Giustizia: nel nuovo “pacchetto sicurezza” anche l’arresto per prostitute e clienti di Natalia Lombardo L’Unità, 7 novembre 2010 Il premier presenta con Maroni le misure varate dal Cdm: lotta dura alla prostituzione nei luoghi pubblici, arresto fino a 15 giorni anche per i clienti. E la possibilità di espellere le lucciole, contro le norme europee. Ancora una volta ha cercato di cavalcare gli scandali che porta sulle spalle, Silvio Berlusconi, e ha avuto il coraggio di interrompere il ministro dell’Interno Maroni per annunciare il giro di vite sulla prostituzione, deciso poco prima in consiglio dei ministri. Foglio di via per le prostitute di strada, le nigeriane e le ragazze dell’Est schiavizzate, silenzio-assenso sulle prostitute d’alto bordo che animano i party in villa con l’anglosassone nome di escort. “Avendo constatato che il reato di prostituzione che avevamo preparato mesi fa non è andato avanti - il ddl Carfagna fermo in Parlamento - abbiamo deciso di riprendere quella norma, riapprovarla una seconda volta e inserirla in questo provvedimento sulla sicurezza”. Così il presidente del Consiglio nella conferenza stampa organizzata a Palazzo Chigi per esaltare il governo “del fare” e mandare a Fini il messaggio che “è stato attuato uno dei cinque punti, la sicurezza”. Sarà, ma proprio il finiano Italo Bocchino il giorno prima aveva chiesto ironicamente lumi sul provvedimento anti-prostituzione “chiuso da due anni nei cassetti, per ragioni che credo tutti possiamo immaginare, e nessuno lo vuole tirare fuori...”. E allora zac, eccolo riapprovato di nuovo dal governo. Seduto accanto al premier sonnacchioso Maroni ha spiegato che il “secondo pacchetto sicurezza” varato ieri prevede anche “la possibilità di applicare le misure di prevenzione, come ad esempio il foglio di via per chi, violando le ordinanze dei sindaci, esercita la prostituzione in strada”. Ecco che Berlusconi si rianima, acchiappa il microfono e ci mette la faccia colorata dal trucco. Dietro il sipario della “Verità” del Tiepolo che orna la sala stampa di Palazzo Chigi con dovuti reggiseni apposti dallo staff di Silvio, aleggia il turbinare di escort e minorenni. Mara Carfagna, che aveva criticato la battuta di Berlusconi contro i gay, ricorda che si tratta di “misure già approvate nel mio provvedimento del 2008 in uno dei primi Cdm, da tempo in attesa in Parlamento”. Vieta la prostituzione in tutti i luoghi pubblici, spiega la ministra, per “togliere linfa alle organizzazioni criminali che lucrano sul corpo delle donne, giovanissime e straniere”. Per i trasgressori, sia clienti che gli operatori del sesso, il ddl Carfagna prevede l’arresto da 5 a 15 giorni e un’ammenda da 200 a 3 mila euro. Ora anche il foglio di via per le “lucciole”. Misura repressiva contraria alla convenzione europea, nata con la legge Turco-Napolitano, che protegge le vittime della tratta aiutandole a denunciare gli sfruttatori. Livia Turco, Pd, si indigna: “Maroni cosa ci dice invece delle prostitute che lavorano nelle case di lusso? Si dimentica che quelle sulle strade spesso sono vittime del racket e degli sfruttatori. Esiste una norma a tutela di queste persone, peccato che il governo non la applichi”. Secondo Leoluca Orlando dell’Idv “Berlusconi non ha titolo morale per intestarsi la lotta alla prostituzione”. Donatella Poretti, senatrice radicale del Pd, è allibita: “Mentre il paese è travolto dai racconti delle prestazioni sessuali e delle tariffe (in alcuni casi fuori mercato) della prostituzione che frequenta gli ambienti di Palazzo Chigi e della cittadella politica, il governo approva un decreto che la trasforma in reato. Sono impazziti?”. Pia Covre, leader del Comitato diritti civili delle prostitute, smonta il giochetto: “Nessuna emergenza prostituzione nel paese tale da giustificare interventi urgenti del governo. La vera emergenza prostituzione è solo nel governo ed è sotto gli occhi di tutti”. L’associazione Antigone avverte: “Le carceri sono in overbooking”. Nel Pdl plaude il sindaco di Roma, Gianni Alemanno: “Le ordinanze non bastano”; Casoli invece vuole riaprire le case chiuse. Giustizia: Pannella; in Iran lapidano Sakineh, ma orizzonte di morte anche in nelle carceri italiane Adnkronos, 7 novembre 2010 “Lì lapidano Sakineh all’aria aperta. Qui noi lapidiamo ogni giorno nelle carceri. Bisogna stare attenti perché in questa Europa e in questa Italia i germi della Shoah sono installati e comandano come logica della cose. L’orizzonte di morte è a Regina Coeli e a Rebibbia”. Lo afferma lo storico leader dei radicali Marco Pannella a margine della presentazione della “Moratoria della pena di morte anche per Tareq Aziz. Nessuno tocchi Caino e Abele”. Giustizia: ho provato il 41-bis, è un regime odiose e crudele che rende meno uomini… Agi, 7 novembre 2010 Il 41 bis? “Un regime odioso”. Di più, “crudele”. Parola di boss che dal suo blog condanna il carcere duro. È Nino Mandalà, condannato in primo grado a 8 anni per mafia. Il presunto reggente del mandamento di Villabate, libero dal settembre 2009, quando ha anche deciso di aprire questa finestra su internet con l’obiettivo dichiarato di fare luce sulle condizioni di vita nelle carceri e di dare voce agli “uomini murati”, afferma di parlare a ragion veduta a proposito di 41 bis. “Ho una discreta competenza in proposito e posso dire che uomini che hanno vissuto in quelle condizioni - afferma Mandalà - sono stati cambiati dalla sofferenza, istupiditi da consuetudini che si ripetono per anni ininterrottamente sempre uguali, sono diventati i malconci residui del contesto originario, non saprebbero neanche leggere la realtà esterna che si è nel frattempo determinata”. Si chiede Mandalà: “Che senso ha reiterare il 41 bis nei confronti di questi uomini? E se invece si ritiene che, nonostante il 41 bis, questi uomini hanno continuato a mantenere illeciti rapporti con l’esterno durante tanti lunghi anni, significa che il 41 bis ha fallito, e allora che senso ha tenerlo in vita tranne quello di attribuirgli uno scopo afflittivo?”. E conclude: “Io dico che il 41 bis, con riguardo alla necessità di contemperare esigenze di sicurezza con esigenze di equità, è una misura che può benissimo essere sostituita da un efficace regime ordinario esercitato con gli strumenti a disposizione del Dap”. Sicilia: Cgil; polizia penitenziaria costretta a operare con scarsissimi livelli di sicurezza di Michele Giuliano Quotidiano di Sicilia, 7 novembre 2010 In Sicilia quasi il doppio dei detenuti rispetto alla capienza prevista: ogni giorno di più gli agenti sono sotto tiro. Scoppiano le carceri: dall’Ucciardone di Palermo a Caltagirone, che è l’istituto più affollato d’Italia. Da Palermo a Trapani, da Agrigento a Siracusa, passando per Catania. L’emergenza del sovraffollamento delle carceri è ovunque lo stesso e mette sempre più a rischio la sicurezza degli agenti di polizia penitenziaria. Oramai il grido di allarme che arriva dalle varie province è unanime e le problematiche sono delle vere e proprie fotocopie. Al carcere dell’Ucciardone di Palermo è sceso in campo in questi giorni persino la segreteria nazionale della Funzione pubblica della polizia penitenziaria della Cgil attraverso il coordinatore nazionale Francesco Quinti, e i componenti regionali Rosario Mario Di Prima e Calogero Attardi: “A causa della carenza di personale, di stanziamenti economici insufficienti, nonché del sovraffollamento detentivo, che ormai da tempo ha superato ogni soglia di civile e razionale tollerabilità, - scrivono i componenti del sindacato in una nota - il personale di Polizia penitenziaria è costretto sempre più a operare in condizioni di oggettiva difficoltà e con scarsissimi livelli di sicurezza. Ormai, per esempio, è prassi consolidata che i poliziotti penitenziari debbano sorvegliare più sezioni e cancelli contemporaneamente, come accade alla nona sezione, oppure disposti su più piani, come nella sesta, settima e terza sezione, dove c’è un solo agente per effettuare i controlli, il quale è costretto a spostarsi da un piano ad un altro. Per tamponare la carenza di agenti, in palese violazione degli accordi sindacali siglati a livello nazionale, si fa ricorso ai cosiddetti doppi turni”. Si cambia città ma non tiritera: ci troviamo a Catania dove i due istituti penitenziari “scoppiano”. “Sono troppo pieni, e noi non possiamo più arrestare le persone indagate perché non sappiamo dove metterle” è l’allarme lanciato dal sostituto procuratore della Repubblica della Direzione distrettuale antimafia di Catania, Francesco Testa. “Nella casa circondariale di piazza Lanza, già sovradimensionata di 200 unità, - ha spiegato il magistrato - abbiamo potuto portare soltanto quattro dei 51 arrestati, e altri sei nel carcere di Bicocca, che ha 160 detenuti in più rispetto alla capienza prevista. Gli altri 40 sono stati distribuiti tra Siracusa, Augusta, Ragusa, Caltagirone, Enna, Caltanissetta e Messina. In quest’ultimo ne abbiamo mandati pochi perché un’ala è chiusa per il crollo di un controsoffitto”. Il caso limite in Sicilia è proprio a Piazza Lanza dove gli “ospiti” sono 600 ma dovrebbero essere al massimo 286. Con 10 e persino 12 persone stipate come sardine in una cella di 5 metri per 5. “Significa che i detenuti arrivano fino al tetto”, è il commento amaro di Armando Algozzino, presidente nazionale della Uil Penitenziari. “E dire che il nostro ordinamento - rileva - prevede la rieducazione ed il reinserimento dei detenuti. Tra l’altro, negli istituti penitenziari in cui la popolazione raddoppia cominciano ad esserci carenze d’acqua, e quindi di igiene tra i detenuti. Le stesse cucine, vanno in tilt e c’è difficoltà persino nella distribuzione dei pasti”. Oltre 3.000 detenuti in più nelle carceri siciliane I sindacati dicono con chiarezza che le carceri dell’Isola ormai scoppiano: ad oggi, ospitano 8.300 detenuti quando ne potrebbero accogliere 5.193 (4.878 uomini e 315 donne). Caltagirone, con un indice di sovraffollamento del 295 per cento, è l’istituto più affollato d’Italia. Nella black list ci sono anche Noto (ne potrebbe ricevere 73 ma ne ospita 250), Piazza Armerina (dispone di 45 posti ma ce ne sono 118). Situazioni alquanto critiche anche a Trapani, Agrigento, Messina, mentre il fatiscente carcere di Favignana (in provincia di Trapani) continua a restare aperto nonostante il degrado della struttura. “è necessario che il governo nazionale - afferma Rita Bernardini, membro della Commissione Giustizia della Camera, a proposito dell’emergenza siciliana - pensi a delle misure e pene alternative che si rivelano molto più efficaci del carcere ai fini della rieducazione e del reinserimento sociale, all’adeguamento degli organici penitenziari (agenti, educatori, psicologi, assistenti sociali), alle possibilità di lavoro per i detenuti, agli istituti di custodia attenuata dove i tossicodipendenti possano curarsi”. Roma: Marroni; a Regina Coeli è emergenza affollamento e mancano anche servizi essenziali Dire, 7 novembre 2010 “Si fa sempre più pesante la situazione nel carcere romano di Regina Coeli. Il sovraffollamento e la carenza di servizi essenziali come, ad esempio, l’acqua calda, stanno creando una situazione insostenibile”. La denuncia è del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Continua Marroni: “Nei scorsi giorni, con la sezione di Primo Ingresso strapiena di detenuti, le persone arrestate e trasferite in carcere hanno dovuto sopportare un’anticamera di diverse ore nelle celle di sicurezza dell’Ufficio Matricola prima di essere accolte nel cosiddetto transito”. Continua il Garante: “L’insopportabile sovraffollamento si aggiunge alla carenza di servizi essenziali come l’acqua calda, che ormai manca da luglio per la rottura dell’impianto centralizzato di riscaldamento dell’acqua. La direzione del carcere riesce a garantire una doccia calda solo a 15 - 20 detenuti a sezione a fronte di una media di 150 reclusi”. I detenuti hanno riferito ai collaboratori del Garante che, per lavarsi con acqua calda sono costretti a scaldare l’acqua sui fornelli e tutto questo comporta una spesa ingente per l’acquisto di bombolette a gas, che pochi possono permettersi. Accanto a questo c’è la mancanza di vestiario pesante per affrontare l’inverno; infatti, soprattutto i detenuti stranieri non sono attrezzati per i rigori dell’inverno e il cappellano e i volontari Caritas non riescono a garantire vestiario per tutti. Inoltre, l’elevata presenza di detenuti con condanna definitiva (nonostante Regina Coeli sia un carcere giudiziario) e il sovraccarico di lavoro del Tribunale di Sorveglianza di Roma, fa sì che i detenuti lamentino ritardi pesanti nella fissazione di Camere di consiglio, nei colloqui con i magistrati, nelle risposte alle istanze di liberazione anticipata. Realizzato nel 1654, Regina Coeli ospita attualmente oltre mille detenuti, in 8 sezioni (spesso in 4 o 6 in ogni cella). I lavori di ristrutturazione della struttura, che in questi anni hanno interessato molte delle sezioni, non sono però riusciti a risolvere i problemi che affliggono il carcere. “La realtà è che, al di là dell’emergenza carceri che ormai dura da troppo tempo- ha concluso Marroni- Regina Coeli non è ormai più in grado di garantire standard minimi di vivibilità e di politiche volte al recupero sociale del reo, come previsto dalla Costituzione. È forse giunto il momento di pensionare Regina Coeli come carcere e di restituirlo al pieno godimento della città”. Viterbo - Il consigliere regionale Perazzolo visita Belcolle e Mammagialla “Medicina protetta e carcere, due eccellenze” Viterbo: il carcere è una polveriera, con 710 detenuti e Polizia penitenziaria sotto organico Il Tempo, 7 novembre 2010 Nonostante la polizia penitenziaria della Casa circondariale di Mammagialla operi sotto organico (340 unità presenti rispetto alle 541 previste) e nel più elevato sovraffollamento di detenuti (710 rispetto ai 439 posti letto) degli ultimi 20 anni, non si sono avuti in dieci mesi casi di suicidio tra i detenuti e 9 tentativi sono stati sventati grazie all’intervento degli agenti. “Si tratta di un risultato sorprendente e che dovrebbe prevedere un premio aggiuntivo” afferma Daniele Nicastrini, segretario regionale Uilpa penitenziari. Dopo l’incontro che si è avuto venerdì tra la Direzione ed i sindacati della polizia penitenziaria, Nicastrini spiega che questi ultimi erano interrotti da oltre 5 mesi per l’avvio dello stato di agitazione intrapreso per protestare sulla grave carenza di personale presso la casa circondariale di Viterbo. “Nell’arco di questo tempo - precisa - la polizia penitenziaria ha dimostrato alta professionalità, essendo stata impegnata per più di 44.600 ore in lavoro straordinario, oltre al regolare turno di servizio ordinario, subendo 7 aggressioni da parte di detenuti con 12 agenti sottoposti a cure con oltre 7 giorni di prognosi”. Per Il sindacalista della Uil servirebbero almeno 50 mila ore di straordinario per garantire più presenze, ma non ci sono i soldi per pagarle. “Ogni anno abbiamo meno ore di straordinario pagate rispetto all’anno precedente - precisa Nicastrini - Non ci pagano più di 42 ore al mese di straordinario e, quindi, il resto lo recuperiamo con i riposi”. Riguardo alla situazione dell’organico attuale Nicastrini fa sapere che l’amministrazione invierà 12 unità in più, ma in sostituzione di 14 che andranno in prepensionamento o saranno trasferite (9 unità dei neo assunti del 161° Corso Agenti) ad altre sedi di servizio. “Verrà così meno ogni beneficio all’organico che rimane ancora sotto organico (avremo 2 unità in meno) - puntualizza il segretario regionale Uilpa - e con un sovraffollamento off-limits che porterà la nostra organizzazione sindacale a riprendere nel breve le vertenze momentanee sospese”. Il sindacalista denuncia anche la mancanza di fondi per la manutenzione ordinaria dell’istituto e come a Mammagialla ci siano 150 detenuti in alta sicurezza e 50 in massima sicurezza, quindi, un carcere importante che necessita del giusto numero di agenti. Un altro problema riguarda i tagli sanitari che andranno inevitabilmente ad incidere anche sulla medicina penitenziaria. “Il servizio traduzioni ha visto impiegato 4160 unità di Polizia Penitenziaria per 984 traduzioni svolte e 1.558 detenuti tradotti - puntualizza Nicastrini - mentre nel servizio piantonamenti registriamo 220 (117 da altri istituti penitenziari) detenuti ricoverati all’Unità Ospedaliera Medicina Protetta di Belcolle, 504 detenuti sottoposti a visite specialistiche presso la stessa struttura protetta con un impiego di 1831 unità di Polizia Penitenziaria”. Viterbo: Perazzolo (Regione); reparto di “Medicina protetta” di Belcolle è un polo d’eccellenza Il Tempo, 7 novembre 2010 “Un polo sanitario di eccellenza per quanto riguarda la cura delle malattie infettive”. Maurizio Perazzolo, presidente della IX commissione, lavoro, pari opportunità, politiche giovanili e politiche sociali del consiglio della Regione Lazio, ha definito così il reparto di medicina protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo. L’onorevole Perazzolo ha visitato nella giornata di ieri, venerdì, la struttura ospedaliera e la casa circondariale “Mammagialla” insieme con l’onorevole Mario Brozzi, il professor Alessandro Sabatini e la dottoressa Iride Bosi. “Il nostro auspicio - ha detto Perazzolo - è che il reparto di medicina protetta, malattie infettive dell’ospedale Belcolle di Viterbo, attualmente Unità operativa semplice dipartimentale, possa trasformarsi al più presto in Unità operativa complessa”. “Dopo aver visitato le carceri romane Rebibbia e Regina Coeli e infine quella di Viterbo posso affermare che stiamo assistendo a veri e propri miracoli grazie all’impegno e alla buona volontà di tutti gli operatori - ha aggiunto Perazzolo - gli istituti di detenzione soffrono infatti per il sovraffollamento e per la carenza cronica di agenti di polizia penitenziaria”. “Il sistema della medicina penitenziaria risente delle pessime condizioni del sistema sanitario regionale che deriva dalla precedente amministrazione di centrosinistra”, ha continuato il presidente della IX commissione del consiglio della Regione Lazio. “Curare un detenuto - ha specificato l’onorevole Mario Brozzi - vuol dire restituire alla collettività un cittadino sano che non avrà bisogno di altra assistenza per la stessa patologia quando sarà tornato libero”. “Con il piano sanitario del governo Polverini - ha concluso Perazzolo - è finita l’era degli sprechi e degli sperperi nella sanità: inizia una nuova fase perché siamo convinti che creeremo percorsi per il benessere e l’assistenza dei cittadini della nostra regione”. Benevento: le Acli attivano uno Sportello di segretariato sociale all’interno del carcere Il Mattino, 7 novembre 2010 Nella Casa Circondariale di Benevento martedì 9 novembre alle ore 9.45 la conferenza stampa di presentazione per il progetto delle Acli, denominato, “Diamoci una mano, da ristretto a Cittadino”. A siglare il protocollo d’ intesa saranno la Dr.ssa Maria Luisa Palma direttrice della struttura carceraria, la Dr.ssa Annachiara Palmieri Assessorato Politiche Sociali della Provincia di Benevento e le Acli di Benevento con Antonio Meola vicepresidente nazionale Usacli. Nell’ambito degli interventi della politiche sociali, anche in zona di frontiera come il carcere afferma Annachiara Palmieri con il cofinanziamento della Provincia di Benevento, nascerà lo sportello delle Acli di segretariato sociale come sportello polivalente di informazione per i detenuti, in percorsi di riconoscimento del suo diritto di cittadinanza e di reinserimento sociale per un’offerta integrata di monitoraggio, informazioni, consulenza e tutoraggio rispetto ai bisogni immediati della popolazione carceraria. Il progetto si svolgerà all’interno della Casa Circondariale Benevento, dichiara il vicepresidente nazionale Antonio Meola, ha la durata di 12 mesi, tende ad innescare, integrandosi con altre diverse iniziative dell’ Area Trattamentale, per la valorizzazione della persona detenuta, in attività sportive per declinare lo sport per Tutti. A coordinare il progetto sarà il vicepresidente delle Acli Filiberto Parente. Hanno aderito al progetto anche i giovani delle Acli e i ragazzi del servizio civile affidati alle sede provinciale di Benevento, un ruolo centrale di animazione sarà a cura dello staff dell’ unione sportiva Acli sannita. Ringrazio, conclude Meola, la direttrice del Carcere, e gli operatori della Polizia Penitenziaria, che ci permettono, anche per questo anno di essere vicini a chi soffre il dramma della carcerazione. Dare continuità all’ ottava edizione di Un goal per la Vita un torneo di calcio interno con le varie sezioni, per disputare il quadrangolare previsto tra Natale e capodanno, tra le vincenti del torneo dei detenuti e le squadre di amministratori Sanniti della Provincia di Benevento. Rimini: Osapp; la Polizia penitenziaria in stato di agitazione Corriere Adriatico, 7 novembre 2010 La segreteria provinciale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp di Rimini, ha indetto lo stato di agitazione per la situazione all’interno del carcere dei Casetti. Secondo il sindacato, i continui provvedimenti disciplinari e giudizi negativi nei rapporti informativi su parte del personale, che vanno ad incidere sulla carriera, stanno creando molto malumore. “Nonostante le richieste di intervento ai superiori uffici - spiega una nota - si è ancora in attesa che siano svolte inchieste in merito, al fine di scongiurare la già precaria situazione di conflitti che vige nel penitenziario riminese”. In particolare, il sindacato attribuisce al direttore del carcere “la responsabilità di questo clima, per non essere mai intervenuto a porre fine a questa ormai delicatissima situazione che vede quotidianamente perseguitati i rappresentanti Osapp”. Il sindacato ha chiesto l’intervento della Procura riminese e dell’ Amministrazione Regionale. Caserta: morto a 86 l’ergastolano Misha Seifert, ex criminale di guerra nazista Alto Adige, 7 novembre 2010 È morto la scorsa notte alle 4, nell’ospedale di Caserta dov’era ricoverato da alcuni giorni, l’ex caporale delle SS, Michael ‘Mishà Seifert, meglio conosciuto come il boia di Bolzano¯. La notizia è stata confermata dal suo legale, l’avvocato Paolo Giachini. A parte Erik Priebke, Seifert - estradato dal Canada - era l’unico ex criminale di guerra nazista condannato all’ergastolo, che stava scontando la pena in Italia. Michel “Misha” Seifert, era detenuto da due anni nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, dopo l’estradizione dal Canada. Seifert, che aveva 86 anni, era caduto in carcere, la notte del 25 ottobre scorso, rompendosi un femore e la sua morte sarebbe dovuta a complicazioni seguite a quell’incidente. Nato a Landau, in Ucraina, Misha Seifert era stato condannato all’ergastolo, nel 2000, per i crimini compiuti nei campi di Fossoli, presso Carpi, e di Bolzano. Riparato a Vancouver, in Canada, dal 1951, l’ex SS era stato estradato in Italia il 15 febbraio 2008. Dopo la morte di Misha Seifert, “rimane il valore della sentenza che riconcilia gli uomini con la giustizia, per troppo tempo piegata alla realpolitik della guerra fredda che lasciava le accuse nell’armadio della vergogna”. Lo afferma Lionello Bertoldi, presidente dell’Anpi di Bolzano. L’associazione dei partigiani, come il comune di Bolzano e la Comunità ebraica di Merano, si era costituita parte civile nel processo contro l’ex SS. “Un inguaribile ottimismo - dice Bertoldi - ci fa sperare che, nel troppo poco tempo che ha passato nel carcere, abbia potuto pensare agli orrori che la sua gioventù aveva voluto e saputo infliggere ad altri giovani donne e giovani uomini”. “Noi proteggiamo la memoria di questo immenso sacrificio di donne e di uomini , per saper indicare qual è stato il valore del nostro riscatto dal nazifascismo” conclude il presidente dell’Anpi di Bolzano. “Seifert non è stato solo un esecutore di ordini, ma un interprete della volontà di annientamento”, osserva l’avvocato Gianfranco Maris di Milano. Il legale, che ha assistito l’Anpi nel processo a Seifert, nel 1944, era stato internato nei campi di Fossoli e di Bolzano e poi deportato a Mauthausen ed aveva conosciuto personalmente la guardia ucraina. “Con la sua morte, il giudizio sulla sua persona non appartiene più a noi, ma resta il giudizio sul suo passato e su questo devo dire che è stato giusto il processo, giusta la sentenza di condanna, anche se tardiva, e giusta la reclusione”. Bologna: Ipm del Pratello; giovedì protesta dei sindacati di Polizia penitenziaria Dire, 7 novembre 2010 Continua la protesta al carcere minorile del “Pratello”, a Bologna, da parte di tutte le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria, che lamentano carenza di personale. La protesta culminerà in una manifestazione davanti all’istituto in via del Pratello giovedì 11 novembre, con inizio alle 10. A promuovere l’iniziativa sono le sigle Sappe, Cisl, Uil, Sinappe, Cgil, Ugl e Cnpp, che nell’occasione terranno anche una conferenza stampa. “Nei giorni scorsi- sottolinea in una nota Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto Sappe- si è dovuto far fronte alle emergenze, compreso il piantonamento di un minore in ospedale, con personale di polizia penitenziaria della casa circondariale della Dozza. Ciò ha determinato un notevole aggravio di lavoro per una struttura già molto carente. Infatti, è noto che nel carcere per adulti della Dozza mancano circa duecento agenti”. Treviso: dietro le sbarre arriva l’e-commerce, i lavori dei detenuti acquistabili on-line La Tribuna di Treviso, 7 novembre 2010 La novità, per i detenuti operai e artigiani che lavorano nel carcere di Santa Bona, è che da oggi i loro prodotti possono essere acquistati sul web. Punta dell’iceberg di un progetto avviato 20 anni fa a cura delle cooperative “Alternativa” e “Alternativa Ambiente”, l’e-commerce è entrato venerdì formalmente a far parte di un pacchetto di strumenti che fa da ponte fra il dentro e il fuori le mura della prigione e che dovrebbe aiutare chi è oggi privato della libertà, una volta espiata la pena, a ritrovare una propria vita normale e migliore. “È a volte un po’ amaro sentire grandi affermazioni sul mondo carcerario e sulle pene - è stato il commento di Antonio Fojadelli, presente all’inaugurazione della sezione dedicata all’informatica dei laboratori di Santa Bona - da parte di persone che poi si disinteressano dei problemi che altri sono chiamati a gestire. Dire che il trattamento carcerario deve tendere alla rieducazione è un esercizio retorico se poi non ci si preoccupa dello sforzo di chi prende sul serio certi precetti di carattere costituzionale”. Nel carcere di Treviso vive oggi una popolazione di circa 280 persone. Otto di queste sono regolarmente assunte in impieghi con mansioni che passano dalla falegnameria, all’incisione del vetro, all’assemblaggio di componentistica per mobili e cassonetti per lo smaltimento domestico dei rifiuti. Il loro stipendio è di 700 euro netti e una volta usciti avranno buone possibilità di essere integrati nelle stesse cooperative che gestiscono la produzione in carcere. Oltre a loro, nel penitenziario risiedono altri 18 detenuti coinvolti in programmi di riabilitazione, cioè di addestramento al lavoro. “Fra quelli che, scontata la condanna, finora abbiamo assunto in cooperativa - sottolineano i responsabili della società - quasi nessuno ha avuto in seguito nuovi problemi con la giustizia”. Missione compiuta, dunque. Ora “Alternativa “, sostenuta anche da contributi governativi, un fatturato annuo di 6,5 milioni per 300 dipendenti, ha come unico ostacolo al suo sviluppo a Santa Bona la saturazione di ogni spazio interno al penitenziario. “Qualcosa ci inventeremo comunque - rassicura il direttore, Francesco Massimo - non fermiamoci qui per questo “. Chi nel frattempo voglia acquistare su internet bicchieri e caraffe incise, oggetti per l’apicoltura, ricoveri in legno per gli uccelli ed altro può collegarsi a www.carceretv.it. Treviso: l’avvocato difensore finisce in carcere, “dimenticato” l’appello per detenuto senegalese La Tribuna di Treviso, 7 novembre 2010 Il suo avvocato è finito in carcere e nessuno ha impugnato la sentenza con la quale era stato condannato per omicidio a 16 anni di carcere. Risultato: la condanna è diventata definitiva dopo un solo grado di giudizio. Lui è Abdou Faye, cinquantaduenne senegalese: nel settembre 2009 aveva ucciso a Monigo il connazionale Aliou Kane per gelosia (erano innamorati entrambi della stessa donna, una trevigiana). Difensore del senegalese era l’avvocato Adele Giordano, finita lo scorso mese in cella (e ora ai domiciliari) con l’accusa di aver preso parte a un sexy ricatto ai danni di un imprenditore di San Marino. La professionista, evidentemente, non ha avuto modo di impugnare la sentenza nei termini di legge - scadevano lo scorso 30 ottobre - col risultato che i 16 anni di condanna sono diventati definitivi. L’avvocato Alessandra Nava, che assiste ora l’omicida, ha impugnato comunque la sentenza in Corte d’Appello sottolineando la particolare situazione del legale dell’omicida. Nel frattempo l’Ordine degli avvocati ha deciso la sospensione dell’avvocato Adele Giordano. Livorno: entro sei mesi al carcere delle Sughere sbarcherà la telemedicina Il Tirreno, 7 novembre 2010 Entro sei mesi al carcere delle Sughere sbarcherà la telemedicina. Vale a dire che negli spazi interni alla Casa circondariale saranno creati appositi ambulatori dotati di una postazione internet che permetterà un collegamento continuo con le sedi Asl dove operano i medici. La postazione sarà dotata di attrezzature per esami specifici, come elettrocardiogramma, auscultazione del torace o ispezioni dermatologiche. Così il detenuto potrà avere in tempo reale l’esito degli esami e anche un rapporto diretto con il medico che lo cura. “Questo servizio - spiega Luca Lavazza, direttore sanitario Asl - permette di risolvere il problema di trasferire il detenuto, in qualsiasi momento, per farlo visitare all’esterno della struttura. Così invece si mette a disposizione del carcere una sanità sempre più simile a quella esterna”. Avellino: detenuti protagonisti di un docu-film che sarà presentato al MedFilm Festival di Roma Il Mattino, 7 novembre 2010 I detenuti nel carcere irpino di Sant’Angelo dei Lombardi protagonisti del docu-film che sarà presentato il 14 novembre al MedFilm Festival di Roma. La sceneggiatura, la recitazione, le riprese e la scenografia sono state realizzate da soli detenuti, guidati dal regista Giuliano Capozzi, di Torella dei Lombardi. Un exploit arrivato a conclusione del corso di cinema che lo stesso Capozzi ha tenuto dentro le mura. “Il mio obiettivo”, spiega, “è stato quello d’instaurare un rapporto con i detenuti che permettesse loro di avere l’apertura e la fiducia necessaria per raccontare le loro storie e per sperimentarsi nel mestiere del cinema, davanti e dietro la cinepresa”. Sorprende la bravura di alcuni detenuti, scambiati da chi ha visto il film per attori professionisti, volti che si sarebbero potuti trovare nelle opere di Matteo Garrone, Marco Risi, Stefano Incerti. “Molti attori professionisti faticherebbero non poco a raggiungere la stessa verità nell’interpretazione”, osserva il giovane regista. Non mancano i momenti drammatici, spezzati a volte da bagliori di ironia tutta partenopea (parte dei reclusi viene da Napoli e Caserta). Colpisce la costruzione delle scene: “La sceneggiatura venuta fuori non segue i criteri classici della scrittura per il cinema. Siamo partiti da un canovaccio, dando poi spazio all’improvvisazione. Abbiamo proceduto così anche con i dialoghi, una volta chiarito con precisione il senso e la funzione narrativa di ogni scena”. Vengono raccontate storie vere, altre di fantasia ma credibili e realistiche. Un miracolo artistico e umano arrivato a conclusione del corso di cinema che lo stesso regista, Giuliano Capozzi, ha tenuto dentro le mura. Soltanto quattro giorni di riprese una volta finite le lezioni e un budget risicato. Ma l’empatia dello stesso regista, avvicinatosi ai reclusi senza pregiudizi e con molta curiosità, ha portato alla realizzazione e al successo della pellicola. “Il mio obiettivo primario sin da subito - spiega Capozzi - è stato quello di instaurare un rapporto con i detenuti che permettesse loro di avere l’apertura e la fiducia necessaria per raccontare le loro storie, mettendoci la faccia, e per sperimentarsi nel mestiere del cinema, davanti e dietro la cinepresa”. Sorprende la bravura di alcuni detenuti, scambiati da chi ha visto il film per attori professionisti, volti che si sarebbero potuti trovare tranquillamente nelle opere di Matteo Garrone, Marco Risi, Stefano Incerti. “Molti attori professionisti faticherebbero non poco a raggiungere la stessa verità nell’interpretazione”, osserva il giovane regista. Sorprendono i momenti drammatici, spezzati a volte da bagliori di ironia tutta partenopea (gran parte dei reclusi viene da Napoli e Caserta). Colpisce la costruzione delle scene: “La sceneggiatura venuta fuori non segue esattamente i criteri classici della scrittura per il cinema - aggiunge Capozzi -. È stata piuttosto un canovaccio, poi spazio all’improvvisazione nella messa in scena. Così anche i dialoghi sono tutti improvvisati, una volta chiarito con precisione il senso e la funzione narrativa di ogni scena”. La definizione dell’opera è davvero ardua. Superficialmente si potrebbe parlare di docu-film, ma la fase di montaggio ha contribuito a rendere il tutto prettamente cinematografico. All’interno vengono raccontate storie vere, altre di pura fantasia ma credibili e realistiche. Un film, trentadue minuti, che lo stesso autore definisce a struttura circolare. Potresti scambiare l’inizio e la fine, sarebbe lo stesso, perché il tempo, in carcere, non passa mai. Vale poi la pena parlare di Enzo Perna, lionese, autore di una colonna sonora volutamente scarna ma decisamente efficace. Chi ha ascoltato Neil Young nel capolavoro di Jim Jarmush, “Dead man”, potrà farsi una vaga idea delle chitarre che aprono, chiudono e accompagnano i minuti di “Oltre le mura”. C’è poi il contribuito dell’attrice abruzzese Monica Mariotti, necessario soprattutto dietro la cinepresa per dare coraggio e spontaneità agli attori-detenuti, dai 21 ai 55 anni. C’è dunque attesa per la proiezione romana. Il MedFilm Festival si svolge nell’anno europeo della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. E un bel contributo anche da parte del Ministero della Giustizia, del Dap e della Casa di Reclusione diretta da Massimiliano Forgione. Venezia: mostra; le “Carceri d’invenzione” di Piranesi in 3D diventano incubi “reali” Il Gazzettino, 7 novembre 2010 Di notevole interesse l’esposizione alla Cini di Venezia. Le celebri incisioni sono oggetto di una elaborazione video che permette ai visitatori di avere la sensazione di entrare nelle immaginarie prigioni. Non sono frequenti, da parte della critica, gli accostamenti tra l’arte di due maestri incisori, Giambattista Piranesi e Maurits C. Escher, separati da due secoli: il primo visse nel pieno del Settecento, il secondo morì nel 1972. Eppure basta aver presenti solo alcune fra le opere più celebri di Escher - Relatività, Su e giù, Casa di scale - per ritrovarne le potenti suggestioni quando ci si accosta al nucleo centrale della mostra “Le Arti di Piranesi”, prodotta dalla Fondazione Giorgio Cini e da Factum Arte, su idea di Michele De Lucchi, e aperta fino al 21 novembre sull’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Il nucleo suddetto presenta i capolavori più conosciuti di Piranesi, le straordinarie Carceri d’invenzione, “una delle opere più segrete che ci abbia lasciato in eredità un uomo del XVIII secolo”, scrisse Marguerite Yourcenar, secondo la quale le Carceri hanno le caratteristiche del sogno: “la negazione del tempo, lo sfalsamento dello spazio, la levitazione suggerita, l’ebbrezza dell’impossibile raggiunto o superato”. Esattamente le stesse cose che si possono dire per le costruzioni di Escher. Però non si fa menzione dell’artista olandese nel peraltro interessante saggio di Norman Rosenthal, contenuto nel catalogo Marsilio della mostra veneziana, che percorre i riverberi delle prigioni piranesiane nell’arte fino ai nostri giorni, e che dimostra come la sua potenza visionaria abbia influenzato numerosi e insospettabili artisti nei secoli successivi. Ma è l’intera mostra una dimostrazione dell’attualità delle intuizioni di Piranesi, nato a Mogliano Veneto nel 1720, morto a Roma nel 1778. In 300 stampe, provenienti dalla collezione della Fondazione Cini (edizione francese Firmin Didot del 1835-37), si dà conto dell’ecletticità di Piranesi, “architetto, incisore, antiquario, vedutista, designer”, come afferma il sottotitolo della mostra, in una densa rassegna che va dai Capricci grotteschi alle vedute di Roma, dal progetto per la chiesa di S. Maria del Priorato sull’Aventino, alle descrizioni tecniche di possenti opere idrauliche, ai camini in stile egizio. L’intenzione di De Lucchi è però di andare oltre una, seppur meritoria, esposizione della stampe, per arrivare a creare un cortocircuito fra le incisioni e la tecnologia attuale, quasi a testare la “tenuta” delle prime a contatto con mezzi moderni. Fondamentale l’incontro con il laboratorio madrileno Factum Arte di Adrian Lowe. Nel cuore della mostra dove, come già detto, sono protagoniste le Carceri, un video mostra in dissolvenza la loro prima versione, le Invenzioni capricciose di carceri, e quella successiva e più universalmente nota, chiarendo come Piranesi calcò sui toni cupi e drammatici. Ma si è voluto osare ancora di più: in un altro video, proiettato su due grandi schermi dentro un’installazione, le Carceri sono montate l’una dopo l’altra come fossero ambienti di un unico, enorme falansterio. Grazie a effetti tridimensionali, chi guarda “entra” nelle prigioni, si sposta lungo le gallerie, percorre le scale sorpreso, di quando in quando, da movimenti evanescenti dei rari abitatori. Non tutti i critici hanno apprezzato la contaminazione, ma è innegabilmente suggestiva. Si può solo speculare su quali esiti avrebbe avuto la sensibilità di Piranesi, avendo a disposizione questo tipo di tecnologia; ma è un fatto che le Carceri si prestano al gioco digitale, senza che la loro visionaria forza tragica ne sia compromessa. Immigrazione: nel 2009 fermati oltre 52.000 clandestini, il 34% effettivamente rimpatriati di Vladimiro Polchi La Repubblica, 7 novembre 2010 Nel 2009 su oltre 52mila clandestini fermati, solo 18mila (il 34%) sono stati effettivamente rimpatriati. È il dato più basso dal 1999. Secondo il rapporto Caritas, ci sono problemi di funzionamento anche per i Cie: viene rimpatriato solo il 38% dei detenuti Mihai è moldavo. A Roma, lavora come piastrellista e imbianchino. Sua moglie è in regola: fa l’infermiera. Mihai, invece, i documenti non ce li ha. La polizia l’ha pure fermato e gli ha consegnato un foglio di via. Ma lui non ci pensa a tornare a casa. Resta in Italia, da invisibile. Mihai è il granello di sabbia che blocca l’ingranaggio, è il fallimento della politica delle espulsioni. Nel 2009 su oltre 52mila irregolari fermati, solo 18mila (il 34,7%) sono stati effettivamente rimpatriati. È il dato più basso dal 1999. Stando all’Ocse, oggi in Italia vivono e lavorano oltre mezzo milione di immigrati irregolari. Il loro allontanamento dovrebbe avvenire o direttamente alle frontiere (respingimenti) o dopo l’ingresso sul territorio italiano (rimpatri). I risultati? Nel 2009 i respingimenti sono stati 4.298, in netto calo rispetto agli anni precedenti: 20.547 nel 2006, 11.099 nel 2007 e 6.358 nel 2008. Quali sono le nazionalità più respinte? Dopo l’ingresso di Romania e Bulgaria nella Ue, in testa ci sono gli albanesi (471 casi nel 2009), seguono i marocchini (320), i cinesi (196), i brasiliani (196) e i tunisini (186). La maggioranza dei respingimenti avviene negli aeroporti (2.719), seguono le coste (911) e le frontiere di terra (668). Stessa curva discendente si registra per i rimpatri: erano 24.902 nel 2006, 15.680 nel 2007, 17.880 nel 2008 e solo 14.063 nel 2009. Insomma, come denuncia l’ultimo Dossier Caritas/Migrantes, l’anno scorso su un totale di 52.823 irregolari fermati dalle forze dell’ordine, solo 18.361 (tra respinti e rimpatriati) sono stati effettivamente allontanati: pari al 34,7%. Il che conferma il trend decrescente dal lontano 1999. Le cose non andrebbero meglio nel 2010: stando a quanto dichiarato il 16 agosto scorso dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, dall’inizio del 2010 sono stati espulsi solo 9mila irregolari. Non è tutto. Neanche i Centri d’espulsione paiono davvero funzionare, nonostante dal 2009 il tempo massimo di trattenimento sia passato dai due ai sei mesi. Se, infatti, da un lato è diminuito il numero degli irregolari trattenuti (16mila nel 2005, 10.913 nel 2009), la quota dei rimpatriati è crollata: erano il 68,6% dei trattenuti nei Cie nel 2005, solo il 38% nel 2009. E ancora: gli irregolari fermati e sanzionati nel 2009 sono stati 52.823, dunque solo un decimo degli immigrati senza documenti presenti in Italia, secondo l’Ocse. Il calo di respingimenti e rimpatri potrebbe trovare spiegazione nella diminuzione del numero di irregolari presenti oggi in Italia? In fondo, stando ai dati del Viminale, dal 1 agosto 2009 al 31 luglio di quest’anno gli sbarchi sono diminuiti di ben l’88%. Peccato, però, che solo una minoranza degli immigrati che finiscono nella clandestinità arriva via mare. L’Istat, per esempio, ha calcolato che gli sbarchi nel 2008 hanno inciso solo per il 5,4% sugli ingressi irregolari in Italia. Il 65% degli immigrati, infatti, entra con un regolare visto turistico e alla scadenza resta da irregolare: li chiamano over stayers. Un altro 30% arriva via terra, attraverso le frontiere degli accordi di Schengen. E allora? “La creazione della sacca di irregolarità - sostiene Franco Pittau, coordinatore del Dossier Caritas/Migrantes - non avviene a seguito degli sbarchi, ma degli ingressi regolari in Italia. La strategia di contrasto della clandestinità allora non può ridursi alla chiusura delle rotte via mare, ma deve ricorrere ad altri strumenti: una maggiore flessibilità nelle quote d’ingresso e il prolungamento da 6 a 12 mesi del permesso di soggiorno per attesa occupazione, nel caso in cui il lavoratore straniero perda il lavoro”. Cina: nelle carceri detenuti ai lavori forzati producono di tutto, dai giocattoli agli autobus di Gianni Perrelli L’Espresso, 7 novembre 2010 Liu Xiaofao, li premio Nobel, è detenuto nella prigione di alta sicurezza di Jinzhou (provincia dì Liaoning), costruita nel 1953 su un’estensione di quasi 600 mila metri quadri e capace di ospitare fino a 1.500 reclusi. Il carcere è anche una fabbrica di prodotti elettrici e per il riscaldamento. Il nome ufficiale è Jinzhou Switch Factory e fra il 2002 e il 2004 ha investito circa 20 milioni di euro nell’acquisto di macchinari dalla Svizzera, dalla Finlandia, dalla Corea del Sud e da Taiwan. Il balzo tecnologico è valso nel 2006 alla pregiata ditta l’inserimento fra le dieci migliori industrie di Jinzhou (porto a nord-est della Cina con tre milioni di abitanti). Un piccolo Nobel per una delle tante società di capitali che prosperano intorno all’universo carcerario cinese, producendo ed esportando in Occidente una vasta gamma merceologica (giocattoli, scarpe, articoli per la casa, utensili tessili e agricoli, veicoli, autobus). L’attività è promossa sul Web dall’agenzia governativa China Commodity Net, in cui sì rintracciano i nomi di 314 imprese commerciali. Altri siti (circa un centinaio) reclamizzano i prodotti in varie lingue (33 in italiano). Un sistema di distribuzione capillare che assicura forti introiti dall’Europa (non più dagli Usa dove una legge blocca l’importazione di prodotti da lavori forzati). E che rende finanziariamente autonoma una grande quantità di carceri. Le iniziative imprenditoriali della prigione di Jinzhou sono descritte nell’ultimo rapporto della Laogai Research Foundation, creata in Virginia (Usa) dall’attivista per i diritti umani Harry Wu. con una succursale italiana molto attiva. Il fondatore, nato a Shanghai nel ‘37, fu arrestato una prima volta nel ‘60 perché “cattolico e controrivoluzionario” e rilasciato nel ‘79. Nell’85 emigrò in America e diventò cittadino statunitense. Ma negli anni successivi tornò ripetutamente in Cina per indagare sui campi dì concentramento. Nell’ultimo viaggio fu di nuovo fermato e liberato solo grazie a un intervento del Congresso americano. Laogai è un’abbreviazione di “laodong gaizo dui” (“riforma attraverso il lavoro”). Quanti siano è un segreto. Si ipotizza che siano oltre un migliaio e che ospitino dai tre ai cinque milioni di prigionieri. La Laogai Research Foundation ritiene che siano almeno un centinaio le carceri che. mescolati ai delinquenti comuni, detengono reclusi per reati di opinione. Oltre Liu Xiaobo, i prigionieri più noti sono Du Oaobin (scrittore), Huang Qi (condannato per violazione di segreti di Stato), Hu Jia (blogger), Shi Tao (denunciò l’arresto arbitrano dì alcune delle madri di Piazza Tiananmen), Tan Zuoren (accusò i funzionari corrotti dopo il terremoto nel Sichuan del 2008), Wang Bingzhang (uno degli storici leader nelle battaglie per la democrazia). È stato invece appena liberato dopo quattro anni Chen Guangchen (attivista cieco che sì è battuto contro la campagna di aborti forzati). I morti per esecuzioni capitali sarebbero svariate migliaia e i loro organi sarebbero stati espiantati e venduti. Nei laogai sono costretti ai lavori forzati tutti i condannati con pene superiori ai cinque anni. L’autorità giudiziaria è autorizzata a trattenere in prigione per tre anni senza processo a scopo rieducativo anche ì cittadini sospettati di attività sovversive. Molto esteso è pure il fenomeno delle “black jails”, carceri abusive in edifici affittati da autorità locali per impedire che chi ha subito torti denunci i soprusi alle alte sfere di Pechino. La polizia può protrarre fino a tre mesi, senza mandato di un giudice, il fermo di chiunque sia indiziato di qualsiasi reato. Durante il processo, non è garantito il diritto alla difesa secondo gli standard occidentali. lì 90 per cento dei rinviati a giudizio finiscono nei laogai. E i direttori delle prigioni, in caso di esigenze di produzione, possono trattenere a tempo indeterminato ai lavori forzati anche chi ha finito di scontare la pena (juyie). “Ci può essere una fine al laogai”, è il motto che circola fra ì carcerati. “ma il juyie può durare per sempre”. Nelle prigioni più dure non esiste nessuna norma di igiene. Le razioni di cibo sono proporzionali al rendimento sui lavoro e costringono i meno efficienti a combattere la fame andando a caccia di serpenti e di topi. I detenuti in isolamento sono rinchiusi in celle di due metri senza bugliolo e a dormire a volte su giacigli dì pietra. Il rapporto della Laogai Research Foundation denuncia pure casi di violenze fisiche anche se la Cina fin dagli anni Ottanta ha ratificato la convenzione Onu contro la tortura. Iran: impiccato uomo accusato di stupro e sequestro di persona Aki, 7 novembre 2010 Un uomo, identificato con il nome di Hossein M., è stato impiccato nella Repubblica Islamica perché riconosciuto colpevole di stupro e sequestro di persona. Lo riferisce l’agenzia d’informazione Fars, precisando che l’esecuzione ha avuto luogo ad Isfahan, città dell’Iran centrale. Intanto, ieri, quattro trafficanti di droga sono stati frustati in pubblico nella piazza Imam Khomeini di Tabas, sempre nella zona centrale della Repubblica Islamica. Le autorità iraniane spesso ricorrono a pene corporali per punire i detenuti. Nelle scorse settimane a un uomo di 32 anni, condannato tre volte per furto, è stata amputata una mano nel carcere della città di Yazd. La Repubblica Islamica è inoltre uno dei Paesi al mondo dove vengono eseguite più condanne a morte.