Giustizia: mozione di Md; carceri in condizioni drammatiche, Costituzione contraddetta Ansa, 3 novembre 2010 Solo 25 carceri su 206 ospitano un numero di detenuti pari o inferiore alla capienza regolamentare. E se i reclusi si erano ridotti a 39mila dopo l’indulto, in poco meno di quattro anni sono diventati quasi il doppio e il loro numero cresce ad un ritmo di alcune centinaia di presenze in più al mese. Una condizione drammatica che contraddice radicalmente l’intento della Costituzione che attribuisce alla pena una funzione rieducativa. A richiamare l’attenzione sulla situazione non più tollerabile delle carceri è Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe, in una delle mozioni approvate a conclusione del suo XVIII Congresso. Oltre il 43% dei detenuti sono in stato di custodia cautelare, cioè non hanno subito una condanna definitiva. E tra di loro la maggioranza è costituita da persone appartenenti a ‘categorie socialmente più svantaggiate, come tossicodipendenti e stranieri. In generale comunque la popolazione carceraria, segnala il gruppo, ‘è in larghissima parte costituita da persone in condizioni di minorità sociale: stranieri, tossicodipendenti, alcol - dipendenti, persone con ridotto grado di scolarità, disoccupati. E molte persone detenute, non solo negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, hanno problematiche di natura psichiatrica che richiederebbero assistenza. In carcere si entra sempre più facilmente: nel 1991, fa sapere Md, gli ingressi erano stati 75mila, nel 2000 81mila e, oggi sono a quota 88mila. Molti si risolvono in detenzioni brevissime: negli ultimi anni tra le 15 e le 20mila persone sono entrate in carcere per restarvi solo due giorni. Tutto questo, sostiene la corrente, è ‘il frutto di un paio di decenni di politiche di sicurezza, in cui il dato costante è rappresentato dall’elaborazione di nuove figure di reato, utili a rispondere a vere o presunte emergenze, dall’introduzione di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria, dall’innalzamento delle pene per reati di non particolare allarme sociale; ma anche del ‘feroce inasprimento del regime penitenziario scelto dal legislatore per l’esecuzione delle pene nei confronti degli stranieri condannati e per l’esecuzione penale nei confronti delle persone recidivè e di una ‘legislazione che enfatizza ed esaspera le diseguaglianze già presenti nel mondo ‘dei liberi”. Pena e carcere: Mozione approvata al XXVIII Congresso di Magistratura Democratica Il sistema penale è oggi il paradigma di molti dei problemi che affliggono la giustizia: un diritto penale sempre più diseguale; un processo penale sempre più irrazionale in cui - troppo spesso - la garanzia diventa strumento di difesa dal processo e non arnese di difesa nel processo. Siamo però consapevoli del fatto che - su alcune questioni - è doveroso intervenire. Perché alcune questioni rappresentano un’urgenza che merita una risposta immediata. Le condizioni di vita in carcere, il rapporto tra custodia cautelare e pena sono l’espressione esemplare di questi fallimenti e di queste contraddizioni. Magistratura Democratica - da sempre - crede nella necessità di dare effettività al dettato dell’art. 27, comma 3, della Costituzione; in questo solco, negli anni, ha elaborato proposte tese alla decarcerizzazione, alla introduzione di sanzioni sostitutive, alla elaborazione di progetti di mediazione penale, alla instaurazione di prassi avanzate all’interno delle carceri. Al tentativo - in ultima analisi - di garantire che la pena abbia davvero una funzione rieducativa ed escluda i contenuti inutilmente afflittivi. È noto che l’attuale condizione delle carceri italiane contraddice radicalmente l’intento delineato nella Carta fondamentale. Le condizioni di sovraffollamento sono oramai un dato notorio e con esso la politica, la società civile, la magistratura, ma - soprattutto - i detenuti si trovano a convivere ogni giorno in modo drammatico. Tra i molti sintomi di disagio, non si può non segnalare che il tasso di suicidi riscontrabile in carcere è di gran lunga superiore di quello registrato tra tutta la popolazione residente in Italia. Le statistiche penitenziarie aggiornate al 31 agosto 2010 dimostrano come - su 206 istituti tra case di reclusione, case circondariali e istituti per le misure di sicurezza - soltanto 25 di essi ospitino un numero di detenuti pari o inferiore alla capienza regolamentare. Il superamento della capienza regolamentare è, peraltro, fenomeno diffuso su tutto il territorio nazionale. Il sovraffollamento carcerario, peraltro, costituisce un fenomeno ingravescente nelle carceri italiane. Allargando lo sguardo agli ultimi venti anni si può notare che dai 31mila detenuti del 1991, si è passati ai 53mila detenuti del 2000, presto decollati a 61mila detenuti al momento dell’indulto del 2006. Dopo l’indulto, i detenuti presenti nelle carceri erano “solo” 39mila. In poco meno di quattro anni la cifra di detenuti presenti è quasi raddoppiata. Ad oggi, con la legislazione vigente, il numero di detenuti cresce ad un ritmo di alcune centinaia di persone al mese. Molte di queste persone ristrette (ad oggi, oltre il 43%) sono peraltro detenute in stato di custodia cautelare. Le statistiche dicono che lo strumento del carcere prima della condanna definitiva è usato soprattutto contro categorie socialmente più svantaggiate, come tossicodipendenti e stranieri. Il fenomeno della custodia cautelare in Italia, è peraltro diffuso più che nel resto di Europa. A tali considerazioni si deve aggiungere che il dato delle presenze ad un preciso momento storico non descrive tutta la complessità del fenomeno. In carcere - al giorno d’oggi - si entra sempre più facilmente; e sempre più persone vi entrano. Se nel 1991 le persone entrate in carcere dalla libertà erano state 75mila, nel 2000 tale cifra è salita a 81mila e, oggi, è stimabile in 88mila ingressi dalla libertà. Delle decine di migliaia di ingressi, molti si risolvono in detenzioni di pochissimi giorni. Ad esempio, nel 2009, i cd. ingressi in carcere dalla libertà sono stati circa 88mila; e - considerando la differenza tra presenze a inizio anno e a fine anno - un semplice calcolo aritmetico porta a concludere che - se circa 88 mila persone sono entrate in carcere nel 2009 - oltre 81 mila persone, in quell’anno solare, da quegli stessi istituti, sono uscite. Le statistiche dicono poi che - negli ultimi anni - un numero di persone compreso tra 15mila e 20mila è entrato in carcere per restarvi solo due giorni. Considerando un periodo temporale appena più ampio, la cifra di persone che esce dal carcere entro i 10 giorni dal momento dell’ingresso è pari alla metà delle persone entrate negli istituti penitenziari in stato di arresto o di custodia cautelare. In cifra assoluta, ciò significa un numero di persone variabile tra 25mila e 32mila detenuti. La situazione, evidentemente, è drammatica, tanto che l’Italia è stata recentemente condannata - per assoggettamento di un detenuto a trattamenti inumani e/o degradanti - con la Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 16 luglio 2009 (ricorso n.22635/03; Sulejmanovic c. Italia). Perfino le statistiche penitenziarie si sono “arrese” e - nella apparente aridità dei numeri - hanno introdotto nelle loro tabelle inedite distinzioni, come quella tra “presenze effettive”, “capienza regolamentare” e “capienza tollerabile”. Come se il superamento della regola (la capienza regolamentare) potesse essere tollerato da un’Amministrazione dello Stato. I dati consentono così di evidenziare che - a fronte di una capienza regolamentare pari a 44.608 persone e ad una capienza tollerabile indicata in 67.865 presenze - i detenuti presenti alla data del 30 settembre 2010 erano 68.527. Le carceri italiane sono così giunte in una situazione che è non più tollerabile. Questo è il frutto di un paio di decenni di politiche di sicurezza, in cui il dato costante è rappresentato dall’elaborazione di nuove figure di reato, utili a rispondere a vere o presunte emergenze, dall’introduzione di ipotesi di custodia cautelare obbligatoria, dall’innalzamento delle pene per reati di non particolare allarme sociale (come i reati di falso) o riconnessi ad una mera condizione di irregolarità sul territorio nazionale operata al solo e dichiarato fine di consentire l’applicazione della custodia cautelare in carcere. Questo è il frutto del feroce inasprimento del regime penitenziario scelto dal legislatore per l’esecuzione delle pene nei confronti degli stranieri condannati (con un sistema rivelatosi poi costituzionalmente illegittimo; C. Cost. n. 249/2010) e per l’esecuzione penale nei confronti delle persone recidive. Questa è il frutto di una legislazione che enfatizza ed esaspera le diseguaglianze già presenti nel mondo “dei liberi”. La popolazione carceraria è - in larghissima parte - costituita da persone in condizioni di “minorità sociale”: stranieri (la maggior parte dei quali in custodia cautelare), tossicodipendenti, alcol - dipendenti, persone con ridotto grado di scolarità, disoccupati. Molte persone detenute - non solo negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari - hanno problematiche di natura psichiatrica che richiederebbero assistenza. Questo è il frutto di scelte amministrative che - da anni - riducono gli organici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e - con burocratica coerenza - i fondi destinati all’edilizia penitenziaria. I progetti di reinserimento sociale camminano oramai per lo più sulle gambe di volontari o di pochi dipendenti superstiti. Questo, però, è anche il frutto di una diminuita attenzione - nel corpo della magistratura - al problema della libertà personale, come reso evidente dall’affermarsi di linee giurisprudenziali non garantiste e di prassi che - privilegiando in modo non razionale ed equilibrato le ragioni della sicurezza su quelle della libertà - trasformano il giudice da garante di diritti individuali in erogatore di sicurezza. Trasformazione alla quale - ovviamente - è maggiormente esposto l’Ufficio del Pubblico Ministero. Questo è il frutto di un’azione politica che quotidianamente somministra all’opinione pubblica una buona dose di paure e che, pertanto, chiede solo di essere rassicurata. Si tratta - peraltro - di frutto avvelenato, se si considera che è dato acclarato quello che indica che il tasso di recidiva è superiore in chi transita dalle strutture carcerarie rispetto a chi accede a percorsi alternativi alla detenzione. Questa situazione chiama a un nuovo impegno la magistratura e tutti i soggetti che - per ruolo istituzionale o per passione sociale - si trovano ad entrare in contatto con la realtà del carcere e le persone ivi detenute. Magistratura Democratica non può restare inerte. La pena legittimamente inflitta nel corso di un giusto processo non può trasformarsi in una pena eseguita in modi illegittimi in un carcere ingiusto. Occorre riuscire a recuperare una dimensione giusta per l’esecuzione penale, in modo tale da riavvicinare la situazione delle carceri e le condizioni di vita dei detenuti al lungimirante precetto costituzionale. Vi sono diversi livelli di intervento. Alcuni ci interpellano come cittadini e come magistratura associata, capace di dialogare con la politica (non per invadere i territori altrui, ma per fare - per dirla con Kant - “un uso pubblico della ragione”). Altri ci interpellano come singoli magistrati e chiamano in causa i nostri modelli organizzativi e la nostra professionalità. È necessario che Magistratura Democratica: - operi - a livello di azione al Consiglio Superiore - per un reale rafforzamento degli uffici di sorveglianza (interloquendo con il Ministero per la rideterminazione degli organici insufficienti e garantendo, comunque, il pronto ricambio nelle piante organiche oggi determinate); - promuova - a livello di azione al Consiglio Superiore - l’elaborazione di linee guida utili a rendere chiara la legittimità di alcuni criteri di priorità nell’azione della magistratura di sorveglianza (sì da consentire di gestire con intelligenza il flusso di ingressi in carcere); - promuova - a livello di definizione delle prassi operative in uso presso gli uffici di Procura - l’elaborazione di priorità nell’azione dell’Ufficio, con emissione di ordini di esecuzione per condannati non pericolosi solo allorquando l’affollamento carcerario sia contenuto nell’ambito della cd. capienza tollerabile; - si adoperi perché si affermino - presso gli uffici di Procura - prassi operative utili ad evitare gli ingressi inutili in carcere di arrestati in attesa dell’udienza di convalida (disponendo - nei casi per cui si può procedere con giudizio direttissimo davanti al Tribunale in composizione monocratica - la conduzione degli arrestati nelle Questure e non in carcere; è però necessario che le camere di sicurezza siano luoghi idonei dal punto di vista igienico sanitario e accessibili da parte di avvocati e magistratura); - vigili - a livello giurisdizionale - sull’applicazione scrupolosa dei regolamenti penitenziari; - stimoli - all’interno degli uffici e nel dibattito dottrinale, anche con interventi su riviste specialistiche - una costante vigilanza sulla effettiva applicazione del dettato costituzionale nelle singole decisioni giurisprudenziali in materia di ordinanze cautelari sulla libertà personale; - solleciti e difenda e ordinanze dei magistrati di sorveglianza a tutela dei detenuti, soprattutto quando esse non vengono ottemperate dall’Amministrazione Penitenziaria; - promuova - nell’interazione tra la giurisdizione e le amministrazioni pubbliche e gli enti di volontariato - l’effettività di tutti gli strumenti - che già esistono sul piano formale - di alternativa alla detenzione in carcere (stimolando la stipula di convenzioni per lavori in favore della collettività, indispensabile per la sospensione condizionale della pena ex art. 165 c.p., necessario per garantire effettività all’apparato sanzionatorio previsto dalla normativa sul Giudice di Pace, oggi applicabile anche per il reato di guida in stato di ebbrezza); - si renda promotrice - a livello culturale - di una autentica cultura della salute e della legalità in carcere (occupandosi del tema salute e, soprattutto, del disagio psichiatrico in carcere; ciò a partire dal circuito di formazione consiliare centrale e decentrata); - sappia stigmatizzare tutti i casi di abuso commessi in danno delle persone private della libertà personale; - prenda parte attiva a campagne di informazione sulle reali condizioni carcerarie, anche in sinergia con le associazioni di volontariato attive nel settore. Evidentemente non compete in modo diretto a Magistratura Democratica il tema delle riforme legislative e delle scelte di governo. È però impossibile, in questa sede, rinunciare a formulare alcuni auspici (ben consapevoli che il vero tema sarebbe quello del ripensamento complessivo dell’approccio delle politiche pubbliche al problema della sicurezza e al tema della pena). È però possibile dire sin d’ora che è necessario che il legislatore ed il governo intervengano su alcuni snodi che incidono in modo importante sulle condizioni di vita in carcere. Si auspica: - che gli organici del personale dell’amministrazione penitenziaria (Corpo di Polizia Penitenziaria e personale educativo in primis) vengano costantemente adeguati alle reali necessità degli istituti e dell’esecuzione penale “esterna”; - che venga rimeditata l’ultima parte del comma 1 bis dell’art. 47 ter ordinamento penitenziario (modifica introdotta dalla legge cd. ex - Cirielli), che preclude ai condannati recidivi reiterati l’accesso alla detenzione domiciliare negli ultimi due anni di pena; è infatti opportuno che l’effettiva pericolosità dei condannati possa essere rimessa alla valutazione della magistratura di sorveglianza senza irragionevoli preclusioni; - che venga introdotta una modifica dell’art. 656 c.p.p. senza preclusioni per i recidivi reiterati con previsione di una sorta di “numero chiuso”: per i condannati nei confronti dei quali l’esecuzione penale è sospesa ai sensi del comma 5 (pene inferiori ad anni 3) e dunque sono “liberi” e “non pericolosi” per presunzione legislativa, si preveda che, se il Tribunale di Sorveglianza deciderà di non concedere alcuna misura alternativa, l’ingresso in carcere possa essere differito fino al momento in cui vi sia un posto disponibile in istituto determinato secondo un parametro di massima capienza “tollerabile”. Magistratura Democratica auspica che, nelle carceri italiane, l’unico contenuto affittivo della pena sia rappresentato dal muro di cinta che separa i detenuti dall’esterno. Non da altro. Napoli, Castel dell’Ovo 29 ottobre - 1 novembre 2010 Giustizia: Osapp; referendum per mandare a casa il capo del dipartimento Franco Ionta Il Velino, 3 novembre 2010 “Un referendum per mandare a casa il capo del dipartimento Franco Ionta è quanto farà l’Osapp nei prossimi giorni - dichiara Mimmo Nicotra vicesegretario Generale del sindacato di agenti penitenziari - : è inopportuno il cosiddetto piano Ionta e cioè spendere i soldi dei contribuenti per costruire carceri sulle montagne come a Mistretta non è la soluzione per il sistema penitenziario italiano. Il ministro Alfano - continua Nicotra - dovrebbe prendere atto che Ionta ha perso la sua occasione per migliorare il sistema penitenziario. Visto il fallimento di chi pensa di spendere fino a un miliardo e 600 milioni e non consentire oggi le traduzioni dei detenuti nelle aule di giustizia per assenza dei fondi necessari per non parlare dei numerosi suicidi dei detenuti e del personale del Corpo che sono avvenuti in questa gestione. Ecco perché - dice il sindacalista - l’Osapp avvierà una raccolta di firme da mandare al governo ed ai suoi parlamentari affinchè fermino il piano per le carceri” e avvicendano l’attuale capo del Dap”. Lettere: Osapp; la Polizia Penitenziaria è stata abbandonata di Domenico Nicotra (vice segretario generale Osapp) Lettera alla Redazione, 3 novembre 2010 Che disastro nelle carceri. Le somme stanziate serviranno per realizzare carceri nuove che non vedremo mai. Anche se li vedremo saranno “inutili” perché costruiti in posti “inutili”. Il capo del Dap Franco Ionta ci ha detto di essere orgoglioso di essere a capo di un corpo come la polizia penitenziaria. Era quasi orgoglioso di essere stato “immortalato” (in un fotomontaggio) in divisa. Anche questo è stato un “gioco” momentaneo. Ogni giorno il nostro stato d’animo è paragonabile a quello di qualsiasi cucciolo che deve sottostare alle regole del bambino di turno. Una volta stufi del gioco ci si disfà del cane o del gatto. E la polizia penitenziaria è stata ancora una volta abbandonata. Non sono arrivati i rinforzi, non ci sono le carceri nuove, non ci sono i soldi per le traduzioni, non ci sono i soldi per le caserme, non c è il riallineamento. In pratica non è arrivato nulla di quello che il Corpo aspettava. In compenso alcune organizzazioni sindacali hanno avuto più di quello che speravano (tanto più ottenevano loro, tanto meno otteneva il Corpo). Lo abbiamo detto in altre occasioni e lo ripetiamo ancora. Non sappiamo che farci di un capo che si occupa della costruzione di carceri. A noi serve un comandante che faccia sentire la sua presenza ad un Corpo di polizia. Lettere: perché nessuno ricerca una politica penitenziaria più economica di Marco Cafiero www.progettouomo.net, 3 novembre 2010 “Nell’arco di un triennio edificheremo undici nuove strutture carcerarie”. Questa è l’affermazione del Dr. Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria allorché è stato sentito il 29 settembre u.s. dalla commissione di inchiesta del senato su servizio nazionale. Il piano di realizzazione prevede il coinvolgimento delle Regioni chiamate ad individuare le aree dove costruire le nuove strutture. A fronte di ciò, lo stesso Ionta lamenta la carenza di personale del corpo di polizia penitenziaria. Una carenza già attuale che aumenterà nel momento in cui gli agenti saranno chiamati a coprire i ruoli all’interno delle realizzande strutture. Tutto ciò comporta, dunque, un esborso economico ingente: la costruzione e l’assunzione di circa 1800 poliziotti penitenziari, questa è la stima presentata. Mi chiedo se questo sia l’unico modo per rispondere all’allarmante grido di sofferenza che proviene dagli attuali Istituti penitenziari. La parola “sovraffollamento” ormai è entrata nel linguaggio comune, perché qualunque sia la politica del governo in carica e gli intereventi conseguenti il risultato è sempre “sovraffollamento”. “Indulto”, “indultino” e palliativi vari - realizzati tra l’altro in periodi inidonei - sono panacee di brevissima durata. Ma perché, allora, non pensare ad una politica penitenziaria più degna di un momento storico evoluto, in cui la riposta al dettato costituzionale, che vuole la pena educativa e non repressiva, possa trovare spazio e rivestire quel carattere preventivo alla ricaduta? Mettiamo finalmente un blocco a quell’infernale meccanismo della “porta girevole” in cui la maggior parte dei nostri detenuti incorre. Proviamo a pensare che i costi stimati per realizzare quanto Ionta affermato, e che graveranno inevitabilmente sui cittadini incolpevoli, possano ridursi attraverso la costruzione di percorsi sociali, ben più economici, in cui il monito educativo prevalga su quello meramente repressivo. Proviamo ad affermare che certe leggi impopolari, quanto inutili, volute da alcuni, accettate da altri, vengano abolite: allora si che cominceremo, con poco sforzo, a vedere una riduzione della popolazione carceraria e saremo incoraggiati ad andare avanti sulla strada delle riforme: quelle riforme che riguardano tutti, non solo pochi eletti. Lazio: dalla Regione 100 mila euro per il reinserimento lavorativo dei detenuti 9Colonne, 3 novembre 2010 “Al di là della pena che devono giustamente scontare in base al reato commesso, come istituzione dobbiamo garantire ai detenuti le migliori condizioni possibili” e “siamo sempre più convinti” che le azioni “per il loro reinserimento vadano costruite sia all’interno che all’esterno degli istituti penitenziari”. Lo ha detto il presidente della Regione Lazio Renata Polverini durante la conferenza stampa sull’intesa siglata da Regione, Roma Capitale, Dap Lazio (Dipartimento amministrazione penitenziaria), Ama (Azienda municipalizzata ambiente) e Garante dei detenuti. L’intesa, della durata di un anno, prevede lo stanziamento di 100 mila euro per il reinserimento sociale dei detenuti, delle persone in esecuzione penale esterna e degli ex detenuti, mediante percorsi di inclusione nel mondo del lavoro. Nello specifico i fondi, stanziati dalla Regione, verranno utilizzati per lo svolgimento di attività di pulizia delle strade e manutenzione di Roma Capitale presso l’Ama che coinvolgeranno almeno 10 detenuti, indicati dal Dap del Lazio, che svolgeranno turni di lavoro in base a contratti part - time da 18 ore settimanali. Il finanziamento verrà corrisposto a una cooperativa sociale, di cui facciano parte detenuti o ex detenuti, e la cui individuazione spetterà al Garante dei detenuti del Lazio. Roma Capitale dovrà assicurare l’attuabilità dell’intervento nel proprio territorio, mentre Ama si impegnerà a curare gli aspetti tecnici, organizzativi e logistici. Polverini ha sottolineato che questa iniziativa ha un duplice scopo: “Lavorare per l’inclusione affinché queste attività rendano meno pesante la detenzione e aiutare l’Ama a fornire un servizio migliore”. L’assessore regionale agli Enti locali e Sicurezza Pino Cangemi ha ricordato come la Regione abbia stanziato “750 mila euro per i diritti dei detenuti”: di questi, 139 mila andranno in favore di progetti per gli operatori nei penitenziari e 220 mila per attività destinate alle persone detenute. L’Ad di Ama Franco Panzironi ha detto invece: “È importante dare un’opportunità a persone che in passato hanno sbagliato”. Panzironi si augura che il progetto si rinnovi ed espanda nel futuro, consentendo di attivare anche apprendistato che permettano la specializzazione delle persone coinvolte nei progetti in alcune tra le attività specifiche di pulizia e decoro svolte dall’Ama. Infine, per il Garante dei detenuti Angiolo Marroni iniziative come quella presentata oggi sono meritorie perché “danno ai detenuti la cultura del lavoro, facendoli uscire da quella dell’illegalità”. Tutto questo tenendo però presente che alla base incombe il problema delle carceri: nel Lazio ci sono 6.400 detenuti a fronte di 4.300 posti di capienza regolamentare. Sardegna: sono 108 gli autori di reati sessuali reclusi nelle carceri dell’isola nel 2010 Agi, 3 novembre 2010 Sono 108 gli autori di reati sessuali reclusi in Sardegna nel 2010. Il dato, in crescita rispetto al passato, è stato diffuso durante il seminario internazionale di studi sui “sexoffender”, in corso di svolgimento oggi e domani all’università di Sassari. In maggioranza gli autori sono marocchini e rumeni, che spesso hanno commesso reati al di fuori dell’isola e vengono trasferiti nell’isola dall’amministrazione penitenziaria. Il progetto, della durata di 24 mesi, coinvolge le università di Sassari e alcuni atenei di Bulgaria, Cipro, Grecia e Polonia e si propone di creare un network che sensibilizzi sulle molestie sessuali contro i minori e commessi da minori. I lavori sono stati inaugurati dal rettore Attilio Mastino e da Patrizia Patrizi, docente dell’università di Sassari, presidente della Società internazionale di psicologia e legge, coordinatore scientifico dell’evento. I reati registrati, ha detto Patrizi, sono in aumento rispetto al passato, non perché ci sia una maggiore incidenza ma perché sono cresciute le denunce. In Italia, è stato detto, non sono presenti le “baby gang” con un’organizzazione gerarchica diffusa ad esempio in Spagna o Inghilterra, ma soprattutto gruppi di adolescenti che commettono azioni violente commesse in gruppo. La due giorni di studi si concluderà domani con una discussione sulle misure alternative al carcere per gli autori di reati sessuali. Salerno: detenuto di 59 anni ritrovato morto in cella, soffriva di problemi cardiaci La Città di Salerno, 3 novembre 2010 È stato trovato morto nella cella del carcere di Fuorni, dove era stato da poco trasferito, il 59enne Giuseppe Salemme, originario di Piedimonte Matese nel casertano. Sono state le guardie carcerarie ad accorgersi ieri mattina del decesso del detenuto. Quando gli agenti hanno allertato i soccorsi c’è stato poco da fare. Il personale medico non ha potuto far altro che constatare il decesso del 59enne. Sul posto sono giunti gli uomini dei servizi cimiteriali del comune di Salerno che hanno trasportato Salemme nella camera mortuaria del camposanto di Brignano. Il medico legale Giovanni Zotti ha eseguito un primo esame esterno sul corpo del detenuto. Stando alle prime impressioni Salemme sembrerebbe deceduto a causa di un infarto. In ogni caso, per escludere ogni altra possibile causa di decesso, la Procura della Repubblica, presso il tribunale di Salerno, che ha aperto subito un’indagine sull’accaduto affidata al pm Rotondi, ha disposto l’esame autoptico. L’autopsia, con ogni probabilità, sarà eseguita non prima della giornata di domani. Solo a seguito degli esami sarà possibile stabilire con esattezza le cause che hanno portato al decesso del detenuto casertano. L’uomo, in ogni caso, non presentava sul corpo segni particolari che potessero far sospettare cause diverse dall’arresto cardiocircolatorio. Stando alle prime testimonianze raccolte, sembrerebbe che il 59enne soffrisse già di scompensi cardiaci e di problemi psichici. L’uomo stava scontando una condanna a diversi anni di reclusione, per un delitto commesso diversi anni fa. Negli ultimi, mesi era stato trasferito nella casa circondariale di Salerno, nella zona di Fuorni, per scontare il residuo della pena. Dell’accaduto è stata ovviamente subito informata la famiglia. Pisa: detenuto di 71 anni muore in cella, aveva rapinato 75 euro per comperarsi droga di Federico Cortesi La Nazione, 3 novembre 2010 Anziano, malato e detenuto: è stato stroncato da un infarto mentre era ricoverato al centro clinico della casa circondariale Don Bosco. Così è morto ieri mattina, a 71 anni, il tossicodipendente genovese Marcello Savio, che nel marzo 2009 fu protagonista di una singolare impresa: nell’arco di una mattinata rapinò ben tre banche del capoluogo ligure allo scopo di racimolare soldi per acquistare la droga. Il bottino complessivo era stato di appena 25 euro. La salma è stata portata all’istituto di Medicina Legale dell’Università e nelle prossime ore il magistrato di turno, il sostituto procuratore della Repubblica Miriam Pamela Romano deciderà se disporre l’autopsia o - come è più probabile solo l’esame esterno. Le sue erano state rapine... a scopo di elemosina. La storia di Marcello Savio ha un lato ancora più grottesco per non dire triste. Perché l’allora settantenne che aveva assaltato tre diversi istituti di credito genovesi e tentato di estorcere denaro da un quarto, sarebbe stato mosso a gesti del genere perché cocainomane. Aveva bisogno di soldi per acquistare la droga visto che la pensione sociale con cui viveva gli bastava a mala pena per gli alimenti e l’affitto di casa. “Sono tossicodipendente, un cocainomane” aveva confidato l’uomo agli agenti della polizia che lo avevano interrogato. Savio era stato arrestato sul fatto dai vigili urbani dopo aver rapinato tre banche armato di un paio di forbici. NELLA prima, il cassiere gli aveva consegnato dieci euro, mentre nella seconda l’uomo era riuscito a farsi consegnare da una cliente quindici euro. Il terzo assalto, però, non era andato a buon fine: uno dei cassieri era riuscito a immobilizzare Savio e aveva dato l’allarme alla polizia municipale. Più che una rapina, appunto, un’elemosina. Al momento dell’arresto, l’anziano aveva addossato la colpa dei suoi gesti al medico dell’ospedale psichiatrico di Villa Scassi, che lo aveva lasciato andare anche se Marcello Savio non si sentiva ancora bene. Il poveretto era arrivato a Pisa il 5 ottobre scorso dopo essere stato detenuto nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. Teramo: Gruppo Consiliare Pd; non mantenute promesse del Governo per il carcere Agi, 3 novembre 2010 Qual è la situazione dell’istituto penitenziario di Teramo. I problemi del carcere di Castrogno convivono con le promesse non mantenute. Lo affermano in una nota l’Unione Comunale e il Gruppo consiliare del Pd. “Che fine hanno fatto - si chiedono - le visite estive di Ministri e Senatori della Repubblica e più esattamente nel giorno di Ferragosto presso il carcere di Castrogno? Oggi mentre tutti sono distratti da altri scandali, nel carcere di Castrogno la carenza cronica di personale di polizia penitenziaria, il sovraffollamento delle carceri e l’orario estenuante prestato dal personale dipendente, confliggono con le esternazioni populistiche che in quei giorni si sono susseguite sulla condizione delle carceri in Italia e più precisamente di Teramo”. Per il Pd “sono stati ingannati, in questo modo, tutti gli agenti della polizia penitenziaria che avevano creduto che i loro problemi sarebbero stati finalmente risolti. Le situazioni di disagio, dovute spesso al raddoppio dei turni di lavoro e al grande stress che, conseguentemente, colpisce gli agenti, invece, non sono minimamente cambiate e nulla è stato fatto per migliorare le condizioni di lavoro del personale di polizia penitenziaria, costretto a svolgere il proprio mestiere in condizioni di grave difficoltà. Per questo motivo il Partito Democratico di Teramo - conclude la nota - ritiene la problematica delle carceri, sia sotto il profilo del personale dipendente che della condizione dei detenuti, non più procrastinabile ed invita l’Amministrazione comunale ad interessare il Ministro della Giustizia affinché presti la necessaria attenzione alla situazione carceraria teramana, che ha ormai raggiunto livelli di emergenza umana”. Roma: la denuncia di “A Roma Insieme”; a Rebibbia troppi bimbi in carcere Dire, 3 novembre 2010 Sono 18 gli asili nido funzionanti nelle prigioni italiane. Il più grande è quello dell’Istituto femminile di Rebibbia a Roma, che può ospitare fino a 19 bambini. Quello di Rebibbia è anche il carcere con il maggior numero di detenute a livello nazionale, dove i reati più comuni sono quelli legati allo sfruttamento della prostituzione e alle tossicodipendenze. Le donne recluse al nido attualmente sono tutte straniere, la gran parte di etnia rom. In base alla legge, i bambini possono restare in carcere insieme alle loro madri fino al compimento del terzo anno di età. Solo che non sempre c’è posto per tutti: da qualche settimana, infatti, il nido ospita ben 24 bimbi, per cui alcuni sono costretti a dormire in infermeria. Leda Colombini è la presidente dell’associazione “A Roma Insieme”, fatta di volontari che operano per alleggerire il peso del carcere sui bambini e per convincere le istituzioni a ridefinire le leggi che regolano la vita in prigione: “Nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”, questo è il loro obiettivo, e per ottenere questo risultato bisogna muoversi su due piani: “Chiediamo di avere una sede di attività e di iniziative per rendere meno drammatica e più vicino al normale la vita che i bambini conducono in carcere per ridurre i danni che la carcerazione provoca su bimbi così piccoli nel momento più delicato e decisivo per la formazione della personalità umana” dice la presidente Colombini, e nel frattempo, “rendendoci conto che non è semplice ottenere risultati sul piano della giustizia quando questa riguarda i bambini piccoli che non hanno voce, organizziamo tutta una serie di attività per rendere la vita più vicina al normale possibile per cui noi li portiamo fuori da 17 anni tutti i sabati per la loro giornata di libertà”. Bologna: Sel; sovraffollamento carceri a livelli inaccettabili, negata dignità detenuti Adnkronos Nelle carceri di Bologna "il sovraffollamento e' inaccettabile". A ribadire l'allarme e' il gruppo Sel-Verdi dell'Emilia Romagna che ricorda come nel carcere minorile del Pratello ci siano addirittura "alcuni ragazzi che vengono fatti dormire per terra su materassi di fortuna", senza contare che i turni degli agenti di polizia penitenziaria, in carenza di organico, "sono snervanti". Alla Dozza non va meglio: l'ultimo suicidio di un detenuto di 32 anni e' avvenuto, infatti, solo pochi giorni fa. "Le nostre carceri - commenta l'esponente di Sel Gian Guido Naldi - salvo lodevoli eccezioni, non solo non sono in grado di assolvere alla funzione rieducativa ma, a quanto pare, non riescono nemmeno a tutelare la dignita' umana dei detenuti". Al Pratello, ricorda ancora il gruppo Sel "si tengono da tempo corsi di teatro per i ragazzi, che pero' verrebbero meno aggiungendo al disagio abitativo anche una debacle etica inammissibile". Su questo fronte Sel e' gia' in campo con "un'iniziativa per dare voce ai detenuti, per manifestare un disagio profondo che e' sintomo di un Paese sempre piu' incivile e sollecitare le istituzioni affinche' prendano dei provvedimenti risolutivi". Bologna: Sindacati di Polizia penitenziaria: all’Ipm alcuni ragazzi dormono per terra Dire, 3 novembre 2010 Al carcere minorile del Pratello di Bologna mancano i posti letto e così alcuni dei ragazzi “vengono fatti dormire a terra su materassi di fortuna”. Lo denunciano i sindacati della Polizia penitenziaria in una lettera inviata oggi al capo del Dipartimento della giustizia minorile e al numero uno del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria dopo la visita fatta giovedì scorso all’interno della struttura. Come avevano annunciato già all’indomani della loro visita, i sindacati proclamano lo stato di agitazione e chiedono all’Amministrazione “l’immediata sospensione delle attività trattamentali dei detenuti, compresa quella teatrale prevista per la fine del prossimo mese”, cosicché gli agenti possano fruire regolarmente di ferie e riposi. Gli agenti, annunciano i sindacati, sono “pronti a manifestare il proprio dissenso proprio in occasione dell’inizio delle previste recite teatrali che inizieranno il 25 novembre presso l’istituto bolognese”. Chiedono inoltre un tavolo di confronto nazionale con l’Amministrazione della Giustizia minorile. “La situazione è ormai al collasso” mandano a dire nella lettera i sindacati Sappe, Cisl, Uil, Sinappe, Cgil, Ugl e Cnpp. È “sempre più grave la situazione in cui versa l’Istituto per minorenni di Bologna a causa della carenza di organico di Polizia penitenziaria” si legge nella lettera. I 25 “agenti effettivamente in servizio sono al di sotto di ogni minima soglia di sicurezza e spesso la Direzione è stata costretta a sospendere il normale svolgimento delle attività trattamentali”. Torino: appello delle detenute-stiliste; mandateci abiti usati, noi li riutilizziamo Redattore Sociale, 3 novembre 2010 Lanciato dalla "Casa di Pinocchio", il laboratorio artigianale che promuove il lavoro delle recluse del carcere "Le Vallette" di Torino. Prima di Natale sara' possbile ritirare i capi. "Mandateci cio' che non utilizzate e che ingombra i vostri armadi. Entro Natale ve lo faremo ritrovare completamente trasformato". L'appello e' stato lanciato nei giorni scorsi dalle donne della "Casa di Pinocchio", il laboratorio artigianale che promuove il lavoro delle detenute del carcere "Le Vallette" di Torino. "Le abili mani delle 'Fumne' ('donne', in dialetto torinese) trasformeranno il capo o l'accessorio inviato", spiega Monica Gallo della "Casa di Pinocchio. Libero sfogo alla fantasia, dunque. "Una signora ci ha mandato diversi centrini -spiega ancora Monica Gallo - si pensava di farne uno scialle. Mentre da una vecchia giacca di renna possiamo ricavare una borsa o un cappello". Ma le stiliste delle Vallette sono pronte a cimentarsi anche con vecchie borse, giacche di pelle, collane, cappotti, maglie e abiti. Un appello rivolto non solo alle signore dagli armadi strabordanti, ma anche alle piu' giovani, a chi ama spesso cambiare look ma non puo' permettersi di rinnovare ogni anno il guardaroba. A chi ama indossare qualcosa di unico, inconfondibile e fatto a mano. Per partecipare all'iniziativa e' possibile spedire il capo d'abbigliamento o gli accessori che si vuole "rinnovare" presso lo spazio "Eventa" in via dei Mille 42 (chi volesse consegnarlo a mano, puo' farlo nel pomeriggio dalle 15 alle 19). Ricordatevi di indicare chiaramente nome e cognome. Prima di Natale sara' possibile ritirare la nuova borsa o il cappotto rivisitato (sempre presso lo spazio Eventa) e contribuire all'attivita' del laboratorio con una donazione in denaro oppure con filati e tessuti. Per informazioni: http://www.lacasadipinocchio.net/ e la pagina Facebook "Fumne che trasformano...". Volterra (Si): Sindacati della scuola in sciopero per difendere Corso geometri in carcere Il Tirreno, 3 novembre 2010 Anche i sindacati della scuola si uniscono alla “battaglia” per salvare il corso per geometri in carcere. E l’11 novembre ci sarà un assemblea a Volterra per organizzare uno sciopero per dicembre. “Una mobilitazione generale del mondo della scuola per sostenere la questione del carcere e per protestare, in generale, contro i tagli della Gelmini”, spiega Alessandro Togoli. Lui è prof. all’istituto Niccolini e da ben 17 anni insegna italiano e storia agli studenti detenuti. Un legame importante che coinvolge ben 26 prof dell’Itcg volterrano. “Siamo al punto che la conferenza di zona appoggia il mantenimento della scuola, adesso la questione deve passare prima in Provincia e poi in Regione”, continua. Legato alle attività didattiche portate avanti al Maschio, c’è anche il progetto teatrale della Compagnia Alta Sicurezza, altra esperienza che andrebbe a morire. Il gruppo proprio nei giorni scorsi è sto premiato al festival nazionale Turroni al Teatro Bonci di Cesena. Sono stati apprezzati sia la qualità dello spettacolo “Un marziano a Volterra”, sia il percorso didattico da cui è scaturita la rappresentazione. “Complessivamente in questo progetto sono coinvolte 35 persone - continua Togoli che è il regista della Compagnia - Di solito in questo periodo si decide il testo, poi c’è il lavoro di riscrittura collettiva che va avanti fino a gennaio, poi si passa all’assegnazione delle parti”. Lo spettacolo, poi, si tiene nel mese di maggio nell’area del Maschio chiamata in gergo “braccino”. “Alla fine - prosegue - organizziamo sempre una cena alla quale partecipano anche i detenuti coinvolti che sono quelli dell’Alta sicurezza. Di solito per farla ci autotassiamo noi insegnanti”. L’esperienza è preziosa. E ci tengono a scriverlo anche gli stessi protagonisti. “Il teatro ci ha aiutati a scoprire un mondo fino ad ora sconosciuto, sia a livello emotivo che culturale”, la testimonianza arriva da Sebastiano, per i detenuti della sezione Alta sicurezza del carcere di Volterra. “Purtroppo il teatro e la scuola sono a rischio chiusura e noi detenuti viviamo questa situazione con ansia perché verremo privati di due attività che in questi anni hanno significato per tutti noi crescita personale e collettiva, riscatto e speranza nel futuro. Per parte nostra anche quest’anno lavoreremo con impegno per dimostrare con i fatti che la cultura teatrale è una ricchezza insostituibile ai fini del nostro recupero e reinserimento”. Fa eco Giuseppe: “Tante volte nel silenzio della mia stanza” prendo le centinaia di foto dell’attività teatrale...la sensazione che provo nel ripercorrere quei momenti è la gioia di sentirmi vivo e soprattutto partecipe del mondo fuori da queste mura”. Si fa riferimento ad uno degli spettacoli messi in scena, “Sapere Aude”: “Per la prima volta l’immagine del mio viso è stata proiettata su uno schermo che dal mio punto di vista rappresenta una finestra che su affaccia sul mondo esterno...io spero che il mio letto sarà abbastanza grande da contenere tutte le foto di spettacoli teatrali che faremo in futuro”. La questione, dunque, arriverà anche in Provincia il prossimo 4 novembre sottoforma di mozione presentata da Sinistra ecologia e libertà per conto del capogruppo Massimiliano Casalini. Solidarietà del mondo politico Il mondo politico locale e provinciale si mobilita per la scuola in carcere. “Siamo solidali a tutti coloro che si stanno impegnando per salvaguardare il progetto e disponibili a partecipare ad iniziative a tutela”, sostiene il Pd di Volterra. “Anche dentro le mura del carcere sono arrivati i tagli. Tagli che rischiano di spazzar via lavoro e sacrificio. Tagli che, se applicati con rigore, cancellerebbero in un attimo le speranze e le conquiste di molti. Il corso per geometri (con le due sezioni interne all’Istituto di pena) verrebbe drasticamente ridotto e completamente snaturato; ciò comporterebbe un peggioramento dell’offerta trattamentale per i detenuti e l’ennesima perdita di posti di lavoro per il nostro già martoriato territorio”, spiegano. E ancora: “I detenuti sono consapevoli del valore della scuola perché, da ogni parte d’Italia, fanno richiesta di trasferimento presso il nostro carcere per motivi di studio”. Anche dalla Provincia, le forze di maggioranza Sel, Pd e Idv dicono no al ridimensionamento delle attività al carcere. “Esprimiamo a nome delle forze di maggioranza del consiglio di Pisa sostegno ai lavoratori della scuola, tra l’altro martoriata dalla recente controriforma Gelmini, ai detenuti tutti, alla direzione e agli operatori del carcere. Invitiamo gli enti locali interessati ad un percorso condiviso affinché sia preservata l’esistenza del corso di studi per Geometri all’interno della Casa di reclusione. Manifestiamo la totale contrarietà della Provincia di Pisa a qualsiasi ipotesi di ridimensionamento”. Agrigento: Polizia penitenziaria in stato di agitazione per la scarsità di personale Il Velino, 3 novembre 2010 In stato di agitazione il personale della Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Agrigento. La comunicazione ufficiale diretta al ministro della Giustizia e al provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di Palermo è stata inviata dalle segreterie provinciali di Sappe, Osapp, Uil, Cisl, Cnpp, Cgil e Ugl. Dopo un anno di tavoli tecnici e promesse - si legge nella nota sindacale - le segreterie provinciali dei sindacati sono riuscite ad ottenere in primo formale incontro interlocutorio con il direttore di Petrusa propedeutico all’emanazione concertata di un nuovo modello organizzativo, quanto più rispondente alle attuali esigenze operative”. Si è poi assistito ad uno stillicidio quasi quotidiani di poliziotti andati in quiescenza o rientrati nella propria sede di servizio. “Così - prosegue la nota - è stato richiesto un ulteriore incontro finalizzato a siglare un accordo che rendesse giustizia anche alle aspettative dei lavoratori. Tradendo ogni aspettativa - si puntualizza - il richiesto confronto veniva fissato al 3 novembre. Purtroppo una sigla sindacale non firmataria nel presente cartello chiese il rinvio per questioni congressuali. Il direttore contravvenendo al modus operandi in simili questioni ha pensato di rinunciare detto incontro per il 12 novembre sempre che altro sindacato non chieda un nuovo rinvio”. Da ciò è scaturita la decisione di proclamare lo stato di agitazione del personale di polizia penitenziaria affinché l’incontro si tenga domani come precedentemente fissato. In caso contrario si terrà un sit in di protesta nel piazzale Di Lorenzo, davanti al carcere, a cui saranno chiamati a partecipare anche i parlamentari agrigentini. Colpi di pistola contro auto agente Intimidazione ai danni di un agente della polizia penitenziaria in sevizio al carcere Petrusa di Agrigento. Cinque colpi di pistola sono stati esplosi all’indirizzo della sua autovettura monovolume posteggiata nel centro storico di Raffadali (Ag). Sull’episodio indagano i carabinieri. Cosenza: ex detenuto vuole vedere Sindaco e minaccia di buttarsi 4° piano del Comune Agi, 3 novembre 2010 Un uomo ha minacciato di lanciarsi dal quarto piano del municipio di Cosenza. Il fatto è avvenuto nel primo pomeriggio di oggi. Si tratta di Salvatore Cardellicchio, 36 anni, che è stato però avvicinato e fermato dai Carabinieri della stazione di Cosenza principale. Cardellicchio, che, per quanto si è appreso, è uscito di prigione da 5 mesi, ha preteso di parlare con il sindaco di Cosenza, Salvatore Perugini, minacciando di lanciarsi nel vuoto. L’arrivo del Maresciallo del Carabinieri Cosimo Saponangelo e la conseguente lunga trattativa che questi ha instaurato con l’uomo, hanno consentito di scongiurare il peggio. L’uomo si è poi consegnato, appunto, al maresciallo Saponangelo, desistendo dai suoi intenti. A chiedere espressamente la presenza del maresciallo Saponangelo, secondo quanto si è appreso successivamente, è stato lo stesso ex detenuto. Il sottufficiale dell’arma si è presentato nonostante fosse in licenza, e dunque senza divisa. Siracusa: in testi scolastici sostituire parola “carcere” con “istituto di rieducazione civile” Gazzetta del Sud, 3 novembre 2010 Raccogliendo gli stimoli provenienti dalle riflessioni sulla recente giornata europea della giustizia civile, in linea con la proposta lanciata dal Centro studi giuridici e sociali “Giustizia e Pace” di Catania, il presidente del consiglio provinciale Michele Mangiafico ha inviato una nota ai ministri della Giustizia Angelino Alfano e dell’Istruzione Mariastella Gemini, e sottosegretari, per chiedere di sostituire nei testi formativi, la parola carcere con la locuzione istituto di rieducazione civile. Tale sostituzione linguistica sottolineerebbe secondo Mangiafico, “la volontà della nostra società di recuperare i talenti del detenuto e restituirlo quale persona desiderosa di intraprendere una nuova vita nella propria comunità, diversa da quella che lo ha portato a delinquere. Di fronte alle gravi questioni ancora irrisolte del sovraffollamento e della carenza degli organici - continua nella sua nota il presidente del consiglio provinciale - questo aspetto linguistico potrebbe certo apparire di minor conto, ma dietro i vocaboli ci sono i significati che attribuiamo loro e, in questo caso, la volontà di un impegno volto proprio al miglioramento delle condizioni delle strutture detentive del nostro paese”. La proposta di Mangiafico andrebbe ad inserirsi lungo la linea già intrapresa dal Consiglio Provinciale che in primavera portò una commissione speciale a mettere in luce le criticità delle strutture carcerarie provinciali attraverso un lavoro fatto di sopralluoghi e colloqui. “Ne venne fuori una seduta straordinaria di Consiglio provinciale - continua Mangiafico - e la presentazione di una relazione conclusiva che guardasse anche all’impegno dell’istituzione provinciale, relativamente alle questioni legate alla propria competenza, come quelle dell’approvvigionamento idrico, dell’inclusione sociale, delle attività culturali. Speranzoso - conclude - di trovare un positivo riscontro nelle iniziative che sarete in grado di assumere in questa direzione, rimango a vostra disposizione per qualunque ulteriore approfondimento”. Larino (Cb): presentato il libro di Livio Ferrari “Di giustizia e non di vendetta” www.primapaginamolise.com, 3 novembre 2010 Il convergere di due eventi paralleli, che si incontrano e si supportano all’interno del problema delle carceri italiane, ha rappresentato l’oggetto della conferenza promossa a Larino dal Centro di Servizio per il Volontariato “il Melograno”, venerdì scorso 29 ottobre. Da una parte, l’avvio del percorso attuativo del Protocollo d’intesa firmato nel mese di marzo tra Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria di Abruzzo e Molise e CSV “il Melograno, Acesvo di Campobasso e Conferenza Interregionale Volontariato Giustizia di Abruzzo Molise. Dall’altro, l’uscita del libro “Di giustizia e non di vendetta” firmato dal giornalista Livio Ferrari, fondatore e primo Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Al centro del dibattito, che ha registrato anche la partecipazione del dr. Anna Maria Di Nunzio, Direttore dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Campobasso, il dramma umano e civile rappresentato dal sovraffollamento degli istituti di pena, dove - bastino i dati ministeriali che parlano del solo il 16% dei detenuti incarcerati per reati gravi e del 50% in attesa di giudizio, di cui il 20% non verrà mai condannato - i diritti fondamentali dell’uomo, la funzione rieducativa della pena e la tutela della società restano, troppo spesso, delle semplici dichiarazioni di principio. A fronte di un illogico giustizialismo, che nutrendosi di luoghi comuni, aumenta solo il conflitto sociale. Impegnato da tempo lungo il difficile percorso della partecipazione della comunità esterna e del volontariato in particolare, all’azione rieducativa ed al reinserimento sociale del reo, il CSV “il Melograno”, attraverso la sottoscrizione del Protocollo di Intesa, lo scorso 15 marzo a Pescara, ha condiviso e dato seguito agli obiettivi che impegnano il volontariato molisano e abruzzese lungo il cammino dell’applicazione delle norme in materia di “misure alternative alla pena detentiva”. Accordo teso a realizzare una proficua e continuativa collaborazione - sullo specifico tema dell’esecuzione penale esterna - tra sistema carcerario e volontariato. Riconoscendo l’importanza di quest’ultimo, come ha ricordato il Direttore dell’Uepe Anna Maria di Nunzio, tanto nel percorso riabilitativo dei soggetti che scontano la pena in misura alternativa alla detenzione, quanto nella promozione della cultura della legalità. “Non si tratta di buonismo o di non voler far scontare la pena detentiva a chi ha commesso reati gravi - ha sgombrato subito il campo Livio Ferrari, all’inizio del suo intervento - ma di aprire gli occhi della società su una situazione emergenziale di cui nessuno parla. In primis la politica, che non la considera un fertile terreno elettorale”. Prova ne sia la legge Bossi/Fini sull’immigrazione che ha portato in carcere circa tredicimila stranieri, non perché abbiamo fatto qualcosa di male, ma perché non posseggono un pezzo di carta, il permesso di soggiorno. Oppure la legge Giovanardi sugli stupefacenti, che colpisce non i grandi trafficanti di droga, ma persone, più spesso ragazzi, che già provengono da situazioni familiari e sociali terribili o addirittura inconsapevoli del grave rischio che corrono, in una società oramai schizofrenica, dove l’unico colpevole è colui che “viene beccato”. “La verità, è che non vogliamo più aiutare chi ha problemi non certo risolvibili con la detenzione e siamo arrivati al paradosso che oggi, in carcere, ci sono le persone più fragili - ha continuato Ferrari - enfatizzando l’idea di una esecuzione penale soltanto vendicativa, che altro non fa se non confermare l’insicurezza e la miopia della società moderna”. Perché, sempre citando i dati del Ministero degli Interni, il numero dei reati più gravi sono quelli perpetrati tra le mura domestiche, eppure “siamo convinti che ci sia una maggiore sicurezza con le carceri che scoppiano, sicuri che lì dentro si risolvano tutti i problemi della società”. Ma se “è vero che tanta gente in carcere non ci dovrebbe stare, è altrettanto vero che c’è tanta criminalità agguerrita, consapevole di voler restare tale perché attratta dalla possibilità di poter fare subito tanti soldi, senza sacrificarsi nel lavoro”, è intervenuto nel corso del dibattito conclusivo il Direttore della Casa Circondariale di Larino, Rosa La Ginestra, istituto da anni precursore di percorsi di recupero incentrati sulle misure alternative alla detenzione e percorsi lavoro. Ed addirittura, per effetto di un cortocircuito sociale che porta a disinteressarsi delle persone affette da problemi psichici e comportamentali, queste possono essere seguite meglio in carcere che fuori. Perché almeno “dentro” c’è qualcuno che le ascolta. Mentre “fuori” resta il deserto sociale. E allora? Allora il punto resta sempre lo stesso: la sicurezza si fa recuperando le persone, colpendole nel momento dello sbaglio, ma anche dando loro una nuova opportunità per reinserirsi nella società. Magari insegnando loro un lavoro ed il valore ed il sacrificio di questo (come ad esempio nei casi di ragazzi che sono stati abbagliati dalla possibilità di far “soldi facili” con un po’ di spaccio), non impedendogli addirittura la possibilità di lavorare nel caso di fedina penale sporca. Ed il libro di Livio Ferrari “Di giustizia e non di vendetta” vuole offrire uno spaccato “in presa diretta”, direttamente dalle voci dei detenuti, delle condizioni disumane in cui si vive in tante carceri italiane, ma anche un terreno dove, non solo il volontariato, una società consapevole può tracciare un solco di speranza per recuperare e così migliorare, chi ha sbagliato e, in definitiva se stessa. Ennio Di Loreto Uffficio Stampa Csv “il Melograno” Roma: i detenuti dell’Ipm di Casal del Marmo mettono in scena William Shakespeare Il Velino, 3 novembre 2010 Si intitola “Il classico dei classici” - studio su William Shakespeare, lo spettacolo che metteranno in scena i ragazzi dell’Istituto penale minorile di Casal del Marmo domani, 4 novembre, alle 9,30, al Cine - Teatro don Bosco in via Publio Valerio a Roma. L’iniziativa è patrocinata dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. Lo spettacolo, per gli studenti delle scuole superiori, riguarda l’educazione alla legalità e la prevenzione dei comportamenti aggressivi e delle tossicodipendenze ed è realizzato dai ragazzi dell’Officina teatro sociale. Un cast multietnico - composto da ragazzi italiani, delle Mauritius, della Romania, di Capoverde, e di etnia rom - metteranno in scena la storia di due coppie di innamorati, Romeo e Giulietta e Amleto e Ofelia, alle prese con i rispettivi cattivi che, per motivi diversi, osteggiano il loro amore. I protagonisti si districheranno tra duelli, intrighi, macchinazioni e appuntamenti furtivi in un’opera che mette assieme cultura classica e nuove tendenze dello spettacolo, da Pulp Fiction al Rap. Allo spettacolo seguirà un convegno sui temi dell’educazione alla legalità, della prevenzione dei comportamenti aggressivi, della tossicodipendenza e della promozione della cultura della non violenza. All’iniziativa parteciperanno Angiolo Marroni, Garante dei detenuti della Regione Lazio; Massimo Canu, presidente dell’agenzia delle tossicodipendenze del Comune di Roma; Ciro Nutello, della polizia; Vittoria Quondamatteo, responsabile Casa - Famiglia “Il Fiore Del Deserto”; e Marialaura Grifoni, direttrice dell’Ipm Casal del Marmo. “È un’esperienza di grande coinvolgimento non solo per gli attori ma anche per i ragazzi che vi assisteranno - ha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - Le esperienze, anche traumatiche, vissute da questi ragazzi che si stanno improvvisando, con profitto, attori sono un tesoro di conoscenza che può aiutare a crescere tanti giovani. I ragazzi di Casal del Marmo hanno investito molto in questa iniziativa e, così facendo, sono stati capaci di abbattere confini e pregiudizi e di proporsi come “maestri di vita” per tanti loro coetanei che, per inesperienza e gioventù, potrebbero essere tentati dall’illegalità”. L’evento rientra in una più grande iniziativa - finanziata dalla Regione Lazio - che prevede una serie di spettacoli e di dibattiti animati dall’associazione “Adynaton”, che si occupa di formazione e pedagogia attraverso il Teatro. Dal 1998 l’associazione è presente nell’Ipm di “Casal del Marmo” con il Laboratorio Teatrale Permanente che ha visto la realizzazione di molti spettacoli, rappresentanti anche fuori dall’Istituto, tra cui “Pinocchio”, “La Città Invisibile” e “Il drago”. Milano: con l’Edge Festival, l’arte entra in carcere di Valentina Ravizza Il Sole 24 Ore, 3 novembre 2010 Attori e autori ex - detenuti, laboratori artistici all’interno degli istituti penitenziari e una mostra fotografica sul dramma delle madri dietro le sbarre. Appuntamento a Milano con il teatro dei diritti e delle persone. Un clown misterioso e una farfalla che libera tre bambole dalle grinfie di un malvagio stregone, i griot, poeti - cantastorie dell’Africa Occidentale, e i cantanti Presi per Caso. Eccoli i protagonisti dell’Edge Festival di Milano, manifestazione teatrale di confine, dove la musica e la danza diventano la via d’uscita dalla marginalità. “Un teatro che attraverso l’arte possa formare le persone e soprattutto educare i cittadini ad accettare la diversità”, spiega Donatella Massimilla, direttore artistico della manifestazione, che si terrà nel capoluogo lombardo il 7, 20 e 21 novembre. Una sfida ambiziosa, coordinata dal Cetec (Centro Europeo Teatro e Carcere) e partita da San Vittore vent’anni fa con il laboratorio teatrale La Nave dei Folli. Questa volta però il progetto artistico non resta dietro le sbarre, ma viene proposto a un pubblico più ampio. “Grazie a Edge Festival l’arte esce fuori dai confini per entrare nella cultura di una città, Milano, e di una regione, la Lombardia, che è rimasta molto sensibile al tema della reclusione e della diversità”, continua Massimilla. Che precisa: “Sono argomenti difficili, forti, che affrontiamo attraverso spettacoli di alta qualità e una delicatezza nata dal coinvolgimento emotivo di attori - autori, che rende possibile la comunicazione della diversità, andando aldilà dei confini delle disabilità e delle differenze di razza e religione”. È proprio Immaginazione contro Emarginazione il titolo del meeting di apertura della maratona artistica di domenica 7 novembre alle 16.30 al Teatro dell’Arte, che proseguirà con Movable Barres concert:: parole e musica dal carcere, in cui attori ex detenuti interpreteranno insieme poesie e canzoni di autori reclusi e non, frutto di un intenso lavoro sull’identità personale. “Tutte le persone che vengono coinvolte nei progetti dell’Edge Festival partecipano ai nostri laboratori per scelta. Sentono che viene data loro la possibilità di conoscersi e soprattutto di valorizzare loro stessi attraverso il confronto con gli altri, in un travaso continuo di capacità ed emozioni”. L’appuntamento con la drammaturgia è alle 21, con lo spettacolo No Kissing, nato dalla collaborazione tra Michael Diamond, attore, autore teatrale e musicista con un passato da detenuto nel carcere di Belfast, e l’attrice inglese Sally Elsbury, con alcuni attori italiani, come Antonio Rosti. Un percorso teatrale che ruota intorno a una storia cruda, ma anche molto attuale: quella poetica e surreale dell’incontro tra una prostituta bambina e un cliente distrutto da un lutto che vuole solo essere baciato, che si trasforma in speranza di cambiamento per la protagonista, ma anche per molte altre donne che si trovano in questa situazione di confine. La serata si concluderà con la musica dei Presi per Caso, graffianti e ironici cantanti e attori ex detenuti di Rebibbia, che si esibiranno per la prima volta a Milano nel recital Jail Antology. Più incentrato sulla multiculturalità il weekend del 20 e 21 novembre al Teatro Elfo Puccini. Sul palco della Sala Fassbinder saliranno i musicisti e poeti senza tetto della Stazione Centrale della Bar Boon Band. Da non perdere, alle 21.30, lo spettacolo di Ahmed Fofana e Metis Mandingue, che accompagneranno il pubblico nel cuore dell’Africa, tra storie e leggende del Mali e della Costa d’Avorio. Domenica pomeriggio invece è la volta de La congiura dei Giocattoli: un’antica favola popolare greca che parla di rivolta e libertà, raccontata dagli artisti dell’Edge Network insieme agli ospiti dell’Anatoli Polygyros, centro diurno di Salonicco, dove la regista greca Tania Kitsou, ha creato un laboratorio teatrale. Nei luoghi del festival sarà allestita anche una mostra fotografica, con gli scatti di cinque fotografi della pluripremiata agenzia Contrasto realizzati in cinque istituti penitenziari italiani. “Che ci faccio qui. I bambini nelle carceri italiane” parla del dramma delle madri recluse con i figli attraverso immagini simboliche e di grande impatto. “Chi sta fuori (dal carcere, ndr) si fa un’idea sui detenuti e forse anche un’idea sul bene e sul male, invece vivendo con loro (e nel teatro durante le prove si vive praticamente insieme) capisci che ogni persona ha una storia alle spalle e che il bene e il male sono sia dentro e fuori dal carcere”. Informazioni Edge Festival. 7, 20 e 21 novembre. Milano, Teatro Elfo Puccini (corso Buenos Aires, 33) e Teatro dell’Arte (viale Alemagna, 6). Biglietti: intero/ridotto (per studenti fino a 26 anni, gruppi, disabili e over 60) 15/10 euro, valido per i due spettacoli della serata. Per il weekend del 20 e 21 novembre è possibile acquistare un biglietto cumulativo al costo di 20 euro. Per informazioni e prenotazioni: Teatro Elfo Puccini tel. 02.00660606, biglietteria@elfo.org; Teatro dell’Arte tel. 02.45409693, organizzazione@cetec - edge.org. India: Corte suprema; il processo per gli italiani detenuti si chiuda entro tre mesi Ansa, 3 novembre 2010 La Corte Suprema indiana ha ordinato al giudice del tribunale di Varanasi, di terminare entro tre mesi il processo a carico del giovane di Albenga Tomaso Bruno ed alla sua amica torinese Elisabetta Boncompagni, i due italiani accusati di aver ucciso un loro compagno di viaggio, Francesco Montis. Lo rendono noto Euro Bruno e Marina Maurizio, genitori di Tomaso, in stretto contatto col collegio difensivo in India. Intanto stamani a Varanasi si è tenuta una nuova udienza del processo, che data l’interruzione di energia elettrica in tribunale, si è celebrata al lume di candela. Bruno e Boncompagni sono detenuti da febbraio ed il processo a loro carico, in questi mesi, ha subito numerosi ritardi e slittamenti. Della vicenda si era occupata anche la Farnesina, col personale interessamento del ministro Franco Frattini. Iran: gli Usa condannano possibile esecuzione Sakineh e chiedono rispetto diritti umani Apcom, 3 novembre 2010 La Casa Bianca ha condannato oggi “nei termini più risoluti” la possibile imminente esecuzione di Sakineh Mohammadi Ashtiani, l’iraniana condannata a morte nel suo paese con l’accusa di adulterio e complicità nell’omicidio del marito: Washington ha imposto alle autorità di Teheran di trattare la donna “in maniera giusta”. “Condanniamo nei termini più risoluti il progetto evidente del governo iraniano di giustiziare presto Sakineh Mohammadi Ashtiani”, ha dichiarato Robert Gibbs, il portavoce del presidente Barack Obama in un comunicato. “La mancanza di trasparenza e di rispetto delle procedure nella causa della signora Ashtiani, e gli atti subiti dal suo avvocato e dalla sua famiglia, sono inaccettabili”, ha indicato il portavoce. “Invitiamo il governo iraniano a rinunciare a questa esecuzione e a trattare la signora Ashtiani in modo corretto, poiché ne ha tutto il diritto”, ha concluso Gibbs nel suo comunicato. Da parte sua, il segretario di Stato Hillary Clinton si è detta “profondamente turbata dalle informazioni secondo le quali le autorità iraniane stanno preparando l’esecuzione”. “I dirigenti iraniani hanno nuovamente fallito nel tentativo di tutelare i diritti fondamentali dei loro cittadini, in particolare le donne”, ha aggiunto il capo della diplomazia Usa. Medio Oriente: Ong; torture e maltrattamenti nelle carceri dei servizi segreti israeliani Aki, 3 novembre 2010 Nelle carceri dello Shabak, i servizi segreti israeliani, si verificano gravi violazioni dei diritti umani dei detenuti. È quanto emerge da un rapporto diffuso oggi dall’ong israeliana Betselem, secondo cui nel penitenziario di Petah Tikva i prigionieri subirebbero torture e maltrattamenti, benché le autorità israeliane sostengano che la situazione sia sotto controllo. Il rapporto, rilanciato dall’agenzia palestinese Sama News, si basa sulla testimonianza di 121 detenuti palestinesi arrestati nel 2009, che hanno dichiarato di aver subito torture sin dal primo momento del loro ingresso nel carcere, dove le condizioni generali di detenzione sono durissime. “Lo Shabak israeliano tortura fisicamente i detenuti durante gli interrogatori, per poi incatenarli nelle celle d’isolamento”, afferma il rapporto, sottolineando che “i maltrattamenti usati dagli inquirenti nei confronti dei detenuti palestinesi avvengono con il pieno sostegno delle autorità israeliane”. Dal 2001 a oggi, il ministero israeliano della Giustizia ha ricevuto 645 denunce di torture da parte degli agenti dello Shabak, ma non è stata aperta una sola inchiesta in merito, precisa Betselem. Ieri il ministro palestinese per gli Affari dei Prigionieri, Issa Qaraqe, aveva riferito del caso di due minorenni palestinesi arrestati a luglio dalle forze israeliane, che in carcere avrebbero urinato loro addosso costringendoli a bere l’acqua sporca delle toilette. Cuba: altri tre detenuti politici liberati, c’è quello da più tempo in carcere Agi, 3 novembre 2010 Cuba libererà altri tre prigionieri politici, tra i quali anche Alvarez Arencibia, detenuto dal 1985 e considerato il prigioniero politico da più tempo nelle carceri dell’isola. Lo ha annunciato la Chiesa cattolica, l’Arcivescovato dell’Avana, che ha confermato il prosieguo del processo di scarcerazioni iniziato a metà del luglio scorso. E con i tre, fa sapere la Chiesa, sale a 50 il numero dei detenuti che hanno accettato la proposta di uscire di prigione per essere trasferiti in Spagna. Grazie al negoziato avviato a maggio dalla Chiesa cattolica dell’isola, con il placet della Spagna, il governo cubano ha annunciato il 7 luglio la scarcerazione graduale di 52 oppositori del cosiddetto “Gruppo dei 75” che erano ancora in prigione, 39 dei quali sono già stati liberati a condizione di trasferirsi in Spagna. Il presidente Raul Castro sembra intenzionato a liberare tutti i prigionieri politici, proprio per porre fine a uno degli attriti maggiori tra Cuba e la comunità internazionale. Rimangono tuttavia ancora in prigione gli ultimi tredici del gruppo, che non vogliono abbandonare il Paese.