Giustizia: Annuario Istat 2010; i reati diminuiscono, i condannanti e i detenuti aumentano Il Velino, 19 novembre 2010 Nel 2008 si contano 2.709.888 delitti denunciati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia, con una diminuzione del 7,6 per cento rispetto all’anno precedente. Le tipologie di delitto considerate che registrano una più forte diminuzione rispetto all’anno 2007 sono in generale i delitti contro il patrimonio (furti -14,9 per cento, truffe e frodi informatiche -13,7 per cento, rapine -10,5 per cento), mentre gli aumenti maggiori si osservano per le lesioni dolose e i tentati omicidi (+3,4 e +2,1 per cento, rispettivamente). I condannati per delitto nel corso dell’anno 2008 sono stati 252.752, il 7,5 per cento in più rispetto all’anno precedente. A tale proposito è opportuno rammentare che i dati sono relativi alle iscrizioni effettuate, nel corso dell’anno di riferimento, nel Casellario giudiziale centrale e risentono di conseguenza del volume di attività svolto da tale ufficio giudiziario. Si tratta nell’ 84,3 per cento dei casi di uomini, mentre i condannati minorenni costituiscono l’1,2 per cento del totale. I reati più comuni per i quali si viene condannati sono stati il furto e i delitti in materia di sostanze stupefacenti (14,1 e 9,8 per cento rispettivamente). Per l’80,2 per cento dei condannati la sentenza ha previsto la pena della reclusione (ed eventualmente una sanzione pecuniaria), mentre al rimanente 19,8 per cento dei casi è stata comminata solo una multa. Tra i condannati per delitto iscritti nell’anno 2008, circa la metà aveva precedenti penali. I condannati per contravvenzione iscritti nel casellario nel 2008 sono stati 116.677, con un aumento del 15,4 per cento rispetto al precedente anno. Tra i condannati per contravvenzione l’88,1 per cento è di sesso maschile, e il 40,3 per cento aveva precedenti penali. Il reato più comune, che ha riguardato quasi la metà (48,0 per cento) dei condannati per sola contravvenzione, è stato quello di guida sotto l’influenza di alcool o droghe. I casi di suicidio e tentativo di suicidio riportati all’autorità giudiziaria da Polizia di Stato e Arma dei carabinieri sono stati nel corso dell’anno 2008 rispettivamente 2.828 e 3.327. Oltre i tre quarti (77,7 per cento) dei suicidi sono commessi da maschi, e anche per quanto riguarda i tentativi di suicidio la componente maschile registra una leggera prevalenza (53,1 per cento) confermando l’andamento degli anni più recenti. I mezzi di esecuzione più frequentemente utilizzati sono l’impiccagione per i suicidi (40,0 per cento dei casi) e l’avvelenamento per i tentativi di suicidio (26,7 per cento). La lettura della serie storica dei dati del movimento dei detenuti e internati in istituti di prevenzione e di pena per adulti non può non tenere conto delle dinamiche legate all’indulto intervenuto nell’anno 2006 (legge 31 luglio 2006, n. 241): l’effetto immediato di “svuotamento” delle carceri (dai 60.710 presenti alla data del 31 luglio 2006 ai 38.847 del 31 agosto), risulta più che compensato dai reingressi degli anni successivi, e i presenti al 31 dicembre 2009 ammontano a 64.791 persone, con un incremento dell’11,5 per cento rispetto alla fine dell’anno 2008. Il 4,2 per cento degli adulti presenti alla fine dell’anno 2008 è di sesso femminile. Il 24,5 per cento dei detenuti è tossicodipendente, mentre sono risultate sieropositive 17,7 persone su mille e affetti da Aids 2,3 detenuti su mille. Gli stranieri presenti in carcere costituiscono il 37,1 per cento del totale dei detenuti (se si considerano le sole donne, la percentuale è del 43,7). La capienza regolamentare risulta ampiamente superata in tutte le regioni italiane, con valori compresi tra i 118 detenuti per 100 posti letto regolamentari della Sardegna e i 188 dell’Emilia-Romagna. La media nazionale risulta di 147 detenuti per 100 posti letto. È opportuno precisare che anche un dato medio meno elevato può creare notevoli criticità, in ragione della necessità di mantenere distinte strutture carcerarie per maschi e femmine, per la manutenzione periodica degli ambienti eccetera. Nell’anno 2009 sono transitati nei centri di prima accoglienza 2.422 minori, il 16,7 per cento in meno rispetto all’anno precedente (-37,5 per cento se si considerano le sole ragazze). I centri di prima accoglienza sono strutture che assicurano la custodia del minore in attesa dell’udienza di convalida, evitandogli l’impatto con una struttura di tipo carcerario. Negli ultimi anni si è registrato un afflusso sempre minore di ragazzi stranieri, che costituivano il 58,9 per cento del totale nel 2005 e ora (anno 2009) sono solo il 38,3 per cento. Straniere, tuttavia, continuano ad essere la maggioranza delle ragazze (81,5 per cento). Le imputazioni relative ai minori transitati nei centri di prima accoglienza riguardano reati contro il patrimonio nel 62,6 per cento dei casi, nel 25,5 per cento violazioni delle leggi sugli stupefacenti, nel 6,8 per cento reati contro la persona e nel 2,3 per cento la detenzione e il porto abusivo di armi. La statistica dei flussi di utenza degli istituti penali per i minorenni ha registrato, nell’anno 2009, 1.222 ingressi, l’83,5 per cento dei quali per custodia cautelare. I minori presenti a fine anno risultano 466, di cui l’8,6 per cento sono ragazze, mentre gli stranieri costituiscono il 38,8 per cento. I soggetti sottoposti a provvedimento penale presi in carico nell’anno 2009 dagli uffici di servizio sociale per i minorenni sono stati 18.443, di cui 1.831 femmine. Gli uffici di servizio sociale per i minorenni svolgono attività di tutela dei diritti dei minori sottoposti a procedimento penale e, tra gli altri compiti di rilievo, elaborano specifici progetti di intervento miranti al recupero del minore, del quale forniscono ulteriori elementi conoscitivi all’autorità giudiziaria minorile. I minorenni collocati in comunità sono stati 2.100 (sempre nell’anno 2009), in leggera diminuzione (-4,0 per cento) rispetto all’anno precedente; tale diminuzione è decisamente più marcata (-32,5 per cento) per le ragazze. Giustizia: migranti, diritti sociali e carceri; è l’ora di una nuova politica di Lillo Di Mauro (responsabile politiche per il carcere e i migranti dei Verdi) Terra, 19 novembre 2010 Ho aderito alla Costituente Ecologista per promuovere un nuovo ed evoluto welfare, per costruire un progetto politico e sociale condiviso che incontri, nel protagonismo dei movimenti per i diritti e la pace, il suo naturale indirizzo democratico. Ho con convinzione aderito alla Costituente ecologista perché di fronte a situazioni di disagio umano e degrado ambientale nuove e complesse non possiamo pensare di intervenire con gli stessi strumenti e logiche che appartengono al passato quindi non più riproponibili. Gli scenari ambientali sono cambiati, i territori hanno negli anni modificato bisogni e necessità, modi di vita e di convivenza. Cambiamenti di cui dobbiamo avere conoscenza e informazione escogitando una nuova dimensione d’intervento politico che non solo necessita di modifiche strutturali e organizzative ma principalmente di un modo di fare politica e cultura, più improntato alla riflessione e osservazione dei fenomeni sociali e alle dinamiche e bisogni che li caratterizzano. Ripartire dal territorio, dalle periferie dove la vita della gente trova concretizzazione ed espressione, in ritmi e tempi di cui non riusciamo più a percepire la quasi assoluta difficoltà e insensatezza. Dobbiamo ripartire da dove le concentrazioni di gente sono più alte, perché qui esplodono le contraddizioni e le difficoltà a convivere, a trovare punti d’incontro, a comunicare le diversità. Dobbiamo dare una risposta al bisogno di giustizia sociale, dobbiamo saperlo interpretare. Credere in una politica che lascia spazio a riflessioni e riconsiderazioni sulle nuove realtà e problematiche sociali, che ci consenta di indirizzare il nostro pensiero e il nostro agire più liberamente verso terreni nuovi di ricerca e di impegno. Tutto è tornato in movimento, verso dove, qual è il senso e la direzione? Sono domande a cui la nostra politica, nella nuova fase, deve saper dare risposte oltre le esigenze nazionali e fin dentro i contesti particolari nei quali vive e agisce quotidianamente il cambiamento. I confini sociali e culturali nei quali siamo cresciuti sembrano frantumarsi sotto la spinta potente dei cambiamenti epocali che attraversano il mondo occidentale. L’affermazione di nuove realtà sociali, nel campo del lavoro, dei servizi, il protagonismo di nuove figure di cittadini provenienti dai paesi più poveri del mondo, la multietnicità e la ricchezza delle differenze nelle culture e nei modi di vivere, fanno della nostra società un realtà naturalmente diversa da quella che abbiamo conosciuto fin qui. Una folla di nuovi bisogni reclama visibilità e cittadinanza, bisogni che arrivano dalle realtà sociali del nuovo welfare cresciuto negli spazi impoveriti dalla dismissione statale dei servizi ad alto contenuto umano e professionale, che nascono dai sacrifici dei migranti spogliati dallo sfruttamento internazionale delle grandi imprese, dai senza casa, dalle vittime della flessibilità del lavoro, sono i bisogni delle moltitudini fatti emergere dall’urto dei contrasti e delle disarmonie prodotte dal mercato globale. Un movimento ecologista non può prescindere dall’assumersi l’impegno di dare risposte a questi bisogni. Le politiche di salvaguardia dell’ambiente devono andare di pari passo con la difesa dei diritti umani. Le disuguaglianze dell’economia liberista producono a pioggia situazioni che solo pochi anni fa avremmo chiamato “al limite”. Sono precisamente queste condizioni che vanno rimesse in gioco e al primo posto della nostra agenda per costruire un progetto politico/sociale condiviso che incontri, nel protagonismo dei movimenti per i diritti e per la pace, il suo naturale indirizzo democratico. Il nostro impegno deve essere a sostegno dei percorsi di affermazione di modelli sociali non dispersivi e rinnovabili che, valorizzando le differenze, siano capaci di saper trarre dal territorio risorse e intelligenze con cui dare anche alla politica l’indicazione della praticabilità di nuove scelte sociali. L’Italia per vocazione è una nazione senza confini aperta alle differenze. Tuttavia le politiche nazionali sull’immigrazione, stravolgendo gli indirizzi precedenti, hanno introdotto orientamenti di esclusione dalla cittadinanza attiva dei migranti considerandoli quote di lavoro necessario al pari di una merce o bene di consumo. Diventa per noi importante promuovere subito azioni dal basso per decostruire il piano politico-burocratico voluto dalla legge “Bossi-Fini” che introduce il disvalore sociale e culturale dell’esclusione. Le carceri come del resto tutto il sistema penale italiano, sono sottoposte ad emergenze che hanno fatto perdere alla popolazione detenuta le garanzie di legalità del trattamento nella fase della detenzione, annullando il dettato costituzionale che individua nella pena il mezzo per il recupero del condannato. Il nostro impegno deve essere volto a stimolare gli enti locali a farsi carico di svolgere questo compito ritenendolo un dovere etico e un servizio alla città che, nel recupero della persona e nella accoglienza, trova la propria vocazione e la propria sicurezza. In questa visione, la funzione delle pene, la cultura professionale dei servizi alla persona e gli interventi orientati al reinserimento devono essere sempre più un patrimonio civile e politico del territorio che ambisce a perseguire giustizia, sicurezza e legalità per la comunità che rappresenta. La stessa battaglia per il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali che continua e sviluppa, nella discontinuità, il processo di trasformazione civile della nostra società iniziato negli anni ‘70 e si riannoda alle battaglie per il divorzio e l’aborto che portarono nelle nostre istituzioni e nella legislazione la responsabilità e il progresso civile espresso dalla parte più matura e laica del Paese, cambiando democraticamente, dal basso, gli orizzonti della nostra convivenza. Con le associazioni, le organizzazioni, i circoli che stanno portando il dibattito nei luoghi più significativi della partecipazione civile e dentro le istituzioni, noi dobbiamo impegnarci affinché nel nostro ordinamento si recepiscano linee dettate dalla risoluzione del Parlamento europeo che sollecita gli stati membri a vietare in tutti i settori la discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Insomma è nostro dovere attuare una politica di tutela dei diritti umani dei più deboli capace di individuare nuove linee guida sulle quali ricondurre con coraggio tutto il sistema, nella prospettiva di una matura responsabilità democratica, che permetta a tutti: operatori istituzionali e sociali di progettare dentro i tempi e gli spazi sociali e non dentro quelli della politica fine a se stessa. Giustizia: Dap; pronti i dossier per 9.610 potenziali beneficiari della “svuota-carceri” di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 19 novembre 2010 La chiamano “svuota-carceri”, ma i 9.610 detenuti che con la nuova legge potrebbero beneficiare della “detenzione domiciliare” sono una goccia nell’oceano, il 13,9% dei 69.182 inquilini delle sovraffollate patrie galere. Ogni mese continuano a entrare 7mila persone (spesso per periodi brevi) e, poiché non ne escono altrettante, la popolazione carceraria aumenta al ritmo mensile medio di 400 detenuti. Oggi ce ne sono 24.964 in più rispetto ai 44.218 posti regolamentari disponibili; con la “svuota carceri” scenderanno a 15.354. Comunque tanti, troppi per garantire condizioni di vita umane e percorsi riabilitativi efficaci. “La situazione è drammatica, ma la nuova legge è molto importante - dice Franco lonta, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) - perché le misure introdotte, dalla detenzione domiciliare all’assunzione di 1.800 poliziotti, sono strutturali e vanno nella direzione di una stabilizzazione”. Tutto sta a renderle operative subito. Il Dap fa sapere di aver già predisposto i dossier dei 9.610 potenziali beneficiari (4.551 sono stranieri) per trasmetterli alla magistratura di sorveglianza affinché decida rapidamente sulla “detenzione domiciliare”. La sempre più drammatica situazione ha messo le ali ai piedi alla legge, prevista dal “piano carceri” varato dal governo a gennaio con la dichiarazione dello “stato di emergenza nazionale” fino al 31 dicembre 2010. La “svuota-carceri” è uno dei tre pilastri del “piano”, e dovrebbe avere un effetto deflattivo (in entrata e in uscita) della popolazione carceraria (la detenzione domiciliare si applica infatti sia ai condannati a non più di un anno di carcere sia ai detenuti ai quali resti da scontare un periodo analogo); il secondo pilastro è l’assunzione di 1.800 nuovi poliziotti penitenziari; il terzo (che nell’ordine delle priorità del governo doveva essere il primo) è il “piano di edilizia penitenziaria” per la costruzione di nuovi padiglioni, all’interno di carceri già esistenti, e di nuovi istituti entro fine 2012, per un totale di 17.891 posti in più e un costo complessivo di 1 miliardo e 600milioni di euro. A Ionta il compito, in veste di Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, di realizzare il piano secondo il metodo “L’Aquila”, quindi con poteri eccezionali in deroga alle procedure ordinarie, per velocizzare e semplificare le gare d’appalto. Lo “stato di emergenza” sta per scadere - e così pure i poteri straordinari di Ionta - ma del piano carceri si sa poco. Quel che è certo e che “i soldi non sono ancora arrivati”: nella cassa speciale del commissario ci sono solo 100 milioni presi dalla Cassa delle ammende (i cui fondi sono destinati a programmi di trattamento dei detenuti: ne sono rimasti 59) più 40 recuperati da uno dei capitoli di bilancio del Dap. I 500 milioni previsti dalla Finanziaria 2010 non sono ancora arrivati, e senza non si può far fronte neppure alle spese correnti. Fin qui i soldi. Quanto ai progetti, Ionta ha costituito un ufficio di quattro “soggetti attuatori”, i cui nomi sono top secret (due avvocati, un ingegnere, un commercialista) più il presidente della provincia di Bolzano, e ha nominato alcuni consulenti per la parte economica, finanziaria, di edificazione, giuridica. Sono state avviate le intese con 8 Regioni e ì tecnici del Dap stanno lavorando ai progetti dei padiglioni e dei nuovi istituti, che dovrebbero essere conclusi tra un mese e costituire la base delle gare di appalto. Prima di vedere qualche cantiere, quindi, ci vorrà tempo, ma Ionta è certo che entro il 2012 le nuove strutture saranno completate. Intanto l’emergenza continua: secondo i dati 2010 del Dap, da ottobre gli ingressi in carcere hanno ripreso il ritmo di 7mila al mese; aumentano suicidi (54), tentati suicidi (1.032) e morti naturali (95), il ricorso ai farmaci e all’alcool (91 casi) nonché l’autolesionismo (5.002 casi). E le proteste non si contano più. Ma forse la “svuota carceri” aprirà una piccola breccia nel muro dell’immobilismo. Giustizia: il Sottosegretario Casellati; la legge “svuota-carceri” serve per affrontare l’emergenza di Afra Fanizzi L’Opinione, 19 novembre 2010 “I detenuti in Italia sono più di 69mila su una capienza regolamentare di 44.608 posti e una tollerabilità stimata in 67mila unità. Di questi, 24mila, pari al 40%, hanno cittadinanza straniera ma la crescita annuale degli ingressi si è ridotta rispetto al 2009”. È stato approvato ieri in Senato in via definitiva il ddl “svuota-carceri”: la legge prevede che, nel caso in cui il detenuto debba scontare ancora 12 mesi per un reato considerato minore, questo periodo lo possa trascorrere agli arresti domiciliari; in caso di evasione dai domiciliari, la pena sarà inasprita, da uno a cinque anni. Il decreto legislativo è stato approvato dal Pdl, dalla Lega e dal Fli, si sono invece astenuti l’Udc, il Pd e l’Idv che ritengono questo provvedimento assolutamente inutile per risolvere il problema delle carceri. A parlarci del decreto e della situazione delle carceri italiane, il sottosegretario alla Giustizia, Maria Elisabetta Alberti Casellati. È stato approvato il ddl svuota carceri che consente la detenzione domiciliare per chi deve scontare pene inferiori ad un anno: questo provvedimento è solo una panacea per le carceri affollate o può dare davvero una svolta? Il provvedimento è una delle misure pensate dal governo per affrontare l’emergenza carceraria del sovraffollamento insieme all’edilizia e alle convenzioni internazionali. Purtroppo essendo gli effetti dell’indulto ormai vanificati e pertanto bisognava intervenire urgentemente. Ne beneficeranno circa 7mila detenuti. Voglio ricordare che la legge approvata non presenta alcun rischio per i cittadini in quanto non sarà applicata per i reati gravi. Inoltre, c’è un inasprimento delle pene per chi ai domiciliari violerà le regole. Qual è la situazione attuale delle carceri italiane? Oggi i detenuti sono poco più di 68mila su una capienza regolamentare di 44.608 posti e una tollerabilità stimata in 67mila unità. Di questi, 24mila, pari al 40%, hanno cittadinanza straniera. In ragione di ciò il governo sta avviando una serie di accordi bilaterali in modo da far scontare la pena ai detenuti nei loro Paesi d’origine. Le cifre comunque parlano chiaro: ci troviamo di fronte ad un’emergenza che provoca un grave disagio sociale. Bisogna tuttavia rilevare che la crescita annuale degli ingressi in carcere si è ridotta, rispetto al 2008, del 17% nel 2009 e, dato ancora più significativo, del 62% con riferimento al maggio del 2010. Sono elementi che confortano ma non fanno abbassare l’attenzione, che resta massima. In questi giorni si è tornato a parlare di regime di carcere duro e di 41 bis soprattutto dopo le dichiarazioni dell’ex ministro della Giustizia, Giovanni Conso, che ha detto di aver revocato il carcere duro ad alcuni boss per arginare la fase stragista. Oggi il “carcere duro” ha ancora senso? Sì. Il carcere duro ha ancora un senso e bene ha fatto il governo a inasprire il 41 bis. Questa norma, insieme alla confisca dei beni, è importante perché serve a colpire quel potere economico attraverso il quale il condannato mantiene il controllo sul territorio e quindi sulla rete criminale anche durante la detenzione. Molti pm continuano a far parlare del proprio operato. È il caso del pm dei minori Anna Maria Fiorillo che si è occupata dell’affido della giovane marocchina Ruby. Ritiene che quello della pm sia stato un comportamento corretto o che possa in qualche modo anche aver nuociuto ad un’inchiesta tuttora aperta? La pm Fiorillo, che ha contestato la ricostruzione della vicenda Ruby fatta dal ministro dell’Interno Roberto Maroni in Parlamento, farebbe bene a manifestare le sue idee nelle sedi opportune senza troppi protagonismi sui giornali o in televisione. A proposito di Maroni, cosa pensa della polemica fra lo scrittore Roberto Saviano e il ministro dell’Interno? Roberto Saviano dovrebbe chiedere scusa al ministro Maroni che ha dimostrato con l’arresto di 6.754 mafiosi e il sequestro di 18 miliardi di beni il suo grande impegno nel contrasto alla criminalità organizzata. Quando si rivolgono accuse così pesanti è doveroso indicare fatti e persone. Il 14 dicembre è attesa la decisione della Corte costituzionale sul legittimo impedimento: che pronostici può fare su questa decisione? Aspetto fiduciosa la decisione della Corte costituzionale. Giustizia: Unione Camere Penali; la legge “svuota-carceri” inciderà poco sul sovraffollamento Dire, 19 novembre 2010 La legge svuota-carceri “inciderà in maniera minima e comunque limitata nel tempo sul sovraffollamento carcerario”. Così l’Unione camere penali italiane commenta l’approvazione in via definitiva al Senato del ddl sui domiciliari per chi sconta una pena non superiore a un anno. I penalisti, pur mostrando “apprezzamento” per una proposta che indica “un segnale di inversione di tendenza della politica legislativa del governo in materia penitenziaria”, sottolineano come la legge si inserisca “in una logica di politica penitenziaria sicuramente non lungimirante, ma basata su provvedimenti tampone”. Ora la Giunta Ucpi auspica che “rigide interpretazioni giurisprudenziali e lungaggini burocratiche, non vanifichino la portata deflattiva del ddl”. Come pure è necessario, fanno notare i penalisti, “un rafforzamento dell’organico della polizia penitenziaria, usurato da turnazioni estenuanti, che andrà, però, utilizzato sempre in un’ottica di miglioramento delle attuali condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari”. Ma in realtà, secondo le Camere penali, “solo una completa rivisitazione della logica della sanzione detentiva come unica pena, a favore di strumenti alternativi al carcere- concludono- può portare ad una pena veramente rieducativa e umana”. Giustizia: Radiocarcere; svuota-carceri? è come svuotare un lago con un cucchiaio Dire, 19 novembre 2010 “Il Governo e la maggioranza parlamentare pensa di affrontare il sovraffollamento carcerario con il ddl Alfano? A me sembra più il tentativo di chi vuole svuotare un lago con un cucchiaino” - è quanto afferma sul sito www.radiocarcere.com Riccardo Arena, che cura la rubrica Radiocarcere su Radio Radicale. “Leggendo il testo del provvedimento approvato” precisa Arena “È evidente che ci sia il rischio, per non dire la certezza, che questa nuova legge diventi una delle tante misure alternative alla detenzione che di fatto non riescono ad essere applicate. Senza considerare che essendo 69.158 i detenuti oggi ristretti nelle carceri italiane, ovvero circa 30 mila in più rispetto alla capienza regolamentare, il ddl Alfano (svuota-carceri) ben poco potrà servire per combattere il sovraffollamento, anche se si avverassero le previsioni governative sul provvedimento approvato dal Senato secondo sarebbero 7 mila i detenuti che ne potrebbero beneficiare. In altre parole: è come svuotare un lago con un cucchiaino”. Giustizia: Anfp; la legge “svuota-carceri” offende le vittime dei reati e la polizia Asca, 19 novembre 2010 “Con l’approvazione definitiva del Ddl svuota carceri, il Parlamento si è assunto la responsabilità di dare un ulteriore colpo alla certezza della pena, concedendo gli arresti domiciliari a chi deve scontare pene inferiori ad un anno”. È quanto afferma oggi il segretario nazionale dell’Associazione funzionari di Polizia (Anfp), Enzo Marco Letizia che sottolinea come con il provvedimento “si scarica, così, sulle forze di polizia con organici sempre più ridotti e con meno risorse e mezzi, il controllo dei criminali spediti a casa perché in carcere non c’è posto”. “In assenza dell’effettività e del rispetto del principio della certezza della pena, non solo si offendono le vittime dei reati, ma si vanifica la portata deterrente della risposta dello Stato al crimine, e si riduce sostanzialmente - conclude l’Anfp - l’efficacia dell’impegno e dei sacrifici quotidiani delle forze di polizia e della magistratura, in prima linea nel contrasto al crimine”. Giustizia: Diliberto (Pdci-Fds), costruire nuove carceri? una colossale sciocchezza Ansa, 19 novembre 2010 Costruire nuove carceri? L’ultima di Alfano è una colossale sciocchezza. Finché le carceri saranno la discarica sociale del Paese, sovraffollate di immigrati e tossicodipendenti, non si risolverà mai nulla. L’unica soluzione è una drastica depenalizzazione. Ma di fronte a questa proposta c’è un atteggiamento ostile molto largo, sia da parte del governo che da alcuni segmenti dell’opposizione e della società”. È quanto afferma Oliviero Diliberto, segretario nazionale del Pdci-Fds. La parola depenalizzazione fa paura - continua Diliberto - si pensa che significhi “farla franca”. È il contrario. Significa trovare pene alternative. Faccio un esempio: se uno fa un falso in bilancio, non finirà mai in galera perché avrà i mezzi per prendersi un bravo avvocato e tirarla alla lunga fino alla prescrizione. E allora non è più efficace una pena alternativa come l’interdizione dalla professione che può andare da un anno a vita a seconda della gravità del reato?. Nelle galere - conclude Diliberto - colletti bianchi non ce ne sono, ma solo poveracci che usufruiscono dell’avvocato di ufficio. La depenalizzazione, sostituita da pene sicuramente più efficaci, svuoterebbe le carceri. Ma nessuno è interessato. A cominciare da quelli che i carceri li costruiscono. Giustizia: il 30% dei suicidi e tentati suicidi in carcere riguarda detenuti under 25 Italpress, 19 novembre 2010 Degli oltre 170, tra suicidi e tentativi di suicidio e degli oltre 4 mila atti di autolesionismo in carcere avvenuti durante il 2010, quasi il 30% ha interessato detenuti di età inferiore ai 25 anni, i cosiddetti “giovani-adulti”, ragazzi che, coinvolti in fatti penali, vengono considerati al pari degli adulti, con trattamenti non specifici. È questo uno dei dati emersi oggi, durante i lavori di apertura del seminario “Across the legal age - Giovani adulti nell’area penale” promosso dal dipartimento della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, a Palermo, alla presenza di oltre 150 operatori della giustizia e di enti del privato sociale. I dati sul rischio di comportamenti autolesionisti e suicidari, cui sono esposti i giovani-adulti, sono stati presentati nella relazione introduttiva da Isabella Mastropasqua, dirigente dell’ufficio Studi e ricerche del Dipartimento, che ha anche evidenziato come il numero complessivo di ragazzi coinvolti nell’area penale sia progressivamente aumentato negli ultimi anni (da circa 1.800 nel 2001, a circa 2.600 nel 2009), con una sempre maggiore incidenza di questo particolare segmento della popolazione ultradiciottenne. “Questi ragazzi e ragazze - ha detto Mastropasqua - vivono in una sorta di zona grigia, in quanto il trattamento dei loro casi da un punto di visto normativo non compete al sistema della Giustizia minorile, né è trattato in modo adeguato dal sistema della Giustizia per adulti, come dimostrato appunto dall’alta incidenza di casi di autolesionismo.” Un dato positivo è emerso dall’analisi dei casi della Sicilia e della Campania, regioni nelle quali già da anni si sperimentano metodologie di lavoro innovative, favorendo la continuità educativa e di trattamento e collaborazione fra la giustizia minorile e quella ordinaria, permettendo ai giovani-adulti di evitare l’ingresso nell’area carceraria per adulti e favorendo percorsi alternativi al carcere, soprattutto attraverso il coinvolgimento dei giovani in forme di giustizia riparativa. Le relazioni presentate dagli esperti nazionali ed internazionali presenti hanno evidenziato invece come, laddove sono stati attivati percorsi di sostegno e di supporto concreto ai bisogni reali dei ragazzi e commisurati al loro livello di maturità, la fascia degli ultradiciottenni è quella più ricettiva e disposta alla svolta, ad una scelta di vita verso un modello positivo e costruttivo. Il dato diffuso dimostra infatti come sia di oltre l’80% la percentuale di quei ragazzi e quelle ragazze che concludono positivamente i percorsi di “messa alla prova”. I lavori del seminario proseguiranno domani con la presentazione di ricerche condotte in Italia (in particolare Sicilia e Campania) e all’estero (Romania, Argentina e Regno Unito) da cui verranno indicazioni sia sul piano delle strategie e della progettualità sul campo, sia sul piano della proposta normativa e legislativa che sarà portata direttamente all’attenzione del Governo e del Parlamento. Giustizia: Fp-Cgil; scandalosa situazione negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari Agenparl, 19 novembre 2010 “La scandalosa situazione nella quale versano i cinque Ospedali Psichiatrici Giudiziari, ancora di fatto gestiti dal Ministero della Giustizia, è il frutto avvelenato di un disimpegno del Governo sull’applicazione della legge di riforma della sanità penitenziaria. La battaglia di civiltà assunta dal Presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul Ssn, sen. Ignazio Marino, per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziaria è anche nostra”. Lo comunica in una nota Fp-Cgil. “A più di due anni e mezzo dalla riforma, il Governo non ha completato le procedure per l’assunzione da parte del Ssn dell’assistenza sanitaria in carcere. Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria continua a esercitare responsabilità improprie e illegittime: nelle regioni a statuto speciale, l’assistenza sanitaria, la cura e la prevenzione sono ancora assicurate dall’amministrazione carceraria e il ritardo sul processo di chiusura degli Opg è enorme, come denunciato dalla commissione parlamentare. Queste le responsabilità politiche. Ma il Governo, i Ministri Alfano e Tremonti, aggiungono a queste responsabilità politiche quelle morali: solo a settembre del 2010 le Asl hanno ricevuto i fondi per il 2009, mentre mancano ancora quelli per l’anno in corso. Il Governo fa cassa sulla salute dei detenuti, non destinando alle Asl nemmeno i soldi che il Ministero della Giustizia spendeva per l’assistenza sanitaria prima della riforma: fino al 2007 si spendevano circa 350 milioni, solo in parte trasferiti alle regioni. Nessuna certezza, inoltre, per quanto riguarda la copertura dei finanziamenti per il 2011. Non si è riusciti nemmeno a completare un riforma a costo zero. Siamo al “sotto zero”. È vergognoso che ciò avvenga su un tema, la salute, e su un settore, le carceri, sui quali normalmente si misura il grado di civiltà di un paese democratico”. Giustizia: la dipendenza da droghe è il maggiore ostacolo al reinserimento dei giovani detenuti Redattore Sociale, 19 novembre 2010 Ricerca dell’istituto Minotauro. Nel triennio 2006-2009, 150 dei giovani detenuti del carcere minorile Beccaria di Milano sono stati segnalati all’Asl per abuso di sostanze. Di questi, l’82% abusa di cannabis, il 61% di stimolanti, il 52% di alcolici Nel triennio 2006-2009, 150 dei giovani detenuti (al 94% maschi) del carcere minorile Beccaria di Milano sono stati segnalati all’Asl per abuso di sostanze. Di questi, l’82% abusa di cannabis, il 61% di stimolanti, il 52% di alcolici. Sono alcuni dei risultati di una ricerca dell’istituto Minotauro, presentati oggi a Milano in occasione del convegno “Minori oltre la detenzione”, ospitato dalla Regione Lombardia. Il 70% delle schede inviate riguarda giovani italiani, mentre tra gli stranieri è marocchina la nazionalità più rappresentata. Molti di loro si trovavano al Beccaria per misure cautelari: un terzo per rapine o furti, un terzo per spaccio. “L’82% di questi giovani fa uso di cannabis, il 61% di stimolanti (amfetamine e cocaina) e 52% di alcolici” dice Mauro Di Lorenzo dell’istituto Minotauro. Basse le età di primo utilizzo delle sostanze: 13,6 anni per l’alcol, 13,8 anni per cannabinoidi, 15 anni per cocaina e altri stimolanti. Molto diffuso il poliabuso: “L’85% del campione usa stimolanti e cannabinoidi, l’87% alcol e cannabinoidi”, prosegue il ricercatore. Non a caso, secondo ricerche internazionali, se il 33% dei reati può essere effettivamente attribuito alle droghe, quando commettono reato il 75% dei minori sono sotto effetto di sostanze e spesso “c’è una forte associazione tra il movente dei reati e la necessità di procurarsi sostanze stupefacenti”, aggiunge Di Lorenzo. Da sottolineare anche le difficoltà del contesto di provenienza: “Il 6,5% erano minori soli, cioè vivevano da soli, senza i genitori o altri riferimenti educativi -spiega Di Lorenzo -. Nel 13% dei casi, nel nucleo familiare di provenienza si faceva uso di alcol e nel 7% di cocaina”. “Studiare questo fenomeno è importante - sottolinea Alfio Maggiolini, vicepresidente dell’istituto Minotauro -, perché queste abitudini di dipendenza possono essere causa di fallimento dei cosiddetti progetti di messa alla prova”, cioè delle opportunità di impegno lavorativo, scolastico e di volontariato offerte a questi ragazzi per intraprendere un percorso riabilitativo. Giustizia: Calipari (Pd) presenta un’interrogazione sull’esportazione di Pentotal verso gli Usa Agenparl, 19 novembre 2010 “È regolare l’esportazione italiana del farmaco Pentotal, prodotto dalla società Hospira spa, o viola il Regolamento europeo (n. 1236/2005) sul commercio di merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura o per altri trattamenti o pene crudeli?”. Lo chiede la vicepresidente dei Deputati del Pd, Rosa Calipari, in una interrogazione ai ministri dello Sviluppo e della Salute presentata insieme ai colleghi Sandro Gozi e Andrea Lulli, capigruppo in commissione Politiche della Ue e delle Attività produttive. “Mi chiedo con quale atto e su quali basi - spiega Calipari - sia stata eventualmente concessa l’autorizzazione alla vendita di quel farmaco sul mercato statunitense. Dal mese di gennaio, secondo notizie di stampa, l’azienda multinazionale Hospira produrrà il Pentotal nel suo stabilimento milanese di Liscate. Questo farmaco, prima prodotto negli Stati Uniti, viene utilizzato anche come anestetico da abbinare al cocktail letale somministrato ai condannati a morte. Nonostante la società multinazionale, attraverso le parole del suo amministratore delegato, si sia dissociata da un eventuale uso improprio del farmaco negli Usa e, secondo l’amministratore delegato della Hospira spa di Liscate, Giuseppe Riva, “ il pentotal non ha alcuna indicazione d’impiego nella pena capitale”, è indispensabile escludere con sicurezza l’utilizzo del Pentotal nelle carceri statunitensi per la triste ed intollerabile procedura di esecuzione delle sentenze di condanna a morte o anche come anestetico generico. Chiediamo perciò al governo di intervenire e di verificare queste notizie”. Lettere: il “gioco dell’oca” degli stranieri in carcere di Stefano Anastasia Terra, 19 novembre 2010 “Vi ho scritto tre mesi fa, sempre da questo posto maledetto e sono uscito perché ho finito quella condanna! E adesso mi trovo ancora qui dentro”, torna a scrivere Nabil. “Vi ho scritto tre mesi fa, sempre da questo posto maledetto e sono uscito perché ho finito quella condanna! E adesso mi trovo ancora qui dentro”, torna a scrivere Nabil. “Ancora qui dentro, per la terza volta e per lo stesso reato … sempre per l’espulsione per l’articolo 14” della legge Bossi-Fini sull’immigrazione. Nabil è stato arrestato per la prima volta tre anni fa, poi a Capodanno e infine il mese scorso. Lo aspettano altri quattro mesi di carcere e protesta: “io non ho commesso nessun reato … il mio avvocato non riesce a spiegarmi questo accanimento nei miei confronti”. E in effetti, come si fa a spiegare a un immigrato che il suo solo esistere dentro i confini dello Stato italiano costituisce un fatto di reato, senza che abbia fatto del male a nessuno. È vero, come spiegava Vujadin Boskov, che “rigore è quando arbitro fischia” e reato è ciò che il legislatore decide che sia definito come tale, ma c’è un limite all’arbitrio dell’uno e dell’altro. Un limite che è nelle regole, ma anche nella ragionevolezza e nella intelligibilità di ciò che si vorrebbe comunicare ai propri interlocutori. Come si fa a spiegare a Nabil che il suo stare in Italia costituisce di per sé un reato che si rinnova ogni volta che, uscito dal carcere, portato in un centro di espulsione, rilasciato per decorrenza dei termini o per sovraffollamento, gli viene consegnato un ordine di allontanamento cui lui non adempie entro i successivi cinque giorni? Nabil sa di non aver fatto del male a nessuno da quando è stato liberato e non capisce perché si trova per la terza volta in prigione “per una cosa non fatta!”. Come dargli torto? Come Nabil, sono dodici-tredicimila gli immigrati che ogni anno passano inutilmente dalle sovraffollate carceri italiane per questo reato inoffensivo, allungando nel tempo quel gioco dell’oca fatto di lavoro nero, detenzione amministrativa e, appunto, carcere, in cui l’approdo finale (un permesso di soggiorno?) è impedito dalle sue stesse regole. È questo l’assurdo dei lavoratori bresciani come di Nabil e di un altro nostro corrispondente, discretamente reinserito, che ci ha chiesto se al termine della sua pena può godere di qualche altra forma di privazione della libertà, sì da non dover essere espulso e perdere tutto quello che ha fatto in questi anni. Non resta che rabbia e disperazione, esattamente quelle che prova Nabil quando passano anche sulla televisione del carcere le immagini di Ruby: “Adesso che ti sto scrivendo su la Rai 3 stanno dicendo che Silvio Berlusconi ha chiamato la Questura per far lasciare una ragazza arrestata per furto! Ma ci rendiamo conto di questa immondizia? …”. Sicilia: Giovani adulti nel circuito penale minorile, il 32% sono recidivi Redattore Sociale, 19 novembre 2010 Convegno internazionale a Palermo. In Sicilia sono 2.577 i ragazzi tra 18 e 25 anni. Il 44% ha commesso reati contro il patrimonio, il 28% contro la persona e solo il 14% legati alla droga. L'Ufficio Studi, Ricerche e Attività Internazionali del Dipartimento Giustizia Minorile, in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha promosso il convegno Internazionale "Across the Legal Age. Young adults in the criminal area" tenutosi presso la Sala Ducrot del Grand Hotel Piazza Borsa di Palermo. Lo scopo, in considerazione della sempre crescente permanenza nel circuito penale minorile di un’utenza ultradiciottenne, è stato quello di discutere su come dovrebbero essere trattati i giovani adulti detenuti tramite un confronto tra diverse realtà operanti in Europa e nel mondo e finalizzato all’avvio di sperimentazioni di lavoro integrate in nuovi servizi. Durante il convegno sono stati presentati oltre ad alcuni dati internazionali che riguardano il sistema dell’area penale della Gran Bretagna e dell’Argentina alcuni risultati di una ricerca italiana operata nel 2009 in Sicilia. I dati sono stati esposti da Rosalba Romano del Centro giustizia minorile della Sicilia insieme al professor Fabio Lo Verde e al professor Michele Mannoia dell’università di Palermo. “Si tratta di un lavoro che portiamo avanti da cinque anni – afferma Rosalba Romano – nei confronti dei giovani adulti dei 4 carceri minorili della Sicilia e di tutti gli altri che transitano nei 4 centri di accoglienza e nelle due comunità”. A fronte dei 22.139 minori in Italia del circuito penale, la Sicilia ha 2.577 giovani adulti di età compresa tra 18 e 25 anni. La ricerca si è basata su un campione di 534 ultradiciottenni, (il 75% con la licenza media) quindi poco di più del 20% dell’utenza. In particolare si è trattato per il 92% di uomini e solo per l’8% di donne. Per il 94% di nazionalità italiana. Si è rilevato che il 92% è celibe a testimonianza del fatto che è avvenuto un fenomeno di allungamento dell’adolescenza. Inoltre gli operatori hanno dichiarato che la collaborazione con le famiglie d’origine è avvenuta per il 57% e solo per il 26% questa è stata non collaborativa nei confronti del percorso di recupero del giovane. Per quanto concerne i reati il 44% sono contro il patrimonio, il 28% contro la persona e solo il 14% per problemi di droga. L’86% dei giovani commette il primo reato tra 16 e 17 anni. Tra i giovani adulti sono recidivi il 32% e in questo sottogruppo per il 67% hanno avuto parenti in carcere. Il 50,6% accetta la responsabilità per il comportamento antisociale e il 46,8% invece tende a minimizzare, negare o, giustificare o dare la colpa agli altri. Alfio Maggiolini dell’università di Milano ha sottolineato durante il suo intervento l’importanza della valutazione delle diverse fasi dell’età evolutiva dei giovani adulti. “Ogni fase dello sviluppo di un giovane non può certo considerarsi lineare ma va analizzata nella sua specificità - riferisce -. Affinchè ci siano interventi efficaci nei confronti dei giovani adulti che transitano nel circuito penale occorre soprattutto sforzarsi di cogliere il bisogno che c’è dietro il reato che viene compiuto dal giovane. Per questo è necessario guardare contemporaneamente il bisogno criminologico del ragazzo e quello legato alla sua età evolutiva. Inoltre, volere dare una risposta efficace ai loro bisogni può voler dire aiutarli dal punto di vista del reinserimento socio-lavorativo senza tralasciare la loro vita affettiva e di relazione. Solo così possiamo parlare di una prospettiva di psicoterapia evolutiva che interpreta il disagio come una fase legata allo sviluppo del giovane”. Veneto: “sciacallaggio” nei paesi alluvionati; la Lega propone la legge marziale di Filippo Tosatto La Repubblica, 19 novembre 2010 Legge marziale e plotoni d’esecuzione. È la ricetta leghista contro gli sciacalli sorpresi a saccheggiare le abitazioni evacuate nel Veneto colpito dall’alluvione. Commentando in una tv locale, Antennatre, l’arresto di tre serbi sorpresi con la refurtiva razziata a Bovolenta - un paesino padovano devastato dalla valanga d’acqua - il presidente della Provincia di Treviso Leonardo Muraro non ha usato mezzi termini: “In questi casi sarei per la fucilazione e darei alle forze dell’ordine l’autorità di provvedere all’esecuzione sul posto dei colpevoli. In altri luoghi, in circostanze di analoga gravità, si applica la legge marziale, si potrebbe fare anche qui”, ha concluso l’esponente del Carroccio. Al suo fianco si è schierato senza esitazioni lo “sceriffo” Giancarlo Gentilini: “Nessuna pietà, quando succedono le disgrazie si vive in un regime di guerra e quindi agli sciacalli va applicata la legge di guerra, fucilati sul posto senza processo”, proclama. “Sono cose che si dicono, in Italia non c’è la pena di morte però bisognerebbe sbatterli in carcere e lasciarceli”, prova a smorzare i toni Giampaolo Gobbo, il sindaco di Treviso. E Flavio Tosi, sindaco di Verona, per appoggiare Muraro cita gli Usa come esempio. “Dopo l’uragano Katrina Bush mandò i marines a New Orleans per stroncare gli sciacallaggi, arrivando quasi alla legge marziale”. Ma le reazioni sono immediate e i toni molto accesi. “Per scagliarsi contro gli sciacalli, Muraro si è trasformato a sua volta in un avvoltoio demagogico e dannoso”, accusa Laura Puppato, capogruppo del Pd in consiglio regionale. “Diffondere la teoria che tutto si risolva giustiziando a colpi di fucile chi commette un reato, è un autentico crimine ideologico che merita di essere sottoposto, a questo punto, al giudizio della magistratura e di essere punito in modo esemplare, proprio come vanno puniti gli sciacalli”. Di “istigazione a delinquere” parla anche il presidente dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario: “Se i colpevoli fossero stati cittadini italiani, il presidente leghista di Treviso avrebbe moderato i toni. Invece il razzismo e la xenofobia che ha messo in mostra, richiederebbero il suo immediato allontanamento dalle istituzioni”. In serata, la controreplica di Muraro, per nulla rammaricato, anzi: “Sfido chiunque - non provare ribrezzo, anche manifestandolo con affermazioni pesanti, verso chi si accanisce su popolazioni già colpite da un evento così drammatico”. Tant’è. Tra polemiche e proteste, nel Veneto, fortemente provato dalle alluvioni, si cerca di tornare alla normalità. Il livello dei fiumi si è abbassato ma si continuano a monitorare argini e frane mentre il cielo, seppur coperto, non sembra minaccioso. Segnali positivi arrivano dalla Regione che, nello stilare il calendario della raccolta delle richieste di rimborso e nell’erogazione dei fondi, ha annunciato l’arrivo dei primi risarcimenti entro 45 giorni. A premere in tal senso è anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha riferito della sua visita nelle province alluvionate con una lettera ai presidenti di Senato, Camera e Consiglio. Il Capo dello Stato elogia l’operato dei sindaci e chiede, per uscire dalla crisi ambientale, meno burocrazia e tempi celeri nell’invio dei soccorsi. Parole accolte con “gratitudine” dal governatore veneto Luca Zaia e da Achille Variati, il sindaco di Vicenza, la città più colpita dalle precipitazioni. Foggia: detenuto di 41 anni con problemi psichici si impicca usando i pantaloni come cappio Ristretti Orizzonti, 19 novembre 2010 Raffaele Ferrantino, 41 anni, si è impiccato questa notte nella sua cella utilizzando un rudimentale cappio fabbricato con i pantaloni che indossava. L’uomo, che manifestava un serio disagio psichico, già ieri aveva tentato di uccidersi incendiando la che lo ospitava. Il pronto intervento della polizia penitenziaria aveva evitato conseguenze più gravi, mettendo il detenuto al riparo e spostandolo in un'altra cella priva di qualunque suppellettile o altro, proprio al fine di evitare che potesse farsi male. Ferrantino era stato arrestato lunedì scorso dai Carabinieri di Foggia, mentre stava colpendo con calci e pugni la porta d’ingresso dell’abitazione di un parente. I militari avevano ricevuto una chiamata da una persona residente in corso Roma, che lamentava che un uomo stava distruggendo la porta d’ingresso del suo appartamento. Una volta giunta sul posto la pattuglia ha trovato Ferrantino che stava prendendo a calci e pugni la porta. Alla vista degli uomini in divisa l’uomo, in evidente stato di alterazione, si è diretto contro i carabinieri tentando di colpire i militari. Con quest’ultimo caso salgono a 6 i detenuti suicidi nelle carceri pugliesi nel 2010 (2 a Foggia, 2 a Lecce, 1 a Brindisi e 1 ad Altamura), mentre a livello nazionale da inizio anno 59 detenuti si sono tolti la vita: 49 si sono impiccati, 6 asfissiati con il gas della bomboletta da camping, 3 avvelenati da mix di farmaci e 1 dissanguato dopo essersi tagliato la gola. Il Comunicato del Sappe "Ora basta, dopo i cinque suicidi nelle carceri pugliesi è necessario fermarsi un attimo a riflettere e chiedere ai responsabili dell'amministrazione regionale cosa hanno fatto per evitare cio'. La situazione di sovraffollamento di detenuti continua a farsi sempre più tragica, con quasi 4.800 detenuti a fronte di 2.300 posti disponibili nella regione e con il carcere di foggia che ha quasi raggiunto gli 800 detenuti, a fronte di circa 350 posti disponibili. Purtroppo, a causa della grave carenza degli organici, ormai la polizia penitenziaria non c'è la fa più ad evitare il ripetersi di fatti tragici, nonostante le centinaia di interventi per salvare i detenuti che hanno deciso di farla finita. Il Sappe denuncia che, nonostante tale drammatica situazione, la Puglia, dall'inizio dell'anno, non ha un provveditore regionale che si interessi seriamente delle gravi problematiche, a partire proprio dal sovraffollamento dei detenuti, delle condizioni igienico-sanitarie, dal turismo carcerario etc., lasciando in balia delle onde i dirigenti degli istituti penitenziari, che cercano di fare quello che possono per arginare tale drammatica situazione. Purtroppo presso i penitenziari della Regione il disagio e la tensione diventa sempre più preoccupante, e cio' è riscontrabile leggendo gli atti di autolesionismo o di protesta da parte dei detenuti, manifestazioni che sono aumentate in maniera allarmante. A testimoniare un disagio crescente, il Sappe sottolinea che la maggior parte dei suicidi e tentativi di suicidio sono avvenuti presso gli istituti che soffrono del sovraffollamento più preoccupante, come Lecce, Foggia, Bari, Taranto. Purtroppo la miscela esplosiva che si è formata nelle carceri rischia di esplodere a brevissimo tempo, considerate anche le condizioni igienico-sanitarie e di promiscuità in cui sono costretti a vivere i detenuti, che pone all'attenzione un altro grave problema, che riguarda l'emergenza sanitaria. Più volte il Sappe ha segnalato alle autorità competenti che nelle carceri pugliesi una grande percentuale di detenuti sono a rischio per tutta una serie di patologie gravi (tossicodipendenti, malati cardiaci, malati cronici etc.), e stanno aumentando anche i detenuti con gravi problemi psichiatrici. Di fronte a tale problematica, poca attenzione. Il Sappe infine vuole ribadire che, a fronte di una popolazione detenuta che in Puglia, negli ultimi anni, si è più che raddoppiata rispetto alla capienza regolamentare (2.300 posti disponibili a fronte di quasi 4.800 presenze), la polizia penitenziaria - già in forte carenza - si è vista ulteriormente ridurre l'organico a seguito dei tanti pensionamenti di uomini e donne, nonchè per le condizioni lavorative, divenute insostenibili e stressanti. Purtroppo al Dap, invece, pensano solo ad aumentare la carne umana da stipare ovunque, anche nei bagni, senza preoccuparsi delle condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari, della sicurezza delle carceri stesse e, senza correttivi, riteniamo che la situazione sia destinata ad andare in tilt. Il Sappe ritiene da tempo che, per consentire condizioni di lavoro decenti, nelle carceri pugliesi sia necessario l'incremento urgente di almeno 400 poliziotti penitenziari, nonchè l'utilizzo di militari sul muro di cinta ed in tutti quei servizi di sorveglianza esterna delle carceri, oltre all'immediata nomina di un provveditore regionale per la Puglia. Ormai scarseggiano anche le lenzuola, i letti, i materassi, e non si sa più dove mettere i detenuti". Genova: il direttore del carcere di Marassi denuncia: il Governo ci ha voltato le spalle La Repubblica, 19 novembre 2010 C’è chi ci prova con il gas delle bombolette per cucinare. Chi si taglia le vene o appicca il fuoco al materasso per soffocare. Ogni settimana tre detenuti tentano il suicidio. Di quelli che simulano gesti di autolesionismo ormai si è perso il conto. A Marassi il sovraffollamento sfocia anche nella rabbia, nelle aggressioni quotidiane agli agenti: come lunedì, quando un marocchino ha tentato di ferirne due con una lametta. Il direttore Salvatore Mazzeo non sa più a che santo appellarsi per trovare una soluzione. “Il governo ci ha voltato le spalle, il piano carceri tanto reclamizzato è finito chissà dove; il personale, anche quello amministrativo, è all’osso. Qui si sopravvive,è solo per puro caso che non c’è ancora scappato il morto”. I numeri servono a capire la situazione. I detenuti sono 850 (il 50% in attesa di giudizio), ma Marassi ne può ospitare metà. Ogni agente è sottoposto a un lavoro massacrante perché controlla in media 70 persone. Le celle possono ospitare quattro detenuti, in media ne sono stipati otto-nove. “Se non si interviene mandando agli arresti domiciliari chi ha un residuo di pena non superiore a un anno, se non si tira fuori il braccialetto elettronico, rimane solo una soluzione: costruire nuovi istituti”. Genova è al collasso e ne ha urgente bisogno. “Marassi è stato concepito basandosi su un’idea di detenzione che risale alla fine dell’Ottocento: poco spazio, quando uno entra, si butta la chiave. Se vogliamo andare avanti nel duro percorso che stiamo facendo per preparare il detenuto a inserirsi nella società, serve un carcere nuovo. Grande, con celle spaziose e moderne, un istituto con spazi che possono garantire servizi per educare. È arrivato il momento di agire, il tempo è scaduto”. Mazzeo si rivolge al sindaco. “Mi piacerebbe parlarne con lei e individuare un’area dove costruirlo”. Per esempio? “Bolzaneto, dove c’è già l’istituto femminile, secondo me va bene perché ha tutti i requisiti”. Si spieghi. “I detenuti possono venire portati velocemente in tribunale per i processi, la distanza non sarebbe un problema per il personale e neppure per i parenti dei detenuti, senza contare che è ben collegato con il resto della città per quanto riguarda la rete dei trasporti”. Si era parlato pure di un carcere galleggiante. La risposta di Mazzeo suona come una provocazione. “È un’idea bizzarra, ma magari lo facessero! Com’è che si dice? Quando uno ha fame, mangia qualsiasi cosa”. Il direttore paragona poi il carcere allo stadio. “Tutti e due hanno gli stessi problemi di convivenza con la città. Sono incastrati tra i palazzi, secondo me non è eccessivo dire che sono decisamente fuori posto”. Se il progetto di un carcere per mancanza di aree fosse una strada non percorribile, Mazzeo ha un’altra proposta. “Per riuscire a diminuire la popolazione carceraria, si potrebbero ristrutturare anche edifici abbandonati, ma ancora in buono stato. Lì potremmo tenere i detenuti con un basso indice di pericolosità, quindi non superiore a due anni. In questo modo riusciremmo quasi a dimezzare quel numero abnorme che non mi fa più dormire la notte”. Milano: dal Coordinamento dei Garanti solidarietà e stima a Giorgio Bertazzini che si è dimesso Ristretti Orizzonti, 19 novembre 2010 Da tempo i Garanti chiedono con forza l’istituzione di un Garante nazionale dei diritti dei detenuti che possa contribuire a dare attuazione al dettato costituzionale della finalità rieducativa della pena e a rendere sempre più trasparenti gli istituti penitenziari del nostro Paese. Il garante nazionale deve potere di accedere in maniera incondizionata ai luoghi di privazione della libertà personale, essere indipendente dal potere politico e avere competenza specifica, come si legge nel Protocollo facoltativo del 2002 alla Convenzione Onu contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 10 dicembre 1984, sottoscritto, ma purtroppo non ratificato dall’Italia. L’istituzione di un Garante nazionale, oltre all’assolvimento di obblighi di carattere internazionale, sarebbe il naturale coronamento del percorso intrapreso in via di sperimentazione a livello territoriale con i garanti locali. La designazione a livello nazionale può eliminare i problemi che ormai da qualche tempo si stanno verificando in sede di nomina dei garanti territoriali, rispetto ai quali si tende ad erodere lo spazio di autonomia e terzietà che i vari statuti e regolamenti hanno individuato. Se il Garante non riesce ad avere sufficienti connotati di indipendenza dall’amministrazione penitenziaria (ma anche da qualunque altra) e anche dalla politica (come può avvenire quando è il Sindaco o il Presidente della provincia e non gli organi elettivi dell’ente territoriale) non può essere svolgere quella funzione di vigilanza che caratterizza l’istituto. Per questo il coordinamento dei Garanti il 3 novembre ha incontrato il presidente dell’Anci Chiamparino per illustrare le difficoltà che incontrano i Garanti territoriali. Dopo la emblematica vicenda della nomina del Garante dei detenuti del comune di Roma nella persona di un ispettore di polizia penitenziaria in aspettativa, si è posta la questione delle dimissioni da Garante di Giorgio Bertazzini, nominato dalla provincia di Milano e che in questi anni si è occupato con impegno e con attività autonoma e coraggiosa di una delle zone più colpite, nei suoi istituti penitenziari, dal sovraffollamento. Giorgio Bertazzini, che da tempo operava in regime di proroga, a scadenza di mandato ormai lontana, non aveva più nessuna effettiva struttura che lo aiutasse ad occuparsi della vita di migliaia di detenuti. Ha fatto bene a dimettersi, perché le amministrazioni locali, tutte, senza distinzioni di maggioranze politiche, se hanno a cuore il tema del rispetto dei detenuti devono comprendere che è necessario strutturare gli uffici in modo da consentire una costante ed effettiva presenza. In questi anni di sperimentazione gli uffici dei Garanti territoriali sono costati poco, e in alcuni casi, nulla, mentre molto hanno dato in termini di impegno per la tutela dei detenuti, ed è tanto vero che in molte parti d’Italia se ne chiede la istituzione (negli ultimi tempi il Coordinamento è stato consultato per la istituzione nella provincia di Trento, Sondrio, Monza, e se ne parla a Venezia, Rimini, per ricordare le ultime manifestazioni di interesse). In un paese dove gli sprechi veri sono sotto gli occhi di tutti, le dimissioni di Giorgio Bertazzini sono un monito :gli enti locali che i vogliono istituire la figura del Garante lo facciano se sono in condizioni politiche e di risorse per poterlo fare, senza accorpamenti con la figura del difensore civico e senza ricorso a richieste di impegno a volontari sia pure qualificati. Altrimenti meglio non avere Garanti, in attesa di tempi meno bui. Avv. Desi Bruno Bologna Portavoce del coordinamento dei Garanti territoriali Castelfranco Emilia (Mo): quattro anni di “custodia attenuata” nella Casa di reclusione La Gazzetta di Modena, 19 novembre 2010 Una giornata di studio sull’esperienza della Casa di Reclusione. Un esempio di come, attraverso la pratica della custodia attenuata, sia possibile mettere il recupero del detenuto - in questo caso tossicodipendente - al primo posto. Se ne è parlato ieri, durante un corso per operatori che Ministero di Giustizia, Regione, Ausl di Modena e Comune hanno organizzato a Castelfranco. La Custodia attenuata è partita a Castelfranco nel marzo 2005 ed è un regime di detenzione nel quale si svolgono numerose attività per la riabilitazione fisica e psicologica dei tossicodipendenti. Possono accedervi coloro che stanno scontando pene o residui di pena non superiori ai 6 anni. Ad oltre quattro anni dall’avvio dell’esperienza operatori ed esperti si confronteranno sui risultati ottenuti e sulle prospettive di valorizzazione. Parteciperanno il sindaco Stefano Reggianini, Nello Cesari provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna Francesco Maisto, il direttore della Casa di Reclusione a Custodia Attenuata Gianluca Cadiano. Pavia: chiesta archiviazione inchiesta su morte di un detenuto dopo 45 giorni di sciopero della fame La Provincia Pavese, 19 novembre 2010 La Procura di Pavia ha chiesto l’archiviazione per il caso di Sami Mbarka, il detenuto tunisino morto a settembre dello scorso anno in carcere a Torre del Gallo dopo uno sciopero della fame durato 45 giorni. Per questa vicenda furono indagate tre persone, tra medici e vertici del carcere, ma a un anno e mezzo dai fatti la perizia, depositata appena qualche giorno fa, sembra avere annullato le responsabilità di chi ebbe in cura in tunisino e dei vertici della casa circondariale. La relazione del perito avanza infatti l’ipotesi che il digiuno, scelto dal detenuto per protestare contro una condanna ritenuta ingiusta, potrebbe non essere stata la causa principale del decesso. L’avvocato del tunisino, Marina Vaciago di Milano, presenterà opposizione alla richiesta del magistrato e questo, se il gip lo riterrà opportuno accogliendo la richiesta, potrebbe cambiare di nuovo le carte in tavola. Porto Azzurro (Li): protesta degli agenti per mancato rispetto del divieto di fumare Il Tirreno, 19 novembre 2010 Si fuma troppo nei reparti dove si trovano i detenuti dell’istituto di Porto Azzurro. Si fuma troppo e protestano i sindacati del corpo di polizia che non vedono così tutelati gli agenti nel rispetto delle norme di astensione dal fumo nei luoghi di lavoro. Il tutto avviene là dove il rispetto delle regole è il principio fondamentale ma spesso vengono concesse eccezioni potenzialmente molto dannose per la salute della persona. Nel caso specifico si tratta del fumo di sigarette molto diffuso all’interno dei reparti detentivi dell’istituto di pena di Forte San Giacomo là dove fumare sarebbe vietato soprattutto negli spazi comuni. La situazione si è fatta a tal punto insostenibile che i rappresentanti delle due sigle sindacali, quelle del Fsa Cnpp e Sinappe hanno preso carta e penna e scritto alla direzione di Porto Azzurro, al Provveditorato regionale di Firenze e al responsabile locale sulla sicurezza ed igiene sui posti di lavoro (legge 81 del 2001). Il tutto per mettere in evidenza le difficoltà e il disagio degli operatori penitenziari non fumatori che, svolgendo il proprio lavoro, sono costretti a respirare il fumo passivo senza alcun tipo di tutela. Dicono i rappresentanti sindacali degli agenti di polizia: “In alcuni posti di servizio, nei quali il consumo di tabacco è altamente diffuso, la situazione è davvero critica nonostante le norme vigenti”. I rappresentanti sindacali chiedono quindi l’adozione di rapidi provvedimenti, a cominciare dall’installazione di idonei cartelli sul divieto di fumo e della nomina del responsabile locale sulla corretta esecuzione delle norme e, nel caso di infrazioni, delle relative sanzioni; ricordando che la tutela della salute è un fondamentale diritto della persona come recita l’articolo 32 della carta costituzionale. Lucca: si è conclusa l’undicesima edizione del corso di cucina per i detenuti Il Tirreno, 19 novembre 2010 Entrano con i polsi legati dalle manette ed escono con una professione. Si è conclusa nel carcere di Lucca l’undicesima edizione del corso di cucina diretto dal cavalier ufficiale Sebastiano Sorrentino e dallo chef Antonio Morelli. L’obbiettivo del corso, finanziato dall’assessorato alle politiche sociali del Comune, è quello di contribuire a creare una figura professionale che sappia operare in aziende di ristorazione di media grandezza e di catering. Molti i detenuti del carcere di San Giorgio che, nei periodi della loro detenzione, seguono corsi di formazione professionale, realizzati all’interno dell’istituto di pena. Alla manifestazione era presente come presidente di giuria l’ex campione del Mondo in Spagna 1982 e portiere di Fiorentina, Napoli e Milan, Giovanni Galli. La giuria era composta dall’assessore alle politiche sociali Angelo Monticelli, dal presidente Albergatori Viareggio Beatrice Taccola, Agnese Garibaldi del Gruppo Volontari Carcere ed Paolo Lipparelli come rappresentante dei detenuti. La gara consisteva nella preparazione da parte dei detenuti di ricette personalizzate. Questo il menù: Antipasto: carpaccio di orate su insalatina di stagione con salsa di pepe rosa; primo piatto: risotto ai funghi porcini servito in cialda di parmigiano reggiano; secondo piatto: bocconcini di pesce spada con pomodori pachino e basilico; dessert: spuma di cioccolato amaro su base di graniglia di nocciole. Ha vinto il team che ha preparato il piatto “Risotto ai funghi porcini”. Ragazzi con tante speranze e un sogno nel cassetto: rifarsi una vita. Agrigento: musica e poesia si incontrano con i detenuti del Petrusa www.agrigentoweb.it, 19 novembre 2010 La poesia e la musica hanno alzato il sipario al carcere Petrusa di Agrigento dove ieri pomeriggio, nell’ambito della manifestazione “Ottobre piovono libri” organizzata a Favara, alcuni musicisti e poeti con la loro presenza hanno dato luogo ad un incontro con i detenuti. Un’emozione strabiliante, che non capita sicuramente tutti i giorni, a sostegno e per la solidarietà di quanti vivono in condizioni di estremo isolamento ludico e culturale e che nasce con l’intento di attenuare almeno per qualche ora il disagio della reclusione. La manifestazione, voluta dal Comune di Favara in collaborazione con l’Associazione culturale “Libero canto di Calliope”, è stata introdotta con i saluti del Direttore del carcere Petrusa, Dott.Giuseppe Russo, e del Sindaco di Favara, Avv. Domenico Russello. Tra i presenti anche l’Assessore alla Cultura presso il Comune di Favara, Joseph Zambito, l’educatore carcerario Giovanni Giordano e la Direttrice della Biblioteca Comunale di Favara, Dina Vetro. Nel corso dell’incontro, presentato dallo scrittore Dott. Antonio Patti e dalla poetessa Liliana Arrigo, si sono esibiti i poeti Enzo Argento, Margherita Biondo, Gero Miceli, Enzo Patti, Margherita Rimi, Totò Sciortino, Francesca Vitello e la stessa Liliana Arrigo. Di particolare intensità sono stati gli interventi da parte di alcuni detenuti i quali hanno mostrato di saper fare poesia, una poesia che, unita alla sofferenza, è risultata portatrice di speranza. Le poesie dei detenuti, realizzate sotto l’attenta guida dalla Prof.ssa Giovanna Alaimo, hanno evidenziato parole che colpiscono e immagini dense di emozioni che ritraggono la loro quotidianità, fatta non solo di routine ma anche ricca di sogni e rimpianti che ogni giorno vengono vissuti da questi ragazzi con intensità. I momenti lirici sono stati intervallati dai piacevoli interventi musicali dei cantanti Santino Capodici, Nené Sciortino e Grace Ciulla, quest’ultima accompagnata alla tastiera da Angelo Ventura, nonché della “Compagnia di canto e musica popolare” di Favara composta da Maurizio Piscopo, Mimmo Pontillo e Giuseppe Calabrese. La sala dove ha avuto luogo la manifestazione è stata raggiunta dai partecipanti dopo aver effettuato rigidi controlli e attraversato numerosi corridoi divisi da porte blindate e muri con sbarre alle finestre: uno scenario piuttosto insolito per dare spazio alla musica e alla poesia ma, alla fine, sono state circa tre ore di ascolto, sorrisi e battute nonché di confronto tra artisti e uomini che sono alla ricerca di un’opportunità per ritrovare se stessi. Il tutto al cospetto di un pubblico attento e plaudente che ha gratificato gli artisti per gli sforzi fatti e che ha destato nei presenti grande soddisfazione per il coinvolgimento dei reclusi. La serata si è conclusa tra gli applausi e la commozione generale fin quando i detenuti hanno lentamente lasciato la sala per rientrare nelle loro celle arricchiti dalla positiva esperienza. Condividi questo articolo Immigrazione: espulso egiziano a capo della protesta sulla gru contro la “sanatoria-truffa” Ansa, 19 novembre 2010 È stato espulso dall’Italia uno degli egiziani a capo della mobilitazione bresciana a sostegno degli immigrati saliti sulla gru contro la “sanatoria-truffa”. Muhammad, detto Mimmo, è stato fatto salire su un volo Egyptair per il Cairo insieme a un connazionale, detenuto come lui al Cie di via Corelli, a Milano, ma che secondo l’associazione Diritti per tutti non ha nulla a che fare con le proteste di Brescia. Mimmo era stato fermato il 15 novembre a Milano, dove aveva partecipato a un presidio sotto al Consolato egiziano contro le espulsioni di altri nove egiziani, anche loro attivi nelle mobilitazioni di Brescia. Per impedire l’espulsione di Mimmo - che accompagnò sulla gru Don Mario Toffari in un tentativo di mediazione - sono arrivati a Malpensa una quarantina di militanti del centro sociale Cantiere e il suo avvocato, Sergio Pezzucchi. “Non ci è stato concesso - ha denunciato il legale - il tempo di fare ricorso contro il rifiuto della domanda di sanatoria fatta da Mimmo”. In ogni caso, “presenteremo comunque ricorso, magari per farlo rientrare in un secondo momento”. Pezzucchi ha appreso dell’espulsione intorno alle 12 e, dopo aver recuperato il passaporto e gli effetti personali di Muhammad-Mimmo, si è precipitato a Malpensa. “Purtroppo è stato tutto così rapido che, quando siamo arrivati, l’aereo era già in fase di decollo”. Pare che Mimmo, sull’aereo abbia protestato a gran voce contro l’espulsione. L’egiziano era in Italia dal 2003 e lavorava come saldatore e informatico. Contro l’espulsione, dopo quello di Malpensa, si sono tenuti altri due presidi: uno a Milano, di fronte alla sede dell’ Egyptair, e uno a Brescia, a pochi passi dalla gru. Continua intanto la protesta dei tre immigrati saliti il 5 novembre scorso sulla torre di via Imbonati, a Milano. In loro solidarietà sabato 20 novembre si terrà una manifestazione, che partirà dalla torre alle 15. A sostegno dell’espulsione il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato, per il quale questa misura “riafferma il principio della legalità”. De Corato auspica che “la stessa fermezza sia applicata nei confronti degli altri clandestini che hanno protestato in via Imbonati”. Di tutt’altro avviso Luciano Muhlbauer, Coordinatore milanese del Prc, che invita “Prefetto e Questore di Milano ad ignorare la richiesta di De Corato” e a “favorire invece una soluzione pacifica e concordata”. Contro l’espulsione anche il senatore radicale Mario Perduca, secondo il quale questa misura “non aiuterà a governare le mobilitazioni degli immigrati di questi giorni”. Argentina: un terzo dei giovani detenuti ha subìto violenza fisica o psicologica Redattore Sociale, 19 novembre 2010 Al convegno internazionale di Palermo presentati i casi del Galles e dell’Argentina. In Galles 85 mila giovani reclusi, 180 mila impegnati in lavori socialmente utili. In Argentina il 66% dei giovani ha un parente già in carcere. Al convegno internazionale di Palermo sui giovani adulti dell’area penale minorile è stato presentato il quadro del Galles. A illustrarlo sono stati Sara Llewellin, responsabile del Barrow Cadbury e Rob Smith, amministratore delegato della Youth Support Service. Ottantacinquemila sono i giovani adulti reclusi (70 milioni la popolazione complessiva). La durata media del tempo in carcere è di 9,3 mesi. 180 mila sono coloro che ogni anno sono impegnati in lavori socialmente utili. Per 13 mila detenuti non c’è una data fissa di rilascio. 10 mila sono i giovani adulti reclusi in età compresa tra 18 e 20 anni mentre 2.100 sono i minori. Il 27% dei reclusi è proveniente da gruppi di minoranza etnica. Secondo la Llewellin questo vuol dire che la questione razziale è una componente sociale di cui tener conto. “Per agire sul sistema abbiamo creato una coalizione di 15 organizzazioni chiamata "Alleanza per la transizione dell’età adulta" che ha l’obiettivo di supportare i progetti rafforzando il sistema penale di oggi – sottolinea Sara Llewellin -. Al momento abbiamo in corso circa 30 progetti che ci permetteranno poi di fare un accurato monitoraggio del fenomeno”. “Per capire il valore sociale sui processi di recupero dei giovani adulti stiamo compiendo un investimento sulle nuove obbligazioni di impatto sociale (per il momento sono di 6 mila euro) – continua -. Cioè se con il nostro operato riusciamo ad abbassare il tasso di recidiva del 7% il ministero ci paga l’obbligazione e i relativi interessi. Auspichiamo che questo sistema possa estendersi anche in altri settori”. Il direttore della Federal Penitentiary Service ha delineato invece il quadro dell’Argentina. “Il sistema nostro ha molte difficoltà – afferma - soprattutto perché avrebbe bisogno di inserirsi in un quadro più globale. Per un lavoro di recupero adeguato occorre in primo luogo riconoscere il detenuto come principale portatore e soggetto di diritti; coinvolgere il personale penitenziario nel processo di cambiamento; aprire le porte del carcere alla società e avvicinare i detenuti alla cultura attraverso varie iniziative culturali tra musica, lettere e teatro. Solo con un approccio multisettoriale e multidisciplinare si possono aiutare i ragazzi di oggi.” Qualche dato sul fenomeno del paese latino-americano. L’Argentina ha il 163% di detenuti, sicuramente un tasso molto alto rispetto all’Europa ma fra i più bassi dell’America Latina. Secondo un’indagine svolta sul 5% dei reclusi, in età dai 18 ai 21 anni, è stato notato che il 66% era stato processato ma solo il 34% aveva ricevuto una condanna definitiva e di questi il 26% con udienze pubbliche. Il 66% dei giovani ha un parente già in carcere e un terzo dei giovani ha subito almeno una violenza fisica o psicologica. L’84% degli uomini lavorava prima della reclusione anche in giovanissima età ma sempre in forma irregolare anche se avrebbe voluto nel tempo regolarizzare la propria posizione lavorativa. Repubblica Congo: evasione di massa, 169 detenuti fuggiti da carcere Gemena Adnkronos, 19 novembre 2010 Circa 200 detenuti sono riusciti a fuggire da un carcere nel nordovest della Repubblica Democratica del Congo. A riferire dell’evasione di massa di martedì scorso dal carcere di Gemena, è la Bbc, spiegando che è avvenuta mentre era in corso un’udienza con il magistrato che cercava di ridurre il gran numero dei detenuti in attesa di giudizio. I prigionieri hanno iniziato a lanciare pietre contro il giudice che stava esaminando il secondo dei 60 casi in calendario per la giornata. In aula c’erano soltanto due poliziotti a garantire l’ordine e ben presto la folla di detenuti in rivolta è diventata ingovernabile. Quando hanno forzato i cancelli e sono usciti dal carcere “sembrava una folla che usciva da una chiesa o dallo stadio”, ha raccontato Francis Wombali, un avvocato presente all’udienza. Soltanto pochissimi dei 169 evasi sono stati ricatturati.