Giustizia: il 41-bis è una tortura, ma tutti tacciono per paura di apparire collusi con la mafia di Adriano Francesco Verde Agenzia Fuoritutto, 25 novembre 2010 Il principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, continuamente sbandierato come limite e come garanzia fondamentale su cui si regge il nostro ordinamento sembra talmente ovvio che se taluno lo definisse una banalità non si sottrarrebbe ad una censura di blasfemia. Solo coloro che la legge l’applicano (o la subiscono) tutti i giorni sanno che la legge prima ancora di essere applicata va interpretata. Non c’è quindi da stupirsi se si ritenga compatibile con l’anzidetto principio di uguaglianza la disposizione di legge che disciplina il “carcere duro” per i più pericolosi criminali: le disuguaglianze infatti non derivano solo dalla riserva di trattamenti differenti, ma anche dall’applicazione di trattamenti uguali a coloro che si trovano in situazioni diverse. Quindi con buona pace di Cesare Beccaria che aveva tessuto le lodi della pena detentiva, non soltanto per la sua perfetta frazionabilità, ma soprattutto per l’uguaglianza del trattamento che veniva riservato a tutti i rei che venivano privati allo stesso modo del medesimo bene, ossia della libertà personale, ancora oggi la nostra legislazione non riesce a liberarsi del famigerato art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, ossia di quell’istituto noto con il termine di carcere duro che, introdotto come rimedio eccezionale e temporaneo nel 1992 dopo la strage di Capaci e di Palermo, è diventato ormai definitivamente acquisito nell’ordinamento e che nessuno si azzarderebbe più ad abrogare o soltanto a modificare per non essere additato come amico delle più famigerate organizzazioni criminali. Si tratta di una disposizione normativa che rende la vita carceraria nel nostro paese non dissimile da quella che veniva riservata ai detenuti in epoca medioevale. Nella culla del diritto dove anche l’esecuzione della pena è giurisdizionalizzata, ossia affidata al controllo della magistratura di sorveglianza, nel trattamento previsto dall’art. 41 bis è limitata la possibilità di controllo giurisdizionale. Tutto ciò che ad altri è consentito, ai detenuti in regime di 41 bis è vietato. A loro è consentito un colloquio al mese attraverso i vetri con l’obbligo di controllo auditivo e di videoregistrazione. Sono limitati i colloqui anche con i difensori. L’aria non può essere fruita in gruppi superiori a 4 persone e non può protrarsi più di due ore al giorno. Il regime carcerario in parola è stato definito un’autentica tortura. Ma più che la necessità di adeguare qualsiasi trattamento penitenziario al livello di civiltà raggiunto dal nostro paese, prevalgono gli interessi elettorali, politici e di potere. L’etica penale viene così piegata dinanzi al consenso populista, mediatico e politico. Ci sono persone sottoposte al regime del 41 bis dal 1992. Centinaia di persone condannate a vivere come gli animali in un bioparco: vengono alimentati, se necessario curati, ma privati di qualsiasi altro diritto in genere riconosciuto agli uomini, anche se condannati per crimini efferati. Trascorrono ventidue ore su ventiquattro nell’inattività più totale, in pochi metri e in sostanziale isolamento. Non possono abbracciare figli, padri, madri, nipoti, talvolta anche per il resto dei loro giorni. Un giorno di carcere trascorso in tali condizioni equivale esattamente ad un giorno trascorso nelle carceri normali o ad un giorno trascorso dai più fortunati in regime di arresti domiciliari o addirittura di semilibertà. Ma la legge è uguale per tutti. E tutti tacciono, per paura di apparire collusi con la mafia. Giustizia: Garante Privacy; ordinanze di custodia cautelare online, ma solo con i dati essenziali Ristretti Orizzonti, 25 novembre 2010 Se un sito internet pubblica un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a corredo di una notizia, deve però oscurare dal provvedimento online tutti i dati non essenziali. Lo ha stabilito il Garante privacy vietando ad una associazione la diffusione online dei numeri di telefono, degli indirizzi dei luoghi di residenza e domicilio e dei codici fiscali di un architetto raggiunto da un provvedimento giudiziario di custodia in carcere e delle altre persone citate nell’ordinanza. L’Autorità (con un provvedimento di cui è stato relatore Giuseppe Fortunato) ha così accolto le richieste del destinatario della misura restrittiva che si era rivolto al Garante lamentando un’illecita diffusione di dati “di natura riservata e personale” dovuta alla pubblicazione integrale dell’ordinanza. Pur riconoscendo infatti il diritto alla manifestazione del pensiero da parte della onlus, che può esercitarsi anche mediante la pubblicazione di atti giudiziari non più coperti da segreto, il Garante ha ritenuto che la diffusione di alcuni dati del segnalante e delle altre persone citate nel provvedimento (quali ad esempio numeri di telefono, residenza, codici fiscali ecc.) va al di là della finalità informativa e viola il principio dell’essenzialità dell’informazione. La pubblicazione integrale del provvedimento, inoltre, è ingiustificata anche alla luce del principio di pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati, trattandosi di informazioni, strettamente personali, sicuramente sovrabbondanti e non indispensabili per rappresentare la vicenda giudiziaria. Entro trenta giorni l’associazione dovrà rimuovere le informazioni eccedenti dai due siti dove ha pubblicato l’ordinanza e darne comunicazione all’Autorità. Giustizia: il Magistrato di sorveglianza; la politica delega a noi soluzione degli “anni di piombo” Apcom, 25 novembre 2010 “Purtroppo il legislatore ha trasferito a noi come giudici di sorveglianza l’onere di trovare una soluzione al problema della detenzione dei protagonisti degli anni di piombo”. Lo dice Roberta Cossia, giudice del tribunale di sorveglianza di Milano partecipando alla presentazione del libro “L’ergastolo, dall’inizio alla fine”. Il libro lo ha scritto Nicola Valentino, libero dal 2006 dopo aver passato in carcere 26 anni in seguito alla condanna a “fine pena mai” per fatti di lotta armata. Valentino parla di due traumi: il trauma dell’ingresso all’ergastolo, del “rendersi conto che lo Stato ti prende la vita” fino a quello “dell’uscita dall’ergastolo”. Il giudice Cossia spiega che i detenuti per fatti di lotta armata hanno una strumentazione culturale migliore rispetto ai detenuti comuni “per uscirne”. Ma secondo il giudice di sorveglianza “il problema vero è che avrebbe dovuto essere la politica a chiudere un’epoca storica con un provvedimento adeguato. Invece ci dobbiamo pensare noi come categoria e a Milano abbiamo diversi casi di ergastolani. I meccanismi premiali si prestano a essere strumentalizzati: si arriva a situazioni offensive e prive di senso con le scuse ai parenti delle vittime che arrivano attraverso i carabinieri”. Giustizia: Sappe; segnalate azioni di gruppi “antagonisti” nell’ambito di campagna anticarceraria Il Velino, 25 novembre 2010 È notizia di queste ore che gruppi di area antagonista avrebbero posto anche il sindacato autonomo Polizia Penitenziaria Sappe e le sue sedi, congiuntamente ad alcune sedi penitenziarie e di aziende sanitarie locali in quanto responsabili del servizio sanitario penitenziario, quali obiettivi di iniziative e contestazioni nell’ambito di una diffusa campagna anticarceraria. La cosa non ci lascia ovviamente indifferenti ma è del tutto ovvio che i dirigenti e gli iscritti del primo sindacato della Polizia Penitenziaria non si faranno certo intimidire e perseguiranno come sempre, ogni giorno, la difesa della legalità e della sicurezza in carcere e la rivendicazione sociale dell’importanza del ruolo del poliziotto penitenziario, svolto ogni giorno con passione, competenza, professionalità ed umanità da decine di migliaia di donne e uomini del Corpo. Il difficile momento che sta caratterizzando le carceri del Paese, con il crescente sovraffollamento e le molte tensioni che da esso derivano, vedranno sempre in prima linea il Sappe a tutela e difesa dei Baschi Azzurri e dell’Istituzione penitenziaria tutta. Il nostro sindacato è stato già oggetto di minacce da parte dell’area antagonista nel dicembre 2004, quando venne recapitato negli uffici della Segreteria Generale di Roma un pacco bomba per fortuna intercettato in tempo. Ma, ora come allora, il Sappe ha proseguito e prosegue con fermezza e fierezza la sua incisiva azione sindacale per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari e per una nuova politica della pena in Italia. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, venuto a conoscenza dalla Segreteria di Sicurezza dell’ufficio del capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria di alcune informative pervenute dalla Questura di Firenze che ha segnalato possibili contestazioni a sedi penitenziarie, associazioni sindacali e Sappe. Giustizia: Uil; per il trasporto dei detenuti abbiamo mezzi obsoleti, ad Dap Maserati, Bmw e Audi 9Colonne, 25 novembre 2010 Un monitoraggio sull’efficienza e l’idoneità dei mezzi in dotazione al Corpo di polizia penitenziaria è stato chiesto dalla Uil al capo del Dap, Franco Ionta. Prendendo spunto da un grave indicente accaduto l’altro ieri sull’autostrada Bari - Napoli in seguito alla rottura dei freni di un mezzo blindato, il segretario generale della Uil Penitenziari, Eugenio Sarno, traccia un quadro sconfortante del parco automezzi a disposizione della polizia per il trasferimento dei detenuti. “Ad Avellino per quattro istituti e circa 850 detenuti sono realmente disponibili solo 9 automezzi. Di questi il più giovane è stato messo su strada nel 2003 ed ha un percorrenza di circa 300 mila chilometri. Più in generale il parco automezzi del Nucleo Operativo Provinciale Traduzioni e Piantonamenti di Avellino si compone di sette mezzi Iveco non protetti messi su strada in periodi varianti dal 1998 al 2002 e con percorrenze medie di molto superiori ai 400 mila chilometri. Il blindato coinvolto nell’incidente, ad esempio, aveva già percorso 489 mila chilometri, essendo stato messo su strada nel 1992”. Ma Avellino è solo il primo caso di una lunga lista. “Alla Casa Circondariale di Lanciano (istituto che ospita per il 70% detenuti ad Alta Sicurezza) è assegnato un solo mezzo blindato con 541mila km ma può disporre di un automezzo per trasporto di detenuti disabili che a Lanciano non sono assegnati. Al Nucleo di Caserta, di stanza presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, pur avendo competenza su istituti dove sono ristretti detenuti ad Alta Sicurezza e 41- bis (e costretti ad attraversare territori ad alta densità criminale) sono disponibili solo due mezzi blindati con percorrenza di 346 mila e 353mila km. Di contro, non sono utilizzabili i due nuovi mezzi blindati (7mila e 12mila km) perché hanno le portiere cedevoli. In Lombardia per le movimentazioni e le traduzioni dei detenuti collaboratori di giustizia sono disponibili solo tre autovetture a targa civile, nonostante che tali detenuti siano ristretti in tre diversi istituti (distanti tra loro centinaia di chilometri) e che le attuali disposizioni impongano le movimentazioni per tale tipologia di ristretti con non meno di due autovetture”. “Si converrà - prosegue la lettera del segretario della Uil Penitenziari - che è difficile comprendere quale sia la ratio per cui, a fronte di tale emergenza, si proceda ad acquisti di berline extra lusso o di autovetture di cui non si potrà disporre operativamente. Il riferimento non è solo alle costosissime, blindate e scintillanti Maserati, Bmw, Audi che riempiono i piazzali del Dap quant’anche all’acquisto di una decina di Discovery 3 V8 Land Rover (costo unitario circa 100mila euro) il cui consumo è di circa due litri a chilometro. Autovetture Suv- carro armato il cui utilizzo è, forzatamente, limitatissimo sia in ragione del dispendiosissimo consumo sia per una scarsa manovrabilità nei territori marini e pre collinari degli istituti e servizi dove sono state assegnate; perché, ovviamente, questi mezzi a trazione integrale non sono stati assegnati ad istituti di montagna che in ragione delle condizioni climatiche cui sono sottoposti avrebbero potuto, in parte, giustificarne l’acquisto. Così come è rimasta senza alcuna risposta la segnalazione circa l’acquisto dei nuovi mezzi blindati (molto simili al tipo adibito per il trasporto cavalli) che dopo alcune settimane dalla messa in strada perdono le portiere per l’inadeguatezza strutturale delle cerniere”. Sardegna: Commissione Diritti civili; carcere di Nuoro non deve ritornare di “massima sicurezza” Adnkronos, 25 novembre 2010 La Commissione Diritti civili del Consiglio regionale della Sardegna ha preso in esame ‘le gravi conseguenze che potrebbe determinarsi a seguito della scelta del Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, di trasferire il boss della camorra, Antonio Iovine, nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros in regime di 41 bis’. Lo ha detto il presidente del parlamentino consiliare Silvestro Ladu (Pdl). La Commissione ha espresso “forte preoccupazione che tale decisione non possa rappresentare il primo passo verso la classificazione dell’istituto penitenziario nuorese come carcere di massima sicurezza, come lo è stato in passato. Al fine di scongiurare tale ipotesi - si legge in una nota - la Commissione ha ritenuto necessario assumere una posizione netta e decisa per chiarire le circostanze e gli intendimenti del Ministro, e promuovere una forte mobilitazione delle istituzioni regionali e locali. La Commissione quindi ha ritenuto opportuno chiedere un incontro urgente con il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e con il Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, per rappresentare i rischi che tale scelta avrebbe sul territorio nuorese, già penalizzato da un forte disagio e da una drammatica situazione socio-economica e delle conseguenze che questo fatto potrebbe avere anche alla luce di quanto si è verificato nella precedente esperienza”. La prossima settimana la Commissione effettuerà un sopralluogo nel carcere nuorese finalizzato ad acquisire direttamente tutti gli elementi utili a rappresentare al meglio la situazione. Lazio: il Garante dei detenuti incontra presidente Commissione per i diritti umani di Baghdad Asca, 25 novembre 2010 Confrontare le reciproche esperienze sul fronte della difesa dei diritti dei detenuti per verificare la possibilità di applicarle, nei propri Paesi con lo scopo ultimo di migliorare le condizioni di vita nelle carceri e di rafforzare la cooperazione nel campo dei diritti umani. Sono questi gli obiettivi principali dell’incontro fra il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni e Abdulkareem Shanain Gaeed Al Makassees, consigliere e presidente della Commissione per i diritti umani del Governatorato di Baghdad. “Credo sia molto importante questo confronto, a livello internazionale, sulle best practices in tema di tutela dei diritti umani - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - Stiamo orgogliosi di mettere poter condividere la nostra esperienza maturata in anni di lavoro nelle carceri della regione, e di poter ascoltare le problematiche e le soluzioni adottate in altre realtà del mondo su questo delicatissimo tema”. Al Makasses si trova a Roma per una visita di studio - organizzata dall’organizzazione no profit “Un ponte per...” - con incontri con diverse personalità istituzionali. È stato fondatore di una delle prime organizzazioni di tutela dei diritti dei detenuti dopo la fine della dittatura di Saddam Hussein. Da quando è consigliere nel Governatorato di Baghdad sta lavorando perché la sua Commissione assuma un ruolo di rilievo nel monitoraggio del sistema penitenziario della capitale irakena, sulla scia delle migliori pratiche esistenti nei Paesi Ue. “Sono molto soddisfatto di questo incontro - ha detto Abdulkareem Shanain Gaeed Al Makassees - perché è stato determinante al fine di acquisire l’esperienza della Regione Lazio in termini di difesa dei diritti umani e comprendere quali attività implementare nel Governatorato di Baghdad. Per noi sarebbe quindi importante riuscire a creare una collaborazione tra la commissione che presiedo, la Regione Lazio e “Un ponte per..”.”. “L’incontro con il Garante e il suo team di lavoro - ha aggiunto Domenico Chirico, direttore di “Un ponte per...” - è stata un’occasione di conoscenza importante per il nostro ospite del Governatorato di Baghdad e un esempio di come l’expertise italiano possa essere messo a sistema e divenire utile strumento di cooperazione e dialogo internazionale. Ci auguriamo nel prossimo futuro di poter coinvolgere il Garante nell’ambito dei nostri progetti a protezione dei diritti dei detenuti in Iraq e di proseguire nello scambio di buone pratiche locali tra Italia ed Iraq”. Mantova: detenuti sono doppio capienza; in Tribunale Sorveglianza allarme per carenza personale La Gazzetta di Mantova, 25 novembre 2010 È emergenza affollamento per il carcere di Mantova. I numeri forniti dal direttore sono eloquenti in proposito. La Casa circondariale di via Poma, a fronte di una tolleranza ordinaria di 120 detenuti e di una capienza massima di 180, al momento ne ospita 233. Un dato che definire “al limite” è quantomeno eufemistico. Tra i carcerati vi sono quelli in attesa di giudizio, coloro che hanno presentato istanza di appello e i condannati in via definitiva. “Quando nel 1980 presi incarico a Mantova - dice il direttore del carcere Enrico Baraniello - i detenuti qui erano un centinaio”. Le celle di reclusione hanno diversa capienza: si va dalla cella singola a quella che dovrebbe ospitare otto o nove detenuti. Il condizionale è d’obbligo in quanto il problema del sovraffollamento va inevitabilmente a falsare questi che sono dati teorici. Attualmente in via Poma i detenuti per cella vanno da un minimo di tre ad un massimo di dodici. A farne le spese, come è chiaro immaginare, le condizioni degli spazi vitali: celle con letti a castello tripli e ambienti di nove metri quadrati per tre persone. “Una possibile soluzione per non gravare ulteriormente sul carcere - afferma Luigi Fasanelli, magistrato di sorveglianza del tribunale di Mantova - può essere quella di trattenere gli arrestati per reati minori, in attesa di processo per direttissima, nelle celle della questura e delle varie caserme”. Prosegue il magistrato: “Vi sono almeno due forme alternative alla detenzione “tout-court”: l’ammissione al lavoro esterno e la semilibertà. Entrambe le soluzioni però sono possibili solo nel caso in cui il detenuto abbia un’attività lavorativa da svolgere, e di questi tempi sappiamo bene quanto sia complesso trovare un’occupazione”. Al sovrannumero dei detenuti si aggiunge la mancanza di un numero congruo di agenti di sorveglianza. Idealmente dovrebbero essere 96 i funzionari di polizia penitenziaria in forza alla Casa circondariale, mentre in servizio sono solamente una quarantina. In proposito il prefetto Mario Ruffo auspica un “reintegro del turnover del personale - ridotto dai pensionamenti e numerosi trasferimenti - per ripristinare il numero ottimale di agenti in servizio”. Come afferma il magistrato Fasanelli in conclusione: “Si va avanti solamente grazie alla dedizione ed alla abnegazione del personale di servizio. Ma mi chiedo quanto sia giusto che lo Stato esiga questo da noi”. Un Sos anche dagli uffici di sorveglianza Se il carcere di via Poma è sovraffollato, gli uffici del magistrato di sorveglianza presentano il problema opposto. “Abbiamo sei posti scoperti su nove - dice Baraniello al prefetto Ruffo in visita - sopravviviamo grazie a due unità del personale dell’ufficio del giudice di pace”. “Il problema dell’edilizia carceraria è da risolvere ma la questione dell’ufficio unico non è da meno - afferma il magistrato - auspichiamo un unico Palazzo di giustizia che comprenda tutti gli organi”. La magistratura di sorveglianza opera a sentenza definitiva e ha il compito di vigilare sull’esecuzione della pena nel rispetto dei diritti del detenuto. Oggi il Prefetto sarà in visita all’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione. Ivrea (To): Osapp; il carcere scoppia; il personale è esasperato e ha paura di una rivolta La Stampa, 25 novembre 2010 Scoppia il carcere di Ivrea, costretto a far fronte ad un sovraffollamento drammatico. Il numero di detenuti è quasi il doppio rispetto alla capienza della struttura. I posti sono 188, le persone rinchiuse 335. Destinate, dicono gli agenti di polizia penitenziaria, a diventare 400 in pochi mesi. Un disastro. Per far fronte all’emergenza la direzione ha pensato di attrezzare 22 celle da 8 metri quadrati: anziché una sola branda, ne sono state piazzate tre. “Roba da terzo mondo”, denuncia l’Osapp, il sindacato di categoria che ora minaccia lo sciopero se non verranno immediatamente presi provvedimenti. Gli agenti, in quegli spazi strettissimi, non sono neppure in grado di effettuare le ispezioni. “Lavoriamo in condizioni drammatiche - si lamenta Luca Massaria, vicepresidente regionale Osapp - , da tempo lo diciamo a questa direzione ma le nostre parole sono sempre cadute nel vuoto”. Tra gli agenti di polizia penitenziaria che lavorano qui (176 in tutto) c’è chi parla apertamente di “rischio rivolta e di mancanza di sicurezza, per noi e per i detenuti”. Altri, come Raimondo Vinti, invocano l’aiuto del governo per mettere fine a questa situazione. “Perché, passato l’indulto, con il conseguente aumento di carcerati la situazione non è migliorata per niente. Anzi, il sovraffollamento è continuato”, spiega Vinti. Ieri, per un sopralluogo a sorpresa, è arrivata nel carcere eporediese Augusta Montaruli, capogruppo regionale del Pdl, accompagnata dall’esponente del suo stesso partito Carlo Romito, consigliere comunale a Ivrea. “Da quello che ho visto è una struttura non adeguata a garantire condizioni ottimali” dice Montaruli, senza giri di parole. E aggiunge: “La questione del sovraffollamento è un grave problema, anche a fronte di una forte carenza di organico. Servirebbero almeno 50 agenti in più. Chiederò l’intervento del ministero”. Nelle 22 celle da otto metri quadri stanno 66 detenuti, tre per ogni camera. Sono i “dimittenti”, quelli che hanno un residuo di pena da scontare: di giorno sono liberi di muoversi per il corridoio, di notte sono obbligati a rientrare in cella per dormire. Anche quello è un problema: “A parte il fatto che non è pensabile far stare tre esseri umani in otto metri quadrati, come fossero bestie - si lamenta Massaria - , ma se quelli danno il via ad una rivolta chi li ferma?”. Montaruli avrebbe voluto incontrare anche la direttrice del carcere, Maria Isabella De Gennaro, e chiedere rassicurazioni per gli agenti: “Più di tutto mi preoccupano le condizioni di sicurezza di chi lavora qui dentro - spiega il capogruppo del Pdl - perché è un contesto potenzialmente esplosivo sia per la loro sicurezza che per quella dei detenuti”. La direttrice allarga le braccia e fa notare che “quella di Ivrea non è l’unica realtà alle prese con il problema del sovraffollamento”, ma promette interventi: “Da parte nostra c’è tutta la buona volontà per risolvere le cose che non vanno”. Ma gli agenti che lavorano qui sobbarcandosi turni massacranti non possono più aspettare: “Siamo esasperati, pronti ad incrociare le braccia se non cambierà qualcosa”. Lecce: Osapp; 1.500 detenuti in 650 posti… il termometro della civiltà si misura dalle carceri Lecce Prima, 25 novembre 2010 L’Osapp, tra le maggiori sigle sindacali del comparto sicurezza, lamenta le criticità dei penitenziari: sovraffollamento, riduzione del personale, mezzi da rottamare. Domenico Mastrulli, vicesegretario nazionale dell’Osapp, ha 33 anni di servizio nella polizia penitenziaria e una quantità di ricordi che affondano negli anni delle rivolte e del terrorismo: “Ho visto con i miei occhi tantissimi detenuti pericolosi, tra cui Renato Vallanzasca nel carcere di Trani. Uno che, nel marzo del 1981, quando era recluso a Novara, decapitò un giovane componente della sua famigerata banda e poi giocò a pallone con la testa”. Lo racconta per far capire a quale stress psicologico siano sottoposti gli agenti in servizio negli istituti penitenziari. E che, solo nel 2010, ha contribuito a spingere al suicidio dodici di loro. “Il termometro della civiltà si misura nelle carceri”, ha chiosato il rappresentante sindacale. Per dare senso pratico alla suggestione del racconto snocciola dati freschi di giornata: “Oggi, per malattia, sono assenti da questa struttura 72 agenti ed altri 46 sono al vaglio della commissione medica ospedaliera”. Lo dice dall’assemblea sindacale in corso Borgo San Nicola, durante la quale è stato raggiunto telefonicamente dopo l’improvvisata conferenza stampa all’esterno della struttura. Nella quale risultano esserci mille e 483 detenuti, di cui 107 donne. A fronte di una capienza che ufficialmente dovrebbe essere di 650. “E di 800 agenti quando ce ne vorrebbero almeno 950”. “Sono diverse le criticità che hanno reso indispensabile la convocazione di questo incontro”, ha detto Mastrulli, affiancato dal segretario provinciale Pasquale Alessano e dal vice Ruggiero Damato. C’è la questione economica che riguarda l’assenza di fondi per lo straordinario, il fondo incentivante, le missioni. Per le quali gli uomini della polizia penitenziaria dovrebbero essere pagati entro 30 giorni, “ma in realtà, dopo 18 mesi stiamo ancora aspettando”, ha precisato Damato, segnalando l’invio di atti giudiziari alle autorità competenti. C’è il problema relativo al parco automezzi dove il degrado, l’usura, e la scarsa manutenzione sono causa di incidenti anche gravi, come quello accaduto due giorni or sono sull’autostrada Napoli- Bari per il mancato funzionamento dei freni che ha innescato un pauroso tamponamento. Il bilancio è stato di otto feriti. “Se fossimo fermati dalla polizia stradale, saremmo passibili di multe pesantissime e del ritiro dei mezzi”, ha detto uno degli agenti all’esterno del supercarcere leccese. Il numero due dell’organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria ha ricordato come al problema d’insufficienza di organico si aggiunge quello della moltiplicazione dei compiti affidati al corpo: dalle scorte all’impiego nelle operazioni contro la criminalità. “Solo per il servizio traduzioni (accompagnamenti in e dal carcere dei detenuti), i carabinieri impiegavano circa diecimila uomini”, ha spiegato Mastrulli. Che certo non ha peli sulla lingua quando rammenta che “l’unica cosa che ha fatto il responsabile del provveditorato dell’amministrazione penitenziaria della Puglia, Salvatore Acerra, in sei mesi è il trasferimento dalla sede centrale al carcere di Bari della nostra dirigente sindacale”. Nuoro: detenuto in sciopero fame da un mese, chiede trasferimento in carcere vicino alla famiglia Agi, 25 novembre 2010 “Mio figlio, ergastolano, detenuto a Badu ‘e Carros, ha iniziato lo sciopero della fame il 27 ottobre per protestare contro l’amministrazione penitenziaria in quanto, dopo 20 anni di carcere, non è ancora riuscito, nonostante le numerose richieste, ad ottenere un trasferimento che gli permetta di avvicinarsi alla famiglia. Per punizione gli è stata tolta la cella singola a cui ha diritto e in seguito a una sua crisi è stato trattato in maniera disumana nonostante fosse debilitato dalla prolungata astinenza dal cibo. Sono molto preoccupata per le sue condizioni”. È l’inizio della drammatica lettera-denuncia scritta dalla madre di un detenuto catanese di 40 anni che non vede il figlio da due anni non avendo la possibilità, per problemi di salute e per motivi economici, di affrontare il viaggio per raggiungere Nuoro. La donna, ammalata, si è rivolta alle massime autorità dello Stato, al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al giudice di sorveglianza, al Garante dei Detenuti del Comune di Nuoro ed all’associazione Socialismo Diritti Riforme. “Mio figlio - sottolinea la donna nella lettera - è stato tenuto in una cella di isolamento priva di qualsiasi servizio ed è stato trattato come un animale. È stato visitato dal medico che gli ha riscontrato numerose ecchimosi e contusioni”. “È un episodio preoccupante - sottolinea Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione che da diverso tempo segue la vicenda - a conferma dell’assoluta incompatibilità del detenuto con il carcere di Bad’e Carros. In venti anni di detenzione, l’uomo, padre di due figlie e nonno di un nipotino, ha girato numerosi carceri della penisola senza mai usufruire di un permesso. Ristretto a Bad’e Carros dal gennaio 2010, nel luglio scorso, si è rivolto al Dap chiedendo il trasferimento in un istituto penitenziario dove poter intraprendere un percorso professionale e didattico. La richiesta è purtroppo rimasta senza risposta”. Teramo: tre detenuti di Castrogno al lavoro come cantonieri Il Centro, 25 novembre 2010 “Siamo liberi, lavoriamo”. Divisa e attrezzi in mano, sono al lavoro, una volta a settimana, sul ciglio della strada al fianco dei cantonieri. Sono tre detenuti del carcere di Castrogno protagonisti di un progetto di reinserimento. Ogni martedì mattina si lasciano alle spalle il Castrogno e partono alla volta della Val Vibrata dove lavorano per otto ore nella manutenzione stradale. In serata hanno anche la possibilità di passeggiare per Teramo con fidanzate e mogli, e persino di chiamare col cellulare familiari e amici. È accaduto ieri. La giornata lavorativa è stata seguita con una doppia diretta anche dalla troupe mobile della Tgr Abruzzo. L’opportunità arriva da un accordo firmato nei mesi scorsi dal vicepresidente della Provincia Renato Rasicci, dal direttore del carcere Giovanni Battista Giammaria e da Pasquale Di Mattia dell’associazione “Uniti contro la droga”. Il progetto è costato all’ente circa 9.000 euro. Ieri i tre detenuti protagonisti - originari di Napoli, Pescara e Cassino - si sono detti entusiasti della possibilità di tornare per qualche ora alla vita normale oltre le sbarre. Alle spalle hanno detenzioni lunghe e storie difficili da raccontare, uno di loro è stato recluso con il duro regime del 41-bis, un altro è stato protagonista a Pescara di una rapina all’Auchan con tanto di travestimento da vigile. Campobasso: prima di morire chiede di rivedere la figlia detenuta, ma le negano il permesso Ansa, 25 novembre 2010 “Vorrei che mi facessero vedere mia figlia per l’ultima volta. la vorrei proprio vedere. Chiedo al direttore del carcere che sia un po’ clemente, non gli chiedo il sole, chiedo solo un permesso per mia figlia”. È il disperato appello, fatto in lacrime, dal padre della trentenne molisana in carcere a Torino per furto e alla quale è stato negato di poter rivedere per l’ultima volta il padre che è in fin di vita. L’uomo, che è malato di tumore, dopo essere stato ricoverato in ospedale è tornato a casa, a San Polo Matese (Campobasso), con un verdetto, quello dei medici, che non lascia speranze. A raccogliere le sue parole disperate è Telenorba. “Chiedo solo che lei mi venga a trovare per l’ultima volta - ha detto l’uomo sofferente, ai microfoni dell’emittente - per questo ringrazierei il direttore del carcere tanto tanto”. Infine si è rivolto direttamente alla figlia: “Le voglio tanto bene, voglio dirgli questo”. La trentenne, che finirà di scontare la sua pena nel prossimo mese di marzo, ha presentato istanza alla Direzione carceraria per vedere anche per una sola ora il padre, ma si è per ora sentita negare il permesso, ha deciso quindi di ricorrere non solo al Magistrato di Sorveglianza, ma di presentare anche un esposto al Garante per i diritti dei detenuti. Un appello è stato lanciato anche dalla madre della ragazza, che in questi giorni assiste il marito malato: “Chiedo che mi mandino mia figlia - ha detto la donna - perché mio marito sta male. Mia figlia non è una assassina, qui tirano fuori gli assassini e a mia figlia, che ha fatto qualche piccolo furto, non le fanno vedere il papà. Il papà ora ha bisogno di vedere la figlia”. Pavia: Uil-Pa; ergastolano evade con "facilità surreale" usando scala utilizzata in cantiere Ansa, 25 novembre 2010 Un ergastolano di circa trenta anni, di origine pugliesi e appartenente alla Sacra Corona Unita, detenuto a Pavia è evaso intorno alle 13.00: mentre si recava nella palestra del carcere ha approfittato di un cantiere posto all`interno dell`istituto per la costruzione di un nuovo padiglione, là ha usato una scala lasciata incustodita e, appongiandola al muro di cinta, si è allontanato di corsa. Il fatto è stato reso noto da Gialuigi Madonia, vice segretario regionale della Lombardia della Uil Pa Penitenziari. La facilità con cui l'ergastolano mafioso è scappato via - ha dichiarato Madonia - potrebbe sembrare surreale e forse è davvero cosi' per chi non conosce o si ostina a guardare all'universo penitenziario con superficialità e incompetenza. Noi abbiamo in tempo e per tempo lanciato l'allarme. Ora - ha aggiunto - il capo del Dap, il ministro Alfano e lo stesso Maroni non sfuggano alla proprie attribuzioni scaricando sulle spalle dei più deboli quelle responsabilità che attengono direttamente a loro. Se Alfano non è capace di rivendicare con forza all'interno del governo quelle risorse necessarie per recuperare fondi e personale ne tragga le conseguenze. Ora - ha concluso - vada in Tv e spieghi agli italiani che ci sono 27mila detenuti in piú del possibile, che ergastolani e mafiosi sono custoditi in carceri insicure e con poche decine di uomini o di donne. Dica chiaramente che questi insuccessi, che umiliano quel personale che garantisce per quello che puo' la tenuta del sistema, sono l'inevitabile risultato della scriteriata politica dei tagli lineari operati da Maroni. Se ne ha la forza chieda scusa agli italiani. Ora è chiaro che la questione penitenziaria è anche, se non soprattutto, una questione di ordine pubblico. Lo ripetiamo soprattutto a Maroni. Sanremo: detenuto con problemi psichiatrici tenta suicidio tagliandosi le vene, lo salvano gli agenti Sanremo News, 25 novembre 2010 Un detenuto, di 49 anni, Nicolino Corsaro, condannato inizialmente all’ergastolo (con pena, poi, diminuita a 30 anni), per l’omicidio della moglie - Carmelina Gagliardi, di 49 anni, freddata con due colpi di fucile, il 14 dicembre del 2007, in frazione Calvo, a Ventimiglia - ha tentato di suicidarsi tagliandosi le vene dei polsi, con una lametta da barba, ma è stato salvato da un agente della polizia penitenziaria. È accaduto, ieri, in carcere a Sanremo. A darne notizia è il segretario regionale della Uil Penitenziari Liguria, Filippo Federico. “Dopo l’insano gesto, per non essere scoperto si era infilato nel proprio letto - è scritto in una nota del sindacato. Tentativo risultato vano, considerato che il personale di Polizia Penitenziaria accortosi dell’accaduto è prontamente intervenuto salvandogli la vita”. Federico comunica anche un altro gesto di autolesionismo, sempre in carcere a Sanremo, da parte di un detenuto di origine tunisina, che si è procurato diversi tagli su tutto il corpo. “Il predetto detenuto - prosegue la nota con riferimento a Corsaro - affetto da problemi psichiatrici, è detenuto per omicidio ed altro e in passato si era reso protagonista di brutali aggressioni in danno del personale penitenziario. A un ispettore aveva procurato gravi lesioni gettandogli sul viso olio bollente. Il detenuto aveva da poco fatto rientro da un periodo di osservazione da un ospedale psichiatrico giudiziario. È evidente che dovrebbe essere destinato a strutture psichiatriche e non essere detenuto in un istituto comune. Auspichiamo che quanto prima l’Amministrazione Penitenziaria possa destinarlo ad idonea struttura”. Questi eventi critici, secondo al Uil Pa Penitenziari, incidono fortemente sullo stato d’animo del personale di polizia penitenziaria, già ampiamente messo a dura prova dai gravi tentativi di aggressioni accaduti nella sezione collaboratori di giustizia “Nonostante questi atti di violenza - sottolinea il Vice Segretario regionale della Uil Penitenziari - la Direzione di Sanremo, il Provveditorato Regionale e il Dap perpetrano un incomprensibile immobilismo e non prendono i necessari provvedimenti cautelativi a tutela del personale. L’istituto ospita circa 360 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 250 detenuti . L’organico della polizia penitenziaria deficita di circa 25 unità, senza contrae coloro che sono in pre-quiescenza. Così come non possiamo - conclude Federico - non rilanciare l’allarme sullo stato dei mezzi destinati al servizio traduzioni. Mezzi obsoleti, pericolosi, usurati”. Agrigento: carcere progettato per “ospitare” poco meno di 200 persone, ma oggi sono in 450 La Sicilia, 25 novembre 2010 Chissà se redigendo il decreto svuota-carceri italiane, il ministro della Giustizia, Angelino Alfano avrà pensato proprio al penitenziario della “sua” città. Il carcere di Petrusa inaugurato nel 1997 per “ospitare” poco meno di 200 persone è oggi “alloggio” forzato per 450 anime, strette come sarde nella scatoletta, con i minimi diritti di sopravvivenza garantiti solo dagli sforzi del personale di servizio e della polizia penitenziaria. E dallo spirito di sopportazione dei reclusi. Una struttura diventata negli anni troppo piccola, ma che nei prossimi mesi, proprio “grazie” al decreto vergato da Alfano potrebbe di colpo svuotarsi di alcune decine di detenuti. L’obiettivo è quello di porre ai domiciliari quei reclusi con determinate caratteristiche che giustifichino tale variazione dello stato detentivo. A uscire dalla cella per tornare a casa - ma senza uscirne fino alla fine della pena da scontare - dovranno essere solo coloro i quali, ad esempio, non sono considerati delinquenti abituali e che devono avere obbligatoriamente un domicilio fisso, sicuro e facilmente individuabile. Da alcune settimane ormai, in vista dell’entrata in vigore definitiva e concreta del decreto svuota carceri, al Petrusa è in atto un’attività di discreto “censimento” tra coloro i quali potrebbero avere i requisiti per essere posti ai domiciliari. Una lista della quale quasi certamente non faranno parte le decine di immigrati clandestini in atto detenuti nel penitenziario agrigentino che, ad oggi, sono una larga fetta della popolazione carceraria della città dei Templi. Il ministro Alfano alcuni mesi fa disse che avrebbe “saputo individuare una soluzione concreta e ragionevole” all’emergenza carceri italiana, affermando come fosse suo “dovere istituzionale intervenire di fronte al record di presenze di detenuti”, alla vigilia di un’estate che nelle galere si preannunciava calda. “Nessun detenuto sarà messo in libertà” - assicurava a primavera il guardasigilli - vogliamo realizzare 21.479 nuovi posti nelle carceri proprio perché non intendiamo procedere a nuovi indulti o nuove amnistie”. Con il titolare della Giustizia si schierarono i sindacati della polizia penitenziaria. Ad Agrigento si aspetta con grande attenzione il via libera ad aprire qualche cella e “salutare” qualche detenuto da piazzare ai domiciliari. Al momento è impossibile ipotizzare quanti potrebbero fruire di questo “beneficio”. Su 450 però, tenuto conto di quanti hanno un domicilio sicuro e non sono delinquenti abituali, ne potrebbero uscire un centinaio, tutti ospiti del settore media sicurezza. Messina: Osapp; all’Opg di Barcellona l’emergenza continua, rivolgeremo al Presidente Napolitano Tempo Stretto, 25 novembre 2010 Il disagio vissuto dal personale della Polizia Penitenziaria di Messina, non rappresenta l’unica “isola infelice”. I problemi di sottodimensionamento dell’organico che si presentano in diverse realtà carcerarie italiane, riguardano anche l’Ospedale Psichiatrico di Barcellona Pozzo di Gotto, dove i casi di lesioni ai danni degli agenti da parte degli internati, non si verificano di rado. Un problema più volte denunciato dal vice- segretario generale dell’Osapp Domenico Nicotra, che oltre a sottolineare i problemi vissuti dagli agenti, non manca di evidenziare anche i disagi dei detenuti, definiti “figli di un dio Minore, poiché il loro status non interessa a nessuno”. “Gli interventi dell’Osapp sull’argomento - denuncia Nicotra - sono rimasti inascoltati, relegando la regione Sicilia quale ultima regione in Italia ad assicurare il passaggio della sanità penitenziaria a quelle regionale. L’Opg di Barcellona è diventato solo il catalizzatore di questa o quell’altra commissione per verificare lo stato di trattamento degli internati o la passerella del politico di turno senza che poi nessun concreto provvedimento venga effettivamente adottato. - continua Nicotra - Sono stati presentati di recente alcuni progetti che dovrebbero usufruire dei fondi della cassa delle ammende per l’edilizia penitenziaria del Dap ma ad oggi, il numero dei detenuti ristretti all’interno dell’Opg ammonta a 370 e nessuna concreta miglioria è stata apportata”. Anche in questo caso, le conclusioni a cui il rappresentante sindacale giunge non lasciano spazio a molte alternative, ma le soluzioni, almeno per il momento, appaiano meno estreme di quelle invece già ampiamente formulate dagli esponenti dei sindacati per il caso di Gazzi: “Se l’immobilismo - conclude Nicotra - dei vertici dell’Amministrazione Penitenziaria e della Regione Siciliana continueranno ad ignorare la “bomba ad orologeria” dell’Opgl’Osapp, se necessario, farà appello direttamente al Presidente della Repubblica per vedere rispettati i diritti minimi ed essenziali dei Poliziotti Penitenziari e quelli sanciti dalla Costituzione Italiana per i detenuti”. Pordenone: la Lega contraria a costruzione nuovo carcere; al momento del voto usciremo dall’aula Il Gazzettino, 25 novembre 2010 Nell’assemblea comunale di questa sera (inizio alle 19), al momento della votazione all’ordine del giorno delle minoranze sulla contrarietà alla realizzazione del carcere in Comina, i due consiglieri della Lega Nord usciranno dall’aula. “Abbiamo già espresso in tutte le sedi istituzionali il nostro “no” al nuovo super penitenziario al confine con Roveredo. Per questo non abbiamo bisogno di ulteriori votazioni”, anticipa il commissario sezionale del Carroccio, Davide Pivetta, consigliere leghista assieme a Fabio Bortolin. “I gruppi di minoranza e il Pd tengono un atteggiamento ambiguo: perché non espongono la loro posizione anche al comune di Pordenone? Noi ci siamo già esposti a tutti livelli. Ricordo che abbiamo presentato 300 firme raccolte sul territorio alla Regione”, prosegue Pivetta rivolgendosi ai leader dell’opposizione, Renzo Liva ed Ivan Bernabè, che sicuramente stasera criticheranno la scelta leghista. “L’ordine del giorno contiene diversi attacchi al nostro partito e secondo noi, al di là delle dichiarazioni di questi giorni, è solo un modo per mettere in difficoltà l’Amministrazione, ponendo la questione come un “voto di fiducia” - afferma il commissario. Non rinneghiamo le critiche fatte alla giunta, di cui anche noi facciamo parte con l’assessore Oria, ma crediamo che l’esecutivo Bergnach stia operando bene. Un lavoro, anche grazie alle nostre osservazioni, comunque migliorabile”. Sull’evoluzione della querelle interna alla maggioranza tra Lega e Delfino, ai ferri corti sulla questione carcere ma non solo (la piazza è un’altra questione “calda”), Pivetta si trincera dietro un “no comment”, ma è chiaro che tra le due componenti ci sia una visione amministrativa completamente diversa. In mezzo ci sono il Pdl e il sindaco Sergio Bergnach che sulla questione hanno però evitato sinora di prendere le parti di una o dell’altra fazione. L’obbiettivo del primo cittadino è cercare di mantenere - nonostante le oggettive difficoltà - gli equilibri interni. Imperia: detenuti con la scabbia; un’interrogazione urgente del Consigliere regionale Scibilia Secolo XIX, 25 novembre 2010 “L’interrogazione è rivolta a conoscere quale sia la reale situazione attuale nella casa circondariale e quali provvedimenti sono stati adottati dalla Asl 1 Imperiese per evitare il contagio con gli altri detenuti e il personale” dice Scibili. Il consigliere regionale Sergio Scibilia a seguito dell’intervento della segreteria Generale del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria, che indicava che da 4 mesi, nell’Istituto di pena di Imperia sarebbero presenti quattro detenuti affetti da scabbia, ha depositato un’interrogazione urgente al Presidente della Giunta. “Senza entrare nel merito della gestione interna al carcere - dice il consigliere regionale Sergio Scibilia - l’interrogazione è rivolta a conoscere quale sia la reale situazione attuale nella casa circondariale e quali provvedimenti sono stati adottati dalla Asl 1 Imperiese per evitare il contagio con gli altri detenuti e il personale che opera all’interno. La situazione all’interno delle case circondariali in Liguria, come il resto del nostro paese, è in un continuo stato di preoccupazione e necessita di nuovi interventi strutturali , mettendo in difficoltà sia gli ospiti che le persone che ogni giorno operano all’interno con grosse difficoltà. Sarà mia cura nei prossimi giorni organizzare un incontro con la direzione della Casa e con le rappresentanze sindacali”. Bologna: un’officina meccanica alla Dozza su iniziativa di tre aziende di carpenteria e assemblaggio Dire, 25 novembre 2010 Un’officina meccanica nel carcere della Dozza. L’iniziativa è di tre colossi bolognesi del packaging, Ima, Gd e Marchesini, che, assieme alla Fondazione Aldini Valeriani, hanno danno vita ad un’impresa sociale che ha come obiettivo la formazione e l’inserimento lavorativo dei detenuti. Fid (che sta per “Fare impresa in Dozza”) darà lavoro ad una dozzina di persone che, all’interno del penitenziario bolognese, eseguiranno lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici. Contemporaneamente, la Provincia di Bologna finanzierà un corso di formazione professionale proprio in ambito meccanico. Del consiglio di “Fid” fanno parte Andrea Ansaloni, Paola Lanzarini, Massimo marchesini, Italo Giorgio Minguzzi, Maurizio Marchesini, Valentina Marchesini, Cinzia Sassi, più due componenti esterni, Don Mario Fini e Gian Guido Naldi, capogruppo di Sel in Regione. Bologna: oggi all’Ipm la “prima” dello spettacolo teatrale e la protesta silenziosa degli agenti Ansa, 25 novembre 2010 Stasera all’Istituto Penale per i minorenni di Bologna sarà il giorno della “prima” del tradizionale spettacolo teatrale che vede i giovani detenuti nei panni di attori. In questa occasione i rappresentanti sindacali della polizia penitenziaria faranno, annuncia una nota, un silenzioso presidio all’entrata degli spettatori nell’Istituto. La presenza muta degli agenti vuole rappresentare la protesta - spiegano gli organizzatori - contro il silenzio assordante dell’Amministrazione della Giustizia Minorile sulle problematiche da tempo sollevate relativamente alla carenza di organico di Polizia Penitenziaria e la conseguente carenza di sicurezza all’Istituto Penale per Minorenni di Bologna, situazione la cui responsabilità è da ricondurre ai vertici del Dipartimento Giustizia Minorile. Le organizzazioni sindacali invitano tutti i cittadini e i politici locali interessati alle problematiche che riguardano la Polizia Penitenziaria ad unirsi alla loro pacifica e silenziosa manifestazione di protesta, per chiedere il rispetto dei diritti soggettivi previsti dal contratto e ribadire la necessità di affrontare e risolvere le criticità in un apposito tavolo nazionale con i vertici dell’Amministrazione. Teatro: dopo “In morte segreta”, Ugo De Vita allestisce un recital per Aldo Bianzino Agenzia Radicale, 25 novembre 2010 Il titolo evocativo “Stoffe di silenzio” dedicato alla vicenda di Aldo Bianzino, morto nel carcere di Capanne nel 2007, dopo “In morte segreta-conoscenza di Stefano Cucchi”, rappresenta il secondo capitolo del progetto “Parole oltre le sbarre”… un progetto che attraverso lo strumento del teatro civile riporta in primo piano il tema dei diritti “dietro le sbarre”. Il progetto, nato dall’associazione no-profit “Alice in cerca di teatro” in collaborazione con “Nessuno Tocchi Caino”, “A buon diritto”, “Ristretti Orizzonti” e “Articolo 21” parte da un’idea di base: “poter aprire, in Italia, un discorso su vari fronti: un discorso che riguardi i diritti dei detenuti unitamente alla riflessione su alcuni episodi di cronaca che meritano di essere raccontati… credo che per un paese civile sia fondamentale capire l’importanza di migliorare le condizioni di vita dei detenuti e di coloro che operano nelle case di reclusione.” Così l’attore Ugo De Vita, tra i fautori del progetto, già autore di “In morte segreta”, spiega il senso del progetto, mentre si appresta a ultimare la lavorazione del nuovo “Stoffe di silenzio” (un recital, un video di 14 minuti girato a Pietralunga, una scrittura per testimoniare) che verrà presentato martedì 7 dicembre a Roma alle ore 12 presso via di Torre Argentina e in un secondo appuntamento alla Sala stampa della Camera dei deputati giovedì 16 dicembre alle ore 18.00. “C’è una verità inconfutabile- spiega De Vita riferendosi al titolo scelto - in quel carcere (il carcere di Capanne) in un certo momento le stoffe servirono per occludere, nascondere, coprire, mentre invece è importante che adesso vengano tirate via.” Il secondo capitolo di “Parole oltre le sbarre” sarà dedicato alla vicenda di Aldo Bianzino… la storia di Aldo per alcuni aspetti è ancora più rilevante di quella di Stefano: in questo caso la magistratura, in fase istruttoria e in una prima fase giudicante, ha stabilito l’archiviazione, però è chiaro che rimane senza risposta l’esigenza della famiglia di avere delle risposte su quella morte avvenuta nel 2007. I famigliari, prima Roberta e adesso Rudra, che all’epoca aveva 14 anni, chiedono chiarezza è una morte che ha lasciato molti dubbi. Credo sia importante indicare a tutti la strada della trasparenza. In questo anche la polizia penitenziaria ha dimostrato, assistendo ai nostri incontri, che tiene molto a che le condizioni delle carceri vengano migliorate per tutti e che ci sia una seria attenzione alla formazione: questo è quanto dovrebbe venir fuori da questa esperienza di teatro civile. Che tipo di risposta ha avuto In morte segreta, nei luoghi in cui è stato presentato? “In morte segreta” è nato nel modo più semplice guardando un Tg, poi è venuto lo spettacolo, gli incontri con la famiglia, con i genitori e la famiglia di Stefano. In Morte segreta è un’espressione molto forte, diretta, per raccontare una vita e un’esistenza, e credo che anche se la morte di Stefano è avvenuta in strane circostanze (cosa che spetta alla magistratura verificare), questo vada messo in secondo piano rispetto al valore della persona… alla vita stessa. Mi sembra che molte volte la vita dei detenuti venga considerata una vita di serie B invece, In morte segreta ha portato questo elemento al centro della discussione. Libri: “Gli africani salveranno l’Italia”, di Antonello Mangano… nel carcere di Vibo Valentia di Stefania Marasco Gazzetta del Sud, 25 novembre 2010 La pioggia si sente da lontano, un’eco che rimbalza attraverso il lungo corridoio che ti introduce nel mondo che immagini. É fatto di sbarre, di rumori lontani. Poi, la grande sala, gli occhi di chi scruta quei visitatori che, a loro volta, con gli occhi bassi vogliono capire. Da contrada Castelluccio si vuole ripartire, ascoltando la voce della cultura che non fa differenze. Nonostante una platea divisa in due e, forse, anche più di due. Ci sono detenuti, ospiti, autorità. Al centro, però, c’è la cultura quella che rende liberi, quella che fa guardare oltre. É un passo in avanti per trasformare le parole in fatti. Parole da leggere, per creare un ponte fra il dentro e il fuori. “Leggere è uguale per tutti” lo slogan della manifestazione che ha avuto come palcoscenico l’auditorium del carcere. Una delle tante, hanno ribadito durante il convegno - durante il quale è stato presentato il libro di Antonello Mangano “Gli africani salveranno l’Italia”. Un’occasione di incontro e confronto. Mondi vicini e spesso così lontani. Perché in carcere c’è il reo, colui al quale però deve essere data l’opportunità di riscatto, di crescita. E il direttore dell’Istituto penitenziario, Antonio Galati, con il Sistema bibliotecario vibonese, diretto da Gilberto Floriani ha voluto aprire questa porta. Portare la cultura dentro il carcere, avvicinare i detenuti ai libri, creare le condizioni per guardare a quel futuro che, troppo spesso, con la privazione della libertà, diventa buio. E la luce della cultura, invece, è voluta entrare. Tutti insieme per parlare di integrazione, immigrazione. In silenzio, i detenuti. Attenti ad ascoltare, a guardare. Un’integrazione a tratti, scandita da distanze che la legge impone. Distanze non solo materiali, però. Tangibili nelle espressioni, nella ricerca. Un primo passo, però, “perché la cultura - ha spiegato Galati - è la base per l’evoluzione, all’interno del carcere ci sono detenuti di diverse etnie. In tutto sono presenti 40 culture e nazionalità, questo è solo un momento pubblico, ma grazie alla convenzione con il Sistema bibliotecario sarà possibile ripristinare la nostra vecchia biblioteca”. Si invoglia alla lettura, alla crescita e “sono già evidenti i segnali - ha aggiunto - con un maggior numero di prestiti”. Non solo lettura, però, perché anche la didattica resta una priorità “esistono anche - ha proseguito - corsi di lingua italiana per stranieri oltre alle classi che vedono iscritti circa 120 detenuti”. Questo il percorso, attraverso iniziative che “non sono solo simboliche - ha spiegato Floriani - . Noi collaboriamo e il nostro punto di incontro è stato il diritto universale alla cultura”. In questo contesto, quindi, si inserisce il protocollo d’intesa che permette ai volontari di portare libri, proporre letture e così anche per il progetto Penny Wilton - del quale ieri ha parlato il prof. Marco Gatto. Un libro in cui immergersi, in cui ritrovarsi e ripartire. Parole evocative anche dietro le sbarre e così anche il volume di Mangano. Un’occasione per riflettere, sull’immigrazione, contro i luoghi comuni. Quelli che rimandano ai fatti di Rosarno, dai quali Mangano è partito e come lui Giuseppe Pugliese, per ricordare “che queste sono persone che vengono a lavorare, non a chiedere l’elemosina”. Lavoratori e leggi, sulle quali in particolare si è soffermato l’avv. Giacinto Inzillo, critico sulla normativa che “ha equiparato un clandestino ad un delinquente abituale”. Questione d’integrazione, anche questa. Per porsi delle domande. Domande anche su quanto accaduto ieri. Sul potere della cultura, sull’ipocrisia che spesso non aiuta. Su un libro che sa parlare, forse anche di più. Mostre: Made in Carcere; le creazioni delle detenute esposte al “Mare di Moda” di Cannes Gazzetta del Sud, 25 novembre 2010 Dopo la partecipazione a Bruxelles, per il forum dedicato alle Piccole Medie Imprese volto alla condivisione di modelli di sviluppo e modalità di trasformazione della conoscenza in profitto, e a Sofia, per il “Forum Internazionale sull’Imprenditoria Femminile in Bulgaria”, domani a Cannes, Made in Carcere inaugurerà, alla fiera Mare di Moda, un innovativo sportello dedicato alla donazione dei tessuti. Made in Carcere, con questa bellissima “storia da raccontare”, vuole entrare a far parte della quotidianità e dell’agire di tutti nel rispetto per l’ambiente e l’inclusione sociale. Dopo gli ultimissimi premi conquistati a Bruxelles (Luciana Delle Donne Ambasciatrice delle Piccole e Medie Imprese) e Bologna (premio “Un anno contro lo spreco”), ora a Cannes, grazie alla sinergia creata con il consorzio Mare di Moda, sono stati invitati tutti i soci del consorzio a sostenere il progetto tramite la donazione di tessuto di rimanenza del proprio magazzino. Si avvia cosi il “salto di qualità” per la raccolta e seguente distribuzione nelle carceri femminili di materia prima da utilizzare per la creazione di borse originali e accattivanti. Anche Fondazione Borsalino, della omonima società che ha realizzato inimitabili cappelli famosi in tutto il mondo, ha scelto il progetto avviato da Luciana Delle Donne nelle case circondariali pugliesi, per la creazione e produzione di 3 kit visionabili nei punti vendita Borsalino e online. Scegliere Made in Carcere, magari proprio in occasione delle festività natalizie, rappresenta un gesto concreto di condivisione di una nuova filosofia e stile di vita. Immigrazione: dell’indagine sulla realtà delle donne nigeriane vittime della tratta in Italia Redattore Sociale, 25 novembre 2010 Le indicazioni contenute all’interno dell’indagine sulla realtà delle nigeriane vittime della tratta in Italia, presentata a Roma. Isoke Aikpitanyi: “Lavorare con i media, in carcere, in Nigeria, sensibilizzare i clienti e promuovere l’auto-mutuo-aiuto”. Come fermare la tratta in 14 mosse: le strategie utili a contrastare il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione sono elencate nell’indagine di Isoke Aikpitanyi presentata oggi (vedi lanci precedenti). Primo punto della lista: maggior coinvolgimento delle ex vittime come operatrici- pari o mediatrici nei servizi antitratta. Secondo: campagna di informazione e confronto sulla “realtà sommersa” nelle diverse regioni italiane. Terzo: tavoli di lavoro su tematiche quali “comunità, associazioni e chiese”. Ciò che serve è poi, in rapida sequenza, una campagna tv nazionale “da vittima a vittima” e un’azione specifica di responsabilizzazione dei clienti. C’è poi bisogno di misure di intervento ispirate dalle recenti indicazioni del Parlamento Europeo e di valorizzare le modalità di auto- mutuo- aiuto già sperimentate tra nigeriane ex vittime e vittime della tratta. All’interno del carcere serve una mediazione per “salvare” le maman, cioè “un progetto di mediazione carceraria e di formazione delle detenute e dei detenuti, per reati connessi alla tratta e allo sfruttamento”. In Nigeria, invece, serve l’attivazione di una missione di ex vittime per sensibilizzare, informare, prevenire. Per sostenere le ragazze incastrate nella rete devono essere coinvolti sponsor e tutor e implementata l’esperienza dei progetti “La Casa di Isoke” e “Tulipa Nèye” nei quali “sia centrale l’intervento dell’operatrice pari a sostegno delle vittime”. Ancora: vanno attivati percorsi di ricostruzione del rapporto con le famiglie di origine delle vittime e va condotta una seria campagna di informazione sul fenomeno della mafia nigeriana. Infine, Isoke lancia la proposta di una moratoria per le ragazze nigeriane, “una serie di provvedimenti nuovi che offrano alle ragazze una soluzione alle complicazioni giuridiche nelle quali si sono messe per uscire dalla clandestina, come denunce false o incomplete, domande di asilo eccetera”. Sono indicazioni concrete, che aspettano solo di essere realizzate. Svizzera: detenuto kosovaro di 52 anni si impicca in cella Apcom, 25 novembre 2010 Si è trattato di suicidio: Ded Gecaj, il kosovaro di 52 anni ritrovato morto venerdì scorso in una cella del penitenziario di San Gallo, si è impiccato utilizzando gli indumenti che aveva addosso. Lo ha stabilito una perizia dell’istituto di medicina legale sangallese. Gecaj era detenuto in attesa di giudizio perché accusato di aver assassinato nel 1999 Paul Spirig, uno degli insegnanti di sua figlia. In precedenza la giovane, allora quattordicenne, si era rivolta al docente, noto per il suo impegno a favore dell’integrazione degli stranieri, e gli aveva confidato di subire abusi sessuali da parte del padre. Dopo l’uccisione Gecaj fuggì in Kosovo, dove venne arrestato e condannato a quattro anni di carcere per omicidio passionale. L’uomo ammise di aver ucciso Spirig, ma per motivi di onore: a suo dire sarebbe infatti stato l’insegnante ad abusare della figlia. Il corpo senza vita di Gecaj è stato rinvenuto da un secondino la mattina del 19 novembre. L’inchiesta indipendente, affidata alla giustizia turgoviese, ha escluso l’intervento di terze persone. Il kosovaro era tornato in Svizzera nello scorso settembre, dopo che la Corte suprema del Kosovo aveva accettato di estradarlo. Iran: l’ayatollah Khamenei concede la grazia a 649 detenuti per festività sciita Aki, 25 novembre 2010 La Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha concesso la grazia a 649 detenuti in Iran. Lo riferisce l’agenzia ufficiale della repubblica islamica dell’Iran Irna, spiegando che l’amnistia è stata concessa in occasione della festività sciita del Qadir Khom che verrà celebrata domani in Iran. L’elenco delle persone graziate non è stato ancora pubblicato e pertanto non è possibile sapere se anche Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana condannata a morte per adulterio e per complicità nell’omicidio del marito, rientri o meno nel novero delle persone graziate. Mauritania: aperto grazie all’Italia un Centro di accoglienza per “minori in conflitto con la legge” Il Velino, 25 novembre 2010 In occasione del cinquantenario dell’Indipendenza, il ministero della Giustizia della Mauritania inaugurerà nel quartiere El Mina, il 27 novembre il Centro di accoglienza e di reinserimento sociale per minori in conflitto con la legge. Il Progetto, finanziato dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina e di durata triennale, è affidato alla Ong Terres des Hommes (Tdh) Italia, una delle più attive nella difesa dei diritti dei minori. Il suo obiettivo è contribuire all’applicazione della nuova riforma penale minorile del Paese orientata al reinserimento sociale piuttosto che alla punizione. La nuova struttura, che sostituirà a termine il penitenziario minorile di Nouakchott, è destinata ad ambo i sessi. Anche le bambine e le ragazze minorenni, finora incarcerate nella prigione femminile insieme alle donne adulte, disporranno di un luogo dove saranno inserite in un processo rieducativo.