Giustizia: quelle notizie sulle morti in carcere... che non sono ritenute “notiziabili” di Valter Vecellio www.lucacoscioni.it, 22 novembre 2010 Nelle carceri si muore così spesso perché sono diventate il ricettacolo di tutti i disagi sociali, con detenuti tossicodipendenti, malati di mente, sieropositivi. Lo denuncia l’Osservatorio nelle carceri. Le rassicurazioni del Ministro e il silenzio mediatico non incoraggiano le persone “sepolte” dietro le sbarre. Notizie dal carcere che non sono, evidentemente ritenute “notiziabili”, forse perché, chissà, non sono sufficientemente “divertenti”, per essere “interessanti”. Fatto è che su questi temi nessun “Porta a porta”, nessun “Ballarò” o “Anno zero”… e sì che… Cominciamo con i numeri, che non dicono tutto, ma rivelano molto. Dall’inizio dell’anno, al momento in cui scriviamo, si sono tolti la vita nelle carceri italiane 57 detenuti. Attenzione: sono quelli ufficiali. In realtà, sono molti di più. Se per esempio un detenuto cerca di impiccarsi, ma all’ultimo minuto, i compagni di cella o gli agenti di polizia penitenziaria lo salvano, ma lui entra in coma, e viene ricoverato in ospedale; e lì, dopo un’agonia di qualche giorno non ce la fa, e muore, allora il suo caso, questo suicidio non viene rubricato tra quelli in carcere. Perché è morto fuori… Ad ogni modo, il numero dei suicidi nelle carceri italiane è 24 volte superiore a quello della popolazione libera, si suicidano 11,1 detenuti ogni 10mila. Il fenomeno riguarda anche il personale della polizia penitenziaria, il cui tasso di suicidi è di 1,3 ogni 10mila addetti, contro una media nazionale dello 0,6. I dati sono ufficiali, e sono la dimostrazione solare di come sia fondata e urgente la questione che Marco Pannella pone con il suo satyagraha, lo sciopero della fame iniziato il 2 ottobre scorso, e che intende porre alla nostra attenzione la condizione in cui versa la giustizia italiana, e delle carceri in particolare. Il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria riferisce che a metà del mese di ottobre nelle nostre carceri sono richiusi 43.325 italiani e 25.211 stranieri. I condannati sono 24.313. Oltre ai suicidi, sono impressionante i dati relativi all’autolesionismo, dimostrazione della situazione insostenibile: dall’inizio dell’anno se ne sono censiti ben 4.537. I tentati suicidi sono 911. A fronte di questa situazione, le dichiarazioni ilari del ministro della Giustizia Angelino Alfano, che la politica del governo sta “seminando bene”. Il fatto è che non germoglia e non lievita nulla. Il ministro assicura che si sta investendo per risolvere il problema del sovraffollamento; emendando - vedi mai - in modo sostanzioso leggi criminogene come la Bossi-Fini sull’emigrazione, o la Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze? Assolutamente no. Piuttosto costruendo nuove carceri. Quello dietro le sbarre è un vero e proprio inferno, come hanno potuto toccare con mano, nei giorni di Ferragosto, centinaia di parlamentari e consiglieri regionali che hanno raccolto l’invito di Rita Bernardini e dei radicali di trascorrere qualche ora ispezionando le carceri italiane. È una “Spoon River” del dolore e della sofferenza, quella che emerge dai racconti resi a “Radio Radicale”, una realtà fatta di celle vecchie, sporche, sovraffollate, di cure mediche negate, di malattie in aumento. Non è solo un’emergenza, è una vergogna, fatta di una illegalità quotidiana che si consuma ogni giorno in nome della legge, e chi commette questa illegalità è lo Stato, quella che emerge dalle centinaia di interrogazioni presentate da Rita e dagli altri parlamentari, e che non hanno risposta, perché il ministro Alfano e i suoi collaboratori sono impegnati in “lodi” più o meno retroattivi e in leggi salva-Berlusconi. E però qualcosa, sia pure lentamente, si muove. Giorni fa, il sito di “Fare Futuro”, il gruppo che fa capo a Gianfranco Fini, pubblicava un editoriale nel quale si sostiene che occorre “studiare alternative alla detenzione preventiva”; e a proposito della proposta di amnistia e di indulto, prima di dire no, bisognerebbe almeno fare una stima dei costi e dei benefici, che non servono battaglie ideologiche, ma visioni pratiche capaci di trovare soluzioni a problemi che non si possono lasciare ulteriormente incancrenire”. Ecco: proprio perché occorre uno spirito laico e pragmatico, forse sarebbe utile un monitoraggio dei risultati delle leggi Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze, e Bossi-Fini sugli extracomunitari, così da sapere quali sono i costi e quali i benefici. Magari si scoprirà che i benefici non ci sono, e i danni sono tantissimi. Si scoprirà forse che queste due leggi hanno dato un buon contributo all’attuale situazione nelle carceri, e che ci possono essere altre soluzioni. La mamma di un tossicodipendente detenuto nel carcere fiorentino di Sollicciano implora: “Mio figlio ha già tentato di uccidersi tre volte. È malato e ha bisogno di cure: aiutatemi a fargli scontare la pena in una comunità. Chiedo di valutare la situazione alla luce delle numerose patologie di cui soffre. La carcerazione non lo aiuta sicuramente, credo che ci debba essere un’alternativa al carcere. Noi non chiediamo di liberarlo, ma di avere la possibilità di andare in una comunità terapeutica che sarebbe pronta ad accoglierlo a Pistoia”. Fategliela leggere, questa lettera, al ministro Giovanardi, che va dicendo in giro che con la sua legge in galera non ci va nessuno! Giustizia: Bernardini (Radicali); basta con gli “ingressi facili” in carcere Ristretti Orizzonti, 22 novembre 2010 Dichiarazione di Rita Bernardini, parlamentare radicale, componente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. “La Corte di Cassazione, con la importante sentenza n. 38179 del 2010, ha solennemente ribadito che la persona fermata in flagranza di reato non deve essere condotta direttamente in carcere in quanto questo comporterebbe un inaccettabile aggravio dello stato di restrizione della libertà personale per l’arrestato, impropriamente costretto a fare ingresso nel circuito penitenziario in attesa della decisione del tribunale. Capita spesso infatti che le forze dell’ordine, nelle more del giudizio di convalida dell’arresto, cerchino di sopperire alla difficoltà di dotarsi di celle di sicurezza conducendo direttamente in carcere la persona arrestata. Tale modus operandi, giudicato non conforme con la disciplina di settore, oltre a confliggere con le esigenze di garanzia dell’arrestato - illegittimamente condotto in un ambiente carcerario anche quando dovrebbe essere applicata nei suoi confronti la meno invasiva custodia presso gli organi di polizia giudiziaria - è il principale responsabile dell’attuale sovraffollamento carcerario e dei suoi ingenti costi umani ed economici. Basti pensare a tutte quelle persone, soprattutto extracomunitarie, che ogni anno fanno inutilmente ingresso negli istituti penitenziari per restarci solo qualche ora in attesa che il giudice di turno decida sulla convalida dell’arresto e sulla misura cautelare da applicare nei loro confronti. Se il Governo intende veramente cominciare ad affrontare il grave problema del sovraffollamento carcerario, ponga rimedio ai gravi problemi organizzativi denunciati dalla polizia giudiziaria così da evitare nell’immediato futuro ulteriori incongrui ed automatici “passaggi in carcere” delle persone arrestate. Lo stesso Ministro della Giustizia in una audizione in Commissione giustizia dell’ottobre del 2008, aveva fornito numeri eloquenti che, è facile prevedere, oggi si sono ulteriormente aggravati: “l’entra ed esci”, che quotidianamente interessa gli istituti penitenziari disse Alfano - si traduce in una movimentazione di circa 170.000 detenuti ogni anno, con un sovraccarico di lavoro anche per le traduzioni che, nel solo 2007, sono state oltre 300.000. Per noi radicali - ricordiamo che Pannella è in sciopero della fame dal 2 ottobre anche sull’illegalità della carceri e sul dissesto della Giustizia italiana - è essenziale però che, nel prendere questo tipo di misure, sia contemporaneamente garantita la possibilità ai parlamentari e ai consiglieri regionali di svolgere il loro sindacato ispettivo non solo nelle carceri ma anche nelle cosiddette “camere di sicurezza”. Dispositivo della sentenza Arresto in flagranza - Convalida dell’arresto - Presentazione diretta - Conduzioone dell’arrestato in carcere per mere esigenze organizzative . Improprietà (Ccp, art. 558). In caso di arresto in flagranza, nelle ipotesi in cui debba procedersi alla convalida nelle forme indicate dall’art. 558 del codice di procedura penale, con la conduzione diretta davanti al giudice dell’arrestato, nel frattempo custodito presso la polizia giudiziaria, gli eventuali problemi organizzativi della polizia giudiziaria, specialmente ove strutturali, non possono essere sistematicamente risolti con l’aggravio dello stato di restrizione della libertà personale, attraverso incongrui “passaggi in carcere” dell’arrestato. Sezione VI, sentenza 14-27 ottobre 2010 n. 38179. Giustizia: nascono a Padova gli “psicologi di strada”, in difesa di clochard ed ex detenuti Adnkronos, 22 novembre 2010 Senza lavoro, senza affetti, senza più una vita normale. Chi finisce per strada non resta ai margini solo per motivi economici, ma nasconde sofferenze psichiche che condannano spesso a un viaggio senza ritorno. La vita dei clochard italiani, per molti anni appesa a un filo invisibile di precarietà e stenti, è molto migliorata da quando gli avvocati di strada sono accorsi in loro aiuto, risolvendo gratuitamente i guai con la legge in cui si sono imbattuti nel loro cammino solitario. E ora, dopo i legali “on the road”, arrivano gli psicologi di strada, pronti a sostenerli anche moralmente nella quotidianità. Questa nuova figura, la prima in Italia, nasce grazie al progetto Com-munitas, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo nell’ambito di “Progetti per il Sociale”, dal Csv e dal Comune di Padova: alla figura del principe del Foro paladino dei diritti dei senza tetto, si affianca quella dello psicologo, per una presa in carico globale e gratuita delle persone in difficoltà a causa di problemi legali, relazionali, o psichici. A promuovere il progetto, che durerà 24 mesi, l’Associazione Granello di Senape e la Caritas Diocesana. “Si tratta di un’esperienza-pilota a livello nazionale - fanno notare gli organizzatori - che appena nata ha già riscosso l’attenzione degli operatori sociali e delle pubbliche amministrazioni di altre grandi città, come Bologna ed Ancona, che stanno pensando di importare l’iniziativa”. Com-Munitas parte dall’esperienza del Servizio di Avvocato di strada, l’associazione nata a Bologna dieci anni fa, che ha visto negli anni un coinvolgimento nazionale nella difesa dei senza fissa dimora con la creazione di ben 19 sportelli, da Bolzano a Taranto. A Padova, dove ora prende il via l’esperienza degli psicologi di strada, l’associazione è nata nell’autunno del 2004, grazie all’impegno di un piccolo gruppo di volontari, con l’obiettivo di dare consulenza e assistenza legale alle persone emarginate, in particolare senza fissa dimora ed ex detenuti. Qui, in 6 anni di attività dei legali on the road, dicono gli organizzatori del nuovo progetto, “gli utenti presi in carico sono stati oltre mille, i volontari scesi in campo 40, di cui 32 avvocati, e sono stati realizzati ben 4 corsi di formazione per i volontari e una Guida ai servizi per i senza tetto”. Ma tornando al progetto degli psicologi di strada, si fa notare che lo studio condotto sulle “persone gravemente emarginate”, ha fatto scoprire nel tempo una condizione “di scivolamento lungo una china di disagio psichico, sociale, fisico e infine di chiusura ad ogni relazione significativa con la realtà. Sono persone - spiegano i volontari - che, a partire da un’esperienza di particolare sofferenza, percepita come massimo punto di crisi, si sbilanciano in modo apparentemente irreversibile dalla normalità, fino a fermarsi alla soglia minima della sopravvivenza, in un orizzonte che si appiattisce nel bisogno del momento presente, giorno per giorno, ora per ora. È una condizione di vita, raccontano ancora i volontari, più pesante di quanto non possa superficialmente apparire: gran parte dei clochard, vivendo in uno stato di precarietà, nell’arco di un decennio muore per traumi “da strada”, tra incidenti, aggressioni, infezioni, tumori, malattie alcool-correlate, malnutrizione e assideramento. E qualcuno si ritrova con una salute gravemente compromessa”. Accade così che molte persone senza dimora, stabilmente in una condizione d’estrema stanchezza fisica e di confusione mentale, si adattano a una vita fatta d’espedienti, senza tentativi di reale cambiamento, quasi a proteggersi, in quell’immobilismo, dalla paura di nuovi fallimenti. I clochard, proseguono gli ideatori del progetto, non condividono più i tempi, gli spazi e i consumi comuni agli abitanti della città; da senza dimora perdono gradualmente anche l’identità di cittadini, fino a divenire per la società che li circonda, un emblema della legge naturale della selezione e della sopravvivenza, una legge spietata con tutti coloro che non reggono il passò. La storia della maggior parte dei senza dimora: è una catena di sradicamenti progressivi e cumulativi: dal lavoro perduto ripetutamente o mai trovato, al mondo degli affetti rotti o troppo deboli, ad un ruolo di poco conto nel proprio territorio, all’inadeguatezza culturale, infine ad un’uscita progressiva dagli standard della vita normale. Ecco perché, si fa notare, “serve un supporto globale alla persona che, partendo da una precisa lettura dei disagi, la accompagni in un percorso di riappropriazione delle risorse e abilità personali, quindi nel recupero dell’autostima”. Oltre alle persone in difficoltà per definizione, gli homeless appunto, il Servizio di Com-munitas intende affrontare altri tipi di disagio sociale, magari meno visibili, ma altrettanto drammatici per coloro che ne sono portatori: in primo luogo l’impoverimento relazionale di molti anziani che vivono da soli fino ad arrivare al cosiddetto barbonismo in casa, ma anche “la vergogna e la discriminazione subita dai parenti dei detenuti”. L’assistenza psicologica affiancata a quella legale, partirà da Padova, una città dove l’emergenza dei senza tetto non tocca i picchi delle grandi aree metropolitane come Roma e Milano. Ma qui, la piccola esperienza nel campo ha portato i suoi frutti. A Padova, le persone senza dimora sono prevalentemente maschi, di età media tra i 25 e i 45 anni, sparsi tra luoghi come dormitori, mense, docce, centri distribuzione vestiario, centri di ascolto, ambienti sanitari, strutture di seconda accoglienza, unità di strada e anche stazioni ferroviarie, piazze, case abbandonate, giardini. Sono oltre 500 persone, di cui meno della metà trova alloggio nei dormitori pubblici, il resto peregrina per le vie delle città. Dallo studio che ha poi dato vita al progetto Com-munitas, è emerso che, tra le persone che utilizzano i servizi, il 13% soffre di evidenti disturbi psichici, il 26% di disturbi fisici e il 34% ha problemi di dipendenza da sostanze (per la maggioranza problemi alcool-correlati). I clochard che soffrono di disturbi fisici nei dormitori sono il 19%, quelli in strada sono più del 30%. E poi c’è la realtà degli ex detenuti e i loro parenti a Padova: nelle due carceri della città sono detenute circa 1.000 persone; il turn-over è elevatissimo alla Casa Circondariale (permanenza media 3 mesi) e più moderato alla Casa di Reclusione. In media le persone scarcerate sono 1.200 ogni anno, le metà delle quali rimane nel territorio della Provincia di Padova. I parenti dei detenuti che hanno conservato relazioni significative con il loro congiunto in carcere sono diverse centinaia (nei giorni dei colloqui, fuori dal carcere c’è sempre la fila e in questa occasione gli operatori del nostro progetto cercheranno di agganciare le persone che manifestano richieste di aiuto). Le storie approdate agli sportelli di Avvocato di strada, parlano di un disagio psichico oltre che fisico. Un matrimonio che fallisce, una malattia, la perdita di un contesto familiare o amicale. Non si finisce in strada per un solo motivo, da un giorno all’altro. Sono tante le cause che combinate insieme portano al tracollo. E quando si perde il proprio lavoro è difficile risalire la china. Tra le tante storie raccontate dall’associazione di volontari sul proprio sito, quella di Anna, una 44enne di Taranto che vive a Bologna da oltre 30 anni: un matrimonio all’inizio felice che finisce, il marito la abbandona da un giorno all’altro. Anna non può più pagare l’affitto di casa e va a vivere in macchina con il proprio cane. Ma il suo dramma non è finito. Perde anche il lavoro, perché è diventata una dipendente scomoda. È il tracollo, e Anna chiede aiuto agli avvocati dei clochard. La sua storia è una goccia nel mare della triste quotidianità di molti. Troppi: di recente l’associazione ha stilato un rapporto che racconta una nuova povertà. Quella di persone normali, sempre di più, che il caso, soprattutto la crisi economica e la perdita del lavoro, trasforma in senza tetto. Lettere: sessanta detenuti suicidi da inizio anno… di Riccardo Polidoro (Presidente “Il Carcere Possibile Onlus”) Ristretti Orizzonti, 22 novembre 2010 Continua la serie di suicidi negli Istituti di Pena in Italia. Un suicidio ogni 5 giorni. Mentre aumentano i decessi e le malattie dovute all’illegale regime di detenzione. L’inerzia della politica, che crede di risolvere questa strage di Stato con il decreto appena varato, ritenuto “svuota-carceri”. C’è una parte del Paese che muore o soffre ingiustamente. Questa parte è sottoposta alla privazione della libertà in attesa di essere giudicata o è stata condannata perché ha sbagliato. In entrambe i casi questi individui sono persone offese di comportamenti che costituiscono reati, ma che nessuno punisce. Il disastro carcerario è ormai una realtà da tutti denunciata. Possiamo dire che non vi è persona che lo nega, ad eccezione di coloro che ignorando i principi costituzionali, le norme vigenti e lo stesso senso di civiltà di una nazione, affermano che sono altri i problemi da affrontare e che lo Stato non può occuparsi dei delinquenti. Inutile il dialogo con costoro a cui manca non solo la cultura giuridica, ma anche la capacità di comprendere che nella vita sociale ogni segmento è importante, perché contribuisce a migliorarne la qualità. Dal Presidente della Repubblica, al Presidente della Camera, ai Ministri, tutti hanno, nei loro discorsi, fatto un esplicito riferimento allo stato di emergenza delle carceri italiane, all’ingiustificato spaventoso stato di prostrazione in cui vivono i detenuti, quelli condannati e quelli (circa il 50%) che sono ancora in attesa di giudizio. Da tempo ormai questo istituzionale coro unanime ha ufficializzato la permanente violazione di diritti negli istituti di pena, ma nulla di concreto è stato fatto per uscire dall’illegalità, mentre all’orizzonte non s’intravedono soluzioni. In Italia, a chi è sottoposto a misura detentiva cautelare o alla pena definitiva, vengono inflitte sanzioni accessorie non indicate dalla legge e negati diritti, invece, espressamente previsti. Una morto ogni 3 giorni ed un suicidio ogni 5 giorni dall’inizio dell’anno, sono indici rivelatori di un malessere costante ed in aumento, che dovrebbe far comprendere la necessità di un intervento urgente e non più procrastinabile. Il decreto appena varato dal pinocchiesco nome “svuota-carceri”, seppure troverà immediata applicazione, porterà agli arresti domiciliari pochissimi detenuti, circa 7.000, secondo la stima del Dap, mentre il sovraffollamento, al 31 ottobre 2010, era indicato in 23.833 unità (68.795 presenze a fronte di 44.962 posti previsti). Resterebbero 16.833 unità al di sopra della capienza regolamentare, se la legge avesse effetti immediati. Nulla sarebbe risolto. Va tenuto presente, inoltre, che il meccanismo burocratico stabilito dalla norma, con la relazione della Direzione dell’istituto, l’idoneità del domicilio di destinazione, la valutazione del Magistrato di Sorveglianza, non farà altro che ingolfare ulteriormente gli Uffici Giudiziari, già in costante affanno, ritardando gli effetti del decreto, mentre le carceri continueranno ad affollarsi, con l’incremento costante che caratterizza gli ingressi. Una domanda, infine, al Legislatore va fatta. Ma, prima del nuovo decreto, gli arresti domiciliari non potevano già essere concessi dal Magistrato di Sorveglianza, che avesse ritenuto il detenuto meritevole di tale misura? Abbiamo l’impressione che nulla di nuovo si sia stabilito e che, dopo un lunghissimo iter parlamentare, l’iniziale disegno di legge si è talmente “svuotato” che, una volta approvato in via definitiva, serva solo ad influire sul già vigente potere discrezionale della Sorveglianza. Cagliari: uno “svuota-carceri” irto di spine per l’istituto di Buoncammino di Antonello Deidda La Nuova Sardegna, 22 novembre 2010 Non è un indulto e nemmeno un’amnistia ma presto 80 detenuti che scontano pene non superiori a anno potrebbero uscire da Buoncammino e scontare il residuo a casa. È il primo effetto dello “svuota carceri”, diventato legge da poco. Ma potrebbero arrivare anche cento agenti in più. Peccato che... Peccato che la cosa rischi di fare la fine della maggior parte dei provvedimenti che sono stati prodotti negli ultimi anni (ma si può tranquillamente parlare di decenni) per risolvere le emergenze del sistema penitenziario italiano. Ovvero il sovraffollamento degli istituti e gli organici degli agenti che sono chiaramente sotto dimensionati rispetto alle esigenze. Perché dal provvedimento firmato dal Guardasigilli Alfano e approvato in via definitiva dal Senato vengono fuori un paio di particolari che rischiano di minare alla base la legge e di far in modo che il cosiddetto svuota carceri alla fine dei conti possa incidere in maniera solo limitata nel tempo al problema delle celle troppo affollate. Primo: dal beneficio di scontare la pena a casa sono esclusi certamente i recidivi, ovvero i cosiddetti delinquenti abituali, professionali o di tendenza. E dagli ottanta che potrebbero uscire da Buoncammino, si scende già di numero. E poi il detenuto che esce deve indicare un domicilio: non può essere senza fissa dimora, che nel pensiero del ministro Maroni è tra l’altro indicata come una delle peggiori iatture alla sicurezza nazionale. Lo svuota carceri non è applicabile infine quando per il detenuto vi è il concreto pericolo di fuga oppure quando si teme che possa commettere altri reati. Nelle parole del direttore di Buoncammino Gianfranco Pala è racchiuso un possibile scenario futuro: “Devo leggere approfonditamente la legge ma dalle cose che ho sentito e dai paletti che ha posto il legislatori alla fine penso che non usciranno più di una quarantina di detenuti”. Oggi la popolazione carceraria di Buoncammino è di 540 detenuti (il limite massino è 350): avere 40 detenuti in meno rischia di essere meno di una goccia in un mare di problemi del carcere che guarda uno dei panorami più maestosi della città. Ma esistono poi tutta una serie di problemi di carattere procedurale, come il fatto che a disporre l’esecuzione domiciliare degli utlimi dodici mesi di pena sarà il magistrato di sorveglianza. Facile pensare che il magistrato sarà presto oberato di lavoro. Per il domicilio che il detenuto dovrà indicare, si prospettano alcuni casi spinosi. I tossicodipendenti: se la famiglia non li riaccoglie, dovranno essere mandati in una comunità di recupero? E gli extracomunitari? Senza dimenticare infine che lo svuota carceri è comunque una legge a tempo, in vigore solo fino al 2013. Perché il sogno è quello di costruire nel frattempo altre carceri dove accogliere i detenuti. Anche se forse sarebbe meglio pensare a qualche misura alternativa per scontare i residui di pena. Insomma lo svuota carceri, fatti i conti e le dovute presisazini, rischia di essere presto peggiore dei mali. In realtà sono mesi che si discute dello svuota carceri e nel corso del tempo numerosi sono stati i contrasti tra il Guardasigilli Alfano e il responsabile del Viminale Maroni, che ha sempre parlato apertamente di un indulto mascherato. La legge che è stata licenziata dal Senato è il frutto di un compromesso ma non risolverà i problemi delle carceri se non in minima parte e meno che mai a Buoncammino. Lo ha detto l’associazione nazionale dei funzionari di polizia, che parla di “provvedimento che mortifica polizia e magistratura e mortifica le vittime dei reati”. A chi spetterà infatti il controllo dei criminali rispediti a casa? Alla polizia, che ha organici sempre più ridotti e mezzi scarsi. I penalisti hanno rincarato la dose, parlando di “solito provvedimento tampone e di legge che si inserisce in una logica di polizia penitenziaria sicuramente non lungimirante. Andiamo bene. C’è poi il punto che riguarda l’adeguamento degli organici della polizia penitenziaria. Lo svuota carceri parla di 2.000 nuove assunzioni in tutta Italia. Sapete quante ne ha previste a Buoncammino? Zero. L’amministrazione ha già detto che il centinaio di agenti che mancano agli organici saranno assunti quando aprirà il nuovo carcere a Uta. Minimo la metà del 2011 ma forse occorrerà aspettare altri mesi perché i nuovi agenti saranno costretti a fare i corsi di aggiornamento fuori dalla Sardegna dopo la chiusura della scuola di Monastir. Il settore è diretto con lungimiranza. Foggia: Bordo (Pd); Alfano si occupi del problema carceri, non degli affari del premier Gazzetta del Sud, 22 novembre 2010 “Dov’è finito il piano straordinario promesso dal Governo per porre fine all’emergenza carceri? Mentre il ministro della Giustizia si occupa degli affari privati del premier a Foggia dobbiamo registrare l’ennesimo suicidio di un detenuto che ripropone la tragica situazione degli istituti di pena: sovraffollati e con personale insufficiente”. Annuncia una visita nella casa circondariale del capoluogo dauno, l’on. Michele Bordo (Pd) “per toccare con mano il disagio e comprendere dalla viva voce degli operatori quali sono le difficoltà da fronteggiare quotidianamente in strutture ormai inadatte a garantire dignità e sicurezza a chi è vi recluso ed a chi vi lavora”. Il deputato del Pd ha cercato più volte di attirare l’attenzione del ministro Alfano sull’emergenza vissuta nel carcere di Foggia. In due interrogazioni (una del settembre 2008, l’altra di gennaio 2009) ha denunciato “l’inadeguatezza delle strutture, al cui interno è frequente la violazione delle norme sulla sicurezza o la salubrità”; così come ha chiesto delucidazioni sugli istituti di pena costruiti in Capitanata, spendendo oltre 10milioni di euro, e mai attivati. “Il ministro non ha mai risposto ai quesiti specifici - afferma Michele Bordo - ma, proprio agli inizi del 2009, annunciava in pompa magna l’imminente elaborazione e attuazione di un piano straordinario di edilizia carceraria, alla cui realizzazione avrebbero collaborato e partecipato finanziariamente anche le imprese. Solo annunci a mezzo stampa! Da allora la popolazione carceraria a Foggia è arrivata ad essere il doppio del previsto e mancano almeno 70 unità al personale di sorveglianza per garantire servizi adeguati ai più elevati standard di sicurezza, per se stessi ed i detenuti. Mentre a Roma ci si attarda a discutere su come evitare l’applicazione della legge penale ai potenti, nelle carceri ci sono uomini e donne che vivono ammassati l’uno sull’altro - conclude Michele Bordo - Ennesima dimostrazione dell’incapacità di questo Governo di porre mano e risolvere i problemi concreti delle nostre comunità”. Busto Arsizio: è piena emergenza, detenuti come polli in batteria Varese News, 22 novembre 2010 Sovraffollamento nelle celle e carenza di agenti di polizia penitenziaria creano una miscela potenzialmente esplosiva per il sindacato di categoria Sinappe, che chiede di trasferire almeno 150 detenuti in altri istituti. La situazione del carcere di Busto Arsizio permane seria dal punto si vista del sovraffollamento e della carenza di operatori e agenti: e il sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria (Sinappe), tramite il rappresentante provinciale Domenico Di Brino, scrive ai soggetti istituzionali, e per conoscenza alla stampa locale, perché sul problema non cada il velo dell’oblio. È una missiva di quattro pagine fitte quella in cui si denuncia “l’attuale stato emergenziale circa le drammatiche condizioni di lavoro in cui la Polizia Penitenziaria è chiamata a operare”. Quanto a sovraffollamento, del resto, il carcere di via per Cassano è il quinto in Italia: in realtà, il primo fra gli istituti di una certa dimensione. Il suo problema è analogo e anzi dipendente da quello del tribunale: è legato alla presenza dell’aeroporto della Malpensa e ai numerosissimi arresti che vi si compiono, soprattutto di corrieri della droga, senza che si adeguino minimamente le strutture giudiziarie e penali del territorio al peso che devono sopportare. “La Casa Circondariale di Busto Arsizio attualmente versa in condizioni di assoluta e piena emergenza” scrive Di Brino, “d’altronde, riscontrate, da tutte le Autorità che hanno visitato a suo tempo la struttura in Via per Cassano. Le tre criticità penitenziarie e cioè la gravissima carenza del Personale di Polizia Penitenziaria, il sovraffollamento cronico della struttura di pena e i tagli finanziari fanno paura per l’indifferenza o la poca attenzione prestata dalle varie istituzioni”. Il sindacato “ritiene dover concordare e rimarcare con forza quando dichiarato da alcuni operatori penitenziari” che in alcuni convegni, hanno definito le nostre carceri le più civili... del terzo mondo. “Le carceri hanno raggiunto un livello di disumanità da punto di non ritorno, mai prima presso la Casa Circondariale di Busto Arsizio erano stati ristretti ben 450 detenuti accatastati come polli in batteria, senza avere a loro disposizione degli spazi per il pernottamento e del personale appartenente all’area educativa che possa garantire quel giusto e necessario sostegno psicologico immediato per attutire lo stress psichico nel momento del loro impatto con il Pianeta Carcere che continua, istante dopo istante, a sprofondare nel baratro”. In via per Cassano, infatti, sono recluse a oggi circa 450 persone, “in piccoli spazi che, invece, dovrebbero custodire al massimo il 50% in meno”. Una situazione “preoccupante ed esplosiva”, un problema “che interessa e deve interessare a tutti” e non alla sola polizia penitenziaria che si trova a gestirla. A tutte le varie autorità destinatarie della missiva, dalla Prefettura al Comune, dalla Procura al giudice di sorveglianza, il Sinappe chiede “che venga emesso un provvedimento di trasferimento di almeno 150 detenuti verso penitenziari più capienti fuori dalla Regione Lombardia”; in subordine, perché “sia ripensato tutto il sistema carcere, favorendo le misure alternative alla custodia cautelare in carcere; ad esempio, il primo cittadino, per meglio favorire il contenimento della spesa pubblica potrebbe richiedere l’impiego di un congruo numero di detenuti a basso indice di pericolosità, da destinare ai lavori socialmente utili”. Uno dei problemi noti è il turnover continuo dei detenuti che fa di quello di via per Cassano un carcere, per molti, “di passaggio”. Per ovviare al problema delle innumerevoli carcerazioni di breve e brevissima durata, “si chiede che le persone fermate e arrestate che saranno sottoposte a un’udienza per direttissima non facciano ingresso in Istituto e che permangano presso le camere di sicurezza delle Forze di Polizia procedenti”. Come in qualche caso è già accaduto. Anche perché, spiega Di Brino, il personale operante nei turni di notte “è ridotto al minimo”. Idem, “per ovvie ragioni di opportunità e sicurezza, si chiede che l’Istituto Penitenziario Bustese resti chiuso nelle ore notturne dalle 24.00 alle 08.00”. Più controversa, senz’altro, la richiesta che a fronte “dell’aumento vertiginoso della popolazione detenuta e che il trattamento è consequenziale alla garanzia dell’ordine, della disciplina e della sicurezza”, si sospendano o riducano “le attività intramurali esplose in questi ultimi anni, comprese anche quelle sportive, e di garantire solo il diritto alla permanenza all’aperto prevista dall’art 10 L354/75”. Cosa che però andrebbe a colpire proprio i fiori all’occhiello della struttura: i corsi e i laboratori. La polizia penitenziaria con questi numeri non ce la fa: il Sinappe osserva che l’organico “dovrebbe essere integrato con almeno 70 unità; anche la pianta stabile del Nucleo Traduzioni e Piantonamenti dovrebbe essere integrata con almeno 8 unità maschili e almeno 2 unità femminili visto l’aumento esponenziale dei ricoveri in luoghi esterni di cura (narcotrafficanti con ovuli) dovuti principalmente dalla vicinanza dell’aeroporto di Malpensa”. Ad aggravare la situazione del carcere di via per Cassano sarebbe poi “la prossima apertura del nuovo reparto per i detenuti diversamente abili”. “Da alcune indiscrezioni di questi giorni, il Prap (amministrazione penitenziaria ndr) stia per procedere a tale apertura senza tener conto, tra l’altro, dell’integrazione necessaria del personale del Corpo della Polizia Penitenziaria, di almeno 20 unità, per garantire l’apertura iniziale”. Il sovraffollamento, si avvia a concludere Di Brino, “è solo la mamma dei problemi che riguardano il carcere, i tagli finanziari hanno comportato una riduzione dei budget di spesa sia per la manutenzione ordinaria e straordinaria della struttura sia degli automezzi in dotazione al Corpo della Polizia Penitenziaria, utilizzati per l’esecuzione dei vari servizi e delle traduzioni dei detenuti verso l’esterno”. Le forbici governative, rincara, hanno colpito anche la spesa per i trasferimenti dei detenuti in aereo e il carburante per gli automezzi del Corpo di Polizia Penitenziaria, oltre che il materiale di cancelleria. Last but non least, “al personale di Polizia Penitenziaria inviato in servizio di missione, non sono liquidate le competenze e le indennità di missione in tempi ragionevoli, causa la mancanza di fondi”; e ciò a tal punto “che il personale, in alcune occasioni, è costretto ad anticipi di tasca propria”. Insomma, un vero cahier de doléance cui sarà opportuno che gli enti superiori preposti diano ascolto per ovviare a situazioni che si trascinano da troppi anni. Il sindacato resta in attesa di riscontro “mediante l’emissione dei provvedimenti efficaci per il ripristino almeno dei livelli minimi standard di sicurezza” e di “condizioni più umane di vivibilità”. Mancando risposte concrete, “la scrivente Organizzazione Sindacale e tutte le restanti, che hanno già manifestato condivisione in tale iniziativa, promuoveranno legittime ed eclatanti forme di protesta”. Imperia: in carcere da mesi detenuti affetti da scabbia, il Sappe lancia l’allarme Secolo XIX, 22 novembre 2010 “È vero che da circa 4 mesi sarebbero presenti nell’Istituto di pena di via Agnesi, ad Imperia, 4 detenuti affetti da scabbia? Come sarebbe stato possibile? Cosa è stato fatto dalla Direzione del carcere e dal Comandante di Reparto per evitare il contagio tra gli altri detenuti e soprattutto tra il Personale di Polizia Penitenziaria in servizio ad Imperia ed in particolare quello impiegato nella Sezione detentiva dove sarebbero presenti i 4 detenuti?”. Lo chiede la Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo e più rappresentativo dei Baschi Azzurri, in una nota inviata oggi al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta ed al responsabile regionale delle carceri liguri Giovanni Salamone. Il Sappe, nella nota a firma del Segretario Generale Donato Capece, denuncia ancora: “Grave sarebbe la circostanza, anche per gli evidenti rischi di un diffuso contagio generalizzato stante essere la patologia in parola una dermatosi assai contagiosa, di disporre per i detenuti affetti da scabbia, nelle giornate di pioggia, il passeggio nei corridoi della Sezione detentiva piuttosto che nel pertinente cortile del penitenziario durante le ore d’aria”. Il primo e più rappresentativo Sindacato dei Baschi Azzurri della Penitenziaria chiede quindi al Provveditore regionale ligure Salamone ed al Capo Dap Ionta “urgenti chiarimenti a tutela della salubrità del penitenziario di Imperia e soprattutto del Personale di Polizia che in esso lavora”. Bologna: Pd; presto lettera ad Alfano sull’Ipm; si garantisca organico adeguato Dire, 22 novembre 2010 “Nei prossimi giorni chiederemo ai colleghi parlamentari bolognesi di tutti i gruppi di sottoscrivere con noi una lettera al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, perché si impegni almeno a far funzionare quello che c’è, garantendo l’assegnazione dell’organico adeguato all’Istituto penale minorile di Bologna, prima di pensare a realizzare nuovi contenitori di dubbia utilità“. Lo annunciano Sandra Zampa e Rita Ghedini, parlamentari bolognesi del Pd, dopo una visita svolta questa mattina al carcere minorile del Pratello. Nella Giornata internazionale dell’infanzia, le due esponenti democratiche riportano in una nota le parole pronunciate dalla direttrice del Pratello, Paola Ziccone: “Ormai le carceri, anche minorili, sono diventati i luoghi di detenzione della miseria”. Una constatazione “molto amara ma realistica”, commentano Zampa e Ghedini, sottolineando che la struttura del Pratello “ormai completamente rimessa a nuovo, avrebbe tutti i prerequisiti per essere un istituto modello - si legge nella nota del Pd - sia per le caratteristiche dell’edificio che per la cultura dell’educazione e della riabilitazione che al suo interno è cresciuta e sedimentata”. Eppure, nelle scorse settimane, “le cronache hanno di nuovo registrato problemi di sovraffollamento - ricordano le parlamentari - ed il rischio di interruzione delle attività educative”. Il problema principale è rappresentato dalla “grave e cronica carenza degli organici di Polizia penitenziaria”, continuano Zampa e Ghedini: a fronte di un organico previsto di 42 unità, sono assegnati alla struttura solo 32 agenti di cui 25 sono effettivamente in servizio. Questi numeri non permettono il normale godimento di diritti fondamentali di questi lavoratori - sottolineano le democratiche - che esercitano una professione così delicata”, con la struttura “a rischio di paralisi e finanche di sicurezza”. Ma il paradosso più grande, per Ghedini e Zampa, è rappresentato dal fatto che “un intero piano del carcere, con una capienza di ulteriori 22 posti letto, non può essere utilizzato a causa delle carenze di organico”. Alla luce di una situazione del genere, “a che pro realizzare 20.000 nuovi posti nelle carceri italiane - chiedono le due parlamentari - se poi il rischio è quello di vedere tanti film come il Pratello?”. Ovvero “enormi risorse investite nella costruzione, anni e anni di ritardo nei lavori di realizzazione - ribadisce la nota - per ritrovarsi con mezza struttura vuota e problemi di sovraffollamento e gestione nella parte funzionante: francamente non pare di poter ritrovare una coerenza”. Da qui la lettera che verrà inviata ad Alfano. Inoltre “chiederemo, come abbiamo già fatto con il ministro Sacconi - concludono Zampa e Ghedini - che si investa sull’infanzia nei fatti, incrementando risorse dedicate nel bilancio dello Stato, come purtroppo non sta accadendo con la Legge di stabilità in corso di approvazione”. Nuoro: polemiche dopo trasferimento a Badu ‘e Carros del camorrista Iovine La Nuova Sardegna, 22 novembre 2010 “La decisione di trasferire il più pericoloso detenuto d’Italia a Nuoro è gravissima. Anche perché in quel carcere sono già avvenuti fatti terribili. Causati proprio dalla presenza di detenuti simili”. Parole del deputato Guido Melis (Pd) che, saputo dell’arrivo di Iovine nell’isola, salta sulla sedia: “Quest’estate siamo andati in visita a Badu ‘e Carros insieme a Giulio Calvisi e al sindaco Sandro Bianchi. Eravamo preoccupati per i lavori di costruzione del nuovo braccio. Temevamo potessero essere il preludio al ritorno dei 41-bis a Nuoro. Abbiamo anche presentato un’interrogazione al ministro. Che, in aula, ci ha rassicurato. Ora io mi chiedo che credibilità possa avere un governo che disattende, a distanza di pochi mesi, impegni ufficiali presi in Parlamento. E mi chiedo anche il motivo di questa scelta sciagurata. L’ennesimo sgarbo alla Sardegna. Presenteremo un’altra interrogazione urgente, vediamo cosa avranno il coraggio di risponderci”. Preoccupazione condivisa anche dal deputato nuorese Bruno Murgia, che però sottolinea: “Io sono sicuro che la struttura nuorese è perfettamente in grado di gestire Iovine. La preparazione del personale, della polizia penitenziaria, del direttore, non è assolutamente in discussione. Certo preoccupa il contorno che una figura come il boss dei casalesi porta con sé. Bisogna vedere cosa ci dirà il Ministero. E verificare se non sia solo un trasferimento temporaneo. Di sicuro terremo tutti gli occhi ben aperti”. “Apprendo con grande apprensione la notizia dell’arrivo di Iovine a Nuoro - attacca il sindaco Alessandro Bianchi - anche perché pochi mesi fa avevamo chiesto al Ministero rassicurazioni in tal senso. Tutti abbiamo ancora chiaro in mente il prezzo che ha dovuto pagare Nuoro quando Badu ‘e Carros ospitava i detenuti più pericolosi d’Italia. E non abbiamo intenzione di pagarlo un’altra volta. Sinceramente con la crisi drammatica che il nostro territorio sta vivendo ci aspettiamo dal governo romano tutt’altro tipo di regali”. “È una vera indecenza”, attacca Giorgio Mustaro, della Funzione pubblica della Cisl. Da lui partì ad agosto la denuncia del pericolo di un ritorno dei 41-bis a Nuoro. “Tutti hanno negato - spiega - e hanno sminuito l’ipotesi. Invece era chiaro che qualcosa di grosso si stava muovendo. Come, a mio parere, è chiaro che Iovine è solo il primo della serie. E purtroppo temo che in città torneranno i 41-bis. E che ancora una volta la Sardegna, e Nuoro, saranno buoni solo per scaricare i problemi degli altri. Senza tener conto di cosa questo, nella situazione esplosiva che stiamo vivendo, potrebbe causare”. Cappellacci: trasferire Iovine a Nuoro è scelta infelice e inopportuna “Il carcere della città - afferma il presidente della Regione - è una struttura che non ha caratteristiche compatibili per ospitare detenuti sottoposti al regime 41 bis”. “Trasferire il detenuto Iovine nel carcere nuorese di Badu ‘e Carros è una scelta assolutamente infelice nonché inopportuna”. È il commento del presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, in merito alla decisione di portare nel penitenziario di Nuoro Antonio Iovine, arrestato mercoledì a Casal di Principe. “Il carcere di Nuoro - aggiunge il presidente - è una struttura che non ha caratteristiche compatibili per ospitare detenuti sottoposti al regime ‘41 bis’. All’iniziale soddisfazione per avere assicurato alla giustizia l’esponente della malavita camorrista, ora si aggiunge l’amarezza per una decisione che può e deve essere modificata, anche perché la Sardegna ha già pagato il suo contributo in passato nell’aver ospitato boss della mafia”. Uil: troppe polemiche e fantasie sulla detenzione di Iovine “Riteniamo sia giunta l’ora di fa giustizia delle fantasiose ricostruzioni giornalistiche e delle inutili polemiche che stanno fiorendo intorno alla detenzione del camorrista Iovine. Sin dalle prime ore successive all’arresto l’esponente del clan dei Casalesi è stato tradotto presso la Casa Circondariale di Avellino. Nessun transito, dunque, per Secondigliano e men che mai trasferimenti per motivi precauzionali. Così come ci paiono fuori luogo le polemiche che stanno scoppiando circa la futura destinazione di Antonio Iovine”. Il Segretario Generale della Uilpa Penitenziari Eugenio Sarno, interviene per chiarire e commentare le fasi detentive del capo clan di Casal di Principe. “Il detenuto è stato preso in consegna, ieri, dagli uomini del Gom (Gruppo Operativo Mobile) della Polizia Penitenziaria. Il fatto, però, che solo dopo 3 giorni sia stata assegnata la competenza al Gom non ci pare un esempio di funzionalità e tempestività da parte dell’Amministrazione penitenziaria, al netto dei tempi tecnici per la firma del provvedimento che sottopone Iovine al carcere duro. Per questo - aggiunge Sarno - tutto il nostro plauso va al reparto di Polizia Penitenziaria di Avellino che, coordinato dal Comandante Sgambati, ha gestito per 3 giorni un detenuto dal particolare spessore criminale. D’altro canto ad Avellino al culmine della propria carriera criminale, era stato già detenuto lo storico boss della camorra Raffaele Cutolo”. La detenzione di Iovine rinfocola vecchie polemiche ed allarmi sulla gestione dei detenuti sottoposti al 41-bis, nel tempo rilanciati dalla Uil. “Il Gom è certamente uno dei fiori all’occhiello della Polizia Penitenziaria, essendo precipuamente destinato alla sorveglianza di detenuti particolari e sottoposti al 41-bis. Se, però, il Dap non consente al Gom di esprimersi seconda le proprie potenzialità accade che a Milano Opera, ed in altre sedi, i detenuti sottoposto al 41-bis siano piantonati, tradotti e scortati alle video conferenze da personale non specificatamente addestrato, incidendo ed aggravando i carichi di lavoro del personale dei quadro permanente. Su questo punto - sottolinea il Segretario della Uil Penitenziari - crediamo che il Ministro Alfano debba alzare la soglia dell’attenzione e della vigilanza”. Sulla futura destinazione di Nuoro la Uilpa penitenziari getta acqua sul fuoco delle polemiche. “Leggiamo di legittime preoccupazioni espresse dal Governatore Cappellacci e dall’on.le Palomba circa l’inadeguatezza di Badu e Carros. Ci pare opportuno sottolineare che la struttura penitenziaria nuorese è stata recentemente ristrutturata e dispone di sale attrezzate per la video conferenza e, quindi, compatibile per attrezzare una Area Riservata. Evidentemente se il competente ufficio dipartimentale ha ritenuto dover individuare in Nuoro la futura sede di detenzione per Antonio Iovine saranno state valutate tutte le garanzie e le caratteristiche. È chiaro che la presenza di un boss di tale spessore non solo deve prevedere un adeguato contingente del Gom ma quant’anche un adeguamento degli organici della Polizia Penitenziaria di Nuoro, abituata anch’essa da tempo a gestire i più incalliti criminali. Sono certo - conclude Sarno - che Cappellaci e Palomba una volta rassicurati sulla funzionalità di Badu e Carros orienteranno tutti gli sforzi e gli impegni per garantire la necessaria sinergia con l’Amministrazione penitenziaria per contribuire alla sicurezza dell’intero Paese”. Bolzano: la Provincia approva intesa per la costruzione del nuovo carcere Asca, 22 novembre 2010 Passo in avanti per la realizzazione del nuovo carcere di Bolzano. La Giunta provinciale ha dato il via libera alla proposta d’intesa sul progetto indicando la zona di edificazione (vicino all’aeroporto) e sottolineando che per il finanziamento si farà riferimento all’accordo di Milano. “Se tutto procederà per il verso giusto - annuncia il presidente della Giunta provinciale Luis Durnwalder - i lavori potrebbero iniziare già nel 2011”. La realizzazione del nuovo carcere di Bolzano è da anni uno dei temi centrali dell’agenda politica in Alto Adige. “L’attuale struttura di via Dante - sottolinea Durnwalder - è assolutamente inadeguata, e le condizioni di vita chi vi si trova all’interno sono indecorose. Il penitenziario di via Dante avrebbe una capacità massima di 80 persone, ma ne ospita almeno 150, e i limiti strutturali impediscono anche di svolgere quelle attività considerate fondamentali per la riabilitazione dell’individuo”. Per realizzare il nuovo carcere, di cui si dibatte ormai da circa due decenni, la Provincia vuole fare leva sull’Accordo di Milano: dei 100 milioni di euro oggetto dell’intesa con lo Stato, 40 dovrebbero essere destinati ai comuni confinanti, e 60 all’assunzione di spese per il passaggio di competenze delegate da Roma a Bolzano. “Una parte di quest’ultima quota - spiega il presidente Luis Durnwalder - è utilizzabile anche per la realizzazione di strutture pubbliche di interesse sia locale che nazionale, ed il carcere è una priorità. Dobbiamo sfruttare questa opportunità per costruire una struttura in grado di ospitare almeno 200 persone, consentendo anche di istituire una sezione femminile adeguata, visto che le donne sono attualmente a Rovereto. Il tutto con un esborso finanziario non troppo oneroso né per la Provincia, né per lo Stato”. Il protocollo d’intesa approvato oggi dalla Giunta provinciale mette nero su bianco il carattere di urgenza dell’operazione che consente la modifica del piano urbanistico del capoluogo, e individua le particelle fondiarie sulle quali realizzare il nuovo penitenziario in una zona ubicata nei pressi dell’aeroporto di Bolzano Sud. La Provincia ribadisce la propria competenza sulla questione degli espropri, e invita il commissario delegato per il sovrappopolamento degli istituti penitenziari Franco Ionta (capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia) ad affidare nel più breve tempo possibile la progettazione e l’esecuzione dei lavori tramite gara d’appalto. Uno dei passaggi del protocollo d’intesa prevede che l’area su cui attualmente sorge il carcere passi alla Provincia, da destinarsi eventualmente alla costruzione di alloggi o altre strutture pubbliche, mentre dal punto di vista finanziario il contributo provinciale sarebbe compreso nella quota di fondi accantonati prevista dall’Accordo di Milano, senza necessità di ulteriori stanziamenti nel bilancio. Sciacca (Ag): direttore replica a Cgil; problemi strutturali, ma niente sovraffollamento La Sicilia, 22 novembre 2010 Nel carcere di Sciacca le celle dei detenuti si chiudono con difficoltà a causa dei cronici problemi strutturali dell’edificio. C’è anche questo tra le innumerevoli difficoltà di un istituto di pena ospitato in un ex convento del 1200. Vetustà e umidità hanno evidentemente creato un’alterazione della posizione dei cancelli che blindano le celle, al punto da rendere difficoltosa la chiusura. Occorre effettuare interventi strutturali, ma è questo solo uno dei problemi che vive ogni giorno la sede carceraria saccense. Ieri c’è stato un nuovo allarme del sindacato agenti di Polizia penitenziaria: il segretario regionale funzione pubblica della Cgil, Rosario Di Prima, parla delle difficoltà degli agenti a svolgere i servizi e di un piano carceri che prevede la realizzazione di un nuovo istituto e che stenterebbe a decollare. L’analisi del sindacalista fa riferimento alle condizioni strutturali del carcere saccense: “Non è più possibile ospitare un istituto di pena nel centro abitato - afferma Di Prima - occorre prevedere interventi straordinari, non basta inserire il nuovo carcere di Sciacca in un piano nazionale che, bene che vada, porterà al completamento dell’opera tra 20 anni. Qui ci sono vere emergenze che noi stiamo cercando di portare in piazza con un’iniziativa che abbiamo già fatto a Roma, mostrando ai cittadini come dovrebbe essere una cella e come è nella realtà in gran parte delle carceri italiane”. La denuncia sulla situazione strutturale precaria fatta dalla Cgil, è condivisa dal direttore della casa circondariale saccense, Fabio Prestopino, il quale sottolinea che si tratta di “problemi vecchi, occorrerebbe fare una costante e quotidiana manutenzione per avere l’edificio in piena efficienza strutturale. Abbiamo concluso solo pochi giorni fa dei lavori nella cucina necessari per evitare allarme igienico sanitario, ma ce ne vorrebbero altri. Ci sono due cameroni chiusi e per sistemarli occorrerebbero ulteriori lavori, l’impianto idrico necessita di manutenzione urgente”. Non c’è però grave sovraffollamento e nemmeno carenza di personale: oggi i detenuti sono poco più di 100, a fronte di un’accoglienza massima di 93 persone: “Da questo punto di vista va abbastanza bene - continua Prestopino - anche se la disponibilità di agenti è appena sufficiente e nascono difficoltà in caso di ferie e malattie”. A Sciacca non arrivano fondi ormai da anni, e di soldi ce ne vorrebbero tanti per un minimo piano di adeguamento dell’edificio. Alcuni mesi fa c’è stato un sopralluogo dell’amministrazione penitenziaria nell’ambito dell’iter per la realizzazione del nuovo carcere. Fossombrone (Pu): appaltati i lavori per il carcere, restyling al braccio di ponente Corriere Adriatico, 22 novembre 2010 Sono stati appaltati i lavori per la messa in sicurezza del braccio di ponente del carcere di Fossombrone al cui interno sono presenti anche le sezioni di massima sicurezza. Altri sopralluoghi hanno invece riguardato la realizzazione della nuova cucina. Anche se ancora c’è molto da fare si deve prendere atto che ci si trova di fronte a buone notizie dopo un susseguirsi di preoccupazioni a non finire. La campagna di sensibilizzazione sta ottenendo i suoi effetti. Non è piacevole vedere che la sorveglianza esterna avviene con i mezzi a terra dal momento che il muro di cinta, che ai tempi del terrorismo resistette anche alle cariche di plastico, ha bisogno di urgenti interventi di restauro. Da aggiungere che la vecchia chiesa è inutilizzata per via del cornicione pericolante il che ha comportato la chiusura di un passeggio. L’alloggio riservato al direttore è impraticabile ragione mentre si sa bene quanto sia importante averne uno in loco. Per fortuna che c’é stata l’interrogazione in sede parlamentare dell’on. Massimo Vannucci. Le indicazioni degli ultimi giorni riferiscono di un aumento di agenti di polizia penitenziaria. Il rappresentante dell’istituto di pena forsempronese Peppe Pasquino e il consigliere nazionale del Sappe (Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria) Aldo Di Giacomo hanno dato merito all’onorevole Carlo Ciccioli e al consigliere regionale Carlo D’Anna che hanno più volte sollecitato il ministro Alfano ad intervenire. La situazione a Fossombrone è particolarmente grave, come si va dicendo da tempo, per la precarietà delle strutture. Costruito 146 anni fa il carcere della cittadina metaurense si trova in un degrado indicibile. Il Prefetto di Pesaro e Urbino, dottor Alessio Giuffrida, si è portato in visita all’istituto di pena di Fossombrone per verificare le condizioni di lavoro del personale, rendendosi personalmente conto delle problematiche organizzative e strutturali. Il Prefetto si è congratulato con il comandante della polizia penitenziaria e con tutto il personale operativo, per la competenza, il senso del dovere e l’abnegazione con cui svolgono il loro delicato compito. Genova: abusi sessuali in carcere, indagato psicologo ex giudice tribunale minorile Il Secolo XIX, 22 novembre 2010 Accusato di aver abusato sessualmente di alcuni detenuti a lui affidati nel carcere di Marassi. Doveva prendersi cura del loro equilibrio. Tentarne il recupero, nei casi di maggior disagio. Dar loro il sostegno necessario in un momento così difficile per chiunque, criminale incallito o innocente incappato per la prima volta nella rete della giustizia. Da consigliere, terapeuta, si sarebbe trasformato in un maniaco, con in testa un solo obiettivo quello di soddisfare le proprie pretese sessuali, alimentando minacce più o meno dirette, approfittando della situazione di soggezione e di bisogno dell'altro. Uno psicologo di 55 anni è indagato per concussione a sfondo sessuale dalla Procura di Genova. L'inchiesta è condotta in gran segreto dai pm Paola Calieri e Stefano Puppo. Si tratta di un ex giudice del tribunale dei minorenni, una di quelle figure onorarie che affiancano nei processi, anche i più delicati, i magistrati di professione. A fine gennaio era già finito nell'occhio del ciclone per la storia dell'affidamento di un bambino. Era accusato di essersi preso a cuore il caso, di aver ricoperto un ruolo "anomalo" nella vicenda travalicando i limiti dell'opportunità. Al punto da indurre il presidente Adriano Sansa a segnalare il tutto al Consiglio giudiziario e al Consiglio superiore della magistratura, ottenendo dall'interessato, affiancato dall'avvocato Elena Fiorini, le dimissioni prima ancora che il procedimento disciplinare avesse inizio. La situazione però, tenuta sotto controllo a distanza dalla procura di Torino (competente sulle questioni riguardanti in modo diretto o indiretto appartenenti alla magistratura in servizio a Genova), è andata avanti. Subendo in queste ultime settimane una significativa accelerata. Come? Per effetto dell'intrecciarsi della storia dello psicologo con un'altra inchiesta, ormai giunta a un passo dal processo nel capoluogo ligure, riguardante un agente della polizia penitenziaria in servizio a Marassi (difeso dall'avvocato Andrea Tonnarelli), accusato di corruzione e altri reati legati alla violazione degli obblighi previsti per il suo particolare ruolo a difesa dei confini del carcere. Avrebbe accettato compensi e in cambio avrebbe allentato le maglie dei controlli per far entrare nelle celle droga e telefoni cellulari. A favore di tre detenuti di origini marocchine (assistiti dagli avvocati Stefano Sambugaro ed Elisabetta Feilliene). Uno di questi, ascoltato dai pm, avrebbe sì ammesso il suo ruolo nel traffico di stupefacenti destinati alla popolazione dei detenuti di Marassi (destinata a diminuire sensibilmente essendo 200 circa i detenuti nei carceri liguri che potrebbero sfruttare l'esecuzione domiciliare delle pene appena approvata dal parlamento), scoperto e stroncato dalla polizia penitenziaria con il sostegno del direttore Salvatore Mazzeo. Il marocchino non si è limitato a questo. Ma ha rivelato agli inquirenti di aver subito degli abusi sessuali da uno degli psicologi con cui aveva regolari colloqui. Questo è stato il punto di partenza di un'inchiesta che avrebbe già isolato una serie di episodi quantomeno equivoci, a sostegno dell'accusa di concussione e violenza sessuale. Ma che, da indiscrezioni, sarebbe arrivata ormai sul punto di migrare alla Procura di Torino, per effetto del ruolo di magistrato (onorario) ricoperto dall'indagato. A gennaio, a commento della notizia delle dimissioni scattate in seguito alle accuse di "parzialità", lo psicologo, tramite il suo legale aveva spiegato: "Si tratta di un fatto non provato. L'interessato non ha mai messo becco in un procedimento che non fosse il suo". Il resto? "Sono tutte calunnie". Enna: seminario del titolo “La tutela dei diritti fondamentali dei detenuti” La Sicilia, 22 novembre 2010 Sensibilizzare l’opinione pubblica e in primo luogo gli studenti sul tema dei diritti umani e delle persone private della libertà personale è l’obiettivo che si è prefissata la facoltà di giurisprudenza della Kore di Enna organizzando il seminario su “La tutela dei diritti fondamentali dei detenuti: la situazione in Sicilia”. Attraverso il seminario, che ha avuto come ospite il Garante dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, coordinatore nazionale della Conferenza dei garanti dei detenuti in Sicilia, la Kore di Enna ha lanciato un appello alle coscienze prendendo spunto dalla constatazione che quando si parla di carcere e della popolazione che vi abita si tende a pensare a qualcosa di lontano, di estraneo. Le porte del carcere sono considerate nell’immaginario collettivo ciò che divide la società da chi a essa si è ribellato, violando le regole di diritto che ne regolano la civile convivenza; il carcere, in questo senso, rassicura perché allontana e protegge i cittadini da chi si è macchiato di un crimine. I detenuti hanno diritto a un trattamento che non sia inumano e degradante. Emblematica la situazione in Sicilia, oggetto di un esposto presentato dal Garante Fleres al Comitato europeo, per denunziare le condizioni di detenzione nelle carceri dell’isola. L’obiettivo dell’esposto è stato quello di sollecitare una “visita ad hoc” del Comitato all’interno delle carceri di Favignana, Marsala, Modica, Mistretta, Catania “Piazza Lanza”, Palermo “Ucciardone” e Messina “Gazzi”, per constatare e valutare le possibili violazioni alla Convenzione europea per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e alla Convenzione per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, e adottare le misure più idonee. Il seminario dopo i saluti del rettore della Kore di Enna, Salvo Andò e del sindaco di Enna Paolo Garofalo(componente ufficio del garante), e l’introduzione della prof.ssa Agata Ciavola ha ospitato le relazioni del Garante dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, della responsabile dello sportello del Garante dei diritti dei detenuti presso la casa circondariale Ucciardone di Palermo Gloria Cammarata, del direttore della casa circondariale Ucciardone di Palermo Maurizio Veneziano, Marco Falcone deputato assemblea regionale siciliana, Comandante reparto polizia penitenziaria Ucciardone Palermo Patrizia Bellanti. Un intervento è stato fatto dalla laureanda Giovanna Gulisano. Porto Azzurro (Li): giornata di festa per l’olio nuovo con la cooperativa dei detenuti Il Tirreno, 22 novembre 2010 L’Elba infesta per celebrare l’olio nuovo. L’iniziativa si è svolta ieri presso l’azienda agricola Nike di Porto Azzurro. Un appuntamento promosso dalla cooperativa sociale San Giacomo e non a caso, unitamente all’evento che celebra la produzione olearia elbana, non mancherà la mostra mercato dei lavori realizzati dei detenuti dell’istituto di Porto Azzurro. Ci saranno assaggi di olio prodotto sull’isola con bruschette e spuntini fatti con vari prodotti tipici dell’Elba, in particolare gli assaggi di muflone e cinghiale offerti dalla locale Misericordia, il miele di Pianosa, i formaggi di Gorgona e le torte fatte in casa. Costituita nel 2000 la San Giacomo si è ben integrata nel territorio, attraverso l’elaborazione e l’esecuzione di appositi progetti. Scopo della cooperativa la creazione di impieghi per i detenuti di Porto Azzurro. L’obiettivo resta quello di creare un sempre maggior numero di posti di lavoro per i detenuti lavoranti all’esterno o in regime di semilibertà, o per coloro che hanno espiato la loro pena. Fondatori della cooperativa sono stati i Comuni di Porto Azzurro e Capoliveri, quello di Follonica, la Diocesi di Massa Marittima, associazioni di volontariato, la Banca dell’Elba, la Coopfond, l’Unicoop Tirreno e liberi professionisti elbani. Treviso: carcere minorile, una serata sul tema della rieducazione La Tribuna di Treviso, 22 novembre 2010 “Chissà come sarà lì dentro?” è il titolo della serata organizzata venerdì sera dai giovani del cineforum Labirinto di Treviso. Ma anche l’interrogativo che si sono poste le 150 persone accorse a palazzo Bomben per capire e ascoltare le testimonianze di chi lavora con la ventina di ragazzi detenuti nel carcere minorile di Treviso. Tanto numeroso e inaspettato era il pubblico, soprattutto di giovani, che i responsabili della Fondazione Benetton hanno dovuto rendere accessibile anche il “loggione” dell’auditorium. Fra gli interventi quelli di Christine Gaiotti, responsabile del progetto “Bottega grafica” per insegnare ai ragazzi detenuti gli strumenti dell’informatica, di Maria Catalano, da oltre 18 anni educatrice al carcere, e gli studenti che hanno partecipato allo spettacolo di video-teatro realizzato dal laboratorio teatrale dell’Ipm. Il filmato è stato proiettato all’inizio della serata come punto da cui partire per riflettere sul carcere. Turchia: minori in carcere e “lotta al terrore”, il caso turco in un dossier La Stampa, 22 novembre 2010 Un rapporto di Osservatorio Iraq sugli effetti della legge antiterrorismo di Ankara: centinaia di ragazzini condannati ad anni e anni di carcere. Nella giornata mondiale dedicata ai diritti dell’infanzia vorrei segnalare il dossier di ottobre di Osservatorio Iraq dedicato ai bambini e agli adolescenti arrestati, processati e condannati a centinaia negli ultimi quattro anni in Turchia, in virtù degli emendamenti alla “Legge anti-terrorismo” (Tmy) approvati dal parlamento di Ankara nel 2006. Certa che farà impressione a pochi: se i bambini costretti a cucire palloni o ridotti a svago sessuale suscitano ancora qualche emozione, gli allarmi sul terrorismo ci hanno abituati da tempo a ricorrere volentieri al vecchio detto sul fine che giustifica i mezzi e a considerare meno “bambini”, anzi perfettamente adulti, terroristi quindicenni, lanciatori di sassi impuberi, aspiranti kamikaze minorenni. Nel nome della lotta al terrore tutto è lecito, si tratti di uiguri, ceceni, iracheni o afghani. O curdi. In Turchia infatti la norma assai contestata ha esteso ai minori di 18 anni la possibilità di essere puniti per la semplice partecipazione a manifestazioni di protesta, per aver cantato slogan in lingua curda o a favore del Pkk, di avere esposto bandiere della stessa organizzazione o di avere lanciato pietre contro le forze dell’ordine, di fatto assimiliandoli ai membri armati e adulti del Pkk e quindi di un’organizzazione terroristica. Per lo più, si legge nel rapporto, a fare le spese della legge sono stati ragazzi curdi, di età compresa tra i 15 e i 18 anni, ma spesso di soli 12 anni, che hanno subito condanne anche a diversi anni di detenzione. Per loro il trattamento è in tutto e per tutto simile a quello, invero non garantista, destinato agli adulti: periodi di detenzione “cautelare” che possono arrivare fino a un anno; processi “farsa” celebrati davanti ai Tribunali penali speciali (invece che ai Tribunali minorili); reclusione in cella assieme agli adulti; violenze fisiche e psicologiche, maltrattamenti e, in alcuni casi, vere e proprie torture. Sotto la pressione della società civile turca e internazionale, nell’estate scorsa il governo di Ankara guidato dai filo-islamici del Partito di giustizia e sviluppo (Akp) ha deciso di emendare la legge, mitigandone alcuni aspetti. Tutt’oggi, tuttavia, i minorenni incriminati in base alle vecchie norme e rimessi in libertà ammontano a poche decine. A limitare la scarcerazioni, sono alcune contestate norme del Codice penale turco (Tck) rimaste in vigore anche dopo la riforma della Tmy, ma anche la discrezionalità che abitualmente viene lasciata alla magistratura e la lentezza del sistema giudiziario turco. Le condanne vanno dai 4/5 anni di media, fino a estremi di 7 anni e mezzo comminati nel 2010, poco prima che la legge venisse emendata. Secondo le stime dell’ong Justice for Children Initiative (Jci), dei circa 3mila minorenni che si trovano abitualmente nelle carceri turche “quasi tutti sono curdi” I dati ufficiali (presenti solo fino al 2008) mettono in evidenza un incremento costante dei fermi e delle condanne comminate in applicazione della Tmy. Nel 2006, “grazie” agli emendamenti apportati alla legge anti-terrorismo, sono stati avviati procedimenti legali contro 299 minorenni; nel 2007 si è arrivati a 438 procedimenti, che sono diventati 571 nel 2008. Di questi ultimi, 306 sono stati accusati di “adesione a un’organizzazione terroristica”, punita sia dall’articolo 314/2 del Codice penale turco (Tsk) che dalla Legge anti-terrorismo del 2006, mentre i restanti 265 sono stati presumibilmente processati per “propaganda a favore di un’organizzazione terroristica”, previsto dall’articolo 7/2 della Tmy. In totale - stando ai dati del ministero di Giustizia di Ankara, aggiornati alla fine del 2007 - nelle carceri turche si trovavano 2.622 minori; almeno 1.440 di loro non erano sistemati in strutture apposite, ma nelle prigioni ordinarie, ricevendo lo stesso trattamento degli adulti. Dal 2008 in poi non sono disponibili dati ufficiali sul numero di minorenni processati e condannati in base alla legge antiterrorismo. Tuttavia, nel 2008 l’Unicef parlava di circa 2.500 bambini tenuti in stato di detenzione in Turchia e in attesa di processo. Nel luglio 2009, alcuni esperti legali affermavano che più di mille ragazzini erano stati posti sotto custodia negli ultimi due anni con accuse legate al terrorismo. Solo poche settimane dopo, e stando ai dati della Initiative for Justice for Children, circa trecento ragazzi tra i 12 e i 18 anni erano detenuti nelle prigioni turche. In sintesi, e considerando solo gli ultimi due anni, Human Rights Watch parla di “molte centinaia” di casi” di minorenni detenuti in virtù della Tmy, perché condannati o in quanto in attesa di processo. La stessa ong con sede a New York cita poi le testimonianze di avvocati turchi impegnati nella questione secondo cui il numero è cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi due anni, fino agli emendamenti compiuti dal governo di Ankara nel luglio di questo anno. Gli unici dati ufficiali per il periodo 2008-2010 possono essere estrapolati da una dichiarazione rilasciata nell’aprile 2010 dal direttore generale delle prigioni turche, che parlava di 276 bambini incarcerati per accuse legate al “terrorismo”, pari al 10 per cento del totale dei minorenni detenuti nelle carceri turche, ossia 25597. Un dato questo confermato nella sostanza dal ministro di Giustizia Sadullah Ergin, che nel giugno 2010 - poche settimane prima che la legge fosse emendata - parlava di 206 minorenni incarcerati “grazie” alla Tmy e di un numero totale di 2.506 detenuti-bambini.