quali 700 mila finiti nelle tasche dei detenuti-lavoratori. E si sta concretizzando il progetto di creare un call-center, l’apertura d’una lavanderia, d’una panetteria e d’una serra produttiva”. Avete presente le grandi fioriere verdi in legno e le panchine che punteggiano le strade di Torino? Le costruiscono in gran parte qui - insieme a porte, gazebi, tavoli da pic-nic, distribuiti dalla Lombardia al Lazio - 8 detenuti assunti dalla cooperativa Puntoacapo. Agli occhi di chi ha metabolizzato tanti film di Eastwood e Stallone questo laboratorio appare come qualcosa di diverso da una falegnameria: è un’armeria ricca di punteruoli, catene, lime, accette, anticamera perfetta d’una evasione. Clint s’annoierebbe: mai nessun problema sinora, qui. Poco oltre, un’officina che impegna quattro detenuti seguiti dalla cooperativa Ergonauti: riparano componenti di autobus e tram del Gtt con uno standard qualitativo che raggiunge il 97%. Omar, 29 anni, algerino, è alle Vallette da un anno e uscirà a febbraio 2014: “Guadagno 600 euro al mese, ma la cosa più bella è la certezza che, a fine pena, mi garantiranno un posto “fuori”. Nella città con le sbarre, un aroma che non t’aspetti: il caffè che comprate a Eataly è prodotto qui per Pausacaffè, da 20 persone come Mario che, prima, al di là di questo orizzonte di muri, prediligevano magari un fumo diverso rispetto a quello che s’alza, gentile, dalla tostatrice a legna. Il viaggio è ancora lungo. Passa dalla montagna di scarpe e tute - 12 mila da agosto a oggi - che i 5 detenuti occupati da Extraliberi controllano, imbustano, personalizzano per la Robe di Kappa in queste stanze di luce a scacchi, ai giovani che operano nella prima cooperativa entrata in un carcere italiano: la Eta Beta in cui si digitalizzano documenti e si producono e-book per aziende. Sotto la macchina da cucire e le abili dita di Rita e delle altre 5 detenute che lavorano per la Papili Factory, feltro, coperte militari, iuta, materiali di recupero diventano borse, portachiavi, lampade, gadget. Occhi duri di donne approdate qui per furti, induzione alla prostituzione, estorsioni. Gli stessi reati in cui hanno annaspato anche le altre che, nella cooperativa Arione o nell’associazione Casadipinocchio, cuciono bambole Pigotte o creano i pezzi unici per il marchio “Fumne”. Nessuna reclusa racconta se stessa alle compagne se non raramente. L’altro giorno una ha parlato di un sacco di banconote rapinato da un furgone portavalori che, appena aperto, le è esploso in faccia schizzandola di blu. Qualcuna ha riso. Forlì: un carcere-topaia, Ausl e Comune chiedono la chiusura forzata Il Resto del Carlino, 18 ottobre 2010 Ratti, piccioni zecche e muffa ovunque. L’assessore al welfare. “Pronti a emettere ordinanza di sgombero”. Cucine senza le condizioni igieniche minime per la preparazione dei pasti, docce prive della pavimentazione adeguata, sottotetti invasi dai piccioni, topi, zecche, zanzare e muffe. Il carcere di Forlì fa acqua da tutte le parti. Le condizioni della struttura, stando alle relazioni effettuate in aprile e maggio dal medico igienista dell’Ausl, dottor Alfonso Casadei, sono da allarme rosso. A diffondere i risultati dei suoi sopralluoghi è stata, nei giorni scorsi, la Cgil. “Così non si può andare avanti. La struttura va chiusa”, ha tuonato il segretario generale della Camera del Lavoro di Forlì, Enzo Santolini. Parole a cui è seguita la replica dell’assessore comunale al welfare Davide Drei. “Nella eventualità che non vengano ripristinate nei tempi previsti le condizioni di garanzia minime per la salute dei detenuti e del personale - ha detto l’amministratore - siamo pronti ad emettere un’ordinanza di sgombero delle strutture interessate da questa grave situazione di disagio e di incuria”. È in particolare nel sottotetto che Casadei ha trovato scenari da terzo mondo. Qui, “in molti punti”, le deiezioni di piccione “hanno raggiunto in molti punti uno spessore superiore ai cinquanta centimetri”. I piccioni sarebbero alcune centinaia, con tanto di uova e pulcini “in vari stati di sviluppo”. Il medico dispose la bonifica del sito, posticipata (due volte) di sessanta giorni. Fino ad arrivare a ottobre e alla denuncia della Cgil. “ Si riferisce - scrisse Casadei in aprile - che rimanendo identiche le condizioni igienico sanitarie si ritiene possibile il manifestarsi di inconvenienti sanitari, anche gravi, per le persone che frequentano la struttura”. Non è tutto: i detenuti sono 220, contro una capienza di 165; 80 gli agenti di polizia penitenziaria, che dovrebbero essere invece 125. Procedono poi a singhiozzo i lavori del nuovo carcere, che, stando al sindacato, riprenderanno solo nel 2012 per mancanza di fondi. Per ora sono stati realizzati l’ingresso e la palazzina che ospiterà gli agenti. Critico il Pd locale: “Il Governo è inadempiente. La nostra comunità non può più sostituirsi allo Stato. L’amministrazione comunale di Forlì fa bene ad annunciare l’ordinanza di sgombero se le autorità governative non faranno la loro parte per risolvere il problema dell’igiene pubblica e della sicurezza nella casa circondariale”. Firenze: Sollicciano torna sopra “quota mille”, Corleone ricomincia il digiuno Redattore Sociale, 18 ottobre 2010 Il garante dei detenuti torna nuovamente in sciopero della fame: “Sono senza parole. L’illusione è finita subito. Ci mettiamo al lavoro per una piattaforma di civilizzazione del carcere” Sollicciano torna sopra quota mille detenuti e il garante Franco Corleone ricomincia lo sciopero della fame, che aveva sospeso pochi giorni fa dopo che l’istituto fiorentino aveva toccato quota 998 detenuti. “Sono senza parole - ha detto Corleone. È stato nuovamente superato il tabù di quota mille. L’illusione è finita subito. Il digiuno ricomincia e con le associazioni di volontariato ci mettiamo al lavoro per una piattaforma di civilizzazione del carcere”. Complessivamente, sono 1.018 i detenuti di Sollicciano, di cui 916 maschi e 102 femmine (più 4 bambini). Firenze: i Consiglieri regionali Danti e Brogi (Pd) domani in visita a Sollicciano La Nazione, 18 ottobre 2010 Grave sovraffollamento, la soglia di 1.000 detenuti superata (1.018 più 3 bambini) a fronte di una capienza regolamentare di 497. Questi i numeri, preoccupanti, dell’Istituto Penale di Sollicciano a Firenze dove domani, martedì 19 ottobre, andranno in visita i consiglieri regionali del Partito Democratico Enzo Brogi e Nicola Danti. “La situazione di grave sovraffollamento del carcere di Sollicciano - spiegano Brogi e Danti - ci preoccupa fortemente. Non è la prima volta che visitiamo Sollicciano così come altri istituti penali della Toscana, è importante tenere alta l’attenzione sulle condizioni di vita all’interno di queste strutture sia per quanto riguarda gli operatori carcerari che i detenuti. Purtroppo le condizioni di grave disagio e di sovraffollamento evidenti stanno andando a peggiorare e per questo vogliamo dare un ulteriore segnale, così come già fatto con il suo sciopero della fame dal garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone. I problemi, le contraddizioni e le effettive condizioni di un carcere sono lo specchio del Paese, per questo crediamo che sia molto importante tenere i riflettori ben accesi sulla situazione delle carceri toscane”. “A Sollicciano - aggiungono Danti e Brogi - siamo ormai oltre la soglia tollerabile di presenze. Come Regione ci impegniamo a far sì che ci sia un monitoraggio continuo e che vengano portati avanti il “piano materassi” e la nomina del garante regionale. Continuiamo - concludono i consiglieri del Pd - con l’impegno che come Pd ci siamo assunti ormai da tempo per tenere un rapporto costante col sistema carcerario toscano, una realtà difficile, aspra e contraddittoria”. Oristano: detenuti e archeologi lavorano assieme grazie al Progetto “Archeo 2” La Nuova Sardegna, 18 ottobre 2010 Quando scavare nel passato è sinonimo di riscatto sociale. In attesa che decolli il progetto Archeo 2, per cui il Comune ha reclutato le unità lavorative tra i disoccupati che affiancheranno cinque detenuti selezionati dalla direzione del carcere, un altro iter fa il suo corso. È quello subordinato all’avviamento della terza campagna di scavi archeologici in uno degli anfiteatri più capienti della Sardegna, fra quelli edificati durante la dominazione romana nell’isola. La giunta ha varato il progetto di massima con cui intende dare continuità all’opera di valorizzazione del sito cominciata nel 2008 e sostenuta coi fondi regionali destinati alle Officine di opportunità. Veri e propri laboratori di legalità per il reintegro sociale e nel mondo del lavoro. Per rientrare nella terza annualità dei contributi il Comune ha presentato un programma in linea con i precedenti salvo le novità riguardanti il coinvolgimento dei giovani, che saranno messe in campo compatibilmente con i fondi disponibili rispetto ai 150mila preventivati. “Commisureremo gli interventi alle risorse che saranno concesse”, ha puntualizzato il sindaco Serafino Pischedda confidando in uno stanziamento che consenta di dare impulso anche a iniziative per responsabilizzare i giovani e far prendere coscienza dell’importanza del rispetto del bene comune. In questa riedizione del programma Fordongianus è a capo dell’associazione temporanea di scopo formata dai Comuni di Norbello, Masullas e Santa Giusta, capofila nel primo bando. La rete intercomunale è supportata dalla Casa circondariale di Oristano, dall’Università di Sassari, dalle Comunità Il Seme e Il Samaritano, dal Consorzio Terra Madre e dal Patto territoriale di Oristano. Intanto si attende l’avvio dei corsi di formazione organizzati dalla Casa circondariale. La fase preparatoria è l’anticamera della seconda tornata di scavi nell’anfiteatro romano che per dieci mesi impegnerà quindici operai e una squadra di archeologi. Mamone (Nu): scoperta una distilleria clandestina in carcere, una notte di disordini di Luciano Piras La Nuova Sardegna, 18 ottobre 2010 Due ore di tensione la scorsa notte nella colonia penale di Mamone dopo che gli agenti hanno scoperto in una cella una distilleria clandestina. Alcuni detenuti si sono tagliati con le lamette e si sono lanciati contro i poliziotti. La denuncia della Cisl-Pp: “Quanto accaduto dimostra il fallimento del progetto-colonia” Il sangue che schizza ovunque. I detenuti che si tagliano e si lanciano contro i poliziotti. Tutto per una distilleria clandestina scoperta dentro il carcere di Mamone. Un inferno scoppiato nel buio, all’improvviso, che rischia di degenerare, di trasformarsi in una tragedia collettiva. Nel giro di due ore: due ore lunghissime, interminabili, di terrore. “Non è un film, ma la realtà che l’altra notte hanno vissuto agenti e reclusi” denuncia il segretario generale della Cisl-Polizia penitenziaria, Giovanni Villa. È lui che ha avuto il coraggio di prendere carta e penna e raccontare tutto non solo alla segreteria nazionale del suo sindacato e al direttore della stessa Colonia penale di Mamone, Francesco Cocco, ma anche direttamente al provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria Felice Bocchino. La ricostruzione dei fatti è davvero drammatica. “Ore 24,30 circa. Un detenuto si aggira nel corridoio di una delle sei sezioni detentive della Casa di reclusione di Mamone, precisamente nel fabbricato della “Centrale” - spiega Villa -. L’agente addetto alla sorveglianza della sezione nota il movimento e dà l’allarme. Prontamente intervengono altri agenti che cercano di riportare il detenuto all’interno della camera detentiva, ma appena entrano in cella si accorgono che vi è una vera e propria distilleria. E infatti i detenuti stanno preparando una bevanda alcolica. I detenuti, scoperti, tutti extracomunitari, tirano fuori dalla bocca delle lamette e danno il via a una serie di atti autolesionistici tagliandosi in varie parti del corpo, e aggrediscono gli agenti che per fortuna non riportano alcuna ferita e riescono ad allontanarsi”. Un inferno che gli agenti riescono a domare solo dopo due ore. “Dagli accertamenti, poi, e dalle dichiarazione rese dal detenuto che si aggirava nel corridoio - spiega ancora il segretario generale della Cisl-Pp -, si verificava che lo stesso era uscito dallo spioncino della porta in legno. Di fatto lo spioncino risulta essere più grande di quelli delle porte blindate”. Un’assurdità, emblema tuttavia della situazione che vive i carcere di Mamone: 370 detenuti, l’80% dei quali extracomunitari, in gran parte musulmani; gli agenti, invece, sono solo un centinaio, costretti perciò a turni massacranti e a stress. Una convivenza di culture e nazionalità sempre più difficile, a Mamone. “Una delle tre Colonie agricole che fanno parte del “Progetto colonia” - sottolinea Giovanni Villa -, ma che come il “Progetto carceri” nessuno ha mai visto realizzato. Se questi sono i risultati del progetto carceri possiamo benissimo dire che non è neanche partito ed è già fallito”. Messina: detenuta aggredisce per due volte gli agenti di polizia penitenziaria Il Velino, 18 ottobre 2010 Alla casa circondariale di Messina - reparto femminile - nella tarda serata di ieri una detenuta ha aggredito due agenti che, dopo le cure mediche, a causa della carenza di personale, sono stati costretti a completare il turno riportando alla calma la sezione. A darne notizia è il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria Osapp. “La stessa detenuta stamattina - dice Mimmo Nicotra, vice segretario generale del sindacato - ha aggredito anche un ispettore in servizio procurandogli una lesione alla testa. L’uomo è attualmente al pronto soccorso per le cure necessarie. Questo - conclude il sindacalista - è l’inferno quotidiano della polizia penitenziaria aspettando il piano carceri”. Busto Arsizio: progetto “Non solo accoglienza”, donate quattro case per i detenuti Varese News, 18 ottobre 2010 Il progetto “Non solo accoglienza” mette a disposizione di ex detenuti e persone in affidamento alcuni appartamenti donati da due cittadine. Condizione necessaria è avere un lavoro. Quattro appartamenti per riconquistare la “libertà”. Uscire dal carcere può voler dire tornare alla vita “normale”, ma può anche significare ritrovarsi senza lavoro, senza famiglia e senza rete. Per questo mesi fa è nato il progetto “Non solo accoglienza” che ha come obiettivo quello di aiutare detenuti ed ex detenuti nel percorso di reinserimento nella società. Fra le iniziative messe in campo dagli educatori e dagli operatori coinvolti - capofila Volgiter, Associazione Volontariato Giustizia Territorio - c’è anche l’accoglienza in alcuni appartamenti. A disposizione ci sono quattro abitazioni - due a Busto Arsizio e due nella zone di Varese - per un totale di sei posti. A breve a Varese verrà ultimato anche un terzo appartamento che avrà tre posti letto. In queste strutture vengono accolti sia ex detenuti che hanno finito di scontare la loro pena che persone detenute affidate ai servizi sociali. Nel primo caso le persone trascorrono prima un periodi di circa sei-otto mesi nella casa accoglienza Casa Onesimo. Qui vengono aiutati nella ricerca di lavoro e, una volta trovato, possono spostarsi in uno degli appartamenti per un periodo di altri sei mesi. Affitto gratis, vitto a carico della persona. “L’idea - spiega Marco Pozzi, presidente di Volgiter - è di offrire loro un trampolino di lancio verso la piena autonomie”. Nelle quattro abitazioni vengono però accolti anche i detenuti che beneficiano di pene alternative alla detenzione, in particolare coloro che sono affidati ai servizi sociali. In questo caso si tratta di persone con borse lavoro che hanno bisogno di un punto di accoglienza, ma che sono in grado di mantenersi. “Naturalmente si tratta sempre di accoglienze accompagnate - continua Pozzi. Gli ospiti non sono abbandonati a loro stessi, ma sono seguiti costantemente da educatori e volontari”. I quattro appartamenti possono essere utilizzati grazie all’iniziativa di alcuni privati. “Le due abitazioni di Busto sono state messe a disposizione con un comodato d’uso da una cittadina, mentre quelli varesini sono stati donati come eredità da Iva Ciafrè, docente e coordinatrice del Centro Enaip scomparsa nel 2004 - conclude Pozzi -. Ancora una volta dobbiamo ringraziare la generosità dei cittadini”. Immigrazione: due tunisini a processo per i disordini nel Cie di Torino Adnkronos, 18 ottobre 2010 Si è svolta questa mattina a palazzo di giustizia a Torino l’udienza del processo a due cittadini tunisini accusati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, in seguito alle tensioni nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di corso Brunelleschi del 17 agosto scorso. I due, Bidel Ben Nasr Abdaoui, di 30 anni, e Abdelali Boukri, di 33, avrebbero lanciato una bottiglia di plastica all’indirizzo delle forze dell’ordine e dato un pugno a un agente di polizia. Boukri è già stato espulso in Tunisia. Per lui l’avvocato aveva ottenuto il ritiro delle misure cautelari. Tornato al Cie, nonostante il procedimento penale in corso, è stato rimpatriato. Abdaoui, invece, detenuto nel carcere delle Vallette, che non aveva chiesto il ritiro della misura cautelare, è comparso stamattina in aula. “Avevamo chiesto le riprese delle telecamere interne”, spiega l’avvocato Alfonso Aliperta, “ma ci hanno fornito quelle dell’ora sbagliata, dicendo che quelle dell’ora giusta non sono più disponibili”. A più riprese nell’estate 2010 si sono verificate tensioni fino in alcuni casi a vere e proprie rivolte in diversi Cie italiani, per via dell’accordo raggiunto dall’Italia con Tunisia ed Algeria, che ha portato a una forte accelerazione delle espulsioni. La prossima udienza è fissata per il 12 novembre. Francia: cresce la polemica sulla morte in carcere di Daniele Franceschi di Anais Ginori La Repubblica, 18 ottobre 2010 “Forse c’è stata omissione di soccorso”. Dopo quasi due mesi la stampa francese comincia a interrogarsi sul caso di Daniele Franceschi. Con un lungo articolo, che sarà pubblicato oggi, Libération parla del giovane italiano morto nella prigione di Grasse, “la città dei profumi”. Il quotidiano racconta della lettera inviata a Carla Bruni dalla madre del ragazzo, Cira Antignano, che chiede aiuto alla première dame, ma riprende anche le molte zone d’ombra di questa vicenda, finora praticamente ignorata a Parigi e dintorni. La ricostruzione di Libération lascia intendere che, come minimo, dovranno essere chiarite le circostanze in cui un essere umano di 36 anni, senza apparenti problemi di salute, muore in poche ore per un presunto arresto cardiaco. La testimonianza di Gilles, il compagno di cella di Franceschi, lascerebbe pensare a un’omissione di soccorso, scrive il giornale. Ma nell’articolo si parla anche di possibili maltrattamenti denunciati da Franceschi prima di morire e convalidati poi dalle condizioni in cui la salma è stata restituita alla famiglia. Le autorità francesi hanno amputato il corpo di Franceschi di diversi organi. Per settimane, la madre non ha potuto vedere la salma. Quando il corpo è arrivato in Italia, appena quattro giorni fa, ha scoperto insieme al medico legale una frattura del naso, mai refertata. Molti dubbi e sospetti da chiarire, conclude il giornale, che annuncia per domani nuovi risultati clinici dell’autopsia ordinata dalla procura. “Andremo avanti per sapere se sono stati commessi degli errori nel trattamento di questo detenuto” spiega il procuratore di Grasse, Michel Cailliau, responsabile delle indagini. “Non ho l’abitudine di prendere alla leggera una morte che avviene in prigione” aggiunge Cailliau. L’arresto cardiaco, dice, “rimane comunque l’ipotesi più accreditata”. La tensione intorno a questo caso sta salendo. Tanto che altre fonti della procura di Grasse cercano di minimizzare, dicendo a Libération che si tratta solo di “una campagna stampa”. Sarà, ma intanto importanti associazioni francesi che lottano contro gli abusi in prigione si stanno mobilitando. Il breve arresto di Cira Antignano mercoledì davanti alla prigione di Grasse è sembrato una “vergogna” a Milko Paris, presidente di Ban Public, che si batte da oltre dieci anni per fare luce sulle “morti sospette” in carcere. Gli avvocati della famiglia Franceschi saranno presto a Parigi, dove incontreranno i responsabili delle associazioni per avviare la richiesta di un’indagine indipendente. Anche il settimanale Le Point, vicino alla maggioranza, ha pubblicato ieri sul suo sito la lettera-appello a Carla Bruni Sarkozy, diffusa sabato da Repubblica. “Questa madre vuole sapere la verità” spiega Le Point, ricapitolando i molti punti oscuri della ricostruzione ufficiale. Haiti: tre detenuti uccisi durante una rivolta con presa di ostaggi Ansa, 18 ottobre 2010 Una rivolta nel principale carcere di Haiti, nella capitale Port-au-Prince, ha causato la morte di tre detenuti, mentre un gruppo di persone prese in ostaggio sono state liberate dalle forze dell’ordine. Lo riferisce la Fox. Le truppe del contingente Onu presenti nel Paese hanno circondato e isolato la zona del carcere. Un funzionario del ministero della Giustizia ha confermato che tre detenuti, due dei quali cercavano di fuggire, sono stati uccisi. Un portavoce dell’Onu, Jean-Francois Vezina, ha invece reso noto che sette persone non haitiane sono state prese in ostaggio e poi liberate dai detenuti. Hanno riportato solo lievi ferite. Al momento non si conoscono ulteriori dettagli: nel carcere sono detenute oltre 1.500 persone. Afghanistan: nella prigione di Kandahar muore un detenuto, in corso indagine Nato Asca, 18 ottobre 2010 La Nato ha aperto un’indagine sulla morte di un prigioniero afghano detenuto in un carcere nei pressi di Kandahar. L’uomo “è stato trovato morto nella sua cella”, ha dichiarato l’Isaf in un comunicato, precisando che “il detenuto è stato catturato sabato durante un’operazione militare, e poi condotto nella prigione di Kandahar”. La morte dell’uomo giunge a pochi giorni di distanza dalle dichiarazioni di un think tank, secondo cui l’esercito americano maltratta i detenuti in Afghanistan. L’accusa è stata respinta dal Pentagono, che ha detto di aver sempre trattato “umanamente” i prigionieri. Camerun: due uomini detenuti da settembre con l’accusa di omosessualità Apcom, 18 ottobre 2010 Due camerunensi sono detenuti in una prigione di Yaounde dal settembre scorso per omosessualità. Lo denuncia l’organizzazione di difesa dei diritti dell’uomo Alternatives-Camerun, dove le relazioni tra persone dello stesso sesso sono vietate. “Due cittadini camerunensi dal 27 settembre 2010 sono rinchiusi in un carcere di Yaounde. Una perquisizione effettuata nel loro domicilio ha permesso di sequestrare una quantità importante di preservativi e lubrificanti. I due uomini hanno ammesso di essere gay”, si legge su un comunicato che cita le il verbale su cui sono state trascritte le dichiarazioni dei due detenuti. Il loro avvocato, André Nlend, ha ricordato che al momento dell’arresto, avvenuto “non in flagranza di reato” ai due “non sono stati letti i loro diritti e hanno subito un controllo medico, mentre erano ammanettati”. Alternatives-Camerun chiede al governo di “liberare immediatamente” le due persone detenute e di interrompere “gli arresti per omosessualità”.