Giustizia: in Italia un sentimento di insicurezza che prescinde dalla situazione reale Il Velino, 23 novembre 2010 “L’ampio consenso della forza politica ottenuto sull’istituzione del reato di stalking fa ben sperare, è una conquista civile, ma non basta per attenuare la percezione che hanno molte donne di essere soggetti deboli o a rischio”. Lo ha affermato il presidente della Camera Gianfranco Fini, intervenendo all’iniziativa sulla sicurezza promossa dal Pd per presentare una ricerca dal titolo “Vivere tra luci ed ombre - gli italiani e la percezione della sicurezza e della legalità”, svoltasi a Roma. Commentando in generale gli esiti dell’indagine, Fini ha sottolineato che nonostante si viva nel 2010, ci sono soggetti deboli o che come tali si percepiscono. “È un problema per la classe dirigente che l’intero universo femminile si senta insicuro. Se è naturale che un anziano si senta debole - ha aggiunto - deve far riflettere che questo riguardi anche le donne”. Alla presentazione della ricerca hanno partecipato i parlamentari Democratici Marco Minniti, Andrea Orlando ed Emanuele Fiano, mentre alla fine ha dovuto annullare la propria presenza il Guardasigilli Angelino Alfano, che era stato invece annunciato. Quanto ai contenuti dell’indagine, questa ha evidenziato che, in tema di sicurezza, spesso è la percezione del rischio a influenzare gli atteggiamenti degli italiani, più che il rischio stesso. Solo un italiano su dieci, infatti, ha subito un reato, ma il 40 per cento dei nostri connazionali vive in una percezione di insicurezza, anche a dispetto della diminuzione del numero dei reati negli ultimi dieci anni. Tanto che, a una delle domande più significative del questionario diffuso dal Pd, gli italiani hanno risposto nel 30 per cento dei casi che hanno timore a uscire col buio. “Per buona parte dell’opinione pubblica - ha aggiunto Fini - il problema della sicurezza è tutt’altro che secondario, e la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nello stato diminuisce con la crescita dell’allarme sociale. E questi dati dimostrano che esiste un allarme sociale largamente percepito, soprattutto nell’universo femminile”. “La lotta alla criminalità presuppone tutta una serie di interventi, di risposte ampie e articolate. È illusorio pensare - ha proseguito Fini - che la soluzione possa consistere in un unico intervento risolutivo. La vera questione è che o si dà vita a delle politiche convergenti, oppure c’è il rischio della crescita dell’allarme sociale. Ne consegue che occorre evitare di limitarsi a gestire l’emotività collettiva, anche se questo è un profilo tutt’altro che secondario, e dare corso a una serie di interventi complessi di medio e lungo periodo”. Tra le cause individuate dal presidente della Camera della situazione presente, c’è il nostro sistema penitenziario e legislativo: “Occorre che attraverso la pena venga rieducato il reo, ma il nostro sistema allo stato attuale non determina il raggiungimento di questo obiettivo. Non è colpa degli agenti di polizia penitenziaria, né di questo o quel ministro, è una situazione in cui si trova il sistema Italia da qualche decennio a questa parte. E un sistema legislativo che sembra tutelare più chi commette un reato che chi lo subisce. La sfida sulla sicurezza e sulla legalità - ha sottolineato Fini - è una sfida tutta politica, che implica politiche coordinate nel campo della legalità, del controllo, del contrasto del disagio sociale. Ma sarebbe un errore pensare che la lotta al disagio sociale sia una sorta di bacchetta magica. Serve educazione alla legalità, cultura della legalità. La legalità - ha concluso - è soprattutto un abito mentale, una trasmissione di valori. Si è liberi solo se si rispettano alcuni valori, che sono quelli della nostra Costituzione”. “Corriamo un rischio molto serio - ha commentato Marco Minniti: avere un sentimento di insicurezza che prescinde dalle condizioni reali. Questo dovrebbe chiamare a maggiore responsabilità di governo, perché si può vincere una campagna elettorale sull’insicurezza ma è difficile governare un Paese sulla paura”. Giustizia: Sappe; dopo parole Fini serve intesa bipartisan su politica della pena Il Velino, 23 novembre 2010 “Ha ragione il Presidente della Camera Gianfranco Fini quando dice, come ha fatto oggi a Roma durante la presentazione della ricerca demoscopica “Vivere tra luci ed ombre - gli italiani e la percezione della sicurezza e della legalità” dei forum Sicurezza e Giustizia del Pd, che le istituzioni devono bandire gli spot propagandistici sulla sicurezza ma lavorare per politiche integrate. E l’esempio da lui fatto sulle questioni penitenziarie è calzante. Bisogna però che anche questi autorevoli intendimenti si concretizzino poi in fatti reali. In questo contesto noi rinnoviamo l’auspicio di una svolta bipartisan di Governo e Parlamento per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ripensi organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, anche alla luce della sostanziale inefficacia degli effetti dell’indulto. Oggi il nostro Paese ha raggiunto un record di detenuti - oltre 69mila presenti, il più alto numero mai registratosi nella storia d’Italia! Si mettano allora da parte le polemiche per il bene dello Stato e dei suoi fedeli servitori, le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Pdl, Fli, Pd, Italia dei Valori, Udc concentrino sforzi comuni per varare una legislazione penitenziaria che preveda un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione, delineando per la Polizia Penitenziaria un nuovo impiego ed un futuro operativo, al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale.” È l’appello che lancia alla classe politica del Paese Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, nel commentare le parole odierne del presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini. “Con l’indulto sono usciti dal carcere circa 35mila persone. Ma classe governativa e politica non raccolsero, allora, gli auspici del Sappe di “ripensare” il carcere e adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, chiesti autorevolmente più volte anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Il Sindacato più rappresentativo del Corpo rinnovo oggi l’auspicio di una urgente svolta bipartisan di Governo e Parlamento per una nuova politica della pena. Si adottino provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci, e si potenzino gli organici di Polizia Penitenziaria - carenti di ben 6mila unità - cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. Quella della sicurezza è una priorità per chi ha incarichi di governo ma anche per chi è all’opposizione parlamentare. È una priorità per tutti. Per questo auspichiamo una larga intesa politica per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile”. Giustizia: a “Vieni via con me” Luigi Manconi e i numeri dell’inferno carcere Asca, 23 novembre 2010 La terza puntata di “Vieni via con me” ospita, tra gli altri, anche il durissimo elenco di Luigi Manconi, presidente di “A buon diritto” che riassume in modo vero e crudo la situazione inumana e vergognosa delle carceri italiane. Anche Luigi Manconi ha avuto la possibilità di leggere un “elenco” nella trasmissione di Fabio Fazio e Roberto Saviano “Vieni via con me”. È un elenco molto duro, fatto di numeri e fatti che dovrebbero essere ripetuti spesso per riuscire a trapassare il muro impietoso che separa il mondo “libero” da quello “carcerario”. Luigi Manconi è anche l’unico che non tiene un foglietto in mano e sembra che il suo elenco lo sappia a memoria, cosa forse abbastanza normale per lui visto che, come presidente e fondatore dell’associazione “A buon diritto” sa bene di che cosa sta parlando. L’elenco è breve e conciso e ci pare il caso, proprio perché possa essere letto da tutti, riportarlo. Elenco di alcuni dati sulla situazione delle carceri: 1. I posti disponibili nelle carceri italiane sono 44.608; 2. Oggi, 22 novembre, i detenuti presenti sono invece 69.313; 3. Il 44% sono in attesa di giudizio definitivo (dunque innocenti secondo la Costituzione Italiana); 4. Il 37% sono stranieri, il 30% sono tossicomani; 5. Oggi, 22 novembre, nelle carceri italiane ci sono 52 bambini dai 0 ai 3 anni, detenuti insieme alle madri detenute (e che trascorrono in una cella i primi anni della loro vita); 6. Nel corso del 2010 sono morti in carcere 157 detenuti, un quinto per cause ancora da accertare; 7. 60 detenuti si sono tolti la vita, l’ultimo si chiamava Antonio Gaetano, aveva 46 anni è morto a Palmi 3 giorni fa; 8. La frequenza dei suicidi in carcere è 20 volte superiore a quella dei suicidi fuori dal carcere; 9.I detenuti per lo più si tolgono la vita nei primi giorni e mesi della detenzione; 10. I metodi più utilizzati sono l’impiccagione e l’inalazione di gas dalla bomboletta del fornello con cui si cucinano i cibi; 11. Nel corso degli ultimi 15 mesi si sono tolti la vita 7 agenti di polizia penitenziaria. Giustizia: Sappe; Manconi in televisione ha dimenticato numeri importanti Agi, 23 novembre 2010 Dispiace che Luigi Manconi, già Sottosegretario di Stato alla Giustizia e intervenuto alla trasmissione di Rai Tre “Vieni via con e” per dare i numeri sul carcere, ne abbia dimenticati alcuni molto importanti. Come, ad esempio, che lo scorso anno ci sono stati anche 5.941 atti di autolesionismo di detenuti nelle carceri italiane che non hanno avuto gravi conseguenze solamente grazie al tempestivo intervento ed alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia penitenziaria”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe dopo l’intervento di Luigi Manconi a “Vieni via con me”, su Rai Tre. “Così come nei 944 tentativi di suicidio di altrettanti reclusi, che sono rimasti fortunatamente solo tentativi grazie al tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari - aggiunge. Non ha parlato dei 3.283 ferimenti commessi in carcere da detenuti violenti, quasi sempre contro le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, carenti in organico di 6.500 unità. O, ancora, abbia dimenticato di citare gli oltre 35mila detenuti usciti per quell’indulto fortemente voluto dall’Esecutivo del quale Manconi era autorevole esponente; di dire che un terzo di loro è rientrato in poco tempo nelle patrie galere perché a quel provvedimento di legge non ha fatto seguito alcuna politica di reinserimento sociale o di realizzazione di una nuova politica di esecuzione della pena. Luigi Manconi, da Sottosegretario, è stato il responsabile della mancata programmazione da parte del Ministero della Giustizia (e quindi del Governo) dei necessari interventi strutturali per il sistema carcere che dovevano essere adottati contestualmente all’approvazione dell’indulto, chiesti anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Noi arrivammo a chiedere all’allora Ministro Guardasigilli di avocare a sé la delega conferita a Manconi sulle questioni di pertinenza dell’Amministrazione penitenziaria, visto che ha sembrato farne un uso disinvolto, tutto a favore dei detenuti (ad esempio quando appoggiò iniziativa formative assurde come i corsi di boxe per detenuti) e senza alcun atto concreto sulle importanti questioni attinenti al personale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Insomma, omettendo tutti queste cose importanti che ho ricordato, Manconi a “Vieni via con me” ha perso ancora una volta l’occasione per parlare compiutamente del sistema carcere...”. Giustizia: il caso Cucchi in televisione; ma gli altri detenuti morti non sono forse “interessanti”? di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 23 novembre 2010 Trovo profondamente ingiusto e alquanto superficiale che anche nella trasmissione “Vieni via con me” si continui a parlare del caso Cucchi e si taccia invece, come fanno gli altri mass media, sulle altre persone detenute che in condizioni analoghe sono morte nelle patrie galere. Non solo la trovo una grave ingiustizia ma ritengo che sia la dimostrazione del modo becero di fare informazione nel nostro Paese. Ma mi domando: la vicenda di Graziano Scialpi, morto perché non curato nel carcere Due Palazzi di Padova, non merita forse di essere raccontata alla stregua di quella di Cucchi? La sua non è forse una morte ingiusta e grave come quella di Cucchi? Ed ancora, le storie di chi è morto senza cure in una cella, non interessano? Sono più di cento le persone detenute morte quest’anno per mancanza di cure mediche. Omicidi colposi. Gente che viene uccisa una seconda volta dal silenzio dell’informazione che resta concentrata sul caso Cucchi e basta. Credo che tutto sia la triste conseguenza di un’informazione e di una politica basata solo sull’apparenza. Giustizia: Giuristi Democratici; ddl “svuota carceri”, la montagna ha partorito il topolino Ristretti Orizzonti, 23 novembre 2010 È stato definitivamente licenziato dal Senato, lo scorso 17 novembre, il ddl Alfano, cosiddetto “svuota carceri”, che disciplina l’esecuzione della pena detentiva non superiore ad un anno presso il domicilio del condannato. Il provvedimento potrebbe portare - secondo le previsioni del Ministero della Giustizia - ad una deflazione delle presenze in carcere di circa 7.000 detenuti, a fronte delle attuali presenze, superiori a 69.000, mentre la capienza regolamentare dei 208 istituti di pena italiani è pari a 44.000 posti. Nel contesto di assoluta e drammatica emergenza nella quale versano le carceri, la proposta legislativa approvata si segnala come provvedimento che rompe l’assordante silenzio e l’immobilismo che hanno caratterizzato l’azione dell’attuale Governo in materia penitenziaria. Si tratta, tuttavia, di una previsione che inciderà in maniera marginale sul cronico e crescente sovraffollamento carcerario (i nuovi ingressi mensili sono pari a circa 800), poiché, anziché aggredire in profondità le ragioni che lo hanno determinato (in particolare le leggi Fini - Giovanardi, Bossi - Fini e la c.d. ex Cirielli), si limita a prevedere una disciplina “ponte”, in vista della prefigurata edificazione di nuovi carceri, vista quale unica soluzione al dramma del sovraffollamento. L’ampliamento dell’edilizia carceraria (a condizione che si reperiscano fondi sufficienti per realizzarla) si configura, in verità, come un fallimento annunciato, sulla base dell’esperienza dell’incarcerazione di massa negli Stati Uniti. Le carceri non sono mai abbastanza: più prigioni si costruiscono, più se ne riempiono. La prospettiva del contenimento e della neutralizzazione risulta, in questa chiave, la sola risposta che le istituzioni offrono ad una parte della popolazione sempre più marginale e precarizzata, mentre negli istituti penitenziari accrescono le difficoltà che, in taluni casi, raggiungono punte di vera e propria “emergenza umanitaria”, a partire dall’inaccettabile numero dei decessi, anche per suicidio, occorsi nel 2010 dietro le sbarre, in palese contraddizione con i diritti costituzionalmente garantiti. Appare evidente che il governo e la maggioranza, pur comprendendo la drammaticità della attuale situazione di emergenza, non riescano a liberarsi dalla convinzione, smentita inoppugnabilmente dai fatti, per cui le alternative al carcere rappresentano una minaccia, e non una risorsa, per la sicurezza collettiva, quando è ormai noto che i tassi di recidiva per chi esce dal carcere sono estremamente elevati, assai più di quelli di chi sconta la propria pena in misura alternativa. Ci troviamo dinanzi, come autorevolmente di recente evidenziato da Giovanni Palombarini, all’accettazione esplicita e programmata della prospettiva di un numero indeterminato e progressivamente crescente di detenuti. Quasi a voler significare che per ogni tipo di devianza e marginalità, comunque determinata, la risposta è una sola: il carcere e l’esclusione. Si tratta, in altri termini, di politiche indifferenti alle ragioni del disagio sociale e alle cause dei fenomeni collettivi complessi, quali ad esempio l’immigrazione e le tossicodipendenze, che hanno ha operato una scelta, quella dell’emarginazione forzata dei soggetti che ne sono il prodotto. È prevedibile come, muovendo con da una simile convinzione, sarà molto difficile varare misure di reale efficacia contro il sovraffollamento. Da questi segnali la stagione attuale, caratterizzata dalla violazione dei diritti più elementari dei detenuti - in primo luogo quello alla salute ed alla funzione rieducativa della pena - non sembra dunque destinata a chiudersi rapidamente. È, allora, indispensabile cambiare rotta, abrogare le leggi che hanno, di fatto, creato criminalizzazione e carcerazione crescenti, per incentivare il ricorso alle misure alternative alla detenzione, ridurre il ricorso indifferenziato alla custodia in carcere, delineare, in definitiva, il ritorno ad una nuova stagione del diritto penale “minimo”, capace di incidere sulle effettive ragioni sociali della devianza e del crimine. Associazione Nazionale Giuristi Democratici Giustizia: Uil-Pa; nelle carceri una situazione che va oltre l’emergenza 9Colonne, 23 novembre 2010 “Negli ultimi cinque giorni abbiamo registrato il 59° suicidio in cella di un detenuto (Foggia), il ferimento di cinque agenti penitenziari (Sulmona) da parte di un internato psicotico( nel 2010 ammontano a 247 gli agenti penitenziari aggrediti e feriti con prognosi superiore ai cinque giorni) e il ritrovamento di ben tre cellulari e sei sim card al carcere Due Palazzi di Padova. Ci pare abbastanza per rilanciare l’allarme sicurezza nel sistema carcerario italiano. Senza dimenticare che a fronte di una capienza regolamentare di poco più di 43mila posti, oggi i detenuti presenti nelle nostre degradate e fatiscenti prigioni assommano a circa 70mila”. Dopo un tour di visite in alcuni istituti penitenziari, effettuate in questo mese, (Cagliari, Taranto, Lecce, Ancona), il segretario generale della UIL Pa Penitenziari Eugenio Sarno rilancia l’allarme sull’emergenza penitenziaria: “È lampante che la quasi totalità delle strutture penitenziarie, fatto salve rarissime eccezioni, si connota per degrado, inciviltà, incuria e pericolosità. D’altro canto con un patrimonio immobiliare costituito dall’80% di istituti costruiti due secoli fa se non si investe nella manutenzione straordinaria il minimo che può accadere è che cadano a pezzi. Com’infatti avviene a Taranto, Ancona, Lucca, Monza, Savona, ecc”. Lazio: al via “Benessere è comunicare”, corso di formazione per la Polizia penitenziaria Dire, 23 novembre 2010 Gli operatori dell’Amministrazione Penitenziaria sono probabilmente tra coloro i quali risentono maggiormente delle inefficienze del sistema penitenziario e delle difficoltà per il sovraffollamento delle carceri italiane. Per questo, spiega una nota, l’assessorato Rapporti con gli Enti locali e Politiche per la Sicurezza della Regione Lazio, ha affidato all’Istituto Jemolo la realizzazione del corso “Benessere è comunicare”, in collaborazione con il dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del ministero della Giustizia. La prima edizione del corso è stata inaugurata questa mattina da Giuseppe Cangemi, assessore regionale ai Rapporti con gli Enti locali e Politiche per la Sicurezza, da Giorgio Linguaglossa, del Provveditorato regionale Amministrazione Penitenziaria per il Lazio, e da Aldo Rivela, commissario straordinario dell’Istituto Jemolo. “La comunicazione è l’azione sociale per eccellenza - ha affermato Cangemi - e costituisce l’elemento fondamentale di qualsiasi scambio e rapporto sociale. Per questo il Governo regionale ha attivato un percorso formativo in materia di Sicurezza, che proseguirà nei prossimi anni e sarà portato anche nelle altre province della nostra regione”. Il corso, articolato in 25 ore di lezione e rivolto a trenta tra operatori di Istituti penitenziari, staff dirigente, agenti di custodia e della polizia penitenziaria, operatori sociali, intende fornire delle nozioni di diritto penale e diritto penale penitenziario, necessarie alla comprensione dei contesti operativi, ma soprattutto vuole trasmettere a quanti operano nelle strutture carcerarie le capacità e le competenze idonee a migliorare le strategie relazionali e la capacità di lettura dei processi comunicativi interni. “La convinzione dell’insostituibilità delle forme di comunicazione - ha asserito il capo del Dipartimento del ministero della Giustizia, Franco Ionta, in un messaggio di saluto - come strumento migliorativo dei rapporti che intercorrono tra coloro che operano nella giustizia e i soggetti che vivono in stato di detenzione, mi porta a considerare particolarmente utile l’iniziativa promossa dalla Regione Lazio e dall’Istituto Jemolo”. Padova: il Sindaco è entrato in carcere per incontrare le associazioni che si occupano dei detenuti Redattore Sociale, 23 novembre 2010 Il sindaco Zanonato oggi al Due Palazzi: “Mi impegno sulla questione del Garante e a farmi portavoce dei problemi del carcere”. Intanto la casa di reclusione scoppia: oggi 850 detenuti, ma si arriverà presto a mille. Solo 350 impegnati in attività. Un impegno serio a interessarsi alle tematiche del carcere è quello preso dal sindaco di Padova Flavio Zanonato, che oggi ha oltrepassato i cancelli della casa di reclusione Due Palazzi. La promessa di guardare con attenzione alle tematiche della detenzione è arrivata nell’ambito di un incontro con i detenuti e con le associazioni e le altre realtà che si occupano di giustizia: Acli, Antigone, Beati costruttori di pace, camera penale “Francesco de Castello”, Fp Cgil, conferenza regionale volontariato e giustizia, giuristi democratici, magistratura democratica, Ristretti Orizzonti. Per testimoniare che le sue non sono solo parole, il primo cittadino ha convocato nella sede del comune un nuovo confronto in data primo dicembre. Sovraffollamento, sanità, inserimento lavorativo sono i temi messi sul tavolo. “Nonostante il Due Palazzi sia uno tra i migliori istituti in Italia, la situazione resta critica - spiega Ornella Favero di Ristretti - perché su 850 persone quelle impegnate in attività sono solo 350. E la situazione è destinata a peggiorare poiché si prevede di arrivare a mille detenuti per fine anno”. Sono dati preoccupanti, confermati anche dal direttore del carcere, Salvatore Pirruccio, che avvalla l’ipotesi rilanciata da Giuseppe Mosconi di Antigone: far sì che i nuovi condannati inizino la pena in detenzione domiciliare in attesa che si liberi spazio in carcere. Direttamente al primo cittadino le associazioni chiedono da un lato l’istituzione del garante comunale dei detenuti e dall’altro la promozione dell’inserimento lavorativo nelle aziende del territorio. Disponibile a riprendere in mano l’avvio del garante, Zanonato ha però frenato sulla possibilità di utilizzare lo strumento delle ordinanze - come avvenuto a Pordenone e Ravenna - per chiedere “il rispetto della legge sul proprio territorio”, seguendo l’invito delle associazioni e prendendo così posizione sul tema del sovraffollamento. “Non amo le finte ordinanze - ha spiegato - e non credo sia di mia competenza questo genere di iniziative, ma mi riservo di verificare”. Per alleggerire il carcere non potrà servire a molto neanche il provvedimento sull’ultimo anno di pena ai domiciliari perché, come spiega Pirruccio, “stiamo esaminando 130 richieste, ma saranno molti meno i detenuti che potranno effettivamente uscire”. In qualità di responsabile sicurezza dell’Anci Zanonato ha accettato di rendere conto agli altri sindaci del problema carceri, consapevole però che “questi sono temi delicati, che fanno perdere voti. Dentro Anci poi ci sono varie forze politiche e c’è anche chi vorrebbe fucilare i cosiddetti sciacalli dell’alluvione”. Per il momento la seduta è aggiornata. Foggia: Sel; il carcere patisce condizione di sovraffollamento Gazzetta del Sud, 23 novembre 2010 “L’ennesimo suicidio di un detenuto della Casa Circondariale di Foggia, il quinto in tre anni (gli ultimi due avvenuti in meno di un mese) è la manifestazione evidente dell’inadeguatezza della capacità ricettiva delle strutture di detenzione operanti sul territorio e, soprattutto, auspica che possa presto iniziare, a livello nazionale, un dibattito serio ed approfondito sulla necessità di prevedere misure di detenzione alternative al carcere. Come rilevano i sindacati di categoria, infatti, una grande percentuale dei detenuti è a rischio continuo per patologie gravi e per l’aumento delle problematiche psichiatriche”. Lo afferma in una nota il coordinamento provinciale di Sinistra Ecologia e Libertà. “Anche la casa circondariale del capoluogo dauno, come tante altre realtà carcerarie d’Italia, patisce una condizione di sovraffollamento, come rimarcano i sindacati di categoria: il carcere di Foggia, infatti, che potrebbe contenere al massimo 400 detenuti, ne ospita attualmente quasi 800, sorvegliati da meno di 300 poliziotti penitenziari. Sel di Capitanata da tempo chiede che sia avviato un confronto istituzionale e politico inteso alla definitiva risoluzione delle drammatiche problematiche carcerarie, con una situazione caratterizzata da condizioni disumane di inadeguatezza delle strutture di detenzione e dalla cronica mancanza di personale: l’episodio della notte scorsa porta a 60 i suicidi dietro le sbarre dall’inizio del 2010 (dato riferito all’Italia intera). A nostro avviso il problema delle carceri non potrà risolversi se non con l’aumento del personale di vigilanza e, soprattutto, con l’adozione di misure alternative, affinché non rimanga lettera morta il dettato costituzionale che all’articolo 27, 3° comma della Costituzione Italiana, recita: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” - si conclude così la nota del Coordinatore Provinciale di Sel di Capitanata, Domenico Rizzi. Trento: iniziato il trasloco nel nuovo carcere; il governo cerca altri agenti al centro-sud Il Trentino, 23 novembre 2010 È cominciato il trasloco degli uffici nel nuovo carcere a Spini di Gardolo. Nelle stesse ore il sottosegretario Maria Elisabetta Alberti Casellati conferma per fine mese l’entrata in funzione del penitenziario. Ma resta il problema della carenza di agenti: solo 25 le nuove guardie che prenderanno servizio entro novembre, il governo ne cercherà altre nelle carceri del centro e sud Italia. La sottosegretaria ha risposto ad un’interrogazione del deputato Udc Roberto Rao, sollecitata dal collega di partito, il consigliere comunale Paolo Zanlucchi, di fronte al sovraffollamento delle carceri anche in Trentino, “con condizioni inaccettabili per i detenuti ma anche per le guardie carcerarie costrette a lavorare in condizioni estremamente disagevoli”. A nome del ministro della giustizia Angelino Alfano, la risposta del governo è arrivata per voce del sottosegretario Alberti Casellati (Pdl), la quale ha spiegato che la consegna della struttura di Spini, inizialmente prevista per il 30 settembre, è slittata a novembre per la necessità di effettuare alcuni lavori integrativi. “Entro lo stesso mese di novembre - ha detto - il nuovo istituto dovrebbe entrare in funzione”. Proprio in questi giorni sono cominciate le operazioni di trasloco degli uffici da via Pilati a Spini. Ma per il trasloco dei detenuti resta il problema del personale penitenziario: per attivare l’istituto è richiesta infatti la garanzia di un certo numero di agenti che al momento non ci sono. Nei mesi scorsi l’appello al governo era arrivato dalla direttrice delle carceri di Trento e Rovereto Antonella Forgione e, a più riprese, dai sindacati degli agenti, preoccupati che in pochi mesi i detenuti a Spini supereranno di molto la capienza prevista di 250 posti. Con l’arrivo a Trento dei 25 nuovi agenti annunciati dal ministero, e confermati dalla sottosegretaria nella sua risposta all’onorevole Rao, il personale arriverà a 105 - 110 unità, ben lontane però dalle 280 previste in pianta organica. Per recuperare gli agenti che mancano all’appello, Alberti Casellati ha quindi annunciato l’intenzione dell’amministrazione penitenziaria di indire un interpello straordinario rivolto al personale in servizio nei penitenziari del centro e del sud, “dove c’è meno sofferenza di organico”, “che darà agli interessati la possibilità di partecipare alle procedure per l’assegnazione di alloggi demaniali vicini alla nuova struttura”. In ogni caso, per integrare ulteriormente l’organico del carcere di Spini, ha aggiunto la sottosegretaria, “in attesa dell’assunzione di 2 mila unità previste nel piano carceri, sta valutando la possibilità di attingere personale anche da altri istituti”. Quanto al carcere di Rovereto, Casellati ha confermato l’intenzione di chiuderlo: “La struttura versa in precarie condizioni e necessita di continui interventi di manutenzione. Una ristrutturazione generale dell’edificio non appare praticabile considerato che la vetustà e le caratteristiche strutturali dell’immobile condizionano negativamente l’efficacia di eventuali opere che, in ogni caso, ridurrebbero ulteriormente la già limitata capacità ricettiva dell’istituto, pari a 54 posti letto”. Il ministero, ha concluso la sottosegretaria, lavorerà per ottimizzare le risorse umane e finanziarie, tenuto conto che per attivare il nuovo carcere “sarà necessario integrare il personale nel rispetto dei principi di sicurezza e efficienza”. Su questo punto nessuno ha dubbi. Nuoro: il Garante; Iovine è l’unico detenuto di Badu ‘e Carros sottoposto a 41-bis Agi, 23 novembre 2010 Antonio Iovine, il boss dei casalesi rinchiuso nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros da domenica pomeriggio, è l’unico detenuto di questa struttura sottoposto al 41 Bis. L’unico del quale si ha conferma ufficiale perché su eventuali altri nomi non ci sono né conferme né smentite. Sono le uniche notizie che Carlo Murgia, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Nuoro è riuscito ad ottenere dall’ufficio matricole del carcere. Si sa invece che insieme a Iovine sono arrivati a Badu e Carros anche gli uomini del corpo speciale che lo sorvegliano 24 ore su 24. “Il trasferimento di Iovine”, ha dichiarato Carlo Murgia, “è un segnale che va letto con attenzione ma al momento è inutile creare qualsiasi allarmismo”. La sua reclusione non dovrebbe modificare la vita all’interno del carcere ma un eventuale decisione di destinare il nuovo reparto ai detenuti sottoposti al regime duro, potrebbe creare una dimensione che andrebbe contro il lavoro che si sta facendo negli ultimi anni. “Una direzione stabile del carcere”, spiega Murgia, “e la presenza di più educatori, hanno consentito di portare avanti sforzi importanti per privilegiare l’aspetto educativo della pena rispetto a quello punitivo. Badu ‘e Carros si è aperto all’esterno soprattutto con iniziative culturali e di spettacolo, nei prossimi giorni sarà presentato il libro di un detenuto, la biblioteca ha ripreso a funzionare”. Dopo le prese di posizione dei giorni scorsi giovedì si pronuncerà anche il Consiglio Comunale di Nuoro. Sulmona (Aq): detenuto tenta il suicidio con overdose di farmaci, è in gravi condizioni Adnkronos, 23 novembre 2010 Sono ancora gravi questa sera le condizioni del detenuto, un uomo di 45 anni, ristretto all’interno del super carcere di Sulmona (L’Aquila) che questa mattina ha tentato di togliersi la vita ingerendo un grosso quantitativo di farmaci. L’uomo si trova ora ricoverato presso il reparto rianimazione dell’ospedale di Sulmona e secondo quanto riferito dal primario dottor Gianvincenzo D’Andrea “le condizioni dell’uomo arrivato al pronto soccorso dell’ospedale in stato di coma appaiono assai gravi”. Su quanto accaduto sono state aperte due inchieste una della Procura della Repubblica di Sulmona e l’altra della direzione del carcere. Solamente nella giornata di ieri c’era stato un altro episodio di violenza con un detenuto che in preda ad un raptus ha ferito cinque agenti che cercavano di ricondurlo alla ragione. Massa: i detenuti in protesta contro il sovraffollamento e le condizioni del carcere Il Tirreno, 23 novembre 2010 Soffia aria di rivolta nel carcere di via Pellegrini. I detenuti sono ammassati uno sull’altro, il restyling della nuova ala del penitenziario è stato bloccato dopo l’arresto del direttore Salvatore Iodice e non ci sono spazi da dare a chi sconta una pena. E il sovraffollamento - nella sezione C invece di 90 persone ne sono recluse 160 - sta facendo spazientire un po’ tutti. Hanno utilizzato due fogli protocollo a righe per esprimere tutto il loro disagio i detenuti del carcere di Massa. Nel primo hanno scritto a stampatello tutto quello che accade dietro le mura del penitenziario di via Pellegrini - non c’è solo il sovraffollamento, il disagio è totale - e nell’altro hanno raccolto le firme. Non poche: 144, praticamente tutta la sezione C. Sono loro quelli messi peggio, anche se neppure gli altri se la passano bene. “Scriviamo per esporre i gravi problemi che siamo costretti ad affrontare ogni giorno, e per difendere i nostri diritti in primo luogo abbiamo il problema del sovraffollamento, in particolare nella sezione C, dove la capienza massima è di 90 detenuti, contro un numero effettivo di 160 detenuti, il che significa che in una cella di 9 metri quadri (compreso letti, tavolo, armadietti e sgabelli) siamo stipati in 4 persone, il che significa circa un metro quadro a persona, con conseguenti problemi di sopravvivenza, problemi per sedersi a mangiare, per scrivere per leggere, e per fare qualsiasi altra cosa”, scrivono i detenuti. E aggiungono: “Con l’aggravante delle quattro brande che se messe a tre piani diventano alte circa 3 metri e si riesce così ad aprire solo metà finestra con il grave rischio però di cadere durante la notte e farsi male”. Lo sfogo continua: “I materassi dove dormiamo, con tanto di timbro di scadenza, risultano scaduti più o meno da 10 anni e dormiamo praticamente sulla rete in ferro”. I disagi non finiscono qui: “L’altro grave problema è quello della mancanza di acqua dato che l’impianto di adduzione dell’acqua è dimensionato per 90 persone, siamo costretti a turno a fare una doccia ogni 3 - 4 giorni circa, al piano superiore della sezione inoltre per mancanza di pressione siamo costretti a lavarci con secchio e pentolino. Il vitto è scarso a cominciare dal latte che ci viene dato al mattino che essendo insufficiente viene addittivato con acqua del rubinetto”. Infine i topi: “Il carcere è circondato specialmente nelle ore notturne da un esercito di topi che ormai viste le dimensioni chiamiamo canguri, dato che sono ben nutriti grazie alle montagne di spazzature accumulate nel perimetro della struttura e che naturalmente emanano un odore nauseante”. San Gimignano (Si): Polizia penitenziaria in stato di agitazione Il Tirreno, 23 novembre 2010 Nei giorni scorsi, purtroppo, la casa reclusione di San Gimignano è tornata alla ribalta dell’opinione pubblica per un tentativo di evasione di un detenuto, che grazie al pronto intervento del personale di Polizia penitenziaria è stato evitato. Ma la situazione operativa ed organizzativa della casa di reclusione rimane drammatica. A fronte di un sovraffollamento detenuti che complica enormemente lo sviluppo di ogni attività, sia quelle legate alla sicurezza che quelle utili a processi riabilitativi/rieducativi, con un dato consolidato di circa 410 presenze detenuti giornaliere, si devono fare i conti con una grave carenza di personale di Polizia penitenziaria che anche in occasione del prossimo piano di mobilità nazionale vedrà l’istituto di San Gimignano perdere ulteriori tre unità. L’anno scorso, dopo le proteste e le manifestazioni del personale, giunto fino ad incatenarsi all’esterno delle recinzioni del carcere. Tutto veniva legato al termine dei corsi di formazione per i nuovi agenti assunti e del piano di mobilità di cui sopra accennato. In attesa vennero assegnati in missione da altre regioni, dieci o quindici persone che - fino ad oggi - sono rimaste a San Gimignano in attesa dei movimenti assicurati. Invece la realtà è quella appena descritta: il personale inviato provvisoriamente ha terminato il periodo di missione a San Gimignano e rientrerà nelle proprie Sedi di provenienza, dalle scuole e dalla mobilità arriveranno otto unità mentre partiranno per trasferimento ad altri istituti undici unità di Polizia penitenziaria. La situazione nel carcere di Ranza, quindi, non è affatto confortante. E i numeri lo dimostrano. Sono circa 410 detenuti presenti (di questi almeno 120 in regime di alta sicurezza) a fronte di una capienza tollerabile, indicata di 217 posti. Con 134 unità di Polizia penitenziaria effettivamente presenti a fronte di 233 unità previste dal decreto ministeriale del 2001 (decreto sottostimato e mai condiviso dal sindacato). A questo si aggiungono i problemi derivanti dalle ridotte assegnazioni di fondi economici che hanno rallentato (in taluni casi bloccato) anche le opere di ordinaria manutenzione dello stabile, oltre genericamente aver ridotto le varie indispensabili attività interne, sia lavorative che ricreative, risocializzanti e culturali. Una deriva iniziata a San Gimignano già dal 2006, dopo che con l’uscita per pensionamento del direttore del carcere, ha visto il dipartimento non assegnare più un direttore alla casa di reclusione, affidandone la gestione ad incarichi temporanei - spesso di mese in mese - a dirigenti di altri istituti penitenziari che chiaramente non potevano portare avanti un progetto di rilancio, progetto che ha bisogno di un periodo medio lungo per concretizzarsi positivamente. Questo basta per comprendere il grande merito del personale di San Gimignano, sia di Polizia penitenziaria che di quello delle altre aree professionali, che ha dato quanto era possibile. “Adesso però è tempo di intervenire - ha concluso Fabrizio Ciuffini, segretario generale della Cisl Fns - ed è per questo che chiediamo alla dottoressa Giuffrida di rendersi protagonista di una seria riflessione, intervenendo sul dipartimento centrale che non può, come in questa occasione del piano di mobilità del personale, smentire gli impegni assunti l’anno scorso e lasciando San Gimignano in queste condizioni. La nostra segreteria territoriale Fns di Siena ha già proclamato lo stato di agitazione del personale di Polizia penitenziaria e si dichiara pronta ad intraprendere nuove azioni di protesta perché così non si può andare avanti. In questa scelta la segreteria regionale Cisl Fns della Toscana si schiera a fianco delle colleghe e dei colleghi di San Gimignano ed attende di conoscere quali iniziative saranno intraprese a fronte del problema”. Busto Arsizio: poco spazio in cella e docce limitate; 34 detenuti ricorrono alla Corte di Strasburgo Ansa, 23 novembre 2010 Trentaquattro detenuti del carcere di Busto Arsizio (Varese) hanno presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro le loro condizioni di detenzione. È quanto si apprende dalla stessa Corte che ha reso noto di aver comunicato i casi al governo italiano. I giudici di Strasburgo restano in attesa che l’Italia fornisca ora le necessarie informazioni per poi determinare se vi sia stata o meno una violazione dell’articolo 3 della Convenzione che stabilisce il diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. I detenuti sostengono che il loro spazio personale in cella è inferiore ai 3 metri quadrati, per l’esattezza affermano che, dovendo condividere la cella con altri 2 detenuti, lo spazio per ciascuno è di 2,5 metri quadrati. Inoltre, dicono di avere un accesso limitato alla doccia perché nel carcere non c’è sufficiente acqua calda. I trentaquattro ricorsi sono stati presentati a Strasburgo nell’arco di tre mesi, a partire dal 6 agosto. Meno di un mese prima, il 16 luglio, l’Italia era stata condannata dalla Corte di Strasburgo a risarcire mille euro a un detenuto bosniaco per i danni morali subiti a causa del sovraffollamento della cella in cui era stato recluso per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia. Secondo i giudici, Izet Sulejmanovic, era stato sottoposto a trattamento inumano e degradante perché per tre mesi aveva dovuto dividere una cella di 16,20 metri quadri con altri 5 detenuti, e questo riduceva il suo spazio personale a 2,7 metri quadrati. Sulmona (Aq): agente aggredito e ferito da un detenuto Agi, 23 novembre 2010 Un agente della polizia penitenziaria in servizio al super - carcere di Sulmona è stato aggredito e ferito da un campano, di 38 anni, ristretto al secondo piano nella sezione reclusi. Il detenut, per futili motivi, si è scagliato contro l’agente con calci e pugni, tanto da costringerlo a fare ricorso alle cure dell’infermeria interna. L’autore del gesto, portato anche lui in infermeria, ha distrutto arredi e suppellettili nell’antistanza dove stava aspettando il turno per la visita medica di routine. I quattro agenti intervenuti hanno faticato non poco per immobilizzarlo. Il detenuto in precedenza era stato ristretto presso un ospedale psichiatrico giudiziario. “La situazione è ormai insostenibile - ha dichiarato Andreano Picini, del sindacato Ugl penitenziari - anche in virtù del ritorno ad Avezzano degli agenti che prima erano aggregati a Sulmona. La carenza di personale costringe a turni massacranti, con gli agenti che effettuano il normale servizio e poi, sempre più spesso, devono rientrare a lavoro per l’effettuazione di straordinari necessari a garantire i servizi di sorveglianza. Prima dell’ampliamento previsto dal piano Alfano - conclude Picini - chiediamo che l’organico del personale venga reintegrato”. Roma: Associazione Papillon; chiude la biblioteca dei detenuti, il sindaco Alemanno intervenga La Repubblica, 23 novembre 2010 Venerdì scorso, dopo quattro anni di attività, ha cessato la sua attività aperta al pubblico la biblioteca del Casale Ponte di Nona, gestita dall’Associazione culturale Papillon - Rebibbia, composta da detenuti ed ex detenuti. L’allarme era stato lanciato da tempo, e per la biblioteca dei detenuti non c’è stato nulla da fare. Non avevano neanche i soldi per pagare le bollette del riscaldamento e nessuno è più intervenuto. Ora si rivolgono al sindaco Gianni Alemanno perché si occupi in prima persona della vicenda. Venerdì scorso, dopo quattro anni di attività, ha chiuso al pubblico la biblioteca del Casale Ponte di Nona, gestita dall’Associazione culturale Papillon - Rebibbia, composta da detenuti ed ex detenuti. Un’esperienza originale che nel corso di questi anni ha permesso un primo reinserimento nel mondo del lavoro a diverse persone e si è proposta come centro culturale ospitando spettacoli e spazi ludici per i bambini. La struttura, inserita nel polo bibliotecario dell’Università La Sapienza, dispone di 7.200 titoli catalogati in elettronico. Nel giugno scorso, quando le difficoltà economiche hanno iniziato a farsi più stringenti, era arrivato un finanziamento dell’assessorato alle Politiche sociali della Provincia di Roma con cui la struttura è sopravvissuta per altri 4 mesi ed ha incrementato il suo patrimonio librario. Ora però non si va più avanti. Il responsabile dell’Associazione Papillon - Rebibbia Vittorio Antonini, ex Br tra i responsabili del sequestro del generale James Lee Dozier, ora detenuto in regime di semilibertà, lancia un appello ad Alemanno: “La Segreteria del sindaco, nonostante l’encomiabile impegno di un suo delegato, non ha trovato la forza neanche per far svolgere un sopralluogo ai Dipartimenti competenti, così da permettergli di rendersi conto della validità sociale, culturale e ludica di questa nostra esperienza. “Nei mesi scorsi l’associazione aveva chiesto più volte al Campidoglio che la struttura venisse inserita nel circuito delle biblioteche comunali, anche in virtù della sua collocazione ‘di frontierà, in una delle nuove periferie della capitale. “Questi pigri funzionari di Roma Capitale - prosegue Antonini - avrebbero potuto almeno chiedere una valutazione ai tanti, autorevoli esponenti di destra, di sinistra e di centro, del Parlamento e degli enti locali, che in questi 4 anni hanno avuto modo di vedere da vicino e apprezzare la nostra attività. Ultima in ordine di tempo, il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, che lo scorso 17 aprile ha visitato la biblioteca”. La biblioteca ha chiuso perché non ha più i fondi nemmeno per pagare le utenze indispensabili, come ad esempio il gas per il riscaldamento. “Speriamo che a questo punto il sindaco intervenga personalmente, senza intermediari e con un pizzico di sano decisionismo - conclude Antonini - per ordinare agli uffici competenti di fare semplicemente il loro dovere, ossia di sostenere concretamente l’attività e anzi l’ulteriore sviluppo di questo nostro periferico ma importante centro di promozione culturale e ludico”. Verona: progetto “Immagin(ar)i”; i detenuti realizzano un libro fotografico Redattore Sociale, 23 novembre 2010 Detenuti veronesi a confronto con il mondo del marketing e della comunicazione: è il progetto “Immagin(ar)i”, presentato questa mattina a Verona, che prevede la realizzazione di una pubblicazione fotografica, a seguito di un percorso formativo in grafica digitale, fotografia e impaginazione cui hanno preso parte 6 detenuti in esecuzione penale esterna. L’iniziativa sarà finalizzata all’inserimento lavorativo in due aziende della provincia. “Il materiale pubblicato riguarda il passato delle persone condannate, la famiglia e le emozioni che più li hanno accompagnati in questi anni, quali la solitudine e la trasgressione” spiega il coordinatore del progetto Cristiano Bolzoni. E l’assessore al Lavoro e Servizi sociali Fausto Sacchetto aggiunge: “Queste opportunità innovative permettono ad alcune persone di acquisire competenze professionali qualificate per il mondo del lavoro e di sviluppare un adeguato senso civico. La provincia è da sempre attenta a questa realtà”. Cagliari: mostra di gioielli filet realizzati dalle detenute di Buoncammino Sardegna Oggi, 23 novembre 2010 Una cinquantina tra bracciali, pendenti, girocolli, orecchini, pezzi unici realizzati con l’arte del filet da una ventina di detenute del carcere cagliaritano di Buoncammino, saranno in mostra nella Biblioteca della Scuola Media “Cima” dal prossimo 29 novembre al 4 dicembre. L’iniziativa è il frutto della collaborazione tra il Centro Territoriale Permanente della scuola media “Giuseppe Manno”, il Conservatorio di Musica “Pierluigi da Palestrina”, la sezione femminile della Casa Circondariale di Buoncammino, il laboratorio “Trina” di Mariangela Porcu e la scuola media Cima. L’appuntamento “Gioielli e Filet: dalla tradizione al moderno” è il risultato del progetto “I gioielli e il ricamo”, ideato e curato dalla docente Alba Demurtas e dalla maestra di filet Mariangela Porcu che hanno dedicato trenta ore alla formazione delle detenute. Il corso, che si è avvalso della collaborazione dell’area trattamentale di Buoncammino, diretta da Claudio Massa, con il coordinamento da Giuseppina Pani, si è sviluppato nell’arco di alcuni mesi. Il progetto. “La mostra - mercato allestita al centro di Cagliari è la dimostrazione - afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” - della forza che può sprigionarsi da un progetto culturale all’interno di un Istituto di Pena. È stata infatti non solo un’occasione per le detenute ma anche un momento significativo per la struttura che nonostante le difficoltà oggettive, è riuscita a far vivere esperienze positive a chi si trova in difficoltà”. Alba Murtas ha spiegato che “durante le lezioni le detenute hanno scoperto come nascono i pavoni, i fiori, i tralci di vite con il ricamo filet e appreso a trasformarli in originali gioielli dai colori pastello. Non si è trattato solo un momento di svago per le donne ristrette ma anche di un’occasione per acquisire una competenza lavorativa spendibile sul mercato”. Gli obiettivi. “L’obiettivo della Direzione è stata duplice - ha sottolineato Michela Cangiano, comandante degli Agenti di Polizia Penitenziaria - dare maggior senso e dignità al periodo della carcerazione e tentare di restituire alla società persone che in grado di effettuare scelte diverse da quelle criminali una volta scontata la pena. Solo proseguendo su questa strada è possibile dare al cittadino una sicurezza reale e duratura, non limitata al periodo di carcerazione. Un successo - ha aggiunto Cangiano - ancora più significativo in quanto frutto dell’impegno e del sacrificio personale di coloro che ogni giorno lavorano nel carcere tra i quali gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria, gli educatori e tutti gli altri collaboratori che operano in una situazione di estrema difficoltà caratterizzata da una profonda carenza di risorse materiali ed umane e, a volte, dall’indifferenza della società verso i problemi penitenziari”. Il ricavato della vendita sarà utilizzato per nuove iniziative destinate al carcere. Vasto (Ch): venerdì e sabato un convegno sul Diritto penitenziario Agi, 23 novembre 2010 “Il Diritto penitenziario oggi: quale alternativa al carcere”. È il tema del convegno in programma venerdì 26 e sabato 27 novembre prossimi presso l’aula magna del Tribunale di Vasto (Chieti), su iniziativa dell’Ordine degli Avvocati di Vasto in collaborazione con la Direzione della Casa Circondariale di Vasto. Il convegno, patrocinato dalla Provincia di Chieti, dal Comune di Vasto, dall’Università del Molise e dall’Associazione Nazionale dei Dirigenti dell’Amministrazione Penitenziaria, ha quale finalità quella di affrontare il tema del trattamento penitenziario e del reinserimento dei detenuti, alla luce degli attuali orientamenti legislativi, delle norme e dei possibili percorsi al riguardo. Il convegno intende, altresì, fornire a tutti i protagonisti dell’universo penale, così come anche alla collettività, un patrimonio di idee, di strumenti e di esperienze per un reingresso positivo dei detenuti nella società come previsto dalla Carta costituzionale. I lavori cominceranno alle 15 di venerdì. Bologna: carcere minorile aperto alla cultura e al teatro, così si compie il “riscatto” dei detenuti di Lucia Cominoli Affari Italiani, 23 novembre 2010 “Una macchina celibe, scabra e sgarbata, capace di evolversi e di ripartire dallo zoccolo del romanzo...”. Descrive così Paolo Billi, da dodici anni regista della Cooperativa Bloom Teatro del Pratello, il suo ultimo spettacolo “Don Chisciotte Collapse” con i detenuti dell’Istituto Penale Minorile di Bologna, ispirato proprio all’opera seicentesca di Miguel de Cervantes. Risultato di un lungo laboratorio di scrittura condotto con i ragazzi dal codrammaturgo Filippo Milani questo lavoro di Don Chisciotte rappresenta davvero il “collasso”, quello ovvero di un eroe destinato, nel nome di un sogno, a essere deriso fino a morirne. Un Don Chisciotte ridotto ai minimi termini e che perfino si sdoppia, ora uomo anziano, interpretato dal Comandante degli agenti penitenziari Aurelio Morgillo, che lì, sul palco del teatro, si trova improvvisamente ad assistere alla propria storia, ora giovane protagonista, interpretato da uno dei ragazzi, protettore dei deboli e degli oppressi, oggetto della violenza fisica e psicologica di due grottesche figure, un Duca e una Duchessa, re e regina di un surreale Teatro delle Beffe. Le “Lezioni su Don Chisciotte” di Vladimir Nabokov e le canzoni di Jacques Brel sono stati lo spunto su cui i ragazzi hanno riflettuto, giocato e agito coadiuvati dai volontari di Botteghe Molière, gruppo nato da un progetto di formazione sui generis dedicato a non professionisti che desiderano l’esperienza di un doppio confronto con la scena e con la realtà carceraria, insieme a due studenti dell’Università della Terza Età “Primo Levi”. I ragazzi protagonisti anche della costruzione dell’intera scenografia, grazie alla collaborazione delle maestranze del Teatro Comunale, sono riusciti a costruire un vero e proprio immaginifico panopticon, una scatola teatrale meccanica dalle mille oniriche sfaccettature in cui, si vocifera, non mancheranno sorprese ed effetti speciali. Il Teatro del Pratello, insieme al gruppo Puntozero di Milano, al Kismet opera di Bari e alle Officine Ouragan di Palermo è una di quelle realtà teatrali che ha testardamente continuato a proseguire la propria attività, nonostante il continuo taglio dei fondi, per aprire ancora una volta le porte del carcere al pubblico esterno, nel nome di una comunicazione tra dentro e fuori che vuole fuggire i rischi del patetismo e della macabra curiosità per costringere piuttosto il pubblico a non scindere le circostanze sociali dall’arte, a comprendere che i meccanismi intrinseci su cui si regge la nostra “minacciata” sicurezza sono in realtà il primo risultato dei nostri stessi egoismi. Processi lenti e complessi, a volte più semplici con i minori, che tuttavia il regista Paolo Billi ha voluto tentare anche con gli adulti, i detenuti della Dozza, la Casa Circondariale di Bologna, che con “Nastasia” la scorsa primavera hanno calcato con successo i palchi del Teatro Stabile Arena del Sole. Nel 2011 “La verità salvata da una menzogna” ne sarà la prosecuzione, il 14 e il 15 aprile sempre all’Arena, per un secondo studio su Dostoevskij, autore che, come Cervantes, in galera trascorse ingiustamente buona parte della vita. Ivrea (To): il Comune presenta il progetto “Libri dal Carcere” La Sentinella, 23 novembre 2010 Il Comune presenta il progetto “Libri dal Carcere” portato avanti dall’A.p.r.i. Onlus (Associazione Piemontese Retinopatici ed Ipovedenti). È questa un’associazione di volontariato che riunisce e rappresenta sia non vedenti sia ipovedenti del territorio della regione Piemonte; l’A.p.r.i. offre spazio anche alle persone che accanto alle difficoltà visive presentano deficit uditivi. Attualmente l’Associazione sta realizzando all’interno del carcere di Ivrea un progetto denominato appunto “Libri dal Carcere”. L’attività viene effettuata con la collaborazione di alcuni detenuti che hanno deciso di impegnarsi in questo lavoro a titolo volontario e gratuito. Il progetto vede impegnati la direzione e il personale della Casa Circondariale di Ivrea, nonché gli Assistenti Volontari Penitenziari. L’obiettivo è di fornire ai bambini ed ai ragazzi ciechi, ipovedenti e dislessici, libri di testo multimediali per aiutarli nei loro studi, dalle favole per la prima infanzia ai testi universitari. Il progetto “Libri dal Carcere” verrà illustrato, in un incontro aperto al pubblico, mercoledì 24 novembre, alle ore 17.00, presso la Sala Dorata del Palazzo Municipale. Dopo i saluti dell’assessore alle Politiche Sociali di Ivrea Paolo Dallan, sono previsti gli interventi di Maria Isabella De Gennaro, direttore della Casa Circondariale di Ivrea; Giuliana Bertola, presidente Assistenti Volontari Penitenziari; Ivo Cavallo, consigliere A.p.r.i. Chiuderà i lavori Marco Bongi, presidente dell’Associazione A.p.r.i. Svizzera: nelle prigioni elvetiche si sta troppo stretti, disagi per detenuti e agenti ww.swissinfo.ch, 23 novembre 2010 I penitenziari in Svizzera sono sovraffollati. Questa situazione mette a dura prova detenuti e addetti alla sorveglianza. Anche nella struttura di Berna le condizioni sono difficili. Nel carcere regionale di Berna, in funzione dal 1974 e a un tiro di schioppo dalla stazione ferroviaria della capitale elvetica, c’è un certo movimento. Una donna di colore e sua figlia lasciano l’edificio. Probabilmente hanno visitato il padre. Poco dopo, un giovane con le manette viene condotto da un secondino all’interno della struttura carceraria. Nel contempo, una ventina di giovani detenuti di origine straniera trascorre, sotto l’occhio vigile degli agenti di custodia, l’ora quotidiana di “libertà” nel cortile del penitenziario. Giocano a calcio balilla o a ping-pong. Passano le restanti 23 ore nelle loro celle, solitamente senza la compagnia di un altro detenuto. Non escono nemmeno per il pranzo. “È dura”, afferma la direttrice della prigione Marlise Pfander. Il regime detentivo è tutt’altro che dolce. “Le persone si trovano spesso confrontate con una forte tensione psichica e nervosa”. Nelle piccole stanze l’arredamento è spartano: un letto, un tavolo e una sedia, un ripiano, un televisore e un gabinetto con lavello. Alla finestra c’è una grata di ferro, alle pareti incisioni in varie lingue. I detenuti possono portarsi libri, materiale per scrivere e un paio di oggetti personali. Computer e telefonino sono proibiti, così come gli utensili di metallo. È una misura preventiva volta a impedire che i prigionieri si facciano male. Non è tuttavia sempre possibile evitarlo. L’ultimo suicidio risale a poche settimane fa. La maggior parte dei detenuti si trova in stato di custodia preventiva. Ci sono anche richiedenti l’asilo in attesa di essere espulsi o prigionieri che scontano un’incarcerazione breve. Sono molti quelli che attendono di poter essere assegnati ad un’altra struttura carceraria. Vista la penuria di posti liberi, spesso attendono - in condizioni difficili - anche più di mezzo anno. “Rimangono nelle loro celle 23 ore su 24, non ricevono nessun tipo di terapia e non svolgono nessun tipo di occupazione. Non siamo attrezzati per delle pene detentive prolungate”, afferma Pfander, direttrice da sei anni della prigione regionale di Berna. “Una manciata di detenuti è impiegata in cucina, un gruppo è addetto alle pulizie e uno al cartonaggio. Questo è tutto”. La struttura potrebbe accogliere fino a 126 detenuti. Da mesi è però sovraffollata. Così, i locali di lavoro sono stati convertiti in celle di emergenza, la biblioteca è stata ridotta e anche gli spazi per le attività amministrative sono carenti, ricorda un addetto alla sorveglianza. A causa di questa situazione, le aggressioni aumentano, specialmente quando più detenuti devono dividere una cella. “Il sovraffollamento causa maggiore stress. I prigionieri sono già confrontati con vari problemi. A volte, matrimoni o relazioni vanno in frantumi”. Malgrado queste difficili condizioni, Marlise Pfander, soprannominata “Prison - Mama”, tenta di offrire un’assistenza dignitosa ai detenuti. “Li trattiamo tutti in maniera uguale, senza nessun tipo di distinzione. Non sta a noi giudicare. Questo compito spetta ad altri”. Conosce per nome tutti i prigionieri condannati a una pena detentiva lunga e anche gli “ospiti regolari”, specialmente quelli puniti per reati riguardanti la droga. Ascolta con interesse le loro richieste e a volte li visita nelle loro celle, malgrado i rimproveri dei suoi collaboratori. “È un vantaggio avere quasi sessant’anni. Vedono in me una figura materna e mi trattano, di regola, con rispetto”. Anche i secondini vivono una situazione spiacevole a causa del sovraffollamento, sostiene Pfander. “Hanno meno tempo a disposizione per i detenuti e così la pressione sale”. Devono accompagnare i carcerati alle docce, alla quotidiana passeggiata, alle visite mediche. Sono tenuti a controllare anche le attività di pulizia e a portare loro i pasti. “Si immagini. Già di prima mattina, quando consegnano la colazione, vengono subito aggrediti verbalmente, anche in maniera pesante. Devono tuttavia mantenere la calma. Al personale viene chiesto molto”. Anche il compito della direttrice è tutt’altro che semplice. Il suo lavoro è duro, ma lo svolge con grande entusiasmo. “Si resiste soltanto se si trascorre volentieri del tempo a contatto con le persone. È inoltre necessaria una grande esperienza”. L’uscita all’aria aperta dell’ultimo gruppo di detenuti è finita. Si ritorna quindi in cella. Intanto, in cucina il personale e sei prigionieri hanno preparato la cena: patate al forno, cipolle e salsicce. Francia: nel carcere di Strasburgo inaugurato il primo “salone di bellezza” per i detenuti Apcom, 23 novembre 2010 Il carcere di Strasburg - Elsau, inaugura il primo salone di bellezza all’interno di una prigione francese. “Non siamo a conoscenza di altri esempi in Francia” afferma Armand Perego, presidente della croce rossa nazionale, promotore dell’iniziativa realizzata insieme all’amministrazione penitenziaria. Con i suoi 20 metri quadrati (che possono accogliere circa 30 detenute) il salone assomiglia ad una vera e propria oasi di pace. Le detenute potranno affidarsi alle mani esperte di un estetista per 45 minuti al mese e rilassarsi con massaggi, gommage, e maschere di oppure prendersi cura dei loro capelli nell’area “coiffure”. Per Alain Reymond, direttore del carcere, si tratta di “donare nuovamente alle detenute una dignità che credevano di aver perduto”. “Ovviamente senza dover pagare niente” precisa il direttore, rilevando che la croce rossa ha investito 4.000 euro nella creazione del salone. Il carcere di Elsau accoglie 673 detenuti per 444 posti e non è la prima volta che accoglie iniziative di tal genere. Nel 2008 ha realizzato un’esperienza inedita in Francia proponendo alle detenute di occuparsi regolarmente di tortore, porcellini d’india, conigli e altri furetti per addomesticarli e tenerli con sé come compagni delle loro angosce e solitudini.