Giustizia: le nuove norme sulla sicurezza rischiano di diventare un boomerang di Raffaele Cantone Il Mattino, 9 novembre 2010 Nell’ultimo Consiglio dei ministri il governo ha licenziato un ulteriore pacchetto sicurezza che dovrebbe, secondo il premier, “completare il programma del governo in materia di contrasto al crimine organizzato, di ordine pubblico e di sicurezza dei cittadini”. Così come era già accaduto per gli omologhi provvedimenti già varati, in esso - che si compone di un decreto legge (atto quindi di immediata applicazione) e di un disegno di legge (che necessiterà dell’approvazione del Parlamento) - confluiscono norme di varia natura e con finalità fra loro diverse. Pur non essendo ancora disponibile un articolato preciso, è noto che renderà possibile l’arresto anche fuori dalla flagranza per le violenza negli stadi. Inoltre modificherà alcuni aspetti del funzionamento dell’Agenzia dei beni confiscati e che liberalizzerà; coma da più parti si auspicava, l’accesso alla rete wi - fi. Il vero cuore dell’intervento - su cui sono piovute da subito feroci polemiche o entusiastici apprezzamenti - riguarderà, però, l’immigrazione e la prostituzione. La disposizione in materia di immigrazione prevede la possibilità di disporre ì’“allontanamento coattivo” dei cittadini appartenenti a Stati dell’Unione europea che stando in Italia non rispettino alcuni standard minimi e cioè non abbiano né un lavoro né un’abitazione. Essi, in un primo momento, saranno invitati ad allontanarsi dall’Italia ed in caso di inottemperanza saranno sottoposti ad una procedura di espulsione coattiva. Secondo quanto si legge, il ministro dell’Interno avrebbe fortemente patrocinato questa novità in funzione di consentire soprattutto l’espulsione dei rom, allineandosi sul punto alla politica del governo francese. Prima di esprimersi compiutamente sarà necessario leggere come verrà effettivamente strutturata la norma; da quanto annunciato si può già affermare che essa persegue un obiettivo astrattamente condivisibile, e cioè la necessità del rispetto di standard minimi di convivenza civile da parte di stranieri che derivano di vivere in Italia. Ciò detto, però, i risvolti negativi rischiano di essere molto maggiori dei potenziali benefici; la norma che consente di stare in Italia soltanto a chi abbia lavoro e residenza è non solo discriminatoria rispetto ai cittadini (per i quali evidentemente non operano identici obblighi) ma rischia di colpire più che i veri soggetti pericolosi (e cioè chi delinque che però spesso è in grado di risultare, sia pure fittiziamente, in regola) le fasce più deboli dell’immigrazione e cioè tutti coloro che non hanno un lavoro regolare (in quanto costretti al nero) e che quindi non possono permettersi una residenza stabile. Inoltre essa appare in modo generalizzato applicabile alle persone di etnia rom, senza alcuna distinzione fra i soggetti effettivamente pericolosi e senza tener assolutamente conto delle loro diversità culturali e del loro modus vivendi. L’altro provvedimento, quello sulla prostituzione, prevede che le lucciole che “lavorano” in strada in violazione di ordinanze sindacali saranno colpite da foglio di via e quindi sarà imposto loro di non tornare più in quei luoghi, rischiando, in caso contrario, una sanzione penale. Anche in questo caso, la necessità di risolvere un problema sotto gli occhi di tutti (le periferie di molte città anche importanti trasformatesi in un vero e proprio “bordello” a cielo aperto) trova una soluzione non del tutto adeguata. La prostituzione è un tema che merita un intervento di sistema, di cui da anni si parla senza che si sia mai giunti a nulla, forse perché all’argomento si è approcciati con una logica e pregiudizi moralistici. Non si è, infatti, mai scelto se regolarizzare il meretricio (come avvenuto in tanti Stati europei ed americani il cui livello di civiltà non è certamente inferiore al nostro) o se vietarlo in modo espresso. La nostra legislazione, che risale al 1958 con la famosa legge Merlin, ha adottato un compromesso, accettabile per una società diversa dall’attuale: la prostituzione non è illecita e non è reato, ma lo sfruttamento ed il favoreggiamento si. È un’opzione che appare a molti osservatori ipocrita, perché fa solo finta di non vedere e di non sapere ciò che realmente avviene in quel mondo. La norma del governo rischia di mettersi sulla stessa falsariga; non si preoccupa di tutelare lo sfruttamento che spesso è insito nella prostituzione né di evitare i pericoli gravissimi delle malattie sessualmente trasmissibili ma semplicemente vuole che tutto ciò che accade non sia visibile. Così agendo si rischia di legittimare, anche dal punto di vista legislativo, il passaggio dalla prostituzione tradizionalmente intesa alle più moderne escort che operano nel chiuso di confortevoli abitazioni o semplicemente di spostare la prostituzione di strada da un luogo ad un altro. Giustizia: il sovraffollamento delle carceri moltiplica i rischi per salute e psiche Agi, 9 novembre 2010 Sono circa 70mila i detenuti presenti nelle carceri italiane, in una condizione di sovraffollamento che pone enormi problemi sanitari per cui è necessario adottare strategie efficaci a ridurre principalmente il rischio di suicidi o di atti autolesionistici, ma anche per evitare il riaffiorare di patologie come la tubercolosi e la diffusione di malattie infettive con particolare riferimento all’infezione da HIV. La formazione dei professionisti della salute che operano nei penitenziari è la priorità indicata dalla Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria (Simspe) che terrà il suo XI Congresso nazionale a Chieti e Pescara nei giorni di giovedì 11 e venerdì 12 novembre prossimi. Solo in Abruzzo ci sono circa 2.000 detenuti presenti in otto istituti penitenziari; la provincia con il maggior numero di presenze è Chieti, con 745 detenuti, di cui 350 a Lanciano, 270 a Vasto e 125 a Chieti (dove è presente anche una delle due sezioni femminili, mentre l’altra a valenza regionale è a Teramo). “L’esigenza fondamentale - spiega il responsabile dell’unità operativa di Medicina Penitenziaria della Asl Lanciano Vasto Chieti, Francescopaolo Saraceni - è evitare che il sovraffollamento porti ad acuire il disagio psichico insito in una comunità chiusa. La Simspe può contribuire a dare una risposta efficace a questi problemi partendo proprio dalla formazione degli operatori penitenziari”. Tema delicato, che sarà affrontato nella prima giornata del Congresso (intitolato “L’Agorà Penitenziaria 2010”), è il passaggio di competenze nella gestione delle esigenze di salute dei detenuti, che il Dpcm primo aprile 2008 ha trasferito dall’Amministrazione penitenziaria al Servizio sanitario nazionale. La maggiore criticità - spiegano alla Simspe - è nella necessità di stabilizzare il personale che aveva un rapporto di lavoro con l’Amministrazione penitenziaria e che ora è passato alle dipendenze delle Asl, al fine di non disperdere l’esperienza acquisita in anni di attività. L’accordo collettivo nazionale sulla medicina generale dovrà, tra l’altro, prevedere un articolato dedicato alla figura del medico che opera nei presidi penitenziari. La prima giornata si svolgerà dalle ore 13 di giovedì presso l’Auditorium dell’Università “Gabriele d’Annunzio”, a Chieti. Venerdì ci si sposterà dalle ore 8.30 presso la dimora storica Castello Chiola di Loreto Aprutino (Pescara), dove i lavori avranno un taglio più scientifico: si parlerà delle malattie trasmissibili in carcere, delle dipendenze patologiche e degli altri rischi per la salute legati alla condizione dei detenzione. La Simspe è presieduta dal professor Sergio Babudieri. Presidente del Congresso è il dottor Alfredo De Risio. Giustizia: il dramma degli errori giudiziari; lo Stato riconosca retroattività risarcimenti di Luciana Cimino L’Unità, 9 novembre 2010 Non tutti quelli che sono stati detenuti ingiustamente hanno diritto a un risarcimento dallo Stato che riconosca loro gli anni persi dietro le sbarre in attesa di giustizia. Non ne hanno diritto tutti quelli, e sono la maggior parte, a cui la sventura è capitata dal 45 al 1989, anno in cui è entrata in vigore la legge per la riparazione dell’ingiusta detenzione. Ma la legge, assurdamente, non è retroattiva. Da anni proposte di legge che vanno nella direzione di introdurre la retroattività (da ultimo quella di Rita Bernardini, dei radicali e di Pier Luigi Mantini, dell’Udc) giacciono in parlamento, senza essere mai calendarizzate. Eppure è una questione che riguarda milioni di persone. Sono infatti 4 milioni e mezzo, secondo i dati Eurispes forniti dall’Osservatorio Permanente sulle Carceri, gli errori giudiziari occorsi in Italia dal 45 al 1989. Almeno qualche centinaia di migliaia (cifra approssimata per difetto) sarebbero dunque le persone in attesa che lo Stato riconosca loro la pena inflitta erroneamente. Per questo diversi parlamentari del Pd (tra cui Paola Concia) Nicki Vendola, Rifondazione e dei Radicali assieme a giornalisti, professori universitari e al mondo dell’associazionismo delle carceri (come Patrizio Gonnella di “Antigone” e Luigi Manconi di “A Buon Diritto”) hanno firmato un appello per “introdurre il reato di retroattività nella legge sulla riparazione per l’ingiusta detenzione”. “Molte vittime dell’errore giudiziario, contemplato dall’art.314 del codice di procedura penale, sono rimaste quindi prive della giusta riparazione - si legge nel testo dell’appello - e ciò è accaduto in aperta violazione degli articoli 2 e 24 della Costituzione, nonché delle norme della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Esistono tanti cittadini che hanno subito l’umiliazione del carcere, talvolta per anni e l’annichilimento del diritto inviolabile della libertà personale, consacrato dall’articolo 13 della Costituzione, ma non hanno ottenuto nessuna giusta riparazione e nemmeno quella somma di denaro che certo si direbbe meglio “conforto” che non “riparazione”. (…) È questa una situazione che offende la dignità del Paese e che contrasta con la concezione di salvaguardia dei diritti inviolabili dell’uomo che la Repubblica ha posto a fondamento del suo ordinamento costituzionale”. “C’è da dire - spiega Marcello Pesarini, membro dell’Osservatorio Permanente sulle carceri e assieme a Giulio Petrilli promotore dell’appello - che se negli anni 70 e 80 la questione riguardava soprattutto detenuti “politici”, incarcerati in attesa di giudizio a causa del clima speciale dovuto agli anni di piombo, oggi la querelle riguarda soprattutto i migranti, che messi tra le sbarre per non aver ottemperato alla Bossi - Fini, si scopre solo dopo duri mesi di detenzione senza quasi diritti che avrebbero avuto diritto al riconoscimento dello status di rifugiato”. Petrilli, responsabile diritti e garanzie del Pd della Provincia dell’Aquila, ha vissuto sulla pelle l’esperienza per la quale ora si sta battendo: “Mi sono fatto 6 anni di carcere per banda armata a 20 anni e sono stato assolto perché un pentito mi ha scagionato. Ho perso tutta la mia giovinezza, è stata un’esperienza terribile che mi ha segnato per sempre ma non ho diritto al risarcimento perché il mio processo è avvenuto tre mesi prima dell’entrata in vigore della legge. È una follia”. “Sono esperienze dolorosissime vissute da “pesci piccoli” che non sanno come difendersi e che dopo il carcere si trovano la vita devastata”, aggiunge Pesarini. L’obiettivo della petizione è costringere la stampa a occuparsi della cosa, arrivare a forme di pressione istituzionale di modo che il parlamento si attivi per discutere le due proposte di legge. Un aiuto insperato è arrivato a luglio dal Presidente della Camera Gianfranco Fini che ha sollecitato le Camere e i membri della commissione giustizia a interessarsi della questione. “Noi insistiamo perché è assurdo che per leggi sacrosante la retroattività non si applichi e per quelle ad personam sì. Non stride tutto questo con i diritti dei cittadini?”, si chiede Pesarini. E conclude Petrilli “fanno un gran parlare di garantismo ma la legge Fini - Giovanardi sulle droghe leggere e la Bossi - Fini sono l’antitesi del garantismo; noi chiediamo un garantismo che sia per tutti i cittadini e non solo per il ceto politico: è una battaglia di civiltà con la quale vogliamo denunciare le gli errori giudiziari che avvengono con le logiche emergenziali, ieri con il terrorismo, oggi con l’immigrazione. Giustizia: detenuti disabili, un mondo sconosciuto tra silenzi e sbarre di Chiara Campanella www.oltrelebarriere.net, 9 novembre 2010 Quando si parla di prigione di solito non la si associa mai alla disabilità. Confermano ciò i dati nazionali sulla popolazione carceraria che non menzionano mai la presenza di queste persone negli istituti, portando l’opinione pubblica a credere che non ci siano disabili nelle carceri. Invece, non è così. Malattia e disabilità non sono incompatibili con la detenzione: sono tanti i portatori di handicap dietro le sbarre. Quanti sono esattamente? Quali sono i deficit più comuni? Come si trovano, cosa fanno, con chi vivono? I dati più recenti dell’Ufficio servizi sanitari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria possono aiutarci a rispondere a questi interrogativi. Nel dicembre 2006, nelle carceri italiane, erano presenti quasi 500 detenuti con disabilità motoria o sensoriale. Secondo l’indagine la Lombardia risulta essere la regione italiana con il maggior numero di detenuti disabili (121 detenuti con disabilità fisica e motori) A seguire, tra le regioni più affollate, ci sono anche la Campania (con 96 detenuti), il Lazio (51) le Marche (34) e la Toscana (31). Tuttavia, se ci si riferisce ad una seconda indagine relativa alla sola disabilità motoria, gli esiti sono parzialmente diversi. In testa c’è sempre la Lombardia (con 65 presenze), seguita dalla Sicilia (51), Sardegna (42), Campania (37) e Lazio (36). “Si sa che in Italia non esiste una normativa specifica per i detenuti disabili”. Ad affermarlo è Francesco Morelli, storico detenuto - redattore della rivista carceraria “Ristretti Orizzonti”. Non esiste un sistema di monitoraggio nazionale sulle condizioni di salute dei carcerati. Per questo motivo è difficile stabilire quanti siano esattamente i disabili detenuti nelle carceri italiane. Comunque, ha precisato Morelli, uno dei principali riferimenti normativi per la disabilità in carcere è l’articolo 47 ter dell’Ordinamento penitenziario relativo alla detenzione domiciliare. Infatti, in base al comma 3, “la pena della reclusione non superiore ai 4 anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell’arresto, possono essere espiate nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza, quando trattasi di persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali”. Tuttavia, è necessaria la perizia di un medico che può essere smentita dal perito peritorum, cioè dal tribunale di sorveglianza. Un’altra norma di riferimento, utilizzata soprattutto per le detenute incinte, è quella che riguarda il differimento della pena Infine, c’è l’articolo 11 dell’Ordinamento penitenziario, che contempla i casi in cui il detenuto entri sano e si ammali all’interno del carcere. In questa eventualità, il direttore, prima del magistrato, può disporre il ricovero in ospedale con articolo 11. Se quindi è vero che non esiste una normativa precisa per la disabilità (che richiede un’assistenza specifica), i detenuti sono destinati ad alcune strutture ad hoc. A esempio esistono gli ospedali psichiatrici giudiziari e alcune sezioni attrezzate per “minorati fisici”, che sono persone con disabilità motoria più lieve rispetto alla vera e propria disabilità. In tutta Italia sono quattro le strutture con sezioni attrezzate per accogliere minorati fisici, per una capienza complessiva di 143 posti e 21 presenze registrate: per la precisione a Castelfranco Emilia, Parma, Ragusa e Turi. Invece, per i detenuti con disabilità fisica, esistono sezioni attrezzate in 7 istituti per una capienza di 32 posti e 16 presenze nelle città di Udine, Pescara, Parma, Perugia, Fossano, Castelfranco Emilia e Brindisi. Gli ospedali psichiatrici giudiziari funzionanti sono in tutto 6, per una capienza di 955 posti e una presenza effettiva di 1.313 persone. Infine, ci sono sezioni di osservazione destinate a detenuti con problemi psichici e funzionanti presso alcuni istituti, ossia a Bologna, a Calstelfranco Emilia, a Favignana, a Livorno, a Roma Rebibbia, ecc. Giustizia: il Sappe incontra Gasparri, approvare presto ddl Alfano su pene domiciliari Ansa, 9 novembre 2010 Una delegazione del sindacato penitenziario Sappe ha stamane incontrato il capogruppo dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, per sollecitargli l’approvazione del ddl Alfano per la detenzione domiciliare ai condannati cui rimane da scontare un anno di pena e, soprattutto, l’assunzione di personale della polizia penitenziaria. Gasparri - informa una nota del Sappe - si sarebbe detto favorevole alla sede legislativa al ddl Alfano, così come è avvenuto già alla Camera, ed ha auspicato che tutti i capigruppo diano il proprio assenso all’assegnazione del provvedimento alla sede deliberante, in Commissione Giustizia del Senato. “È del tutto evidente - sottolinea il segretario generale del Sappe, Donato Capece - che la situazione politica attuale pone non poche preoccupazioni a quanti, nel mondo penitenziario, hanno a cuore i provvedimenti emergenziali che dovrebbero alleviare le condizioni delle carceri. Il Presidente Gasparri, come sempre, ha mostrato molta attenzione ai problemi della polizia penitenziaria e delle carceri piú in generale. Ed ha espresso il suo apprezzamento per il duro e difficile lavoro che la polizia penitenziaria svolge per la tutela della sicurezza dei cittadini”. Lettere: nuovi reati, vecchie prigioni Il Fatto Quotidiano, 9 novembre 2010 Caro Colombo, guardo il Tg (5 novembre) e resto di stucco. La prostituzione adesso è reato. È vero che con la maggioranza a pezzi alla Camera, tra il dire dei ministri ( in questo caso Maroni) e il fare del Parlamento c’è di mezzo il mare. Ma l’idea è folle. Parliamo di un numero molto alto di persone da avviare verso prigioni già crudelmente, insopportabilmente affollate. Il disastro sarà inevitabile. Alfonso Risponde Furio Colombo Anch’io sono stato colto di sorpresa. Tra governare male e creare disastri c’è uno spazio che è stato ancora una volta colmato. Il ministro dell’Interno che ha avviato la caccia in mare non solo ai clandestini ma anche ai superstiti di guerre e massacri con pieno diritto di asilo, adesso vuole risolvere il problema della prostituzione avviando in carcere una folla di colpevoli di reato. Naturalmente cerca immigrati e “comunitari” (Rom) da espellere. È una folla che andrà ad aggiungersi ai pienone di ragazzi colpevoli di droga e a tutti gli altri illegali veri o presunti. Un incosciente Consiglio dei ministri ha affrontato ( e aggravato) con un gesto solo due grandi problemi, carceri e prostituzione. Li ha legati l’uno all’altro e li ha resi entrambi più gravi. Per colmo d’ironia lo ha fatto mentre si è scoperto che il presidente di quel Consiglio dei ministri si circonda di prostitute giovanissime in casa sua. Chi io sappia soltanto un piccolo gruppo in Parlamento e un piccolo (ma non tanto) partito nel paese si occupano a tempo pieno dei due problemi. Parlo dei Radicali. I Radicali insistono con tenacia, ma anche con una continuità che dovrebbe provocare vergogna negli autori del disastro, sulle condizioni delle carceri. Lo descrivono dai due punti di vista: la vita disumana nelle carceri troppo affollate. L’affollamento dovuto in gran parte a chi in carcere non dovrebbe stare. Deputati esperti del tragico problema, come Rita Bernardini, si indignano ancora di più quando parlano di nuove carceri “in costruzione”. Sono più improbabili dell’Expo di Milano. Dei progetti non c’è traccia e anche soluzioni minime distano anni dalla sofferenza di oggi, destinata a continuare e a crescere. La prostituzione come fenomeno che dilaga nelle città e lungo molte strade provinciali di campagna è l’altro problema che i Radicali conoscono bene perché ne fanno, anche a Radio Radicale un problema di diritti umani e civili e non di quartieri a luci rosse o di ritorno alle case chiuse. La soluzione indecente di Bobo Maroni crea un problema più grande in tutti i sensi, dalla quantità necessaria di forze di polizia ( a cui sarebbe meglio dare prima, risorse adeguate e benzina) alla possibilità burocratica di prendere in carico le persone arrestate, a quella giudiziaria di procedura e di dibattimento, nei vari gradi di giudizio. Un passo in più verso il basso della cosiddetta “patria del diritto”, una odiosa e finta “risposta semplice” di questo governo, degna dei rifiuti di Napoli e delle macerie dell’Aquila. Lettere: chi cerca di boicottare l’informazione sul carcere? di Luigi Manconi www.innocentievasioni.net, 9 novembre 2010 Siamo da sempre tra i più insofferenti al mondo verso ogni teoria del complotto, della macchinazione del “non è certo un caso che”. Però, per una volta almeno, vogliamo cedere a una ragionevole preoccupazione: forse “non è un caso che” a distanza di 15 giorni il nostro sito, innocentievasioni.net interamente dedicato alle questioni del carcere, della privazione della libertà e delle morti all’interno degli istituti penitenziari, abbia subito due attacchi da parte di hacker. Questa volta tra giovedì e venerdì della scorsa settimana sono stati hackerati anche i siti italiarazzismo.it e abuondiritto.it, oltre che il server dell’Associazione. Mi limito a ricordare che sono stati questi siti a far conoscere all’opinione pubblica le fotografie del corpo di Stefano Cucchi all’obitorio, le immagini di violenze all’interno di una caserma dei carabinieri di Ferrara, le registrazioni di telefonate relative all’arresto e alla morte di Giuseppe Uva a Varese. Puglia: Osapp; le carceri sono una polveriera, con il doppio dei reclusi rispetto ai posti letto Bari Live, 9 novembre 2010 I numeri rivelano una situazione drammatica. Mimmo Mastrullli, vice segretario generale nazionale dell’Osapp - uno dei sindacati degli agenti di polizia penitenziaria, non esita a definire “una polveriera” la situazione delle carceri pugliesi. Nella regione ci sono dodici strutture penitenziarie, il personale è formato da 2.800 unità quando l’organico ne richiederebbe almeno 3.100. Ma l’aspetto più preoccupante è il sovraffollamento. Anche qui i numeri lasciano soltanto immaginare le condizioni subumane in cui si vive nei penitenziari. Ci sono attualmente circa 4.700 persone a fronte dei 2.500 posti letto disponibili. I casi di suicidio sempre più frequenti, sono stati limitati a “soli” otto decessi, ma vanno considerati almeno una cinquantina di tentativi nello stesso periodo, stando a quanto fa sapere Mastrulli, che attacca: “La disorganizzazione regionale sugli istituti penitenziari e sulla polizia penitenziaria impone all’Osapp - con l’auspicio che altre Sigle possano poi associarsi - l’avvio dello stato di agitazione generale intrapresa per protestare sulla grave carenza di personale presso la casa circondariale di Lecce - Taranto - Brindisi - Bari - Turi - Foggia - Lucera e Trani. In quest’ultima sede risultano già presenti circa 280 detenuti in un solo plesso detentivo mentre a giorni la previsione è che saranno trasferiti nel nuovo padiglione di Trani altri 130/180 detenuti che si aggiungeranno ai 280 appena accennati per complessivi 450 reclusi”. “Nell’arco di questo tempo - precisa il sindacalista - la polizia penitenziaria ha dimostrato alta professionalità, essendo stata impegnata per più di 376.903 annue ore in lavoro straordinario, oltre al regolare turno di servizio ordinario, subendo decine di aggressioni da parte di detenuti con 15 agenti sottoposti a cure con oltre 7 giorni di prognosi”. Per Il sindacalista della Osapp servirebbe azzerare il budget annuo per ore di lavoro straordinario per garantire una assegnazione di almeno 300 poliziotti da reperire dai concorsi indetti per e Forze Armate e Forze di Polizia dello Stato più presenze nei reparti detentivi. Riguardo alla situazione dell’organico attuale Mastrulli fa sapere che l’amministrazione invierà 5 unità in più di cui 3 agenti femminili a Lecce, 1 a Trani ed altra unità ma solo in sostituzione di pari numero trasferiti in altre regioni d’Italia, lasciando vuoti di numero per il personale di polizia che andranno in prepensionamento o saranno trasferite per effetto dei neo assunti del 161° Corso Agenti, ad altre sedi di servizio. “Verrà così meno ogni beneficio all’organico che rimane ancora sottodimensionato (solo in Puglia avremo 200 unità in meno per quiescenze e riforme medico legali un numero sempre più crescente rispetto agli ultimi due anni ) - puntualizza il segretario generale aggiunto OSAPP - e con un sovraffollamento off-limits che porterà la nostra organizzazione sindacale a riprendere nel breve le vertenze momentanee sospese”. Il leader Osapp denuncia anche la mancanza di fondi per la manutenzione ordinaria degli istituti pugliesi come a Taranto e Trani, mentre ci sono 280 detenuti in reparto ex alta sicurezza e 51 presso la Casa Reclusione Femminile di Trani, quindi, carceri importanti che necessitano del giusto numero di agenti. Un altro problema riguarda i tagli sanitari che andranno inevitabilmente ad incidere anche sulla medicina penitenziaria. Da circa undici mesi non vengono liquidate e pagate le missioni effettuati dai poliziotti degli NTP o per missioni . “Il servizio traduzioni ha visto impiegato migliaia di unità di Polizia Penitenziaria per traduzioni svolte e detenuti tradotti - puntualizza Mastrulli - mentre nel servizio piantonamenti registriamo un vuoto d’interessamento a livello regionale e nel medesimo Coordinamento Dirigenziale sui detenuti ricoverati nelle Strutture Ospedaliere e di Medicina Protetta delle Provincie Penitenziarie come Lecce - Bari e Foggia centinaia di detenuti sottoposti a visite specialistiche presso le stesse strutture protette con un impiego inverosimile di unità di Polizia Penitenziaria che vengono sottratti ai servizi d’istituto”. Pertanto mercoledì 10 novembre alle ore 11 convocati nella Casa Madre Penitenziaria della Regione Puglia - Sala Conferenze 2° Piano del Provveditorato Regionale in Via G. Petroni 90/A a Bari, tutti i quadri Sindacali della Polizia Penitenziaria dell’OSAPP ed in conferenza stampa saranno rese note le dure iniziative di lotta contro l’attuale vertice regionale,di cui l’Osapp chiede le dimissioni immediate dagli incarichi in amministrazione penitenziaria, oltre a valutare anche per la ipotesi di grave attività antisindacale in questi giorni adottati a discapito di dirigente sindacale di polizia trasferita al carcere senza autorizzazione e consenso del sindacato di appartenenza. Sicilia: Centorrino (Regione); inclusione sociale dei detenuti è un tema importante per tutti Il Velino, 9 novembre 2010 “Il tema dell’inclusione sociale è di particolare importanza. L’esperienza condotta attraverso il progetto presentato stamattina sottolinea quanto sia articolata la molteplicità di cittadini che si adoperano positivamente e concretamente”. Lo ha detto l’assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale, Mario Centorrino, che ha partecipato oggi a Messina, alla presentazione dei lavori conclusivi del corso di formazione professionale per Operatori socio assistenziali, svoltosi nell’ambito del Prof Sicilia 2010, che ha coinvolto una decina di detenuti della Casa circondariale di Gazzi (Me). Centorrino ha sottolineato “l’importanza di queste iniziative perché dimostrano come anche in Sicilia ci sono esempi di buona formazione che vanno valorizzate ed incentivate. Ancora di più - ha aggiunto l’assessore - deve essere potenziata l’attività formativa all’interno degli istituti penitenziari, in modo da rendere concreta la possibilità di un’ alternativa per chi ha scontato il proprio debito con la società”. Al convegno di fine corso, organizzato dall’Eures, hanno partecipato, tra gli altri,Calogero Tessitore, direttore della Casa Circondariale Messina - Gazzi, Nanni Ricevuto, presidente della Provincia regionale di Messina, il Procuratore generale della Repubblica di Messina, Franco Cassata, il provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Orazio Faramo. Bollate (Mi): nel carcere porte aperte 12 ore al giorno, alla direttrice premio “Donna fuori da coro” Ansa, 9 novembre 2010 Scannerizzano persino i documenti di processi archiviati i detenuti della casa circondariale di Bollate nel milanese, ritenuto un carcere modello: ne ha parlato stamani la direttrice Lucia Castellano, a Genova per ricevere stasera a Palazzo Ducale, il premio “Una donna fuori dal coro” di Ascom - Confcommercio. “Non credo di aver fatto chissà cosa, sono solo il direttore di un carcere - ha detto Castellano - nel 1991 ho iniziato proprio a Genova come vicedirettore del carcere di Marassi e dopo vent’anni di professione penso che il senso del mio lavoro sia applicare la legge e che i progetti sperimentali siano possibili grazie ad un lavoro di squadra. Nel mio caso a sostegno del provveditore delle carceri lombarde, Luigi Pagano”. A Bollate, come in altre 204 carceri italiane, in otto reparti, 1.100 detenuti (di cui 53 donne) le porte delle celle vengono tenute aperte di giorno per 12 ore. “Bollate è l’unico carcere così grande a tenere le celle aperte - racconta - inoltre gli autori di reati sessuali convivono con gli altri detenuti. Per noi non ci sono reati di serie A e di serie B”. Grazie anche al lavoro di 384 poliziotti, 13 operatori sociali e una decina di psicologi, nella casa circondariale milanese sono stati avviati altri progetti, con particolare enfasi sulla scolarizzazione di vario grado (12 carcerati sono iscritti all’università) e alla formazione professionale per cui 150 detenuti lavorano in un call center interno al carcere e altri in 4 cooperative di falegnameria, catering,agricoltura e florivivaismo. Inoltre un centinaio di reclusi sono autorizzati al lavoro esterno, nel canile municipale e nell’azienda di raccolta dei rifiuti e alcuni scannerizzano i processi archiviati. Un maneggio con otto cavalli, la squadra di calcio e una commissione cultura completano il quadro di un carcere ritenuto esemplare. Ma è chiaro che non si è sempre in paradiso: “Bollate è un carcere come altri - conclude infatti il direttore commentando l’avvio del processo agli aggressori di un detenuto nell’infermeria carceraria, episodio avvenuto la scorsa estate - nel corso del quale la vittima dell’aggressione non ha riportato danni permanenti”. Novara: Osapp; ieri sera manifestazione di protesta dei detenuti contro il sovraffollamento Ansa, 9 novembre 2010 Manifestazione di protesta dei detenuti nella tarda serata di ieri all’interno del carcere di Novara. Tra le 23 e mezzanotte gli ospiti della sezione detentiva del reparto ordinario giudiziario hanno iniziato a battere le stoviglie contro le grate e i cancelli delle celle per manifestare contro le gravi condizioni di sovraffollamento dell’istituto, dove in questi giorni è stata installata la terza branda per ogni stanza. A denunciare le condizioni del carcere piemontese è l’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che ricorda che in ogni cella sono presenti mediamente sette persone e che il totale di detenuti all’interno della struttura è di 157 contro una capienza prevista di 100. “Le condizioni di quel carcere - afferma Leo Beneduci, segretario generale del sindacato - sono davvero disumane tanto per i detenuti quanto per gli agenti. Ricordiamo che, tra l’altro, sono esauriti i fondi per gli straordinari e le missioni della polizia penitenziaria e per il lavoro interno al carcere dei detenuti. A questo punto attendiamo che il governo, oltre al commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, ne nomini uno anche per le carceri”. Taranto: Uil; carcere è da chiudere, condizioni “infamanti” per agenti e detenuti e rischio crolli 9Colonne, 9 novembre 2010 Se i due detenuti del caso di Avetrana godono di condizioni detentive “ottimali” non altrettanto accade per gli altri detenuti del carcere di Taranto. Lo denuncia il segretario Generale della Uil Penitenziari Eugenio Sarno denunciando che se “i due sono allocati in cella singola e sorvegliati a vista nonché effettuano colloqui separati e in beata solitudine, la restante popolazione detenuta, invece, è costretta ad essere costipata in spazi angusti ed insufficienti”. Evidenzia che la casa circondariale “vede ristretti 632 uomini e 5 donne in ambienti che ne potrebbero contenere, in termini regolamentari, solo 190”. Inoltre “il carcere non solo è fatiscente quant’anche pericoloso. Alcuni percorsi pedonali sono delimitati da zone interdette (ma non messe in sicurezza) per pericoli di crolli; le infiltrazioni di acqua piovana si riscontrano in tutti gli ambienti e fanno interrogare sulla stabilità della struttura. A dir poco inenarrabile l’odissea, per detenuti e personale, per accedere ai passeggi il cui percorso pedonale in giornata di pioggia è praticamente impossibile se non a mezzo di barchette. Gli agenti di Polizia Penitenziaria lavorano in condizioni infamanti ed imbarazzanti. Chi è preposto alla sorveglianza dei passeggi è esposto alle intemperie, riparato solo da una tettoia stile baraccopoli; chi è preposto alla sorveglianza nelle sezioni non ha a disposizione alcun box office ma è costretto ad operare nel bel mezzo delle sezioni, già di loro insalubri e degradate”. Inoltre “a Taranto su un organico previsto di 357 sono in servizio 329 unità di polizia penitenziaria (273 al servizio d’istituto, 56 addetti al nucleo traduzioni). Nonostante ciò si appalesa la necessità di rivedere l’organizzazione del lavoro. Dal 1° gennaio al 31 ottobre di quest’anno il Nucleo Traduzioni e Piantonamento di Taranto ha svolto 1847 traduzioni, i detenuti tradotti sono stati 3691 (di cui 591 Alta Sicurezza) con l’impiego di 7380 unità di Polizia Penitenziaria. Nello stesso periodo i detenuti piantonati in luoghi esterni di cura sono stati 60 per un complessivo di 321 giornate di piantonamento con l’impiego di 2309 unità di polizia penitenziaria”. Misseri stanno bene, altri detenuti stipati in angusti spazi Flotte di giornalisti, con cineoperatori e regie mobili al seguito, da settimane stazionano davanti al carcere di Taranto per cercare ogni minima notizia sul caso Scazzi ma trascurano la grave situazione di sovraffollamento e le precarie condizioni strutturali del penitenziario. Ad affermarlo, in una nota, è il segretario generale della Uil penitenziari, Eugenio Sarno, che oggi ha visitato la casa circondariale. “Mi duole dover prendere atto - sottolinea il sindacalista - che l’esercito di giornalisti e cineoperatori che da settimane stazionano davanti la Casa Circondariale di Taranto appaiano morbosamente interessati solo alle notizie che attengono ai personaggi assurti alle cronache nere. Il carcere di Taranto, invece, dovrebbe occupare la loro specifica attenzione perché rappresenta una vergogna nazionale e andrebbe immediatamente chiuso”. Sarno evidenzia il determinante contributo della polizia penitenziaria nelle indagini sul caso Avetrana ricordando che sono stati i poliziotti penitenziari a rinvenire qualche settimana fa la famigerata batteria del cellulare e ieri è stato ancora un poliziotto penitenziario a ritrovare, su indicazioni del presunto omicida, il mazzo di chiavi con cui è stata chiusa la cisterna. Il segretario della Uil penitenziari aggiunge che i due Misseri godono di condizioni detentive ottimali, sono allocati in cella singola e sorvegliati a vista ed effettuano colloqui separati e in beata solitudine. La restante popolazione detenuta - conclude - è costretta ad essere stipata in spazi angusti ed insufficienti. Brescia: grazie alla Cariplo un progetto pilota sulle misure alternative al carcere Giornale di Brescia, 9 novembre 2010 Brescia, insieme a Milano e Como, è stata scelta come città pilota per una nuova iniziativa lanciata da Fondazione Cariplo, con Regione Lombardia e il Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria, a favore delle organizzazioni non profit operanti nell’area del penale e delle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. Il bando “Misure alternative” è stato presentato lunedì mattina nella sede della Fondazione dal presidente, Giuseppe Guzzetti, e da Giulio Boscagli, assessore alla Famiglia, conciliazione, integrazione e solidarietà sociale della Regione; Luigi Pagano, provveditore regionale; e Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano e don Gino Rigoldi, componente della Commissione centrale di beneficienza della Fondazione. Favorire la funzione rieducativa della pena, contribuire al decongestionamento delle carceri, puntare concretamente sulla possibilità offerta dalla legge di attivare misure alternative alla detenzione per le pene inferiori ai tre anni, strutturando programmi individuali di inclusione sociale utili anche alla collettività. Sono gli obiettivi dell’iniziativa promossa da Fondazione Cariplo, Regione Lombardia (Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà Sociale) e Amministrazione Penitenziaria con il bando “Promuovere nelle comunità territoriali il sistema delle misure alternative per persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria”. Il bando è finanziato con un milione di euro all’anno per due anni: per la prima annualità 700mila euro sono messi a disposizione da Fondazione Cariplo, i restanti 300mila da Regione Lombardia. I contributi andranno a favore di un minimo di tre organizzazioni no profit che operano nell’area del penale e per le persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria in tre contesti pilota: Milano, Brescia e Como. Le proposte dovranno essere inviate a Fondazione Cariplo entro il 28 gennaio 2011 e il successivo 15 aprile i progetti definitivi saranno valutati da una commissione tecnica. La scelta dei tre territori è stata determinata dal fatto che nelle carceri da essi ospitate metà circa dei detenuti stanno scontando una fine pena inferiore ai tre anni. “Questa iniziativa”, ha commentato l’assessore regionale Boscagli , “si inserisce a pieno titolo nel modello di nuovo welfare a cui stiamo pensando e che vede in prima fila le collaborazioni tra istituzioni diverse, tra istituzioni, terzo settore e volontariato. Tutti insieme con l’impegno di affermare un importante principio, quello della solidarietà responsabilizzante che pone al centro dell’intervento la persona con i suoi bisogni, nella consapevolezza che lavorare sul disagio sociale significa poter influire sul fenomeno della recidiva e della sicurezza dei territori”. La Lombardia ha il maggior numero di detenuti, 9.355, ma ha gestito nel primo semestre 2010 3.866 programmi di reinserimento sociale. E, secondo i dati forniti dalla Regione, i dati dimostrano come soltanto il 20 per cento di coloro che abbiano usufruito di percorsi di reinserimento sociale ricade nelle maglie della giustizia. Nelle case circondariali di San Vittore, Opera e Bollate, su oltre 4.000 detenuti, 1.500 rientrano nella categoria prevista dal bando (fine pena inferiore ai tre anni). A Brescia i detenuti sono 650, di cui la metà circa con pena da scontare inferiore ai 36 mesi. A Como la situazione è analoga: su 600 detenuti, metà deve scontare condanna inferiore ai tre anni. L’iniziativa si propone di favorire la funzione rieducativa della pena, contribuire al decongestionamento delle carceri, puntare concretamente sulla possibilità offerta dalla legge di attivare misure alternative alla detenzione per le pene inferiori a tre anni, strutturando programmi individuali di inclusione utili anche alla collettività. L’efficacia del modello d’intervento sarà sperimentata con un finanziamento di un milione di euro all’anno per due anni a disposizione di organizzazioni non profit che operano sulle tre province. “Con l’intento, in caso di successo, di replicarlo e diffonderlo. Successo da tutti auspicato”, hanno sottolineato i promotori , “perché favorirebbe il graduale superamento di problemi che oggi interessano le carceri: sovraffollamento, potenziale criminogenetico, scarsità di risorse e alti tassi di recidiva (68,45% per chi sconta la pena in detenzione intramuraria, 19% per chi ha possibilità di scontarla o di lavorare all’esterno)”. La Lombardia è la regione italiana che conta il maggior numero di detenuti (9.255 al 31 agosto, il 30% circa con residuo pena inferiore a tre anni): nelle carceri di Milano è concentrato il 44%, negli istituti bresciani il 7%, a Como il 6,5%. Venezia: ai detenuti facciamo pulire le isole, ma anche lavorare nei paesi alluvionati Il Gazzettino, 9 novembre 2010 Pulire le isole. O, in casi di emergenza come sta capitando di questi tempi con le alluvioni che hanno messo in ginocchio mezzo Veneto, pulire le città e i paesi e i campi invasi dall’acqua. Meglio: dare scopa e ramazza ai detenuti. È l’ultima sfida di Gianni Trevisan, l’iperattivo presidente della cooperativa Il Cerchio che in città si occupa del reinserimento lavorativo soprattutto degli ex detenuti. Dopo aver aperto una lavanderia nel carcere femminile della Giudecca e poi una sartoria a Castello, dopo aver assunto la gestione degli impianti sportivi a Sacca Fisola, ora Trevisan punta a un nuovo progetto: impiegare in “lavori socialmente utili” chi è agli arresti domiciliari e quanti sono in regime di semilibertà. Il ragionamento è semplice: chi esce dal carcere e deve scontare la pena standosene a casa dovrebbe avere la possibilità di fare qualcosa per la collettività. L’idea della cooperativa Il Cerchio è di concentrarsi sulle isole. Che vanno non solo ripulite, ma anche sistemate per farle tornare com’erano ai tempi della Serenissima. “Orti e vigneti”, dice Trevisan. Solo che per realizzare questo progetto servono più attori: “L’idea è di far lavorare i detenuti agli arresti domiciliari - che in carcere costano 150 euro al giorno - senza pagare loro lo stipendio. Andrebbero però garantiti copertura previdenziale, vitto, spese di viaggio”. Di tutto questo si parlerà il 10 dicembre a Sacca Fisola, dove Trevisan ha invitato Comune, Provincia, Regione, tutte le forze politiche, per provare a mettere in piedi questo progetto. I precedenti, del resto, sono dei buoni biglietti da visita: la cooperativa (che nel 2009 ha avuto un fatturato di 3 milioni e mezzo) dà lavoro su più fronti: “A Pellestrina, nel “Villaggio del Mose” di cui curiamo le pulizie, siamo la prima azienda con oltre 40 addetti. La lavanderia alla Giudecca funziona benissimo, ora vorremmo trovare piccoli - medi clienti. A Sacca Fisola gestiamo gli impianti sportivi dando lavoro a una decina di persone e funziona bene anche il ristorante”. Non manca la nota glamour: al “Banco - Lotto n° 10” a Castello si vedono sempre più clienti vip, non solo veneziani ma anche francesi che hanno scelto la sartoria a Sant’Antonin, dove si usano stoffe di Rubelli, per farsi confezionare abiti su misura. Messina: in cella ha già ottenuto una laurea… adesso vuole iscriversi a Legge di Riccardo D’Andrea Gazzetta del Sud, 9 novembre 2010 Francesco vuole mettere una pietra sopra un passato piuttosto burrascoso. Dopo aver trascorso parte della sua vita negli istituti penitenziari di Palermo e Alessandria, ora è rinchiuso nel carcere di Gazzi. All’Ucciardone ha conseguito un diploma di perito tecnico commerciale. Nel suo nuovo curriculum trova posto anche una laurea in Scienze dell’Economia e della gestione aziendale. Inoltre, attende che sia accolta la richiesta di iscrizione alla facoltà di Giurisprudenza peloritana. L’ultimo titolo, di operatore socio - assistenziale, l’ha ottenuto da poco. Assieme ad altri detenuti della casa circondariale messinese ha frequentato un corso di formazione organizzato dall’Euris, Associazione piccole e medie imprese, nell’ambito del Prof Sicilia 2010. Ieri, nella sala teatro del carcere di Gazzi, durante il convegno “Cambiare non è difficile...difficile è decidere di cambiare”, Francesco Rapisarda, 35 anni, ha illustrato il “project work” che lo ha visto protagonista. Il progetto ha dato vita alla cooperativa Ippogrifo 2010, composta da ex detenuti, con l’obiettivo di sostenere categorie svantaggiate e, nel contempo, aiutarle al reinserimento nella società attraverso il lavoro. Passaggio significativo è stato la firma di un protocollo d’intesa con il Comune di Santa Teresa di Riva. Il sindaco Alberto Morabito ha concesso in comodato d’uso gratuito un immobile da ristrutturare e trasformare in residence per anziani, dei quali dovranno prendersi cura proprio gli ex carcerati. Per questo il primo cittadino si è detto pronto a stanziare 10 mila euro l’anno. “900 ore di corso di formazione - ha detto Rapisarda - valgono più di tanti colloqui in carcere. Desidero rientrare nella vita attraverso la porta principale”. L’Euris sta facendo tutto il possibile perché ciò avvenga. In prima linea, il coordinatore Giuseppe Campagna, il responsabile organizzativo Francesco Bonanno, l’addetta alla comunicazione Tiziana Crisafulli e il responsabile del project work David Trimarchi. Al centro del dibattito il tema dell’inclusione sociale attraverso una sinergia più forte tra strutture penitenziarie e istituzioni. Il presidente della Provincia Nanni Ricevuto, rivolgendosi all’assessore regionale alla Pubblica istruzione Mario Centorrino, si è lamentato per i tagli alle amministrazioni locali. Riduzione dei contributi che mette a rischio lo sviluppo economico e sociale del territorio. “Stiamo solo eliminando i rami secchi”, ha risposto il rappresentante della giunta Lombardo. “I tagli non vengono fatti in modo lineare” ma valutando caso per caso. La ricetta di Centorrino prevede che Comuni e Province aumentino le entrate mediante la lotta all’evasione fiscale e spendano le somme in maniera intelligente, “evitando, ad esempio, manifestazioni come il Natale in piazza”. L’assessore comunale Pinella Aliberti si è tolta qualche sassolino dalle scarpe: “Palazzo Zanca ha avviato diversi progetti di inclusione sociale. Il problema è che si tratta di iniziative con efficacia limitata. Non si guarda mai al lungo periodo. L’unica boccata d’ossigeno potrebbe arrivare da un fondo unico regionale”. È evidente che la coperta è corta, perché “è impossibile mantenere i servizi con risorse esigue”. Chieti: “Un minuto da detenuto”; l’Associazione Voci di dentro onlus porta una cella in piazza Il Centro, 9 novembre 2010 Progetto dell’associazione di volontariato Voci di dentro Onlus che verrà realizzato in piazza G.B Vico a Chieti dal 20 al 25 novembre e a Palazzo D’Avalos a Vasto dal 26 al 28 novembre. Saranno presenti il presidente della Provincia di Chieti Enrico Di Giuseppantonio, i Sindaci di Chieti e Vasto Umberto Di Primio e Luciano Lapenna; i Direttori delle Case circondariali di Chieti e Vasto Giuseppina Ruggero e Carlo Brunetti; i Presidenti degli Ordini degli Avvocati di Chieti e Vasto Pierluigi Tenaglia e Nicola Artese alla conferenza stampa programmata per mercoledì 10 novembre alle ore 11.30 presso la Provincia di Chieti per presentare il progetto Un Minuto da Detenuto. In piazza G.B Vico a Chieti dal 20 al 25 novembre e a Palazzo D’Avalos a Vasto dal 26 al 28 novembre infatti, sarà collocata una fedele riproduzione di una cella. L’obiettivo è quello di mostrare e far “vivere” la realtà delle carceri italiane affollate da quasi 70 mila persone. Per far riflettere su una istituzione che teniamo ai margini della società, come un male da esorcizzare o da nascondere, dimenticando che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato come stabilito dall’ art. 27 della Costituzione. Iniziativa dell’Associazione di Volontariato Voci di dentro Onlus con il patrocinio della Provincia di Chieti, del Comune di Chieti, del Comune di Vasto, dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati di Chieti e Vasto, del Centro Polivalente immigrati della Provincia di Chieti. Firenze: Il garante; digiuno a staffetta per fino a Natale, contro il sovraffollamento a Sollicciano Redattore Sociale, 9 novembre 2010 Digiuno a staffetta per denunciare le condizioni dell’istituto fiorentino. Lo ha annunciato il garante dei detenuti Franco Corleone: “L’afflusso di detenuti sembra inarrestabile. Con le associazioni di volontariato predisposta una piattaforma di richieste. Sciopero della fame a staffetta fino a Natale per denunciare il sovraffollamento e i problemi nei quali versa il carcere fiorentino di Sollicciano. Lo annuncia una nota del garante dei detenuti Franco Corleone, che domani illustrerà l’iniziativa nel dettaglio nel corso di una conferenza stampa. “Come avevo previsto - dice Corleone - l’afflusso di detenuti a Sollicciano sembra inarrestabile. Con le associazioni di volontariato abbiamo predisposto una piattaforma di richieste urgenti per l’amministrazione penitenziaria”. Per giovedì prossimo è in programma un incontro tra il garante, il direttore di Sollicciano Oreste Cacurri, il comandante Francesco Salemi e il responsabile dell’area educativa Gianfranco Politi. Mamone (Nu): la Cisl denuncia; mancano i soldi per far lavorare tutti i detenuti La Nuova Sardegna, 9 novembre 2010 “Ormai la Casa di reclusione di Mamone è una colonia agricola soltanto sulla carta. Sempre più sta prendendo gli aspetti e la tipologia gestionale di una casa circondariale”. Ad alzare la voce è ancora una volta il segretario generale della Cisl - Fns Giovanni Villa. Che sollecita i vertici dell’amministrazione penitenziaria affinché venga aperto un confronto sui “gravi problemi che stavano e stanno tutt’oggi creando continui disservizi nella colonia di Mamone”. Villa, soprattutto, sottolinea la delusione degli agenti per la mancata convocazione di un incontro dopo i fatti del 16 ottobre, quando in una cella di Mamone venne scoperta una distilleria”. “Ma l’amministrazione penitenziaria come al solito fa orecchie da mercante” attacca il rappresentante di categoria. “Oggi per l’ennesima volta denunciamo che altri agenti sono andati in quiescenza e non vi è stato un ricambio adeguato, mentre i detenuti crescono di numero, e per la maggior parte sono detenuti che vengono assegnati dagli Istituti penitenziari della penisola, e tutto questo quando non ci sono più soldi per poter far lavorare tutti i detenuti. Molti di loro - dice ancora Villa - non sono in condizioni fisiche idonee per stare a Mamone ed altri che invece lo sono non vengono inseriti in nessuna mansione lavorativa perché mancano i soldi. Tutto ciò comporta un aumento di tensione tra i detenuti, costretti a trascorrere molte ore in spazi stretti, e i pochi agenti presenti a stento riescono a garantire quel minimo di sicurezza”. Augusta (Sr): l’Ugl denuncia; servizi essenziali a singhiozzo e disagi per i detenuti e gli agenti La Sicilia, 9 novembre 2010 Problemi che sembrano non trovare soluzione alla casa di reclusione di Brucoli: il sovraffollamento è la condizione normale, ma in questi giorni sta succedendo di tutto e di più: è mancata l’acqua e la struttura carceraria è rimasta al buio per la mancanza di energia elettrica. A segnalare i disservizi , è il vicesegretario nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, Sebastiano Bongiovanni. Pertanto, in un contesto già in piena crisi per le tante carenze croniche, si è aggiunta, nonostante il problema sia stato più volte segnalato dalla stessa Ugl e dalla direzione dell’istituto di pena, la rottura dell’unica pompa funzionante che permette l’erogazione dell’acqua in tutta la struttura. Questo ha avuto come conseguenza l’interruzione dell’erogazione dell’acqua e per tre giorni l’istituto di pena è rimasto a secco. È ovvio che ciò ha comportato gravissimi disagi per tutto il personale di Polizia penitenziaria e per la popolazione carceraria con rischi enormi di natura sanitaria. Inoltre nella giornata di domenica, mentre si era in piena emergenza per la mancanza di acqua, è venuta meno pure la corrente elettrica. A questo punto doveva entrare in azione il gruppo elettrogeno. Ma questa apparecchiatura d’emergenza in caso di mancanza di energia elettrica non si è avviato, e tutto la Casa di pena è rimasta totalmente al buio, e solamente grazie alla professionalità del personale della Polizia penitenziaria in servizio, come ha fatto rilevare Bongiovanni, sono stati evitati danni irreparabili. “L’Ugl - si legge in una nota inviata agli organi competenti - nell’esonerare la direzione della casa di reclusione di Brucoli da ogni responsabilità, chiede un intervento urgente per risolvere tutta la problematica che interessa questo carcere”. Lecce: Uil; nel carcere è emergenza sanitaria, 4 casi di tubercolosi e 18 di hiv Comunicato Stampa, 9 novembre 2010 “Quando in un Istituto penitenziario come Lecce sono ufficialmente dichiarati 4 casi di Tbc, 4 casi di scabbia e uno di varicella non si può non parlare di emergenza sanitaria. Se poi al tutto coniughiamo la presenza di 242 detenuti tossicodipendenti (di cui 62 in terapia metadonica) 18 casi di Hiv, 350 patologie di epatite C, 140 affetti da sintomatologie psichiatriche, il quadro è completo nella sua allarmante drammaticità, acuita dalla chiusura per inagibilità (alcuni giorni fa) di 3 ambulatori medici dei 5 presenti nella struttura penitenziaria del capoluogo salentino. A questo punto riteniamo che il Presidente della regione Puglia abbia il dovere di farsi carico di una diversa attenzione rispetto al momento penitenziario gestendo ed intervenendo sull’emergenza. Il leader politico nazionale, Nichi Vendola, oltre ad impegnarsi nella narrazione di un paese che ancora non c’è dovrebbe predisporsi all’ascolto del racconto del paese che c’è, fatto anche di queste cronache” È un allarme rosso a Borgo San Nicola, e non solo dal punto di vista sanitario, quello lanciato dal Segretario Generale della Uilpa Penitenziari Eugenio Sarno, che stamani ha visitato il carcere di Lecce. “Quello sanitario è solo uno dei tanti punti critici che investe l’istituto leccese. Questa mattina erano presenti 1.452 detenuti (1.358 uomini e 94 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 659 posti. Questo sovraffollamento, pari a circa il 120%, acuisce i propri devastanti effetti anche per le condizioni di insalubrità che connotano la struttura, cui non si può porre rimedio per il taglio dei fondi. Inoltre la presenza di 281 detenuti classificati Alta Sicurezza, 27 alla mafia siciliana, 55 alla camorra, 14 alla ‘ndrangheta, 20 alla sacra corona unita e 63 ad altre organizzazioni criminali minori, fanno di Lecce anche un problema di ordine pubblico. I 2 suicidi i 38 tentati suicidi, i circa 300 atti di autolesionismo sono - sottolinea Sarno - la conferma di un quadro complessivo connotato anche da violenza”. Il Segretario generale della Uilpa Penitenziari lancia un accorato appello ai vertici dipartimentali e al Ministro Alfano perché si possano coprire, nel breve periodo, posti di responsabilità. “una regione di frontiera come la Puglia non può continuare ad essere priva di un provveditore regionale, perché questa assenza crea un vulnus operativo ed amministrativo non indifferente. Per queste ragioni, ancora una volta, facciamo appello al Ministro Alfano perché nomini i nuovi dirigenti generali in modo da coprire le vacanze dei provveditori in Puglia, Sardegna, Calabria, Basilicata e Lazio. Analogamente - conclude il Segretario della Uil Penitenziari - non mancheremo di sollecitare il Capo del Dap a nominare un Comandante effettivo del reparto di Polizia Penitenziaria a Lecce in quanto i due funzionari si sono volontariamente resi incompatibili con le funzioni avendo assunto incarichi sindacali. Roma: Garante dei detenuti; Vincenzo Lo Cascio rinuncia per incompatibilità di Beatrice Picchi Il Messaggero, 9 novembre 2010 Troppe polemiche e poi, soprattutto, quell’incarico era incompatibile: quel ruolo di garante all’interno delle carceri proprio lui non poteva ricoprirlo, lo aveva detto fin dall’inizio chiaro e semplice Angiolo Marroni, garante regionale dei detenuti. Così Alemanno ha fatto sapere che “la nomina di Vincenzo Lo Cascio sta per essere revocata, e ora si stanno cercando altre professionalità”. E in serata ecco sulle agenzie di stampa la spiegazione, quella ufficiale: “Vincenzo Lo Cascio ha deciso per ragioni personali e di incompatibilità con il ruolo ricoperto presso l’amministrazione penitenziaria, di rinunciare a questo compito. Per Alemanno comunque continuerà a collaborare con il Campidoglio per il miglioramento delle condizioni di detenzione nella Capitale”. In realtà che quel ruolo esigeva determinati e chiari requisiti era noto a tutti, è scritto nero su bianco sulla delibera comunale del 2003 (articolo 4 della delibera 90) con la quale venne istituita la figura del garante dei diritti dei detenuti di Roma: “L’incarico è incompatibile con l’esercizio di funzioni pubbliche nei settori della giustizia e della sicurezza pubblica”. Perché Vincenzo Lo Cascio, 40 anni, nominato dal sindaco come garante, appunto, dieci giorni fa, fa parte del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, è un ispettore di polizia penitenziaria, “e non basta che si prenda l’aspettativa, proprio non si può”, hanno detto fin dall’inizio associazioni e operatori e anche alcuni esponenti del centrosinistra. “Apprendiamo con dispiacere la rinuncia di Lo Cascio che dimostra un alto senso di responsabilità e professionalità. Perciò è auspicabile che in tempi brevi venga nominato un garante che sia altrettanto competente, e che sia soprattutto una personalità vicina al mondo carcerario e ai detenuti”, hanno dichiato i consiglieri capitolini Pdl Domenico Naccari, Alessandro Cochi e Ugo Cassone. Per Lillo De Mauro, presidente della Consulta per i problemi penitenziari, “una scelta sbagliata, tra l’altro speriamo che almeno questa volta qualcuno dell’amministrazione ci coinvolga... Alemanno fino ad oggi non ha sentito il dovere di consultarci, disconoscendo in questo modo un ruolo che ci è stato assegnato in base al quale il garante, almeno una volta all’anno, riferisce alla Consulta cittadini e alle associazioni maggiormente rappresentative dei detenuti, tenendo conto delle osservazioni di chi lavora tutti i giorni in questi ambienti”. Secondo De Mauro “negli ultimi due anni c’è stato un progressivo smantellamento di tutte quelle azioni nei confronti dei detenuti e del personale degli istituti che avevano reso Roma una città all’avanguardia”. Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il Sappe, che anche ieri ha chiesto al governo l’approvazione in Senato per l’esecuzione delle pene brevi al di sotto di un anno, ai domiciliari, era stato ancora più chiaro: “Non era certo quella la persona giusta per un ruolo simile, il ruolo di garante strideva con la sua formazione da poliziotto”. Garante dei detenuti: come è andata finire, di Silvio Di Francia È di qualche giorno fa la notizia della nomina da parte del Sindaco Alemanno del nuovo Garante delle persone detenute di Roma - comunemente detto difensore civico dei detenuti - nella persona dell’Ispettore dell’amministrazione penitenziaria, Vincenzo Lo Cascio. Prende il posto di Gianfranco Spadaccia, nominato dall’allora Sindaco Veltroni. Le scarne notizie di stampa a commento della nomina raccontano della soddisfazione del sindacato al quale appartiene Lo Cascio e di un segnale relativo al prossimo ingresso in maggioranza de La Destra di Storace, formazione alla quale (sembra) l’ispettore sia vicino. Nulla si dice del paradosso di una nomina che contraddice - alla lettera - lo spirito di quell’istituzione, laddove è scritto che: “Il Garante è un organo monocratico. L’incarico è incompatibile con l’esercizio di funzioni pubbliche nei settori della giustizia e della sicurezza pubblica (art. 1)”. Una figura terza, dunque, tra custodi e custoditi e, soprattutto, autonoma sia dall’amministrazione penitenziaria, sia dalle istituzioni locali… con poteri d’intervento, di denuncia, d’informazione”. Appunto. Sarebbe un po’ come se si nominasse garante dei diritti dei consumatori il direttore di una catena di supermercati. La Delibera fu presentata formalmente in una seduta straordinaria del Consiglio Comunale di Roma tenutasi nel teatro del Carcere di Rebibbia alla presenza di un centinaio di detenuti , tra i quali molti presero la parola e ne chiesero la rapida approvazione. Primi firmatari di quella Delibera, il sottoscritto (all’epoca Consigliere Comunale) e l’Assessore Luigi Nieri. Luigi Manconi fu il primo Garante dei Detenuti nominato da un’amministrazione locale in Italia. La nomina di Lo Cascio risulterebbe, dunque, illegittima sia per la lettera che per lo spirito dell’istituzione. Finora la protesta si è arrestata alla denuncia dell’associazione Antigone e di Stefano Anastasia che era stato il primo Direttore di quell’ufficio. Altri, ad esempio i radicali, si sono limitati a una sospensione di giudizio in virtù della conclamata competenza del dott. Lo Cascio. Ma il punto non è questo. Ultim’ora: dall’Agenzia Dire dell’8 novembre: “Vincenzo Lo Cascio, indicato pochi giorni fa dall’amministrazione capitolina a ricoprire l’incarico di garante dei detenuti di Roma, ha deciso, per ragioni personali e di incompatibilità con il ruolo ricoperto presso l’amministrazione penitenziaria, di rinunciare a questo compito. Lo comunica, in una nota, il Campidoglio. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha preso atto di questa rinuncia. Lo Cascio, ad ogni modo, continuerà a collaborare con il Campidoglio per il miglioramento delle condizioni di detenzione nella Capitale”. Appunto. Osapp: dimissioni Lo Cascio schiaffo a Polizia Penitenziaria “La revoca, a seguito di dimissioni, dell’incarico di garante dei detenuti della Capitale di Vincenzo Lo Cascio, ispettore di Polizia Penitenziaria, costituisce una schiaffo all’intera categoria, di cui è stato disconosciuto il sacrificio quotidiano in favore dei cittadini e della popolazione detenuta nelle carceri romane”. È quanto si legge in un documento firmato da Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria. “In realtà, dietro queste dimissioni c’è molto altro - prosegue il sindacalista - oltre alle resistenze di associazioni che, per ideologie datate, vedono come nemico e non come ausilio dei detenuti la polizia penitenziaria ed all’opposizione di gruppi d’interesse e di figure interne sia al Campidoglio e sia alla regione Lazio. Nella vicenda di Lo Cascio, purtroppo - indica ancora il leader dell’Osapp - si è anche assistito al tripudio delle inefficienze e delle ‘invidiè interne all’amministrazione penitenziaria, che invece di favorire, mediante idonei provvedimenti, la scelta del sindaco Alemanno l’ha di fatto osteggiata ventilando persino il possibile licenziamento dell’interessato”. Quindi l’Osapp ritiene “quanto accaduto di gravità estrema non già per il diniego di capacità e aspirazioni, peraltro ben note, di un singolo appartenente al Corpo - conclude Beneduci - ma per l’ennesima occasione persa nel riconoscere quel ruolo di pacificazione sociale e di risocializzazione che la legge prescrive da vent’anni anni e che nessuno, all’interno e all’esterno del Dap, vuole che la Polizia Penitenziaria eserciti, tanto da trasformare gli istituti penitenziari italiani nell’attuale inferno”. Varese: i detenuti stranieri si raccontano; premiazione del concorso di Auser e Casa circondariale Vita, 9 novembre 2010 Il prossimo 11 novembre a Varese presso la sala Montanari alle ore 17,00. si svolgerà la cerimonia di premiazione del concorso “Verso l’Italia - Esperienze… emozioni… episodi” aperto a tutti i detenuti stranieri degli Istituti Penitenziari della Lombardia. Il concorso era stato lanciato lo scorso mese di maggio da Auser di Varese e dalla Direzione della Casa Circondariale di Varese nell’intento di diffondere ai cittadini le storie dei tanti migranti che negli ultimi anni affollano gli Istituti Penitenziari Italiani allo scopo di far conoscere l’aspetto umano e la sofferenza vissuta per raggiungere il nostro paese. Il concorso, prevedeva due sezioni: racconto breve; elaborato artistico (pittura/disegno). Alla serata condotta dal Direttore di Varese News, Dr. Marco Giovannelli, e dagli operatori coinvolti nell’organizzazione, saranno invitati Associazioni, Enti del Territorio, Scuole ed Università. Sarà possibile la presenza di detenuti che fruiscono di permessi premio. In occasione della premiazione verrà proiettato il documentario “A Sud di Lampedusa” (2006) di Andrea Segre, autore di un recente nuovo documentario “Il sangue verde”, relativo ai fatti di Rosarno, presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. L’iniziativa è inserita nel Progetto promosso dall’Asl Varese e dal Consorzio Sol.Co. che intende promuovere interventi in favore dei detenuti della Casa Circondariale di Varese. Brasile: rivolta in un carcere nello stato del Maranhao, 9 detenuti uccisi e decapitati Adnkronos, 9 novembre 2010 Nove detenuti sono rimasti uccisi in una rivolta scoppiata in un carcere del Brasile, nello stato di Maranhao. Almeno tre delle vittime, tutte uccise negli scontri tra detenuti, sono state decapitate, riferiscono i media locali. All’interno del penitenziario Pedrinhas del capoluogo Sao Luis un funzionario è rimasto ferito da colpi di arma da fuoco e altri cinque secondini sono stati presi in ostaggio dai detenuti in rivolta che hanno preso il controllo di un padiglione e rifiutato il negoziato con la polizia militare che ha circondato la prigione.