Giustizia: i Radicali propongono di convocare gli “stati generali” delle carceri di Valentina Ascione Gli Altri, 5 novembre 2010 “Le carceri italiane sono diventate la discarica sociale di tutto il Mediterraneo, lì si vive una nuova Shoah”. Queste parole, dure e drammatiche, sono di Marco Pannella. E sono alcune delle parole con cui ha motivato oltre un mese fa, la decisione di intraprendere un lunghissimo digiuno. Probabilmente il più lungo - ha detto - della sua vita, con l’obiettivo di ottenere Giustizia (quella con la G maiuscola, non quella priva di credibilità che nel nostro Paese razzola sempre più nella direzione opposta) nelle nostre carceri. E riportarle, così, a livelli quantomeno minimi di legalità. In Italia il carcere è il luogo della pena fine a se stessa. Che non insegna, né rieduca. Un luogo dove si annidano la solitudine, la malattia e la morte. Una struttura di persecuzione sociale, ha osservato ancora il leader Radicale, con cui si è voluto risolvere il problema della droga e quello dell’immigrazione. E come dargli torto, se gli stranieri senza permesso di soggiorno fanno la spola tra i Cie e la galera; se il 30 per cento circa dei detenuti in Italia sono consumatori di sostanze stupefacenti. Ma l’umanità dolente che abita le nostre carceri si estende ben oltre i quasi 70 mila reclusi. E l’intera comunità penitenziaria a soffrire questa situazione di sfascio: gli agenti, in numero gravemente insufficiente rispetto al necessario, che sempre più spesso si tolgono la vita, provati da un lavoro difficile anche quando svolto in condizioni normali; i direttori degli istituti, che non sanno più come gestire il sovraffollamento: i volontari e gli educatori scoraggiati dalla difficoltà di portare avanti qualsiasi tipo di attività formativa e ricreativa. E poi i medici, gli psicologi che in poche ore mensili devono prestare assistenza a centinaia di persone. L’emergenza, dunque, danneggia anche chi sta dall’altra parte delle sbarre. Per questo motivo i Radicali, tra i pochi ad aver conquistato una reale credibilità in materia, hanno lanciato una proposta ragionevole, quella di convocare gli “Stati generali celle carceri”. Una grande assemblea che includa tutte le realtà del sistema penitenziario: dal governo ai sindacati, dai garanti per i diritti dei detenuti al mondo dei volontariato. Per discutere seriamente e individuare insieme sia le misure da adottare nell’immediato, per arginare la crisi, che quelle strutturali e organiche, perché il carcere torni finalmente ad essere ciò che la Costituzione prevede. Nell’interesse di tutti, liberi e non. Giustizia: nuovo pacchetto sicurezza; espulsione comunitari e foglio di via alle prostitute Corriere della Sera, 5 novembre 2010 Tra le misure proposte da Roberto Maroni la flagranza differita per i tifosi violenti, stretta sulla prostituzione e possibilità di espellere i cittadini comunitari. Approvato il nuovo pacchetto sicurezza messo a punto dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Composto da un decreto legge e da un disegno di legge, il provvedimento che ha avuto il via libera dal Consiglio dei ministri prevede misure per la lotta alla criminalità organizzata, la possibilità di espellere cittadini comunitari, il ripristino dell’arresto in flagranza differita per i tifosi violenti, il potenziamento dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla mafia, la liberalizzazione delle connessioni internet. Nel pacchetto anche misure di sicurezza urbana come una stretta contro la prostituzione su strada e l’accattonaggio. Il governo ha “espresso un plauso al ministro Maroni” per il suo impegno sul fronte del contrasto alla criminalità organizzata, ha detto Silvio Berlusconi al termine del Consiglio dei ministri. Il pacchetto sicurezza approvato oggi, ha spiegato il premier, contiene diverse norme: sulle manifestazioni sportive, dove finora abbiamo ottenuto risultati molto buoni, con il 50 per cento di incidenti in meno negli stadi; il potenziamento del contrasto alla criminalità organizzata; la tracciabilità dei flussi finanziari; la sicurezza urbana; il superamento dell’accesso al wi-fi. Inoltre, ha aggiunto Berlusconi, “visto che il provvedimento non procedeva in Parlamento, abbiamo deciso di riapprovarlo e di inserire la norma sul reato di prostituzione nel pacchetto sicurezza”. Violenza stadi, reintrodotta flagranza differita. La reintroduzione dell’arresto in flagranza differita, entro le 48 ore dal termine della manifestazione, più poteri di controllo e maggiore tutela legale per gli steward. Sono queste le principali misure relative alla violenza negli stadi contenute nel nuovo pacchetto sicurezza illustrate dal ministro Maroni nel corso della conferenza stampa a palazzo Chigi. “Attraverso le riprese video - ha spiegato - si può procedere entro le 48 ore successive all’arresto di chi si è reso protagonista di atti di violenza in occasioni di manifestazioni sportive”. Maroni ha anche sottolineato che la normativa già in vigore sta già dando risultati. “Nelle prime 9 giornate di questo campionato - ha detto - c’è stata una riduzione del 50 per cento del numero di partite con incidenti e una riduzione del 90 per cento dei feriti, passati da undici a uno”. E inoltre, si è verificata un “aumento degli spettatori, nonostante lo spezzatino e la tessera del tifoso”. Questa, ha concluso Maroni, “è la strada giusta per una maggiore sicurezza negli stadi”. Dal 1 gennaio libere connessioni wi-fi. Dal primo gennaio ci si potrà collegare liberamente, senza restrizioni, alla rete wi-fi, ha detto il ministro dell’Interno, che aveva già annunciato la necessità di intervenire sulla liberalizzazione delle connessioni 1 internet, ampiamente sostenuta da diverse iniziative parlamentari che chiedevano di abolire la legge Pisanu 2. Ricordando le limitazioni introdotte nel 2005 dal cosiddetto decreto Pisanu, Maroni ha spiegato che sono state fatte delle valutazioni “per contemperare l’esigenza della libera diffusione e quella della sicurezza”. Dopo la sua recente visita in Israele, ha detto ancora Maroni, nel corso della quale ha incontrato il responsabile dell’antiterrorismo di Gerusalemme, “ho valutato che si possa procedere all’abolizione delle restrizioni del decreto Pisanu, che scade il 31 dicembre, e dal 1 gennaio introduciamo la liberalizzazione dei collegamenti wi-fi attraverso gli smartphone”. “Da qui a dicembre - ha concluso - valuteremo quali siano gli adeguati standard di sicurezza e dal 1 gennaio i cittadini saranno liberi di collegarsi ai sistemi wi-fi senza le restrizioni introdotte 5 anni fa e che oggi sono superate dall’evoluzione tecnologica”. Grasso: da liberalizzazione danno a indagini. Per il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, l’accesso libero alle postazioni wi-fi e agli internet point porterebbe a “ridurre moltissimo la possibilità di individuare tutti coloro che commettono reati attraverso Internet”. Grasso lo ha detto a Bari, da dove ha voluto segnalare “il venir meno del decreto Pisanu che stabiliva le regole precise - ha detto - per l’identificazione di coloro che usano le reti Internet”. “Bisogna rendersi conto - ha concluso il procuratore - che dietro queste reti wi-fi e internet point ci si può nascondere benissimo nella massa degli utenti non più identificabili e si possono trovare anche terroristi, pedofili e mafiosi”. Maroni: agenzia beni sequestrati si autofinanzia. Con il pacchetto sicurezza “abbiamo rafforzato l’Agenzia nazionale creata per la gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata” ha spiegato Maroni. I beni sequestrati, ha detto il ministro dell’Interno, “sono circa 35mila per un valore di 18 miliardi di euro. Pensiamo che l’Agenzia possa procedere all’autofinanziamento consentendo di mettere a reddito una parte di questi beni”. Inoltre, ha proseguito, “aumentiamo le risorse umane e finanziarie per consentire l’apertura di nuove sedi regionali”. Maroni ha citato in particolare le città di Palermo, Napoli, Milano e Bari. Foglio di via per prostitute su strada. Sarà applicata la misura del foglio di via per chi esercita la prostituzione su strada violando le ordinanze dei sindaci in materia, ha precisato Maroni. Inoltre il prefetto disporrà del concorso delle forze di polizia per assicurare l’attuazione delle ordinanze in materia di sicurezza urbana. In questo modo, ha spiegato il ministro, “si rafforza il ruolo dei sindaci: le ordinanze comunali, infatti, si sono spesso rivelate poco efficaci perché non c’era collegamento con le forze di polizia che dovevano attuarle. Si aumenterà così il livello di sicurezza nelle città”. Espulsione anche per cittadini comunitari. I cittadini dell’Unione europea che soggiornano nel nostro Paese oltre i 90 giorni senza avere i requisiti previsti dalla normativa europea, potranno essere espulsi per motivi di ordine pubblico esattamente come avviene nei confronti degli extracomunitari. “C’è una norma europea - ha spiegato il ministro - la 38 del 2004, che prevede che se un cittadino dell’Unione europea vuole risiedere stabilmente in un paese oltre i 90 giorni deve rispondere a determinati requisiti e cioè avere un lavoro, un reddito e un’idonea abitazione. La violazione non è oggi sanzionata e dunque noi introduciamo una sanzione che è l’invito ad allontanarsi” per il cittadino comunitario. Se questo invito non viene rispettato, ha aggiunto Maroni, “è prevista l’espulsione del cittadino comunitario per motivi di ordine pubblico”. La norma è stata inserita nel disegno di legge e non nel dl perché il governo ha voluto “notificare la proposta alla Comunità Europea per sapere se la commissione è d’accordo o meno”. “Al di là delle polemiche che hanno accompagnato le politiche del governo in termini di immigrazione - ha concluso il ministro - l’Italia non ha avuto alcuna censura sulle politiche messe in atto”. Ai Comuni il rinnovo permessi di soggiorno. “Ogni anno in Italia vengono rilasciati 500mila nuovi permessi di soggiorno e questi restano in capo alle questure: noi vogliamo però che il rinnovo dei permessi di soggiorno venga tolto alle questure e suddiviso sul territorio nei comuni dove i cittadini comunitari risiedono” in modo da “rendere” la procedura “più rapida e meno onerosa”, ha detto il ministro dell’Interno Maroni. Nel pacchetto tracciabilità flussi finanziari. Nel nuovo pacchetto sicurezza sono contenute anche misure sulla tracciabilità dei flussi finanziari. Le nuove misure, varate dal governo, prevedono infatti il rafforzamento delle norme introdotte con il piano straordinario antimafia mediante disposizioni interpretarive e attuative. Misure, ha spiegato Maroni, rese necessarie per bloccare i pagamenti alle ditte vincitrici di appalti. Anche la carta d’identità elettronica. Il pacchetto prevede anche la nuova carta di identità elettronica per tutti i cittadini, sin dalla nascita, e sarà un documento di identificazione rispondente agli standard internazionali di sicurezza. “Abbiamo posto fine alla sperimentazione della carta d’identità elettronica e che andava avanti da 10 anni e che ha comportato una spesa di 300 milioni di euro. Apriamo un capitolo nuovo - ha aggiunto Maroni - e cioè l’introduzione della carta d’identità come documento di sicurezza per tutti a costo zero a partire da quando si è neonati”. “Attraverso la registrazione delle impronte digitali nei comuni - ha continuato il ministro - speriamo di arrivare anche prima della fine della legislatura all’utilizzo completo di questo nuovo strumento. Il nostro obiettivo resta quello di poter utilizzare questo documento per il voto elettronico”. Giustizia: quanti “casi Cucchi” avvengono nelle carceri italiane? di Massimo Martinelli Il Messaggero, 5 novembre 2010 Era sembrata una morte assurda già quella di Stefano Cucchi Ma isolata. Poi nello stesso decadente penitenziario di Regina Coeli è morto Simone La Penna, ed era. montata l’inquietudine. Adesso si scopre che è toccato pure ad un cittadino francese, che non è morto. Pur essendo stato processato, condannato e punito con una sevizia atroce. Tutto nel giro di una notte, mentre era legato al letto della sua cella. Sempre a Regina Coeli, anche lui privato del diritto primario alla dignità oltre che della libertà. Julien Monnet è stato quindi sottoposto ad un giudizio sommario, emesso da una una o due persone che forse hanno ritenuto di interpretare il sentimento di vendetta di chiunque ha a cuore la salute dei bambini. Ma non può essere questa l’esimente per una prevaricazione così forte. Che ha provocato un’ennesima, preoccupante violazione del diritto alla salute che deve essere garantito a chiunque sia privato della libertà in nome dello Stato. E che ha aggiunto brutalità alla violenza che quel detenuto instabile dì mente aveva già esercitalo sulla sua bambina. Catetere senza anestesia: indagato un medico del carcere Nel carcere di Regina Coeli continua la maledizione dei maltrattamenti sui detenuti. Dopo le vicende drammatiche che hanno portato alla morte di Stefano Cucchi e di Simone LaPenna, a finire al centro di una nuova inchiesta della Procura di Roma è Rolando Degli Angioli, il medico che visitò lo stesso Cucchi al suo ingresso in carcere per possesso di droga. Ma stavolta la vittima, o presunta tale, è un’altra. Il pm che sta portando avanti le indagini, Francesco Scavo, ipotizza per lui e per un infermiere di Regina Coeli, i reati di violenza privata e abuso di autorità nei confronti di Julien Jean Monnet, il francese che nell’estate del 2008 venne arrestato a Roma per aver ridotto in fin di vita la figlia di quattro anni. Era la sera del 19 luglio, quando il turista di 37 anni afferrò la testa della sua piccola Luna facendola sbattere con forza sul marmo del monumento ai caduti, all’Altare della Patria. Intervennero i carabinieri che Io arrestarono con l’accusa di tentato omicidio, mentre la bambina rimase a lungo tra la vita e la morte. L’uomo, che si trovava in un forte stato confusionale, venne curato al Fatebenefratelli e poi trasferito nel carcere di Regina Coeli, attirando su di sé la comprensibile avversione di qualsiasi padre di famiglia. Nessuno, tuttavia, avrebbe immaginato quello che Monnet avrebbe subito, almeno secondo l’ipotesi accusatoria, una volta entrato in carcere. Lo raccontò lui stesso, in una denuncia presentata lo scorso luglio della quale si ignorava l’esistenza. Monnet raccontò che mentre era legato al letto, Rolando Degli Angioli lo avrebbe sottoposto ad una cateterizzazione inguinale senza anestesia, provocandogli gravi lesioni interne e, soprattutto, senza che fosse necessario quel tipo di intervento. Un comportamento che, se dovesse essere confermato dall’inchiesta in corso, getterebbe una luce diversa su questo medico che, qualche mese dopo, fu l’unico a definire il caso di Cucchi di estrema urgenza chiedendone l’immediato ricovero. Subito dopo l’arresto di Monnet, i pm accertarono che aveva avuto problemi psichiatrici e nel suo zaino vennero trovati degli psicofarmaci. Mentre la sua compagna dichiarò che era un uomo malato. La bambina venne ricoverata d’urgenza all’ospedale Bambino Gesù e sottoposta a un intervento neurochirurgico grazie al quale si riprese in extremis. Qualche tempo dopo, Monnet fu scarcerato e ottenuti i permessi necessari è tornato in Francia. Il processo a suo carico è ancora in corso, durante il dibattimento, però, sarebbe emerso che il ruolo dell’imputato, nell’incidente della bambina, non sarebbe stato così netto. Ed è proprio a Parigi che in questi giorni si stanno scrivendo gli ultimi capitoli dell’inchiesta; su richiesta della Procura di Roma, i magistrati transalpini stanno svolgendo una rogatoria internazionale per ascoltare i diplomatici, francesi che nel 2008 erano in servizio presso l’ambasciata a Roma. Domani verrà ascoltato anche Monnet, difeso dal penalista di fiducia Michele Gentiloni Silverj, il suo avvocato anche nel processo per tentato omicidio nei confronti della figlia. Ieri illegale ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione. Degli Angioli sarebbe già stato sentito e avrebbe negato di essere stato lui a effettuare quell’operazione, mentre il suo infermiere ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere. Nel fascicolo del pm, infine, c’è anche la testimonianza di un urologo che visitò Monnet nei giorni successivi a quell’operazione così simile ad una sevizia. Che ha messo a verbale le sue convinzioni dell’assoluta inutilità di un intervento del genere, confermando il sospetto che quella pratica avesse tutta l’aria di una punizione corporale. Giustizia: in Sardegna un progetto sperimentale per il trattamento dei detenuti per reati sessuali La Nuova Sardegna, 5 novembre 2010 Scatta allarme sociale se un adolescente, solo o in gruppo, violenta una ragazzina. Ma dagli esperti arriva una riflessione. Non è facile affrontare il discorso sugli abusi sessuali compiuti da minorenni. Il rischio è di etichettare prima del tempo comportamenti che potrebbero essere tipici dell’adolescenza e che portano ad un esito non voluto, frutto di una sperimentazione della sessualità capace di creare un corto circuito di comunicazione tra i soggetti coinvolti. Una considerazione che, comunque nulla toglie alla necessità di responsabilizzare i giovanissimi, la cui ignoranza in materia sessuale e la delicata fase evolutiva che vivono possono costituire un mix pericoloso. In un momento in cui i reati sessuali sembrano conoscere un incremento, anche se dovuto alla maggiore volontà di denunciare da parte delle vittime. Ma intanto è partita una sperimentazione nel carcere di Iglesias che prevede un percorso rieducativo per un gruppo di autori di reati sessuali (118 in tutto i detenuti nell’isola, di cui 81 sono italiani). Una novità assoluta per l’isola. Di questo si è parlato nella prima delle due giornate di studio promosse dall’università sassarese capofila del progetto “Sex Offenders” (termine inglese per indicare chi commette un crimine sessuale) e finanziato dall’Unione europea che coinvolge anche alcuni atenei di Polonia, Grecia, Cipro e Bulgaria e di cui sono co-promotori il dipartimento per la giustizia minorile e quello dell’amministrazione penitenziaria. Ieri il meeting (che si conclude stamani), nella sala Milella dell’università centrale a cui hanno partecipato i ricercatori stranieri portando le loro esperienze in materia, nel pomeriggio di oggi si terrà un seminario. “Il progetto “Sex Offenders” durerà due anni - spiega la professoressa Patrizia Patrizi, coordinatrice scientifica dell’evento e docente della sezione giustizia e politiche d’intervento del Centro Studi Urbani dell’ateneo - e ha come scopo quello di verificare interventi comuni, nel confronto tra addetti ai lavori, per costruire un network internazionale, nell’ambito della prevenzione dei reati sessuali e della rieducazione dentro e fuori dal carcere degli autori di questo tipo di crimini. Non solo minorenni, quindi, ma anche maggiorenni. Al momento - afferma Patrizi - non esiste un trattamento speciale codificato per i detenuti accusati di abusi, ma solo alcuni tipi di sperimentazione a livello locale. Ma la nostra attenzione è puntata anche alla tutela della vittima, soggetto che non può restare fuori dall’ambito della nostra ricerca e, in prospettiva, da interventi mirati nei suoi confronti”. È stata Isabella Mastropasqua, dirigente del Centro europeo di studi di Nisida del Dipartimento per la Giustizia minorile a dare spunti di riflessione sulle devianze giovanili, illustrando un’indagine compiuta tra gli stessi minorenni in 17 istituti penali e 28 uffici di servizi sociali per minori attraverso la distribuzione di questionari. Con risultati che hanno anche infranto stereotipi, come quello che vuole gli autori di abusi a loro volta vittime (“Solo l’otto per cento ha riferito di aver subito violenze”, ha affermato Mastropasqua) e confermato alcune realtà. Come quella che vede la famiglia del minorenne “sex offender” negare nel 52 per cento dei casi la sua responsabilità. Ma anche che la prima motivazione addotta dai minori per gli atti compiuti è quella della curiosità sessuale. L’indagine ha rivelato che l’approccio con la vittima degli abusi si è limitato in quasi la metà dei casi (49 per cento) a “toccamenti”, mentre il rapporto sessuale completo è risultato consumato nel 31 per cento dei casi. Dal reato al recupero del reo. È stato Giampaolo Cassitta, direttore dell’ufficio dei detenuti e del trattamento dell’amministrazione penitenziaria regionale a spiegare il programma per “sex offenders” in corso da settembre nel carcere di Iglesias. Si chiama Gagli-off, un gioco di parole che bene individua le finalità del progetto. In settantasette convivranno con un gruppo di detenuti comuni (è già questo è un fatto nuovo nel mondo carcerario dove chi ha commesso reati sessuali è considerato un “infame” e viene confinato nei reparti protetti). “Avranno a disposizione un’équipe rafforzata da un educatore e un criminologo, e puntiamo a realizzare un obiettivo che finora non è mai stato raggiunto in Italia - ha detto Cassitta -: i sex offenders lavoreranno per ditte che si sono impegnate a conservare loro l’impiego anche quando saranno fuori dal carcere”. Lettere: il carcere è una non risposta di Carmelo Musumeci (detenuto a Spoleto) Liberazione, 5 novembre 2010 Cara “Liberazione”, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha recentemente condannato l’Italia per trattamenti disumani e degradanti a cui sono sottoposti i detenuti nel nostro Paese. Tutti quelli che pensano che il carcere sia un male necessario, specialmente questo tipo di prigione che c’è in Italia, sono come coloro che pensavano che era il sole che girava intorno alla terra. Il carcere, in qualsiasi parte del mondo, non dà risposte, il carcere è una non risposta. Non si dovrebbe andare in carcere, ma se ci si va, non si dovrebbe trovare un luogo disumano e fuorilegge, come nelle patrie galere italiane. Un luogo dove le persone vengono rinchiuse come in un canile e spesso abbandonate a se stesse. La pena, in qualsiasi parte del mondo, non dovrebbe produrre vendetta, ma perseguire il fine di riparare e riconciliare. Solo un carcere aperto e rispettoso della legalità potrebbe restituire alla società cittadini migliori. Invece le prigioni in Italia, settimo paese più industriale e avanzato nel mondo, produce solo sofferenza, ingiustizia e nuovi detenuti. Ed è il posto dei poveri, dei tossicodipendenti, degli extracomunitari e degli avanzi della società. Inoltre, per i detenuti sottoposti al regime di tortura del 41 bis, è anche il luogo dove gli esseri umani trascorrono anni e anni della loro vita senza vivere. I prigionieri sottoposti a questo regime rimangono chiusi in cella nell’inattività, nella noia, nella mancanza di qualsiasi contatto con il mondo esterno, ventidue ore su ventiquattro. I detenuti sottoposti al “carcere duro” non possono abbracciare e toccare i propri familiari, alcuni anche da diciotto anni. Vivono in un sostanziale isolamento e con una barriera di plastica nelle loro finestre per impedire loro di vedere il cielo, le stelle e la luna. Il carcere nel nostro Paese produce morte ed è altissimo il numero dei detenuti che per non soffrire più, o perché amano troppo la vita, se la tolgono, più di 50 dall’inizio di quest’anno. E poi solo in Italia, non in Europa e non nel resto del mondo, esiste una pena che non finisce mai: “La Pena di Morte Viva”, l’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio, se al tuo posto non metti un altro in galera. Niente è più crudele di una pena che non finirà mai, perché questo tipo di ergastolo uccide una persona in maniera disumana. L’ergastolano italiano ostativo ha solo la possibilità di soffrire, invecchiare e morire. E non avere più futuro è molto peggio di non avere vita, perché nessuno può vivere senza avere la speranza di libertà. Non può una persona essere colpevole per sempre. È inumano che una persona continui a essere punita per un reato che ha commesso venti/trenta anni prima. I sogni nei carceri muoiono. E spesso muoiono prima i prigionieri che riescono ancora a sognare, perché è l’unico modo che hanno per realizzare i loro sogni. Umbria: Cgil, si è costituito il Forum per il diritto alla salute in carcere Agenparl 5 novembre 2010 Si è costituito ieri, giovedì 4 novembre, il Forum Regionale per il Diritto alla Salute in Carcere. La prima riunione, a cui ha partecipato Fabio Gui, Segretario Generale del Forum Nazionale, si è tenuta presso la Cgil Camera del Lavoro di Foligno. Il Forum Regionale vuole rappresentare una piazza aperta per dare voce alla crescente domanda di salute dei detenuti legata al sovraffollamento ed alle condizioni di vita in carcere, in tutte le sue articolazioni: sottostima delle tossicodipendenze, aumento del disagio psichico, scarso sostegno psicologico di una fascia sociale a rischio, diffusione di alcune patologie infettive Hiv, Tbc, etc. necessità di interventi psicologici mirati a soggetti con sofferenza del personale. Nella nostra regione sono attualmente presenti ben 1.748 detenuti a fronte di una capienza regolamentate di 1.132 di cui oltre il 50% è in attesa di giudizio. Del totale dei detenuti 88 sono donne con la presenza di bambini, oltre 500 tossicodipendenti, circa 180 sex offenders, 181 alta sicurezza, 106 a regime 41 bis ed a questa tipologia di detenuti devono essere tarati interventi sanitari specifici. È anche strumento sia di segnalazione di criticità e problematiche legate alla mancata presa in carico della salute dei detenuti sia dell’attivazione di buone prassi sanitarie, intendendo il concetto di salute nella sua accezione più ampia non come assenza di malattia, ma come equilibrio psicofisico, come capacità di convivenza. Il Forum si collega ad altre esperienze di forum regionali già presenti (Lazio, Campania, Piemonte e Toscana) e al Forum Nazionale che già dal 1999 sostiene la battaglia per il diritto alla salute dei detenuti, che ha accompagnato la riforma e definito il passaggio dalla Sanità penitenziaria alle Asl. (Decreto Legislativo 230/99 e Dpcm 1 aprile 2008) Il Forum si è dato come primo obiettivo la costruzione di una iniziativa programmata per i primi mesi dell’anno 2011 per monitorare il percorso avviato dalla Regione dell’Umbria e dal provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria, verificare criticità e condividere soluzioni organizzative. A tal fine si è deciso la costituzione di un primo nucleo di coordinamento rappresentativo del volontariato e dell’associazionismo che ha avuto come prime adesioni i seguenti soggetti e associazioni: Aics Regione Umbria, Arci Solidarietà Ora d’Aria Perugia, Arci Ora d’Aria Terni, Associazione buddismo per la pace, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Associazione “I miei tempi”, Caritas, Ceis Spoleto, Cnca, Fp-Cgil Umbria, Cgil Regionale Umbria, Cooperativa Forris, Cooperativa Gentes, Kromata, Società Italiana Psicologia Penitenziaria Sez. Umbria Ugl Umbria, Avv. Alessandro Ricci, Aurora Trilli, Prof. Carlo Fiorio, Chiara Napolini, Cinzia Ercolani, Luca Balzelli, Niccolò Rinaldi, Stefania Anastasia. La sede provvisoria del Forum è costituita nella sede della Camera del Lavoro di Foligno, Tel. 0742 340610 dove si riunirà di nuovo il 25 novembre 2010. Toscana: i detenuti tossicodipendenti potranno curarsi nelle comunità terapeutiche Il Tirreno 5 novembre 2010 La Regione Toscana rivoluziona il concetto di pena e carcerazione per quei detenuti tossico/alcool dipendenti che potendo usufruire di misure alternative alla detenzione potranno curarsi in comunità. Nella delibera stilata dall’assessore regionale al Diritto alla Salute, Daniela Scaramuccia, si stabilisce che il percorso di presa in carico dei detenuti tossicodipendenti dovrà essere identico a quello delle persone tossicodipendenti in libertà. Per raggiungere l’obiettivo, Asl, Sert, comunità terapeutiche, Prap e Magistratura di Sorveglianza, dovranno definire le procedure più idonee per definire i percorsi assistenziali che interesseranno al momento 500 detenuti che potranno così curarsi in comunità. Il binomio “droga-carcere” ha assunto da tempo dimensioni sconvolgenti. Il 35% della popolazione detenuta, che per la prima volta nella storia della nostra Repubblica sfiora le 70mila unità, è infatti costituito da tossicodipendenti. Nelle carceri toscane, sono presenti 1539 detenuti tossicodipendenti (1.480 uomini, 51 donne e 8 minorenni), 291 sono attualmente in trattamento metadonico. Plaude all’iniziativa il Direttore del Centro Regionale per la salute in carcere, prof. Francesco Ceraudo. “È un’iniziativa che dovrà essere presa a modello in tutta Italia - dice Ceraudo - per due motivi fondamentali: per la prima volta si può fornire una concreta opportunità di recupero ai tossicodipendenti e nel contempo si decongestiona il sovraffollamento carcerario. Ora chiediamo al Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della Toscana, che si impegni per scongiurare l’arrivo di altri detenuti tossicodipendenti da altre regioni”. Emilia Romagna: l’Opg di Reggio dove essere chiuso, si cerca struttura dove trasferire i ricoverati Dire, 5 novembre 2010 L’Opg di Reggio Emilia non si trasferirà a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Non ci sono i requisiti necessari: dunque, bisognerà trovare un’altra sede. Questa in sostanza la risposta dell’assessore regionale alla Sanità Carlo Lusenti all’interrogazione del capogruppo grillini Andrea Defranceschi, che non gradisce: “In quasi un anno di solleciti, protocolli inter-istituzionali, e tavoli di confronto, l’unica cosa che la Regione è riuscita a partorire per risolvere il dramma dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Reggio Emilia è questo”. Quando, il 3 agosto, “visitammo l’Istituto di pena per detenuti-pazienti psichiatrici - racconta Defranceschi -, notammo gravi carenze sanitarie (nonostante, bisogna sottolinearlo, l’impegno del personale) e un tasso inaccettabile di sovraffollamento”. Per questo, ricorda il conigliere a 5 Stelle, “avevamo chiesto all’assessorato di Carlo Lusenti quali politiche avesse intenzione di mettere in campo per salvaguardare i pochi servizi trattamentali in atto nella struttura”. In più, dice ancora Defranceschi, “chiedemmo a che punto fossero i lavori di ripristino della struttura di Castelfranco: dove, da delibera di Giunta datata febbraio 2010, l’Istituto avrebbe dovuto essere spostato per abbassare il tasso di sovraffollamento”. Purtroppo però, chiosa il capogruppo del movimento, “ancora una volta l’assessorato regionale alla Salute ci ha risposto non rispondendoci”. E annunciando, in merito alla nuova sede, che dopo mesi di studi di fattibilità e sopralluoghi si riparte dal via: troppo piccolo l’immobile del modenese per far fronte all’aumento di detenuti. Tocca quindi studiare nuove possibili soluzioni”. Intanto, però, lamenta Defranceschi, “gli ospiti forzati dell’Opg continueranno a stare stipati in due-tre per cella, con bagni e stanze in condizioni igieniche più che precarie, e scarsissime possibilità di cura e progetti di sostegno”. Nella risposta all’interrogazione, Lusenti ricorda le “numerose e gravi criticità“ dell’Opg, “la più preoccupante delle quali rappresentata dal sovraffollamento”. La prima mossa della Regione è stata quella di aumentare l’organico, passato da 47 a 75 unità. Il che, rivendica Lusenti, ha portato “risultati immediati: oggi in 4 reparti su 5 le celle sono aperte durante il giorno, e il numero di contenzioni fisiche effettuate è crollato sia nel numero (177 nel 2008, 42 finora nel 2010) sia nella durata media del singolo episodio di contenzione (da 26 giornate di media nel 2008 a 2 di media nel 2010)”. La Regione ha poi sottoscritto un accordo con il Dipartimento Amministrazione penitenziaria per sancire l’impegno all’invio degli internati secondo i bacini di utenza. Questa misura, precisa sempre Lusenti, “associata ad un impegno da parte delle Regioni extra-bacino i cui internati sono presenti a Reggio Emilia, a una presa in carico dei propri utenti, avrebbe prevedibilmente ridotto il numero di internati a 120ú150 persone”. Sulla base di questa quantificazione l’Amministrazione penitenziaria individuò parte della struttura penitenziaria di Castelfranco Emilia “come idonea a realizzare una struttura per la effettuazione della misura di sicurezza con caratteristiche di alta e media protezione per circa 120 ú 150 persone”. Nel frattempo non si sono fermati gli invii extrabacino: “Dalla data prevista per la cessazione, tali invii sono stati 37”. Ad oggi, dice Lusenti, l’Opg “continua ad ospitare un elevato numero di pazienti provenienti da regioni extrabacino, superiore al numero di pazienti del bacino stesso. Il giorno 24 settembre erano presenti 145 persone di regioni fuori bacino, 122 del bacino, 21 senza fissa dimora e i residente all’estero”. In particolare 89 vengono dalla Lombardia, 18 dal Piemonte, 18 dalla Liguria. Lo studio di fattibilità affidato all’Ausl di Modena e consegnato il 16 settembre “dimostra come la struttura precedentemente individuata dalla Amministrazione penitenziaria non sia sufficiente a contenere il numero di internati preventivato, in considerazione dei requisiti ministeriali per una struttura con una tipologia simile alla residenza psichiatrica”. Dopo un incontro a fine settembre, “si sono delineate alcune possibili soluzioni che saranno oggetto di valutazione tecnica nei prossimi giorni”. La Regione, sottolinea Lusenti, “ha ribadito il suo impegno, anche economico, per il superamento della struttura”. Allo stesso modo però “l’Amministrazione penitenziaria dovrà cessare gli invii di internati extrabacino, e le Regioni extrabacino, in primis Lombardia e Piemonte, dovranno essere in grado di accogliere i propri internati. È quindi necessaria una forte assunzione di responsabilità - chiosa Lusenti - da parte di tutti gli attori coinvolti”. Roma: Di Mauro; nomina Garante dei detenuti è illegittima, stiamo preparando mozione Redattore Sociale, 5 novembre 2010 Per il presidente della Consulta problemi penitenziari la carica affidata a Vincenzo Lo Cascio “è incompatibile con l’esercizio di funzioni presso il ministero dell’Interno o della Giustizia”: “Stiamo preparando una mozione”. La nomina di Vincenzo Lo Cascio come garante dei detenuti di Roma capitale continua a far discutere. L’ordinanza del sindaco, che la scorsa settimana ha conferito la carica all’ispettore di polizia penitenziaria, è “illegittima, in base alla delibera n. 90 del 14 maggio 2003, con la quale la figura del garante è stata istituita nel comune di Roma”, afferma Lillo di Mauro, presidente della Consulta permanente del Comune di Roma per i problemi penitenziari. “Quella delibera - spiega - dichiara l’incompatibilità della carica di garante con lo svolgimento di funzioni all’interno del ministero della Giustizia e del ministero dell’Interno. La nomina sarebbe quindi giuridicamente legittima solo nel momento in cui Lo Cascio avesse l’aspettativa dal ministero. Di fatto, l’aspettativa ancora non c’è. Il sindaco ha quindi forzato la mano e il garante non può esercitare la sua funzione”. Di Mauro solleva inoltre alcuni dubbi in merito alla procedura seguita per la nomina: “Il sindaco può nominare il garante tramite ordinanza, ma credo che sarebbe stata opportuna l’approvazione da parte del Consiglio. E poi - aggiunge - ritengo grave che la nostra Consulta non sia stata interpellata, visto che la stessa delibera la riconosce come interlocutore fondamentale, quando all’articolo 4 stabilisce che il garante è tenuto a riferire alla Consulta almeno una volta l’anno”. Accanto all’incompatibilità giuridica, Di Mauro evidenzia anche un “problema etico: come potranno i detenuti fidarsi di un ispettore di polizia penitenziaria? Davvero non si comprende il perché di questa forzatura: ne abbiamo chiesto le ragioni al sindaco, ma non ci è giunta alcuna risposta. Alemanno è consapevole dell’illegittimità della sua ordinanza, che sta sollevando numerose proteste non solo da parte del volontariato e della consulta, ma anche dal coordinatore nazionale dei garanti locali, Desi Bruno. Per quanto ci riguarda, con il consigliere comunale Daniele Ozzimo, stiamo preparando in questi giorni una mozione per chiedere l’annullamento della nomina”. Catanzaro: reinserimento minori, ottimi i risultati ottenuti con la mediazione e la messa alla prova di Alessandra Torchia Gazzetta del Sud, 5 novembre 2010 Da una parte l’illegalità come elemento di disaggregazione del tessuto sociale, come strumento di distruzione delle istituzioni, capace di colpire anche fino alla morte chi si adopera per la ri-creazione di relazioni umane. Dall’altra parte il necessario rispetto della legge come problema fondamentale che il nostro paese deve risolvere su diversi piani di operatività: da quello della malavita organizzata a quello della corruzione dei colletti bianchi; da quello del bullismo a quello che porta alle morti sul lavoro. Di “Legalità senza legge e senza legalità non c’è Stato” si è discusso ieri pomeriggio al Centro giustizia minorile, nell’ambito del ciclo di seminari giuridico-sociali finalizzati alla formazione e aggiornamento degli operatori minorili che a vario titolo esercitano attività socio-educative. Ospiti dell’incontro, Agnese Moro, figlia del noto statista Aldo Moro ucciso nel 1978, e Beniamino Calabrese, procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Catanzaro. Ed è stato proprio il magistrato ad evidenziare come nell’universo minorile il problema del rispetto delle leggi debba essere inteso come riconoscimento da parte dello Stato delle posizioni giuridiche degli under 18. Posto, infatti, che nell’amministrazione della giustizia che coinvolge i minori non vi sono problematiche di lentezza dei processi e di sovraffollamento delle carceri, diventa importante allora l’impegno delle istituzioni verso quello che Calabrese ha definito il “giusto procedimento minorile”. “La certezza - ha riferito - nella giustizia minorile non è la velocità o la sicurezza del provvedimento giudiziale. Si concretizza invece nel rispetto delle regole da parte dello Stato, del territorio, della giustizia, della sanità”. Da qui l’importanza di riconoscere e quindi di rispettare le persone minorenni. Come? Creando, per esempio, strutture ad hoc nei tribunali laddove si trattino di separazioni coniugali e vi siano minori; oppure ancora predisponendo strumenti che tendano a “inserire” il minore che ha sbagliato all’interno della società, considerando che la sua è una personalità in formazione, bisognosa di attenzioni diverse da quello di un reo-adulto. E sono stati analizzati dal pm istituti come la messa alla prova o come la mediazione minorile, che hanno portato a ottimi risultati in punto di mancata reiterazione del reato. Evidenziata da Agnese Moro, invece, l’importanza di educare le persone ad essere libere e ad avere progetti ambiziosi, con la consapevolezza di far parte integrante di una storia. “Se guardiamo come popolo alla nostra storia - ha riferito la Moro - ci accorgiamo che abbiamo realizzato cose che un tempo sembravano impossibili”. Per la figlia dello statista, dunque, i problemi che paiono insormontabili sono da intendere come occasioni di cambiamento, da cogliere anche quando la società scoraggia. E qual è il prezzo di scelte difficili? Secondo Agnese Moro è la solitudine il prezzo che si paga. “La vera tragedia - ha riferito - è quando queste persone vengono lasciate sole. E il gesto del male si espande come macchia d’olio”. Come frenare quindi il male evitando l’effetto dell’emarginazione sociale? Secondo Agnese Moro è possibile rallentare le conseguenze del male attraverso istituti come la mediazione, capaci di ricucire relazioni lacerate dal dolore sia della vittima sia del carnefice. Non sono mancati nel corso del seminario, riferimenti in ordine all’importanza di offrire esempi di vita attestanti la necessità del rispetto delle regole e di come qualunque illegalità dia una strizzatina d’occhio alla politica. Cagliari: Uil; carcere in emergenza, carenze strutturali e sovraffollamento tra problemi principali Apcom, 5 novembre 2010 È emergenza nel carcere del Buoncammino di Cagliari: oggi Eugenio Sarno, segretario generale della Uil, ha visitato la struttura penitenziaria, constatando “de visu quanto l’applicazione, la dedizione e la passione per il proprio lavoro del personale di polizia penitenziaria del Buoncammino consenta alla struttura di non sprofondare nella paralisi più completa”. La struttura, spiega, ha bisogno di evidenti ed urgenti interventi di manutenzione straordinaria, nonostante la vetustà abbiamo colto ed apprezzato la dignità che prevale sulla povertà. Gli ambienti, pur nel degrado strutturale, sono ben curati e piuttosto puliti. Oltre al sovrappopolamento le condizioni igienico sanitarie rischiano di essere compromesse dall’inadeguatezza strutturale. La mancata posizione di grate a maglie strette alle finestre determina un accumulo di rifiuti che aiuta la proliferazione delle vaste colonie di ratti piccioni e gabbiani. Questa criticità viene gestita attraverso il prelievo dei rifiuti ogni 3/4 ore. Oltre alle deficienze e carenze strutturali la Uil ha rivelato dati statistici e numerici che danno conto della vera emergenza al Buoncammino: “Questa mattina in una struttura che potrebbe ospitare al massimo 332 detenuti ne erano presenti 520 (499 uomini e 21 donne)”. I detenuti in attesa di primo giudizio sono 104, 81 gli appellanti 60 i ricorrenti 226 i definitivi. 476 gli adulti, 44 i giovani adulti. Il contingente di Polizia Penitenziaria previsto per decreto dovrebbe assommare a 267 unità, ne sono assegnate 193 di cui 164 preposte ai servizi d’Istituto e 29 preposte al Nucleo Traduzioni. Saluzzo (Cn): Osapp; epidemia di sabbia, 11 casi accertati tra i detenuti Ansa, 5 novembre 2010 Un’epidemia di scabbia è scoppiata nel carcere di Saluzzo (Cuneo). I casi accertati tra i detenuti finora sono 11. A darne notizia è l’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che comunica che i contagiati sono stati isolati in due celle al piano terreno del penitenziario. “Se i detenuti - sostiene Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - continuano ad aumentare, oltre agli eventi critici quali i tentativi di suicidio non possono che crescere anche le emergenze di ordine sanitario che non si sa più come fronteggiare. Perchè cambi qualcosa, viste le condizioni di sovraffollamento degli istituti e di ristrettezze degli organici di sorveglianza, per come sono andate le cose negli ultimi due anni e mezzo, forse è più conveniente attendere un nuovo ministro e un nuovo capo del Dap”. Livorno: Protocollo di Intesa tra Usl e Casa circondariale per la gestione della sanità penitenziaria Agi, 5 novembre 2010 Firmato ieri mattina il nuovo Protocollo di Intesa tra Azienda Usl 6 e Casa circondariale di Livorno per la gestione della sanità all’interno del carcere livornese. “Questo documento - spiega Monica Calamai, direttore generale dell’Azienda Usl 6 - conclude un percorso cominciato anni fa in base al quale l’Azienda non si limita a prestare i propri professionisti, ma si assume la responsabilità dell’assistenza sanitaria. Il nostro compito, fuori e dentro dal carcere, è quello di assicurare cure efficienti al servizio delle persone a prescindere dalla loro condizione di reclusi o meno. Con questo protocollo estendiamo e radichiamo i nostri servizi anche all’interno delle realtà carcerarie del nostro territorio”. Il rapporto e al presenza di medici e servizi sarà costantemente controllata e ridefinita grazie alla creazione di un tavolo tecnico permanente con componenti misti provenienti dall’Azienda Usl e dalla Casa Circondariale incaricati di controllare l’appropriatezza dei servizi erogati. “L’accordo sancisce definitivamente - dice Paolo Basco, direttore della casa Circondariale di Livorno - il passaggio di competenze della sanità penitenziaria alla sanità locale. Per noi si tratta di traguardo importante perché ci permette di fare un ulteriore passo in avanti nel nostro percorso di apertura della struttura alle articolazioni della società siano esse di tipo sanitario, culturale, sociale o altro ancora”. L’organizzazione sanitaria ripartirà dai servizi offerti fino ad oggi. “La situazione attuale - dice Domenico Tiso, responsabile della sanità penitenziaria dell’Azienda Usl 6 - sconta alcuni problemi legati soprattutto al sovraffollamento delle strutture. Da Livorno, in un anno, passano circa 2.500 detenuti ai quali riusciamo a garantire un servizio di guardia medica 24 ore su 24 e servizi specialistici che vanno dalla psichiatria al dentista, dall’ortopedico al cardiologo. Le patologie principali sono legate alle dipendenze, alle malattie infettive e all’ortodonzia con tutta una serie di persone, stranieri senza documenti, che con noi trovano il primo punto sanitario. Ogni anno, ad ogni modo, siamo costretti a ricorrere a circa 400 visite esterne e circa una decina di ricoveri”. Proprio per migliorare qualità e quantità dei servizi è allo studio un nuovo progetto per la creazione di una postazione per la telemedicina all’interno di uno degli ambulatori del carcere. “Stiamo valutando - ammette Luca Lavazza, direttore sanitario dell’Azienda Usl 6 - la possibilità di creare una postazione che risolva uno dei principali problemi legato alla sanità penitenziaria ovvero quello di poter far uscire, in qualsiasi momento, il detenuto per farlo vedere a un medico specialista”. Mantova: i consiglieri comunali organizzano una colletta per comperare due lavatrici al carcere La Gazzetta di Mantova, 5 novembre 2010 I consiglieri comunali si mobilitano per portare un po’ di sollievo ai detenuti nel carcere di via Poma, dove attualmente si trovano 212 reclusi (i posti sono 180). Il capogruppo della Lista Benedini, Sebastiano Riva Berni, si è fatto promotore di un’iniziativa umanitaria: raccogliere i soldi tra i colleghi per acquistare due lavatrici da donare ai detenuti. “Propongo - ha scritto a tutti i consiglieri comunali - di devolvere il gettone della seduta dello scorso 25 ottobre (100 euro lordi ognuno, ndr.) per acquistare i due elettrodomestici. Quelli che attualmente hanno in dotazione non sono più funzionanti: la nostra iniziativa servirebbe a rendere meno precaria la situazione in cui versano i detenuti”. Nella sua nota Riva Berni ricorda che il Comune quest’anno verserà 4mila euro per le attività ricreative all’interno del carcere. Il presidente del consiglio comunale Giuliano Longfils si è preso a cuore la questione e, con una lettera, ha sollecitato i colleghi ad aderire. “Quelle persone vivono in una situazione veramente angosciante” ha scritto, ricordando la recente visita in carcere con il sindaco e alcuni altri tra consiglieri e assessori comunali. Per Longfils, rimasto colpito dalle condizioni in cui vivono più di 200 persone, “è il carcere la vera emergenza giudiziaria di Mantova” per cui, nella sua lettera, propone che tra gli obiettivi del Piano di governo del territorio, “vi sia l’individuazione di un’area, non in centro storico ma in periferia, che abbia come destinazione d’uso un nuovo istituto penitenziario”. “L’area per il carcere - ha poi precisato - potrebbe essere accanto alla caserma san Martino, a Dosso del Corso”. Droghe: Corleone; nuovo Piano Nazionale è confessione fallimento della strategia del Governo Ami, 5 novembre 2010 Come previsto dalle indicazioni europee e delle Nazioni Unite, il Consiglio dei Ministri ha varato il nuovo Piano nazionale antidroga 2010-2013. Cinque le aree di intervento: prevenzione; cura e diagnosi delle tossicodipendenze; riabilitazione e reinserimento; monitoraggio e valutazione; legislazione, attività di contrasto al narcotraffico e giustizia minorile. Il Piano, ha spiegato il sottosegretario Carlo Giovanardi al termine del Cdm, “andrà ora all’attenzione della Conferenza Stato-Regioni perché la materia della lotta alla tossicodipendenza è di competenza anche regionale”. In questi stessi giorni esce la ricerca di David Nutt, ex consigliere del governo per la lotta alla droga nel Regno Unito, che afferma che l’alcol è più dannoso alla salute di cocaina, cannabis o ecstasy ed è lo “stupefacente” più nocivo di tutti in relazione al suo impatto negativo sulla società. La ricerca è pubblicata a poche ore dalla presentazione in Consiglio dei Ministri del Piano nazionale antidroga 2010-2013. Un fascicolo di 200 pagine dove vengono elaborate le linee guida per la lotta agli stupefacenti. “Proteggere le future generazioni dalla tragedia della tossicodipendenza e dell’alcool dipendenza derivante dall’uso di sostanze stupefacenti e abuso alcolico, - si legge nel documento - riconoscendo che questo, anche nel nostro Paese così come in tutti gli altri Stati europei, è fondamentale per affrontare in modo coordinato ed efficace il problema della diffusione e dell’uso delle droghe e dell’abuso alcolico”. Centro dell’azione riduzione della domanda e dell’offerta, tramite “il costante e globale coinvolgimento di tutte le componenti della società civile e delle Amministrazioni coinvolte e responsabili, a vario titolo, della salute dei cittadini”. Nonostante la lotta al narcotraffico si tra gli obiettivi del piano non si parla assolutamente di legalizzazione. Al contrario Giovanardi ha ribadito essere “assolutamente contrario”, definendola “una follia, sia perché la droga produce danni cerebrali a chi la usa, sia perché chi la usa può nuocere alle persone che lo circondano”. Franco Corleone, segretario di Forum droghe, oltre a denunciare il “fallimento della politica del governo” parla anche di “Fallimento della legge Giovanardi per quanto riguarda le incarcerazioni di massa e le sanzioni amministrative per i giovani consumatori”. Se da una parte Giovanardi sfoggia quelli che secondo lui sono i pregi della legge sulle droghe che porta il suo nome: “Il meccanismo della legge, nei primi quattro anni di applicazione, non ha assolutamente aumentato il numero dei ragazzi finiti in carcere”, di tutt’altro avviso sono le associazioni che si occupano del problema. Secondo i dati raccolti da Forum droghe, nel 2008 gli ingressi in carcere dalla libertà per tutti i reati erano stati 92.800 di cui dichiarati tossicodipendenti ben 30.528 soggetti, pari al 33%. Nel 2009 gli ingressi in carcere sono stati 88.066, con una flessione del 5% e le persone con problemi di tossicodipendenza ammontano a 25.180, pari al 29%. Secondo i dati della Relazione vanno aggiunti gli ingressi in carcere per violazione del Dpr 309/90 e in particolare per l’art. 73 relativo a condotte di detenzione e spaccio che riguardano 27.640 persone rispetto ai 26.931 soggetti del 2008. Infine il numero delle denunce è invece nettamente più alto (36.277) e gli arresti sono stati ben 29.529. I soggetti in carico al Sert in carcere nel 2009 sono stati 17.166, in aumento rispetto al 2008, quando erano 16.798. “Con questo piano si cerca di immaginare un piano di uscita dei detenuti tossicodipendenti dal carcere ma ciò avviene - spiega Corleone - dopo un anno che le associazioni come Gruppo Abele, Antigone, Cmca e un cartello di associazioni, oltre un anno fa abbiamo lanciato un piano per l’uscita di almeno 10mila tossicodipendenti dal carcere. Il governo arriva tardi e, al di là delle parole, siamo lontani da un’applicazione”. In assoluto quello che non serve, secondo Corleone, è la demonizzazione e criminalizzazione di chi fa uso delle sostanze, politica che “non mi pare il governo stia cambiando”. “In ogni caso - continua il segretario di Forum dorghe - in questo piano quello che manca è un aspetto necessario di modifica della legge” in particolare sulla recidiva “se non si affronta questo nodo credo che anche l’uscita dal carcere dei detenuti tossicodipendenti e l’iserimento in comunità risulti un buco nell’acqua”. Sudan: appello bipartisan in Senato per salvare 4 bambini condannati a morte Dire, 5 novembre 2010 “Il ministro degli Affari Esteri intervenga per chiedere al governo sudanese di non giustiziare quattro bambini condannati a morte”. Lo chiedono in un’interrogazione parlamentare bipartisan il presidente della commissione Diritti umani, il senatore Pietro Marcenaro, e i senatori Giorgio Tonini, Mauro Del Vecchio, Roberto Della Seta, Barbara Contini, Salvo Fleres e Lorenzo Bodega. “Abbiamo appreso che quattro presunti minori originari del Darfur - scrivono i senatori nell’interrogazione - e sei guerriglieri adulti del Movimento giustizia ed uguaglianza, accusati di aver partecipato all’attacco di un convoglio militare nel maggio 2010 nel Darfur Meridionale, al termine di un processo sommario e senza prove, secondo gli avvocati della difesa, sono stati condannati a morte da un Tribunale speciale sudanese”. “Attraverso un appello-petizione l’associazione Italians for Darfur - proseguono i parlamentari sia di centrodestra sia di centrosinistra - ha chiesto la sospensione non essendo ancora esecutiva delle condanne a morte dei quattro bambini e degli altri imputati. Visto che la sentenza potrebbe essere eseguita se confermata in appello dalla Corte giudiziaria suprema sudanese e controfirmata dal presidente del Sudan Omar Hassan al Bashir, chiediamo al ministro degli Esteri Frattini quali iniziative abbia assunto, o intenda assumere, per chiedere al Governo sudanese un atto ufficiale di sospensione delle sentenze di morte e di commutarle in altre pene”. “Chiediamo infine - conclude l’interrogazione - se il ministro non reputi opportuno attivarsi presso le autorità locali e le organizzazioni internazionali per accertare le responsabilità del Jem e delle altre fazioni in lotta in Darfur sul coinvolgimento dei minori in guerra, che continuano ad essere arruolati e sottratti con la forza alle loro famiglie”. L’appello-petizione ha già raccolto ha già raccolto oltre 16mila firme. “Gli avvocati della difesa- afferma il presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli - e organizzazioni per i diritti umani locali hanno denunciato che le prove presentate dall’accusa erano parziali e che è stato negato ai detenuti il diritto a un giusto processo. È stato impedito agli avvocati di parlare con i rispettivi assistiti prima che fosse depositata la prova della loro colpevolezza. I quattro bambini indicati come minori sono stati imprigionati nello stesso luogo di detenzione degli adulti e sono stati trattati e giudicati come tali”. “Gli avvocati della difesa hanno presentato un appello a nome degli imputati - aggiunge Napoli - al Presidente della Corte suprema per il Darfur del Sud ed è per questo che bisogna fare presto e raccogliere più firme possibile per supportare l’azione dei difensori di questi giovani, minori e non, condannati ingiustamente”. Brasile: caso Battisti; l’Avvocatura di Stato ha deciso per il no all’estradizione di Luigi Ambrosino Ansa, 5 novembre 2010 Cesare Battisti con tutta probabilità non sarà riconsegnato all’Italia. A meno di clamorosi colpi di scena, sembra essere questo ormai il destino dell’ex terrorista rosso, condannato in Italia all’ergastolo per quattro omicidi commessi negli anni ‘70 e attualmente detenuto nel carcere brasiliano di Papuda. Indiscrezioni di stampa sempre più insistenti - oggi riportate anche dall’autorevole quotidiano O Globo - riferiscono da giorni dell’orientamento contrario all’estradizione in seno all’Avvocatura generale dello Stato brasiliano, cui Lula aveva chiesto mesi fa un parere quasi vincolante prima di prendere la decisione definitiva, che annuncerà entro il 31 dicembre. Il dossier Battisti è una delle ultime vicende che il presidente uscente vuole risolvere prima dell’insediamento al palazzo presidenziale del Planalto della sua “pupilla” Dilma Rousseff il prossimo primo gennaio. Nei prossimi giorni il rapporto dell’Avvocatura generale - che non è stato ancora formalmente approvato dal presidente Luiz Inacio Lucena Adams - arriverà sul tavolo di Lula completo di tutte “le ragioni giuridiche e legali” con le quali il leader brasiliano potrà argomentare la mancata concessione dell’estradizione di Battisti. “Dipendo dall’Avvocato generale. Lucena Adams è l’uomo che orienta il presidente della Repubblica e qualsiasi sia il suo parere, io lo rispetterò”, ha messo in chiaro Lula nei giorni scorsi. E dal momento che il parere, come riportato da più fonti, è negativo, il presidente uscente deciderà di conseguenza. Il lunghissimo iter sull’estradizione dell’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo (Pac) - che ha sfiorato a più riprese la crisi diplomatica tra Roma e Brasilia - inizia quando il 18 marzo 2007 Battisti, sbarcato tre anni prima in Brasile, viene arrestato a Rio de Janeiro. L’estradizione in Italia sembra a portata di mano fino a quando nel gennaio del 2009 l’allora ministro della Giustizia Tarso Genro - contrariamente al parere del Comitato per i rifugiati del suo ministero - decide di concedere all’ex terrorista un controverso asilo politico: secondo Genro, Battisti subirebbe persecuzioni se fosse estradato in Italia, Paese dove l’ex terrorista fu condannato in base a “leggi speciali”. Argomenti considerati inaccettabili dall’Italia, che per qualche giorno richiama in patria per consultazioni l’ambasciatore a Brasilia. Scendono in campo Quirinale, Palazzo Chigi e Farnesina per un pressing diplomatico su Lula ma la palla passa al Supremo Tribunal Federal, la corte costituzionale brasiliana, che il 18 novembre 2009 ribalta la decisione di Genro e concede parere favorevole all’estradizione. Ma l’ultima parola sulla vicenda, scrivono i giudici, spetta ancora al presidente Lula. Passano i mesi, il leader brasiliano tergiversa, sembra non voler contraddire il suo ex ministro della Giustizia, valuta “ragioni umanitarie”, e alla fine decide di chiedere l’ultimo parere all’Avvocatura generale dello Stato. Nei prossimi giorni il rapporto, contrario all’estradizione, sarà consegnato al presidente uscente. E Battisti, una volta scontata la pena per uso di documenti falsi al momento del suo ingresso in Brasile, potrebbe presto uscire da uomo libero dal penitenziario di Papuda. Canada: l’Ombudsman denuncia; carceri affollate e mancanza di programmi di riabilitazione Corriere Canadese, 5 novembre 2010 È davvero drammatica l’istantanea scattata da Howard Sapers, ombudsman federale con delega sulle carceri, in un rapporto che sarà presentato oggi sullo stato di salute della galassia penitenziaria del nostro Paese. Nel documento, ottenuto ieri in esclusiva dalla Cbc, si mettono in luce numerose carenze provocate dagli scarsi finanziamenti destinati dal governo federale alle carceri canadesi. Secondo Sapers, inoltre, la già precaria situazione causata dal sovraffollamento delle celle di quasi tutti i penitenziari, si aggraverà con l’aumento stimato del 30 per cento dell’intera popolazione carceraria per via dell’attuazione dell’agenda di governo che prevede un giro di vite sulla giustizia e l’inasprimento delle pene detentive per numerosi reati. Secondo alcuni esperti, la chiave di volta per risolvere il problema delle carceri è attuare una serie di politiche preventive per aggredire alla radice i problemi sociali che causano il crimine. “Ma la realtà è un’altra - ha dichiarato Rick Sauve di Lifeline, un’associazione che si batte per la tutela dei carcerati - il governo vuole semplicemente costruire più prigioni”. Secondo Sauve dietro le sbarre mancano programmi credibili per la riabilitazione dei prigionieri.