Giustizia: nelle carceri situazione disumana, per un cambio di rotta bastano due articoli di Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone) Il Manifesto, 12 ottobre 2010 Da solo, tra i politici, Marco Pannella sta portando avanti la sua personale e collettiva (radicale) battaglia per assicurare migliori condizioni di vita nelle carceri. Le galere - dimenticate da tutti, governo, opposizione e media - sono ormai al limite estremo di tollerabilità umana. I detenuti sono costretti a vivere in modo indegno, ammassati in spazi di vita impossibili. Il personale penitenziario è anch’esso costretto a una vita massacrante. Mettere a rischio la serenità degli operatori significa mettere a rischio i diritti e l’incolumità personale dei detenuti. I parlamentari di destra e sinistra che hanno visitato le carceri ad agosto non hanno prodotto una che sia una proposta di soluzione del problema. Il Piano carceri del governo è ormai carta straccia. Periodicamente - e oramai poco credibilmente - il ministro della Giustizia Alfano promette misure eccezionali, espulsioni di massa di stranieri, nuovi programmi di edilizia penitenziaria e nuove assunzioni di poliziotti. Il Satyagraha di Pannella, il suo sciopero della fame, la sua protesta non-violenta non ha quindi nulla di vecchio, di ripetuto, di folcloristico. Di fronte al silenzio istituzionale e alla vergogna di prigioni dimenticate, ben venga la sua protesta non-violenta, o come più precisamente afferma il leader radicale, la sua proposta. Tra qualche giorno sarà trascorso un anno dalla morte, per mano ancora ignota, di Stefano Cucchi. Quella vicenda ha squarciato il velo dell’ipocrisia carceraria, ha aperto uno sguardo pubblico dentro le prigioni e gli ospedali detentivi. I colpevoli di quella morte non sono stati ancora con certezza individuati. Il processo è agli inizi. Quella morte non ha scosso però le coscienze di chi ci governa. Tutto, dopo le solite lacrime di coccodrillo, è rimasto come prima. Nel carcere catanese di Piazza Lanza un detenuto di 43 anni affetto da un cancro allo stomaco, pare che da quindici giorni non riceva medicine per la terapia antitumorale e neanche i più generici antidolorifici. La sua vita vale zero. Di fronte alla tragedia di una condizione carceraria drammatica, di fronte all’internamento di massa di consumatori di droghe e di immigrati irregolari, di fronte a oggettivi trattamenti inumani e degradanti non si deve chiedere a noi il suggerimento di soluzioni alternative allo status quo. Il sovraffollamento carcerario, la violenza istituzionale, la carcerazione di massa del disagio sociale non sono eventi naturali. Sono il frutto di politiche pubbliche scellerate decise per ottenere consenso. Basterebbe una proposta di legge composta da due articoli. Articolo 1: sono abrogate le leggi ex Cirielli sulla recidiva, Bossi-Fini sull’immigrazione, Fini-Giovanardi sulle droghe; articolo 2: sono introdotti il crimine di tortura nel codice penale e la figura del difensore civico delle persone private della libertà nell’ordinamento giuridico. Due articoli soli, per restituire senso, logica e umanità al sistema. Siamo, però, stanchi di ripeterlo a vuoto, urlando contro i governanti di turno. Abbiamo elaborato documenti lunghissimi a supporto delle nostre tesi giuridiche. Li useremo per fare cultura, per parlare ai giovani, non più per fare lobby. Lo sciopero della fame di Marco Pannella serve a rendere trasparente ciò che è opaco, a dare luce a ciò che è in un cono di ombra. Non serve per estorcere consensi popolari. Ciò è segno di onestà e coraggio politico. Giustizia: oggi 1 detenuto suicida e 1 morto di cause naturali, abbiamo la “pena di morte” Il Velino, 12 ottobre 2010 Carmelo Di Bartolo, 42 anni, ex collaboratore di giustizia originario di Gela (Ct), si è suicidato stamattina nel carcere di Ravenna. È quanto si apprende in un comunicato di Ristretti Orizzonti. Il cadavere dell’uomo, che si è impiccato nella sua cella, è stato scoperto intorno alle 8. Era stato arrestato il 29 settembre per rapina. Già noto alle forze dell’ordine, aveva anche un passato da collaboratore di giustizia. Carmelo Di Bartolo era stato arrestato nel 1997. Aveva sparato al cugino, Carmelo Fiorisi, nel contro storico di Gela. Fiorisi venne ferito di striscio, mentre Di Bartolo venne arrestato la stessa sera nella sua abitazione. Venne trovato a letto ancora vestito e con la pistola sotto il cuscino. Dopo aver scontato la pena era tornato in libertà. Il 29 settembre ancora un arresto, questa volta per rapina. Di Bartolo non è il solo detenuto che oggi si aggiunge alla lista dei morti di carcere, infatti ad Olbia è stato ritrovato senza vita nella sua cella il gelese Francesco Maurilio La Cognata, 50 anni, condannato all’ergastolo. Per il momento non si conoscono le ragioni del decesso, tuttavia le prime rilevazioni effettuate sul corpo fanno propendere per un decesso da attribuire a cause naturali. Con i due casi odierni, salgono a 135 i detenuti morti in carcere da inizio anno, 54 di loro si sono suicidati. I due terzi dei suicidi avevano meno di 40 anni, nel dettaglio: 14 avevano tra i 20 e i 29 anni, 20 tra i 30 e i 39 anni, 12 tra i 40 e i 49 anni, 6 tra i 50 e i 59 anni e 2 più di 60 anni. Dal 2000 ad oggi 612 detenuti si sono tolti la vita nelle carceri italiane, mentre il totale dei morti in detenzione arriva a 1.695. Negli Stati Uniti, dove la pena di morte è ancora applicata, da inizio anno sono state eseguite 41 condanne capitali (Fonte: Rick Halperin, Southern Methodist University), lo scorso anno furono 52, nel 2008 furono 37. Domenica scorsa, Giuliano Cazzola, deputato del Pdl, ha dichiarato: “Oggi si celebra la Giornata mondiale contro la pena di morte. Nei giorni scorsi la Camera, tra un tripudio di belle parole, ha votato alla unanimità una risoluzione in tal senso. Il fatto è che nelle carceri italiane, dall’inizio dell’anno, vi sono stati più di cinquanta suicidi. Non è anche questa una odiosa pena di morte di cui è in larga misura responsabile lo Stato?”. Giustizia: Sappe; 30mila detenuti in attesa di giudizio, serve svolta nelle politiche penali Il Velino, 12 ottobre 2010 “Oggi il presidente della Repubblica ha autorevolmente sottolineato come l’eccessiva durata dei processi mina la fiducia dei cittadini nel servizio giustizia”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria. “Auspichiamo che questa importante considerazione non cada nel vuoto, come invece accadde una volta approvato l’indulto quando il capo dello Stato chiese interventi strutturali per modificare il sistema penitenziario. Abbreviare i tempi della giustizia è fondamentale se si considera che già oggi, nelle carceri italiane, abbiamo più di 30mila persone imputate (perchè in attesa di primo giudizio, appellanti e ricorrenti). Altrettanto importante - continua - è che la maggioranza del Paese ed il suo legittimo Governo mettano concretamente mano alla situazione penitenziaria del Paese, ormai giunta ad un livello emergenziale. La situazione di tensione che si sta determinando in molti istituti penitenziari del Paese, fatta di aggressioni al personale di Polizia Penitenziaria, suicidi di detenuti e continui atti di autolesionismo, risse e manifestazioni di protesta dei detenuti, rischia di degenerare. Credo quindi che l’Esecutivo Berlusconi ed il Parlamento tutto non possano e non debbano perdere ulteriore tempo ma si debba prevedere interventi urgenti e non più procrastinabili, considerato anche che il Corpo di Polizia penitenziaria è carente di più di 6 mila unita e che oggi ci sono in carcere quasi 69 mila detenuti, che diventeranno più di 70mila entro la fine dell’anno, a fronte di circa 44 mila posti letto. Triste record: è infatti il più alto numero di detenuti mai registrato nella storia dell’Italia”. Capece aggiunge che: “Il Sappe, il sindacato più rappresentativo del Corpo, auspica una urgente svolta bipartisan di Governo e Parlamento per una nuova politica della pena quanto più possibile organica e condivisa. Una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’istituzione penitenziaria”. Giustizia: Pol. Pen.; domani presentazione sondaggio del Dap, ma il Sappe protesta Redattore Sociale, 12 ottobre 2010 Domani la presentazione dell’indagine sul livello di percezione degli italiani, ma il sindacato autonomo della polizia penitenziaria rileva il mancato invito e ricorda la mancanza di tutela e di un ufficio comunicazioni esterne. Misurare il livello di percezione dei cittadini riguardo la Polizia Penitenziaria e il sistema penitenziario nel suo complesso. Con questo scopo è stato commissionata dal Dap, e verrà presentata domani a Roma (presso la sede del Museo criminologico) un’indagine quantitativa sulla popolazione italiana. Saranno presenti all’incontro Franco Ionta, capo dell’amministrazione penitenziaria, Antonio Noto, direttore generale dell’Ipr Marketing, Chiara Simonelli e Simona Landolfi dell’Università Roma Tre e Ornella Favero, direttore della rivista Ristretti Orizzonti. Manca, però, un rappresentante della Polizia penitenziaria. Cosa, questa, che ha fatto scattare la protesta del Sappe, il Sindacato autonomo della stessa Polizia penitenziaria, molto critico anche sull’operato del Dap in questi anni. Ma andiamo con ordine. Dicevamo dell’indagine. “Quella di misurare il livello di percezione dei cittadini - afferma una nota del Dap - è un’esigenza scaturita dal quotidiano rapporto con gli organi di informazione, che, pur dedicando uno spazio consistente alla questione carceraria, prevalentemente indirizzano tale attenzione verso il verificarsi di eventi critici. È evidente che gli eventi critici (suicidi, sovraffollamento, risorse di bilancio insufficienti, ecc.) sono la spia di una sofferenza del sistema e quindi oggetto di cronaca e approfondimento. A fronte, quindi, di una doverosa informazione sulle condizioni del sistema penitenziario, si rileva che spesso tale attività informativa appare squilibrata verso altri ambiti(…). Altro punto su cui occorre soffermarsi, e che è stato il focus del sondaggio, è la percezione che i cittadini hanno del Corpo di Polizia Penitenziaria (…). Quello che emerge, è che il livello di conoscenza reale del sistema e della Polizia Penitenziaria è debole se il rapporto è ostacolato da una scarsa conoscenza. In tal caso agisce con maggiore vigore la forza del pregiudizio, inteso come l’utilizzo di un sapere precostituito e non verificato rispetto a un’informazione diretta e di prima mano. La Polizia Penitenziaria, che soffre di una insufficiente visibilità in gran parte dovuta alla specificità delle proprie funzioni, paga, spesso, un debito di riconoscibilità e di immagine”. Le anticipazioni dell’indagine, come detto, non piacciono però al Sappe. Il segretario generale, Donato Capece, rileva che “i dati che emergono non fanno che raccogliere tutto il lavoro non fatto in questi anni dal Dap e in particolare dall’Ufficio Stampa e relazioni esterne posto alle dirette dipendenze del Capo dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta”. Per Capece, “di segnali positivi ce ne sono stati in passato. Ci riferiamo alla creazione, sulla carta, dell’ufficio per le relazioni esterne e l’intenzione, che risale addirittura al 2000, di istituire analoghe strutture decentrate presso ogni Provveditorato regionale. Lo stesso Ionta, in occasione del suo insediamento a capo del Dap, tenne a precisare che lui era e si considerava anche il Capo della Polizia penitenziaria. La realtà è ben diversa, a cominciare dal fatto che alla presentazione di domani interverranno tutti fuorché la Polizia penitenziaria. Ci sembra una disattenzione non da poco perché si aggiunge a tutte le altre che la Polizia penitenziaria è costretta a subire da parte del Dap”. E continua: “Lo stesso sondaggio di cui stiamo parlando - rispetto ai cui costi sostenuti, peraltro, è già stata presentata una interrogazione parlamentare alla Camera dei Deputati - è stato annunciato dieci mesi fa (anche allora senza la partecipazione della Polizia penitenziaria) ed è analogo ad uno studio effettuato nel 2004 di cui non si è mai saputo nulla. Lo studio del 2004 doveva portare alla stesura del piano della comunicazione, ma fino ad ora siamo stati costretti a subire l’assoluta incapacità del Dap di rappresentare all’opinione pubblica, le attività e i compiti del Corpo di Polizia penitenziaria”. Conclude Capece: “Da anni siamo costretti a subire umiliazioni e assoluta mancanza di tutela quando i media ci appellano con frasi e termini vecchi, vetusti e talvolta offensivi. Basti considerare lo stato di abbandono in cui versa il sito web ufficiale della Polizia penitenziaria, per non parlare del fatto che nel comitato di redazione della rivista ufficiale del Dap non compare nessun poliziotto, fino ad arrivare a conferenze stampa come quella che si svolgerà domani, in cui la Polizia penitenziaria viene deliberatamente esclusa. Da oggi chiediamo l’attivazione di un ufficio stampa e relazioni esterne della Polizia penitenziaria, gestito dalla Polizia penitenziaria, con personale qualificato per tali compiti, che sappia finalmente iniziare ad informare i cittadini sull’importanza sociale della nostra professione e dare dignità professionale ai poliziotti penitenziari che ogni giorno rischiano la vita negli istituti penitenziari italiani”. Ravenna: Uil; detenuto si impicca in cella, nelle carcere una “mattanza continua” Dire, 12 ottobre 2010 Aveva 42 anni ed era stato arrestato lo scorso 29 settembre per rapina: un uomo di origini siciliane detenuto del carcere di Ravenna, questa mattina si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella. Il corpo senza vita è stato trovato questa mattina alle 8. A dare la notizia è la Uil-Pa di Ravenna, precisando che si tratta del 54^ suicidio di quest’anno nelle prigioni italiane. Il detenuto, originario di Gela, in passato era stato anche collaboratore di giustizia. “La ‘mattanzà continua, nel silenzio, nell’indifferenza e nell’ipocrisia”, scrive il sindacato in una nota. E secondo la Uil-Pa, le condizioni del carcere di Ravenna, in questo caso, hanno la loro parte di responsabilità. “Sarà pur vero che è difficile dimostrare il nesso tra le condizioni detentive e la decisione di evadere dalla propria vita- affermano- ma quando ciò capita in un istituto come Ravenna questo nesso rappresenta una quasi certezza”. Infatti, spiegano, “in quella struttura l’affollamento medio si attesta all’incirca verso il 145-150%. Potrebbe contenere al massimo 59 detenuti ma le presenze sono sempre molte di più“. Nell’ultima rilevazione che risale proprio al 29 settembre, se ne contavano 143. “Il contingente di personale è ridotto all’osso e i servizi sono organizzati in maniera da non poter garantire i livelli minimi di sicurezza - denuncia la Uil-Pa - a fronte di un contingente previsto di 78 unità ne risultano in servizio solo 52. Una carenza organica di circa il 34% che rischia di paralizzare l’intera organizzazione”. Il segretario della Uil-Pa di Ravenna, Eugenio Sarno, fa un appello al Governo dove “Berlusconi e Alfano hanno tutti gli strumenti e tutte le motivazioni per procedere in via di decretazione urgente”. Inoltre, di fronte al ripetersi di eventi luttuosi, scrive Sarno, “non possiamo non inviare al capo del Dap l’ennesimo invito affinché convochi un tavolo di confronto, ed appellarci al Parlamento perché legiferi in materia”. Ogni giorno che passa nelle case circondariali, conclude il sindacalista, “si connota per l’affievolirsi delle motivazioni e per la depressione del personale che è oramai consapevole di essere l’ultimo, isolato e debole baluardo a difesa della dignità umana in quelle città fantasma che sono le nostre carceri”. Padova: Consiglieri comunali visitano carcere; “Garante dei detenuti necessario subito” Il Mattino, 12 ottobre 2010 Istituire ai più presto anche nella città del Santo il Garante per i diritti dei detenuti, figura che vigila e promuove i diritti delle persone private della libertà personale. D’accordo Daniela Ruffini e Nona Eughenie - rispettivamente presidente del consiglio comunale e consigliere del partito di maggioranza a Palazzo Moroni, il Pd - che ieri hanno visitato, assieme ad altri 15 consiglieri di Padova, la casa di reclusione “Due Palazzi”. Obiettivo incontrare i detenuti-artisti autori di murales realizzati sulle pareti del carcere e inseriti in un ed presentato alla mostra “Luce nel silenzio”, “il garante è presente già a Rovigo e Verona - ha detto la Eughenie - e quindi dovremo cercare di smuovere la situazione anche qui”. Da anni le associazioni di volontariato e gii addetti ai lavori chiedono l’introduzione di questa figura super partes che tuteli i diritti dei carcerati Tra i più forti sostenitori dell’iniziativa Ornella Favero, direttrice di “Ristretti Orizzonti”, la rivista fatta dai detenuti. “Sono cose che diciamo da tanto tempo - ha commentato la Favero - si tratta di questioni non più rimandabili, viste anche le condizioni nelle quali sono costretti a vivere i detenuti”. A Padova la situazione è sull’orlo del collasso. La visita fatta fare dal direttore del carcere Salvatore Pinuccio ai consiglieri - tra cui il capogruppo del Pd Gianni Bemo e del Pdl Alberto Salmaso - purtroppo non è arrivata nelle celle dei detenuti (stracolme), ma solo le aree addette ai servizi e ai lavori. Così difficile rendersi conto della situazione. “Basta con questa storia del carcere-modello - ha chiuso la Favero - qui 350 detenuti lavorano, ma altri 500 non fanno nulla”. Il consigliere regionale del Pd Piero Ruzzante, lamentando l’inerzia di Palazzo Balbi sull’argomento, ieri ha diffuso dati pesanti: a Padova nel Circondariale 262 detenuti, a fronte di una capienza ottimale da 80, estendibile fino a 130, con guardie carcerarie sotto organico di 40 unità e personale sanitario insufficiente. Padova: lauree e murales dietro le sbarre… tra gli 800 detenuti della Casa di reclusione Il Gazzettino, 12 ottobre 2010 È stata una visita lunga e articolata. Una ventina di consiglieri comunali, guidati dalla presidente Daniela Ruffini, hanno visitato il carcere Due Palazzi, insieme al direttore Salvatore Pirruccio. Una visita che si è concentrata sul piano terra del carcere, che non ospita le sezioni con le celle, ma gli spazi per l’attività che, nella casa di reclusione, sono fondamentali per il reinserimento del detenuto , ma anche per rendere gli anni di detenzione meno pesanti. Pirruccio ha fatto iniziare la visita con delle informazioni sul numeri dei detenuti: “Ad oggi oscilliamo tra gli 800 e gli 810. Le celle erano state pensate per un solo ospite, ma da subito sono state utilizzate da due detenuti. Purtroppo oggi anche qui in alcune sezioni dobbiamo arrivare a tre. Una situazione difficile, ma sicuramente meno critica rispetto al circondariale”. Negli ultimi mesi, proprio a fronte dell’aumento dei numeri, il direttore ha accordato ai detenuti di uscire durante il giorno dalle celle e di muoversi liberamente nella sezione, che contiene 25 celle. Ad accogliere i visitatori in carcere è un lungo corridoio, abbellito dai murales realizzati dai detenuti. Il carcere offre diverse opportunità. Alcuni arrivano anche alla laurea, come testimoniano i papiri appesi nel “Polo universitario”. Ci sono però corsi di ogni tipo, dall’alfabetizzazione per gli stranieri, alle scuole medie fino alle superiori, con una sezione del Gramsci. Non manca l’auditorium e la cappella. Non è presente una vera e propria moschea, ma hanno i detenuti musulmani il permesso di riunirsi per la preghiera di gruppo. La biblioteca vanta 14 mila volumi, mentre una vasta area è dedicata alla redazione di Ristretti Orizzonti, rivista tra le prime in Italia di informazione carceraria. La redazione pubblica sette numeri all’anno, ma esiste anche un telegiornale, il Tg2Palazzi, prodotto in carcere e in onda ogni sabato alle 18.15 su Telechiara. L’attività produttiva è ampia. Il consorzio sociale Rebus organizza il lavoro dei detenuti per diverse aziende, il call center per il Cup dell’ospedale, oltre alla mensa che sforna 800 pasti al giorno. Fiore all’occhiello la pluripremiata pasticceria, con la produzione dei rinomati “Dolci di Giotto”. “Questi aspetti danno attuazione all’articolo 27 della Costituzione - ha sottolineato Daniela Ruffini - Il carcere non è più un corpo esterno alla città, grazie anche al volontariato”. L’intenzione dei consiglieri è quella però di vedere anche gli aspetti più problematici delle detenzione, con una prossima visita al carcere circondariale. Ruzzante: “Allarme sovraffollamento” Dura presa di posizione del consigliere regionale del Pd, Piero Ruzzante, sulla situazione delle carceri in Veneto e in particolare su quella del circondariale di Padova. “I numeri relativi alla situazione dei penitenziari veneti sono agghiaccianti - sottolinea il consigliere - Le carceri venete ospitano quasi il doppio dei detenuti previsti (3.286 invece di 1.726). Nonostante questo, la dotazione organica della polizia penitenziaria è al di sotto del 20% rispetto al fabbisogno. Il carcere circondariale di Padova è forse quello dove si soffre di più, a causa del forte sovraffollamento delle celle: 262 detenuti, a fronte di una capienza ottimale di 80 posti, e una capienza tollerabile di 130, con un personale penitenziario sotto organico di 40 unità, per non parlare degli operatori sanitari che sono in servizio solo 18 ore la settimana. Inoltre i tagli al settore sociale hanno azzerato gli stanziamenti destinati agli interventi in materia penitenziaria”. Ruzzante se la prende con l’indifferenza della giunta regionale: “La mia interrogazione in materia di maggio, dove chiedevo ad esempio se la Regione non intendesse ripristinare uno specifico reparto nell’ospedale di Padova, ha avuto risposta solo dopo oltre due mesi. L’assessore Remo Sernagiotto però si è limitato ad una serie di proclami che non hanno mutato la situazione”. “La luce nel silenzio”: l’arte entra in prigione L’idea di una visita dei consiglieri comunali in carcere non era nuova nella mente di Daniela Ruffini, ma coglie spunto da un evento preciso. A settembre il Centro Universitario di via Zabarella ha infatti ospitato la mostra “La luce nel silenzio”, che ha ospitato anche le opere di alcuni detenuti della casa di reclusione del Due Palazzi. A presentare la mostra, come critico d’arte, la professoressa Maria Beatrice Rigobello Autizi: “Nella mostra, organizzata dal Gruppo operatori carceri volontari, abbiamo potuto scoprire come in carcere ci fossero molti spazi dedicati all’arte. In particolare il lavoro artistico dà notevoli motivazioni ai detenuti. Quando abbiamo saputo che al Due Palazzi c’erano oltre cento metri di murales abbiamo lanciato l’idea di entrare nel Guinness dei primati con un record inerente proprio questi spazi. I dettagli sono ancora in corso di definizione, ma tutto il consiglio comunale ha già dato la propria disponibilità. Noi ora la chiediamo anche agli artisti padovani che vogliano offrire le proprie idee e il proprio tempo per dare corpo a questo progetto”. Bologna: Rita Bernardini (Pd) visita il carcere; 1.119 detenuti a fronte di 483 posti www.clandestinoweb.it, 12 ottobre 2010 L’onorevole Rita Bernardini, Membro della Direzione Nazionale di Radicali Italiani, ha fornito al Clandestinoweb il testo dell’interrogazione parlamentare presentata al Ministero della Giustizia dopo l’ispezione effettuata il 10 ottobre scorso nella Casa Circondariale di Bologna, dove l’onorevole ha registrato una drammatica situazione: innanzitutto l’istituto penitenziario è sovraffollato. Infatti, i detenuti presenti sono 1.119, di cui 1.047 uomini e 72 donne (un bambino di pochi mesi detenuto con la madre) a fronte di una capienza regolamentare di 483 posti. Tra loro, i tossicodipendenti presenti sono 293; i detenuti stranieri (comunitari ed extracomunitari) raggiungono la percentuale del 65% e appartengono a 51 nazionalità diverse. Inoltre, nel carcere di Bologna c’è una forte carenza di agenti di polizia penitenziaria. Ne sarebbero previsti 567, mentre sono effettivamente presenti solo 393 agenti. Infine, la percentuale dei detenuti che lavorano è del 10%, mentre solo 80 detenuti frequentano i corsi scolastici e in 15 frequentano i corsi universitari. A fronte di questi numeri, che già di per sé sono esplicativi di una condizione non certo ottimale, l’onorevole chiarisce nel suo resoconto che la situazione è sotto controllo solo grazie all’abnegazione del personale e alla significativa presenza di volontari che frequentano il carcere, che sono ben 250. “Ecco perché chiediamo più attenzione per le carceri già in uso e che hanno tra l’altro un numero di detenuti maggiore di quello previsto” si legge nel documento. Inoltre si cercano risposte concrete dal Ministero della Giustizia, soprattutto su “come intenda affrontare la carenza del personale di polizia penitenziaria, carenza che incide fortemente sulle già scarsissime attività trattamentali” e “se e quando incrementerà le risorse da destinare all’istituto per consentire maggiori possibilità di lavoro e di studio per i detenuti”. Milano: con la Cooperativa Alice la sartoria di San Vittore apre il primo punto vendita Redattore Sociale, 12 ottobre 2010 La sartoria della Cooperativa Alice impiega 20 detenute ed ex detenute. La nuova collezione di moda si chiama “Evadere dal Carcere” ed è stata presentata oggi al Bar Magenta. La sartoria SanVittore della cooperativa Alice, che impiega venti detenute ed ex detenute delle carceri di San Vittore e Bollate, ha aperto il suo primo punto vendita a Milano (in via Terraggio 28). La nuova collezione di moda si chiama “Evadere dal Carcere” ed è stata presentata oggi al Bar Magenta. “L’obiettivo della cooperativa - spiega Luisa Della Morte, membro del consiglio d’amministrazione - è quello di avere una clientela che si affezioni ai nostri abiti non perché sono prodotti in carcere, ma perché sono fatti bene, belli e di qualità“. Tutti i capii sono infatti progettati e realizzati da detenute esperte di cucito nelle tre sartorie della cooperativa: una dentro al carcere di San Vittore, una in quello di Bollate e un’altra fuori dalle mura. Il progetto è stato reso possibile grazie ai finanziamenti della Fondazione Cariplo. Alla presentazione di questa mattina è intervenuto anche l’assessore regionale alla Moda e Attività Produttive Giovanni Terzi: “La moda può essere anche terreno fertile per iniziative sociali”, ha commentato. La boutique della Sartoria SanVittore sarà aperto tutti i giorni tranne il lunedì. Il suo interno è stilisticamente distante da molti altri negozi di vestiti, con divanetti e mobili antichi, “L’abbiamo pensato come un’antica boite - racconta Luisa Della Morte - dove i clienti possano essere seguiti e scegliere in pieno relax. E in futuro diventerà anche un punto di dialogo e un luogo per iniziative culturali”. Fermo (Ap): riflettere sull’esperienza del carcere, un percorso educativo per tutti Corriere Adriatico, 12 ottobre 2010 È stata un’occasione. Un’occasione di riflessione per quanti vi hanno partecipato: studenti, educatori, insegnanti, operatori ed assistenti sociali. Il seminario, che si è svolto venerdì scorso a Fermo, intitolato “Dentro e fuori dal carcere: riflettiamo insieme...”, è stato un significativo momento di analisi e approfondimento. Tanti gli spunti: in primo luogo il video-documentario della regista Emanuela Giordano che ha raccontato le esperienze di bullismo ed emarginazione vissute dai ragazzi. Molti di loro hanno evidenziato la disattenzione e la distrazione degli adulti. Semplice ma penetrante la testimonianza degli alunni del Liceo Classico di Tolentino. I giovani hanno proposto la loro esperienza di incontro diretto con la realtà del carcere, sia fisica (caratterizzata dalle sbarre e dalle porte pesanti di ferro che si chiudono immediatamente dopo il tuo ingresso ed anche dallo spazio della palestra: unico locale a disposizione per le attività), sia umana: le storie di alcuni detenuti. Toccante e diretto il racconto di alcuni di loro, che hanno brevemente descritto la propria vita e le proprie speranze di reinserimento nella società. Numerosi i ragazzi e gli alunni delle scuole superiori di Fermo che hanno partecipato; molti anche gli insegnanti, gli educatori e gli assistenti sociali richiamati dall’importanza del tema affrontato, tra l’altro con un linguaggio non autoreferenziale, e diretto. Finite le relazioni, il dibattito è stato vivace. Gli interventi del pubblico hanno in gran parte sottolineato come il tema dell’educazione e della prevenzione appaia sempre più centrale, e come sia fondamentale, attraverso la comunicazione e l’esperienza, coinvolgere i ragazzi in tematiche ed eventi che stimolano approfondimenti sull’identità giovanile. L’incontro, organizzato dall’Ambito Sociale XIX, ha iniziato un percorso. La presenza dei ragazzi ad un appuntamento fissato nel pomeriggio di venerdì (giorno difficile) evidenzia il loro interesse, la voglia di conoscere e di partecipare. Testimonia anche la necessità di lanciare stimoli giusti. Avellino: convegno dell’Aiga “Prospettive di reinserimento sociale del detenuto” Il Mattino, 12 ottobre 2010 Si terrà il prossimo 16 ottobre, alle ore 9.30, presso l’Hotel de la Ville ad Avellino, il dibattito dal tema “Prospettive di reinserimento sociale del detenuto. Tra analisi e proposte della riforma del sistema carcerario” promosso dall’Associazione dei Giovani Avvocati Avellinesi (Aiga). Il convegno, curato dal delegato Raffaele Tecce, in coordinamento con l’intero direttivo Aiga, vedrà la partecipazione di relatori di rilievo regionale e nazionale. “Il problema delle carceri è un problema sociale - ha dichiarato il Presidente Mauriello. Le condizioni attuali dei detenuti sono spaventose. Siamo dinanzi a una tragedia umana. Se la pena deve avere come primo presupposto la riabilitazione del detenuto, bisogna salvaguardare la dignità umana. Come associazione siamo convinti che senza una seria politica di edilizia carceraria, per la costruzione di nuovi edifici e per il miglioramento di quelli attuali, non sarà possibile ottenere tutto questo. Personalmente sono molto soddisfatto del lavoro svolto dal delegato Tecce per la precisa e puntuale organizzazione di questo convegno”. Genova: portava droga in carcere, chiesto rinvio a giudizio per poliziotto penitenziario Agi, 12 ottobre 2010 Il pm della procura di Genova Stefano Puppo ha chiesto il rinvio a giudizio per Emanuele Di Giacomo, il poliziotto penitenziario di origini romane arrestato nel febbraio scorso a Genova in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare perché scoperto mentre, in cambio di soldi, faceva entrare nel carcere di Marassi droga, telefoni cellulari e persino cibo etnico. Di Giacomo è accusato di corruzione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. A suo carico ci sono almeno cinque episodi isolati dal pm Puppo in cui avrebbe introdotto droga e altri oggetti illegalmente nella casa circondariale genovese. Insieme a Di Giacomo è stato chiesto il rinvio a giudizio per spaccio e corruzione per due marocchini e un algerino. I primi due fornivano droga, telefoni e soldi a Di Giacomo, il terzo riceveva i “pacchi” in carcere. Ora spetta la decisione spetta all’ufficio gip. Immigrazione: la trincea degli ultimi di Adriano Sofri La Repubblica, 12 ottobre 2010 Cagliari, 11 ottobre, ore 14.30. Un centinaio di immigrati in rivolta si impadronisce del Centro di prima accoglienza, ubicato nell’area militare dell’aeroporto. Ore 14.45, una decina di ribelli fugge scavalcando le reti di cinta di 4 metri. Alcuni si feriscono. Ore 14.50, quattro fuggiaschi vengono avvistati sulla pista dell’aeroporto. Ore 14.55, l’Enac avverte della chiusura dello scalo fino alle 22. Ore 17.15, la rivolta appena cominciata è già finita, tutti i ribelli sono stati ricatturati. Lo scalo è riaperto. Si registrano ritardi fra le due e le tre ore. Era la terza ribellione nel giro di undici giorni, si è saputo. Però questa volta bisogna dirne qualcosa, perché è stato toccato l’aeroporto, già profanato dalla lotta dei pastori. I voli, da un’isola, sono sacri come i ponti altrove. D’altra parte non ci si stupirà che un Cpa collocato strategicamente a una manciata di metri dalla torre di controllo, nella ex caserma degli avieri, diffonda i suoi spaesati evasi dentro l’aeroporto. A leggere con più attenzione le cronache, i quattro ripresi dentro lo scalo, piuttosto che irrompere sugli aerei, hanno rischiato di finirci sotto. Dunque bisogna decidere come commentare. Deplorare i rivoltosi che, approdati indebitamente alle nostre coste (possono però essere candidati meritevoli all’asilo), hanno anche danneggiato suppellettili e passato le linee, non mancherà certo chi lo faccia. E i passeggeri danneggiati senza colpa vanno certo capiti, benché la ventina fra loro che ha aggredito quattro cittadini italiani innalzatori di striscione (“Libertà ai migranti liberi tutti”) si sia mostrata troppo nervosa. Però proviamo a vedere le cose, se non dall’infimo punto di vista degli stranieri ribelli, dannatissimi della terra, almeno da quello del cronista futuro, ammesso che ci sia un futuro e un cronista di microstorie simili. Chissà che giudizio si farà il futuro di ideali che già infiammarono gli animi di altre generazioni, e poi andarono fuori corso, come quello che ribellarsi è giusto. Si chiederà, il cronista a venire, che cosa abbia spinto un manipolo di disgraziati a ribellarsi in una così enorme sproporzione di forze. Se non si accontenterà di spiegazioni temerarie (“Sono bestie. È puro vandalismo”), dovrà misurarsi di nuovo con il rovello che da sempre il carro trionfale della storia si trascina dietro nella polvere, legato a una fune: che cosa spinge gli umani alla rivolta senza speranza? Molte risposte si sono tentate. La più celebre, e anche la più comune, dice che non hanno niente da perdere. Solo le loro catene, dunque ribellarsi conviene. Ma abbiamo imparato che non è vero. Che c’è sempre qualcosa da perdere, che costa sempre caro ribellarsi. Un’altra risposta chiama in causa l’amore per la libertà. Dev’essere vera. Se no non si spiegherebbe come mai degli esseri umani trovino la forza di ribellarsi anche nella più schiacciata delle condizioni. Anche sulla rampa di un lager. Gli schiavi di Spartaco, extracomunitari rastrellati un pò dappertutto per venire a fare i lavori che i romani non volevano più fare e i giochi da stadio che i romani non sapevano più fare, ne diedero un esempio splendente. I posteri poi spiegarono che non avrebbero comunque potuto vincere, che i rapporti di produzione non erano abbastanza maturi da autorizzare il passaggio a un mercato libero o, chissà, al socialismo: ma per fortuna donne e uomini non si ribellano solo quando i rapporti di produzione lo autorizzino, e quando i rapporti di forza mostrino plausibile la vittoria. Su! I 102 “ospiti” del Cpa di Cagliari non sono certo gli schiavi di Spartaco, riderete voi: naturalmente. Cioè, sì e no. Non proverò a sviluppare il confronto, per non renderlo ridicolo. Mi basta averne insinuato l’eventualità, e ora ciascuno lo segua fra sé e sé. Comunque sia, anche se si voglia ferreamente tenere la rivolta di Cagliari alla sua misura minuscola e aneddotica, si pensi almeno al rapporto che lega qualunque creatura reclusa, umani o altri animali, al cielo. Quando ogni altra dimensione è sbarrata, lo sguardo cerca il cielo e lo invidia e lo prega. Affida la propria nostalgia a un volo di uccelli o a una nuvola di passo o una scia di reattore. È per questo che i prigionieri si arrampicano sui tetti, e ora anche tanti che non sono prigionieri. Il cielo e la libertà fanno tutt’uno. Consigli agli imprenditori edili e alle autorità competenti che assegnano loro l’appalto per la costruzione dei Cpa, dei Cia e delle altre galere novissime: non li collocate dentro un aeroporto. È come mettere un gorilla ai piedi dell’Empire State Building. Comunque, non c’è problema. Questa volta è andata. Materassi bruciati, dieci arrestati. La rivolta appena cominciata è già finita. Il cielo non è più con noi. Immigrazione: dalle associazioni un coro di proteste; “accorciare i tempi di detenzione” di Vladimiro Polchi La Repubblica, 12 ottobre 2010 “Riformare tutti i Centri e ridurre i tempi di detenzione”. I “ribelli” di Cagliari incassano un primo risultato: opposizione e associazioni chiedono una “revisione” della politica migratoria del governo. “La rivolta - attacca Emanuele Fiano presidente del forum sicurezza del Pd - è l’ennesimo grave episodio che testimonia una situazione spesso fuori controllo nei centri di prima accoglienza e nei centri di identificazione e ciò dimostra il fallimento di un aspetto fondamentale della politica nei confronti dei flussi migratori. Il governo ammetta che il modello di gestione dei Cie e dei Cpa, soprattutto dopo che il limite si è protratto fino ai sei mesi, sta fallendo”. “Nei prossimi giorni - aggiunge Marco Pacciotti, coordinatore del Forum Immigrazione del Pd - una delegazione composta da alcuni parlamentari del Pd si recherà a Elmas per incontrare le autorità civili e i responsabili del Cpa, verificare le condizioni delle persone ospitate e capire come risolvere il problema che ormai rappresenta questa struttura. Chiediamo, inoltre, che il governo riferisca in Parlamento sull’accaduto e sulla natura del centro di Elmas”. Anche per Paolo Ferrero (Federazione della sinistra), i fatti di Cagliari sono “l’ulteriore segno del fallimento delle politiche del governo in materia di immigrazione, basate esclusivamente sulla repressione e sulle espulsioni”. E per Luigi de Magistris (Idv), “questi centri vanno chiusi e il governo non può sfuggire da questa responsabilità, ma soprattutto deve sostenere il lavoro regolare, l’integrazione, la cittadinanza più facile, il voto amministrativo agli stranieri”. Critiche anche le associazioni. “Il terzo tentativo in soli undici giorni da parte di alcuni immigrati irregolari di evadere dal Centro di prima accoglienza di Elmas, ripropone il tema della utilità dei Centri e la loro effettiva funzionalità. - sostiene Antonio Russo, responsabile immigrazione delle Acli - le condizioni alle quali sono sottoposte le persone ospitate, ma soprattutto il tempo di permanenza che per la normativa vigente è di 180 giorni, richiede una revisione delle legge, che di fatto impone una privazione della libertà attraverso un soggiorno coatto. E tutto questo, se prolungato, può produrre situazioni come quella del Cpa di Cagliari”. Sulla stessa linea Marco Paggi, avvocato dell’Associazione di studi giuridici sull’immigrazione: “Da un alto si è triplicato il tempo di detenzione, dall’altro non si sono migliorate le condizioni di vita nei Centri. Oltretutto - aggiunge Paggi - al termine di questo percorso, molti degli immigrati trattenuti tornano in libertà. I dati sull’effettività delle espulsioni raccontano infatti di una forchetta tra il 40% e il 60% di migranti che non vengono rimpatriati”. Intanto, sul fronte immigrazione, si è registrato ieri un botta e risposta a Torino. Da un lato il sindaco della città, Sergio Chiamparino, che ha chiesto di concedere il voto alle elezioni amministrative anche agli stranieri residenti in Italia da almeno 5 anni. Dall’altro, il ministro dell’Interno Roberto Maroni, secondo il quale invece “la Costituzione dice che il diritto di voto spetta a chi ha la cittadinanza, non il permesso di soggiorno e questo è un limite invalicabile”. Kazakistan: condizioni inumane nelle carceri, dai detenuti automutilazioni per protesta Asia News, 12 ottobre 2010 Condizioni inumane nelle carceri, torture diffuse da parte delle guardie, indifferenza complice delle autorità. Grave denuncia di violazioni di diritti umani fondamentali nel Paese. Nel 2009 già lo aveva denunciato l’Onu. Oltre 100 detenuti kazaki si sono inferti ferite e hanno inviato le loro fotografie ai media con i telefoni cellulari, per protestare contro il trattamento disumano che subiscono. Lo denuncia Tanja Niemeier, membro della delegazione guidata dal Parlamentare europeo Joe Higgins, che a settembre ha incontrato alcuni ex detenuti. “Automutilarsi - dice ella all’agenzia Inter Press Service - è il solo modo che i detenuti hanno per protestare per le loro condizioni disperate”. Le strutture, in gran parte costruite nell’epoca sovietica come gulag, sono del tutto inadeguate, con celle dove sono ristrette 20 e più persone, la possibilità di fare la doccia solo ogni 2 settimane, scarso cibo. Ma i reclusi denunciano che sono comuni torture, percosse, violenze anche sessuali, come pure gratuite crudeltà di ogni tipo da parte delle guardie carcerarie. Protestare significa solo essere di nuovo percossi, o trasferiti in un carcere persino peggiore. Per questo per protesta arrivano ad aprirsi lo stomaco. Le autorità rispondono che non ci sono attuali proteste contro le condizioni carcerarie e che le ferite fotografate sono state inferte da gruppi criminali nelle prigioni. Ma la Niemeier insiste di avere avuto “la notizia dagli stessi detenuti e non c’è ragione per dubitarne”. Nel 2009 anche il Commissario speciale Onu per la Tortura, Manfred Nowak, ha concluso la sua ispezione nelle prigioni del Paese confermando l’uso di torture e osservando che le autorità locali avevano cercato di fargli apparire la situazione migliore del reale, ad esempio ripulendo le celle e mettendoci letti nuovi. Pure l’avvocato e difensore dei diritti umani Vadim Kuramshin, finito in carcere per calunnia ma poi rilasciato, ha denunciato di essere stato torturato e che le autorità sono del tutto disinteressate per quello che succede in prigione. Il Paese, ricco di energia, è stato spesso criticato per le violazioni contro i diritti umani ma il presidente Nursultan Nazarbayev, al potere dal 1991 che ha mantenuto anche dopo la fine dell’era sovietica, di recente ha cercato di accreditarsi un’immagine di maggior correttezza, anche perché il Paese ha ora la presidenza dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa. Niemeier vuole ora portare il problema all’attenzione dei parlamenti nazionali europei. E afferma che se le torture non cessano, si dovrebbe cancellare il summit Ocse previsto per dicembre. “I Paesi occidentali - conclude - cercano di non vedere le torture in Kazakistan, perché desiderano le risorse del Paese”, ricco di gas, petrolio e uranio.