Giustizia: quando le carceri diventano “parcheggi” di Dimitri Buffa L’Opinione, 24 novembre 2010 In Italia poco meno di 100 mila persone l’anno entrano ed escono di galera come si fa con le “sliding doors” di un hotel, sia pure di infima categoria. Entrano per la convalida del fermo, periodi da due giorni a una settimana, e poi il gip li rimette in libertà. Di solito per possesso di quantità non enormi di droga, furti, scippi, piccole truffe e così via. Il povero Stefano Cucchi era uno di loro, tanto per fare un esempio. Eppure con questo andazzo contribuiscono per un buon 15% all’intasamento delle carceri. Costano quasi 300 milioni di euro l’anno solo per dar loro da mangiare e allestire le celle e il personale delle traduzioni e soprattutto potrebbero tranquillamente essere trattenuti nelle questure, nei commissariati o nelle stazioni dei carabinieri o della Guardia di Finanza per quei giorni strettamente necessari fino all’udienza di convalida del Gip. Dallo scorso 29 ottobre anche la Cassazione, con la sentenza 38179 del 2010, ha solennemente ribadito che la persona fermata in flagranza di reato” non deve essere condotta direttamente in carcere in quanto questo comporterebbe un inaccettabile aggravio dello stato di restrizione della libertà personale per l’arrestato”, impropriamente costretto a fare ingresso nel circuito penitenziario in attesa della decisione del tribunale. Più precisamente compulsando il massimario on-line si può leggere il seguente dispositivo: “Arresto in flagranza - Convalida dell’arresto - Presentazione diretta - Conduzione dell’arrestato in carcere per mere esigenze organizzative. In caso di arresto in flagranza, nelle ipotesi in cui debba procedersi alla convalida nelle forme indicate dall’art. 558 del codice di procedura penale, con la conduzione diretta davanti al giudice dell’arrestato, nel frattempo custodito presso la polizia giudiziaria, gli eventuali problemi organizzativi della polizia giudiziaria, specialmente ove strutturali, non possono essere sistematicamente risolti con l’aggravio dello stato di restrizione della libertà personale, attraverso incongrui “passaggi in carcere” dell’arrestato. Sezione VI, sentenza 14 - 27 ottobre 2010 n. 38179”. Della cosa si è accorta la solerte deputata dei Radicali italiani Rita Bernardini, che ha anche investito il ministro Guardasigilli Angelino Alfano del problema. Di fatto capita spesso che le forze dell’ordine, nelle more del giudizio di convalida dell’arresto, cerchino di sopperire alla difficoltà di dotarsi di celle di sicurezza conducendo direttamente in carcere la persona arrestata. Tale modus operandi, giudicato non conforme con la disciplina di settore, oltre a confliggere con le esigenze di garanzia dell’arrestato, illegittimamente condotto in un ambiente carcerario anche quando dovrebbe essere applicata nei suoi confronti la meno invasiva custodia presso gli organi di polizia giudiziaria, “è il principale responsabile dell’attuale sovraffollamento carcerario e dei suoi ingenti costi umani ed economici”. Basti pensare a tutte quelle persone, soprattutto extracomunitarie, che ogni anno fanno inutilmente ingresso negli istituti penitenziari per restarci solo qualche ora in attesa che il giudice di turno decida sulla convalida dell’arresto e sulla misura cautelare da applicare nei loro confronti. Per la Bernardini, “se il Governo intende veramente cominciare ad affrontare il grave problema del sovraffollamento carcerario, ponga rimedio ai gravi problemi organizzativi denunciati dalla polizia giudiziaria così da evitare nell’immediato futuro ulteriori incongrui ed automatici “passaggi in carcere” delle persone arrestate. E in effetti lo stesso ministro della Giustizia in una audizione in Commissione dell’ottobre 2008, aveva fornito numeri eloquenti che, è facile prevedere, oggi si siano ulteriormente aggravati. “L’entra ed esci”, che quotidianamente interessa gli istituti penitenziari, come disse Alfano, si traduce in una movimentazione di circa 170. 000 detenuti ogni anno, con un sovraccarico di lavoro anche per le traduzioni che, nel solo 2007, sono state oltre 300.000. Naturalmente i Radicali non perdono occasione per ricordare che anche per queste cause Marco Pannella è in sciopero della fame da quasi due mesi. E domandano all’esecutivo, con cui in questi giorni stanno “dialogando” in vista del voto di fiducia del 14 dicembre (non necessariamente negativo da parte dei sei parlamentari eletti nelle liste del Pd) che vengano studiate misure alternative all’ingresso al carcere per questi detenuti da “bed and breakfast”. Inoltre chiedono che “ai parlamentari e ai consiglieri regionali di ogni partito” sia contemporaneamente garantita la possibilità di “svolgere il loro sindacato ispettivo non solo nelle carceri ma anche nelle cosiddette camere di sicurezza”. Giustizia: piano-carceri; quattro pilastri per affrontare l’emergenza www.governo.it, 24 novembre 2010 Il provvedimento “svuota carceri” è diventato legge. Il Senato ha detto sì definitivo al disegno di legge che consente l’esecuzione presso il domicilio di pene di detenzione fino a un anno. La legge ha una durata transitoria. Prevede infatti che si applichi “fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013”. Cosa prevede la procedura? Quando la pena detentiva da eseguire non è superiore a dodici mesi, il pubblico ministero, sospende l’esecuzione dell’ordine di carcerazione e trasmette gli atti al magistrato di sorveglianza affinché disponga che la pena venga eseguita presso il domicilio. Se il condannato è già detenuto, la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, è eseguita presso il proprio domicilio. Ad esclusione di alcuni casi: se esiste la possibilità che il condannato possa fuggire o commettere altri reati o quando il domicilio non risulti idoneo e effettivo anche rispetto alla tutela delle persone offese dal reato. Rimangono inoltre esclusi i delinquenti socialmente pericolosi, abituali, professionali e quelli sottoposti a regime di sorveglianza particolare. Spetta al magistrato di sorveglianza il controllo dei presupposti per la concessione della misura alternativa. Nel caso di condannato tossicodipendente o alcoldipendente sottoposto ad un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi, la pena può essere eseguita presso una struttura sanitaria pubblica o una struttura privata accreditata. In ogni caso, il magistrato di sorveglianza può imporre le prescrizioni e le forme di controllo necessarie per accertare che il tossicodipendente o l’alcoldipendente inizi immediatamente o prosegua il programma terapeutico. Il provvedimento rappresenta il terzo pilastro del piano straordinario per contrastare il sovraffollamento nelle carceri italiane varato dal governo il 13 gennaio 2010. Nella legge appena licenziata trovano posto anche le norme che consentono l’assunzione di circa 2mila agenti della polizia penitenziaria. La soluzione del problema carceri passa infatti anche attraverso l’implementazione dell’organico di Polizia Penitenziaria, il cosiddetto quarto pilastro del piano straordinario. Giustizia: Radicali; in Italia sistematiche violazioni dei diritti umani Il Velino, 24 novembre 2010 Si è concluso ieri il convegno “Stato di diritto e democrazia in Italia - Il rispetto e l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano”, la due giorni di lavori promossa da Radicali italiani, Partito radicale nonviolento e dai parlamentari Radicali che ha riunito a Roma, nella Sala del Refettorio della Camera, esperti di diritto internazionale per discutere di rispetto e applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) nell’ordinamento italiano. Il gruppo di accademici e professionisti ha prodotto come documento finale la “Dichiarazione della Sala del Refettorio”, nella quale denuncia sistematiche violazioni dei diritti umani e di numerosi articoli della Convenzione e lancia l’allarme, dinanzi alla disastrosa situazione dell’amministrazione della giustizia, per la vita dello Stato di diritto in Italia. Oltre alla giustizia, per cui l’Italia risulta lo stato più condannato dalla Corte europea di Strasburgo, violazioni sistematiche della Convenzione (e della stessa Costituzione italiana) sono state evidenziate anche in merito alla politica di respingimento dei migranti, alla gravissima situazione delle carceri, all’utilizzo strumentale del segreto di Stato, alla mancanza di indipendenza del sistema radiotelevisivo pubblico, alle criticità del ddl sulle intercettazioni e alla scarsa considerazione della privacy e della reputazione degli indagati, alla gestione del ciclo dei rifiuti - la cui carenza comporta gravi conseguenze per il diritto alla salute - e alla mancanza di strumenti a tutela del diritto di elettorato passivo. Il documento rileva dunque che lo Stato italiano è largamente inadempiente rispetto agli obblighi imposti dalla Convenzione europea dei diritti umani, peraltro in buona parte già previsti dalla Costituzione italiana. Nella “Dichiarazione della Sala del Refettorio” gli accademici si rivolgono alle istituzioni e alla politica sottolineando la necessità di interventi strutturali per rimuovere le cause di incompatibilità dell’ordinamento italiano con la Cedu, nonché l’urgenza di promuovere la tutela preventiva dei diritti previsti dalla Convenzione tramite la creazione di un’istituzione indipendente per i diritti umani. Al convengo hanno preso parte tra gli altri, i professori Zagrebleski, De Sena, Cataldi, Francioni, Cannizzaro, Condorelli, Sciso, Patrono. Dichiarazione della Sala del Refettorio Il gruppo di esperti rileva che lo Stato italiano è largamente inadempiente rispetto agli obblighi imposti dalla Convenzione europea dei diritti umani (Cedu), peraltro in buona parte già previsti dalla Costituzione italiana. Tali inadempimenti, pur riguardando in primo luogo, ed in larghissima prevalenza, la disastrosa situazione dell’amministrazione della giustizia, si estendono ad una molteplicità di ambiti dell’azione statale, coinvolgendo sia profili di carattere istituzionale, sia profili di carattere sostanziale. Quanto agli aspetti di carattere istituzionale, il gruppo sottolinea sia l’esigenza di dotarsi di strumenti atti a rimuovere le cause strutturali di incompatibilità dell’ordinamento con la Cedu, sia l’urgenza di promuovere in modo efficace la tutela preventiva dei diritti previsti dalla Convenzione, tramite la creazione di un’istituzione indipendente per i diritti umani, nonché di meccanismi di verifica preventiva della compatibilità della legislazione interna con la Cedu. Relativamente agli aspetti sostanziali, il gruppo di esperti sottolinea in particolare: a) La radicale incompatibilità della politica di respingimento dei migranti con il divieto di divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti, con il divieto di espulsioni collettive, e con il diritto ad un ricorso effettivo; b) L’incompatibilità, con i principi fondamentali della Convenzione, in particolare con il divieto di trattamenti disumani e degradanti, della gravissima situazione delle carceri; c) L’inaccettabile utilizzo del segreto di Stato, che impedisce, de facto, la repressione di violazioni gravi di diritti umani fondamentali; d) L’inesistenza di mezzi effettivi di impugnazione a tutela del diritto di elettorato passivo, tanto più rilevante a fronte del ridotto grado di rappresentatività del sistema, sul piano dell’elettorato attivo; e) La mancanza di indipendenza del sistema radiotelevisivo pubblico, le criticità del ddl sulle intercettazioni e la scarsa considerazione per la vita privata e la reputazione delle persone indagate; f) Le gravi conseguenze, per il diritto alla salute, derivanti dalle manifesta carenza nella gestione del ciclo dei rifiuti. Il gruppo di esperti sottolinea infine che tali circostanze, nel loro complesso ed in una alla disastrosa situazione dell’amministrazione della giustizia, destano gravissime preoccupazioni in ordine al rispetto dei parametri di base dello Stato di diritto in Italia. Giustizia: Sarno (Uil-Pa): ma quale “svuota-carceri”… ne beneficeranno solo 1.500 detenuti di Bruna Iacopino www.articolo21.info, 24 novembre 2010 Sovraffollamento, malattie infettive, suicidi, sofferenza fisica e psicologica, carenza nelle strutture, nel personale di polizia penitenziaria o nel personale medico, tagli destinati ai progetti volti alle attività ricreative o di reinserimento e uno “svuota carceri” che tutto fa tranne che svuotare. Impietosa l’analisi che Eugenio Sarno, segretario della Uil penitenziari fa della situazione carceraria nel nostro paese, che poche volte riesce ad arrivare a imporsi all’attenzione pubblica (rara eccezione quella offerta dalla lista di Luigi Manconi nella puntata di ieri a Vieni via con me.) Al record delle presenze, siamo quasi a quota 70.000 si unisce uno stato di degrado generale e generalizzato, tanto che “risulta difficile raccontare le criticità maggiori o stilare una lista degli istituti che stanno peggio - afferma Sarno - sarebbe più facile dire di quei pochi che funzionano.” Si parte dalle carenze strutturali, con edifici troppo vecchi e obsoleti “l’80% delle strutture del patrimonio immobiliare carcerario risale alla fine dell’800, a questo si sono aggiunti gli effetti dello scandalo delle ‘carceri d’orò, che seppur recenti cadono a pezzi” spiega ancora Sarno; per arrivare poi alle criticità dovute al sovraffollamento con carenza di spazi per muoversi o fare attività alternative, finanche alle celle dove i letti a castello raggiungono ormai il soffitto e si alternano a materassi buttati a terra. E, laddove c’è sovraffollamento e promiscuità, non può non mancare il rischio del propagarsi di malattie infettive, come denunciato nei giorni scorsi, in merito al propagarsi di una para - epidemia di tubercolosi nel carcere di Lecce, con 4 casi accertati. Da tempo sindacati di settore e associazioni chiedono che lo stato si faccia carico del problema e intervenga con strumenti normativi seri ed efficaci, soprattutto facendo ricorso a quelle misure alternative al carcere che consentirebbero di dare respiro a una situazione che è di fatto esplosiva. Il Governo ha approntato la sua risposta con il cosiddetto decreto “svuota carceri” approvato al Senato nei giorni scorsi, e che, stando ad associazioni come Antigone, A buon diritto e alla stessa Uil penitenziari rappresenta l’ennesimo specchietto per le allodole: “per tre ordini di motivi - precisa Sarno - in rapporto a modalità, tempi e destinatari... al di là dell’attenzione mostrata rispetto alla necessità di assumere altro personale di polizia penitenziaria, non andrà a creare alcuna deflazione per le presenze a causa delle numerose restrizioni e individuazioni soggettive che limitano di molto la platea dei destinatari, si è parlato di 7 mila unità, ma, e mi confortano i dati degli addetti ai lavori, i beneficiari saranno solo 1.500.” Per quanto riguarda le modalità, continua Sarno, si è poi stabilito che siano i tribunali di sorveglianza a concedere questo beneficio che invece avrebbe dovuto essere automatico. I tempi così si allungano e la platea si restringe ulteriormente. Altro tipo di intervento è quello auspicato invece dalla Uil penitenziari che, tra le altre, chiama in causa una fantomatica riforma della giustizia: “il 48% dei detenuti sta in carcere senza condanna definitiva, il 24% (ovvero circa 16.000 persone) è in attesa di primo giudizio, il che dimostra la necessità di riformare la giustizia e i suoi tempi.” Nota di fondo, ma non di poco conto, in tempi di bavagli… il “bavaglio” imposto ai dirigenti e agli operatori penitenziari attraverso una discussa circolare, emanata dal Dap nell’estate di quest’anno, e che diffida dal rilasciare dichiarazioni pubbliche, previa preventiva autorizzazione del Dap stesso. Un bavaglio, la definisce Sarno, che impedisce all’opinione pubblica di sapere quello che accade all’interno degli istituti penitenziari italiani e che riguarda non solo i detenuti, ma lo stesso personale. Giustizia: Fp-Cgil: il ddl Alfano “svuota-carceri” avrà solo un effetto tampone Agenparl, 24 novembre 2010 Lo scorso 18 novembre si è concluso, con l’approvazione nell’aula del senato, l’iter del ddl sulla detenzione domiciliare per le pene inferiori ad un anno, la cosiddetta “legge svuota carceri” che mira a ridurre la popolazione carceraria di circa 9000 unità, secondo i dati del Dap. Un numero insufficiente visto che nelle carceri italiane sono presenti circa 68.400 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 44.000 unità, e visto che la popolazione carceraria, purtroppo, è in costante ascesa. Il provvedimento, benché rappresenti un segnale di attenzione alla problematica della “emergenza carceri”, a nostro avviso ha una debole azione deflativa ed assume al momento un effetto tampone non risolutivo. Manca una progettualità più complessiva e lungimirante che comprenda ed intervenga su tutto il sistema dell’esecuzione penale nei suoi aspetti legislativi, organizzativi e strutturali. Le azioni previste nell’impianto normativo del provvedimento graveranno fortemente sui lavoratori penitenziari già provati da gravi ed endemiche carenze di organico e carichi di lavoro insostenibili. I forti tagli delle risorse, la riduzione delle piante organiche, il blocco delle assunzioni, operate dai vari provvedimenti di governo non hanno risparmiato un così delicato e peculiare settore già da tempo vicino al collasso. Occorrono urgentemente interventi seri e mirati o la situazione carceraria non subirà sensibili miglioramenti rimanendo in uno stato di permanente “emergenza”, con una condizione ancor più drammatica per i ristretti e mortificante ed insostenibile per i lavoratori. Giustizia: Sidipe; nuovi dirigenti Dap favoriscano dialogo con sindacati Adnkronos, 24 novembre 2010 “Esprimendo gli auguri di buon lavoro ai cinque neo dirigenti generali del Dap, espressione dell’attuale governo, confidiamo che gli stessi, andando a colmare le vacanze nei provveditorati di regioni particolarmente sensibili sul piano della sicurezza penitenziaria, favoriscano il necessario proficuo dialogo con le organizzazioni sindacali tutte, al fine di sostenere, con i fatti, il personale il quale, mai come oggi, testimonia, negli avamposti carcerari, il primato dello stato e la sua aspirazione alla legalità”. Lo dichiarano la segreteria nazionale, la presidenza e il direttivo del Sindacato dei direttori penitenziari (Sidipe), che sostengono come i nuovi nominati “sono la più evidente emanazione delle indicazioni dell’attuale capo del Dap, posto che la generalità degli altri dirigenti risalgono a prima del suo insediamento, talché nella loro azione si leggerà la nuova politica del governo in materia penitenziaria e la concretizzazione della stessa da parte del presidente Ionta”. Il Sidipe attende “pertanto, che diversi di loro declinino, nella nuova funzione, le storie professionali e le esperienze curriculari, ove maturate, acquisite nella difficile palestra del carcere vissuto, rispetto a quello letto e/o convegnistico, oltre che contribuiscano fattivamente nel favorire il raffreddamento dei conflitti sindacali, la valorizzazione degli operatori tutti, l’immagine dignitosa e sobria dell’amministrazione, l’aspirazione ad una efficienza dell’esecuzione penale che non può basarsi, solamente, sulla buona volontà degli operatori, bensì deve essere alimentata da reali risorse e mezzi, da pretendere, prioritariamente, e conferire, esclusivamente, sul fronte delle carceri e degli uffici periferici, invece che per abbellire gli stati maggiori. Solo su queste premesse - conclude la nota - i neo dirigenti generali ed il governo troveranno vicini i direttori penitenziari e di Uepe, nonché gli altri funzionari, che aderiscono al Sidipe”. Giustizia: l’avanguardia della pena capitale… di Clive Stafford Smith (direttore di Reprieve) La Repubblica, 24 novembre 2010 Dopo la denuncia ripresa da Repubblica, la Ong inglese Reprieve torna a rivolgersi all’azienda lombarda che produce e vende una sostanza usata per le esecuzioni negli Usa. Raccontando la storia di un uomo che verrà ucciso con questo prodotto made in Italy. Giuseppe Riva è l’amministratore delegato di Hospira Spa, l’azienda che produce il Sodio Tiopentale in Italia. Sentendosi chiedere come vedesse da un punto di vista etico il fatto di vendere agli Stati Uniti farmaci destinati all’esecuzione 1 di condannati alla pena capitale, Riva ha ribattuto: “Allora, quelli che vendono coltelli da cucina sarebbero responsabili di ogni omicidio commesso con un comune coltello?”. L’analogia del coltello da cucina non è granché. Se un cliente compra una lama dichiarando la propria intenzione di sgozzare qualche decina di detenuti, Riva potrebbe voler aspettare un attimo prima d’incassare quel denaro macchiato di sangue. Il fatto è che i suoi capi in America vogliono che lui produca il Sodio Tiopentale per poterlo rivendere per 97 miseri cent la fiala: servirà a giustiziare i condannati a morte in 35 stati. Le aride parole di Riva servivano a distrarci da una questione di vita o di morte. Quando questo articolo verrà pubblicato, saranno 3.200, uomini e donne, i detenuti rinchiusi in celle opprimenti nell’attesa di sentire i pesanti passi del boia. Riva sembra pensare che la brava gente di Liscate, che lavora per la sua azienda, voglia svolgere un ruolo in quelle morti. Lasciate che vi presenti una sola di queste persone: Ed Zagorski. Ed è nato nel Michigan nel 1954 da una famiglia povera. Vittima di atti di bullismo, aveva sofferto di problemi di apprendimento e di balbuzie. Dopo lunghe lotte, a sedici anni era riuscito a studiare per diventare capitano di navigazione. Aveva ventotto anni quando entrò in prigione. Oggi ne ha cinquantasei. Ha passato metà dell’esistenza nel braccio della morte, aspettando di essere ucciso dallo Stato. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha decretato che costringere un detenuto ad aspettare più di cinque anni prima di essere giustiziato è di per sé degradante e inumano. Ma non è tutto. Ed si trova nel braccio della morte perché, secondo Medici per i Diritti Umani, la sua confessione sarebbe stata estorta tramite tortura. Dopo essere stato arrestato la prima volta, aveva tentato il suicidio. Anche per impedirgli di togliersi la vita, in modo che poi lo Stato del Tennessee potesse farlo al posto suo, l’avevano rinchiuso in una angusta cella d’acciaio priva di finestre e di aria, nel bel mezzo di un’ondata di caldo. Isolato da tutto, fisicamente e psicologicamente traumatizzato, Ed aveva promesso di confessare se la polizia avesse acconsentito alla sua esecuzione immediata. Ma questo, invece di porre fine alle sue sofferenze, gli è valso altri ventotto anni di abusi. Durante la sua detenzione, Ed non ha dato il minimo problema. Ma l’11 gennaio 2011 sarà giustiziato: così vuole lo Stato del Tennessee. E poiché negli Stati Uniti le scorte del farmaco scarseggiano, vogliono farlo usando il prodotto europeo. Il Sodio Tiopentale è notoriamente difficile da somministrare e un uso errato causa indicibili sofferenze fisiche: il detenuto è cosciente, paralizzato, i suoi polmoni non funzionano più, è incapace di gridare il tormento che lo attanaglia. La prognosi non è buona per Ed: i test del sangue post mortem hanno rivelato che a nessuno degli ultimi tre detenuti giustiziati nel Tennessee è stata somministrata una dose sufficiente di Sodio Tiopentale, per cui la loro morte è stata particolarmente atroce. Forse Riva vorrebbe raggranellare qualche altro euro esportando ghigliottine o camere a gas, visto che non si sente responsabile del loro uso. Ma per tutti noi questo non è un esercizio di semantica, bensì una questione di vita o di morte. Lettere: giusto dare permessi a Luigi Chiatti? di Luciano Paolucci (padre di uno dei due bambini uccisi da Chiatti) Oggi, 24 novembre 2010 Se c’è la certezza che Luigi Chiatti sia guarito e non sia più pericoloso, io non ho nulla in contrario che torni in libertà. Il sentimento della vendetta non mi appartiene. Anzi io lo vorrei aiutare e sono pronto a incontrarlo per dirgli che la vita ha un senso che lui purtroppo non ha conosciuto, ma che poi comunque ci aspetta la Resurrezione. Chiatti dalla vita ha avuto solo dolore e maltrattamenti. Nessuno ha cercato mai di capirlo. Abbandonato dalla mamma in un orfanotrofio il giorno in cui venne al mondo, Luigi fu adottato a 6 anni ma è sempre stato un povero infelice. Per questo ha odiato il mondo che lo circondava. Non dimentichiamo che da bambino scaraventò la nonna giù dalle scale. Al processo Luigi l’ha detto: “La colpa è la vostra. Io ho sempre sofferto. Se tornerò in libertà, per colpa vostra, ucciderò ancora. E non mi prenderete perché ucciderò in modo diverso”. Ma purtroppo Chiatti non è guarito perché non l’hanno mai curato. Vive in un istituto vicino a Firenze, fa il giardiniere. E temo che il suo buon comportamento in carcere abbia un solo fine: uno sconto della pena. Il resto non gli interessa. Lazio: Rodano (Idv); la Regione intervenga a sostegno biblioteca dell’Associazione Papillon Adnkronos, 24 novembre 2010 “Renata Polverini ha visitato la biblioteca di Casale Ponte di Nona e quindi conosce personalmente la validità del progetto. Ci attendiamo quindi che le difficoltà di questa struttura non passino inosservate e che la Regione intervenga a sostegno dei detenuti che la gestiscono, o con fondi della Presidenza o attraverso l’assessorato alla Cultura”. Lo dichiara in una nota Giulia Rodano, consigliere regionale dell’Italia dei Valori alla Regione Lazio. “La biblioteca dell’associazione Papillon - Rebibbia è un bene pubblico molto prezioso, per due ordini di ragioni. Innanzitutto - spiega Giulia Rodano - per i detenuti è un’opportunità di reinserimento di raro valore. Inoltre è un punto di accesso gratuito ai libri in un quartiere che, in pochi anni, ha registrato una crescita abitativa incontrollata e soprattutto non accompagnata dalla dotazione di presidi culturali”. “Non servono milioni di euro per consentire il proseguimento di questa esperienza. La vicenda di Franco Califano - conclude - ci dimostra che la presidente Polverini è una persona sensibile, quindi siamo certi che non mancherà di intervenire in sostegno di una biblioteca che aiuta sia chi la gestisce sia i cittadini di un territorio privo di servizi culturali”. Foggia: Mastrulli (Osapp); morti, sovraffollamento e problemi strutturali del carcere di Nicola Saracino www.statoquotidiano.it, 24 novembre 2010 Una popolazione carceraria di complessivi 800 detenuti a fronte di circa 350 posti disponibili, con una capienza suddivisa in due “tronconi”: la prima inerente la capienza regolamentare, con capacità compresa fra i 220 ai 250 detenuti, mentre la seconda, stabilita dal Comune di Foggia, cd “capienza tollerabile”, dai 330 ai 335 detenuti. Benvenuti nel carcere di Foggia a pochi mesi dal 2011. Stato ha intervistato il vicesegretario nazionale del sindacato di poliziotti penitenziari Osapp Puglia - Basilicata, Domenico Mastrulli, che ha illustrato i problemi da cui è affetto il carcere foggiano e quelli pugliesi, colpiti da “gravi criticità strutturali”. Intanto, un ex detenuto, senza piantonamento, è deceduto stamane agli Ospedali Riuniti di Foggia. L’uomo era stato ricoverato dopo aver già accusato un malore prima di arrivare in ospedale. La mancanza di piantonamento era stata disposta dalla magistratura di Foggia. Si tratta - anche se indirettamente - della seconda morte di un detenuto in pochi giorni, dopo il suicidio di F.R., 41enne con problemi psichici, avvenuto lo scorso 18 novembre in cella utilizzando la sua cinta dei pantaloni. La seconda morte in due giorni di detenuti nel carcere di Foggia porta indirettamente ad un’analisi e visione dello stato di salute della stessa casa circondariale del capoluogo dauno. Innanzitutto il problema sovraffollamento. La popolazione carceraria ha quasi raggiunto gli 800 detenuti a fronte di circa 350 posti disponibili. La capienza viene divisa in due “tronconi”: la prima fa riferimento alla capienza regolamentare, che può contenere dai 220 ai 250 detenuti, mentre la seconda, stabilita dall’Amministrazione comunale del capoluogo dauno, viene definita “capienza tollerabile” che va dai 330 ai 335 detenuti. Numeri che testimoniano una crisi che va ormai avanti da tempo e che riguarda anche i vertici della casa circondariale, sprovvista di un vero direttore e retta attualmente da una direttrice reggente. Difficoltà a cui si aggiunge l’esiguo numero di poliziotti penitenziari presenti, 300 per quattro turni operativi, a fronte di una disponibilità che richiederebbe 400 poliziotti uomini e 50 unità femminili. Difficoltà evidenti, in cui si incastrano gli ultimi episodi di morte: la notte del suicidio di F.R., infatti, era presente un solo agente di turno, cui spettava il controllo di circa 100 detenuti. Proprio i poliziotti penitenziari da tempo rivendicano le criticità presenti nella struttura. Ad agosto si registrò lo sciopero degli agenti di Polizia penitenziaria (che portò al rifiuto del pasto a pranzo e a cena per circa 23 giorni) per le scarse condizioni igienico - sanitarie in cui operava il personale mensa. Sciopero di cui la direttrice reggente “sarebbe venuta a conoscenza soltanto dieci giorni dopo”. Ma non è tutto: il personale preposto allo spostamento dei detenuti nelle aule giudiziarie non percepirebbe il risarcimento dall’inizio dell’anno, costretto dunque a far fronte di tasca propria alle spese necessarie per svolgere il proprio servizio. A lanciare l’allarme il vicesegretario nazionale del sindacato di poliziotti penitenziari Osapp Puglia - Basilicata, Domenico Mastrulli, che ha illustrato a Stato i problemi da cui è affetto il carcere foggiano e tutti quelli pugliesi, colpiti da “gravi criticità” strutturali. Secondo Mastrulli la polizia penitenziaria da tempo denuncia lo stato in cui versano le carceri, senza però ricevere risposta dalle istituzioni preposte. L’indice è puntato innanzitutto contro i vertici regionali, “a cui sono state chieste da tempo le dimissioni”, in particolar modo al Provveditore Regionale, Salvatore Acerra: “Non è possibile avere come Provveditore una persona latitante al lavoro, che deve gestire le emergenze di tre regioni e che si presenta in ufficio soltanto il mercoledì e che in sei mesi di attività ha incontrato i sindacati soltanto due volte, ricevendo in entrambe le occasioni un secco no” dichiara Mastrulli. Che denuncia anche una “chiara attività anti - sindacale” di Acerra: il riferimento è allo spostamento avvenuto poco tempo fa di una dirigente facente parte dell’Osapp dal proprio ufficio al carcere di Bari senza preavvisare i sindacati, “quando nell’ufficio del Provveditore regionale vi sono circa 160 unità abusive”. Decisione che ha scatenato l’ira del sindacato autonomo di polizia penitenziaria che ha già denunciato il tutto alla magistratura del lavoro (ai sensi dell’art. 36 del contratto di lavoro 164 del 2002). “Non è possibile dare la gestione del problema carceri a queste persone - continua Mastrulli - a Foggia la casa circondariale è retta da una persona senza le competenze necessarie, chiediamo al Capo Dipartimento Ionza di porre fine a questa situazione e di far lavorare persone con una competenza comprovata. Con la morte del detenuto in ospedale, salgono a 3 le morti nel carcere foggiano. Sei invece i detenuti suicidi nelle carceri pugliesi nel 2010 (2 a Foggia, 2 a Lecce, 1 a Brindisi e 1 ad Altamura, mentre a livello nazionale da inizio anno 59 detenuti si sono tolti la vita: 49 si sono impiccati, 6 asfissiati con il gas della bomboletta da camping, 3 avvelenati da mix di farmaci e 1 dissanguato dopo essersi tagliato la gola. La popolazione carceraria ammonta a 4.800 detenuti a fronte di 2.300 posti disponibili nella regione. “In Puglia funzionano soltanto 8 strutture a fronte della 12 disponibili - denuncia ancora il vice - segretario nazionale dell’Osapp Puglia - Basilicata - non sono state aperte strutture come quelle di Spinazzola e Trinitapoli che avrebbero aiutato ad affrontare l’emergenza e gli agenti sono soltanto 2.530”. Il sindacato ha quindi annunciato la richiesta di sostegno direttamente al Ministro dell’Interno, Roberto Maroni. La Puglia non è l’unica regione alle prese con l’emergenza carceri: nel resto del Paese sono presenti 216 strutture, con circa 70mila detenuti presenti, a fronte di una capienza di circa 43mila unità. “A fronte di questa situazione non ci possiamo più scandalizzare se accadono questi episodi di morte”, è l’amara conclusione di Domenico Mastrulli. Parma: nel carcere di via Burla troppi detenuti… e mancano 150 agenti Gazzetta di Parma, 24 novembre 2010 Luci e ombre delle carceri emiliano romagnole: anche Parma finisce sotto la lente dei consiglieri regionali del gruppo assembleare Sinistra ecologia libertà - Verdi. Le celle di via Burla sovraffollate, come il resto d’Italia, ospitano 142 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. I carcerati, infatti, sono a quota 510 mentre la struttura potrebbe accoglierne solo 368. Al contempo, il calo del numero di agenti di polizia penitenziaria è impressionante: “Si parla di 150 posti vacanti - ha spiegato Elia De Caro dell’associazione Antigone - senza contare la diminuzione degli educatori passati da 9 a 2 nell’arco di pochi anni”. Ottima è invece la relazione tra il carcere di via Burla e il territorio: sono infatti 22 i detenuti che godono di misure alternative e del reinserimento nel mondo nel lavoro, mentre nel resto della Regione si parla di 2 o 3 persone al massimo. Infine, considerando che la spesa media giornaliera per ciascun detenuto è di 120 euro, la nostra città sborsa quotidianamente più di 60 mila euro. Questo in sostanza è quanto emerge dalla visita effettuata in via Burla non più tardi di ieri mattina dal consigliere regionale nonché ex assessore provinciale Gabriella Meo insieme al consigliere Gian Guido Naldi e all’assessore provinciale Marcella Saccani. I tre politici, accompagnati da alcuni rappresentanti dell’associazione Antigone, proseguono i sopralluoghi dietro le sbarre degli istituti penitenziari dell’Emilia Romagna. Dopo Rimini, Ravenna, Reggio Emilia, Piacenza e Bologna hanno visitato la casa circondariale di Parma, definendola “una struttura rinnovata e gestita più che positivamente, dove il legame col territorio è ben saldo e palpabile”. La ristrutturazione del carcere di via Burla, che ha preso il via due anni fa, sta per concludersi e il giudizio dal punto di vista socio sanitario è positivo: “Si tratta di un carcere ad ampio respiro dove i detenuti vengono assistiti e seguiti durante tutto il loro percorso”. Dai corsi di studio, all’inserimento nel mondo del lavoro: “Anche se è grave il calo degli educatori, figure fondamentali all’interno di un carcere - aggiunge Naldi - . Inoltre sarebbe importante dare vita a una serie di attività lavorative interne al penitenziario che possano però riflettersi all’esterno e portare un indotto”. “Continueremo a insistere per introdurre il garante regionale per la tutela dei diritti dei detenuti anche in Emilia - Romagna, previsto dalla normativa ma non ancora nominato - ha assicurato Naldi - prezioso per un’azione ancora più efficace contro “l’emergenza carceri”. Messina: Osapp; carcere di Gazzi al collasso, attendiamo qualcuno da Roma altrimenti sarà protesta www.tempostretto.it, 24 novembre 2010 Il prossimo 4 dicembre incontro tra sindacati e direttore della struttura, c’è attesa ma poche speranza. Chillemi (Osapp): “Il sistema è al collasso, i lavoratori allo stremo delle forze, ma il problema non è più risolvibile a livello locale, serve un intervento dall’alto”. “I turni di lavoro sfiorano ormai le 9/12 ore, rispetto alle 6 che invece dovrebbero essere coperte. Non possiamo più sostenere questa situazione, ne risenta anche la nostra sfera privata e familiare”. Questa la situazione vissuta dal personale carcerario della casa circondariale di Gazzi che attende con ansia, ma senza troppe speranze, l’incontro del prossimo 4 dicembre con il direttore della struttura penitenziaria, sull’orlo del collasso. “Sappiamo che da questo appuntamento non potranno uscire delle risposte o delle soluzioni concrete - spiega il rappresentante sindacale dell’Osapp Salvatore Chillemi - perché il problema non è più gestibile a livello locale. Ciò chiediamo però alle istituzioni operanti sul territorio comunale, provinciale e regionale, è di intervenire presso il governo centrale, facendo constatare personalmente ai rappresentanti del sistema giustizia le condizioni in cui siamo costretti ad operare”. Per i sindacati la disparità fra il numero di unità presenti (305) e quelle che invece sarebbero necessarie, determina un condizioni di notevole pericolo per l’incolumità dei poliziotti che rimangono ad operare dentro la struttura di viale Gazzi. Molti di essi sono spesso impegnati in attività di piantonamento al fine di favorire la presenza dei detenuti nelle aule di giustizia, sempre comunque sotto scorta. In altri casi ancora, invece, gli operatori vengono “dirottati” nel servizio del nuovo reparto detentivo dell’Ospedale Papardo di Pace. Gli agenti di polizia penitenziaria, rappresentati da Sappe, Osapp, Cgil, Cisl, Uil e Capp, non fanno un passo indietro, ma piuttosto due avanti: la protesta, anzi le proteste, che intendono attuare in caso di mancate risposte da parte degli organi preposti, rischiano di mandare in tilt la situazione all’interno del carcere di Gazzi, dove finora, nonostante tutto, sottolineano i sindacati, il lavoro è sempre stato svolto con precisazione e sacrifici, mantenendo inalterati gli standard di sicurezza. Ricordiamo che le azioni di protesta già programmate, inizierebbero con un sit - in di fronte il Palazzo di Giustizia, che se necessario potrebbe protrarsi per l’intera settimana. Ma qualora non fosse sufficiente, si proseguirebbe con l’autoconsegna in caserma del personale di polizia penitenziaria e lo sciopero della fame. Nuoro: un mese fa carcere era “inadeguato” per i detenuti al 41-bis, poi è arrivato Iovine La Nuova Sardegna, 24 novembre 2010 C’è un incredibile paradosso che accompagna l’arrivo di Antonio Iovine a Nuoro. Nel carcere di Badu ‘e Carros è rimasto infatti a lungo un altro Casalese “di spicco”: Pasquale “Bin Laden” Zagaria, soprannome conquistato per la sua abilità nello scomparire nel nulla (almeno fino al suo arresto qualche anno fa). Fratello del super boss (e super latitante) Michele “capastorta” Zagaria, a cui la squadra mobile partenopea sta dando una caccia furiosa, Pasquale è considerato la mente imprenditoriale della cosca dei Casalesi. La “Nuova” domenica lo indicava erroneamente nella lista dei “vicini di cella” del nuovo arrivato Antonio Iovine. “Bin Laden” invece ha lasciato il penitenziario nuorese alla fine di settembre, ed è stato trasferito da Badu ‘e Carros al carcere di massima sicurezza di Cuneo. Il suo avvocato, contattato in proposito del trasferimento, ha spiegato come il suo assistito avesse “maturato” durante la sua permanenza a Nuoro il 41 - bis. E che, non essendo la struttura nuorese attrezzata per ospitare i detenuti in 41 - bis, è stato immediatamente trasferito nel carcere di Cuneo. Rimane dunque da capire come mai un carcere che non era in grado di ospitare a fine settembre il “comprimario” Bin Laden Zagaria sia invece pronto ad accogliere nemmeno due mesi dopo il super boss Antonio Iovine. Senza che nel mentre non sia stato fatto nessun particolare lavoro di adeguamento, né, men che mai, nessun potenziamento dello striminzito organico. Il Governatore Cappellacci: una pena inflitta all’isola “La sensazione è che, ancora una volta, sia la Sardegna a scontare quella pena, che invece dovrebbe essere inflitta solo ai criminali”. Questo uno dei passaggi della dura lettera inviata dal governatore Ugo Cappellacci al ministro Angelino Alfano per contestare il trasferimento del boss. Cappellacci si fa interprete del “netto dissenso suscitato dalla notizia dell’arrivo di Iovine”. “Quello dell’opinione pubblica - scrive nella lettera inviata al ministro Alfano - di tutta la classe politica sarda e perfino della Chiesa è un coro unanime, che non può restare inascoltato. Alla base del dissenso non ci sono solo ragioni di carattere logistico, ma ben più pregnanti motivazioni di carattere politico, sociale, storico e anche culturale”. “La Sardegna - continua il governatore Cappellacci - ha già dato il suo contributo allo Stato Italiano, ospitando terroristi, mafiosi e altri pericolosi criminali”. Per Cappellacci insomma il trasferimento di Antonio Iovine in Sardegna è: “Un pessimo segnale, aggravato dalla circostanza che il nostro Popolo aspetta ancora di avere delle risposte concrete e positive da parte dello Stato: molte di esse sono attese da decenni e sono da tempo anche sul tavolo dell’attuale esecutivo nazionale. Su queste ultime non su sgraditi trasferimenti, chiediamo che si manifesti tutta la celerità e la determinazione del Governo”. Infine il presidente chiede un immediato ripensamento. La sua contrarietà è condivisa dal deputato dell’Italia dei Valori Federico Palomba, che ieri ha presentato in Commissione giustizia un’interrogazione per il ministro. A Nuoro intanto la levata di scudi è bipartisan dopo la furente reazione del sindaco, e la “frecciata” del vescovo. Ieri i consiglieri comunali del Pd Marco Sarria e Tore Fenu hanno presentato un documento che, se il consiglio comunale l’approverà, impegnerà sindaco e giunta a esercitare pressioni sull’amministrazione penitenziaria e sul governo. Dall’opposizione, Pierluigi Saiu del Pdl condivide e aggiunge “al massimo possiamo chiedere che a Badu ‘e Carros vengano ospitati tutti quei detenuti sardi che ancora, si trovano reclusi in strutture carcerarie della penisola. Di Iovine possiamo fare a meno”. Parole condivise dal segretario dell’Upc Antonio Satta: “Lo Stato si ricorda di questo territorio solo quando deve inviare efferati criminali. Siamo considerati come una colonia”. Critico l’intervento di Giorgio Mustaro, segretario della Funzione pubblica della Cisl: “L’arrivo di Iovine è avvenuto nella massima tranquillità. La nostra reazione non è stata sufficiente, perché non è andata al di la di un intervento mediatico. Avremmo dovuto picchettare l’ingresso, invece che parlare”. Venezia: il Tribunale cerca enti pubblici che accolgano i condannati a lavori di pubblica utilità Il Gazzettino, 24 novembre 2010 La legge e il codice penale prevedono che, in alcuni casi, lo svolgimento di un lavoro socialmente utile possa sostituire il carcere: un modo per favorire il reinserimento del reo ed evitare un eccessivo sovraffollamento dei penitenziari. Ma, in tutta la provincia di Venezia, nessuna amministrazione ha offerto la sua disponibilità a rendere operativo un solo posto per lo svolgimento di tali lavori di pubblica utilità. Dal Palazzo di giustizia di Venezia è partita una lettera di richiesta a tutti i Comuni, alla Regione, alla Provincia, ma non è pervenuta alcuna risposta positiva. Anzi, gli unici due Comuni che in passato avevano siglato una convenzione con il Tribunale per accogliere persone “condannate” a lavori socialmente utili - Quarto d’Altino e Ceggia - hanno fatto un passo indietro, rendendosi indisponibili a proseguire. “È un problema da affrontare al più presto - ha spiegato il presidente del Tribunale di Venezia, Arturo Toppan - Cercheremo di coinvolgere anche la Prefettura alla ricerca di una soluzione che non può tardare”. Alla luce della scarsa adesione degli enti locali, la situazione è da sempre problematica, come sanno bene i giudici di pace (che nei reati lievi di loro competenza possono applicare, su richiesta dell’imputato, la pena del lavoro di pubblica utilità) e anche i giudici ordinari che, in alcuni casi, devono subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena alla “condanna” dell’imputato allo svolgimento di una prestazione non retribuita in favore della collettività. La situazione si è aggravata, diventando ancora più urgente da quando, la scorsa estate, sono state approvate le nuove norme sulla guida in stato di ebbrezza: il legislatore, infatti, ha inserito una disposizione in base alla quale l’automobilista fermato con un tasso alcolico superiore a 1,5 grammi per litro può evitare la confisca della vettura chiedendo di essere “condannato” a svolgere un lavoro di pubblica utilità. Tale norma è stata approvata, evidentemente, sull’onda di migliaia di confische effettuate grazie alla legge in vigore in precedenza. Il risultato non si è fatto attendere: le prime istanze di “conversione” della confisca in lavoro socialmente utile sono già state presentate dai legali di alcuni automobilisti, e i giudici veneziani, dopo aver invano cercato un ente pubblico (o un’associazione di volontariato) disponibile ad accogliere gli imputati, sono stati costretti a rigettare la richiesta. Nessuna decisione in merito alla confisca di quelle vetture è stata ancora assunta: c’é chi dubita sia legittimo eseguirla, in quanto l’impossibilità di accedere al lavoro socialmente utile non dipende dall’imputato, ma dallo Stato. Per il quale questa paradossale situazione rischia di essere una doppia beffa: chi guida ubriaco non potrà essere privato della vettura e neppure obbligato a lavorare a favore della collettività. Bolzano: i lavori per la costruzione del nuovo carcere cominceranno già nel 2011 Alto Adige, 24 novembre 2010 Il nuovo carcere di Bolzano sorgerà nei pressi dell’aeroporto, ospiterà tra i 200 e i 250 detenuti e - per la prima volta - avrà una sezione femminile. Lo ha annunciato ieri il presidente della Provincia dopo la seduta della giunta. “Puntiamo molto - spiega Luis Durnwalder - sulla formazione dei detenuti per permettergli un reale inserimento nella società”. La Provincia - così Durnwalder - chiede le competenze per le questioni urbanistiche e di esproprio ed è disponibile a finanziare il nuovo carcere tramite i 60 milioni di euro previsti dall’Accordo di Milano per progetti del genere e nuove competenze. Secondo Durnwalder, i fondi potrebbero essere destinati ancora entro il 2010, prima però ci sarà un ulteriore incontro con il Comune. Per realizzare il nuovo carcere, di cui si dibatte ormai da circa due decenni, la Provincia vuole fare leva sull’Accordo di Milano: dei 100 milioni di euro oggetto dell’intesa con lo Stato, 40 dovrebbero essere destinati ai comuni confinanti, e 60 all’assunzione di spese per il passaggio di competenze delegate da Roma a Bolzano. “Una parte di quest’ultima quota - sottolinea il presidente Luis Durnwalder - è utilizzabile anche per la realizzazione di strutture pubbliche di interesse sia locale che nazionale, ed il carcere è una priorità. Dobbiamo sfruttare questa opportunità per costruire una struttura in grado di ospitare almeno 200 persone”. Napoli: falsi certificati dell’anagrafe per evitare il carcere duro e incontrare le fidanzate Ansa, 24 novembre 2010 Si prestavano a falsificare documenti che provavano la convivenza di persone di sesso femminile legate da vincoli sentimentali con i boss dei Casalesi per consentire loro di effettuare colloqui in carcere nonostante fossero detenuti in regime di 41bis. È quanto emerso dalle indagini eseguite dalla Dia di Napoli e dal nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria che all’alba hanno eseguito quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Napoli su richiesta della locale Dda. I reati contestati sono concorso in falso ideologico aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa e in particolare del clan dei Casalesi fazione Bidognetti. Le indagini sono state avviate in seguito ad alcune intercettazioni ambientali in carcere ed hanno conseguito di accertare che due persone, in servizio presso il comando di polizia municipale di Casal di Pricnipe, roccaforte del clan, ricoprivano questo ruolo di falsificatori. In particolare sono stati verificati tre episodi per attestare le convivenze con le rispettive fidanzate dei primi due figli del boss Francesco Bidognetti, Gianluca e Aniello, e Vincenzo Letizia. Gli indagati sono complessivamente dieci e fra questi vi è anche la figlia del boss Bidognetti, Teresa, che secondo gli investigatori “faceva da intermediaria tra le esigenze dei fratelli e vigili urbani”. Le ordinanze sono state emesse nei confronti di Gianluca Bidognetti ma anche di Michele Bidognetti, fratello di Francesco, detenuto, che si è occupato in prima persona di tutta la vicenda. Tra gli indagati anche i due vigili urbani Mario De Falco e Stanislao Ianuese. In una nota il procuratore della Repubblica di Napoli Giandomenico Lepore sottolinea come De Falco sia il fratello di Vincenzo De Falco, detto “Ò fuggiasco”, capo storico dei Casalesi ucciso in un agguato il 2 febbraio 1991. L’esponente della polizia municipale era già stato arrestato nell’ambito del procedimento “Spartucus” e successivamente condannato con sentenza passata in giudicato a due anni di reclusione. Il profilo criminale dell’uomo è stato anche descritto nella sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che il 6 luglio 2001 condannò De Falco a quattro anni di carcere per associazioni di tipo mafioso, pena ridotta in appello a due anni. “Non può che destare amara meraviglia - scrive Lepore - la circostanza che De Falco abbia continuato in tutti questi anni ad esercitare le funzioni, ad indossare una divisa e a compiere un’attività pubblica, nonostante quanto già accertato con sentenza passata in giudicato”. Il procuratore sottolinea, inoltre, come ogni inchiesta condotta sulla camorra confermi che le infiltrazioni dei Casalesi siano radicate sia nel tessuto sociale che istituzionale dei Comuni del l’agro aversano. Fatto che costituisce “ostacolo a una vera rinascita delle comunità interessate nonostante i numerosi arresti e le conseguenti condanne degli ultimi anni”. Roma: progetto Fao; le detenute di Rebibbia fabbricheranno borse “ecologiche” 9Colonne, 24 novembre 2010 Nell’impegno per limitare lo spreco di materiale plastico proveniente da striscioni e poster, la Fao ha avviato un’iniziativa a fianco delle detenute del carcere di Rebibbia, a Roma. Mega poster, vecchi striscioni, cartelloni usati, sono stati messi a disposizione del carcere femminile di Rebibbia e trasformati dalle detenute in borse originali nel design, ognuna diversa dall’altra, che non sfigurerebbero nelle boutique del centro. L’idea è venuta ad un dipendente della Fao, Sergio Ferraro: “Era da un po’ che pensavo a quanta plastica viene usata e poi buttata via. E mi sembrava importante pensare a come riciclarla nell’impegno che la Fao ha preso per essere più verde anche al suo interno”. La risposta a come riutilizzare la plastica in disuso l’ha offerta Ora d’Aria, un’associazione di volontariato impegnata nel sociale, che lavora per offrire opportunità a tutti coloro che vivono in situazioni di isolamento e segregazione, in particolare nelle carceri. Le detenute, guidate da un volontario, si sono messe al lavoro. Hanno tagliato la plastica, cucito il materiale, e confezionato 11 modelli diversi. In meno di due mesi sono state già realizzate oltre 400 borse che al momento sono vendute presso il carcere, ma che in futuro, se il progetto si espanderà, potrebbero trovare uno sbocco anche fuori. “L’iniziativa rappresenta per le detenute l’opportunità di imparare un mestiere per il futuro, qualcosa di nuovo, una risorsa che potrebbe aiutarle a reinserirsi quando usciranno dal carcere”, dice la direttrice di Rebibbia,Lucia Zainaghi. Le detenute che partecipano al progetto ricevono un’indennità per il lavoro svolto. Milano: il “Banco Alimentare” raccoglie donazioni anche tra i detenuti di Emmanuele Michela Tracce, 24 novembre 2010 Sabato 27 novembre la Colletta non sarà solo al supermercato: in tre carceri milanesi l’associazione Incontro e Presenza organizza una raccolta di alimenti tra i detenuti. Se pensate che quest’anno il Banco Alimentare sarà presente “solo” in 8mila supermercati italiani, vi sbagliate. È da 14 anni l’appuntamento fisso di fine novembre, e sabato prossimo verrà proposto anche in un luogo del tutto inusuale: il carcere. Saranno, infatti, i penitenziari milanesi di San Vittore, Opera e Monza ad ospitare l’iniziativa, chiamata “La formica va in galera”. A promuoverla, “Incontro e Presenza”, un’associazione di volontariato nata nell’86, e che aiuta il reinserimento lavorativo e sociale di carcerati ed ex - carcerati. Una realtà che opera da anni in cinque case circondariali milanesi, incontrando più di mille detenuti all’anno, con l’appoggio di un centinaio di volontari. “Proporre il gesto della Colletta in questo luogo significa avere la possibilità di ricercare le ragioni per cui vale la pena vivere in un altro modo, mostrando una reale proposta di vita per chi sta dietro alle sbarre”, si legge in un comunicato dell’associazione. L’iniziativa ha riscosso grande consenso, tanto che anche la Fondazione Milan, onlus che opera nel sociale, ha voluto aderire: a San Vittore, detenuto per un giorno sarà una storica bandiera rossonera, il calciatore Franco Baresi. Ma come funzionerà questa colletta sui generis? I detenuti nelle scorse settimane hanno acquistato alcuni prodotti tramite il “sopravitto”, hanno, cioè, ordinato alcuni generi alimentari attraverso una società esterna al carcere che glieli consegnerà nei prossimi giorni. Sabato saranno i volontari di Incontro e Presenza a occuparsi della raccolta: passeranno di cella in cella, muniti di carrello e pettorina gialla. “Chi più dei carcerati sente l’urgenza che il proprio bisogno venga condiviso perché possa riemergere il senso della vita?”, spiegano ancora quelli di Incontro e Presenza. “È proprio a partire da questo grido che il gesto della Colletta acquista una valenza educativa, per loro e per noi. Grazie a questo gesto i detenuti sono in grado di riscoprire un’umanità viva e presente nonostante l’errore. Perché il cuore dell’uomo nella sua domanda di bene è uguale per tutti”. Sanremo: agenti di polizia penitenziaria salvano detenuto che tenta suicidio Sanremo News, 24 novembre 2010 Il Sappe - Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - segnala agli organi di stampa quanto di buono è stato fatto nelle prime ore della mattinata da parte degli uomini della polizia penitenziaria in forza al comando della casa circondariale di sanremo. Lo riferisce il vice segretario regionale Sappe Liguria Cosimo Galluzzo in un clima di estrema preoccupazione generale e di altrettanta apprensione rivolta all’attuale contesto lavorativo alla C.C. di Sanremo non proprio bucolico. La situazione penosa di carenza del personale che la polizia penitenziaria soffre da tempo è cosa risaputa, ma il peggioramento dovuto all’assottigliamento graduale della pianta organica attuale presenterebbe numeri spaventosi , con una carenza organica di circa 84 unità, che la direbbe lunga sulla attuale condizione lavorativa degli uomini e donne dei baschi azzurri di Valle Armea e dove per logica comune, si deve gridare contro un contesto generale e quindi anche locale seriamente minato con carichi di lavoro ormai al collasso per i poliziotti, considerato che l’istituto penitenziario attualmente ospiterebbe il doppio dei reclusi e cioè 370 circa con diversi casi di detenuti psicolabili e quindi non idonei a nostro avviso a scontare la propria pena al carcere di Valle Armea, struttura sicuramente attrezzata per fungere da carcere e da ambiente repressivo educativo. Eppure nonostante tutto ciò, con un rapporto dei servizi triplicato quasi per tutti, specie per quella forza destinata in prima linea, questa mattina il personale di servizio all’interno dei reparti, seppure esiguo, è riuscito attraverso la seria applicazione dei controlli e alle ultime risorse ancora mantenute in vita da personali stimoli propriamente dei poliziotti del carcere, a trarre in salvo in extremis un detenuto sottoposto ad una importante condanna, il quale aveva pensato bene di provocarsi una ferita da taglio al quanto consistente ad uno dei polsi , da qui con copiosa fuoriuscita di sangue e a completamento dell’opera lo stesso pensava bene di accovacciarsi sotto le coperte del proprio posto letto,rendendo ancora più difficoltoso l’intervento degli operatori di P.P. A tal punto uno degli Agenti addetti al controllo e alla vigilanza del reparto, nonostante chiamato ad esplicare anche altri compiti , riusciva con estrema bravura a scorgere il soggetto recluso e malintenzionato grazie al fatto di aver notato sul pavimento il classico sgocciolamento per fuoriuscita del liquido ematico. Non ci stancheremo mai di dire che le condizioni lavorative attuali sono al limite del possibile,risulta difficile applicare in toto tutto il dettame normativo penitenziario affidato al controllo della polizia penitenziaria la quale fa salti mortali per garantire quel livello minimo di sicurezza interna e sociale addirittura,per questi motivi tutto il mondo politico deve interrogarsi su come vengono mantenuti i corpi di polizia dello Stato Italiano, il quali oltre alle problematiche denunciate e di un periodo veramente nero o buio che dir si voglia, nonché le tante promesse fatte in campagna elettorale, oggi si trovano a fare i conti con contratti scaduti e non ancora remunerati e paventati tagli economici sulla progressione di carriera dei poliziotti e da qualche parte si apprenderebbe che sono a rischio anche le future tredicesime mensilità!! Alla Casa Circondariale di Sanremo sono amministrati non più di 170 dipendenti, mentre per garantire e rimettere in sesto una serie di servizi tesi alla sicurezza interna servirebbero nell’immediato almeno 50 unità, oppure prendere serie e responsabili decisioni , tipo quelle di chiudere l’attuale reparto destinato ai collaboratori di giustizia per permettere un recupero di 20 unità attualmente impegnate senza titolo alcuno e deputare a tale compito reparti della polizia penitenziaria (Gom) preparati e individuati per taluni delicati servizi, non a caso proprio di recente in data del 16.11.2010, il Sappe ha promosso una interpellanza parlamentare onde scuotere alcune coscienze politiche e dirigenziali dell’amministrazione penitenziaria, o meglio per tentare di iniziare con soluzioni positive alla causa sanremese e magari far nascere un padiglione femminile da anni non presente in tutta la provincia imperiese. Detto ciò, vogliamo , come primo sindacato di categoria, fare ai nostri valorosi uomini ,intervenuti con alto senso del dovere questa mattina , veri complimenti per il comportamento di abnegazione e per la professionalità dimostrata ancora una volta nella fattispecie, ritenendo che non era assolutamente facile intervenire con tempestività a fronte di un personale troppo ridotto e pieno di responsabilità. Aosta: lezioni di legalità in carcere, per gli studenti valdostani Ansa, 24 novembre 2010 Proseguono gli incontri del Percorso della legalità 2010/2011, l’iniziativa organizzata dalla Presidenza della Regione e dall’Assessorato dell’istruzione e cultura, con la collaborazione della Presidenza del Consiglio Regionale, del Comune di Aosta e del Sindacato Autonomo di Polizia. In particolare il 1° e il 9 dicembre 2010 è in programma il secondo incontro dedicato agli studenti e i docenti delle scuole superiori, che si terrà nella Casa circondariale di Brissogne. Nell’occasione saranno affrontate tematiche come l’abuso di sostanze alcoliche e di droghe, la microcriminalità, e lo spaccio di sostanze stupefacenti, supportate dalla testimonianza di alcuni detenuti. “L’incontro - afferma l’Assessore Laurent Viérin - consentirà agli studenti di riflettere sui temi della legalità, ascoltando direttamente dai protagonisti le motivazioni o le cause per cui in passato si sono trovati in particolari situazioni, e perché oggi sperano in una vita futura diversa al termine della pena detentiva. Sarà questo anche un momento, per le scuole, di conoscere direttamente la realtà del carcere e di comprendere il lavoro di chi vi opera”. Bologna: l’Orchestra Mozart suona in carcere e sul podio sale una detenuta La Repubblica, 24 novembre 2010 Per una mattina, per poco più di un’ora, le note della Serenata per archi di Ciajkovskij hanno attraversato le celle del carcere della Dozza. Per una mattina, i carcerati hanno applaudito e applaudito ancora alcuni ospiti decisamente insoliti tra quelle pareti, i musicisti dell’Orchestra Mozart. Ventitré strumentisti in jeans e pullover (alle prese con violini, viole, violoncelli e contrabbassi), diretti da Diego Matheuz, giovane venezuelano, primo direttore ospite dell’Orchestra riunitae diretta da Claudio Abbado. Hanno suonato ieri in carcere, e per qualche minuto hanno persino ceduto la bacchetta a una giovane donna reclusa (nella foto di Caselli Nirmal e Sole Travagli), “perché anche dalla musica passa la dignità delle persone”, come ha ricordato il direttore della Casa Circondariale, Ione Toccafondi. Il concerto di ieri è stato l’evento culminante di tre giornate che l’Orchestra Mozart ha voluto dedicare al tema della musica e dell’impegno sociale, animandole con incontri, convegni e naturalmente concerti, l’ultimo dei quali ieri pomeriggio all’Ospedale Sant’Orsola. Non è la prima volta che l’ensemble, nato in seno all’Accademia Filarmonica, fortemente sostenuto dalla Fondazione Carisbo (il cui presidente Roversi Monaco è anche presidente dell’Orchestra) suona in carcere. E in passato ha suonato anche davanti agli ospiti della Caritas, ai bambini ricoverati, ai terremotati dell’Abruzzo. Ma ieri l’incontro tra i musicisti, i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria è stato particolarmente intenso. E forse anche per stemperare l’emozione tra i detenuti e gli agenti, quando ha preso la parola il violoncellista Luca Franzetti, ha presentato i suoi colleghi musicisti in maniera molto originale. “In un’orchestra tutto deve muoversi in armonia ha esordito - un po’ come se fosse una piccola comunità”. Poi, rivolgendosi ai detenuti, ha cercato di strappare qualche sorriso. “Quella di oggi si chiama orchestra sinfonica, perché mancano i fiati. È venuta da voi la parte migliore, insomma”, ha scherzato il musicista. “Non a caso, quando ci sono i fiati e mancano gli archi - ha continuato - si chiama banda”. Poi ha lanciato un appello a tutti i detenuti, invitandoli a raggiungerlo al centro della cappella per provare l’emozione di dirigere un’orchestra. Qualche attimo di imbarazzo e di sorrisi arrossati, qualche “vacci tu”, “no, io mi vergogno”. Finché una detenuta ha sconfitto l’emozione, si è alzata in piedi, ha preso in mano la bacchetta e ha dato il tempo all’orchestra, che per qualche secondo ha ricominciato a suonare. “Sono sempre stato profondamente convinto che la musica contenga in sé una forza un grado di travalicare i suoi stessi confini”, ha scritto Claudio Abbado: “La musica è necessaria alla vita, può cambiarla, migliorarla e in alcuni casi addirittura salvarla”. E ieri la sua Orchestra ne ha dato una prova. Volterra: i Mau Mau cantano, i detenuti suonano e la prima “cena galeotta è un trionfo Il Tirreno, 24 novembre 2010 Metti una sera a cena con Luca Morino, piemontese leader e cantante dei Mau Mau, Fabio Graceffa, Medico Palermitano di stanza a Mestre, ed un detenuto toscano con la chitarra e la cena prende vita. Che siamo ad Cena Galeotta si capisce, perché solo nel Carcere di Volterra possono succedere queste cose. Una cena, la prima delle otto previste per questa stagione, partita con i migliori auspici del buon vino e soprattutto del buon cibo. Un’intera cena di pesce che lo chef Luciano Zazzeri, ha presentato proprio con l’aiuto dei detenuti della Casa di Reclusione di Volterra; i “miei ragazzi”, come preferisce chiamarli la direttrice Mariagrazia Giampiccolo. Forse sarà stato il calore della serata, o più facilmente quello provocato dal vino ad unire questo peculiare trio, ma i più di centoventi ospiti hanno potuto assistere ad uno spettacolo che ha dell’unico. È proprio vero che la musica unisce e supera le barriere della diffidenza e del pregiudizio, ed in questo caso anche quelle fredde, del bianco acciaio delle sbarre. Brucia la luna, brucia la terra, che sia anche la colonna sonora del film “Il Padrino” sarà forse solo un caso, dato l’ambiente in cui ci troviamo, ma con queste parole in siciliano stretto, Luca Morino già con la chitarra in mano si accompagna con Fabio, ammirati da pubblico, guardie e carcerati. Infatti, Morino ha resistito solo qualche portata prima d’imbracciare lo strumento che lo ha reso famoso con i Mau Mau, mentre già il Dott. Graceffa già cantava da Cocciante a Battisti dirigendo le musiche del detenuto chitarrista. Da li in poi è iniziata una serata quasi magica, dove i commensali cantavano divertiti, accompagnandosi con il battere delle mani, mentre quasi tutti i “camerieri” ad uno ad uno si avvicinavano al trio, quando ammirandoli divertiti, quando unendosi a loro nelle canzoni. Sulla musica di “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri, tutto il coro dei detenuti ha intonato le parole di ringraziamento alla Coop, sponsor delle serate, e verso tutti i compiaciuti presenti in sala. Tra i momenti più suggestivi della serata, c’è certamente quando una delle ragazze peruviane, ospiti e beneficiarie del ricavato della serata, in onore del sentimento sudamericano per la musica, per due volte è salita sul palco, per cantare insieme ai detenuti, al dottore, al cantante, accompagnata da buona parte della sala. Questi sono i brividi, che in positivo dovrebbero animare i percorsi trattamentali nelle carceri. A Volterra succede. Gran Bretagna: Corte Strasburgo; il Governo introduca diritto di voto per i detenuti Ansa, 24 novembre 2010 Il governo di David Cameron ha nove mesi di tempo per introdurre una riforma che permetta ai detenuti di votare. L’ultimatum viene dalla Corte europea dei diritti umani che oggi, condannando nuovamente Londra, ha chiesto al governo di cambiare le leggi del 1983 e del 2002 secondo le quali chi si trova in carcere, qualsiasi sia il periodo di detenzione o il reato commesso, non può partecipare alle elezioni. Nella sentenza i giudici hanno espresso “rammarico e preoccupazione” per il fatto che il governo britannico, dopo essere stato già condannato nel 2005 per la stessa ragione, non abbia introdotto alcun cambiamento che ponesse fine alla violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte ha inoltre ricordato alla Gran Bretagna che vi sono già altri 2.500 ricorsi pendenti sulla stessa questione e che il loro numero aumenta dopo ogni tornata elettorale a cui i detenuti non possono partecipare. La Corte ha quindi dettato un limite temporale al governo Cameron per introdurre i necessari cambiamenti assicurando che se questi verranno fatti cancellerà tutti i ricorsi pendenti. Iran: 24enne impiccato per traffico di droga; tagliata mano a un ladro davanti agli altri detenuti Adnkronos, 24 novembre 2010 Un ragazzo di 24 anni, condannato a morte per traffico di droga, è stato impiccato nel carcere di Kashan, nell’Iran centrale. Lo ha riferito il quotidiano Nefse Jahan, citato dal sito web dell’ong Iran Human Rights, che si batte contro la pena di morte nella Repubblica Islamica. Il detenuto, identificato come Mahmood N., era stato condannato da un tribunale rivoluzionario di Kashan per il possesso di 500 grammi di eroina. Omicidio, adulterio, stupro, rapina a mano armata, apostasia e traffico di droga sono i reati punibili con la pena di morte in Iran. Un ladro ha subito l’amputazione della mano nel carcere di Mashad, la città santa dell’Iran nordorientale. Lo riferisce l’agenzia d’informazione semiufficiale Fars, precisando che la condanna è stata eseguita davanti a un gruppo di detenuti. Nei giorni scorsi il sostituto procuratore di Mashad, Omid Mortazavi, aveva annunciato una nuova ondata di pene corporali nel carcere di Mashad. Secondo Mortazavi, l’applicazione di questo tipo di pene è fondamentale perché “è da monito per i criminali e garantisce la sicurezza dei cittadini”. Già nei mesi scorsi la procura di Mashad aveva imposto l’amputazione degli arti di alcuni detenuti colpevoli di furto e rapina, suscitando le critiche degli attivisti per i diritti umani in Iran. Durante l’ultimo anno sono almeno sei i casi di amputazioni di mani eseguite in Iran, sulla base della legge islamica in vigore. Zimbabwe: ferito dalla polizia resta in carcere per mesi con intestino fuori dal corpo Ansa, 24 novembre 2010 Lo Zimbabwe è sotto shock. Secondo quanto riportano i media locali un uomo, accusato di furto, ha trascorso due mesi in carcere con parte dell’intestino fuoriuscito dal corpo, dopo essere rimasto ferito dalle forze di sicurezza mentre stava cercando di rubare un motorino. Boas Chiwanza si è presentato dolorante lunedì in tribunale, con le viscere raccolte in un sacchetto e tenute in mano. Il giudice Yunus Omerjee ha ordinato alle autorità penitenziarie un suo ricovero immediato. Chiwanza ha raccontato alla Corte di non avere ricevuto un trattamento sanitario adeguato durante le sua detenzione. Ieri, dopo l’ordinanza del giudice l’uomo è stato ricoverato ospedale.