Giustizia: nelle carceri 147 detenuti ogni 100 posti-letto, 60 suicidi da inizio anno Ansa, 20 novembre 2010 Le carceri italiane scoppiano: la capienza regolamentare è ampiamente superata in tutte le regioni italiane, con una media nazionale di 147 detenuti per 100 posti letto. E all’allarme dell’Istat si aggiunge il fenomeno dei suicidi, arrivati con i due morti di ieri, a 60 dall’inizio dell’anno. “Un suicidio di massa”, dichiara Patrizio Gonnella presidente dell’associazione Antigone, che si batte per i diritti nelle carceri, che invoca “provvedimenti urgenti”. L’ultimo bollettino delle morti in carcere segna due suicidi, entrambi di detenuti italiani. Il primo, 41 anni, si è impiccato alle sbarre della cella del carcere di Foggia dove era recluso per oltraggio a pubblico ufficiale. L’uomo nei giorni scorsi aveva tentato di dare fuoco alla sua cella ma l’intervento della polizia penitenziaria aveva evitato conseguenze più gravi. Un detenuto con gravi problemi psichici, riferisce Ristretti Orizzonti, che forse non doveva stare in carcere. Con quest’ultimo caso, ricorda ancora Ristretti Orizzonti salgono a 6 i detenuti suicidi nelle carceri pugliesi nel 2010 (2 a Foggia, 2 a Lecce, 1 a Brindisi e 1 ad Altamura). Un altro detenuto di 46 anni, si è suicidato nel carcere di Palmi. L’uomo - come ha riferito l’Osapp - ristretto nella sezione di alta sicurezza, si è impiccato alle sbarre della finestra con i lacci delle scarpe. Dunque, dall’inizio anno, come riferisce Ristretti Orizzonti, sono 60 i che detenuti si sono tolti la vita: 50 si sono impiccati, 6 asfissiati con il gas della bomboletta da camping, 3 avvelenati da mix di farmaci e 1 dissanguato dopo essersi tagliato la gola. Contro questo suicidio di massa - sostiene Patrizio Gonnella - c’è bisogno di prendersi cura delle persone e dunque avere il coraggio di facilitare i colloqui telefonici e gli incontri dei detenuti, non mafiosi, con i familiari”. “così come - spiega Gonnella - è importante non sradicare il detenuto dal suo luogo d’origine per evitare di lasciarlo solo alla sua disperazione”. “Inoltre - conclude Gonnella - ci si deve rendere conto che per intervenire su questa emergenza è necessario investire in educatori, mediatori culturali, psicologi e medici che possano prevenire l’autolesionismo. Dunque è importante che le Asl non abbandonino la sanità penitenziaria”. Giustizia: a Foggia il suicida numero 59, a Palmi il numero 60; la Costituzione tradita di Carlo Ciavoni La Repubblica, 20 novembre 2010 Si chiamava Raffaele Ferrantino e aveva 41 anni. Si è impiccato trasformando i lembi dei suoi pantaloni in un cappio. Aveva mostrato già evidenti segni di disagio psichico tentando di darsi fuoco e incendiando la cella che lo ospitava. Il sovraffollamento nei penitenziari e il non rispetto oggettivo della Costituzione sul trattamento dei reclusi. La denuncia arriva dal sito di Ristretti Orizzonti. Si chiamava Raffaele Ferrantino il detenuto suicida numero 59 che si è impiccato l’altra notte nella sua cella nel carcere di Foggia, trasformando i lembi dei suoi pantaloni in un cappio. Aveva 41 anni ed era stato arrestato lunedì scorso avendo dato evidenti segni di disagio psichico, dopo essere stato sorpreso mentre prendeva a calci la parta di casa di un parente. All’arrivo dei carabinieri, si era poi scagliato anche contro di loro. Ferrantino aveva manifestato i suoi problemi anche il giorno prima di morire, quando aveva tentato di uccidersi incendiando la cella che lo ospitava. Solo il pronto intervento della polizia penitenziaria aveva evitato conseguenze gravi. Lo avevano messo al riparo, spostandolo in un’altra cella priva di qualunque suppellettile o altro, che potesse usare per farsi del male. A Palmi (Rc) il sessantesimo suicidio Alle prime luci dell’alba di ieri un altro uomo si è suicidato in carcere; si tratta di Antonio Gaetano, di 46 anni, impiccatosi alle sbarre della finestra coi lacci delle scarpe. L’uomo si trovava in isolamento in seguito ad un diverbio con un altro detenuto. Gaetano si trovava in carcere dal maggio scorso quando gli era stata notificata una ordinanza di custodia cautelare con l’accusa di associazione mafiosa; era infatti considerato l’armiere del clan Nicoscia, federato con la cosca Grande di Curto, e difatti nell’ambito dell’operazione Pandora, che aveva fatto luce sulla guerra di mafia di Isola, era stato trovato in possesso di un vero e proprio arsenale, custodito in un casolare di sua proprietà. Sono però ignote le cause del gesto, tra l’altro aveva chiesto di essere giudicato col rito abbreviato per cui l’ipotesi di una sua incarcerazione a vita era molto lontana. Dure le parole del vice segretario regionale del sindacato Osapp, Organizzazione Sindacale Autonoma della Polizia Penitenziaria, Maurizio Policaro che ha commentato la vicenda: “Quel carcere, afferma, continua ad essere abbandonato a se stesso. Più volte questa O.S. ha chiesto interventi da parte del Provveditore Regionale che continua ad ignorare quanto denunciatogli; in primis la nota carenza di personale. Più volte è stata richiesta l’attenzione dell’Amministrazione Centrale e Regionale, ma il Dap ha ben pensato che con l’ultima mobilità nazionale, con la quale verranno effettuati 517 trasferimenti degli appartenenti al ruolo Agenti-Assistenti, nessuna unità di Polizia Penitenziaria debba essere assegnata a quell’Istituto che continua a “soffrire” sacrifici dai propri operatori costretti a svolgere ininterrottamente doppi turni di servizio, continuando ad accantonare ore di straordinario che non vengono retribuite e che vanno ad aggiungersi a quel “dimenticatoio” relativo alle ferie da fruire dall’anno 2006 ad oggi”. Ma la Costituzione? La denuncia arriva dal sito di Ristretti Orizzonti, che riporta quasi quotidianamente, come in una sorta di drammatica cronaca in diretta, il clima che si respira oltre le sbarre delle carceri italiane. Uno strumento d’informazione che contiene i dati raccolti dall’Osservatorio permanente sulle morti nei penitenziari composto da Radicali Italiani e le Associazioni “Il Detenuto Ignoto”, “Antigone”, “Buon Diritto”, la redazione “Radiocarcere”, oltre alla redazione di “Ristretti Orizzonti”. È la denuncia continua dell’estrema disperazione vissuta da migliaia di persone, costrette a scontare una pena, nella maggior parte dei casi, prima ancora di essere condannati, ma soprattutto in condizioni di sovraffollamento (ormai il numero complessivo è vicino a 70 mila, in uno spazio per 43 mila) che nulla hanno a che vedere con il 3° comma dell’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Con quest’ultimo caso salgono a 6 i detenuti suicidi nelle carceri pugliesi nel 2010 (2 a Foggia, 2 a Lecce, 1 a Brindisi e 1 ad Altamura, mentre a livello nazionale da inizio anno 60 detenuti si sono tolti la vita: 50 si sono impiccati, 6 asfissiati con il gas della bomboletta da camping, 3 avvelenati da mix di farmaci e 1 dissanguato dopo essersi tagliato la gola. Giustizia: alla Camera nuova “messa a punto” del progetto di legge sulle detenute madri Asca, 20 novembre 2010 Con la discussione di varie proposte di modifica e la decisione assunta da deputati di maggioranza e di opposizione a ritirare vari emendamenti per accelerare l’iter si è alle ultime battute in Commissione Giustizia per la messa a punto della pdl 2011 e delle abbinate contenenti norme a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori. Un testo già ampiamente rivisto per tentare di superere le notevoli divergenze sulla istituzione di case famiglia protette in cui assicurare la detenzione di donne condannate per reati gravi che non possono fruire dei domiciliari evitando che i loro figli piccoli siano costretti a vivere in penitenziari. Il Sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati ha ribadito l’esigenza di escludere il beneficio nel caso in cui sia stato commesso il reato di omicidio. Marche: suicidi in carcere; Radicali chiedono alla Regione una Commissione d’inchiesta di Andrea Granata (Segretario dell’Associazione Radicali Marche) Agenzia Radicale, 20 novembre 2010 La situazione drammatica delle carceri marchigiane, di cui le recenti morti avvenute presso il carcere Anconetano di Montacuto, sono solo gli ultimi episodi della tragedia umanitaria che ogni minuto si consuma negli istituti di pena italiani. Nelle carceri italiane si sottopongono esseri umani alla tortura di una pena contraria sia al senso di umanità sia alla stessa Costituzione italiana, il tutto in senso di ineluttabile incuria dei diritti civili dei detenuti e delle guardie carcerarie. Le carceri italiane, rappresentano il momento terminale del processo di necrosi della giustizia, in esse, più di qualunque altro ambito della società, lo scollamento tra legalità è giustizia si è compiutamente realizzato. Nessuna delle sempre più numerose istanze di legalità che salgono da più parti del paese può prescindere dalla situazione delle carceri e non porsi come obiettivo primario il ristabilimento della legalità e dei diritti fondamentali dei detenuti. Anche nella nostra regione una popolazione carceraria enormemente superiore al numero che le strutture penitenziarie potrebbe accogliere è tenuta in condizioni di assoluto disagio fisico e psichico; i ripetuti atti autolesionistici, spesso letali, rappresentano un drammatico sintomo di una situazione indegna di un paese civile. Nel solo carcere di Montacuto nel 2010 vi sono stati almeno tre decessi, l’ultimo dei quali avvenuto circa un mese fa, in cui stando alle cronache dei giornali altrettanti detenuti si sono suicidati assumendo dosi massicce di psicofarmaci. Si può temere che la somministrazione di psicofarmaci avvenga non solo ed esclusivamente per necessità terapeutiche, ma in nome di un malinteso senso di pietà di cui la somministrazione di psicofarmaci rappresenta uno strumento con cui isolare i detenuti, mediante la creazione di una gabbia farmacologica, dalla realtà, altrimenti invivibile, del trattamento penitenziario. Pena sedata quindi, ossimoro che fotografa una realtà carceraria assai diversa da quella che i nostri Padri costituenti avevano voluto ed in cui il trattamento penitenziario avrebbe dovuto avere un contenuto addirittura pedagogico, affidando ad esso il compito di contribuire alla riabilitazione del detenuto. Per questi motivi riteniamo che costituisca un improcrastinabile atto di responsabilità la costituzione di una Commissione di inchiesta sulla sanità penitenziaria, da parte del Consiglio Regionale delle Marche. Commissione consiliare cui affidare il compito di valutare come i livelli essenziali di assistenza costituzionalmente garantiti dall’art. 32 della Costituzione siano erogati negli istituti di pena marchigiani, diritti su cui la regione e per essa l’Asur ha competenze e responsabilità. In particolare, chiediamo che l’istituenda commissione, valuti se a fronte del consumo di psicofarmaci presso le strutture penitenziarie corrispondano altrettante certificate patologie, nonché se le prescrizioni di farmaci e le prestazioni sanitarie corrispondano alla necessaria appropriatezza terapeutica a cui ogni tipologia di assistenza, servizio e prestazione sanitaria deve essere informata. Foggia: De Leonardis (Udc); emergenza suicidi in carcere, occorre intervenire in fretta www.teleradioerre.it, 20 novembre 2010 “A nemmeno un mese dal precedente, siamo costretti a registrare e denunciare ancora un ennesimo caso di suicidio nella Casa circondariale di Foggia, una struttura ormai obsoleta che presenta gravi problemi di sovraffollamento - i detenuti sono ormai 800, un numero di gran lunga superiore ai 350 che dovrebbe rappresentare il limite inderogabile - e di carenza di personale, che costringe i 60 agenti di polizia penitenziaria a turni di lavoro stressanti e a un impegno che, pur ammirevole, non riesce a scongiurare eventi drammatici”. Giannicola De Leonardis, consigliere regionale Udc e presidente della settima Commissione Affari Istituzionali, ritorna su quella che considera “ormai una vera e propria emergenza, che non è possibile ulteriormente tollerare. Mentre le ripetute denunce a livello nazionale del Sindacato di poliziotti penitenziari cadono sistematicamente nel vuoto, mentre le preoccupazioni del Ministro Angelino Alfano e del Governo nazionale sembrano concentrate unicamente su improbabili Lodi e la giustizia è materia solo di leggi ad personam, polemiche e contrapposizioni sterili e lontane dai problemi reali del Paese reale, nel carcere di Foggia si continua a morire e sopravvivere in condizioni di precarietà estrema, e il quadro nel resto della regione è altrettanto desolante: 5.000 detenuti circa (il doppio rispetto al numero ottimale) distribuiti in appena dodici strutture, otto delle versano in condizioni disastrose”. “Che deve succedere ancora nel carcere foggiano in particolare e nelle carceri pugliesi in generale perché qualcuno intervenga, finalmente?” si chiede e chiede De Leonardis. Napoli: entrò sano in carcere, ora è paralizzato da una neuropatia e senza sedia a rotelle Gazzetta del Mezzogiorno, 20 novembre 2010 Un caso umano, ma anche di civiltà. Un detenuto del carcere di Lecce entrato sano sulle sue gambe in prigione nel 2005 e ora ridotto ad una sedia a rotelle, anzi per la precisione neanche quella, tanto da sollecitare l’iniziativa del senatore Giuseppe Caforio di Italia dei Valori. Teodoro Gasbarro, 36 anni di Latiano, è stato condannato ad otto anni di reclusione per associazione di stampo mafioso, nessuno nega che debba scontare la sua pena inflitta, ma lo stato carcerario lo ha reso obeso in soli tre mesi, e vulnerabile ad una non meglio identificata “neuropatia” che oggi lo costringe all’immobilità da anni. “Mi è stata raccontata la storia di questo giovane e sono andato a trovarlo – racconta il senatore Caforio -. Mi è sembrato l’emblema di un vero disastro carcerario. I detenuti semplicemente reclusi in stanzette 4X4, senza nulla da fare, senza che sia loro dato il diritto costituzionale ad essere riabilitati, vivono in uno stato di prostrazione spaventosa. Gasbarro entrato in carcere sano ed ora ridotto all’immobilità ne è l’esempio tragico”. Teodoro Gasbarro è al momento trasferito dal carcere di Lecce a Poggioreale. Le sue condizioni di salute hanno imposto lo spostamento per far fronte ad una serie di analisi necessarie a comprendere il problema. “Un’ulteriore inutile crudeltà – sottolinea il senatore – innanzi tutto perché si poteva benissimo provvedere agli esami necessari a Lecce, poi perché a Napoli è ancora più difficile ai suoi familiari e avvocato andarlo a trovare, il che aggrava ancora di più il malessere di Gasbarro. E infine perché un detenuto in queste condizioni costa tantissimo allo Stato, mentre se ci fosse un sistema carcerario che permette la riabilitazione e il reale reinserimento del reo nella società, sarebbe un beneficio per l’intera comunità”. Il senatore Caforio ha avviato una rete di solidarietà per dare a Gasbarro almeno una sedia a rotelle, per alleviare almeno di un minimo le sue difficoltà motorie. La storia di Teodoro Gasbarro, dunque, indice di un intero sistema che non funziona, come è spesso messo in evidenza da iniziative parlamentari e di associazioni. Nelle carceri non ci sono laboratori per permettere ai detenuti di lavorare, spazi per attività ludiche, momenti di risocializzazione; solo che a fronte di iniziative politiche mirate a cambiare il sistema, ben poco si muove nelle coscienze della società comune, come se il mondo carcerario sia uno spazio lontano o che i più tendono ad allontanare, per dimenticarsene. “E invece bisogna affrontare il problema – conclude Caforio – è una questione di civiltà. Queste persone hanno sbagliato, sta allo Stato recuperarli ad una vita comune e questo passa anche attraverso una cura del loro benessere fisico e psichico”. Cosenza: Ardita (Dap); incapaci di venire incontro a tutte le esigenze, più misure alternative Gazzetta del Sud, 20 novembre 2010 Chi sbaglia paga? Ma soprattutto, come paga? Lo scrittore e filosofo russo Dostoevskij sosteneva che il grado di civilizzazione di una società si misura dal suo sistema carcerario. Vediamo cosa accade attualmente in Italia, in Calabria e nel Cosentino. L’amministrazione penitenziaria tricolore registra (dato “fotografato” al 31 ottobre) 68.795 presenze, numero che si scontra inevitabilmente con la capienza regolamentare delle nostre prigioni: 44.962 unità. I detenuti stranieri sono 25.364, il 36,9% del totale. La popolazione carceraria è pressappoco suddivisa a metà: 36.904 (53,5%) sono i condannati in via definitiva, mentre 29.986 (43,6%) gli imputati. In quest’ultima categoria rientrano i 15.111 in attesa del primo giudizio, gli 8.130 appellanti, i 5.047 ricorrenti e i 1.698 misti. Questo il dato nazionale. Passiamo ad osservare la situazione dalla punta dello Stivale. Anche in Calabria il sovraffollamento rappresenta una vera e propria emergenza. La nostra regione dispone di dodici penitenziari: la capienza regolamentare totale è di 1.871 unità, ma al 31 ottobre scorso le persone detenute nelle carceri calabresi sono ben 3.207. Gli stranieri sono 872 (27,2%), mentre le donne toccano quota 53 (1,6%). Il 43,9% dei reclusi (1.409 persone) è in attesa di giudizio: 743 aspettano il primo grado, 368 l’appello, 238 il ricorso in Cassazione, 60 i misti. In provincia di Cosenza non va affatto meglio. Nel penitenziario del capoluogo i detenuti non dovrebbero superare le 204 unità, ma dietro le sbarre del “Sergio Cosmai” di via Popilia ci sono al momento 344 persone. A Rossano, la capienza massima consentita di 233 unità viene battuta dalla realtà di 360 reclusi. Nel carcere di Paola, a fronte dei 167 posti regolamentari, troviamo ben 276 detenuti. Situazione simile anche a Castrovillari (dove è presente anche una sezione femminile): cifra effettiva (276 reclusi) batte di gran lunga capienza massima (128 unità). Tirando le somme, nel Cosentino abbiamo 1.217 detenuti: 38% del dato regionale, 1,7% di quello nazionale. Questi i numeri snocciolati ieri mattina durante “Il carcere tra prevenzione e recupero”, la giornata-studio organizzata dal corso di alta formazione dell’Unical diretto dal criminologo Francesco Bruno. Qualificati e corposi gl’interventi che, all’interno della sala conferenze dell’Hotel Royal, si sono succeduti fino a sera inoltrata. Ieri mattina, tuttavia, tra i relatori più attesi c’era Sebastiano Ardita, direttore generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Il dottor Ardita ha sottolineato che “il carcere è il luogo dove si contestualizza il sistema penale”, precisando le difficoltà incontrate nell’attivazione di efficaci programmi riabilitativi. Questo perché gran parte dei detenuti transita dalle celle per pochi giorni. È necessario attivare, sostiene Ardita, un sistema d’accoglienza, soprattutto nei confronti di chi si trova ad affrontare il trauma della carcerazione per la prima volta. Ma chi sbaglia paga davvero? “Paga, ma non sempre. Lei – afferma Ardita – ha di fronte un sistema penale con una serie enorme di reati commessi e, purtroppo, 42mila posti disponibili: questo produce l’incapacità di venire incontro a tutte le esigenze. Occorrerebbe ampliare con le misure alternative il numero di quelli che pagano”. Tolmezzo (Ud): il Presidente regionale Tondo; l’integrazione passa per il territorio Asca, 20 novembre 2010 È una presenza ormai integrata nel territorio e nella comunità locale, quella del carcere di Tolmezzo, una presenza che si riflette anche con effetti benefici sull’area circostante. Con queste parole il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, ha voluto esprimere il compiacimento della comunità regionale per le attività formative e rieducative che si svolgono nell’istituto di pena tolmezzino presentate oggi nella sede municipale del capoluogo della Carnia dal direttore del carcere, Silvia Della Branca, da Massimo Marino, direttore del Cefap, il Centro per l’educazione e la formazione agricola permanente, e da Evelin Zubin, presidente della cooperativa onlus Ida-Associazione MerryGoRound. Nell’istituto si tengono corsi di inclusione sociale volti a preparare i detenuti nell’arte dei mestieri e nelle attività agricole, fino a quelle apparentemente più semplici, come l’allevamento degli animali da cortile. Tale articolato percorso formativo, che attualmente interessa sessanta persone, si rinnova già da diversi anni e ha dato positivi riscontri. Tondo ha anche ricordato le diffidenze della popolazione quando fu decisa la costruzione del carcere: ma da allora numerose persone della Carnia vi hanno trovato occupazione; altrettanto numerosi sono stati i lavoratori trasferitisi in Carnia per essere occupati nel carcere o nelle attività correlate. Il presidente ha anche rivolto un invito agli amministratori e politici del Friuli Venezia Giulia a visitare il carcere di Tolmezzo, per constatare il livello di umanità e di riscatto sociale che il direttore, Della Branca, ha saputo instaurare tra i detenuti. E ha concluso evidenziando l’efficacia del messaggio trasmesso attraverso le attività formative in atto nell’istituto, mirate a far recuperare mestieri che ci ricollegano al territorio. Televisione: domani a “RegionEuropa” (Rai Tre) il problema carceri Asca, 20 novembre 2010 Nell’Unione Europea il sovraffollamento delle carceri sta determinando condizioni, anche al di là delle volontà dei singoli governi dei 27, che potrebbero risultare incompatibili con i diritti dell’uomo: per questo la Commissione di Bruxelles presenterà un “libro verde” sulla condizione dei detenuti , un rapporto che porterà ad una direttiva sulla politica carceraria, direttiva a cui dovranno uniformarsi tutti gli stati nazionali, in quanto il Trattato di Lisbona fa ormai entrare le direttive europee automaticamente in vigore dopo sei mesi dalla loro promulgazione. Al tema della condizione carceraria nei 27 paesi dell’Unione è dedicato il servizio di apertura di “RegionEuropa”, il settimanale della Tgr curato dal vice direttore dei Tg regionali della Rai Dario Carella, in onda domenica 21 novembre alle 11,45 su Rai Tre. Nel servizio di “RegionEuropa” ampio spazio viene dedicato all’iniziativa di Ares Edizioni “Un libro per amico”, un’iniziativa che si inserisce nel progetto “Sophia” in atto nel carcere milanese di San Vittore e animato dalla convinzione pedagogica che la formazione culturale sia un tassello fondamentale nel processo educativo di ogni uomo, anche e tanto più del detenuto,come hanno riconosciuto sia il Provveditorato e della Direzione della casa circondariale milanese. Intervengono sul progetto di Ares Edizioni il Direttore di “Studi Cattolici” Cesare Cavalleri, il Professor Francesco Trapani dell’Università di Pavia e Riccardo Caniato di Ares Edizioni. Al progetto “Un libro per amico”, che nasce da una richiesta degli stessi detenuti di San Vittore, hanno aderito numerosissime personalità del mondo della cultura fra i quali Monsignor Luigi Negri, Vescovo di San Marino e Montefeltro,Mario Mauro, europarlamentare Ppe e rappresentante Ocse,Pippo Corigliano, responsabile Ufficio informazioni dell’ Opus Dei in Italia, il romanziere Eugenio Corti, Paul Freeman direttore dell’Associazione Culturale Cattolica Zammerù Maskil e il giornalista e storico Ugo Finetti.