Giustizia: il compare di nozze di Alfano nominato “soggetto attuatore” del piano carceri di Sandra Amurri Il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2010 Che Angelino Alfano tenga molto alla sua città, Agrigento, è cosa nota tanto che se continua di questo passo rischia di svuotarla a forza di nominare suoi concittadini esponenti di partito e amici al Ministero della Giustizia. Dopo l’incarico a membro dell’organismo di valutazione dirigenziale del Ministero affidato a Lello Cassese - responsabile della sagra del Mandorlo in Fiore della Provincia Regionale di Agrigento, già trombato alle elezioni comunali nelle liste di Forza Italia e poi ritrovatosi impiegato di gruppo C della Provincia a “supervisore della professionalità dei dirigenti del Ministero” - è la volta di Mauro Patti. Lui - ingegnere 41enne, amico e “compare” di nozze del Guardasigilli - dal primo luglio è stato nominato “soggetto attuatore del piano edilizia emergenza carceraria”. Senza voler mettere in discussione la sua professionalità di ingegnere, si è potuto apprendere che ha ricevuto un incarico “intuitu personae” come consulente della Provincia di Agrigento per prestare l’adeguata assistenza al Presidente Eugenio D’Orsi (Pdl) per un compenso mensile netto di 3.469,25 e che è stato nominato dal Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo membro della Commissione Via Speciale (Valutazione Impatto Ambientale). Ma perché il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) - vista la crisi che impera e il governo che si è limitato ad annunciare 600 milioni di euro per tentare di risolvere il problema della sovrappopolazione carceraria - non si avvale gratuitamente, visto che sono dipendenti, dei tanti architetti e ingegneri esperti in materia di edilizia penitenziaria di cui dispone? Certo che se il Guardasigilli suggerisce, che è diverso da imporre, di nominare “soggetto attuatore del piano edilizia emergenza carceraria” il suo “compare” agrigentino, il super commissario straordinario Ionta non può che accettare di buon grado il suggerimento rivendicandone comprensibilmente la scelta. “L’ingegnere Patti vanta un’ottima professionalità come attestato dal curricula di ben 12 pagine” ammette Ionta. Curricula che non ci è dato vedere così come non ci è dato conoscere il suo compenso nonostante si tratti di soldi pubblici. Forse il ministro non si fida più del metodo messo in campo dal governo per la realizzazione delle carceri, stile Protezione Civile di Bertolaso alla luce di quanto sta emergendo dalle inchieste di Firenze e de L’Aquila? Non si fida più della paroletta magica “emergenza” utile per liberarsi dei tanti lacci e lacciuoli che garantiscono trasparenza e legalità nell’affidamento degli appalti e vuole - come scrive al Fatto - “costruire le carceri senza rischiare di finirci dentro?”. Per questo, dunque, come lascia intendere nella nota che ci ha inviato - in risposta alla nostra domanda “per quale ragione è stato assunto l’ingegnere Mauro Patti?” - la sua nomina è necessaria per evitare la circolazione di mazzette? Patti sarebbe una sorta di sistema di allarme personale del ministro per far scappare i ladri? “Mi sono permesso di suggerire al dott. Ionta il nome dell’ing. Mauro Patti e sono felice che il Commissario straordinario lo abbia voluto fra i suoi collaboratori. Si tratta di persona che conosco da tempo e della quale ho potuto apprezzare le doti umane, le qualità professionali e l’integrità morale - scrive Alfano. Poiché è mio intento costruire le carceri senza rischiare di finirci dentro, ho suggerito un professionista del quale mi fido ciecamente e che so per certo che non cederebbe ad alcuna pressione, non si venderebbe ad alcuna impresa e, soprattutto, sa fare il proprio lavoro in maniera cristallina e non tradirebbe la mia fiducia per una mazzetta”. A questo punto al di là dell’impressione negativa che può dare la nomina di un “compare” di nozze in un posto di tale responsabilità non resta che sperare che la fiducia del ministro sia ben riposta. Giustizia: il Senato rinvia l’esame del ddl sulle pene domiciliari a data da destinarsi Asca, 17 ottobre 2010 Dopo lo stop alla richiesta di assegnazione in sede deliberante per le riserve dei gruppi di opposizione e la richiesta di ulteriori emendamenti fatta anche dalla Lega Nord, è ancora in lista di attesa in Commissione Giustizia il ddl 2313 che prevede l’esecuzione presso il domicilio dei residui di pena non superiori ad un anno. Più volte il Sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo è intervenuto nel dibattito per ribadire l’urgenza di queste misure come soluzione ponte per attenuare il sovraffollamento delle carceri. Ma in questa settimana il provvedimento non è stato ulteriormente discusso e la prevista approvazione di modifiche all’articolato renderà necessario un riesame alla Camera che aveva approvato il ddl anche con il sì dei deputati di opposizione. Giustizia: Radicali; il Senato acceleri sul ddl Alfano e ne recuperi il testo originario Agenzia Radicale, 17 ottobre 2010 Dichiarazione del senatore Radicale Marco Perduca e di Irene Testa, Segretario dell’Associazione Detenuto Ignoto: “Mentre Marco Pannella è giunto alla seconda settimana di sciopero della fame per denunciare la situazione delle carceri letteralmente sempre più esplosiva, la Commissione Giustizia al Senato s’appresta ad approvare il provvedimento che prevede gli arresti domiciliari per l’ultimo anno di pena. Fino ad ora s’è perso troppo tempo oltre che lo spirito, seppure minimalista, del ddl Alfano originario alla faccia del Diritto e dei principi costituzionali che dovrebbero governare anche la condizione di quelle migliaia di vite umane che soffrono la situazione di costante illegalità delle patrie galere intollerabilmente sovraffollate. La delegazione Radicale al Senato ha presentato pochi ma mirati emendamenti tra i quali c’è la versione originale del ddl adottato dall’unanimità del Consiglio dei Ministri. Vedremo se la maggioranza ne terrà di conto a fronte di una situazione carceraria dove non vige più alcun rispetto dei diritti umani, né del regolamento penitenziario o, sempre più spesso, delle condizioni richieste dai trattati internazionali cui l’Italia aderisce. Non si può continuare a far finta di niente, come non si può avallare la teoria di un ministro della Giustizia che ritiene di aver finora seminato bene. Noi non vediamo né semina né raccolto, ma se di raccolto possiamo parlare, finora c’è solo quello dei morti sempre più numerosi”. Giustizia: Sappe; 30% detenuti tossicodipendente nonostante possibilità pene alternative Agi, 17 ottobre 2010 “Dei circa 69mila detenuti che oggi affollano le 206 carceri italiane, uno su 3 è straniero e il 30% circa tossicodipendente: di questi, 18mila sono affetti da epatite C ed il 25% sono hiv positivi”. È Donato Capece, segretario generale del Sappe, a raccogliere l’allarme lanciato a Riva del Garda nel corso del quarto congresso di Federserd, la Federazione degli operatori dei servizi pubblici per le dipendenze. “Considerevole - ricorda Capece - è anche la percentuale di detenuti con malattie mentali. Tutto questo va ad aggravare le già pesanti condizioni lavorative delle donne e gli uomini del Corpo di polizia penitenziaria, oggi sotto organico di ben 6mila unità. Il detenuto affetti da tossicodipendenza o malattie mentali, come ogni altro malato limitato nella propria libertà, sconta una doppia pena: quella imposta dalle sbarre del carcere e quella di dover affrontare la dipendenza dalle droghe o il malessere psichico in una condizione di disagio, spesso senza cure adeguate e senza il sostegno della famiglia o di una persona amica. Forse è il caso di ripensare il carcere proprio prevedendo un circuito penitenziario differenziato per queste tipologie di detenuti”. Il segretario del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria sottolinea come “nonostante l’Italia sia un Paese il cui ordinamento è caratterizzato da una legislazione all’avanguardia per quanto riguarda la possibilità che i tossicodipendenti possano scontare la pena all’esterno, questi ultimi rappresentano circa il 30% del totale della popolazione detenuta. È previsto che i condannati a pene fino a 6 anni di reclusione, 4 anni per coloro che si sono resi responsabili di reati particolarmente gravi, possano essere ammessi a scontare la pena all’esterno, presso strutture pubbliche o private, dopo aver superato positivamente o intrapreso un programma di recupero sociale. Nonostante ciò queste persone continuano a rimanere in carcere. Noi riteniamo sia invece preferibile che i detenuti tossicodipendenti, spesso condannati per spaccio di lieve entità, scontino la pena fuori dal carcere, nelle Comunità di recupero, per porre in essere ogni sforzo concreto necessario ad aiutarli ad uscire definitivamente dal tragico tunnel della droga e, quindi, a non tornare a delinquere”. Giustizia: Bernardini (Ri): interrogazione parlamentare sulla morte di Graziano Scialpi Ristretti Orizzonti, 17 ottobre 2010 Al Ministro della Giustizia, al Ministro della Salute. Per sapere, premesso che la firmataria del presente atto, è presentatrice dell’atto di sindacato ispettivo 4-08895, pubblicato in occasione della seduta n. 377 del 04/10/2010; purtroppo, la persona di cui si parla nell’interrogazione è nel frattempo morta: si chiamava Graziano Scialpi ed è deceduto la notte di giovedì 14 ottobre; dalle notizie riportate sui giornali locali e riprese da Ristretti Orizzonti, agenzia e rivista per la quale Graziano Scialpi aveva lavorato durante la sua detenzione presso il carcere di Padova Due Palazzi, emergono ulteriori aspetti del calvario che quest’uomo di 48 anni ha dovuto patire: il padre di Graziano Scialpi ha raccontato la malattia del figlio in questi termini al Corriere Veneto del 16 ottobre: “Dallo scorso novembre (perciò, un anno fa, ndr) mio figlio chiedeva di fare una risonanza magnetica per cercare di capire la natura del fortissimo mal di schiena che lo tormentava - racconta con la voce rotta il signor Vittorio Scialpi, padre di Graziano - ma nessuno gli ha mai permesso di fare neanche una visita. Lo hanno tenuto dentro finché una notte lo hanno trovato paralizzato. Finché era troppo tardi”; “Lui era arrivato al punto di trascinare le gambe sul pavimento, ma neanche in quel caso gli credevano”; “I primi segni della malattia sono apparsi nel novembre 2008; all’epoca mio figlio godeva del regime della semilibertà e di giorno lavorava all’esterno del carcere, così quando usciva si comprava degli antidolorifici per il mal di schiena. Già allora aveva chiesto il permesso di farsi visitare, ma non gli fu concesso. I problemi sono arrivati qualche mese dopo, quando a Graziano è stata revocata la semilibertà, perché gli avevano trovato nel sangue le tracce di quegli oppiacei che aveva assunto per calmare il dolore. Tornato dentro non gli hanno fatto prendere nemmeno il Voltaren e così le cose di sono immediatamente aggravate”; “A quel punto abbiamo sollecitato i responsabili della struttura detentiva, perché permettessero alcune visite specialistiche. Io stesso avevo chiesto al giudice di sorveglianza di consentire a mio figlio un’uscita: lo avrei accompagnato io dal dottore. Niente, hanno cincischiato”; A marzo 2010 la malattia si è fatta sempre più aggressiva. Scialpi chiede nuovamente di potersi sottoporre ad una risonanza e questa volta i responsabili medici del carcere accettano. Ma accade l’inverosimile. “Caricano Graziano su una ambulanza e lo portano in ospedale - ricorda il padre - ma il giorno della visita era quello sbagliato. La visita era l’indomani. Così conducono di nuovo mio figlio in carcere, ma il giorno dopo non lo riportano in ospedale”; Il 30 aprile 2010 Scialpi, sofferente, viene portato in pronto soccorso: gli fanno soltanto una visita ortopedica e gli danno dei palliativi. “In casa di reclusione, però, durante le ferie i medici non gli somministravano medicinali. E così Graziano rimaneva piegato dal dolore - prosegue il signor Vittorio. Un giorno sono stato costretto a interrompere il nostro colloquio perché lui non ce la faceva”; Prima dell’estate il padre compra un busto al figlio, però c’è chi non permette l’ingresso in cella dell’attrezzo. “Ho dovuto spedirlo due volte e solo alla terza, grazie alla benevolenza di qualche agente, Graziano ha potuto ricevere il busto e indossarlo”, riprende Vittorio. Si arriva ad agosto. Graziano ormai non muove più le gambe. E una notte rimane paralizzato. Gli agenti dunque decidono di portarlo immediatamente in ospedale. “I medici gli fanno le lastre e appena le vedono lo portano in sala operatoria - sussurra il signor Vittorio - aveva un tumore enorme, partito dai polmoni ed esteso fino alla schiena. Bastava fargli quegli esami un anno prima e forse non sarebbe finita così”:- al di là dell’inchiesta aperta dalla magistratura per accertare eventuali responsabilità penali nel trattamento riservato al signor Graziano Scialpi, se non ritengano - in via cautelativa nei confronti degli altri detenuti ristretti nel carcere “Due Palazzi” di Padova - di dover verificare, attraverso un’approfondita indagine interna, se il trattamento sanitario previsto nell’istituto abbia corrispondenza con le leggi dello Stato e, soprattutto, con quanto previsto dagli articoli 3, 13 (comma 4), 27 (comma 3), 32 della Costituzione; quanti siano, negli ultimi cinque anni i detenuti morti in carcere per malattia e quanti coloro che, usciti dal carcere in sospensione della pena per malattia, siano successivamente morti in ospedale o nelle proprie abitazioni. Rita Bernardini, Deputato Radicale-Pd Giustizia: caso Franceschi; la madre scrive a Carla Bruni, moglie del presidente Sarkozy di Meo Ponte La Repubblica, 17 ottobre 2010 Ha riflettuto a lungo Cira Antignano poi, ieri pomeriggio, ha deciso di scrivere, tramite “Repubblica”, un’accorata lettera a Carla Bruni, moglie del presidente Sarkozy e “première dame de France”. Poche righe, con l’aiuto del suo avvocato Maria Grazia Menozzi, con cui racconta lo strazio di una madre che dopo aver saputo che il figlio era morto misteriosamente in una cella del carcere di Grasse, dove era detenuto in attesa del processo, s’è vista riportare in Italia un cadavere massacrato e in avanzato stato di decomposizione. Lo stato in cui sono stati rimpatriati i resti di Daniele Franceschi non solo ha sollevato le perplessità dei medici legali italiani, che non hanno capito il motivo di certe amputazioni, ma ha suscitato anche l’indignazione il ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha annunciato di avere incaricato gli uffici competenti della Farnesina di svolgere, in accordo con il console generale di Nizza, Agostino Chiesa Alciator, indagini appropriate sulla vicenda. In realtà il consolato di Nizza ha già in parte appurato che cosa è avvenuto. Il giudice Sandrine André ha sì precisato con un’ordinanza che il corpo di Franceschi doveva essere conservato a una certa temperatura per evitarne la decomposizione, ma il commissariato di Grasse non ha mai comunicato quest’ordine all’istituto di medicina legale dell’ospedale Pasteur. L’inchiesta della magistratura francese, anche se con lentezza, comunque continua. Le ipotesi di reato per ora spaziano dall’omissione di soccorso alla colpa professionale. L’avvocato Francoise Gonzales, che assiste la famiglia Franceschi in Francia, ha appena avuto i risultati dell’esame sul defibrillatore usato dagli infermieri del carcere per soccorrere il giovane. “È stato usato sei volte tra le 17 e le 18 - spiega il legale - ciò significa che Daniele era vivo e non morto come detto in un primo momento”. E Gilles Gurado, il pompiere che era detenuto nella cella accanto a quella di Daniele ed ha compilato una specie di diario di quella giornata, sottolinea: “Sono stato in cella a Grasse dal 30 gennaio al 9 settembre. I sorveglianti se ne fregano dei detenuti. Se chiedi una visita perché ti senti male puoi aspettare anche un mese”. La lettera: giustizia per il mio Daniele, non era un delinquente Gentilissima Signora Carla Bruni, mi chiamo Cira Antignano e sono la mamma di Daniele Franceschi, il ragazzo italiano morto ad agosto nel carcere di Grasse. Le scrivo il giorno dopo il rientro di mio figlio in Italia, un rientro per il quale ho dovuto lottare tanto, per rivolgerle un accorato appello affinché voglia intervenire per fare chiarezza sulla sua morte. Daniele era stato arrestato nel febbraio scorso con l’accusa di avere usato una carta di credito falsa al Casinò di Cannes. Certo, mio figlio non era un santo, ma mi creda, neppure un delinquente. Il dolore per la morte di un figlio solo chi è madre lo può comprendere, ma ancor più grande è il dolore nel non potere al proprio figlio dare una sepoltura dignitosa. Daniele è rientrato ieri in Italia privo dei suoi organi; mi verranno restituiti, forse, a fine dicembre. Non mi sarà possibile dargli l’ultimo saluto: il suo corpo è in fase avanzata di decomposizione perché, per 51 giorni, non è stato tenuto alla temperatura di -22 gradi. Daniele mi scriveva tutti i giorni e in moltissime occasioni mi ha detto che veniva maltrattato, che non veniva curato quando stava male e che i detenuti italiani non sono ben visti dagli agenti del carcere. Due giorni fa, dopo essermi recata all’ospedale Pasteur di Nizza per cercare di vedere Daniele e dopo essermi sentita dire che le condizioni del suo corpo erano tali da non consentirne la visione, ho preso la decisione di andare davanti al carcere di Grasse per protestare. Sono stata ammanettata, aggredita e portata come una delinquente al commissariato di Grasse, con tanto di contusione alle costole. Mi chiedo, ora, e Le chiedo: se una mamma di 66 anni viene trattata come me, che trattamento avranno riservato a mio figlio in quel carcere? Cira Antignano Giustizia: solidarietà bipartisan al ministro Alfano, dopo minacce di morte su 41-bis Asca, 17 ottobre 2010 Due lettere con minacce di morte al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sono state recapitate nei giorni scorsi presso la sede del dicastero di Via Arenula. Le due missive minatorie conterrebbero riferimenti all’inasprimento del regime di 41 bis (il cosiddetto carcere duro) nei confronti degli esponenti della criminalità organizzata. In particolare, una di queste lettere, la più lunga, conterrebbe testualmente quanto detto dal Guardasigilli lo scorso settembre in occasione del convegno del Pdl a Cortina, quando affermò che i boss “stanno al carcere duro e quegli ergastoli noi non li intiepidiremo mai e moriranno là, poveri, perché abbiamo anche sequestrato loro i beni”. Dell’arrivo delle due lettere minatorie è stata già informata l’autorità giudiziaria. “Sul 41 bis il ministro vada avanti, potrà contare sul nostro sostegno. Anzi lo invito ad applicare pienamente quello che abbiamo contribuito a scrivere nella norma. Si riaprano le super carceri nelle isole minori a cominciare da Pianosa e l’Asinara”. Lo dichiara il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia. “Necessita - aggiunge Lumia - un 41 bis rigoroso. I mafiosi in carcere hanno bisogno come l’aria di comunicare con l’esterno per stabilire a chi chiedere il pizzo, quale appalto truccare, quale omicidio ordinare e, addirittura, quale politico votare. I boss considerano il carcere una porzione del loro territorio dal quale continuare ad esercitare la loro funzione di comando”. “Abbiamo dato un contributo determinante - conclude l’esponente antimafia del Pd - per riorganizzazione il 41 bis in modo efficace. Adesso bisogna applicarlo con la massima severità”. “La notizia della minaccia al ministro Angelino Alfano ci allarma, perché è il chiaro segnale di ambienti della criminalità che, nonostante siano sottoposti a un assiduo attacco da parte delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, non desistono dal tentativo di condizionare in modo scellerato la vita politica del nostro Paese”. Lo afferma il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, che così testimonia la sua solidarietà al ministro. “Siamo certi - continua Lombardo - che ogni tentativo di intimidazione risulterà vano e vedrà aumentare l’impegno per sostenere lo sforzo di contrasto e repressione esercitato, giorno dopo giorno, dalle autorità investigative e dagli inquirenti”. “Il lavoro svolto in questi anni al ministero della Giustizia hanno fatto del ministro Angelino Alfano un baluardo della lotta contro la mafia e la criminalità organizzata. Alfano è per tutti noi un esempio di come si debba operare, con rigore, nel rispetto delle leggi, per perseguire l’obiettivo ultimo che è quello di sconfiggere la mafia, intaccando i patrimoni dei carcerati sottoposti al regime più duro. Le ultime deplorevoli intimidazioni rafforzano la nostra solidarietà al Ministro e all’uomo, al quale sono legato da profondo affetto e amicizia. Il fronte della lotta alla mafia si è allargato e abbraccia i tantissimi giovani della provincia di Agrigento con i quali quotidianamente ci confrontiamo sui temi della legalità e di uno sviluppo libero da condizionamenti mafiosi”. Lettere: responsabilità per morte di Graziano; troppo facile dare colpa a inefficienze sistema Ristretti Orizzonti, 17 ottobre 2010 Mi ero forse illuso che al “Due palazzi”, se non l’umanità, la ragione e l’intelligenza potessero sempre governare il senso del dovere e del rigore istituzionale. Ho appreso soltanto alcuni giorni fa che Graziano Scialpi stava morendo per l’assurdo gioco della stupidità umana, che a un certo punto dimentica il patto che impone di usare “scienza e coscienza” sempre, quando c’è una persona che soffre, quand’anche si sospettasse una simulazione... Troppo facile e comodo trincerarsi dietro le inefficienze del sistema, quando chi ha responsabilità della vita altrui riesce solo a non decidere, talvolta persino di fronte alla prova conclamata! Ho sempre portato ad esempio il carcere padovano, i detenuti impegnati nella redazione di Ristretti Orizzonti, i volontari che vi operano per l’elevato livello qualitativo del loro progetto di comunicazione, per i grandi risultati ottenuti attraverso le tante iniziative promosse, per quanto contribuiscono ogni giorno all’affermazione della verità nella giustizia. Basti solo ricordare il grande lavoro svolto con gli studenti, con quei giovani che sono la nostra vera speranza e che sono generalmente nutriti di bugie. Anche le straordinarie vignette di Graziano sono state un mezzo potente, oltreché tragicamente simpatico, per farci capire in un attimo quello che le parole possono esprimere forse con più accuratezza, ma certo con più fatica e tempo. Bisogna essere grati a lui per quanto ha saputo trasmetterci, nonostante il dramma della sua vita, terminata con una sofferenza che solo ai cinici può restare indifferente. Ogni essere umano è unico, portatore di diritti che nessuno può violare, neppure quando costui è stato distruttore, neppure quando non volesse o non fosse capace di diventare un uomo nuovo. Ma credo che Graziano avesse imboccato da subito la via del cambiamento e che, se gli errori e la negligenza di chi lo aveva in custodia hanno accelerato la sua fine, il percorso da lui compiuto sia quello che dà senso alla sua breve e tragica esistenza terrena. Ricordo alcuni titoli d’iniziative che voi con lui ci avete proposto e che vale la pena di meditare: “Sto imparando a non odiare” - “Spezzare la catena del male”. Dio avrà misericordia di lui. Claudio Messina Delegato Settore Carcere - San Vincenzo De Paoli Lazio: la regione finanzia con 135mila € un progetto del Garante dei diritti dei detenuti Dire, 17 ottobre 2010 La Giunta regionale, nella sua ultima seduta, ha approvato la delibera che stanzia 135mila euro per interventi a sostegno dei diritti dei detenuti del Lazio. “Il provvedimento - spiega l’assessore alla Sicurezza e agli Enti Locali, Giuseppe Cangemi - dà seguito al progetto pilota presentato dal garante dei detenuti del Lazio, per favorire e promuovere il diritto allo studio e alla salute della popolazione carceraria”. In particolare vengono finanziati un progetto di teledidattica, per un importo di 75mila euro, per l’esercizio del diritto allo studio attraverso una piattaforma telematica che collega in tempo reale il carcere con l’Università, e un progetto di telemedicina, con un costo di 60mila euro, che mediante il collegamento tecnologico tra le carceri e le strutture sanitarie e di effettuare visite mediche o esami clinici a distanza. Veneto: Fp-Cgil penitenziari; mancano uomini e mezzi per la traduzione dei detenuti Il Gazzettino, 17 ottobre 2010 Come organizzazioni sindacali abbiamo più volte posto all’attenzione del Dipartimento le drammatiche condizioni in cui si trovano ad operare i Nuclei Traduzioni del Distretto. In primo luogo, la cronica carenza di organico determina turni stressanti di lavoro tali da ripercuotersi negativamente sulla sicurezza del servizio, e sull’impossibilità di garantire ai lavoratori della Polizia Penitenziaria i diritti che dovrebbero essere riconosciuti al riposo ed alle ferie. In secondo luogo, ricordiamo che sul nostro distretto insistono Istituti Penitenziari di notevole importanza, sia per il gran numero di persone ivi ristrette sia per la tipologia di detenuti: Padova Reclusione con i suoi 800 ed oltre detenuti, annovera due sezioni Alta Sicurezza, Collaboratori cosiddetti “dichiaranti” e protetti, la Casa Circondariale di Verona ospita 900 detenuti comuni, la Casa Circondariale di Tolmezzo con detenuti Alta Sicurezza e 41 bis, la Casa Circondariale di Vicenza con detenuti Collaboratori di Giustizia ed Alta Sicurezza, a titolo esemplificativo e non esaustivo. A ciò si aggiungono gli sfollamenti di detenuti comuni verso gli altri Istituti del Paese a cui sono sottoposte le Case Circondariali del distretto, soprattutto di Padova e Venezia. Da un anno a questa parte, la situazione si è ulteriormente aggravata per la mancanza di fondi per le traduzioni aeree. Infatti, attualmente, nel Triveneto, lo spostamento dei detenuti, avviene su strada. Pertanto si parte da Tolmezzo, Padova o Vicenza e si traducono i detenuti per le Regioni lontane della Campania, Calabria, Sicilia giungendo alle destinazioni intermedie e finali anche dopo dodici o più ore di servizio continuative, da parte del personale autista e di scorta, rischiando di compromettere la sicurezza della traduzione e mettendo a repentaglio l’incolumità dei detenuti e del personale di Polizia Penitenziaria. Non solo, creando anche disagi al personale dipendente per il suo allontanamento dalla Sede di appartenenza per diversi giorni, l’aumento insostenibile dei costi di traduzione per il pagamento delle strutture alberghiere, per il carburante, i pasti, le missioni, gli straordinari, quest’ultimi nella favorevole condizione in cui vengano corrisposti. Gianpietro Pegoraro Coordinatore regionale Fp-Cgil penitenziari Pistoia: la testimonianza di un ex detenuto “in quel carcere solitudine e degrado” Il Tirreno, 17 ottobre 2010 Tre detenuti in una cella che può ospitarne uno. I cattivi odori, la difficoltà di convivere con sconosciuti che magari parlano una lingua diversa, i manganelli che sbattono sui ferri per controllare che non siano stati tagliati. Tre volte al giorno, a volte svegliandoti. Troppe persone concentrate in uno spazio che potrebbe ospitarne poco più della metà, troppi pochi agenti a sorvegliarle. Anche loro stressati, spesso sull’orlo di una crisi di nervi. I cinque anni di Carlo Casura nel carcere di Santa Caterina in Brana sono marchiati a fuoco nella mente. Lui sa di avere meritato la pena, quello che non riesce tuttora a capire è la solitudine in cui vengono lasciati i carcerati. Solo nella detenzione, soli soprattutto dopo, quando sono chiamati a rifarsi una vita. “Sono uscito con due sacchi di “monnezza” in mano. Non avevo una casa, non avevo più una famiglia. Ho vissuto per un mese per strada, dormendo alla stazione, sulle panchine dei giardini. Dove capitava. Dopo un mese mi sono sparato un grammo di eroina in vena. Era così tanto tempo che non mi facevo, è bastato un grammo per farmi andare in overdose”. Una disperata richiesta d’aiuto, che a quel punto non poteva più essere ignorata. “Mi imbottivano di medicine, mentre volevo solo parlare con qualcuno”. E la solitudine è rimasta, ma si è aperto uno spiraglio. “Un assistente sociale del Sert è riuscito a farmi entrare in una coop sociale: 250 euro al mese per pulire i giardini. Con le 250 euro di pensione di invalidità arrivavo a 500, ma dovevo pagarne 250 di affitto”. Era il 2005 e da allora Carlo Casura afferma di aver saldato il suo debito con la droga. “Adesso, grazie alla cooperativa sociale Gulliver lavoro quattro ore al giorno. Mi occupo dei bagni comunali. Trecento euro al mese più la pensione, e sempre quell’affitto da pagare. Da sei anni sono in lista per la casa d’emergenza”. Qualche giorno fa ha saputo di Simone, il 35enne che si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella. Lo conosceva, anche se non erano stati in carcere insieme. “Io - racconta - sono uscito nel 2005 grazie all’indulto. Lui c’è entrato dopo. Sapevo dei problemi che aveva con la droga”. La sua morte ha acceso la rabbia. “Conosco persone che entrano ed escono dal carcere, mi dicono che le cose non sono cambiate. Anzi, se possibile, sono peggiorate”. Casura ricorda quelle celle. “Al primo piano una ventina, ognuna dovrebbe ospitare un solo detenuto. Ce ne sono tre, in uno spazio di tre metri per tre metri e mezzo. Sopra un’altra decine di celle, più grandi. Dovrebbero ospitarne tre, ce ne sono nove”. Tre letti a castello in ferro rosa, un televisore, un piccolo bagno e un angolo cottura. Un tran tran quotidiano che si ripete ogni giorno con le solite modalità, ma non in condizioni minimamente dignitose, nemmeno per persone che hanno da saldare un debito con la società. Due ore d’aria, e la possibilità di accedere per un’ora al giorno, su richiesta, alla sala computer o di fare bricolage, non bastavano a compensare il vuoto, il senso di solitudine. La certezza che quella non sia rieducazione. “Mi ha salvato - dice Casura - una guardia, un assistente capo che, forse vedendo la mia depressione, è riuscito dopo un anno a farmi ottenere un lavoro in magazzino”. Le condizioni di vita, per Casura, sardo oggi 47enne, e lunghi anni di lavoro nelle raffinerie petrolifere come metalmeccanico prima dell’ingresso nel tunnel, sono lentamente migliorate. Nel 2005 l’uscita, con un mese di anticipo, grazie all’indulto. E un mondo contro cui scontrarsi senza avere “aiuti, indicazioni, solidarietà da qualcuno”. Ricorda quei due sacchi con le poche cose strette nelle mani, il senso di smarrimento fuori dal carcere. Un nuovo grande oblio prima di una lenta risalita che non tutti gli ex carcerati riescono a compiere. Messina: aumenta ulteriormente il numero dei detenuti, situazione ormai insostenibile Gazzetta del Sud, 17 ottobre 2010 L’ultima “visita guidata” all’interno del carcere di Gazzi è toccata a una delegazione della Camera penale di Messina. Professionisti che quotidianamente si interfacciano con la casa circondariale e che quindi conoscono più da vicino, attraverso la testimonianza diretta dei propri clienti, le condizioni di invivibilità che si celano dietro le sbarre. Tuttavia il “tour” di ieri ha consentito loro di potersi spingere oltre la consueta soglia di colloquio, entrando in contatto con la vita che scorre dietro le sbarre. Come abbiamo avuto modo di rappresentare in più occasioni, il nodo assai spinoso che peraltro accomuna Gazzi al panorama nazionale, rimane quello del sovraffollamento. Una piaga divenuta malessere insopportabile, cui purtroppo non si riesce a far fronte. O, evidentemente, non si vuole. Concorso di responsabilità che abbraccia più livelli istituzionali, così come è stato abbondantemente chiarito nella precedente visita parlamentare, quando ad agosto scorso a fare ingresso nell’istituto penitenziario era stata una delegazione dell’Ars (guidata dall’onorevole Filippo Panarello del Pd) in occasione della giornata dei Radicali dedicata alle carceri italiane. Anche ieri ad accompagnare i nuovi ospiti, c’era la vicedirettrice della struttura Angela Sciavicco, la quale ha avuto modo di illustrare le aree dell’edificio e le principali attività che, seppure a fatica per via di risorse limitate, si portano avanti. E per la verità, così come si era percepito a seguito della precedente “puntata”, anche in quest’occasione alle impressioni fortemente negative derivanti dalle intollerabili condizioni di invivibilità da sovrannumero, si sono affiancati giudizi positivi in riferimento a taluni servizi apparsi di buon livello come per esempio l’infermeria e le sale operatorie. Rimane irrisolto, tanto per citare una delle voci più significative, il problema dell’organico della Polizia penitenziaria: davvero pochi gli agenti in servizio, rispetto a una popolazione di detenuti che ha raggiunto numeri da follia. La pianta organica prevede 293 agenti, ma la disponibilità attuale è di 161 (ad agosto erano 165). I legali della Camera penale si sono spinti fin dentro i bracci maschili e femminili; hanno visto il nido e pure la cosiddetta sosta, reparto ridotto nel corso degli anni in condizioni a dir poco precarie. Qui sono stipati fino a 12 detenuti dentro a una cella di altrettanti metri quadrati. Praticamente si sopravvive come sardine. “Ho comunque trovato una situazione generale di buon livello - ha affermato l’avvocato Massimo Marchese, vicepresidente della Camera penale - ci sono aspetti positivi ma anche cose che mi hanno fortemente turbato. A impressionarmi, in particolare, l’eccessivo sovraffollamento. Celle anche con 12 persone accalcate in uno spazio angusto, bagni sporchi, aria viziata. Credo che si debba intervenire urgentemente per ristabilire condizioni di migliore vivibilità”. Nella struttura, che può ospitare al massimo 253 detenuti, attualmente si trovano 412 reclusi (ad agosto erano 378). Sulmona (Aq): carcere pronto ad allargarsi, con la realizzazione di due nuovi padiglioni Il Tempo, 17 ottobre 2010 Il carcere di Sulmona in due anni diventerà il penitenziario più grande del Centro sud Italia con ottocentocinquanta detenuti. La struttura di via Lamaccio, considerata da tempo di massima sicurezza, è tra quelle che saranno ampliate e potenziate con un provvedimento del ministero della Giustizia. Due, i nuovi padiglioni che saranno realizzati nell’area dove attualmente si trova il campo sportivo. Tre piani per ogni blocco con cento cinquanta celle che potranno contenere circa trecento detenuti in più, dal numero attuale (460 reclusi a fronte dei 270 di capacità detentiva). Una notizia questa, che è arrivata proprio mentre in città si parla di un nuovo casello autostradale da realizzare a Cocullo. Un incentivo in più, dicono gli amministratori coinvolti nel progetto nuovo casello, in primis il sindaco Fabio Federico, per accelerare le pratiche da presentare al ministro per le Infrastrutture Altero Matteoli visto che un carcere, di così grande portata, obbliga a trasferimenti continui con le altre città abruzzesi ma anche con Roma. A fronte della realizzazione della struttura carceraria, il personale di Polizia Penitenziaria prende la palla al balzo per chiedere ancora una volta il potenziamento del personale soprattutto in vista di un aumento di detenuti all’interno della struttura di via Lamaccio. La tipologia carceraria dei due nuove padiglioni ancora non è stata affrontata, anche se, qualcuno presuppone che si tratterà di detenuti comuni con pena definitiva. Il dato certo è che il ministero ha anche previsto un aumento della cubatura per i servizi. Una nuova cucina ma anche un incremento della casa lavoro. Questo significherebbe che i detenuti, finalmente potrebbero cominciare anche un percorso di reinserimento sociale in quella che sarà definita la casa lavoro più grande del sistema penitenziaria dell’Italia centro meridionale. Trento: un’interrogazione dell’Udc; nuovo carcere non apre perché mancano gli agenti Il Trentino, 17 ottobre 2010 “Il nuovo carcere di Spini di Gardolo è una delle poche strutture detentive moderne non solo nella struttura, ma anche nell’approccio con i detenuti. È però chiuso per mancanza di agenti. Nonostante secondo il provveditore ne servano 250, la direzione generale ha previsto un incremento di sole 25 unità”. La situazione delle carceri di Trento e Rovereto torna all’attenzione nazionale con un’interrogazione al ministro della giustizia Angelino Alfano, presentata nei giorni scorsi dal deputato dell’Udc Roberto Rao a seguito di un confronto con il consigliere comunale di Trento Paolo Zanlucchi. Il partito di Casini sollecita misure urgenti per risolvere la situazione: “Nel carcere di Trento, costruito 130 anni fa, la capienza è di 60 posti e i detenuti sono 145, di cui 63 in attesa di giudizio. Una situazione gravissima per la dignità dei detenuti e per il sovraccarico di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria”. Teramo: nominati i periti, per accertare eventuali colpe per morte detenuto con tumore Il Centro, 17 ottobre 2010 Il gip Giovanni Cirillo ha dato a due periti medico-legali l’incarico di stabilire se ci sono responsabilità dei medici nella morte di Uzoma Emeka, il detenuto nigeriano testimone del presunto pestaggio di un altro recluso da parte degli agenti di polizia penitenziaria di Castrogno e morto per un tumore al cervello. Per questa morte due medici della Asl che svolgevano a turno servizi in carcere sono indagati per omicidio colposo. Ieri in tribunale era fissato l’incidente probatorio proprio per conferire l’incarico a chi dovrà accertare il nesso di causalità tra la mancata diagnosi e la morte. I due periti scelti dal gip Cirillo potrebbero decidere di riesumare il corpo di Emeka, ma anche limitarsi a visionare il filmato dell’autopsia. Hanno 90 giorni di tempo. Civitavecchia (Rm): detenuti “pizzaioli” per studenti e pazienti, inaugurato laboratorio Dire, 17 ottobre 2010 Gli studenti e i pazienti dell’ospedale di Civitavecchia mangeranno le pizze bianche realizzate dai detenuti del Carcere di Via Aurelia. Il laboratorio per la produzione, in quantità commercializzabile, della pizza è stato inaugurato questa mattina, all’interno della Casa Circondariale di Civitavecchia, dal vescovo reggente della curia di Civitavecchia e Tarquinia, Gino Reali, dal direttore dell’Istituto Silvana Sergi, dal vicepresidente della cooperativa “La Cascina” Angelo Chiorazzo e dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Nel laboratorio saranno impiegati a tempo pieno 4 detenuti, opportunamente formati, che produrranno la pizza bianca prevista nei menù delle scuole e delle strutture sanitarie cittadine. L’Ufficio del Garante ha partecipato al progetto contribuendo alla ristrutturazione dei locali, all’acquisto dell’impianto di videosorveglianza e dell’impastatrice. “Oggi completiamo un percorso iniziato con i corsi di formazione per pizzaioli - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni. Il carcere di Civitavecchia, per l’alto numero di stranieri che ospita, è una delle situazioni più critiche della regione. Per questo abbiamo proposto che convergessero qui risorse finanziarie da Regione Lazio e Provincia di Roma per realizzare corsi di formazione che consentano ai detenuti di avere una professionalità utile nel momento in cui torneranno in società. Educare al lavoro e alla legalità per uscire dalla cultura della criminalità dovrebbe essere la stella polare della detenzione”. A Civitavecchia i corsi di formazione per pizzaioli svolti sono stati due: il primo, di 250 ore, è stato finanziato dalla Regione Lazio nell’ambito del programma “Chance” ed ha visto la partecipazione di quindici reclusi seguiti da un docente, un pizzaiolo e due tutor. Il secondo corso è stato finanziato dalla Provincia di Roma - che ha donato un forno elettrico - con i fondi risparmiati dalla mancata nomina del Garante provinciale dei detenuti, le cui funzioni sono state attribuite al Garante regionale. Infatti, in base ad un Protocollo d’intesa cui ha aderito anche il Comune di Roma, le risorse non usate per l’attivazione degli Uffici provinciali e comunali del Garante finalizzate in progetti utili a migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Brescia: in scadenza mandato di Mario Fappani, presto un nuovo Garante per i detenuti Brescia Oggi, 17 ottobre 2010 Cambio al vertice dell’ufficio comunale che si occupa di tutelare i diritti dei detenuti bresciani. Dopo due mandati e un impegno sempre in prima linea, fatto di un’assidua collaborazione con penitenziari e associazioni, ma anche di battaglie non facili, Mario Fappani non ha ancora deciso se ricandidari e potrebbe dunque lasciare la carica. A confermarlo o - più probabilmente - a nominare il suo successore sarà il Consiglio Comunale, dopo l’esame delle candidature che accederanno al bando di presentazione. E, per scegliere il nuovo garante dei diritti delle persone private di libertà, favoriti saranno i candidati “con particolare competenza nel campo dei diritti umani, delle attività sociali e del mondo del lavoro” e che dimostreranno spiccata sensibilità per gli istituti di prevenzione e pena. Le proposte potranno essere avanzate in due modi, entro mezzogiorno dell’11 novembre prossimo: prima di tutto da parte del diretto interessato che presenterà quindi un’autocandidatura, datata e sottoscritta, e che dovrà indicare “carica ambita, nome, cognome, luogo e data di nascita, residenza e curriculum”. Ma una specifica candidatura potrà essere portata all’attenzione dell’Assemblea anche per mano di un consigliere (che sieda a Palazzo Loggia, in circoscrizione, membro di un ordine, di un collegio professionale provinciale o di un’organizzazione sociale o sindacale territoriali): anche in questo caso, la richiestà dovrà specificare la carica in questione, i dati anagrafici di entrambi (presentatore e candidati) , la dichiarazione di accettazione della candidatura e un curriculum, sottoscritto da almeno duecento elettori del Comune di Brescia. Restano fermi alcuni parametri necessari al candidato, che dovrà quindi dichiarare di possedere i requisiti per la nomina a consigliere comunale (regolati dal decreto legislativo 267/2000) e di non travarsi in una situazione tale da causarne l’ineleggibilità (o l’incompatibilità con la carica di Garante): per esempio, non sono eleggibili coloro che esercitano funzioni pubbliche nei settori di giustizia e sicurezza pubblica, o che abbiano legami di parentela con amministratori comunali, fino al terzo grado. Le proposte di candidatura possono essere consegnate alla segreteria generale del Comune, in piazza Loggia, 3 (da lunedì a venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 16), oppure inviate per posta o fax al numero 030.2977255. Forlì: Pd; carcere a rischio di sgombero forzato, colpa del Governo inadempiente Ansa, 17 ottobre 2010 “La situazione del carcere di Forlì è l’emblema della situazione in cui viene lasciato il nostro paese: nel più totale disinteresse”. Lo sostengono i consiglieri regionali forlivesi Pd, Tiziano Alessandrini e Thomas Casadei, e il segretario territoriale, Marco Di Maio, in merito a una relazione dello locale Usl sul grave stato di incuria e sporcizia in cui verserebbe il carcere cittadino (con presenza di guano di piccioni, topi, muffa, aggravata dal sovraffollamento di popolazione carceraria, con 220 detenuti a fronte di una capienza massima di 165), che ha portato l’assessore comunale al Welfare, Davide Drei, ad annunciare la possibilità di un’ordinanza di sgombero della struttura. “Il Comune di Forlì fa bene ad annunciare l’ordinanza di sgombero - proseguono i tre esponenti politici - se le autorità governative non faranno la loro parte per risolvere il problema dell’igiene pubblica e della sicurezza nella casa circondariale. Problema che abbiano registrato e denunciato pubblicamente nelle occasioni che abbiamo avuto nei mesi scorsi di visitare il carcere, e di parlare con alcuni operatori della struttura”. “Gli sforzi straordinari - precisano - della direzione della casa circondariale e quelli dell’assessore comunale al Welfare assieme ai suoi collaboratori, ma soprattutto la straordinaria rete di volontariato che si è costruita attorno al carcere di Forlì hanno evitato fino ad oggi che la situazione degenerasse. Ora si è arrivati ad un punto in cui la nostra comunità non riesce più a sostituirsi allo Stato. Non riesce e non può farlo. Attiveremo tutti i nostri canali, pur essendo forza di opposizione a livello nazionale, per tentare di sbloccare questa situazione. Che rappresenta un problema non solo di sicurezza ma soprattutto di dignità umana e del lavoro”. Enna, Osapp; niente manutenzione al carcere, il 28 ottobre scenderemo in piazza Il Velino, 17 ottobre 2010 “È già da diversi mesi che l’Osapp per voce del suo vice segretario generale, Domenico Nicontra, attenziona ai vertici dell’amministrazione Penitenziaria “l’ormai imprescindibile necessità di avviare lavori di ristrutturazione della Casa Circondariale di Enna”. “Le recenti ed abbondanti precipitazioni atmosferiche - dice Nicontra - hanno acuito oltre modo la vetustà della struttura penitenziaria ennese, tanto che si sono aree che cadono letteralmente a pezzi. Per i su esposti motivi oltre che per mancato rispetto delle norme e degli accordi vigenti e mancanza di pari opportunità professionali che regolano l’attività dei Poliziotti Penitenziari - continua Nicontra - il prossimo 28 ottobre l’Osapp sindacato maggiormente rappresentativo del corpo di polizia penitenziaria, scenderà in piazza, innanzi il Palazzo del Governo, a rendere pubblica il loro status quo. L’Osapp chiederà inoltre di essere ricevuta da Prefetto e dal Sindaco di Enna ai quali chiederà i motivi ostativi che hanno ritardato l’apertura della neo, completata ed omologata sezione detentiva. Con l’apertura di questa nuova sezione detentiva - conclude Nicontra - si potrebbero quanto meno lenire i disagi lavorativi per il personale del Corpo, che negli ultimi tempi si è recato al lavoro con gli stivali a causa dei recenti allagamenti.” Alessandria: l’Ufficio scolastico provinciale sopprime i Corsi nel carcere “San Michele” Ristretti Orizzonti, 17 ottobre 2010 Il 1° ottobre 2010, la Direzione della Casa di Reclusione “San Michele” di Alessandria, primo Istituto Penitenziario in Italia ad avere aperto una scuola al suo interno nel lontano 1956 con l’istituzione del Corso quinquennale Geometri, veniva informata della mancata riconferma dei Corsi Scolastici per l’Anno 2010/2011. Con una decisione unilaterale e senza alcuna informazione preventiva ufficiale, nel corso di una riunione svoltasi giovedì 30 settembre 2010, la Direzione dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Alessandria, informava i Dirigenti dei due Istituti della mancata riconferma della 1^ Pluriclasse dei Corsi Scolastici Geometri ed Odontotecnici, per mancanza di organico. Allo stato, pertanto, risultano attivi unicamente la 3^ pluriclasse del Corso Geometri/Odontotecnici e la 5^ classe del Corso Geometri: non è dato ad oggi sapere la sorte di coloro che saranno promossi alla 4^ Classe. Decisione allarmante e grave, visto che ad oggi la direzione del carcere si trova a gestire un totale di 53 richieste di iscrizione al 1° anno del Corso Geometri/Odontotecnici, di cui 27 provenienti da altri Istituti del territorio nazionale, in attesa di essere trasferiti in questo Istituto per motivi di studio, a seguito di un interpello nazionale pubblicato nel mese di marzo 2010. Per il Corso Odontotecnici di durata triennale, in particolare, istituito appena un anno fa, si era provveduto con finanziamenti pubblici e privati (Consorzio dei Servizi Sociali di Alessandria e Fondazione Cassa di Risparmio), ad istituire un laboratorio con relativo acquisto di materiale per l’avvio del corso. Il Progetto prevedeva al suo termine, la possibilità di istituire un vero e proprio laboratorio odontotecnico, in grado di offrire le protesi dentarie ai detenuti a livello nazionale. Un progetto ambizioso, elaborato anche in collaborazione con l’Asl di Alessandria, il Comune e la Provincia, oggi miseramente naufragato. Il comunicato dell’associazione Betel Con un drastico “taglio” dei fondi - assunto dall’ufficio scolastico provinciale - viene fortemente limitato il diritto all’istruzione nella Casa di Reclusione di San Michele con una prospettiva di azzeramento; come è noto i tagli nell’istruzione hanno provocato polemiche e malessere in tutto il Paese. Questa scelta contrasta con i principi della nostra Carta Costituzionale all’art.27 c.3 e con le precise indicazioni fornite dalla Commissione Nazionale Consultiva e di Coordinamento (istituita presso il Dap - Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) che nel piano triennale, nella seduta del Marzo 2008 indicava: “Linee guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità Giudiziaria per individuare percorsi di inclusione sociale… per le persone entrate nel circuito penale.” Come purtroppo succede, da una parte si fanno proclami e dall’altra, invece, non si erogano i mezzi e gli strumenti. Al cap.2 del Patto di inclusione si indicano le “azioni tese a migliorare la qualità della vita in carcere e si esplicita di sviluppare le attività di istruzione di ogni ordine e grado”. Nonostante questi riferimenti sia Costituzionali che normativi, dove si sottolinea l’importanza dell’inclusione sociale, la decisione drastica della riduzione del personale ha delle ricadute fortemente negative sulle persone ristrette che anziché essere favorite in un percorso costituzionalmente previsto attraverso la rielaborazione individuale del reato e quindi teso al recupero della dignità della persona, viene negata questa possibilità peggiorando la vita in carcere. Sorge una domanda: si possono utilizzare gli stessi parametri di valutazione di una situazione normale rispetto a quella dove le condizioni oggettivamente sono molto diverse? La decisione unilaterale intrapresa dalla Direzione dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Alessandria è allarmante e grave - sottolinea la Direzione della Casa di Reclusione di San Michele - perché non considera l’aspetto sociale di cui è tenuta a farsi carico. L’Istituto di San Michele storicamente ha sempre voluto mantenere la caratteristica di considerare l’Istruzione come un “tassello” molto importante per aiutare le persone ristrette e per facilitare percorsi che portino all’inclusione sociale. La Crvg con l’Associazione Betel dei volontari alessandrini, condividono la presa di posizione espressa nel comunicato della Direzione della Casa di Reclusione (di cui si allega copia) e sostengono tutte le iniziative in corso, al fine di ripristinare i livelli scolastici presenti da sempre nell’Istituto. Is Arenas (Ca): nuovo caso di tubercolosi nella Casa di Reclusione, è il terzo in tre anni L’Unione Sarda, 17 ottobre 2010 Un caso di Tbc polmonare nella Casa di reclusione di Is Arenas, il terzo in tre anni. Ancora una volta l’infezione è stata riscontrata in un detenuto extracomunitario dell’Africa centrale, presente nell’istituto di pena da due mesi. Il recluso è stato trasferito in ospedale dove è ricoverato nel Reparto infettivi del Santissima Trinità di Cagliari. Il nuovo caso di tubercolosi, che si presenta nella sua forma più grave, ha creato notevole allarme fra il personale della casa di reclusione. In una nota della segreteria della Fp Cgil-Polizia Penitenziaria si denunciano le condizioni igienico-sanitarie, il sovraffollamento nelle celle (i reclusi sono circa 180), i tagli dei fondi alla sanità penitenziaria che penalizzerebbe la sicurezza degli stessi detenuti e del personale penitenziario e civile di Is Arenas. Il sindacato di categoria chiede inoltre che altri casi sospetti vengano immediatamente segnalati e che i controlli sanitari siano estesi a tutto il personale. Lecce: diagnosticata tubercolosi a un infermiere del carcere, in corso esami al personale Comunicato stampa, 17 ottobre 2010 Si comunica che tre giorni fa presso il Carcere di Lecce-Borgo San Nicola, ad un infermiere di ruolo, Paolo Faraone, è stata diagnosticata la patologia di Tbc in forma attiva. Il dipendente ha famiglia e lavora solo nell’Istituto penitenziario di Lecce. Solo ieri sera è scattato il previsto protocollo per i controlli dei colleghi e del personale che è stato in suo contatto. Oltre i suicidi, i 36 tentati suicidi gli 800 eventi critici dell’anno 2010, ora anche le malattie infettive. Donato Montinaro Segreteria Regionale Uil Penitenziaria Asti: detenuto tenta il suicidio, salvato in extremis dagli agenti della polizia penitenziaria Ansa, 17 ottobre 2010 Un detenuto nel carcere di Asti ha tentato di togliersi la vita impiccandosi nella cella in cui stava scontando una condanna per omicidio, ed è stato salvato dalla polizia penitenziaria. È successo la notte scorsa poco dopo l’una. A riportare la notizia è Leo Beneduci, segretario generale del sindacato Osapp, sottolineando che si tratta dell’ennesimo caso dall’inizio dell’anno. L’autore del gesto, un tunisino di 46 anni, ha un fine pena fissato nel 2015. Rinchiuso nella prima sezione B1-comuni, si è impiccato al neon del bagno della cella con una corda rudimentale che ha ricavato manipolando strisce di lenzuolo e diversi effetti personali. In passato l’Osapp aveva già denunciato le drammatiche condizioni in cui si opera nel carcere di Asti. È desolante - commenta Beneduci - lavorare in una istituzione come quella penitenziaria, che produce tanto disagio. Non riusciamo ad accettare che il Guardasigilli, a parte le dichiarazioni e i proclami, sia sempre più assente dalla nostra realtà”. Per questo - afferma il segretario - chiediamo che la responsabilità politica delle carceri sia affidata ad altri, magari ad interim al presidente Silvio Berlusconi. Svizzera: detenuti in rivolta contro il sovraffollamento, sono il doppio del consentito Apcom, 17 ottobre 2010 Sei detenuti rinchiusi nel carcere ginevrino di Champ-Dollon hanno fatto a botte ieri sera con alcuni secondini, uno dei quali è rimasto ferito non gravemente. Per neutralizzare i carcerati, è stata chiamata la polizia, ha dichiarato il direttore del penitenziario Constantin Franziskakis, I sei prigionieri sono stati rinchiusi in cellule di punizione, dove passeranno da cinque a 10 giorni. Certi incidenti potrebbero essere la conseguenza della sovrappopolazione di Champ-Dollon, struttura costruita per 270 detenuti, ma che ora ne ospita 571. A inizio settembre, due carcerati che cercavano di fuggire sono stati fermati in tempo. Nell’agosto scorso, un tentativo organizzato da tre detenuti è stato sventato dall’intervento dei secondini, che se la sono cavata con contusioni.