Giustizia: quelle morti in carcere di cui non parla quasi nessuno di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro Liberazione, 15 ottobre 2010 Elezioni in primavera o no, la propaganda elettorale è già iniziata: e quando si cercano i consensi, si sa, è meglio non parlare di carcere, di 54 suicidi in meno di un anno, di 5 giovani impiccati in una età compresa tra i 22 e i 27 anni in meno di dieci giorni; o di tre ergastolani attivi nel comitato per l’abolizione dell’ergastolo trasferiti dal carcere di Spoleto (chiediamo ufficialmente al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria il perché di questo trasferimento che ci appare punitivo). Intanto Christian Bianchini, un detenuto del carcere di Taranto di 28 anni, da tempo affetto da tumore al fegato, ha ottenuto da più di 40 giorni l’autorizzazione al ricovero in una struttura ospedaliera a Palermo, ma la mancanza di fondi per il trasferimento del detenuto e la burocrazia ottocentesca dell’amministrazione penitenziaria gli impediscono di vedersi garantito il diritto alla salute, se non alla vita. Una vita, quella reclusa, trascorsa nel sovraffollamento terzomondista che attanaglia le patrie galere (quasi 69mila detenuti in spazi che dovrebbero contenere 43mila persone, con una media di tre mq a detenuto), dimenticando che il carcere è uno spazio della nostra società dove non possono essere inflitte pene contrarie al senso di umanità. Bene ha fatto allora il magistrato di sorveglianza di Firenze, Stefano Tocci, ad accogliere il reclamo presentato dai detenuti di Sollicciano sulla messa in mora dell’amministrazione penitenziaria del carcere fiorentino che non garantisce i diritti minimi (a partire dal diritto alla vita, alla salute e alla dignità). Anche noi, nel nostro piccolo, con i nostri consiglieri regionali, insieme ad Antigone e ad altre realtà della società civile, abbiamo messo in mora le pubbliche amministrazioni di mezza Italia (Comuni, Regioni, Asl), perché non dimentichino le carceri. Finora le uniche risposte sono arrivate dal Comune di Firenze e dalla Regione Piemonte, ma non demordiamo. Anche se siamo consapevoli che le amministrazioni locali poco possono fare (ma, almeno quel poco, devono farlo, almeno nominando Garanti locali imparziali ed attribuendo agli stessi poteri effettivi) a causa dei tagli indiscriminati che hanno subito nelle ultime finanziarie. Così come possono fare gli operatori della giustizia (a partire dal personale amministrativo in protesta per i tagli al personale e alle risorse subiti) di fronte ad un tasso di incarcerazione nazionale che, come hanno ricordato di recente i Garanti locali dei detenuti, anche essi in protesta, è pari al 42 % a fronte di una media europea del 24%, con Germania e Inghilterra al 15%. Dunque, se non si inverte la tendenza politica che dagli anni Novanta in poi ha operato sotto l’insegna dell’ipertrofia legislativa e della bulimia carceraria, se non torniamo a pensare, almeno a sinistra, che il vero senso dello Stato è la prevenzione del crimine e del disagio, è la promozione delle politiche sociali per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 della Costituzione), non risolveremo mai il dramma del carcere e del disagio sociale e non saremo mai competitivi ed alternativi a quelle fabbriche della paura di destra che, invano, nelle elezioni della seconda repubblica il centro - sinistra ha sempre cercato di simulare. Come ha ricordato Patrizio Gonnella sul manifesto del 12 ottobre “Il sovraffollamento carcerano, la violenza istituzionale, la carcerazione di massa del disagio sociale non sono eventi naturali. Sono il frutto di politiche pubbliche scellerate decise per ottenere consenso”. Contro di esse le opposizioni devono (dobbiamo) fare un cambio di passo. Dobbiamo in primo luogo interloquire con le altre forze democratiche del Paese per capire se abbiamo o meno la stessa idea di giustizia, della pena e, più in generale, la stessa idea sul rapporto intercorrente tra politiche sociali e politiche criminali. Per non farci cogliere impreparati, come avvenuto nella scorsa legislatura. Dove saggiamente abbiamo approvato un provvedimento di indulto, ma non lo abbiamo sostenuto con politiche legislative che statuissero il ritorno dallo stato penale allo stato sociale, al sogno dell’eguaglianza sostanziale, al sogno di una società diversa e possibile. Giustizia: il carcere come rieducazione solo per un italiano su tre di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 15 ottobre 2010 Carcere uguale rieducazione solo per un terzo degli italiani. Sono stati presentati a Roma i risultati del sondaggio commissionato alla Ipr Marketing di Napoli dal dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria per misurare il livello di percezione che i cittadini hanno della polizia penitenziaria e del sistema carcerario nel suo complesso. L’universo di riferimento del sondaggio, che ha lavorato su un campione di 1.000 persone disaggregate per sesso, età, titolo di studio e regione di residenza - era costituito dai cittadini maggiorenni residenti in Italia. Tramite questionari strutturati somministrati nel luglio scorso, si è valutata innanzitutto la funzione che il carcere svolge nell’immaginario degli intervistati, dove è legato per il 49% dei cittadini all’idea di punizione. Per un terzo del campione invece il carcere richiama l’idea della rieducazione e del reinserimento sociale, mentre solo il 12% lo vede come garanzia di sicurezza. Quanto alla conoscenza del sistema penitenziario, è emerso essere estremamente bassa. La quota di risposte esatte in relazione al numero delle carceri presenti in Italia, al numero dei detenuti e alla percentuale di detenuti stranieri è compresa tra il 12 e il 15%. La valutazione generale del nostro sistema carcerario, effettuata utilizzando una scala di votazione da 1 a 10, è negativa per l’assoluta maggioranza degli intervistati. Ben il 72% degli intervistati assegna infatti un voto inferiore al 5. Il 64% degli intervistati ritiene che la situazione penitenziaria vada affrontata urgentemente, mentre il 31% sostiene che altre emergenze siano prioritarie. Il sovraffollamento è percepito, soprattutto da chi ha più di 55 anni, come il problema principale delle carceri seguito, soprattutto per i più giovani, dalla necessità di garantire il reinserimento sociale delle persone detenute. Quanto alle opinioni dei cittadini riguardo lo stesso dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, tra coloro che ne hanno sentito parlare il 46% assegna un voto compreso tra 6 e 10 mentre il 32% assegna un voto inferiore a 5. Il 40% del campione associa la magistratura di sorveglianza all’Amministrazione penitenziaria, dimostrando un’erronea comprensione del ruolo di quest’ultima. La polizia penitenziaria è conosciuta dagli intervistati soprattutto in relazione a fatti di attualità, quali incidenti, suicidi in carcere, episodi di cronaca nera. Il 45% delle risposte, fornite soprattutto da uomini, over 55, e con titolo di studio inferiore, rivela un’opinione positiva della polizia penitenziaria, a fronte di un 32% che rivela invece un’opinione negativa. Il 59% degli intervistati ha molta o abbastanza fiducia nella polizia penitenziaria. Si tratta del livello di fiducia più basso tra le forze di polizia. I compiti della polizia penitenziaria maggiormente noti sono legati alla sicurezza nelle carceri, al trasporto e alla sorveglianza dei detenuti. L’assoluta maggioranza del campione valuta poco o per nulla efficaci le carceri italiane riguardo all’aspetto del reinserimento e del recupero dei detenuti. Da notare come non tutti abbiano apprezzato l’iniziativa del Dap e la spesa di denaro che essa può aver comportato. Lo scorso 7 ottobre l’On. Rita Bernardini ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro della giustizia nella quale chiede conto della cifra investita e sottolinea come il “compito istituzionale dei Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è quello di amministrare il sistema penitenziario italiano secondo quanto disposto dalle leggi vigenti e, in primo luogo, attenendosi ai principi costituzionali, non certo quello di spendere denaro pubblico per sondare la percezione degli italiani”. Giustizia: una petizione al Parlamento europeo, perché tutta l’Europa abolisca l’ergastolo di Stefano Anastasia Terra, 15 ottobre 2010 Domenica hanno scioperato i detenuti della Casa circondariale di Rebibbia, lunedì quelli di Bologna. Sciopero della fame come forma di protesta di chi non ha altro modo di far sentire la propria voce che far parlare il proprio corpo. Domenica hanno scioperato i detenuti della Casa circondariale di Rebibbia, lunedì quelli di Bologna. Sciopero della fame come forma di protesta di chi non ha altro modo di far sentire la propria voce che far parlare il proprio corpo. L’occasione era la giornata europea contro la pena di morte, subito (e legittimamente) riconvertita, in Italia, in una giornata contro l’ergastolo: la pena senza tempo, la condanna alla morte civile. Questo dell’ergastolo e della sua pervicace sopravvivenza nell’ordinamento giuridico italiano sembra un problema prescritto. Raffinati giuristi inarcano le sopracciglia a sentirne parlare: “l’ergastolo non esiste, la liberazione condizionale ha fatto giustizia, dopo 22-26 anni escono tutti”. Questa baldanzosa sicumera, poi, è sufficiente a scatenare gli istinti più bassi tra coloro che giuristi non sono (e spesso neanche raffinati): “come? L’ergastolo non esiste? Ci vorrebbe la pena di morte!” Al contrario, l’ergastolo esiste e non molla la presa: si moltiplicano le condanne che lo prevedono (circa 1000 in più, in quindici anni); aumentano i detenuti che passano la fatidica soglia dei 26 anni senza ottenere la liberazione condizionale (quasi cento, un paio d’anni fa). La liberazione condizionale, infatti, non è una misura automatica: è concessa a condizione che l’interessato “abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento” e che abbia adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato. È condizionale anche perché può essere revocata, sia nel caso della commissione di nuovi reati che in quello della trasgressione agli obblighi di condotta imposti all’atto della concessione. Ciò nonostante, molti anni fa, la Corte costituzionale ha giudicato l’ergastolo compatibile con la finalità rieducativa della pena perché tutte queste condizioni erano considerate nella disponibilità del detenuto (comportarsi bene dentro e fuori, risarcire il danno, ecc.). Ma se già era difficile tenere un comportamento tale da far ritenere al giudice “sicuro” il proprio ravvedimento, oggi ad alcuni ergastolani è richiesta una prova ulteriore: collaborare con la giustizia o dimostrare di non essere in condizione di collaborare con la giustizia. Prova veramente diabolica, come solo la Santa Inquisizione avrebbe potuto immaginare. È bene, dunque, che salga questa voce di protesta dal fondo delle prigioni italiane. Anche perché non è voce diversa da quella che denuncia le generali condizioni di sovraffollamento: la pena senza limiti ha più di un rapporto con l’abuso delle pene che riempie le carceri di poveri disgraziati. Anche per questo, dunque, merita di essere firmata la petizione al Parlamento europeo, perché tutta l’Europa abolisca l’ergastolo (www.informacarcere.it). Giustizia: 20mila detenuti tossicodipendenti, 18mila con epatite C e 5mila sieropositivi Adnkronos, 15 ottobre 2010 In Italia il 30% circa degli oltre 68 mila detenuti sono consumatori di sostanze, e di questi 18 mila sono affetti da epatite C e il 25% sono hiv positivi. Ma pochi di loro sanno di essere malati e fra coloro che ne sono consapevoli pochissimi sono in grado di accedere alle cure. Con pericoli anche per la collettività. L’allarme è emerso a Riva del Garda, nel corso del quarto congresso di Federserd, la federazione degli operatori dei Servizi pubblici per le dipendenze. La cura delle patologie nei tossicodipendenti detenuti diventa perciò una priorità. “Oggi malattie come l’epatite C e l’hiv possono essere curate con successo anche nei tossicodipendenti - ha spiegato Felice Nava, direttore del comitato scientifico di Federserd - ma sono ancora pochi i pazienti che ricevono le cure più appropriate. Bisogna superare perciò molti ostacoli, fra i quali forse il più forte è lo stigma che fa credere che chi consuma droghe, e per giunta è in carcere, non meriti di essere curato”. Curare però non basta, bisogna anche pensare alla riabilitazione dei detenuti consumatori di sostanze. “I programmi alternativi sono uno strumento efficace per il reinserimento sociale - ha detto Sonia Calzavara, psicopedagogista dell’Unità Funzionale del Carcere di Padova - ma devono essere potenziati. Numerose evidenze dimostrano che chi ha usufruito di misure alternative ha una minore recidiva sia nell’uso di sostanze che nel commettere un nuovo crimine”. Giustizia: Favi (Pd); il piano-carceri di Alfano è sempre più un bluff, i fondi sono bloccati Ansa, 15 ottobre 2010 “Il governo ancora ieri davanti all’evidente sfacelo delle nostre carceri, ha detto che le soluzioni a tutti i problemi stanno nella costruzione di nuovi istituti per i quali però il Ministro Alfano e il Commissario Ionta non riescono a reperire né i fondi, bloccati dal ministro dello Sviluppo Economico, né a predisporre i progetti esecutivi con l’individuazione precisa delle aree, in quanto gli accordi con le regioni e i comuni interessati sono ancora al di là da venire”. Lo afferma in una nota Sandro Favi, responsabile carceri del Pd aggiungendo che “le uniche risorse finanziarie che sono state reperite sono quelle sottratte ai programmi di recupero e reinserimento dei detenuti, quanto mai necessari dopo i pesanti tagli effettuati al bilancio dell’amministrazione penitenziaria”. Per il Pd, invece, “la strada maestra da percorrere è quella delle misure alternative e dell’assunzione del personale indispensabile a garantire la piena e democratica funzionalità del nostro sistema penitenziario. Ormai - conclude - il bluff del Piano Carceri di Alfano è evidente anche a chi in questo governo ci aveva creduto”. Giustizia: Pedica (Idv); inganno la promessa di assunzioni Polizia penitenziaria Adnkronos, 15 ottobre 2010 “Alfano sta tenendo nei confronti della polizia penitenziaria un comportamento assolutamente irresponsabile: alla festa della polizia aveva promesso duemila assunzioni e si è sconfessato il giorno dopo, così come sul ddl cosiddetto ‘svuota carceri’ ha dovuto cancellare la norma sull’incremento di 3mila unità perché senza copertura finanziaria’. Lo afferma il senatore Stefano Pedica in una nota. “Come è possibile - si chiede - ingannare così gli agenti di polizia penitenziaria? Ma Alfano lo sa che, dato il grave sotto organico, ogni agente deve controllare di media 70 carcerati e non gli vengono nemmeno pagati gli straordinari a cui sono costretti per garantire la sicurezza? È scandaloso il disinteresse del ministro proprio quando le camere penali hanno denunciato le violazioni dei diritti dei detenuti”. “Vista la situazione, per l’emergenza e l’affollamento il Sappe si troverà costretto a sospendere in determinati periodi gli incontri familiari - continua Pedica. Questa politica del Ministro Alfano sta tragicamente ricadendo su tutti coloro che il carcere lo vivono quotidianamente: polizia penitenziaria e detenuti, accolgo la protesta del Sappe e aderisco alla manifestazione che si terrà martedì prossimo davanti al Dap”. Giustizia: Osapp; nuove carceri? le strutture non funzionano per mancanza di poliziotti Adnkronos, 15 ottobre 2010 “A Velletri, Avellino, Parma, Rieti e Trento le nuove infrastrutture penitenziarie non funzionano per mancanza di poliziotti penitenziari”. Lo denuncia in un comunicato l’Osapp che avverte che queste carceri saranno “del tutto ingovernabili entro pochi mesi”. È quanto afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria. “Quanto ci capita di constatare ogni giorno - osserva - è che le ultime nuove strutture, una volta realizzate, non funzionano o funzionano a scartamento ridotto per mancanza di personale - aggiunge il sindacalista - come, da ultimo, a Velletri in cui il nuovo padiglione da 200 posti è tuttora deserto, o a Bellizzi Irpino dove ulteriori 250 nuovi posti permangono disabitati, oppure a Parma dove sono tuttora inutilizzati 5 padiglioni detentivi per un totale di 350 posti, ed ancora a Rieti dove da un anno il nuovo istituto funziona al 40% ed ancora a Trento dove il nuovo penitenziario sarà aperto con 110 poliziotti penitenziari rispetto ai 250 necessari”. “Immaginando che la manovra finanziaria varata ieri dal Governo non aggiunga ma semmai diminuisca ancora le risorse disponibili per la polizia penitenziaria, ad esempio per straordinari, missioni e assunzioni, a meno di non immaginare auto - gestioni tra detenuti negli istituti penitenziari più grandi - conclude Beneduci - le carceri potrebbero diventare del tutto ingovernabili entro qualche mese e ciò non potrebbe non travolgere il ministro e il Capo dell’Amministrazione che hanno voluto concentrare anche ingenti capitali solo sull’edilizia e non sulle riforme essenziali di cui il sistema penitenziario abbisogna”. Giustizia: Ilaria Cucchi; mio fratello non può essere morto per “lesioni lievi” Ansa, 15 ottobre 2010 “Si ha bisogno di arrivare alla verità, anche per andare avanti nella vita ed elaborare il lutto. Arrivare a un processo che parte su una base sbagliata, su una grande ipocrisia, francamente non mi interessa”. Così, ai microfoni di Cnr Media, Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi, a un anno dall’arresto di Stefano, ha spiegato le ragioni per cui ha intenzione di abbandonare il processo in corso sulla morte del fratello. “A un anno dall’arresto di Stefano - ha detto ancora Ilaria - non voglio parlare di mancate verità, di bugie o di paure. Voglio dire solamente che si deve inquadrare quello che è successo. Insisto sul fatto che mio fratello stava bene, e allora mi spieghino: se continuano a parlare di lesioni lievi, mi spieghino per quale motivo mio fratello dopo sei giorni è morto al Pertini, ed è vero che le colpe dei medici sono gravissime, ma senza quel pestaggio mio fratello non ci sarebbe arrivato al Pertini”. “Incontro spesso familiari di detenuti, che mi dicono - ha aggiunto - che dei cambiamenti ci sono stati, basti pensare a quel protocollo assurdo che è stato abolito per cui i medici non potevano parlare con le famiglie dei detenuti. Però - prosegue - mi sembra così assurdo che ci sia voluta la morte di mio fratello. Anche se al tempo stesso mi fa capire che forse quello che ci è successo almeno ha avuto un senso, di essere utile e di evitare che quello che è successo a Stefano accada di nuovo”. Giustizia: Sappe; sul caso Cucchi piena fiducia nell’operato della magistratura Il Velino, 15 ottobre 2010 “Sulla morte di Cucchi, come è noto, il primo sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, ha espresso fin dall’inizio di questa tragica vicenda la propria totale fiducia nell’operato della magistratura, che è l’unica istituzione deputata ad accertare quello che veramente è accaduto, per attribuire a ciascuno le eventuali responsabilità. Ricordiamo a tutti che le responsabilità penali sono, per legge, personali e che bisogna accettare ogni giudizio, sia esso più o meno condiviso. Il racconto dei fatti e degli sciagurati accadimenti che hanno riguardato Stefano Cucchi non possono prescindere - per onestà intellettuale e deontologica di chi ha il dovere di indagare sulla vicenda dal punto di vista parlamentare, amministrativo, politico o giornalistico - di evidenziare, con la stessa rilevanza di altri aspetti, che il giovane Cucchi era dedito allo spaccio di stupefacenti, vittima della droga lui stesso, soggetto a episodi di epilessia, dal carattere difficile (fino al punto di avere problemi relazionali con gli stessi familiari) e che entrava ed usciva dagli ospedali, spesso a seguito di eventi traumatici. Con grande rammarico ci siamo resi conto, invece, che dalle cronache giornalistiche è completamente sparito ogni riferimento ai problemi giudiziari e di tossicodipendenza del ragazzo che, pian piano è diventato soltanto il geometra Cucchi”. È il commento di Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di categoria alle dichiarazioni odierne del legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmi, che ha contestato le risultanze medico - legali dei medici incaricati della Procura, che a suo giudizio darebbero danno “una configurazione di carattere scientifico incompatibile coi fatti”. Aggiunge Capece: “Per mesi si è fatto un gran parlare del presunto trattamento disumano con cui è stato trattato nell’ospedale Pertini di Roma il povero Stefano Cucchi dalla Polizia Penitenziaria. Ma non si dice, ad esempio, che per tutta la durata della sua degenza ospedaliera l’avvocato non è mai stato a trovarlo, fosse anche solo per sapere come stava. Cucchi, nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini, è stato gestito dal nostro Personale di Polizia Penitenziaria con professionalità, umanità, serietà, come anche è avvenuto (a quanto a noi risulta) nelle celle del Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio. È anche successo che il nostro personale abbia permesso ai familiari, che non avevano le necessarie autorizzazioni, di lasciare comunque della biancheria intima di ricambio, che Stefano Cucchi ha però rifiutato. In più Stefano aveva espressamente negato il consenso alla diffusione di notizie riguardanti il proprio stato di salute, anche ai familiari. Altro che disumani! Ripeto ancora una volta che noi tutti abbiamo il massimo rispetto umano e cristiano per il dolore dei familiari del detenuto Stefano Cucchi come lo abbiamo per tutti coloro che hanno perso un proprio caro detenuto. Ma è indispensabile, a nostro parere, che vengano raccontati tutti gli aspetti della vita di Stefano Cucchi - non per morbosità o per disonorare il ricordo dello sfortunato ragazzo - perché essenziali per la ricostruzione di quanto accaduto il 16 ottobre al fine di evitare che vengano attribuite ingiuste responsabilità a chi ha solamente adempiuto al proprio dovere. Questo non è stato fatto dal senatore Marino che ha omesso di informare l’opinione pubblica di elementi fondamentali in questa vicenda. Ci si riferisce, in particolare, al fatto che Stefano Cucchi, negli ultimi nove anni, recatosi al pronto soccorso per ben 17 (diciassette) volte gli sono stati prescritti ricoveri ospedalieri quasi tutti a seguito di eventi traumatici quali cadute dalle scale, risse o aggressioni. Ci si riferisce, ancora più in particolare, al fatto che appena quindici giorni prima lo stesso Cucchi era stato ricoverato al pronto soccorso per numerosi traumi contusivi subiti (a suo dire) a seguito di un presunto incidente stradale. Non possiamo che condividere il dolore dei familiari del giovane Cucchi per la perdita di una persona cara, e rinnoviamo la nostra convinta solidarietà per il grave lutto, ma non possiamo in alcun modo accettare (perlomeno fino a quando non dovesse essere dimostrato in maniera inconfutabile il contrario) le continue insinuazioni sulle responsabilità dirette dei nostri colleghi nella morte di questo giovane”. Giustizia: caso Franceschi; due ex compagni di carcere pronti a testimoniare su come è morto Apcom, 15 ottobre 2010 L’ex compagno di cella di Daniele Franceschi e un ex detenuto del carcere di Grasse sarebbero pronti a testimoniare, dalla parte della famiglia italiana. Il primo testimone sarebbe il compagno di cella di Daniele, autore della lettera spedita alla famiglia, ai primi di settembre, e che sarebbe pronto a deporre in tribunale, riguardo alle circostanze della morte del 36enne viareggino. Il 6 settembre scorso, 11 giorni dopo la morte del viareggino, il franco - algerino Abdel, suo compagno di cella, ha mandato una lettera, che porta la data del 27 agosto. “Abdel racconta che Daniele si sentì male il 23 agosto - ha raccontato lo zio di Daniele, Marco Antignano - e che per tre giorni, nonostante le ripetute richieste di aiuto, nessuno intervenne in suo aiuto. Solo una volta lo portarono in infermeria dandogli delle pastiglie”. Abdel, che sostiene di aver trovato per primo Daniele, morto, a faccia in giù, si dice “pronto anche a testimoniare” che “non è morto di causa naturale”. La lettera era stata tradotta dal francese da un altro detenuto italiano, Gino che lavorava con Daniele nelle cucine. Secondo l’autopsia eseguita in Francia, Daniele sarebbe morto per “cause naturali”. La madre, quando poté vedere, la prima volta, il figlio, in occasione dell’autopsia a Nizza, lo trovò “col volto tumefatto e il naso fratturato”. La frattura, nonostante lo stato di composizione del feretro, è stata confermata ieri dalla ricognizione esterna, eseguita all’ospedale Versilia di Viareggio. Oltre alla lettera del compagno di cella di Daniele, vi sarebbe la testimonianza di un ex vigile del fuoco francese, che si trovava nella stessa sezione del carcere di Grasse. Ai primi di settembre, appena riacquistata la libertà, l’ex detenuto avrebbe raccontato alla Procura di Grasse ciò che ha visto nel penitenziario il giorno in cui è morto Daniele Franceschi. Ad farlo sapere è stato Marco Antignano, zio di Daniele, informato a sua volta dall’avvocato François Gonzales. L’uomo avrebbe parlato ai magistrati francesi del mancato utilizzo del defibrillatore che si trovava all’interno del carcere, perché nessuno sapeva correttamente usarlo. Sia l’ex vigile del fuoco francese, sia il detenuto franco - algerino, autore della lettera alla famiglia Franceschi, secondo l’avvocato Gonzales, sarebbero pronti a testimoniare in tribunale. Idv: indegno oltraggio, Frattini riferisca “La mamma di Daniele Franceschi è stata picchiata dalla polizia francese, gettata a terra e arrestata insieme alla cognata, solo perché protestava davanti al carcere di Grasse per vedere per l`ultima volta suo figlio e per avere giustizia. Tutto ciò, compresa una sospetta frattura di alcune costole per la donna, senza che si alzasse una sola voce di protesta da parte di Frattini. Evidentemente, per il titolare della Farnesina, ci sono morti di serie a e di serie b”. E` quanto afferma in una nota il portavoce dell`Italia dei Valori, Leoluca Orlando, commentando la vicenda di Daniele Franceschi, il nostro connazionale morto nel carcere di Grasse, in Francia, il 25 agosto scorso, dove era detenuto in attesa di giudizio con l`accusa di truffa per aver falsificato alcune carte di credito. “Il corpo di Daniele Franceschi è stato oltraggiato - aggiunge Orlando - ed è come se fosse morto una seconda volta. E` gravissimo, infatti, che le autorità francesi, nonostante le mille promesse, abbiano permesso che il suo cadavere si deteriorasse rendendo cosi molto difficile, come affermano i legali della famiglia, una seconda autopsia in Italia”. Cosa vogliono nascondere?”. “L`Italia dei Valori ha presentato un`interpellanza - fa sapere Orlando - nella quale chiediamo al ministro degli Esteri di chiarire le cause della morte del nostro connazionale, tuttora oscure, e le ragioni per le quali le autorità francesi, nonostante le rassicurazioni al nostro consolato, non hanno conservato il corpo di Franceschi per la seconda autopsia”. Puglia: Vendola; oggi le carceri sono l’immagine di una immensa discarica sociale Ansa, 15 ottobre 2010 “Siamo in una società imbarbarita che ha smarrito il senso cristiano, ad oggi siamo a 56 suicidi nelle galere: le carceri oggi sono l’immagine di un’immensa discarica sociale”. Lo ha detto il leader di Sinistra e libertà, Nichi Vendola, intervenuto a margine del primo corso di alta formazione per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati a Palermo. “Questo - ha aggiunto - è un Paese smemorato: prima del 1970, anno della rivolta del carcere di Porto Azzurro, davvero le galere erano fucine di violenza e luoghi prevalentemente esposti a fenomeni di autolesionismo. Da Porto Azzurro si provò a mettere punto a quella storia con un discorso che fece maturare sia la volontà del legislatore sia l’organizzazione penitenziaria e a profilare il tema del carcere della speranza con finalità di socializzazione”. Lazio: carceri vecchie e sovraffollate, qui una semplice influenza può diventare un’epidemia Il Tempo, 15 ottobre 2010 Troppi detenuti e pochi agenti nelle carceri della regione. Quasi un decimo dei detenuti italiani si trova nelle carceri del Lazio. Basta questo dato a comprendere l’eterna emergenza in cui versano gli istituti di pena della nostra regione. Su una popolazione carceraria di circa 68.000 individui in tutto il Paese secondo il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio sono 6.317 quelli ospitati nelle strutture del nostro territorio. E il numero è in costante crescita. Il dato si scontra con un’edilizia carceraria ferma da decenni, strutture vecchie e la carenza cronica di personale. A una prima analisi si potrebbe pensare che il problema del sovraffollamento riguardi soprattutto Roma. Niente di così sbagliato: fuori dalla Capitale i carcerati sono quasi tremila. Contro questa tendenza Donato Capece, segretario Generale del Sappe, il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, ha indetto una giornata di protesta il 19 ottobre per chiedere le duemila assunzioni più volte annunciate, a fronte dei 6500 agenti di cui avrebbero bisogno le strutture della regione. Ma quali sono le condizioni delle quattro province laziali? In Ciociaria la situazione è esplosiva. A Frosinone ci sono 200 detenuti in più di quelli che la struttura potrebbe ospitare. Eccedenze si registrano anche a Cassino mentre il carcere di Arce giace inutilizzato. L’unico istituto della zona pontina, invece, è quello di Latina dove i reclusi sono quasi il doppio di quelli per cui la struttura è progettata (141 presenze contro 86 posti). Alcune criticità potrebbero essere risolte, ma si scontrano con la carenza di personale. A Rieti ci sono posti per 300 reclusi in più di quelli ospitati ma non ci sono abbastanza agenti per aprire le nuove aree. E pensare che potrebbe essere un istituto all’avanguardia: 60mila metri quadri, spazi per attività formative e alti standard di sicurezza. “È un caso emblematico della lontanaza della politica dalla realtà - dice Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio - Si potrebbe cominciare rendendo pienamente operative le strutture esistenti”. E sulla questione di Rieti la Regione Lazio sta per intervenire, segnalando il caso al ministero della Giustizia. A dichiararlo è Giuseppe Emanuele Cangemi, assessore regionale ai Rapporti con gli Enti Locali e Politiche per la sicurezza, il quale sottolinea che l’impegno della Regione non è indirizzato solo al miglioramento della qualità della detenzione ma anche all’individuazione di aree per ospitare nuovi istituti. “Siamo ancora in fase di studio ma la Regione farà la sua parte - dichiara Cangemi - Finora abbiamo stanziato 750mila euro. Un progetto di telelavoro e telemedicina da 105mila euro è stato approvato oggi dalla Giunta. L’iniziativa “Benessere e comunicare” prevede la formazione di ben 100 operatori, mentre è al via a Roma un protocollo per il sostegno delle ragazze madri detenute”. Soluzioni che non sono solo auspicabili, ma necessarie. Perché nel microcosmo di un carcere cose che nel mondo esterno sono viste come minuzie possono diventare problemi enormi. Come una semplice influenza. “Senza un piano di vaccinazioni - commenta Marroni - quest’anno si rischiano conseguenze imprevedibili”. Lazio: la Regione finanzia il progetto “Benessere e comunicare”, per corsi alla Polizia penitenziaria Ansa, 15 ottobre 2010 La Giunta regionale del Lazio, presieduta da Renata Polverini, ha approvato il progetto “Benessere e comunicare”, che rientra nell’attività di sostegno alla promozione del benessere del personale che lavora negli istituti penitenziari. Il provvedimento stanzia 105mila euro per la realizzazione del progetto, affidato all’istituto regionale di Studi Giuridici del Lazio Arturo Carlo Jemolo, che prevede la formazione di 100 unità di personale della Polizia penitenziaria e del comparto Ministeri impiegate negli istituti penitenziari. Obiettivo del corso è migliorare la qualità del lavoro degli operatori penitenziari attraverso l’acquisizione di nuovi e più efficienti modelli operativi, favorendo un miglior clima relazionale e il contenimento dello stress in ambito lavorativo. Milano: il carcere di San Vittore non sarà spostato, ma per ristrutturarlo servono 2,5 milioni di euro Redattore Sociale, 15 ottobre 2010 Decisione unanime della commissione carceri del Consiglio comunale. I detenuti sono 1.744, due raggi sono inagibili, e in uno non arriva l’acqua. Aldo Brandirali (Pdl): “Occorrono 2 milioni e mezzo per i lavori”. Il carcere di San Vittore rimane lì dov’è, nel centro di Milano. Lo ha deciso questa mattina all’unanimità la commissione carceri del Consiglio comunale, che ha discusso della situazione in cui sono costretti a vivere i detenuti: al 30 settembre erano recluse 1.744 persone, di cui 111 donne. Il sovraffollamento riguarda le sezioni degli uomini: i detenuti sono infatti 1.633, ma i posti disponibili sarebbero al massimo 1.016 (la cosiddetta capienza tollerabile). Due raggi, il II e il IV, sono chiusi perché inagibili e il VI, che ospita 500 reclusi, non ha per esempio le docce nelle celle e in estate al quarto piano non arriva l’acqua. Per farci stare tutti i detenuti, vengono utilizzate anche celle senza bagno o distesi i materassi sul pavimento. “Oggi abbiamo deciso che San Vittore non vada spostato a Porto di Mare come più volte ipotizzato - spiega Aldo Brandirali (Pdl). Chiediamo quindi al Consiglio comunale e al Sindaco di fare pressione sul ministero della Giustizia perché esegua i lavori necessari. Occorrono circa 2 milioni e mezzo”. Critica nei confronti del Sindaco la consigliera di Rifondazione comunista Patrizia Quartieri: “Ha promesso che sarebbe andata a visitare San Vittore, ma non l’ha fatto. Vuole o no prendersi a cuore questa situazione drammatica?”. Nel mese di ottobre da San Vittore sono stati trasferiti in altre regioni, soprattutto del meridione, circa un centinaio di detenuti. “Sono stati spostati chi non aveva legami parentali con Milano o la Lombardia - ha spiegato Maria Pitaniello, direttore aggiunto del carcere di San Vittore. Eravamo in una situazione in cui il carcere stava per scoppiare”. Il 65% dei reclusi a San Vittore sono stranieri. “Questo complica molto la vita all’interno dell’istituto - ha aggiunto Maria Pitaniello. Quando arriva un nuovo arrestato, dobbiamo sistemarlo tenendo conto delle etnie o delle diverse bande rivali”. Nella Casa circondariale di San Vittore sono ospitati gli imputati in attesa del giudizio di primo grado. Dal primo gennaio 2010 al 30 settembre sono entrate 5.006 persone e ne sono uscite 4.800. “Un forte turnover - sottolinea il direttore aggiunto - . In media abbiamo circa 19 ingressi giornalieri, ma si arriva a punte di 45 nuovi detenuti”. Roma: il Garante; a Rebibbia è sovraffollato anche l’asilo nido, ci sono 24 bambini e bambine Il Velino, 15 ottobre 2010 È record di presenze di bambini nel nido del carcere di Rebibbia femminile. A fronte di una capienza di 19 posti, da qualche giorno sono ospitati 24 fra bambini e bambine da 0 a 3 anni che hanno seguito le loro mamme recluse nel carcere romano. L’allarme è stato lanciato dal garante dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni. La presenza di così tanti bambini - hanno accertato i collaboratori del Garante - sta creando diversi problemi di gestione all’interno del nido. Da qualche giorno, infatti, 5 bambini sono costretti a passare la notte in infermeria per l’assenza di letti nel nido e sono a contatto con donne affette da importanti patologie e quindi a rischio contagio. Le donne recluse al nido attualmente sono tutte straniere: la stragrande maggioranza è composta da donne di etnia rom. In base alla legge, i bambini da 0 a 3 anni possono restare in carcere insieme alle mamme detenute. Al compimento dei 3 anni scatta obbligatoriamente la scarcerazione dei minori, indipendentemente dalla pena della madre, con l’affidamento del piccolo a parenti o in case famiglia: “una situazione, questa - ha detto il Garante - spesso fonte di gravi traumi alle mamme e ai bambini”. Il problema principale, durante la detenzione, è quello di intrattenere i bambini per evitare che, su di loro, pesi la condizione carceraria. Per questo i piccoli trascorrono il tempo nella stanza dei giochi e, grazie alle associazione “A Roma Insieme”, i week - end partecipano a escursioni settimanali fuori dal carcere. “Nonostante l’impegno degli operatori e dei volontari la situazione di questi bambini è davvero drammatica - ha sottolineato Marroni. Non solo sono condannati a trascorrere in una cella l’età cruciale del primo apprendimento ma in questi ultimi tempi, per colpa del sovraffollamento,stanno pagando in maniera insopportabile colpe che non sono le loro. Mai come in questo momento credo sia cruciale passare dalle parole ai fatti, prevedendo - come già sta accadendo con un provvedimento legislativo in discussione al Parlamento - per le madri detenute, la carcerazione solo per reati gravi. Di pari passo occorre precede spediti sulla creazione di struttura alternative al carcere che possano accogliere le madri durante il periodo detentivo e far crescere i bambini in un ambiente idoneo allo sviluppo della personalità”. Pistoia: detenuto suicida; interviene l’assessore al sociale “preoccupati per situazione del carcere” Il Tirreno, 15 ottobre 2010 Non ce l’ha fatta. È spirato nella notte all’ospedale del Ceppo il detenuto 35enne che, martedì mattina, si era impiccato nella sua cella. Nonostante i soccorritori fossero riusciti a rianimarlo, troppo gravi sono stati i danni cerebrali causati dalla mancanza di ossigeno. I funerali saranno celebrati oggi alle 16 nella chiesa della Misericordia, in via del Can Bianco. Su quanto è avvenuto al Santa Caterina, interviene anche l’assessore al sociale Paolo Lattari, che esprime il “dispiacere” a nome dell’amministrazione comunale. “Il gesto estremo di uno dei detenuti - scrive Lattari - evidenzia ancora di più la preoccupante situazione del sovraffollamento, affrontata anche dai consiglieri che hanno presentato un’interpellanza in consiglio comunale, e che ringrazio. È infatti una questione di grande importanza sulla quale è bene tenere alta l’attenzione”. Lattari si riferisce all’interpellanza presentata lunedì scorso dai quattro consiglieri comunali del Pd Enrico Baldi, David Mariani, Salvatore Colombo e Serena Gherardini. Sulla base dei dati ufficiali dalla direzione relativi all’attuale situazione del carcere di Pistoia, secondo cui i detenuti variano da 140 a 150 persone, con punte di 157 rispetto ad una capienza di 79 unità ma con una tolleranza fino a 90 unità, Lattari prosegue sottolineando come “il sovraffollamento delle carceri è determinato da una serie di fattori: i processi lunghi, il frequente ricorso alla detenzione preventiva, le fattispecie di nuovi reati che ugualmente prevedono la detenzione preventiva, la quasi assenza di pene alternative. Ad aggravare la situazione concorrono le condizioni di salute dei detenuti: secondo le rilevazioni dell’Azienda regionale della sanità toscana, su 100 detenuti ben 73 risultano malati, di cui l’1,4% sieropositivo e molti sono i casi di autolesionismo causati da disturbi psichici legati ad esperienze di tossicodipendenza. La costruzione di nuove carceri, a mio avviso, non è assolutamente una soluzione al problema”. L’amministrazione comunale ha affrontato la questione, sia attraverso molteplici riunioni della quinta commissione, deputata alla trattazione di questa tipologia di problemi, sia attraverso incontri con personale al corrente della situazione del carcere di Pistoia a cui ha partecipato anche il sindaco. Renzo Berti ha richiamato l’attenzione sull’argomento, anche in occasione della giunta regionale che si è tenuta lo scorso agosto. “Insieme al sindaco - conclude Lattari - ho incontrato il dottor Roberto Torselli, responsabile di zona del Distretto di Pistoia della Asl 3 e il dottor Roberto Barontini, medico di medicina generale che da tanti anni si occupa delle problematiche carcerarie, con i quali abbiamo fatto il punto della situazione sia organizzativo che sanitario del carcere di Santa Caterina in Brana. È certo che continueremo ad interessarci alla questione, benché non di competenza diretta del Comune, chiedendo di poter effettuare visite nel carcere di Pistoia e adoperandoci per mantenere viva l’attenzione su questa problematica, auspicando una soluzione che possa scongiurare il ripetersi di episodi come il tentativo di suicidio della notte scorsa”. Cagliari: otto persone in celle di nove mq; da inizio anno 24 detenuti hanno tentato il suicidio La Nuova Sardegna, 15 ottobre 2010 Ventidue ore in una cella di nove metri quadri, il più delle volte con altre otto persone. Spazi dove socializzare, pochi; possibilità di lavoro, quasi zero. Sempre più carcere della pazzia, Buoncammino è una delle realtà carcerarie italiane più esposte ai tentativi di suicidio: 24 nei primi nove mesi dell’anno, nei piani alti della classifica fatta dalla Uil Pa penitenziari. L’ultimo tentato suicidio è quello di una detenuta nigeriana ed è datato 23 agosto, pochi giorni dopo l’ennesima denuncia sulle condizioni di vita dentro Buoncammino. E adesso la situazione è destinata pure a peggiorare se è vero che il centro medico del carcere è chiuso per mancanza di fondi e una buona percentuale della popolazione carcerarie ha problemi di natura psichiatrica. Solo grazie al senso di responsabilità e al superlavoro degli agenti l’allarme fino a questo momento non è sfociato in emergenza. È la Toscana a detenere il primato dei tentati suicidi nelle carceri: 141, con al primo posto Livorno con 40. Ma Buoncammino è in buona compagnia nella classica, vicino a Napoli Poggioreale (29), Roma Rebibbia (27) e Milano San Vittore. Segno che la realtà è peggio pure delle denunce che arrivano dalle solite ricognizioni ferragostane. La fotografia di un sistema oramai impotente che corre dritto verso il baratro: i tentati suicidi a tutto il 30 settembre sono la certificazione del livello di degrado, disumanità, inciviltà ed illegalità che connota l’universo penitenziario. Intanto “l’opportunità di un’inchiesta per accertare le responsabilità ed eventuali ipotesi di reato nella situazione della sanità penitenziaria che, con il trascorrere dei giorni, diventa sempre più critica è stata posta all’attenzione della Procura dall’associazione Socialismo Diritti Riforme”. Lo afferma la presidente Maria Grazia Caligaris che ha firmato gli esposti: “Le conseguenze del braccio di ferro tra la Regione e il ministero della Giustizia si aggravano in attesa di una soluzione che consenta di reperire i 500 mila euro necessari ad eliminare fino al 31 dicembre i tagli imposti dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. L’associazione, che con i volontari effettua colloqui in carcere ed è impegnata per il rispetto dei diritti civili dei cittadini detenuti registra profondo malessere, preoccupazione e proteste da parte dei ristretti e dei loro familiari”. “Lunedì - prosegue Maria Grazia Caligaris - un episodio doloroso è avvenuto nel carcere di Bad’e Carros. Un detenuto si è sentito male ed è deceduto nonostante il trasferimento con l’ambulanza del 118 all’ospedale civile San Francesco dove peraltro è funzionante un reparto protetto per i ristretti. Sulla vicenda, di cui non si conoscono i particolari, sono in corso accertamenti dell’autorità giudiziaria che ha disposto l’autopsia. Ma il diritto alla salute sancito dalla Costituzione per tutti i cittadini compresi coloro che hanno perso la liberta è sempre più in bilico”. Padova: Casellati; l’evasione episodio increscioso e grave, ma stiamo fronteggiando l’emergenza Il Mattino di Padova, 15 ottobre 2010 Ha seguito “in diretta” l’evasione dal carcere padovano dal suo ufficio ministeriale in via Arenula. Elisabetta Casellati, sottosegretario alla giustizia e “primadonna” del Pdl padovano, commenta: “Confesso che, almeno leggendo la dinamica dell’episodio, sembra di essere tornati indietro con la moviola del tempo. Un’evasione ottocentesca”. Sottosegretario Casellati, com’è stato possibile evadere così? “Per quanto incresciosa sia questa vicenda, dalle prime ricostruzioni il detenuto sembrerebbe risultare malato e quindi isolato dagli altri per motivi sanitari. Durante l’ora d’aria avrebbe potuto approfittare, forse, della sottovalutazione da parte della sorveglianza”. Lei conosce bene la situazione del carcere padovano, no? “Chiaro che esiste, e da tempo, una situazione di difficoltà oggettiva. Il sovraffollamento dei detenuti, rispetto alla capienza, è altrettanto noto. Come non si può dire che “abbondiamo” di agenti della Polizia penitenziaria”. Tutte “emergenze” già segnalate durante le sue ripetute visite? “Da padovana, ho ben presente la situazione. Vorrei evidenziare che la direttrice del carcere sta fronteggiando nel migliore dei modi le grandi difficoltà”. Soluzioni all’orizzonte? “Nella casa circondariale stanno andando avanti i lavori. Mi sono attivata personalmente per garantire i due milioni di euro che servivano a completare la palazzina laterale. Un intervento indispensabile a migliorare la condizione dei detenuti, ad assicurare spazi essenziali e di conseguenza a risolvere molti problemi”. L’evasione però resta. “Un episodio grave. Senza dubbio, si dovrà verificare con tutto lo scrupolo necessario cos’è accaduto. Ma occorre tenere presente la grande emergenza che esiste nel carcere. Lo dico da sottosegretario, ma anche da padovana”. Un’accoglienza non brillante per la visita del ministro Maroni... “Mi spiace davvero. Non potrò essere presente, ma avevo avvertito il prefetto Sodano dell’impossibilità di partecipare. Sono impegnata in aula nella discussione di un provvedimento legislativo di mia competenza”. Qual è il suo giudizio sulla situazione dopo gli omicidi alla Guizza e all’Arcella? “La mattina successiva ho aderito subito all’invito del sindaco. Quell’incontro, al di là degli steccati di natura politica, puntava a trovare soluzioni per la città. I due omicidi sono una “spia” del fatto che Padova è il crocevia dello spaccio di droga. Questore e prefetto hanno più volte rilanciato l’allarme. Si tratta di presidiare il territorio, come in quest’ultima settimana grazie ai rinforzi del Viminale. Senza se e senza ma”. Operativamente? “Lo spaccio è la causa. Ferma restando la prevenzione (in particolare nelle scuole), occorre fronteggiare la clandestinità e l’irregolarità con la legge Bossi - Fini. È la legalità che va fatta rispettare, anche nei confronti dell’emigrazione. Chi non ha lavoro e casa, finisce per alimentare droga e prostituzione. Padova e il Veneto sono accoglienti e per l’integrazione, tutt’altro che razzisti. Ma sulla linea della legalità ci dobbiamo stare, tutti e fino in fondo. Senza tolleranze”. Padova: gli agenti; 270 detenuti dove ce ne potrebbero stare 96, un affollamento da carro-bestiame Il Mattino di Padova, 15 ottobre 2010 Un agente penitenziario alza l’indice della mano destra e lo punta dritto sul camminamento del carcere circondariale Due Palazzi. “Più che una casa di reclusione, questo sembra un luogo indefinito, un contenitore dove i disagi dei ristretti finiscono per sommarsi a quelli delle guardie causando un malessere collettivo devastante. E chi può, taglia la corda o prova a farlo. Di recente abbiano avuto due tentate evasioni mai rese note per motivi d’immagine. Risultato, al terzo tentativo qualcuno è riuscito a metterci in ridicolo”. Per lui non è una sorpresa che un detenuto tunisino sia riuscito ad evadere alle 11 del mattino, eludendo la sorveglianza dei pochi agenti disponibili, costretti a svolgere turni di lavoro straordinari (pagati come ordinari) per controllare un sovraffollamento da carro - bestiame. Siamo arrivati a 270 presenze, contro una capienza massima di 96. Racconta le due tentate evasioni stando seduto in macchina. E mentre parla mi fa ascoltare un cd del clarinettista americano Benny Goodman, magistrale nel rievocare a ritmo di jazz la fuga di un detenuto dal carcere di Sing Sing. “Un extracomunitario di colore, appena arrestato e condotto in carcere, viene lasciato senza sorveglianza davanti all’ufficio matricole. E alla porta d’ingresso non c’è nessuno. Un invito a nozze. Scappa e si nasconde nella struttura carceraria ancora in fase di ristrutturazione. Rimane lì rintanato per due ore, mentre gli agenti lo cercano da tutti le parti. Immaginatevi la scena. Sapete perché succede questo? Hanno tolto le unità cinofile”. Poi via con la seconda evasione mancata d’un soffio: “Due magrebini salgono sopra il bagno della cella, dove c’è un buco a forma rettangolare, e si nascondono in attesa che calino le tenebre per svignarsela. La loro assenza viene però notata da una guardia, pronta a dare l’allarme. Però già in altre occasioni era parsa evidente l’insicurezza del circondariale, nuovo di struttura ma vecchio come concezione di spazi e funzionalità. A ciò va aggiunta la superficialità di qualche nostro collega che ignora il regolamento. Prendiamo le sbarre in cella, dove spesso sono appesi stracci, asciugamani, scarpe e quant’altro. Dovrebbero essere sgombre, così da rendere visibili eventuali limature”. Già, le celle. In alcune costruite per ospitare quattro detenuti, negli ultimi tempi ne sono stipati addirittura 11, molti dei quali costretti a dormire coi materassi per terra. La notizia dell’evasione coglie un po’ di sorpresa Andrea Castagna, segretario provinciale della Cgil. “Stiamo da tempo seguendo con preoccupazione la delicata questione carceraria del Circondariale, sia per quanto concerne l’abnorme sovraffollamento sia per l’esiguità dell’organico atto a fronteggiare l’emergenza. E come funzione pubblica, abbiamo cercato di analizzare le cause dei continui suicidi in carcere. Non avevamo messo in conto le evasioni e dovremo porci questo problema. Fra togliersi la vita o scappare, va trovata una soluzione di decoro per tutti, ospiti e agenti di custodia. Nessuno pretende l’hotel Hilton”. Firenze: Comune e Provincia; dichiarazioni fraintese, in realtà apprezziamo il personale dell’Ipm Redattore Sociale, 15 ottobre 2010 L’assessore comunale Di Giorgi e l’assessore provinciale Coniglio tornano sul tema della detenzione all’istituto penale Meucci: “Gli operatori lavorano con passione e competenza per favorire il recupero dei giovani”. “L’amministrazione comunale di Firenze ha sempre espresso pieno apprezzamento per il lavoro svolto dai dirigenti e dal personale dell’Istituto penale minori Meucci, che operano con passione e competenza per favorire il recupero dei giovani che sono loro affidati”. Così Rosa Maria Di Giorgi, assessore all’istruzione del comune di Firenze, torna sul tema della detenzione minorile nel capoluogo toscano, chiarendo la portata delle sue stesse affermazioni apparse ieri su Redattore Sociale. “Sono rimasta allibita di fronte al senso che è stato dato al mio intervento, nel corso dell’incontro “I tempi moderni della giustizia minorile” - spiega la nota dell’assessorato fiorentino all’istruzione. Sono state estrapolate, in modo spesso parziale, alcune dichiarazioni che, inserite in un contesto negativo di supposta accusa nei confronti dell’istituzione penale, hanno assunto un valore totalmente difforme da quello che avevano in realtà”. Chiarisce le sue affermazioni anche l’assessore provinciale al welfare Antonella Coniglio: “L’obiettivo del mio intervento è stato essenzialmente quello di rinsaldare la forte collaborazione con l’Istituto di Giustizia Minorile Meucci e proporre l’estensione dei percorsi formativi diretti ai giovani reclusi anche al personale civile che vi opera. Vorrei aggiungere che il mio punto di vista deriva da una lunga esperienza personale - prosegue la nota - come assistente sociale penitenziaria dal 1979, formatrice del personale dell’amministrazione civile e della Polizia Penitenziaria del Provveditorato regionale della Toscana. Sarebbe stata una polemica sterile quella da voi attribuitami nell’articolo sopracitato, poiché la carenza del personale educativo non è assolutamente da imputare alla responsabilità dell’istituto. La motivazione del personale costituisce un’importante azione formativa che ogni amministrazione pubblica e privata riserva ai propri dipendenti. Infine il concetto di sicurezza all’interno dell’Istituto Meucci è da intendersi comprensivo delle funzioni educative e trattamentali”. Ravenna: il Comune istituirà il Garante per i detenuti Adnkronos, 15 ottobre 2010 Nella seduta di giovedì pomeriggio il consiglio comunale ha approvato il regolamento per l’esercizio delle funzioni di Garante per i diritti delle persone private della libertà personale. Il regolamento è stato illustrato da Giovanna Piaia, assessore alle Pari opportunità, che ha ricordato come la figura del Garante sia stata istituita “coerentemente con la volontà di questa amministrazione comunale di considerare gli interessi di tutti i cittadini”. “I detenuti non devono essere cittadini ‘invisibili’ ma vivere il momento della detenzione in una situazione di rispetto della condizione umana e con reali opportunità di percorsi di rieducazione”, ha affermato l’assessore Piaia. Il sindaco Fabrizio Matteucci ha detto che si tratta di un piccolo intervento, non risolutivo di tutti i problemi, ma che potrà essere utile, soprattutto nell’incremento e nel miglioramento dei rapporti tra il carcere e il mondo esterno. Eugenio Costa (Fi - Pdl) ha detto che è una triste coincidenza, che deve far riflettere, affrontare questa delibera a pochi giorni dal suicidio in carcere di un detenuto. Ha inoltre detto che se la persona nominata come Garante corrisponderà ai requisiti indicati la posizione del suo gruppo sarà favorevole e ha aggiunto che il Garante dovrebbe operare anche nei confronti delle persone agli arresti domiciliari. “Il gravissimo episodio accaduto nel nostro carcere con il suicidio di un detenuto rimette in primo piano il dramma e la grave problematica del sovraffollamento dei nostri istituti di pena - ha dichiarato Gianluca Palazzetti -. Se da un lato è sacrosanto l’aspetto punitivo che la detenzione carceraria deve avere affinché chi ha infranto le regole del convivere sociale comprenda il proprio sbaglio e risarcisca la vittima che troppo spesso viene dimenticata, dall’altro uno Stato di diritto, uno Stato civile non può dimenticare l’aspetto non secondario, ma paritetico della funzione rieducativa della pena affinché il reo, là dove sia possibile, possa essere socialmente riabilitato. È evidente che la grande maggioranza delle strutture penitenziarie italiane siano vetuste e necessitino di interventi di riqualificazione così come è evidente che il sovraffollamento delle stesse debba essere affrontato strategicamente dal punto di vista governativo con il varo di un piano carceri che preveda anche la realizzazione di nuove strutture. A questo proposito non posso che auspicare che la figura del Garante del Detenuto possa essere uno strumento utile per alleviare molte situazioni di disagio, ma non ci si può neppure nascondere dietro un dito pensando che sia uno strumento risolutore di un problema fisiologico e strutturale, da decenni, del nostro sistema carcerario. Auspico altresì che i contatti istituzionali avuti nei mesi passati dal Sindaco con il Governo possano concretizzarsi in termini fruttuosi nell’interesse della Città”. Paolo Gambi (Pri) ha ricordato di aver già detto di non ritenere che l’istituzione di questa figura possa modificare la realtà e che il tema del carcere deve essere un tema complessivo della politica dell’amministrazione comunale. “L’approvazione del regolamento che istituisce il garante per i diritti delle persone private della libertà personale è una scelta doverosa che Lista per Ravenna ha sostenuto già quando, recentemente, è stata inserita, necessariamente, nello statuto del Comune di Ravenna - ha dichiarato Alvaro Ancisi (Lista per Ravenna) -. Siamo passati sopra a perplessità sui modi con cui si intende procedere per istituire questo servizio, guardando soprattutto alla sua finalità: che è quella secondo cui la comunità ravennate concepisce ed opera perché il carcere, luogo di espiazione e dunque di pena e sofferenza, sia possibilmente occasione di recupero, se non di redenzione, ma non un luogo di abbruttimento e di morte, civile e purtroppo anche fisica”. Andrea Maestri (Ulivo Pd) ha espresso con convinzione il sostegno del suo gruppo dicendo che il Garante contribuirà al miglioramento della vita della popolazione carceraria, che è comunque popolazione di questo comune. Ha aggiunto che la questione della condizione delle carceri deve essere affrontata con serietà dal ministro della Giustizia. Pietro Martini (Fi - Pdl) ha detto che occorre fare qualcosa di più per recuperare i carcerati e metterli in condizione di poter lavorare e di poter essere utili, anche al mantenimento di se stessi. “Ogni iniziativa tesa a tutelare sino in fondo il rispetto dei diritti fondamentali e le condizioni di vita della persona merita la massima considerazione ed approvazione - ha esordito nel suo intervento Gianfranco Spadoni (Gianfranco Spadoni per Ravenna) -. In un Paese civile come il nostro, la tutela dei diritti nelle varie fasi che possono presentarsi nel corso della vita, compresa quella della reclusione, rappresenta un fatto civico ed etico imprescindibile. E l’istituzione del Garante proprio nella fase di rieducazione si pone appunto su questo piano, sostanzialmente con un ruolo di garanzia e di tutela, in un contesto, oltretutto, in cui spesso manca un raccordo fra detenuto - società e istituzioni. L’amministrazione comunale propone quest’ organo monocratico di vigilanza, di sostegno e di promozione dei diritti, figura che dovrà, peraltro, essere dotata di poteri effettivi. Con l’occasione ritengo sia importante ricordare anche il ruolo prezioso ed insostituibile del volontariato, vero e proprio elemento strutturale del mondo carcerario capace di agire con i vari soggetti interessati”. “È inconfutabile che la situazione delle carceri, in Italia e a Ravenna, è critica ed allarmante - ha dichiarato Riccardo Pasini (Pd) -. Il sovraffollamento e le fatiscenti strutture determinano difficoltà di controllo da parte delle guardie sottoposte a turni di servizi prolungati, scarsità d’igiene e di decoro (come abbiamo potuto constatare visitando la casa circondariale di Ravenna) e situazioni di disagio e di disumanizzazione della pena detentiva. L’istituzione del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale è una conquista ed un passo necessario per fornire e promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile, alla formazione, all’assistenza ed alla tutela di tutte le persone private della libertà personale. Come è stato dichiarato in Commissione consiliare il significato più qualificante di questa figura è: promuovere iniziative di sensibilizzazione pubblica; responsabilizzare un ruolo di garanzia e di imparzialità che ora non esiste. Pertanto il Gruppo consiliare L’Ulivo-Pd esprime il voto favorevole”. Maurizio Bucci (FI - Pdl) ha dichiarato che non avrebbe partecipato al voto. Forlì: il carcere e a grave “rischio sanitario”; il Comune minaccia l’ordinanza di sgombero Romagna Oggi, 15 ottobre 2010 Da mesi la situazione del carcere, nel più totale degrado e a grave rischio per la salute è nota e denunciata dalle istituzioni locali. Lo dice l’assessore comunale al Welfare Davide Drei: “In qualità di Presidente del Comitato degli Enti locali che segue i temi del carcere, mi preme precisare che da mesi questa situazione è stata evidenziata e denunciata da Comuni e Provincia, anche con iniziative dirette verso il Ministero della Giustizia, in particolare per quanto riguarda il sovraffollamento, la carenza di organico e le condizioni in cui si trova la struttura”. “Relativamente alle problematiche di carattere igienico - sanitarie evidenziate dall’Ausl, il Comune di Forlì è in stretto contatto con l’azienda sanitaria per quanto riguarda i rischi per la salute pubblica, con un’attenzione mirata a supportare la direzione carceraria nella messa in pratica dei provvedimenti di pulizia e di ripristino. Il Comune si adopererà e vigilerà affinché gli interventi di pulizia vengano eseguiti quanto prima, continuando comunque a far presente lo stato di abbandono in cui la struttura carceraria è, di fatto, lasciata dagli organismi competenti del Governo nazionale”. “Nella eventualità poi che non vengano ripristinate nei tempi previsti le condizioni di garanzia minime per la salute dei detenuti e del personale e, più in generale, della salute pubblica, l’Amministrazione comunale è pronta ad emettere un’ordinanza di sgombero delle strutture interessate da questa grave situazione di disagio e di incuria”. La Cgil: carcere sporco, malsano e pieno di topi La Cgil di Forlì denuncia l’allarmante e critica condizione igienico - sanitaria in cui versa il carcere di Forlì. L’Asl di Forlì ha emesso due distinti verbali nei quali vengono denunciati i gravi rischi per la salute di chiunque entri a vario titolo nel carcere seppur in forma assolutamente temporanea. Il carcere risulta letteralmente infestato da topi, che girano ovunque compreso la cucina detenuti ed il piano terra delle sezioni, così come da scarafaggi e zanzare. Presente anche animali necrofagi che si sviluppano nel nuovo eco sistema creatosi sia nelle cantine che nei solai a causa degli ingenti liquami dei piccioni con relative carcasse in decomposizione. “Esistono gravi rischi per la salute dei lavoratori e della popolazione detenuta così come certificato dalla ASL. Servono finanziamenti per derattizzazioni, disinfestazioni e interventi strutturali”, è l’appello della Cgil. “Chiediamo un impegno preciso, puntuale e concreto, non più rinviabile, per risanare le criticità derivanti dalla grave carenza di organico di Polizia Penitenziaria in relazione all’insostenibile sovraffollamento della popolazione detenuta, in combinazione con le drammatiche condizioni igienico - strutturali dell’Istituto”, spiegano dalla funzione pubblica della Cgil. La relazione, fornita dai sindacati, è molto allarmante: parla infatti di scarsa igiene, non solo per la fatiscenza dei locali, ma anche proprio per scarsa pulizia ordinaria. In molti casi non è possibile fare pulizie approfondite nei bagni delle celle perché mancano le mattonelle e i pavimenti sono in lastrico di cemento. Malsani anche gli ambienti, per la mancanza di intonaco dalle pareti, distacchi causati dalle continue perdite d’acqua. Sporcizia anche nei filtri dell’impianto di riscaldamento ad aria calda, che si nebulizza d’inverno con l’attività dei convettori. Nelle relazioni dell’Ausl si temono problemi sanitari anche gravi e si chiede di procedere al collaudo di tutti gli impianti elettrici e idrici e di procedere ad una complessiva bonifica ambientale. Insomma, il carcere non regge più. Ragni (Pdl): da tempo sollevo la questione del sovraffollamento Fabrizio Ragni, Consigliere comunale del Gruppo Pdl, in merito alle osservazioni della Cgil pubblicate sulla stampa locale, evidenzia di avere già da tempo sollevato il problema del sovraffollamento della Casa Circondariale di Forlì con apposita interrogazione rivolta al Sindaco Roberto Balzani, dopo avere effettuato personalmente un sopralluogo all’interno della struttura carceraria con la Direttrice dell’Istituto ed il Comandante della Polizia Penitenziaria. “La risposta da parte del Sindaco non è ancora giunta - spiega il consigliere - nonostante la mia interrogazione risalga all’aprile scorso”. “Il Sindaco non può continuare a tacere - prosegue Ragni - il Comune avrebbe gli strumenti per intervenire favorendo l’accesso dei detenuti a lavori socialmente utili da svolgersi all’esterno del carcere sulla base di quanto previsto dall’ordinamento Penitenziario”. “L’iniziativa gioverebbe sia alla Polizia Penitenziaria - che si troverebbe a gestire un minor numero di presenze durante il giorno - sia ai detenuti (sono infatti in aumento le azioni di autolesionismo a causa della difficile situazione), sia alla società civile, destinataria del lavoro degli internati - prosegue il consigliere - Circa le condizioni igieniche - sanitarie ed ambientali del Carcere”. Aggiunge Ragni: “Il Sindaco è in possesso di una preoccupante relazione dell’Ausl sin dal maggio scorso”. “La relazione evidenzia gravi criticità sia degli spazi interni che di quelli esterni e conclude riferendo che se rimarranno tali le condizioni igienico sanitarie della struttura penitenziaria non sarà possibile garantire la salubrità degli ambienti, ritenendo possibile il manifestarsi di inconvenienti sanitari, anche gravi, per le persone che a qualunque titolo frequentano la struttura (cioè Polizia Penitenziaria, operatori civili sia interni che esterni, detenuti, visitatori, ecc.)”. “Non mi risulta che il Sindaco sia intervenuto in alcun modo sul grave problema (né che abbia annunciato cosa intenda fare)”, conclude il consigliere che preannuncia l’inoltro di una interrogazione question - time in vista della prossima riunione del Consiglio comunale. L’Assessore Drei: il Comune vigilerà su interventi pulizia La “situazione di grave disagio e di incuria” della casa circondariale di Forlì “da mesi è stata evidenziata e denunciata da Comuni e Provincia, anche con iniziative dirette verso il Ministero della Giustizia, in particolare per quanto riguarda il sovraffollamento, la carenza di organico del personale e le condizioni in cui si trova la struttura”. È quanto tiene a precisare Davide Drei, assessore al welfare del Comune di Forlì, in qualità di presidente del Comitato degli Enti locali che segue i temi del carcere. “Relativamente alle problematiche di carattere igienico - sanitarie evidenziate dall’Ausl - spiega Drei in una nota - il Comune di Forlì è in stretto contatto con l’azienda sanitaria per quanto riguarda i rischi per la salute pubblica, con un’attenzione mirata a supportare la direzione carceraria nella messa in pratica dei provvedimenti di pulizia e di ripristino. Il Comune si adopererà e vigilerà affinché gli interventi di pulizia vengano eseguiti quanto prima, continuando comunque a far presente lo stato di abbandono in cui la struttura carceraria è, di fatto, lasciata dagli organismi competenti del Governo nazionale. Nella eventualità poi che non vengano ripristinate nei tempi previsti le condizioni di garanzia minime per la salute dei detenuti e del personale e, più in generale, della salute pubblica, l’amministrazione comunale - conclude la nota - è pronta ad emettere un’ordinanza di sgombero delle strutture interessate da questa grave situazione di disagio e di incuria”. Pisa: Garante dei detenuti; nel carcere Don Bosco non si rispettano i diritti umani e la Costituzione Il Tirreno, 15 ottobre 2010 Presso la Provincia di Pisa la IV commissione ha incontrato il Garante dei Diritti dei detenuti per il Comune di Pisa e gli operatori del progetto “Oltre il muro”. Questo incontro è stata la naturale prosecuzione di un percorso iniziato con la visite nel carcere di Volterra e nel carcere Don Bosco e di una audizione in commissione con la direttrice del Don Bosco. Il quadro che sta emergendo va ben la di là dell’ormai noto grido di allarme per le carceri sovraffollate: grido d’allarme peraltro raccolto qualche mese fa dal Presidente della Provincia, Pieroni, e dal presidente della IV Commissione e portato all’attenzione del Ministro Alfano tramite una lettera che non ha ricevuto alcuna risposta. In particolare nella casa circondariale pisana, la ormai cronica carenza di personale dell’amministrazione penitenziaria, l’obsolescenza della struttura del carcere, il sovraffollamento dovuto anche alle recenti restrittive norme in materia di immigrazione lo stanno rendendo sempre più simile ad un girone infernale, che ad un luogo dove lo Stato “prende in carico” le persone vuoi per fargli scontare la condanna, che per avviarli a quel processo di rieducazione e reinserimento nella società che la nostra Costituzione prevede Dalle parole dei nostri interlocutori abbiamo appreso che può anche succedere che ad un detenuto, magari fra quelli più “ultimi” degli altri, non venga notificato un provvedimento di rilascio. Bisogna ringraziare chi spende volontariamente parte del suo tempo per assistere i detenuti e cercare di tamponare una situazione in cui è alto il rischio di totale deprivazione della loro dignità (oltre che della libertà, già di per sé pesante da sopportare anche per chi commette dei reati). Ma ovviamente questo non basta: le istituzioni presenti sul territorio, nell’ambito delle proprie competenze, devono sforzarsi di contribuire. È importante che siano riattivati progetti di formazione e lavoro, che gli spazi di socializzazione siano tali veramente, che si rafforzi all’esterno la rete di accoglienza per i più sfortunati e consentire così anche a loro di accedere alle misure alternative al carcere. È importante inoltre continuare a fare pressioni sul Ministero e sugli altri organi istituzionali interessati come il Dap regionale e nazionale per far si che vengano doverosamente garantiti almeno gli interventi “strutturali” di base per contrastare la fatiscenza, enormemente dispendiosa, del carcere stesso. Oltre ad una riforma della giustizia che non si fermi a qualche ritocco del codice penale o civile ma di una vera “politica giudiziaria”. Ancona: corso di formazione per “conduttori di caldaie e impianti termici” rivolto ai detenuti Corriere Adriatico, 15 ottobre 2010 Il corso, proposto da Cna Ancona e realizzato in collaborazione con Formart, ente di formazione della Cna regionale, di 75 ore di lezioni teorico - pratiche, è finanziato dalla Regione Marche ed ha lo scopo di far acquisire ai detenuti partecipanti conoscenze e competenze nell’ambito della riparazione e manutenzione di impianti termici. “Il progetto - dice Lucia Trenta, segretaria Cna Ancona - ha l’intento di fornire agli allievi una concreta opportunità di ampliare il proprio bagaglio culturale e di nozioni tecniche e migliorare di conseguenza la propria situazione una volta usciti dalla struttura carceraria. Infatti, il corso intende fornire una formazione specifica su una materia piuttosto richiesta nel mercato del lavoro attuale, in un ambito in cui si richiede sempre maggiore attenzione alle manutenzioni ed ai controlli di qualità degli impianti. Per questo abbiamo scelto come docenti del corso imprenditori artigiani che ben conoscono le richieste del mercato, dove operano con una propria impresa”. “La mia esperienza come docente del corso - spiega Fabrizio Ferraioli artigiano dirigente della Cna - è stata estremamente positiva. I miei timori iniziali si sono con il tempo dissipati ed ho instaurato un bel rapporto con i ragazzi del corso. Sono tutti molto motivati, ascoltano con attenzione le mie spiegazioni, fanno domande e dimostrano un interesse sincero alla materia. Si capisce che per loro questa è un’occasione di riprogettare la propria esistenza in vista del dopo, in un’ottica della legalità. Anche per me questa è stata un’esperienza di confronto e di crescita.” “A nostro avviso - conclude Lucia Trenta - questa esperienza formativa è la dimostrazione che la cultura al lavoro è una leva fondamentale per la riabilitazione di persone detenute e che anche un’associazione di categoria come la Cna può fare in questo la propria parte”. Milano: nel carcere di Bollate nascerà un impianto di riciclaggio dei rifiuti elettronici Redattore Sociale, 15 ottobre 2010 Alberto Garocchio, presidente della Commissione carcere di Palazzo Marino: “Un vero e proprio stabilimento industriale all’interno di un istituto di pena”. Un magazzino pieno di computer e cellulari dismessi. Sorgerà all’interno del carcere di Bollate, dove 50 detenuti ci lavoreranno per recuperarli, quando possibile, o smaltirli correttamente. Il progetto Raee (Recupero delle apparecchiature elettriche ed elettroniche) è nato dalla collaborazione tra Comune, Amsa, Regione, Provveditorato regionale alle carceri e cooperativa Il giorno dopo. Questa mattina durante la seduta della commissione carcere del Consiglio comunale di Milano, Roberto Vismara di Amsa ha annunciato che il progetto Raee è ormai in dirittura d’arrivo: “L’impianto partirà a fine del 2011”. È prevista la costruzione, all’interno del carcere di Bollate, di un magazzino per lo stoccaggio dei rifiuti e dei locali per la loro lavorazione. “Saranno solo di dimensioni ridotte come computer e telefonini - ha aggiunto Roberto Vismara - . Una parte dei rifiuti verranno riciclati e troveranno così un nuovo utilizzo”. Il progetto Raee prevede anche che i detenuti possano frequentare corsi di formazione in elettronica. “Si tratta di un vero e proprio stabilimento industriale all’interno di un istituto di pena”, ha commentato il presidente della commissione carceri di Palazzo Marino, Alberto Garocchio. Viterbo: Cisl; situazione tragica, non c’è spazio per nuovi detenuti, la salute è a rischio Il Tempo, 15 ottobre 2010 E tra gli istituti della regione quello di Viterbo è uno dei più affollati: ben 725 detenuti contro i 433 previsti. Per Andrea Fiorini della Cisl del capoluogo la realtà viterbese è veramente esplosiva. “La situazione è talmente tragica che ultimamente non c’è stato spazio neanche per i nuovi detenuti per i quali servirebbe una sezione di accoglienza. L’apertura di reparti si scontra con la carenza di personale. Siamo 300 agenti circa e registriamo una carenza organica di 150 persone”. Il sovraffollamento poi crea problemi di convivenza, sia per quanto concerne la diffusione di malattie, sia per l’aumentare degli episodi di violenza. “Non solo nuovi casi di tubercolosi - ha spiegato Fiorini - La convivenza forzata porta a focolai pericolosi, oltre che a motivi di scontro che aumentano quando non si hanno più spazi di vivibilità”. Fiorini ricorda che recentemente ci sono stati casi di agenti aggrediti da detenuti che sono dovuti ricorrere al Pronto Soccorso. “Le istituzioni locali dovrebbero sentire di più il problema. Il carcere non deve essere considerato un luogo a sé stante dalla città”. C’è poi il problema dell’aumento dei tentati suicidi (911, di cui 75 nel Lazio al 30 settembre scorso). A Viterbo sono stati 5. Il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno ha chiesto al riguardo al governo un decreto legge per consentire una copertura, seppur minima, degli organici di polizia penitenziaria. “Non c’è peggior rischio - ha precisato - che avere detenuti abbandonati, non seguiti e costretti all’ozio. In tali circostanze è dimostrato che ci si concentra su atti violenti verso altri o verso se stessi”. Rieti: su 5 sezioni detentive 3 chiuse per mancanza di agenti… e sono costate 70 milioni di euro Il Tempo, 15 ottobre 2010 Fino a qualche tempo fa a Rieti il problema era il sovraffollamento, visto che il vecchio carcere di “Santa Scolastica”, in pieno centro storico, aveva una capienza di appena 40 posti. La situazione appare ora capovolta, ma non in meglio. Proprio un anno fa venne infatti inaugurato il nuovo carcere che oggi presenta problemi di sottoutilizzazione. La casa circondariale “Nuovo Complesso”, costruita a Vazia nella zona industriale - commerciale del capoluogo, avrebbe tutte le caratteristiche per essere una struttura all’avanguardia. Si estende su un’area di 60.000 metri quadrati, dispone di una capienza di oltre 300 posti, è dotata di ampi spazi interni ed esterni idonei alle attività sanitarie, di formazione scolastica e professionale. Eppure ormai da mesi questa struttura non riesce a essere utilizzata fino in fondo. Ad oggi infatti è in funzione uno solo dei due padiglioni detentivi, che comprende due sezioni per una capienza di 78 posti e che attualmente ospita un centinaio di detenuti. Nel padiglione ancora chiuso ci sono invece tre reparti, ognuno dei quali ospita tre sezioni suddivise in tre piani, con stanze pronte per essere utilizzate ma mai abitate e ancora sigillate. La paradossale situazione di ridotto utilizzo del nuovo penitenziario reatino, per la realizzazione del quale sono stati spesi circa 70 milioni di euro, secondo quanto denunciato a più riprese dai sindacati e dal garante regionale dei detenuti, è dovuta alla carenza di agenti di polizia penitenziaria. Secondo alcune stime infatti nel carcere “Nuovo Complesso” ci sarebbe bisogno di un organico di Polizia Penitenziaria di circa 200 unità, mentre in servizio oggi se ne contano poco più di 90. Insomma, una situazione incredibile se si pensa al problema del sovraffollamento delle carceri italiane. Frosinone: ad Arce un super-carcere, costruito negli “anni di piombo” e mai utilizzato Il Tempo, 15 ottobre 2010 Il primo problema resta l’evidente sproporzione tra carcerati e agenti di polizia penitenziaria, una situazione in cui s’aggiungono una serie di disagi legati alle carenze strutturali e alle difficoltà gestionali. Per far fronte alla congestione si amplia l’esistente, ma non si utilizzano spazi vuoti come l’ex carcere di Arce. Sarebbe anti - economico recuperare o riconvertire e mantenere una struttura costruita negli anni di piombo con elevati standard di sicurezza, destinata ad ospitare le brigatiste (circa 40 i posti), ma mai entrata in funzione. Al 20 settembre di quest’anno, nella casa circondariale di Frosinone erano presenti 520 detenuti su una capienza regolamentare di 325, con un indice di sovraffollamento del 60%. Ci sono stati 1 suicidio, 5 tentati suicidi, 60 atti di autolesione e 3 aggressioni in danno di agenti di polizia penitenziaria. Il contingente di polizia penitenziaria dovrebbe contare 260 agenti ma ne sono assegnati solo 226, di cui 15 impiegati presso il Nucleo traduzioni, 14 distaccati in altre sedi e 10 in convalescenza di lungo corso. Gli agenti sono costretti a turni massacranti per coprire ogni giorno 50 celle in 150 metri di sezione; gli straordinari sono indietro di 5 - 6 mesi, il congedo ordinario è fermo al 2007. Una situazione che non sembra destinata a migliorare con la costruzione del nuovo padiglione. I lavori d’ampliamento della struttura di via Cerreto sono iniziati nei mesi scorsi: ci vorrà un anno e mezzo per ultimare la nuova ala destinata a ospitare 500 carcerati in più (un migliaio in tutto), ma secondo il sindacato dei baschi blu questo non basterà a risolvere il problema del sovraffollamento, poiché non ci sarà l’organico per garantire l’apertura a pieno regime. Non va meglio a Cassino: 280 detenuti su una capienza di 154 e un indice di sovraffollamento dell’81,82% che è il più alto della Regione. Il carcere di Paliano è l’unico del frusinate a fare eccezione, anche per le sue piccole dimensioni: 59 presenze su 61 e un indice di sovraffollamento in negativo di - 3,28%. Latina: carcere fatiscente e ubicato in pieno centro, ma il progetto di un nuovo istituto è congelato Il Tempo, 15 ottobre 2010 Il carcere di Latina è soprattutto un problema logistico. Dopo diverse visite di parlamentari e dello stesso garante dei detenuti del Lazio, appare evidente come la prima urgenza della casa circondariale del capoluogo pontino sia quella legata alla sua ristrutturazione o alla necessità di progettare una nuova location. L’amministrazione Zaccheo aveva lavorato su quest’ultima ipotesi ragionando sulla possibilità. In via del tutto ipotetica era stata individuata l’area della Chiesuola come possibile destinazione della futura struttura. Un disegno rimasto congelato con la fine della giunta. L’attuale sede di via Aspromonte rientra fra gli istituti penitenziari sotto osservazione per i problemi del sovraffollamento dei detenuti ma anche per la carenza di agenti. Queste le cifre: 141 detenuti (di cui 106 maschi e 35 femmine), contro gli 86 regolamentari (57 uomini e 29 donne). Recentemente la parlamentare radicale Maria Antonietta Coscioni Farina ha presentato un’interrogazione al governo sulla presenza anche di cinque persone a cella. Un altro elemento degno di nota è rappresentato dai 26 detenuti della sezione “Sex offender” (ovvero coloro che vengono arrestati per violenza sessuale e reati simili, ndr). Le detenute sono 35, fra cui 4 ex brigatiste che devono scontare reati legati ad episodi di terrorismo. Si registra un organico adeguato di educatori (5), psicologi (3) e infermieri (3). Un capitolo a parte lo merita il discorso sulla carenza d’organico. Gli agenti penitenziari sono 110 contro i 150 che dovrebbero essere previsti per una struttura delle dimensioni di quella di Latina. Fossombrone (Pu): l’On. Vannucci scrive a Alfano; in carcere gravi criticità soprattutto strutturali Corriere Adriatico, 15 ottobre 2010 Onorevole Vannucci com’è nata la questione delle emergenze del carcere visto che nessuno ne parlava. “Da un articolo pubblicato da Corriere Adriatico relativamente al trasferimento di 30 detenuti dall’ala di ponente dell’edificio per cedimento strutturale del tetto. Ho chiesto chiarimenti circa i modi e i tempi dell’intervento per ripristinare la piena funzionalità del carcere. Nel frattempo assieme a colleghi ed a consiglieri regionali e autorità comunali, ho visitato la struttura accompagnato dal direttore e dal comandante della polizia penitenziaria”. Cosa è emerso? “Dal confronto con i responsabili e con gli operatori del carcere si è potuta apprezzare una struttura ben gestita, integrata nel territorio, che svolge attività per il trattamento della detenzione supportata dalle istituzioni locali. È d’esempio il progetto sull’attività motoria intrapresa con l’università di Urbino”. Dati particolari? “Il carcere ospita 170 detenuti e risponde in maniera fondamentale alle esigenze penitenziarie del Paese anche per la sezione di massima sicurezza che ospita. Si sono registrate altre criticità oltre al tetto dell’ala ponente che, se risolte, potrebbero contribuire a far fronte alla carenza di posti di reclusione che si registra in Italia utilizzando appieno le potenzialità della struttura”. Quali le criticità emerse? “L’alloggio del direttore non è agibile, la circostanza fa sì che da anni non vi sia un direttore residente, la sede potrebbe infatti risultare più appetibile se ci fosse l’alloggio a disposizione; la vecchia chiesa che insiste nell’area è da anni inutilizzata perché inagibile con conseguente chiusura di un passeggio. Tale struttura potrebbe invece essere recuperata per la detenzione o per luogo di lavoro e di formazione; il muro di cinta necessita di opere di ristrutturazione e messa in sicurezza, al punto che il servizio di sorveglianza é stato trasferito a terra. È auspicabile che il piano carceri in predisposizione comprenda gli interventi necessari per la piena funzionalità ed il pieno utilizzo del carcere di Fossombrone. Ho chiesto se il Ministro intenda inserirlo fra gli istituti nei quali intervenire per il pieno utilizzo dei posti; se intenda intervenire sulla base di un progetto generale, anche attraverso stralci funzionali, sugli interventi critici segnalati in premessa, primo fra tutti il ripristino dell’ala di ponente; se intenda intervenire affinché a Fossombrone vi sia un direttore residente”. Enna: Osapp; il carcere cade a pezzi, crollato il soffitto di una cella La Sicilia, 15 ottobre 2010 Nonostante gli appelli, che sono stati lanciati da più parti, ma specialmente dall’Osapp, di aprire la nuova struttura del carcere di Enna, nulla è stato fatto, con la conseguenza che il personale della polizia penitenziaria è costretto a vivere in stato di allarme tenuto conto che i rischi aumentano di giorno in giorno continuando ad essere mortificato dal direttore che viene ritenuto, dalle organizzazioni sindacali, inadempiente, tant’è che ieri è giunta notizia ai rappresentanti che martedì notte nel bagno di una cella del primo reparto è crollato il soffitto. Solamente per una mera fatalità non si sono registrati danni a persone. Si sconoscono ancora le cause che hanno provocato il crollo del tetto, ma non è escluso che questo sia dovuto alle notevoli infiltrazioni d’acqua piovana oppure dall’usura dei tubi dell’acqua interrati dove si registrano perdite d’acqua in quantità elevata. “Intanto - dichiara Filippo Garofalo, segretario nazionale Osapp - è stato confermato per giovedì 28 è stato confermato lo sciopero degli agenti penitenziari, ma per mercoledì 27 “strumentalmente” i rappresentanti delle organizzazioni sono stati convocati dalla direzione per una contrattazione sindacale, ma questo interessa poco perché vogliamo fatti e non parole”. “Pertanto - prosegue Garofalo - il 28 ottobre alle 11 manifesteremo ugualmente in piazza Garibaldi (Prefettura), fino a quando non verrà aperta la nuova struttura e il direttore finirà di mortificare il personale e l’Osapp, facendo pura demagogia, iniziando dal rispetto e dalle corrette relazioni sindacali, dando al personale quello che gli spetta partendo dalla dignità, dalla pari opportunità, dall’anticipo delle missioni e dal rispetto degli accordi quadro nazionali. Cagliari: detenuta di 77 anni gravemente ammalata ottiene i domiciliari… dopo 22 mesi in cella Agi, 15 ottobre 2010 Una donna di 77, gravemente malata, detenuta nel carcere di Cagliari ha ottenuto gli arresti domiciliari. Fin dall’anno scorso le condizioni di Stefania Malu erano state dichiarate incompatibili con la detenzione a Buoncammino. Il magistrato di sorveglianza ha accolto le relazioni dei medici del centro clinico del carcere e consentito alla detenuta di scontare la pena a casa. L’anziana, reclusa da 22 mesi, non aveva ottenuto il differimento pena, nonostante l’istanza presentata dal suo avvocato ai primi dell’anno scorso. “Le sue condizioni si sono aggravate”, racconta la presidente dell’associazione “Socialismo, diritti riforme” (Sdr), Maria Grazia Caligaris. “Il caso riporta all’attenzione dell’opinione pubblica i gravi problemi dei detenuti anziani. Sono persone per lo più ultrasettantenni con patologie dovute soprattutto all’età, che potrebbero scontare la pena, in alcuni casi di pochi mesi, ai domiciliari o in strutture alternative come le residenze sanitarie assistite”. Sulla vicenda di Malu la deputata radicale Rita Bernardini, accogliendo una segnalazione di Sdr, aveva presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia. Bologna: tribunale e avvocato sbagliano “i calcoli”, un detenuto rimane in cella due mesi in più La Repubblica, 15 ottobre 2010 Nessuno si è accorto o ricordato che in carcere c’era già stato e per errore si è fatto due mesi di cella più del dovuto. Per un calcolo sbagliato del cumulo della pena, fatto dalla Procura, un bolognese di 40 anni, Cristiano L., è stato subito rimesso in libertà dalla stessa Procura, due giorni fa, dopo che aveva assunto la sua difesa un nuovo legale, l’avvocatessa Elena Bernardi. L’incidente era dovuto al fatto che, agli atti del procedimento, mancava un documento, relativo ad un periodo di carcerazione preventiva già scontata nel 1997: se computato oggi, avrebbe ridotto la permanenza in cella. Al disguido s’è legata anche la circostanza che solo da pochi anni la procedura è completamente informatizzata. Ma anche il vecchio avvocato del detenuto è stato distratto. L’uomo aveva ricevuto, nel febbraio scorso, un ordine di carcerazione per un cumulo di pena di due anni e nove mesi. Condannato per vari reati contro il patrimonio, dalla rapina al furto alla ricettazione, è finito alla Dozza. Il 30 luglio però il giudice dell’esecuzione (seconda sezione penale del Tribunale) ha rideterminato la pena considerando la continuazione. Un punto a favore del detenuto avanzato dalla difesa, che però si è “dimenticata” di far presente che Cristiano L. in carcere c’era già stato. Col nuovo calcolo, si è arrivati a due anni e tre mesi, cui andavano aggiunte altre condanne per un totale di 3 anni e 11 mesi. Con l’indulto che ha coperto parte della pena (tre anni), secondo il calcolo che era stato fatto dall’ufficio esecuzioni della Procura il periodo da scontare era ancora di 11 mesi, con fine pena 19 marzo 2011. Ma in questo calcolo, per la mancanza di quel documento di avvenuta detenzione, non erano tenuti presenti gli 11 mesi e 11 giorni in custodia cautelare scontati nel 1997. Ora Cristiano L. è nelle condizioni di chiedere i danni per ingiusta detenzione. Viterbo: ergastolano si laura con tesi su “Il recupero del detenuto: una prospettiva economica” Asca, 15 ottobre 2010 Dario Troni, detenuto nel carcere di Mammagialla di Viterbo, ha conseguito la sua seconda laurea. L’uomo, ormai in carcere da circa vent’anni, sta scontando l’ergastolo per aver ucciso Salvatore Assenza e Angelo Garofalo, il 7 e il 18 aprile 1992 a Siracusa. In quel periodo Troni, diciannovenne, apparteneva al clan mafioso Urso - Bottaro di Siracusa di cui era ritenuto uno dei picciotti emergenti. Già nel 2007, aveva conseguito sempre in carcere la sua prima laurea in Economia e commercio ottenendo dalla commissione la votazione di 110 dopo avere discusso una tesi su “Il recupero del detenuto: una prospettiva economica”. Adesso Troni ha conseguito la sua seconda laurea in Scienze Politiche e ha discusso una tesi su “Dal vecchio mondo al nuovo continente: interconnessioni e complementarità nella storia della Mafia”. Questa volta dalla commissione ha ottenuto anche la lode. La discussione della tesi e la proclamazione si sono svolte nella sala del teatro del penitenziario, dove hanno assistito oltre ai familiari di Troni, i volontari delle varie associazioni operanti all’interno del carcere, alcuni educatori e il cappellano dell’istituto. È la prima volta che nel carcere di Mammagialla un detenuto consegue la laurea. Allo stato attuale altri dieci detenuti del penitenziario sono iscritti in diversi corsi di laurea dell’Università della Tuscia. Troni ha ricevuto da tutti in dono una targa con la scritta “L’amore per la cultura e l’impegno nel lavoro riscattano l’uomo di buona volontà e lo rendono libero per sempre”. Caltagirone (Ct): “Imprisonment - Prigionia”, un film - documento di Fabio Cillia La Sicilia, 15 ottobre 2010 Storie vere di detenuti. S’intitola “Imprisonment - Prigionia” il film - documento del regista di Caltagirone Fabio Cillia, che racconta la vita di sette detenuti della casa circondariale calatina. Sogni, speranze, paure di uomini - Rachid, Arnaldo, Ibraim, Pietro, Giovanni, Salvatore e Vincenzo - che cercano di venire fuori dall’errore. Un film che fa riflettere e persino commuovere perché fa emergere il lato più umano di ogni detenuto. “Imprisonment”, realizzato nell’ambito del progetto Pon “La scuola per lo sviluppo” del Centro Educazione degli adulti dell’istituto comprensivo “Alessio Narbone” - tutor il docente Giuseppe Gazzano, elaborazione testuale della docente Carmela Ingrasciotta - è stato proposto davanti a un folto pubblico al cinema Politeama (patrocinio del Comune). A presentare il lavoro, il regista Cillia, rivelatosi, ancora una volta, capace di lanciare un messaggio di forte impatto sociale. Il sindaco Francesco Pignataro ha sottolineato che “iniziative come questa contribuiscono a rendere sempre più efficace l’integrazione della struttura carceraria col nostro territorio”. “Le attività per il reinserimento sociale che portiamo avanti - ha rilevato il direttore del carcere, Valerio Pappalardo - contribuiscono a costruire il futuro dei detenuti oltre le mura”.