Giustizia: si allunga l’iter del ddl sulle pene domiciliari, il testo dovrà tornare alla Camera Asca, 10 ottobre 2010 Tempi più lunghi del previsto per la conclusione dell’iter del ddl 2313 che prevede l’esecuzione presso il domicilio dei residui di pena non superiori ad un anno. Dopo l’ampio dibattito svoltosi sul testo già approvato dalla Camera e l’audizione del Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Franco Ionta, era stato proposto dal Presidente Berselli la riassegnazione in sede deliberante per procedere rapidamente al definitivo via libera. Il senatore Casson del Pd ha dichiarato che tutti i gruppi di opposizione giudicano inopportuno il trasferimento in deliberante, almeno in questa fase dell’esame. Il Sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo ha ribadito l’urgenza di queste misure come soluzione ponte per attenuare il sovraffollamento delle carceri visto che dall’audizione di Ionta è emerso che entro pochi mesi si renderà disponibile un congruo numero di nuovi padiglioni. Caliendo ha anche ricordato che il ddl 2313 alla Camera era stato approvato anche con il consenso delle opposizioni dopo aver recepito numerose proposte di modifica proposte dal Pd. Casson ha ribadito che il no al passaggio in deliberante non deriva da ragioni di immagine, ma da numerose perplessità sui contenuti dello schema normativo superabili con la presentazione di nuovi emendamenti. Anche il senatore Mazzatorta della Lega Nord ha annunciato proposte di modifica. Il Presidente Berselli ha, quindi, dichiarato che è conclusa la discussione generale e che è fissato per martedì 12 il termine per presentare richieste di ulteriori ritocchi all’articolato. Se queste modifiche fossero approvate il ddl dovrebbe tornare alla Camera per il definitivo avallo. Si prospetterebbero, quindi, ulteriori ritardi in grado di attenuare il reale impatto deflattivo delle nuove norme sul sovraffollamento degli istituti penitenziari. Giustizia: Cazzola (Pdl); bene risoluzione contro pena morte, ma nelle nostre carceri 50 suicidi 9Colonne, 10 ottobre 2010 “Oggi si celebra la giornata mondiale contro la pena di morte. Nei giorni scorsi la Camera, tra un tripudio di belle parole, ha votato alla unanimità una risoluzione in tal senso. Il fatto è che nelle carceri italiane, dall’inizio dell’anno, vi sono stati più di cinquanta suicidi. Non è anche questa una odiosa pena di morte di cui è in larga misura responsabile lo Stato?” Lo ha dichiarato Giuliano Cazzola, deputato del Pdl. Giustizia: Berselli (Pdl); servono accordi bilaterali per rimpatrio detenuti extracomunitari Agi, 10 ottobre 2010 La grave situazione in cui versano le carceri italiane messe a dura prova dal sovraffollamento e dalla carenza di operatori è stata al centro della due giorni del Convegno: “la pena e il carcere, diritti e rieducazione” organizzato a Bologna da Magistratura democratica. Tra i vari relatori, il presidente della commissione Giustizia al Senato, Filippo Berselli, ha posto l’attenzione sul numero dei detenuti, attualmente 70 mila, con un incremento di 700 unità al mese. Richiamando l’iniziativa tra il Governo italiano e quello libico sui clandestini, il senatore del Pdl, dopo aver spiegato che il 40% dei detenuti è rappresentato da extracomunitari, ha proposto come soluzione al sovraffollamento delle carceri circondariali l’istituzione di accordi bilaterali con i paesi di provenienza per far scontare la pena agli stranieri nel loro Paese d’origine. Inoltre, secondo Berselli, ci sono “troppi” detenuti in Italia che non hanno ricevuto una condanna definitiva. Ha chiuso i lavori il segretario nazionale di Md, Rita Sanlorenzo, la quale ha auspicato soluzioni condivise tra la politica e tutti gli attori coinvolti nel sistema carcerario. Il magistrato ha, infine, definito sbagliato un approccio di tipo settoriale che “va per competenze specifiche e che relega il carcere alle competenze della sola magistratura di sorveglianza”. Giustizia: Sappe; ennesimo detenuto suicida evidenza criticità del sistema penitenziario Ansa, 10 ottobre 2010 “Ancora morte in carcere, ancora un detenuto suicida per impiccamento. Quello di ieri nel carcere di Siracusa - dove si è ucciso un detenuto colombiano di 23 anni, in carcere perché ricorrente - non definitivo! -, è l’ennesimo fatto drammatico che testimonia ancora una volta l’urgente necessità di intervenire immediatamente sull’organizzazione e la gestione delle carceri, dove il numero esorbitante dei detenuti ricade pericolosamente sulle condizioni lavorative dei Baschi Azzurri del Corpo di Polizia Penitenziaria ed impedisce di svolgere servizio nel migliore dei modi. Come può un Agente, da solo, controllare 80/100 detenuti? Con un sovraffollamento di quasi 69mila detenuti in carceri che ne possono contenere a mala pena 43mila, accadono purtroppo anche questi tragici episodi. Non dimentichiamo che alcuni recenti orientamenti sul suicidio in carcere del Comitato nazionale per la Bioetica hanno autorevolmente sottolineato come la prevenzione del suicidio passa innanzitutto attraverso la garanzia del diritto alla salute (inteso, come oggi avviene, come promozione del benessere psicofisico e sociale della persona) e del diritto a scontare una pena che non mortifichi la dignità umana. Condizioni, oggi, assai precarie nel contesto penitenziario italiano. E si tenga conto che se la situazione non si aggrava ulteriormente è grazie alle donne e agli uomini del Corpo che, in media, sventano ogni mese 10 tentativi di suicidio (molte centinaia ogni anno) di detenuti nei penitenziari italiani. La percentuale stessa di suicidi in carcere in questi ultimi anni è attestato attorno ad un tasso del 9% calcolato su 10mila detenuti, tasso che nel periodo 1997-2001 fluttuava invece tra il 10 ed il 12,50%.” È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, dopo l’ennesimo suicidio di un detenuto. “È grave che la classe politica, dopo aver visitato in massa le carceri il 15 agosto dello scorso anno e di questo 2010, non sia ancora stata in grado di trovare soluzioni politiche e amministrative al tracollo del sistema penitenziario italiano come invece trovò nel 2006 con la legge - fallimentare - dell’indulto. Rinnoviamo oggi ai tanti rappresentanti dei cittadini, in particolare a quelli che si sono recati in visita nelle carceri, l’invito e il monito a non sottovalutare la portata storica del loro gesto. Il Corpo di Polizia Penitenziaria ha mantenuto fino ad ora l’ordine e la sicurezza negli oltre duecento Istituti penitenziari a costo di enormi sacrifici personali, mettendo a rischio la propria incolumità fisica, senza perdere il senso del dovere e dello Stato nonostante vessati da continue umiliazioni ed aggressioni, da parte di una popolazione detenuta esasperata dal sovraffollamento. Proprio a Siracusa - sottolinea infine Capece - il 30 settembre scorso erano detenute 540 persone a fronte dei 309 posti letto regolamentari”. Giustizia: lo Stato offre 2 milioni di € come risarcimento a famiglia di Federico Aldrovandi La Repubblica, 10 ottobre 2010 Lo Stato ha deciso di risarcire la famiglia di Federico Aldrovandi, il ragazzo morto a Ferrara durante un controllo di polizia il 25 settembre 2005: ai familiari andranno quasi due milioni, ma in cambio lo Stato chiede loro di non costituirsi parte civile nei procedimenti ancora aperti sulla vicenda. “E’ un passo importante - dice Patrizia Moretti, la madre del ragazzo - una tragedia così non si chiuderà mai, Federico non ce lo restituirà mai nessuno, ma l’importante è che la sua memoria sia quella giusta. Quello che mi interessava era far sapere quello che è successo, e questo è un obiettivo raggiunto”. Per uno dei legali della famiglia, Fabio Anselmo, che ricorda come il ministero dell’Interno non è mai stato citato come responsabile civile, la decisione di accordare il risarcimento “è un’ammissione di responsabilità di indubbia valenza. Dal punto di vista umano sono dispiaciuto, avrei voluto essere in appello. Ma capisco la fatica della famiglia per tutta questa battaglia”. Le responsabilità penali restano in capo agli imputati: i quattro poliziotti di pattuglia quella mattina sono stati condannati in primo grado per eccesso colposo in omicidio colposo, e altri tre loro colleghi sono stati condannati per il depistaggio delle indagini (per un altro il processo è ancora in corso). “Oggi si può cominciare a parlare di pacificazione”, dice ancora l’avvocato Anselmo, ricordando che la famiglia del ragazzo “non ha mai avuto un atteggiamento di contrapposizione nei confronti della polizia, ma ha solo lottato perché fosse ristabilita la verità”. Intanto a Ferrara si lavora per dar vita ad un’associazione delle vittime delle forze dell’ordine. “L’idea è nata per aiutare chi si è trovato in una situazione simile alla nostra - spiega la mamma di Federico - lo scopo è chiedere aiuto allo Stato perché non lasci solo chi si trova in difficoltà”. Firenze: Sollicciano è invivibile, il Magistrato mette sotto accusa l’amministrazione penitenziaria di Massimo Mugnami Il Nuovo Corriere di Firenze, 10 ottobre 2010 Sollicciano scoppia, la magistratura si muove e l’amministrazione penitenziaria finisce sotto accusa. Il magistrato di sorveglianza Stefano Tocci ha accolto il reclamo presentato dai detenuti di Sollicciano sulla messa in mora dell’amministrazione penitenziaria del carcere fiorentino, “ritenendone fondati i motivi”: sovraffollamento -1.022 detenuti per una capienza regolare di 497 -, condizioni igienico-sanitarie precarie (come rilevato dal sopralluogo della Asl di Firenze del 21 aprile scorso), ridotta possibilità di attività trattamentali lavorative, scolastiche e sportive. Gli estremi di violazione delle leggi e dei regolamenti penitenziari, secondo Tocci, ci sono tutti: “Le condizioni di detenzione - si legge nella disposizione - risultano in contrasto con la legge 354/75 e il dpr 230/2000”. Il magistrato fiorentino ha rilevato anche “l’insufficienza delle risorse finanziarie e del personale penitenziario”, educatori e psicologi in primis. Il provvedimento ha raccolto il “vivo apprezzamento” del garante dei diritti dei detenuti di Sollicciano, Franco Corleone, che nel frattempo ha ripreso lo sciopero della fame per il raggiungimento di quelli che definisce “obbiettivi minimi”: un livello di presenze sotto quota mille; la garanzia dell’esame da parte del Senato del disegno di legge sulle “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”, che interesserebbe circa 1.000 detenuti toscani; la costituzione dì un tavolo regionale per la riforma del carcere e per la valutazione della sanità negli istituti di pena. Corleone chiede anche che almeno un centinaio di detenuti tossicodipendenti possano uscire da Sollicciano per essere rimessi ad altre strutture sanitarie, il completamento del piano materassi, la nomina di un garante regionale per i detenuti e il ripristino della presenza integrale della scuola chiusa a settembre: “Come si fa a parlare di rieducazione nelle carceri se tolgono l’educazione, se i detenuti sono ammassati come sardine e passano 22 ore al giorno a non fare niente?”. Al Comune, che il 28 agosto scorso con provvedimento dirigenziale aveva già intimato all’amministrazione penitenziaria di avviare i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria dì Sollicciano, Corleone chiede infine “L’attivazione di una casa per il reinserimento dei semiliberi, peri detenuti in regime di art. 21 e per quelli in permesso premio”: misura che alleggerirebbe non poco il sovraffollamento di un carcere in cui gli stranieri (nordafricani, albanesi, romeni e polacchi) sono più della metà e il 60% dei detenuti è tossicodipendente o legato a reati connessi alla tossicodipendenza. Cagliari: giudici, politici e associazioni contro il taglio delle spese mediche per i detenuti L’Unione Sarda, 10 ottobre 2010 Buoncammino si prepara al trasferimento dei detenuti malati cronici. Dopo l’annuncio della sospensione per mancanza di fondi delle prestazioni del Centro clinico del carcere cagliaritano, medici, educatori e agenti del ministero di Giustizia stanno esaminando le cartelle cliniche dei reclusi per valutare lo spostamento in istituti della penisola. L’assessore regionale alla Sanità Liori prova ad tamponare l’emergenza con un finanziamento sufficiente almeno ad arrivare a fine anno. Poi sarà di nuovo dramma. Politici, magistrati e associazioni chiedono il passaggio immediato di consegne della Sanità penitenziaria dallo Stato alla Regione, bloccato tra le sabbie mobili del Consiglio regionale. Anna Cau, presidente regionale dell’Associazione nazionale magistrati, in una nota afferma la preoccupazione e l’allarme per la riduzione delle prestazioni mediche, infermieristiche e specialistiche e la sospensione dei ricoveri al Centro clinico e al reparto di osservazione psichiatrico. “Tale situazione è imputabile alla stasi, nella nostra Regione, del processo di adeguamento normativo reso necessario dalla scelta del legislatore nazionale di assorbire la sanità penitenziaria nell’ambito del sistema sanitario regionale; scelta che pure ha avuto il merito di considerare i detenuti alla stregua degli altri cittadini”. L’Anm evidenzia che “a differenza di tutte le altre regioni a esclusione della Sicilia”, in Sardegna non si sono ancora realizzate “le condizioni per il passaggio di competenze, con la conseguente imminente paralisi delle attività di diagnosi e cura per centinaia di detenuti”. Franca Pretta Sagredin e Maria Laura Maxia, del Tribunale per i diritti del malato, denunciano come “la mancata approvazione del passaggio delle competenze risulta ancora più grave se si considera che il ministero di Giustizia, a decorrere dal prossimo anno, cesserà di finanziare l’assistenza sanitaria nelle carceri e che quest’anno la Regione non ha concesso alcun finanziamento”. Per l’associazione, i detenuti non possono più attendere. “Ogni ulteriore atteggiamento dilatorio verrà denunciato affinché possa essere valutato un eventuale commissariamento della Giunta regionale”. Michele Cossa è componente della Prima commissione del Consiglio regionale che ha dato parere negativo al piano sul passaggio di competenze tra Stato e Regione presentato dalla Commissione paritetica. “È evidente che c’è stata una generale sottovalutazione del problema. Ciò che si sta verificando accentua le tensioni e complica ulteriormente le condizioni di vita dei detenuti e di lavoro degli agenti e del personale”. Maria Grazia Caligaris, di Socialismo diritti riforme, annuncia battaglia legale per accertare eventuali responsabilità nella diatriba tra Governo e Consiglio regionale. “Il permanere del blocco della spesa sanitaria provoca un ingente danno all’erario”. L’assessore regionale alla Sanità Antonello Liori dice di non avere altri obblighi se non “quello morale”. Il problema è per il futuro. “Tra le Regioni italiane c’è una compensazione delle spese mediche per i detenuti, ma chi paga le spese per gli stranieri? Servono certezze”. All’orizzonte un provvedimento tampone. “Tra pochi giorni avrò a disposizione 500 mila euro, la somma necessaria per arrivare a fine anno”. Per il momento solo parole. “Lunedì incontrerò il direttore di Buoncammino per formalizzare il provvedimento”. Mercoledì, a Roma, è previsto un incontro della Commissione paritetica. “Chiuderò un’accelerazione della procedura”, afferma Anna Maria Busia, componente dell’organismo. Cagliari: Espa (Pd); Consiglio regionale bocciò emendamento sull’assistenza sanitaria ai detenuti Agi, 10 ottobre 2010 “Il 3 agosto scorso la maggioranza in Consiglio regionale, con il benestare della Giunta, ha bocciato un emendamento del Pd che avrebbe permesso di affrontare la questione dell’assistenza sanitaria penitenziaria, salvaguardando i diritti umani dei detenuti”. Lo ricorda il consigliere regionale del Pd, Marco Espa, a proposito della situazione critica nelle carceri sarde, dove è a rischio l’assistenza sanitaria ai reclusi. “I soldi erano pronti fin da agosto, come anticipazione dei fondi statali”, osserva Espa. “È inutile dire ora in emergenza metteremo 500.000 euro o dire che il caso è sottovalutato e non dire nulla sulle proprie responsabilità. Noi avevamo dato valore alla questione ed eravamo intervenuti con uno strumento concreto”. L’emendamento alla manovra correttiva bocciato dall’Aula prevedeva lo stanziamento di un milione di euro per assicurare il servizio, come anticipazione sui futuri trasferimenti da parte dello Stato, nelle more del trasferimento dell’assistenza dal ministero della Giustizia al servizio sanitario nazionale per il tramite della Regione. Taranto: Radicali; detenuto ammalato di tumore non viene trasferito in ospedale, è morte annunciata Ansa, 10 ottobre 2010 Secondo il Comitato nazionale radicali Italiani, “oltre a Michele Misseri, reo confesso dell’omicidio di Sara Scazzi, che ha minacciato il suicidio ed è stato a sua volta minacciato dagli altri detenuti, nell’istituto penitenziario di Taranto, anche se sconosciuto alle telecamere vi è un altro caso di morte annunciata”. La afferma in una nota Annarita Digiorgio, membro del comitato, che riferisce del caso di Christian Bianchini, un detenuto di 28 anni, che è da tempo affetto da tumore al fegato. Agli inizi di settembre - riferisce nella nota - il magistrato di Sorveglianza gli ha concesso la detenzione in ospedale e ne ha ordinato l’immediato trasferimento a Palermo per essere ricoverato al centro clinico Ismet la cui direzione sanitaria si è detta disponibile ad accoglierlo e sottoporlo ad intervento chirurgico per l’asportazione del tumore. Incredibilmente - aggiunge - è però accaduto che l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza non abbia trovato esecuzione nonostante l’immediata notifica alla direzione della casa circondariale e per conoscenza alla Corte d’Appello di Catania”. Taranto: la politica si mobilita per non far morire Christian Ansa, 10 ottobre 2010 I deputati del Pd, Rita Bernardini e Giuseppe Berretta, martedì presenteranno un’interrogazione urgente al governo sulla incresciosa situazione di cui è vittima il detenuto siracusano, che, per incomprensibili motivi, non riesce a raggiungere la casa di cura dell’Ismet di Palermo, come disposto dal Magistrato di Sorveglianza di Taranto. Sulla vicenda di Christian, oltre all’interrogazione parlamentare, il consiglio provinciale, nella seduta del 5 ottobre, ha votato all’unanimità una mozione presentata da Carmelo Spataro, capogruppo del Pd. “Venuto a conoscenza, da notizie di stampa pubblicate nel quotidiano La Sicilia in data odierna, della grave situazione determinatasi nei confronti di un detenuto. Sempre da tali notizie si apprende che il detenuto Christian Bianchini di anni 28, è allo stato affetto da una grave patologia che compromette seriamente le proprie condizioni di vita; che dallo stesso detenuto è stato ottenuto agli inizi del mese di settembre il provvedimento di immediato trasferimento ospedaliero nella città di Palermo per essere ricoverato al centro clinico Ismet; che nonostante sia trascorso più di un mese e le condizioni di salute del detenuto si sono ulteriormente aggravate tanto da comprometterne la vita, il provvedimento di trasferimento non è ancora stato eseguito in quanto, sempre da quanto si apprende dalle notizie di stampa, permangono carenze di risorse finanziarie necessarie ed indispensabili a sostenere i costi di trasferimento dello stesso detenuto. Preso atto che la nostra Costituzione e lo stesso ordinamento penitenziario vigente stabiliscono, senza se e senza ma, che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono assicurare il rispetto della dignità umana: invita il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro della Giustizia, il Dap, i Deputati della Circoscrizione Orientale della Sicilia, il Garante del Detenuti, ad assumere con urgenza ogni iniziativa utile a scongiurare la compromissione di una vita umana accertando nello stesso tempo eventuali responsabilità di carattere amministrativo e penale che da tale vicenda possono emergere”. Belluno: Toscani (Lega); detenuto è arrivato all’ospedale in coma, ma non per una overdose Il Corriere delle Alpi, 10 ottobre 2010 Non sarebbe stata un’overdose di droga a ridurre in stato comatoso Simone nel carcere di Baldenich. Lo dicono il consigliere regionale Toscani, reduce da un giro in carcere, e la direttrice Mannarella. Ma sulla vicenda ora si aprono nuovi interrogativi. Le analisi del sangue disposte sul ragazzo sono state rese pubbliche in una maniera decisamente atipica, ovvero attraverso una nota stampa diffusa nel primo pomeriggio di ieri dall’esponente leghista. “L’aggravamento delle condizioni di salute del giovane detenuto”, afferma Toscani perentoriamente, “non sono riconducibili in alcun modo all’assunzione di sostanze stupefacenti, al contrario di quanto è emerso in questi giorni dalle cronache locali”. Certo è però che erano stati gli stessi sanitari del pronto soccorso di Belluno a prendere per i capelli il giovane attraverso la somministrazione di Narcan, un antidoto anti-oppiaceo utilizzato solitamente nei casi di overdose da droga. E questo, prima di ricoverarlo in rianimazione. Allontana i sospetti la direttrice dell’istituto di pena, Immacolata Mannarella. “Si è stabilito che non è overdose da sostanze stupefacenti”, dice al telefono nel tardo pomeriggio. “Noi lo avevamo detto fin dall’inizio”. Mannarella non entra nel merito della vicenda per ovvi motivi di privacy: “Posso dire che il detenuto era seguito e curato con i farmaci che gli erano stati prescritti”. Quello che si capisce quindi è che il diciannovenne feltrino era già monitorato presso l’istituto di pena. A monte, con ogni probabilità, ci sarebbe una malattia derivante da immunodeficienza. Restano però molti interrogativi, come rimarcato dalla madre del ragazzo in questi giorni. Simone è arrivato in ospedale in condizioni davvero critiche. Se è vero che era sottoposto a una cura, bisognerebbe capire cosa abbia provocato il precipitare della situazione, se una questione di quantità o di qualità delle sostanze ingerite. Il giovane intanto è stato dimesso ed è ritornato in carcere. E la mamma ha chiesto di vedere le cartelle cliniche. Altro capitolo, anche se parallelo, è costituito dalle condizioni della struttura: “La situazione”, dice Toscani, dopo la visita a Baldenich, “non è drammatica, anche se ci sono criticità soprattutto nell’ala maschile dove serve una profonda ristrutturazione. Spero che i fondi promessi da Roma arrivino in via definitiva”. Toscani dice anche che non mancano le iniziative di recupero e re-inserimento, discostandosi nei fatti dal quadro tracciato dai sindacati. Non manca la sottolineatura: “I due terzi della popolazione è costituita da extracomunitari. Dovrebbero scontare la pena nei paesi d’origine. Solo così si ridurrebbe il problema del sovraffollamento”. Roma: detenuti in sciopero della fame per protesta contro pena di morte e condizioni di detenzione Ansa, 10 ottobre 2010 Sciopero della fame oggi, in occasione della giornata europea contro la pena di morte, nel carcere romano di Rebibbia Nuovo complesso. Lo hanno organizzato i detenuti, come informa l’Associazione Antigone, per protestare contro la pena di morte e le condizioni di detenzione nelle carceri italiane, ma anche contro l’ergastolo. Allo sciopero della fame hanno dato la loro adesione il 90 per cento dei detenuti del G8 (il reparto penale del carcere romano), molti altri detenuti degli altri reparti e loro familiari. Patrizio Gonnella, il presidente di Antigone, l’associazione che si batte per i diritti nelle carceri, spiega: “Siamo vicini ai detenuti in ogni forma di civile protesta nonviolenta, contro le disumane condizioni di detenzione nelle carceri italiane e la scandalosa indifferenza delle autorità politiche e di Governo”. Trento: Sinappe; il nuovo carcere pronto ad aprire, ma gli agenti sono la metà del previsto Trentino, 10 ottobre 2010 “In meno di due mesi, con il sovraffollamento delle carceri italiane (oggi la popolazione detenuta è di 70 mila persone, ndr), il nuovo carcere di Spini arriverà a 400-500 detenuti a fronte di 250 posti”. È la nera previsione di Roberto Santini, segretario generale del Sinappe il sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria, ieri a Trento per visitare la nuova struttura e per incontrare il personale. Entro fine novembre è previsto il trasferimento a Spini dei detenuti del carcere di via Pilati. Con l’arrivo a Trento dei 25 nuovi agenti annunciati dal ministero, il personale arriverà a 105-110 unità, ben lontane dalle 280 previste in pianta organica, che secondo Santini “non basterebbero nemmeno”. L’atteso trasloco, che dovrebbe garantire condizioni di vita dignitose ai detenuti oggi reclusi in una struttura fatiscente e sovraffollata, continua dunque a sollevare forti preoccupazioni tra i poliziotti penitenziari, che ritengono del tutto inadeguato il personale previsto per garantire livelli minimi di sicurezza nel nuovo carcere. Timori già espressi nei mesi passati anche dalla direttrice del carcere Antonella Forgione, che aveva sollecitato la chiusura del carcere di Rovereto in modo da ottimizzare le risorse. Contrario il Sinappe, che chiede invece di aumentare la dotazione di agenti. Agrigento: Progetto europeo per i detenuti, delegazione di 6 Paesi in visita alla Casa circondariale La Sicilia, 10 ottobre 2010 Rappresentanti di associazioni di sei diverse nazioni europee hanno visitato, nella giornata di ieri, la locale Casa circondariale nell’ambito di un progetto internazionale denominato “Education in prison” che mira ad individuare le metodologie artistiche e culturali che migliorano l’autostima tra i detenuti. Il progetto prevede la partnership tra i rappresentanti di Italia, Portogallo, Norvegia, Romania, Spagna e Irlanda e il coinvolgimento dei dirigenti degli istituti penitenziari dei paesi di provenienza. Ieri, presso la casa circondariale di Sciacca, si è svolta parte della giornata conclusiva delle attività di progetto. “Lavorando nel contesto dell’istruzione in carcere - dice la responsabile del progetto, Irene Persia - abbiamo individuato le metodologie artistiche e culturali che migliorano l’autostima. La finalità del progetto voluto dall’Unione europea - continua - è lo scambio di buone prassi in ambito di rieducazione penitenziaria tra diversi Paesi partner, nell’ottica di sviluppare delle attività educative rivolte ai detenuti, atte a favorire la crescita di autostima e il reinserimento nella società”. Accompagnati dal direttore della casa circondariale, Fabio Prestopino, i componenti della delegazione europea hanno visitato la struttura penitenziaria e partecipato alle attività di laboratorio. A Sciacca nel corso degli anni sono state realizzate diverse attività, dal teatro alla gastronomia, dallo sport alla ceramica. “Noi - dice ancora la Persia - abbiamo voluto sviluppare delle attività che si sono concluse di volta in volta con un seminario. Il progetto ha la durata di tre anni e si concluderà nel 2011 in Norvegia. I risultati costituiranno la base dei consigli del progetto, che verranno pubblicati sul sito web appositamente realizzato”. “Un’occasione - ha commentato il direttore del carcere saccense - per dare trasparenza alla nostra struttura ed alle attività che in essa vengono svolte”. Irene Persia, infine, fornisce anche un giudizio sulla struttura carceraria saccense, ritenuta spesso inadeguata: “In questo momento non mi pare che ci siano problemi di soprannumero - conclude - fatto i dovuti paragoni con le carceri degli altri Paesi, non ci sono, a parte la Norvegia, particolari situazioni di criticità”. Il penitenziario dove si protesta di più in Italia Il carcere di contrada Petrusa con i suoi quasi 500 “ospiti” è quello “in cui si tengono più frequentemente manifestazioni di protesta da parte dei detenuti”. Non lo dice uno di questi reclusi, tramite magari il proprio avvocato, ma lo dice Franco Ionta, il capo del Dap, l’organismo che sovrintende alla corretta gestione delle carceri nella penisola. Nella casa circondariale al confine tra Agrigento e Favara, sono al momento rinchiusi tra le 450 e le 500 persone, in condizioni a dir poco precarie, con celle nate per ospitare al massimo due persone, che invece sono ad oggi capaci di contenere anche 3 o 4 esseri umani. Queste persone, ogni tanto e, secondo Ionta, più spesso rispetto al resto del bel paese, danno sfogo alla loro rabbia e alla loro stanchezza, protestando. Tale protesta dentro un penitenziario si manifesta in modi assai vari, entro certi limiti, ovviamente. Alcuni non approfittano dell’ora d’aria, scegliendo di rimanere in cella, altri non lavorano, “scioperando” dalle attività che alcuni sono autorizzati a svolgere per motivi di opportunità particolari. C’è poi la tradizionale “spadellata” sulle sbarre d’acciaio delle celle, rumoreggiando fragorosamente contro il vitto e, certamente l’alloggio di una casa circondariale nata per raccogliere non più di 200 detenuti, e oggi ben oltre i limiti. A legittimare, se ce ne fosse stato bisogno, una condizione di gravissimo disagio e pericolosità ci ha dunque pensato lo stesso capo del Dap, in un’intervista rilasciata al telegiornale di un’emittente nazionale. L’unico dato “positivo” è che tra due o tre anni ci sarà un nuovo padiglione capace di ospitare altri 400 detenuti. I lavori per tale opera sono iniziati da pochi giorni. Resta il disagio dei reclusi, secondo Ionta, i più turbolenti d’Italia, gestiti con la consueta attenzione dalla polizia penitenziaria, specializzatasi nell’operare in una polveriera. Cosenza: ritrovati due telefonini nel carcere, si indaga per scoprire chi li ha utilizzati Gazzetta del Sud, 10 ottobre 2010 Dai tabulati e dall’individuazione delle celle di chiamata si risalirà agli utilizzatori e ai loro contatti esterni. Le luci s’accendono improvvisamente nel reparto di sicurezza della casa circondariale “Cosmai” di Cosenza e illuminano i corridoi nella notte. I detective della polizia penitenziaria, guidati dal commissario Vincenzo Paccione, cominciano a perquisire tutte le stanze. Gli agenti guardano negli angoli più remoti, cercano qualcosa d’interessante. Una speranza che diventa certezza dopo aver frugato pazientemente dappertutto. Ben nascosti in quei locali, infatti, gli agenti scovano due telefoni cellulari, completi di scheda sim, probabilmente destinati a qualcuno degli ospiti della struttura carceraria di via Popilia. Un blitz scattato al termine d’una elaborata attività d’intelligence che ha permesso agli 007 penitenziari di scovare i due apparecchi. Il resto dell’operazione è coperta dal riserbo istruttorio e fa intuire possibili sviluppi anche in tempi brevi. L’inchiesta della polizia penitenziaria punta a scoprire il sistema utilizzato per introdurre furtivamente i due telefonini. E, soprattutto, a verificare eventuali ed ipotetiche complicità interne. I cellulari sono stati, naturalmente, sottoposti a sequestro e verranno analizzati dagli esperti delle investigazioni scientifiche delle “divise azzurre”. una dettagliata informativa è stata inviata al capo dei pm Dario Granieri che, dopo averne analizzato i contenuti, l’ha girata al sostituto Salvatore Di Maio per gli approfondimenti tecnici. Attraverso la lettura dei tabulati e lo studio delle celle si cercherà d’individuare il luogo esatto degli eventuali contatti esterni e da loro risalire agli utilizzatori dei telefonini e accertare possibili complicità. Si tratta d’un lavoro d’intelligence assai complicato ma, evidentemente, indispensabile per fare piena luce sulla vicenda. I detective della polizia penitenziaria non sono nuovi a operazioni di questo tipo. Già qualche mese scoprirono che, attraverso alcuni dipendenti d’una ditta esterna, i detenuti avrebbero pasteggiato con aragoste, gamberi e champagne e nutrivano il loro corpo con creme di bellezza. Le investigazioni degli agenti puntarono verso quei tre impiegati che avrebbero avuto il ruolo d’approvvigionare i reclusi. Anche in quel caso, la Procura avviò una inchiesta e il fascicolo venne affidato al pm Antonio Cestone che indagò per frode nelle pubbliche forniture. Lo stesso magistrato s’era occupato, lo scorso anno, di un’altra indagine su alcune lettere all’hascisc inviate a uno dei detenuti ospiti della casa circondariale “Cosmai”. Era stato, ancora una volta l’intuito dei detective penitenziari a smascherare il tentativo, risultato vano, d’introdurre droga all’interno dell’istituto di pena di via Popilia. Grazie all’esperienza del personale in servizio nella casa circondariale, la “roba” venne intercettata e sequestrata. I poliziotti avevano scoperto che al posto della normale corrispondenza nei plichi c’era hascisc per un quantitativo complessivo di poco superiore a mezzo etto. A distanza di qualche mese, però, Dopo aver constatato l’insussistenza di elementi tali da poter esercitare l’azione penale nei confronti di eventuali responsabili, il pm Cestone ha mandò in archivio il fascicolo aperto contro ignoti. Cagliari: concluso il “Premio Carlo Castelli per la solidarietà” riservato a detenuti-scrittori L’Unione Sarda, 10 ottobre 2010 “Del carcere non si parla, mentre queste iniziative servono a quanti stanno scontando una pena, anche con fierezza, e hanno il desiderio di ricominciare”. Nelle parole di Francesco Antonio Garaffoni, primo classificato, c’è il senso del “Premio Carlo Castelli per la solidarietà” riservato a detenuti-scrittori, adulti e minori italiani: “Speranze e timori del dopo carcere”. Giunto alla terza edizione il concorso è promosso dalla Federazione nazionale società di San Vincenzo De Paoli e la Fondazione Federico Ozanam. Oltre 250 i componimenti selezionati dalla giuria presieduta dal vaticanista Giancarlo Zizola che ha assegnato tre premi più dieci speciali. La premiazione si è svolta venerdì nel carcere Buoncammino. Tra le segnalazioni della giuria, un riconoscimento particolare alla cagliaritana Marianna Sanna. Libri: “Vorrei dirti che non eri solo”, di Ilaria Cucchi e Giovanni Bianconi Corriere della Sera, 10 ottobre 2010 La morte di Stefano Cucchi è un delitto di Stato. Comunque sia andata. All’inizio i pubblici ministeri che indagavano su quel decesso hanno ipotizzato l’omicidio, preterintenzionale e colposo. Poi si sono corretti contestando una serie di altri reati, dalle lesioni alle omissioni, dal favoreggiamento fino all’abbandono di persona incapace di provvedere a se stessa. Cambia poco. Anche se tecnicamente il termine “omicidio” è scomparso dai capi d’imputazione, quella vicenda non è stata né un suicidio né una disgrazia, bensì la conseguenza di comportamenti altrui che hanno spezzato la vita di un giovane uomo, tossicodipendente e detenuto. Dunque resta un delitto. E “di Stato”, indipendentemente dalle responsabilità dei singoli, se mai verranno accertate. Perché Stefano Cucchi è morto mentre era custodito dalle istituzioni e da suoi rappresentanti. Dall’arresto fino all’ultimo respiro è passato attraverso caserme, camere di sicurezza, carceri, reparti penitenziari di ospedali. Strutture pubbliche nelle quali non era padrone di se stesso. Dal momento in cui è uscito di casa con le manette ai polsi, responsabile del suo destino è diventato lo Stato; anche di una fine arrivata in modo assurdo e apparentemente inspiegabile. I delitti di Stato sono difficili da risolvere. Di solito restano avvolti nel mistero, tra dubbi non chiariti e domande senza risposte. Tutto si confonde in una nebulosa dove ogni protagonista chiamato in causa può invocare giustificazioni malferme o ambigue ragioni, che lasciano nell’incertezza ciò che davvero è accaduto. È arduo riuscire a diradare le nebbie e distinguere i fatti quando lo Stato è chiamato a inquisire e giudicare se stesso, con il rischio di cedere a indulgenze o inciampare in ostacoli frapposti da qualche sua struttura. Nel caso specifico, già non è semplice stabilire un nesso consequenziale tra una condotta e un evento, tra i comportamenti delle diverse persone che hanno avuto a che fare con quel singolo detenuto e la sua morte. Quando poi condotte e soggetti sono più d’uno, e possono avvalersi dell’alibi della burocrazia che quasi sempre viene invocato all’interno delle rispettive istituzioni d’appartenenza, tutto diventa più complicato. Ne deriva che è difficile arrivare alla verità sulla morte di Stefano Cucchi, nonostante sia giunta in un breve arco di tempo e non siano molte le persone che hanno avuto a che fare con quel corpo resti-tuito nelle terribili condizioni che tutti hanno potuto vedere, per decisione e determinazione della sua famiglia. Non c’è quasi nulla che non appaia illogico e tragicamente grottesco, in quello che è successo prima, durante e dopo la fine dì Stefano. Ecco perché è importante conoscere le motivazioni e le singole pieghe della battaglia avviata dalla famiglia Cucchi, di cui Ilaria è diventata il simbolo; ed ecco perché ho accettato la richiesta di aiutarla nella ricostruzione e nel racconto dì questa storia. Non si può rimanere indifferenti di fronte a un delitto di Stato che avrebbe rischiato dì restare non solo impunito, ma addirittura sconosciuto se la mamma, il papà e la sorella della vittima non avessero deciso di combattere un minuto dopo aver appreso che Stefano era morto; in un ospedale-prigione dove si trovava da giorni, senza che loro riuscissero a sapere perché. Non sarebbe stato il primo caso a rimanere chiuso nel cassetto dei segreti di Stato - non quelli formalmente apposti, con tanto di timbro a suggello di qualche grande intrigo, bensì quelli mai dichiarati, che diventano tali nel disinteresse generale, su piccole e disgraziate vicende di anonimi cittadini- né probabilmente l’ultimo. Ma proprio perché stavolta s’è accesa una luce, e s’è avviato un percorso anche giudiziario, questa storia può forse aiutare a spezzare una lunga catena, conosciuta solo in parte. C’è un altro aspetto che rende particolarmente significativa la battaglia di Ilaria Cucchi e quel che re-sta della sua famiglia. Lei e Ì suoi genitori sono persone che - come tanti, come la grande maggioranza degli italiani, comunque la pensino - hanno sempre avuto fiducia nelle istituzioni, nei suoi rappresentanti e gestori. Hanno sempre pensato che, pur con tutte le sue disfunzioni e inefficienze, la macchina statale fosse dalla loro parte. Sono sempre stati cittadini esemplari, sotto questo punto di vista. All’improvviso, però, la Cosa Pubblica che ha inghiottito Stefano è diventata una controparte, ostile e chiusa a protezione di se stessa. E loro, rimanendo cittadini esemplari anche nel dolore e nell’ingiustizia subita, hanno scelto di pretendere che quella stessa Cosa Pubblica facesse giustizia di ciò che è accaduto. Senza strepiti, ma senza sconti. Che ci riescano, è interesse di tutti. In ogni caso resteranno un monito per lo Stato di cui sono parte, che ha preso vivo un loro congiunto e gliel’ha riconsegnato cadavere, e per tutti coloro che a quello Stato appartengono, rappresentanti o semplici rappresentati, amministratori o amministrati. Anche per questo vale la pena conoscere la storia raccontata da Ilaria Cucchi. Droghe: Alfano; consumatori di cocaina aumentati del 250%, in carcere 15mila tossicodipendenti Agi, 10 ottobre 2010 “Il problema droga è una sfida globale che richiede una risposta globale”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al forum “Dipende da noi” nell’ambito della manifestazione “WeFree Day” a San Patrignano, la comunità fondata da Vincenzo Muccioli che il ministro ha visitato per la prima volta in occasione della giornata dedicata alla prevenzione. “Il Paese paga per la tossicodipendenza un costo in termini di processi, situazione detentiva, sicurezza sociale e assistenza - ha spiegato Alfano - ma la somma di questi quattro costi non è nulla rispetto al costo più grande in termini di infelicità, al rischio di una generazione di giovani declinante, sempre più incapace di sperare”. Qualche dato fornito dal ministro: in ambito carcerario il 23% dei detenuti è tossicodipendente, su 68mila ben 15mila sono tossicodipendenti, i consumatori di cocaina sono passati dal 2001 al 2010 da 400mila persone a 1 milione”. Per Alfano, “la lotta alla droga richiede impegno sinergico e globale, che preveda una cooperazione giudiziaria di latitudine mondiale”: un impegno di lungo periodo che richiede “una risposta educativa; assistenza e contrasto criminale” ma anche “una fase centrale dedicata al reinserimento”, perché “bisogna tornare a inoculare nelle nuove generazioni l’orgoglio e la voglia di vivere”. Con il ministro italiano, sulla globalità del problema droga ha concordato Carlos Enrique Robledo Solano, vicedirettore della Direzione Nazionale Antinarcotici della Colombia, spiegando che oggi il suo Paese “non è più solamente produttore ma anche, per la prima volta, consumatore medio”. “Il problema del narcotraffico ha assunto una dimensione globale che necessita una risposta globale, dove tutti i soggetti in causa - ha detto ancora Solano - devono contribuire ad una azione condivisa. Ritengo - ha concluso - che la comunità di San Patrignano possa essere in tempi brevi replicata anche nel nostro Paese come modello di efficacia nell’ambito delle politiche di prevenzione al consumo”. Sulla stessa lunghezza d’onda Alexander Schmidt, rappresentante regionale Unodc per l’Africa Occidentale e Centrale, intervenuto al forum. “Il problema droga è ormai globale - ha spiegato - ma in Africa Occidentale la situazione è attualmente peggiorata, il mercato si è spostato dagli Stati Uniti all’ Europa per un motivo molto semplice, il business. In Africa Occidentale non c’era fino a qualche tempo fa mercato interno, ora sì e per due motivi: la droga arriva principalmente perché c’è una forte corruzione e perché i cartelli di narcotrafficanti hanno reclutato bambini e ragazzi da utilizzare come corrieri da spedire in Europa. La loro retribuzione consiste in dosi di cocaina e eroina che hanno portato a picchi altissimi di tossicodipendenza. Del resto - ha concluso - un poliziotto in Guinea Bissau guadagna 75 euro al mese, mentre un grammo di cocaina costa 17 euro, a Dakar, la città in cui vivo, costa 53 euro al grammo”. Iran: Nessuno tocchi Caino; oltre a Sakineh ci sono tredici condannati alla lapidazione Agi, 8 ottobre 2010 Oltre a Sakineh sono tredici i condannati alla lapidazione in Iran. Lo afferma un dossier di Nessuno tocchi Caino, che sarà presentato domani in occasione della Giornata mondiale contro la pena di morte Inclusa la donna presa come simbolo dalla comunità internazionale, i condannati sono tre uomini e undici donne, e la pena loro comminata è legata all’accusa di adulterio, elemento che distingue i loro casi da quello di Teresa Lewis, la donna giustiziata negli Stati Uniti che Mahmoud Ahmadinejad ha indicato come esempio di ipocrisia dell’Occidente, a suo dire pronto a giudicare il regime degli ayatollah e dimentico della propria ferocia. Tra le donne condannate vi sono Kobra Babaei, come Sakineh detenuta nel carcere di Tabriz, madre di una bambina di 13 anni e il marito, Rahim Mohammadi, anche lui condannato alla lapidazione, è stato poi impiccato a Tabriz il 5 ottobre 2009. Era stato anche sottoposto alla fustigazione alcuni giorni prima dell’esecuzione ed è stato appeso alla forca con il corpo martoriato per le frustate ricevute. Rahim Mohammadi e la moglie Kobra, sposati da circa 16, vivevano in condizioni di estrema povertà ed erano costretti a ricorrere all’assistenza economica di organizzazioni statali. Alcuni impiegati di queste organizzazioni avrebbero offerto ulteriore denaro all’uomo per poter avere rapporti sessuali con Kobra, e lui avrebbe accettato. Il rapporto di Nessuno tocchi Caino indica anche Azar Bagheri, 19 anni, condannata alla lapidazione per adulterio all’età di 15 anni, e Iran Eskandari, 31 anni e madre di un bambino di 13 anni, condannata a 5 anni di prigione per complicità nell’omicidio del marito e alla lapidazione per adulterio. Fatemeh, invece, è stata condannata a morte due volte: dovrà essere impiccata per omicidio e lapidata per adulterio. Ha 30 anni, mentre Maryam Ghorbanzadeh, 25 anni e incinta, potrebbe per qquesto vedersi commutata la pena della lapidazione, comminata per l’adulterio, in quella della fustigazione. Non prima, però, di aver partorito. Le “altre Sakineh” sono, ancora, Hashemi-Nasab, detenuta nel carcere Vakilabad di Mashad; Ashraf Kolhari, 37 anni, madre di quattro bambini; una donna identificata solo come M. Kh., detenuta nel carcere Vakilabad di Mashad; Sarimeh Sajjadi (o Ebadi), 31 anni e madre di due bambini, detenuta nel carcere di Orumieh; Kheyrieh Valania, 42 anni e madre di diversi bambini, detenuta nel carcere di Ahvaz. Quest’ultima è stata condannata nell’aprile 2002 alla lapidazione e a una pena detentiva per complicità nell’omicidio del marito, accusa che ha sempre negato. Vittima di violenze domestiche, avrebbe ammesso la relazione con l’uomo che ha ucciso il marito. Kheyrieh afferma: “Non mi importa di essere giustiziata, ma non voglio essere lapidata! Ti mettono un cappio al collo e muori subito, ma è insopportabile essere presa a sassate ripetutamente sulla testa!” I tre uomini sono: Seyed Naghi Ahmadi, detenuto nel carcere di Sari, condannato per adulterio nel giugno 2008; Vali Janfeshani, 33 anni, detenuto nel carcere di Orumieh. È stato condannato alla lapidazione nello stesso caso di Sarimeh Sajjadi; Mohammad Ali Navid Khamami, detenuto nel carcere di Rasht. È stato condannato alla lapidazione nel giugno 2008 per aver commesso “adulterio essendo sposato”. Dal 2006 a oggi in Iran, unico Paese che pratica la lapidazione, sono stati uccisi a sassate cinque uomini e una donna. Stati Uniti: “bracciali elettronici” vanno in tilt, centinaia di condannati rimangono senza controllo Adnkronos, 8 ottobre 2010 Centinaia di condannati per reati sessuali in giro senza alcun controllo. È accaduto negli Usa, dove è collassato il sistema Gps che controlla i bracciali elettronici di condannati in libertà vigilata. Un guasto provocato dal sovraccarico di dati, con il risultato che non è stato possibile controllare i movimenti di più di centinaia di persone per 12 ore. A causa del guasto alle carceri è stato impedito di ricevere le notifiche su decine di migliaia di persone a livello nazionale. In Wisconsin funzionari delle prigioni hanno chiesto alla polizia di riportare circa 140 detenuti nelle carceri fino a quando il sistema è tornato in funzione. Rick Raemisch, segretario del dipartimento dei penitenziari del Wisconsin, ha dichiarato in una nota: “Il guasto è stato impegnativo e senza precedenti per il nostro centro di monitoraggio elettronico. C’è stato un errore del sistema, che non abbiamo saputo gestire. Ma la situazione è stata gestita in modo sicuro ed efficiente mettendo al primo posto la sicurezza pubblica”. Il portavoce della Bi, Jock Waldo, ha affermato che la società ha sensibilmente aumentato la propria capacità di archiviazione dati, ma non è riuscita comunque a gestire il problema. Il sistema, ha precisato Waldo, ha continuato a registrare gli spostamenti dei delinquenti e detenuti in libertà vigilata ma le informazioni non sono state immediatamente messe a disposizione delle autorità locali. Iran: avvocatessa di femministe e dissidenti, detenuta da un mese, inizia lo sciopero della fame Ansa, 8 ottobre 2010 L’avvocatessa iraniana Nasrin Sotudeh, già legale di molte femministe e attivisti dissidenti incarcerata da un mese a Teheran, è in sciopero della fame. Lo ha reso noto il marito, citato oggi dal sito dell’opposizione Kaleme, dicendo di averne avuto notizia da lei durante una telefonata. La Sotudeh ha cominciato a digiunare il 25 settembre scorso per chiedere di vedere rispettato il suo diritto di detenuta di incontrare i familiari, in particolare le due figlie, di tre e dieci anni. Non sono state rese note ufficialmente le accuse con le quali è stata arrestata l’avvocatessa. Per il suo rilascio hanno firmato un appello 90 attivisti politici e sociali e avvocati iraniani. Un appello a mobilitarsi per la sua liberazione è stato lanciato anche dall’avvocatessa Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace nel 2003, che dallo scorso anno vive in esilio.