Giustizia: carceri strapiene, la strada è la depenalizzazione di Alessandro Battisti Europa, 18 novembre 2010 Il governo è fermo e non si sa quanto durerà,il parlamento è bloccato, di giustizia si parla solo in relazione ai processi del primo ministro e le eventuali riforme si allontanano sempre di più nel tempo. Nel frattempo però il problema carcere rimane, giorno dopo giorno si aggrava e i suicidi sono ormai all’ordine del giorno, è un bollettino di guerra. Il ministero della giustizia ci fornisce i dati ufficiali. I detenuti al 31 ottobre 2010 sono 68.795 per una capienza massima prevista di 44.962 unità, gli stranieri sono 25.364. I condannati a pena definitiva sono 36.904 di cui 12.414 stranieri. Tra gli stranieri quelli che superano le mille unità sono provenienti da Marocco, Romania, Tunisia, Albania, Nigeria. Le persone in libertà vigilata sono 2.348, quelle che scontano una sanzione sostitutiva 539, quelli in affidamento in prova 31.958, in semilibertà 3.458, in detenzione domiciliare 14.527. Da questi dati emerge chiaramente che circa il 50 per cento dei detenuti è in regime di carcerazione preventiva che è un primo dato anomalo e che non appare in grado di essere assorbito dalle strutture attuali. Cerchiamo di capire se, in attesa di una stagione riformatrice, si può procedere per piccoli passi. In primo luogo l’articolo 16 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n.286 e successive modifiche (vedi la legge Bossi-Fini) potrebbe essere modificato disponendo la obbligatorietà della sanzione sostitutiva dell’espulsione o dell’accompagnamento nel paese di origine qualora vi siano le condizioni previste, in particolare quelle della reciprocità delle ipotesi di reato, e sia esclusa la pena di morte e quelle pene non previste dal nostro codice. In questa ipotesi andrebbe anche modificato l’articolo 13 della stessa normativa che regola le condizioni di applicazione. Per ciò che concerne i detenuti stranieri in stato di carcerazione preventiva questa ipotesi è assai più complicata stante la necessità di svolgere il processo in presenza dell’imputato per non compromettere le indagini e le fasi processuali e non da ultimo per consentire il diritto di difesa. Potrebbe ovviarsi solo con trattati di collaborazione giudiziaria tra stati, una strada certamente non facile. Probabilmente però un 50 per cento degli stranieri che scontano una pena definitiva potrebbe uscire dal carcere e tornare nel paese di origine (circa cinque/seimila unità ). In termini più generali il numero di detenuti non definitivi (29.986) è fortemente condizionato da quelli in attesa del giudizio di primo grado (15.111) a conferma dell’uso anomalo che si fa della carcerazione preventiva. Sono invece scarsi i casi di libertà vigilata (2.348), di sanzioni sostitutive (539), di semilibertà (3.458) mentre sono alti i dati per la detenzione domiciliare (14.527) e per l’affidamento in prova (31.958) per cui si potrebbe intervenire sulle prime tre ipotesi per alleggerire il carcere. Di fondo rimane quello che da tempo vado dicendo: procedere a una seria depenalizzazione dei reati minori sostituendoli con sanzioni amministrative, allargare le fattispecie di pene alternative basate su obblighi lavorativi utili o a titolo risarcitorio, maggiori pene pecuniarie per soggetti abbienti, ipotesi di sottoponimento volontario a pene brevi ma immediatamente eseguibili e corrispondente rinuncia al processo e alle impugnative (Paris Hilton è stata condannata a spazzare le strade per 10 giorni, ed è solo un esempio, molti se ne potrebbero fare). Mi sembra che ci sia materia per intervenire e per proporre ipotesi legislative anche in tempi brevi se solo ce ne fosse la volontà politica. Insomma la politica dovrebbe tornare a fare il suo mestiere. Noi continueremo a dirlo e a proporlo ma cosa diremo o faremo al prossimo suicidio cui assisteremo? Giustizia: il Senato approva il provvedimento "svuota carceri", è legge di Donatella Stasio Il Sole 24 Ore, 18 novembre 2010 Con un colpo a sorpresa e in una manciata di ore, il Senato ha approvato in via definitiva la cosiddetta legge "svuota-carceri" che, secondo i calcoli ministeriali, dovrebbe alleggerire la popolazione penitenziaria di circa 7mila detenuti. Una goccia nell’oceano del sovraffollamento delle patrie galere (i detenuti sono ormai 69mila) con cui si manda, però, un segnale importante, in parziale controtendenza rispetto alla politica della "carcerizzazione", della "tolleranza zero" e di chiusura alle misure alternative alla detenzione, cavalcata dal governo, in particolare dalla Lega. In favore del provvedimento - che consente di scontare nel domicilio le pene non superiori a un anno - hanno votato Pdl, Lega e Fli mentre Pd, Idv e Udc si sono astenuti. I radicali non hanno partecipato al voto per protestare contro "l’inadeguatezza" della legge. Che si inserisce nel "piano carceri" varato dal governo a gennaio per costruire nuove carceri e ampliare quelle esistenti (primo e secondo pilastro), per introdurre nuove norme come, appunto, la detenzione domiciliare per chi deve scontare, anche come residuo pena, meno di 12 mesi (terzo pilastro) e per assumere 2000 nuovi agenti di polizia penitenziaria (quarto pilastro). Lo "stato di emergenza nazionale" dichiarato dal governo durerà fino alla fine di quest’anno, anche se la popolazione carceraria continua ad aumentare, sia pure a un ritmo più basso negli ultimi mesi. Il provvedimento prevede sia la detenzione domiciliare che l’assunzione dei 2.000 poliziotti. Nel primo caso si pone un limite temporale, nel senso che la nuova norma varrà "fino alla completa attuazione del piano straordinario" e "in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione". E comunque, "non oltre il 31 dicembre 2013". Domicilio vuol dire abitazione del condannato o un luogo pubblico o privato di cura, assi-v stenza e accoglienza: formula che dovrebbe consentire di far uscire dal carcere anche molti stranieri, che rappresentano il 38% del totale dei detenuti e che sono condannati quasi sempre a pene brevi 0 brevissime. Il "beneficio" non si applica ai "delinquenti abituali, professionali o per tendenza", ai "detenuti sottoposti a regime di sorveglianza particolare" o "quando vi è la concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga ovvero sussistono specifiche e motivate ragioni per ritenere che commetta altri delitti". La pena per chi evade dal domicilio è inasprita fino a 5 anni. Nello stesso testo si prevede che per i tossicodipendenti e gli alcoldipendenti sottoposti, o disponibili a sottoporsi a un programma di recupero, la pena possa essere eseguita in una struttura sanitaria pubblica, o privata accreditata. Infine i poliziotti: 2.000 nuovi assunti, corsi di formazione accelerata e la nascita di una nuova figura professionale: l’agente "in prova". Giustizia; ddl Alfano; approvati due Ordini del giorno presentati dai Radicali di Donatella Poretti Agenzia Radicale, 18 novembre 2010 Il provvedimento sull'ultimo anno di pena agli arresti domiciliari approvato ieri dal Senato, così spolpato dalla Camera come è arrivato in Senato, purtroppo non servirà a tamponare di certo la drammatica condizione di sovraffollamento dei nostri istituti di pena, ed è proprio per queste ragioni che con il collega Perduca non abbiamo votato il disegno di legge. Nonostante ciò, va dato atto al Governo di aver accolto due ordini del giorno che abbiamo presentato sollecitati e predisposti dall'Associazione Il Detenuto Ignoto, che a nostro avviso non sono certo secondari. Uno riguarda la possibilità di introdurre nel nostro codice penale una nuova pena, quale l'affidamento ai servizi sociali da comminare direttamente dal magistrato giudicante, per i reati con pena inferiore ai tre anni. In questo modo si permetterebbe un alleggerimento del lavoro dei Magistrati di Sorveglianza e si eviterebbe di continuare ad appesantire il sovraffollamento degli istituti con la presenza temporanea per pochi mesi, a volte giorni, di detenuti che sarebbero destinati ad altre modalità di esecuzione della pena. L'altro riguarda l'impegno del Governo all’acquisizione e messa a disposizione del Parlamento dei dati relativi a ciascuna amministrazione penitenziaria. I bilanci delle amministrazioni penitenziarie, le informazioni sulla struttura (anno di costruzione, successivi interventi edilizi, numero di bracci, numero e volumetria delle celle per ogni braccio, posti letto per cella, disposizione delle celle e degli impianti sanitari), le informazioni relative agli interventi di edilizia penitenziaria, la trasparenza negli appalti (compensi, amministratori, estremi dei contratti d’appalto, consulenze), il numero dei detenuti e la loro composizione espressa per tipologia di reato per cui sono stati condannati, per fasce d'età, per stato di salute, etc., il numero degli operatori e degli agenti, del personale amministrativo, informazioni e curricula dei quadri dirigenti, per dirne alcuni. Tutti questi dati, messi a disposizione liberamente su internet, saranno utilizzati per creare una vera e propria anagrafe digitale degli istituti di pena, per permettere al cittadino, finora tenuto all'oscuro, la necessaria trasparenza su come viene utilizzato nei dettagli il fiume di denaro pubblico che ogni anno viene speso nell'amministrazione penitenziaria, e di come funziona tale gestione. Giustizia: Casson (Pd); provvedimento inutile, tra due mesi di nuovo sovraffollamento Dire, 18 novembre 2010 "È un provvedimento inutile, che non argina il problema del sovraffollamento. Non è neanche un palliativo". Così il senatore del Pd Felice Casson, ai microfoni di Cnr Media, giudica il disegno di legge svuota carceri, approvato ieri dal Senato e quindi diventato legge. "L’unico aspetto positivo è quello della previsione di un aumento dell’organico della polizia penitenziaria di circa 1.800 persone - prosegue il parlamentare democratico - che rimane una dichiarazione d’intenti visto che fa rinvio alla legge di stabilità. Bisognerà quindi aspettare l’approvazione della finanziaria per capire se ci sarà davvero questo aumento di organico". "Quelle che erano le promesse del governo - aggiunge Casson - in particolare del ministro della Giustizia, sono state totalmente disattese". "Perfino il governo - spiega ancora il senatore democratico - dopo che noi avevamo presentato una serie di proposte concrete e precise per intervenire sulla situazione penitenziaria, si era convinto a intervenire in questa materia in modo molto più ampio e diversificato, ma fino a questo momento non c’è assolutamente nulla, oltre a questo ddl, che tra l’altro non risolverà il problema: tra due mesi saremo allo stesso punto di oggi". Giustizia: Sappe; legge su detenzione domiciliare segnale rilancio sistema Adnkronos, 18 novembre 2010 "Questo provvedimento può essere un’occasione d’oro per sanare seppur parzialmente le gravi carenze di organico della Polizia Penitenziaria, quantificate in oltre 6mila unità, e per dare un primo concreto segnale ad un sistema, quello penitenziario, rimasto per molto tempo senza alcun intervento sostanziale, oltre la fallimentare e disastrosa esperienza dell’indulto". È quanto afferma Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, in merito al Ddl sulla detenzione domiciliare approvato ieri sera in via definitiva al Senato. Il provvedimento, che riguarderà circa 7mila detenuti, consentirà di scontare presso il domicilio, una struttura sanitaria pubblica o una struttura privata accreditata, le pene non superiori ad un anno. È prevista inoltre l’assunzione di circa 2.000 nuovi agenti di Polizia Penitenziaria. "Oggi in carcere ci sono più di 69mila detenuti per poco più di 43mila posti letto - prosegue Capece - e la misura deflattiva che prevede la possibilità di scontare ai domiciliari l’ultimo anno di pena residua inciderà su circa 8mila detenuti. È certamente positiva la trasversalità politica raggiunta sui temi penitenziari, e ringrazio per questo la sensibilità di tutti i gruppi ed in particolare i parlamentari che hanno avuto la cortesia di citare nei loro interventi in aula il sindacato Sappe e la mia persona". Capece auspica che "il provvedimento abbia garanzie sull’adeguata copertura finanziaria per pagare gli stipendi ai previsti 1.800 nuovi agenti di Polizia penitenziaria. Bene ha fatto il senatore Pedica dell’Idv, che conosce i nostri problemi ed infatti era con noi a manifestare a Roma davanti alla sede del Dap il 19 ottobre scorso per le problematiche del Corpo, a chiedere garanzie precise a Governo e maggioranza per la copertura finanziaria fissa e continuativa che concretamente garantirà le nuove assunzioni". "I poliziotti penitenziari del Sappe sono stanchi - conclude Capece - stanchi di essere stati e di essere presi in giro sulle più volte annunciate 2mila assunzioni; stanchi dall’assenza di provvedimenti concreti del mondo della politica nonostante il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri sullo stato di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale sia del 13 gennaio scorso; stanchi di non essere pagati per lavoro straordinario e servizi di missione obbligati ad assicurare; stanchi di non avere neppure vestiario e automezzi adeguati ai delicati compiti istituzionali. La Polizia penitenziaria ed il sistema carcere hanno urgente bisogno di provvedimenti concreti. E ieri sera forse qualcosa di concreto per il sistema è stato fatto". Giustizia: Uil-Pa; bene per sblocco delle assunzioni, ma il sovraffollamento rimarrà Adnkronos, 18 novembre 2010 "L’approvazione al senato del Ddl svuota carceri rappresenta davvero uno spiraglio di luce nelle nebbie offuscanti che, da troppo tempo, ammantano il sistema penitenziario. Pur convinti che tale provvedimento inciderà quasi per nulla a deflazionare il grave sovrappopolamento carcerario, almeno nell’immediato, non possiamo esimerci dal sottolineare come attraverso l’atto approvato ieri si sbloccano, finalmente, quelle assunzioni in polizia penitenziaria che rappresentano una boccata d’ossigeno quanto mai necessaria". È quanto afferma il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. "La stima di settemila possibili fruitori ci pare piuttosto ottimista - prosegue Sarno - considerate le prescrizioni e i vincoli, pertanto è inopportuno parlare di svuota carceri. In ogni caso è un segnale di attenzione verso l’universo penitenziario che non può non essere preso in considerazione. Ovviamente non rappresenta la panacea dei mali endemici del sistema e pertanto l’auspicio è che si continui a mantenere nell’agenda politica l’emergenza penitenziaria". "Questa approvazione bipartisan del Ddl segna - riconosce comunque Sarno - un percorso di responsabilità istituzionale delle forze politiche che hanno saputo e voluto superare barriere ideologiche e le diverse sensibilità avendo conto del disastro e del dramma che ogni giorno si consuma dietro le sbarre delle nostre prigioni". "Ed è certamente un punto di merito del Ministro Angelino Alfano - aggiunge Sarno - Ora che le assunzioni in polizia penitenziaria possono essere ascritte alla concreta realtà e non più al mondo delle favole e dei racconti, vogliamo sperare che l’Amministrazione Penitenziaria sappia cogliere al volo l’occasione per rimpinguare gli organici nelle sedi periferiche e , soprattutto, dare respiro ai contingenti operativi in perenne affanno". "I molti arresti di criminali di punta delle rispettive organizzazioni mafiose sono motivo di legittimo vanto per la magistratura e di tutte le forze dell’ordine - sottolinea ancora Sarno - Sarebbe iniquo non ricordare il ruolo nel contrasto al crimine organizzato che riveste il sistema penitenziario". "Dalle norme restrittive del 41-bis, all’attività di intelligence svolta dalla polizia penitenziaria - ricorda Sarno - fino alla indispensabile capacità di sorvegliare questi pericolosissimi criminali che presuppone una non comune professionalità. Per questo condividiamo ed apprezziamo l’intento del Ministro Alfano a non incidere e modificare il 41 bis, strumento indispensabile al contrasto alle mafie". "In questo senso - rileva il segretario della Uil Pa Penitenziari - apprendiamo con estremo favore la notizia che nel Consiglio dei Ministri odierno si procederà alla nomina dei cinque Dirigenti Generali dell’Amministrazione Penitenziaria da preporre ai Provveditorati Regionali di Puglia, Calabria, Sardegna, Lazio e Basilicata. "Anche garantendo i presidi periferici si contribuisce nello sforzo generale di mantenere in piedi il sistema. Restiamo , comunque, disponibili ad ulteriori confronti con il Ministro Alfano per suggerire ipotesi di soluzioni che possono essere individuate dall’interno della stessa Amministrazione, fermo restando che dovrà essere la riforma complessiva della giustizia ad orientare diversamente il concetto della pena, del momento sanzionatorio e dei tempi di detenzione", conclude Sarno. Giustizia: Fp-Cgil; ddl Alfano è insufficiente, ma va nella giusta direzione Agenparl, 18 novembre 2010 Ieri è stato finalmente approvato il cosiddetto ddl Alfano sulla detenzione domiciliare, contenente norme che dovrebbero portare a una deflazione delle presenze in carcere di circa 7000 detenuti e l’autorizzazione ad assumere 1.800 poliziotti penitenziari. Due provvedimenti, certo non risolutivi, che vanno finalmente nella giusta direzione, rompendo il silenzio e l’immobilismo che ha fin qui caratterizzato l’azione dell’attuale Governo. La possibilità di scontare l’ultimo anno di pena agli arresti domiciliari è sicuramente uno strumento per diminuire le presenze in carcere, ma in un contesto in cui queste si avvicinano velocemente alla soglia dei 70.000, molto altro si dovrebbe e potrebbe fare piuttosto che parlare impropriamente di soluzione dell’emergenza in atto. Da questo punto di vista, sembra logico tener fede alla proposta lanciata con la nostra iniziativa pubblica di Roma lo scorso 28 ottobre e ai nostri "10 punti" contro l’emergenza: continuiamo a chiedere un luogo di discussione in cui affrontare la crisi in modo strutturale e partecipato, non parziale e ideologico. Bene sulle nuove assunzioni, che restano comunque insufficienti, vista la carenza d’organico complessiva di ben 6000 poliziotti penitenziari, a cui nei prossimi tre anni si aggiungeranno 2800/3000 pensionamenti. Rivolgiamo un appello al Ministro Alfano e al Capo del Dap Ionta: che i nuovi assunti siano destinati esclusivamente al servizio nelle strutture e nei servizi penitenziari e, soprattutto, che si eviti l’uscita di altrettante risorse umane dalle carceri verso servizi non essenziali, come già successo in passato. Abbiamo più volte denunciato che degli oltre 37.000 poliziotti attualmente in servizio, solo 18.000 operano effettivamente nei servizi di istituto. Un fatto inaccettabile a cui va posto rimedio e sul quale vigileremo. Giustizia: Ugl; carceri al collasso, nuova legge migliora le condizioni detentive Adnkronos, 18 novembre 2010 "Esprimiamo soddisfazione per l’approvazione di un provvedimento che richiedevamo da tempo, e di cui sentivamo fortemente l’urgenza". Lo afferma Giuseppe Moretti, segretario nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, commentando il via libera da parte del Senato al ddl detenzione domiciliare e aggiungendo come "la nuova legge, con l’assunzione di circa 2.000 agenti, compensa la grave carenza d’organico della polizia penitenziaria. Oltre a rappresentare una soluzione, seppur parziale, ai problemi occupazionali del settore, il provvedimento ridurrà il sovraffollamento all’interno delle strutture penitenziarie". Da tempo - conclude Moretti - denunciamo la grave situazione delle carceri al limite del collasso e per questo ribadiamo il nostro impegno affinché siano assicurate condizioni detentive adeguate al recupero sociale della devianza criminale. Giustizia: Unione Camere Penali; il 41-bis va abolito, è una "tortura democratica" Agi, 18 novembre 2010 Il regime del 41 bis va abolito perché è una "tortura democratica". Lo ribadisce l’Unione delle camere penali italiane sull’onda della polemica scaturita dalle dichiarazioni dell’ex Guardasigilli Giovanni Conso in Commissione Antimafia, in merito alle presunte trattative tra Stato e mafia. "Non intendiamo entrare nella polemica perché fa parte - dicono i penalisti - di un dibattito politico estraneo alle finalità dell’associazione. Ma la battaglia per l’abolizione del carcere duro è un nostro patrimonio consolidato perché si tratta di un regime detentivo non solo incivile ma anche inutile rispetto all’inconfessato risultato che si propone: l’induzione dei detenuti alla collaborazione". La Giunta dell’Ucpi si dice "consapevole di combattere una battaglia difficile", ma la ritiene necessaria "in nome del rispetto dei diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali, al di là del conformismo imperante sui media e di una politica senza radici che demonizzano ogni comportamento che non sia di ottusa e meccanica esaltazione dell’art. 41 bis". E dunque, si legge nella nota dell’Ucpi, "oggi non ci limitiamo ad invitare tutti al rispetto ed alla considerazione di Conso, uomo di storia e caratura indiscusse, ma denunciamo la sistematica aggressione attuata nei confronti di chiunque usi la ragione e l’umanità nell’affrontare il problema del carcere duro e il progressivo imbarbarimento del dibattito che su questo tema deliberatamente si propone". Giustizia: mondo delle carceri in subbuglio, anche i direttori minacciano lo sciopero di Simona Carandente www.ilmediano.it, 18 novembre 2010 Il "Piano Carceri", presentato come innovativo non solo per le strutture ma per i contenuti, si è limitato invece, solo ad imbiancare qualche muro di chissà quale carcere. Forse scioperano i direttori penitenziari. Vi sono tematiche di ampio respiro, afferenti al contesto giuridico-penitenziario, che rischiano di sembrare ridondanti, talvolta anche ripetitive, monotone. Eppure, nonostante la larghissima diffusione dei mezzi di informazione e comunicazione, nonostante le belle parole profuse a destra e manca, rischiano di rimanere lettera morta, come tante altre promesse non mantenute da chi ne aveva, e tuttora ne ha, ampia facoltà. In questi giorni, la problematica relativa al fantomatico "Piano Carceri" ha scosso le coscienze dei vertici dell’amministrazione penitenziaria che, attraverso l’organismo sindacale che li rappresenta (Sidipe) hanno proclamato lo stato di agitazione, con possibilità di indire a breve uno sciopero di vastissima portata. Parole al vento, ancora una volta. Il famoso e famigerato programma, che avrebbe visto il riassetto generale delle carceri italiane, dal punto di vista architettonico ma soprattutto nei contenuti, si è limitato a rimbiancare le mura di qualche sporadico padiglione, in chissà quale istituto, rendendo la situazione a dir poco "tragicomica". Il problema del sovraffollamento è solo la punta dell’iceberg. Profonde, e di ampio spessore, sono le enormi difficoltà del mondo penitenziario, talmente evidenti da essere certificate dal Governo, lo scorso 13 gennaio, attraverso la dichiarazione dello stato di emergenza. Gravi appaiono altresì le carenze di risorse finanziarie ed umane, tra cui spiccano le assunzioni di migliaia di nuovi agenti della Polizia penitenziaria, annunciate continuamente ma delle quali, al di là dell’ingresso di poche centinaia di unità, non vi è affatto traccia. Discorso analogo per la costruzione di nuove carceri che, al di là di qualche sporadica dichiarazione di intenti, continua a rimanere lettera morta. Del resto, non tutti sanno che le assunzioni in ambito penitenziario sono bloccate da anni; che non vi è alcun segnale circa la programmazione di concorsi per diventare direttore penitenziario, figura per cui non si indice un concorso, nel nostro paese, da ben 13 anni, contrariamente a quanto avviene in altri rami del settore giustizia; che, parimenti, è mortificata ogni speranza di riqualificazione del personale già in servizio. Si legge nella nota del Sidipe che, a fronte dell’ulteriore mancanza di segnale positivo da parte del Ministro della funzione pubblica o di quello della Giustizia, si arriverà all’ipotesi estrema di proclamazione dello sciopero di tutti i direttori penitenziari, che garantiranno altresì ogni più ampia partecipazione a dibattiti, proteste, iniziative pubbliche di sensibilizzazione, nel comune obiettivo di dare alla popolazione, carceraria e non, un segnale di profondo cambiamento. Giustizia: Marino (Pd); ecco come voglio trasformare gli Opg in vere strutture di cura di Ester Maragò www.quotidianosanita.it, 18 novembre 2010 Affidare tutti gli internati dimissibili perché non pericolosi alle Asl competenti. Chiudere definitivamente tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari a rischio, e aprire nuove strutture più sicure e con caratteristiche igienico sanitarie adeguate. Magari riconvertendo i piccoli ospedali dismessi. Sono queste le strade da percorre, prospettate dal senatore Ignazio Marino, per consentire agli Opg di uscire dalle secche. Gli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) sono una sorta di Giano bifronte: ospedali da un lato, carceri dall’altro. Nati nel 1975, conosciuti ai più come "manicomi criminali", sono quelle strutture che dopo la storica legge Basaglia (L.180 del 1978) svolgono la funzione di "appartamenti protetti" e di strutture d’appoggio per ex degenti manicomiali o per nuovi "pazienti" dei servizi psichiatrici. Buchi neri che accolgono internati prosciolti per infermità mentale, detenuti ritenuti socialmente pericolosi, persone sottoposte a misure di sicurezza provvisoria. E ancora, detenuti minorati psichici, detenuti imputati soggetti a custodia preventiva e sottoposti a perizia psichiatrica, condannati con sopravvenuta infermità di mente. In Italia gli Opg sono sei, dislocati nel territorio da Nord a Sud: Castiglione delle Stiviere (Mn), Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino (Fi), Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto (Me). Sei strutture finite nel mirino della Commissione d’inchiesta del Senato sull’efficacia e l’efficienza del Ssn, presieduta da Ignazio Marino, che con blitz e sopralluoghi a sorpresa, ha messo a nudo quella che possiamo definire senza esitazioni una "vergogna" del sistema assistenziale italiano. Solo uno dei cinque ospedali passati al setaccio dai senatori nel mese di luglio, ha dimostrato di possedere gli standard previsti dalla legge, quello di Castiglione delle Stiviere. Gli altri? Un inferno. Basta leggere le relazioni sui sopralluoghi effettuati e guardare alcune immagini scattate dalla Commissione per capire. Nei verbali si parla di "degrado derivante dalle pessime condizioni strutturali e igienico-sanitarie; evidenti macchie di umidità e muffe; presenza di sporcizia dovunque; presenza di letti metallici con spigoli vivi, vernice scrostata e ruggine; pavimenti danneggiati; coperte e lenzuola strappate, sporche ed insufficienti". Ovunque si avvertiva "un lezzo nauseabondo per la presumibile presenza di urine sia sul pavimento che sugli effetti letterecci". Ancora, in alcune strutture mancano addirittura psichiatri e psicologi. L’Opg di Reggio Emilia, in una Regione virtuosa quindi, ha una capienza di 132 internati, prima dell’estate ne ospitava 264. Più del doppio. In molte stanze c’erano letti a castello che negli ospedali psichiatrici sono fuori leggi. Ogni paziente, in alcune celle, ha meno di tre metri quadrati a disposizione, in netta violazione delle normative europee. Un quadro devastante che ha portato i parlamentari a chiedere, già da luglio, la chiusura delle strutture. Ma da allora nulla è cambiato. È di quindici giorni fa l’ultimo blitz nella struttura di Aversa. Un sopralluogo che ha avuto come risultato il sequestrato della farmacia da parte dei carabinieri dei Nas della Commissione d’inchiesta. E la conferma del degrado inaccettabile in cui vivono le persone recluse. Quotidiano Sanità si è confrontato su questo tema con Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta. Senatore Marino, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul Ssn sta lavorando alacremente da mesi sul problema degli ospedali psichiatrici giudiziari, com’è la situazione? Critica. Nelle sei strutture sono ospitate 1.500 persone, di queste almeno il 40 per cento sono internate solo a causa delle infinite proroghe delle misure cautelari. Mi spiego, negli Opg ci sono due tipologie di detenuti: quelli che hanno commesso un reato e quindi sono stati condannati al carcere, ma avendo manifestato anche problemi psichiatrici sono stati internati con il cosiddetto "fine pena"; e quelli tecnicamente prosciolti, in quanto incapaci di intendere e di volere. Persone che potrebbero essere dimesse e affidate ai servizi sanitari territoriali. A questa ultima tipologia di internati viene somministrata una misura di sicurezza che va dai due ai dieci anni, prorogabile o revocabile. Ma accade che nella maggior parte dei casi la proroga duri all’infinito e si trasformi in quello che viene chiamato ergastolo bianco. Nel corso dei sopralluoghi ci siamo resi conto, e personalmente anche con un certo sbigottimento, che persone non condannate, ma internate in quanto ritenute socialmente pericolose pur non trovandosi più in questo stato, non solo non vengono dimesse per ricevere dai servizi esterni assistenza psichiatrica, ma non la ottengono neanche all’interno dell’Opg. Ad esempio, nella struttura di Aversa che accoglie 300 degenti abbiamo trovato un solo medico che poteva garantire appena un’ora di assistenza psichiatrica al mese. Il peggio del peggio: sono ingiustamente internati in un luogo dove dovrebbero essere curati senza però avere accesso alle cure. Di chi è la responsabilità di questo dissesto, delle Regioni? C’è una responsabilità di vari attori. Di chi proroga ad oltranza lo status di paziente psichiatrico e di chi convalida tutto questo. Non solo, in molte realtà c’è una sovrapposizione dell’amministrazione penitenziaria, per cui entra in scena anche questo terzo attore. Mi spieghi meglio... È uno scenario complesso. Negli Opg c’è un numero di medici e specialisti insufficiente. Spesso questi professionisti lavorano con contratti di collaborazione, non sono quindi dedicati ad assistere continuativamente internati con necessità di cure psichiatriche. Il risultato? In alcune strutture abbiamo trovato certificati nei quali si confermava la necessità dell’internamento che venivano sistematicamente fotocopiati cambiando solo la data di diagnosi. Documenti sempre convalidati dal magistrato di sorveglianza. Sta dicendo, quindi, che c’è anche una responsabilità del magistrato che non "rileva" anomalie evidenti … Esattamente. Quindi? Abbiamo incontrato in audizione i tre interlocutori principe di questa vicenda, per trovare soluzioni concordate, ossia i vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), il coordinatore degli assessori alla sanità delle Regioni, Luca Coletto e il presidente dei magistrati di sorveglianza. Quali saranno ora le prossime mosse? Sono due gli obiettivi da raggiungere. Il primo è quello di responsabilizzare, entro la fine dell’anno, sia gli assessori alla sanità di tutte le Regioni, sia i sei magistrati di sorveglianza. Dobbiamo fare in modo che tutti i detenuti dimissibili perché non pericolosi vengano presi in carico dalle Asl competenti. Abbiamo le liste dei dimissibili, ossia oltre 300 persone che avrebbero ogni beneficio dall’essere ricondotte nel territori di appartenenza e quindi assistite dai Dipartimenti di salute mentale. Ma le Asl sono pronte per questo passaggio del testimone? Come ben sappiamo le Asl hanno performance che variano da Regione a Regione; quindi anche in questo caso ci saranno aziende in grado di accogliere questi pazienti, altre che avranno delle difficoltà e dei disagi. Il nostro intento, ricordiamolo, non è quello di produrre solo documentazione, ma di raggiungere dei risultati in un’ottica di collaborazione. Ecco perché abbiamo chiesto l’intervento dell’assessore Coletto: se ci saranno delle Regioni in difficoltà chiederemo a quelle che hanno una situazione più solida di accogliere gli internati dimissibili. Parliamoci chiaramente: se tutto questo fin ora non è avvenuto è perché ci confrontiamo con pazienti scomodi e difficili. Il secondo obiettivo? Chiudere almeno tre delle strutture esistenti, ossia Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa e Montelupo Fiorentino, e realizzare strutture che abbiano l’impostazione di Castiglion delle Stiviere. Ma nel blitz di luglio avevate già chiesto la chiusura di queste strutture. Perché non è stato fatto? Perché a differenza delle strutture psichiatriche del Ssn - dove ci sono persone non pericolose socialmente, ma solo pazienti maltrattati - che è stato possibile chiudere dirottando i pazienti in altre strutture, negli Opg c’è evidentemente un differente genere di problema: i pazienti sono socialmente pericolosi e quindi difficilmente collocabili. Invece, avete messo immediatamente i sigilli nella farmacia di Aversa dove, nel corso del secondo sopralluogo, sono state rilevate importanti violazioni... Sì, era nei nostri poteri farlo. Soprattutto, in questo caso abbiamo potuto nominare un custode giudiziario per dare continuità alle cure. La farmacia erogava farmaci anche a base di sostanze stupefacenti con buoni di richiesta e registri di carico e scarico privi della firma del medico, in violazione alla legge. Venivano firmati dopo mesi dal medico proprio perché non era sempre presente. Che tempi vi siete dati per risolvere definitivamente il problema Opg? Anche in questo momento di difficoltà politica nazionale, proprio perché sentiamo una grande responsabilità, stiamo cercando di accelerare i tempi per risolvere le criticità relative agli internati dimissibili. Ci dovremmo riuscire, come ho già detto, entro la fine dell’anno o al massimo per gli inizi del prossimo. Per quanto riguarda la chiusura delle strutture carenti ne dobbiamo parlare con i Ministri competenti che chiameremo in audizione Avete già nel cassetto qualche proposta? Una possibilità potrebbe essere quella di destinare a queste attività alcuni dei piccoli ospedali che devono essere dismessi. Strutture con caratteristiche igienico sanitarie sicuramente più adeguate di quelle degli Opg esistenti. E con un modello che riproduca quello di Castiglione delle Stiviere dove all’interno c’è esclusivamente sanità e all’esterno una cinta di protezione affidata al Dap. Senatore, ma Ssn e Dap sono in grado di interagire? Questa è sicuramente una delle criticità, il passaggio di consegne è avvenuto con Dpcm nell’aprile del 2008, siamo alla fine del 2010, ma le problematiche degli Opg sono rimaste le stesse esistenti all’approvazione della legge Basaglia. E nella regione Sicilia sono ancora più accentuate: non è stato neanche recepito il Dpcm. Anche su quest’ultimo punto stiamo lavorando con le istituzioni regionali. Giustizia: Luigi Chiatti in permesso premio? l’avvocato smentisce, proteste su Facebook La Stampa, 18 novembre 2010 Permesso premio per Luigi Chiatti, che nel 1992 uccise Simone Allegretti, 4 anni, e nel ‘93 Lorenzo Paolucci, 13 anni. Il "mostro di Foligno", come era stato ribattezzato, ha ottenuto dal giudici del Tribunale di sorveglianza il permesso di uscire dal carcere di Firenze. È successo lo scorso giugno, ma la notizia è filtrata solo ieri dall’istituto penitenziario dove Chiatti, ora 42enne, sconta una pena a 30 anni. Dice "radio carcere" che i suoi avvocati hanno pure intenzione di ripresentare istanza per ottenere la semilibertà. Non è facile. Bisogna innanzitutto trovare un datore di lavoro disposto ad assumerlo, un giudice che certifica la non pericolosità una volta fuori e, soprattutto, convincere l’intera comunità di Foligno che è giusto così. Già due volte il serial killer aveva richiesto la concessione di permessi premio, sempre puntualmente negati. Così come era stata respinta dalla prima sezione penale della Cassazione anche la richiesta, avanzata personalmente sempre nel 2006, della concessione della semilibertà. L’indulto no. L’indulto, grazie al quale la pena è stata ridotta da trenta a ventisette anni, è stato invece concesso, con buona pace dell’ex Guardasigilli Roberto Castelli, che si era detto sconcertato degli effetti di quel provvedimento. Intanto la città di Foligno, sessantamila anime nella pianura al centro dell’Umbria, non dimentica. Su Facebook si è costituito un gruppo, che si chiama "Il Mostro di Foligno deve rimanere in carcere", che conta quasi tremila iscritti e una serie di post che si susseguono a ritmo incalzante. La comunità sfoga la sua rabbia chiedendo che per lui "non ci sia nessuna pietà", che venga piuttosto "condannato a morte": troppo grave quello che ha fatto. Ora i permessi premio sembrano qualcosa di troppo difficile da mandare giù. Dei permessi a lui, Luigi Chiatti, omicida mai pentito di due bambini, l’uomo che il criminologo americano George Palermo, uno dei maggiori esperti mondiali di assassini seriali, non esitò a definire "killer abortivo", proprio perché, come del resto ammesso dallo stesso imputato, se non fosse stato catturato avrebbe inevitabilmente continuato a uccidere. Scrisse di lui Vittorino Andreoli, lo psichiatra che studiò anche la personalità di Pietro Maso e al quale il pm, nel processo di primo grado, affidò la perizia tecnica d’ufficio: "La sua personalità lo porta a comportarsi come un prigioniero modello ma, concessagli l’opportunità di uscire, egli ucciderà di nuovo e questo lui lo sa perfettamente". Un ritratto che coincide, fino nei dettagli, con quello delineato dal criminologo americano scelto dai difensori dell’imputato, secondo il quale il "mostro di Foligno non dovrebbe tornare in libertà, altrimenti commetterebbe nuovi delitti". Eppure. Eppure Luigi Chiatti, due ergastoli in primo grado, trent’anni in Appello, ha diritto alla legge Gozzini che, nel caso di prigionieri esemplari, permette una riduzione della pena di 45 giorni ogni sei mesi, moltiplicati per il numero di anni di reclusione. Detenuto modello, a parte la manifestata intenzione di uccidere ancora, Chiatti, lo è sempre stato. Motivo sufficiente, sembrerebbe, per gratificarlo con qualche ora di permesso e il miraggio, a fine pena, a cinquant’anni scarsi d’età, di un reinserimento nella società. L’avvocato: Chiatti mai uscito di cella (Ansa, 18 novembre 2010) Secondo alcuni quotidiani, Luigi Chiatti, condannato a 30 anni di reclusione per l’omicidio di Simone Allegretti (4 anni) e Lorenzo Paolucci (13 anni), avrebbe ottenuto un permesso e sarebbe fuori dal carcere. Perugia, 18 novembre 2010 - L’avvocato Guido Bacino, uno dei difensori del mostro di Foligno, smentisce in modo chiaro la notizia riportata stamattina da alcuni quotidiani, secondo i quali il geometra, detenuto a Firenze, avrebbe ottenuto un permesso premio nel giugno scorso. "Luigi Chiatti non ha mai lasciato il carcere". Il legale, dopo avere consultato anche i genitori di Chiatti, ha anche smentito che questi abbia presentato domanda per ottenere la semilibertà o si accinga a farlo, come riportato dagli stessi quotidiani. "Notizie non vere nel modo più assoluto" ha aggiunto l’avvocato Bacino che ha difeso il geometra folignate insieme al collega Claudio Franceschini. Chiatti sta scontando 30 anni di reclusione per l’omicidio di Simone Allegretti, 4 anni, e Lorenzo Paolucci, 13. Delitti compiuti a Foligno il 6 ottobre del 1992 e il 7 agosto del ‘93 quando venne arrestato dalla polizia. Al termine del processo di primo grado, il 28 dicembre del 1994, venne quindi condannato all’ergastolo essendo stato ritenuto pienamente capace di intendere e di volere. In appello, l’11 aprile del ‘96, la pena venne però ridotta a 30 anni di reclusione dopo il riconoscimento della seminfermità di mente. Sentenza confermata in maniera definitiva dalla Cassazione il 4 marzo del 1997. Il fine pena previsto inizialmente per Chiatti è nel 2023 ma a questa data va sottratto il periodo di sconto previsti dalla normativa. Una volta scontata la condanna Chiatti sarà comunque sottoposto ad una misura di sicurezza legata alla seminfermità mentale che prevede un eventuale ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziale se dovesse essere riconosciuto ancora socialmente pericoloso. La comunità di Facebook: è pericoloso (Ansa, 18 novembre 2010) È in carcere da 17 anni, ma ora potrà godere di un permesso premio. Secondo quanto deciso dai giudici del Tribunale di sorveglianza il "mostro di Foligno", Luigi Chiatti, che nel 1992 ha ucciso Simone Allegretti di 4 anni e nel 1993 Lorenzo Paolucci di 13 anni, ha ottenuto il permesso di uscire dal carcere di Firenze. Quella a cui è stato condannato Chiatti è una pena di 30 anni. I giudici hanno preso la loro decisione a giugno, ma la notizia si è diffusa solo ieri. Prima di adesso, i legali di Chiatti avevano chiesto già due volte, invano, la concessione di permessi premio. A quanto pare gli avvocati punterebbero alla semilibertà. Ma la notizia ha scosso la comunità di Foligno che sul popolare social network Facebook ha costituito un gruppo, il quale in poco tempo ha raggiunto oltre 3mila iscritti, e il cui nome dice tutto: "Il Mostro di Foligno deve rimanere in carcere". La comunità di Foligno è arrabbiata per la decisione di concedere a Chiatti un permesso premio e ritiene che l’uomo, 42 anni, sia ancora pericoloso. E del resto gli abitanti di Foligno tutti i torti potrebbero non averli. Il criminologo americano George Palermo, scelto dai difensori dell’imputato, ha affermato che il "mostro di Foligno non dovrebbe tornare in libertà, altrimenti commetterebbe nuovi delitti". Nonostante Chiatti non si sia mai pentito, in carcere si è comportato sempre come un detenuto modello, fatto che gli dà il diritto di usufruire della legge Gozzini che, nel caso di prigionieri esemplari, permette una riduzione della pena di 45 giorni ogni sei mesi, moltiplicati per il numero di anni di reclusione. Lettere: il suicidio dei cattivi… di Carmelo Musumeci (ergastolano detenuto a Spoleto) Ristretti Orizzonti, 18 novembre 2010 In carcere ormai la morte è di casa, si muore come se fosse una cosa normale. Eppure molti non sanno che togliersi la vita in carcere è molto più doloroso che ammazzarsi fuori. "Con il suicidio del 32 enne cittadino sloveno a Bologna salgano a 7 i detenuti che si sono tolti la vita in ottobre e a 58 da inizio anno: 48 si sono impiccati, 6 asfissiati con il gas della bomboletta da camping, 3 avvelenamenti da mix di farmaci e 1 dissanguato dopo essersi tagliato la gola" (Fonte: Osservatorio permanente sulle morte in carcere di Ristretti Orizzonti). Molte persone aldilà del muro di cinta mi scrivono e mi chiedono spesso perché i detenuti in carcere si tolgono la vita. Forse in galera ci si uccide perché la stanza assomiglia ad una bara e mentre in una cassa da morto hai la fortuna di stare da solo, in una cella spesso sei messo uno sopra l’altro, in due, tre, quattro, cinque persone o più. Forse in galera ci toglie la vita per togliere il disturbo e non essere di peso a questa società, perché meglio non esistere che annegare nella disperazione. Forse in galera ci si suicida semplicemente perché alcuni non accettano l’assoluta disumanità del carcere, dato che nelle carceri italiane la vita è priva di significato. Forse in galera ci si uccide perché con il passare degli anni la maggioranza dei detenuti perde la facoltà di pensare, di lottare e di andare avanti. Forse in galera ci toglie la vita perché molti di noi vivono senza sentirsi vivi e consciamente o inconsciamente invidiano e imitano chi ha avuto il coraggio di farlo. Forse in galera ci si suicida semplicemente perché la morte ti fa vedere la libertà e tutto quello che desideri dalla vita. Forse in galera ci si uccide perché per molti di noi la morte rimane l’ultima speranza, quella a portata di mano. Forse in galera ci si toglie la vita semplicemente perché la morte è l’ultimo atto d’amore alla vita. Forse in galera ci si suicida perché quando stai morendo hai il vantaggio d’immaginare tutto quello che vuoi, anche quello di morire libero. Forse non lo so perché dall’inizio dell’anno in una popolazione di 68mila detenuti si sono tolti la vita 58 persone, bisognerebbe domandarlo ai nostri governanti. Diciamoci la verità: tutti lo pensano, ma sono pochi coloro che dicono che le carceri in Italia non sono solo luoghi di sofferenza, solitudine e abbandono, ma sono anche luoghi dove le persone sono tenute come animali allevati in cattività. E negli istituti italiani non esistono diritti, perché è inutile averli se non c’è nessuno che li fa rispettare. Il carcere dovrebbe produrre legalità, rispetto dei diritti umani e sicurezza, dentro e fuori dalle sue mura, e non morte. Diciamoci la verità: nelle carceri italiane non esiste lo Stato di diritto, ma un gruppo di burocrati che gestisce le persone che ci lavorano e i carcerati, che scontano una pena a volte in un modo violento, tragico e illegale. Il carcere con queste modalità e con questi funzionari non recupera un bel nulla, ma piuttosto elimina, distrugge e ammazza. Diciamo la verità: in Italia il carcere ha una funzione sociale e di controllo del male minore per poter nascondere a fare crescere di più il male maggiore. E diciamo l’ultima verità: esiste la mafia che uccide, ma esiste anche la corruzione politica, finanziaria, mediatica, imprenditoriale, istituzioni mafiose che in carcere non ci vanno mai. Sardegna: Sdr; detenuti sardi al "confino", la territorializzazione della pena è negata Agi, 18 novembre 2010 "Nel nostro codice è stato cancellato dal 1956 ma un ‘confinò in Italia continua ad essere applicato sistematicamente dal Dap, almeno nei confronti dei detenuti sardi. Non si spiega in altro modo la mancata applicazione della territorializzazione della pena e l’allontanamento dalla Sardegna anche di cittadini privati della libertà in gravi condizioni di salute". Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione "Socialismo Diritti Riforme" richiamando l’attenzione su alcuni casi di detenuti ammalati trasferiti dalle carceri sarde in Continente nonostante a Sassari e a Cagliari ci sia un centro diagnostico terapeutico. "La territorializzazione della pena - sostiene Caligaris - non è solo sancita dalla legge, ma è un concreto modo per umanizzare la detenzione e quindi per ridurre i casi di autolesionismo e i suicidi in carcere. Rappresenta inoltre un utile strumento per ridurre i costi dell’amministrazione e almeno per questo motivo dovrebbe essere applicata. Si assiste invece ad un continuo via vai di detenuti con traduzioni che costano parecchio alle casse dello Stato e non appaiono davvero motivate. Senza contare le condizioni in cui vengono effettuate. Emblematico - sottolinea la presidente di Socialismo Diritti Riforme - il caso di un detenuto sardo, ammalato, trasferito da Alghero a Napoli, che ha impiegato utilizzando l’aereo circa 11 ore per giungere a destinazione. Durante tutto il percorso non ha potuto assumere i medicinali salvavita e nelle diverse tappe non solo non ha potuto mangiare, ma neanche bere. Una condizione disumana che avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche. Il fatto ancora più grave è che il detenuto non potrà effettuare i colloqui con i familiari a causa della distanza e per i costi. Non tutti infatti sono nelle condizioni economiche per poter affrontare le spese di un viaggio così lungo, oltre 24 ore con la nave, senza contare la situazione sanitaria dei familiari anziani. Il tutto appare paradossale in un momento in cui la presenza eccessiva di detenuti dovrebbe suggerire il ricorso alle pene alternative e una riduzione dei disagi anche per gli agenti di polizia penitenziaria anch’essi costretti ad andirivieni estenuanti. Assurdo poi - conclude Caligaris - se si tiene conto della recente sentenza della suprema Corte che ha suggerito di non aggiungere ulteriori pene alla detenzione". Abruzzo: Unioncamere e Prap sottoscrivono protocollo inserimento lavorativo detenuti Ansa, 18 novembre 2010 Il Provveditorato regionale per l’Abruzzo e il Molise del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e Unioncamere Abruzzo hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per favorire l’inserimento lavorativo dei detenuti. Con l’intesa si intende porre in relazione la domanda di lavoro proveniente dagli istituti penitenziari con i bisogni occupazionali espressi dal mondo imprenditoriale in modo da incrementare le opportunità lavorative esterne rivolte ai detenuti e incentivare le lavorazioni penitenziarie e diffondere informazioni corrette ed esaustive sugli sgravi contributivi e fiscali previsti dalle legge per le imprese che assumono detenuti. "Questo protocollo - ha detto il provveditore Salvatore Acerra - è importante per noi perché oltre a favorire l’inserimento dei detenuti in attività lavorative esterne consentirà di promuovere anche attività all’interno dell’istituto penitenziario". "Il lavoro - ha sottolineato il presidente di Unioncamere Giustino Di Carlantonio - è un valore fondamentale e quindi va riconosciuto e favorito anche nei confronti delle persone che hanno pagato il loro debito con la giustizia e che devono reinserirsi nella vita sociale e nel mondo del lavoro". Varese: inchiesta sul carcere; la voce degli operatori penitenziari e dei detenuti di Valeria Deste www.varesenotizie.it, 18 novembre 2010 La vita di chi, dietro le sbarre, ci lavora. Il racconto del direttore Mongelli Spesso e volentieri si raccontano le storie di coloro che si trovano bloccati dietro le sbarre di una cella. Questa volta, però, vogliamo anche raccontare come vivono il carcere le persone che, invece, si trovano a gestire i carcerati. "Il sistema carcerario sta incontrando una difficoltà, generale e di fondo, nel fatto che la progressiva contrazione delle risorse economiche strutturali, umane e materiali, che da anni sta colpendo tutti i settori della Pubblica Amministrazione, sta colpendo anche il carcere proprio nel momento in cui il numero dei detenuti ha raggiunto la cifra, record nella storia, di 68.795 (9.354 in Lombardia)". Queste le parole del direttore del carcere di Varese, Gianfranco Mongelli. "Gran parte dei detenuti sono extracomunitari irregolari e, non avendo (di fatto e in pratica, teoricamente il discorso è diverso) già in partenza una reale possibilità di accedere a misure alternative alla detenzione in carcere, non hanno nulla da perdere a comportarsi male: tanto a fine pena, salvo eccezioni, saranno comunque espulsi. Proprio questi soggetti sono i più difficili da gestire: nei loro confronti va in crisi l’attuale modello penitenziario, scaturito dalla riforma del 1975, improntato principalmente sul premio più che sulla punizione, più sull’inserimento graduale nella società libera che non sulla permanenza in carcere. La gestione di questa categoria di detenuti si basa, quindi, principalmente sull’applicazione del principio costituzionale dell’umanità della pena". Mongelli descrive la situazione di sovraffollamento. "Ogni giorno, dobbiamo (polizia penitenziaria e operatori) rapportarci con persone che già vivono male perché privati, vuoi per espiazione della pena, vuoi a titolo cautelare, del bene supremo della libertà. Se si aggiunge che vivono ancor peggio perché segregati in spazi pensati e previsti per meno della metà dei presenti, è facile immaginare come dev’essere, per il nostro personale, lavorare in queste condizioni. Su questo panorama di fondo si stagliano i momenti ancor più critici, quelli degli eventi critici propriamente detti, nei quali il detenuto si auto aggredisce, o aggredisce gli altri, compagni di pena o operatori". Per quanto riguarda, poi, lo specifico del Carcere di Varese, Mongelli ha dichiarato che "malgrado la struttura sia stata dichiarata formalmente dimessa, cioè chiusa (con D.M. del 2001), in quanto non conforme ai moderni criteri di edilizia penitenziaria e di ristrutturazione non conveniente sotto il profilo economico, è stato comunque deciso che deve rimanere ancora aperta, in attesa di un nuovo carcere. Questa nuova struttura non si vede neppure all’orizzonte, per questo dobbiamo fare il possibile per mantenere in efficienza, quella già esistente, il più a lungo possibile". Carcere di Varese: 2 tentati suicidi nel 2010 2 tentati suicidi, 7 episodi di autolesionismo e 5 scioperi della fame. 138 detenuti di cui più di un terzo in attesa del primo giudizio. Alcuni dati per fare chiarezza sulla situazione della casa circondariale di Varese. Alla casa circondariale di Varese si attuano, per lo più, permanenze brevi, anche se sono presenti anche persone con condanna definitiva e tempo di permanenza anche superiore ai due/tre anni. I dati fanno riferimento al primo semestre del 2010: gli episodi di autolesionismo sono stati 7, i tentati suicidi 2, gli scioperi della fame 5. Fino alla scorsa settimana, erano presenti 138 detenuti, di cui: 57 stranieri (39 musulmani), 47 con posizione giuridica di definitivi, 50 in attesa di primo giudizio e 41 tra appellanti e ricorrenti. 4 sono in semilibertà e 1 al lavoro all’esterno. L’età media ella popolazione carceraria a Varese non raggiunge i 30 anni. La capienza regolamentare è di 50 persone, quella tollerabile di 90. L’area educativa è composta dal responsabile-coordinatore, da due educatori e due agenti di rete. Vi collaborano l’Associazione Assistenti Carcerati San Vittore Martire, Uisp, Abrigliasciolta, Auser. Da diversi anni la casa circondariale collabora con l’Istituto Issis Newton di Varese e il Ctp, per la realizzazione dei corsi di alfabetizzazione e di licenzia media. Per il progetto di Educazione alla Legalità, oltre all’Issis, vi partecipa anche il Liceo Classico Cairoli di Varese e, da quest’anno, anche l’Istituto Superiore Maria Ausigiatrice. Una particolare attenzione viene rivolta ai nuovi giunti alla prima carcerazione e ai giovani adulti, attraverso lo staff di Accoglienza che si riunisce regolarmente ogni settimana. L’area tratta mentale della Casa Circondariale di Varese e il consorzio Sol.Co Varese negli ultimi dieci anni hanno promosso interventi a favore della popolazione detenuta. Tra gli obiettivi prefissi c’è quello di valorizzare la funzione sociale del carcere, esplicitando e riflettendo sulle due anime della detenzione: la custodia e la riabilitazione. Il carcere assolve dunque una duplice funzione, anche attraverso attività educative: non è chiamato solo a separare e punire, ma anche a riabilitare. Oltre a scontare il proprio debito per il reato commesso, importante è rieducare i detenuti per cercare di favorire il loro cambiamento, affinché possano diventare cittadini in grado di lavorare ed avere comportamenti onesti. I dati delle morti nelle carceri Dal 2000 al 16 ottobre 2010, il totale dei morti all’interno delle carceri è di 1696: lo dice il dossier "Morire in carcere". 136 i deceduti quest’anno, per oltre la metà dei casi si tratta di suicidi, al secondo posto la malattia, seguono i casi da accertare e in ultima posizione le overdose. Perché un dato così alto e cosa fare per cambiare la situazione? Le negatività del carcere, quando oltrepassano la soglia di resistenza, possono facilitare il ricorso a soluzioni estreme. Numeri impressionanti, anche tenendo conto che la popolazione detenuta è costituita prevalentemente da persone giovani condannate per reati non gravi, i 2/3 dei reclusi hanno meno di 40 anni e difficilmente morirebbero per cause naturali. Secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, questi suicidi non sarebbero legati alla disperazione di chi sa di dover passare molti anni al fresco, ma piuttosto all’angoscia di un presente che significa sovraffollamento pauroso, assenza di qualsiasi tipo di attività, negazione di ogni dignità umana. Sempre secondo l’Osservatorio, confrontando il tasso di sovraffollamento delle carceri dove sono avvenuti i suicidi di quest’anno con il numero totale dei suicidi negli ultimi cinque anni, è emerso che la frequenza arriva a triplicare nelle condizioni di maggiore affollamento e di particolare fatiscenza delle celle. Il lugubre primato spetta al carcere di Cagliari, con un affollamento del 146% e 11 suicidi in 5 anni, con la frequenza di 1 suicidio ogni 46 detenuti. Adriano Sofri, giornalista e scrittore, per anni rinchiuso nel carcere di Pisa, ne ha parlato questa estate in un servizio de L’espresso, sostenendo che soprattutto d’estate reggere il caldo, ammassati in cella, diventa quasi impossibile. "Ci sono detenuti che si riducono a brandelli perché sperano di essere portati in infermeria, di poter prendere degli antidolorifici o dei farmaci, o anche solo sperano di poter fumare una sigaretta - aveva dichiarato al giornale -. Secondo me la domanda che dovremmo farci, in queste condizioni, non è perché ci si suicidi così tanto, ma piuttosto perché ci si suicidi ancora così poco, visto che le carceri sono strutture che non portano affatto alla rieducazione, ma piuttosto istigano a farla finita, all’incubo ottocentesco di essere sepolti vivi. Spesso manca anche l’acqua per lavarsi la faccia e quella dei rubinetti non è potabile. Dovrebbero essere distribuite bottiglie d’acqua a basso costo, che il carcere spesso invece non distribuisce". A scuola nel carcere Cosa fanno i carcerati nelle case circondariali della nostra provincia? Ce lo spiega Giovanni Bandi, insegnante da 15 anni all’interno del carcere di Varese. "Dalle 8.30 alle 11.30 i detenuti possono frequentare le lezioni dei corsi statali per conseguire la licenza media. Sono, ovviamente, corsi con frequenza volontaria: infatti, i partecipanti rinunciano alla propria ora d’aria per venire a lezione. In un anno in questo corso ruotano circa 15-20 soggetti. Per gli stranieri, invece, c’è la possibilità, durante la stessa fascia oraria, di frequentare corsi di lingua italiana per dar loro la possibilità di relazionarsi, sia con gli italiani, sia con le forze dell’ordine e le guardie carcerarie. Il numero di frequentanti è maggiore alle lezioni per stranieri, spesso, condotte da volontari. Nel carcere di Busto Arsizio, più grande di quello di Varese e con spazi maggiormente favorevoli allo svolgimento di attività, c’è anche il corso per il conseguimento del diploma di scuola superiore. In ogni caso, è sempre presente una commissione didattica che coordina tutte le attività. Con i tagli che vi sono stati nell’ultimo periodo, anche nei finanziamenti alle carceri, il materiale didattico (biro, block notes..) viene fornito dall’Enaip". Nel pomeriggio è possibile partecipare a corsi d’informatica, "non c’è la connessione internet - continua Bandi - ma abbiamo i computer, da poco sostituiti grazie ad una donazione da parte di un’azienda. Sono attivi anche corsi di formazione professionale, come quelli per saldatori, cuochi e imbianchini. Il problema del carcere di Varese è lo spazio, più di tanto non si può fare. Ad esempio, vi era la necessità di risistemare e riorganizzare la cucina interna e così si è approfittato per introdurre un corso di cucina: ora la situazione della cucina del Miogni è nettamente migliorata. Così come nel caso di corsi professionali per imbianchini, durante le ore di pratica c’è l’occasione di tinteggiare scale e celle, altrimenti non possibile per via della scarsità di fondi, in modo da rendere la qualità della vita nel carcere migliore". Quali sono le occasioni di lavoro per un ex detenuto? Come si fa a voltare pagina? Quali sono le prospettive per un nuovo futuro una volta usciti dal carcere? Se hai 54 anni è molto difficile. È il caso di Jerry, che dal 24 di agosto è in cerca di un lavoro. Al momento vive in un piccolo appartamento a Varese, con i suoi gatti, aiutato nelle spese dai servizi sociali e dalla sua amica Rosy, assistente sociale volontaria conosciuta nel carcere di San Vittore. Jerry ha fatto un po’ di tutto, l’arredatore, il restauratore, l’autista, possiede la patente C, ha la terza media e una cultura appresa dalle pagine dei libri che divora come fossero caramelle. Ha voglia di lavorare, darsi da fare, riscattarsi, ma tra i suoi trascorsi, l’età e la crisi che pesa per tutti, la questione è più ardua di quanto si possa pensare. "Sarei disposto a fare qualsiasi cosa. Faccio fatica ad avere i soldi per comprare il biglietto dell’autobus, o del treno, per andare in cerca di lavoro. Fatico a pagare le bollette e a comprarmi da mangiare. Per fortuna ho pochi buoni amici che mi conoscono e, quando possono, mi danno una mano. Bisognerebbe vivere al contrario: nascere vecchi e saggi e ripercorrere la vita all’indietro". Ma Jerry non si abbatte e, di certo, non rimane con le mani in mano: nell’ultimo periodo è riuscito a trovare qualche lavoretto saltuario. "Aiutati che il ciel ti aiuta", si ripete Jerry. Negli ultimi anni, quando si era ritrovato in ristrettezze economiche, si era dato al taccheggio. "Non vuole essere una giustificazione ma lo facevo per necessità perché, dopo la prima esperienza di carcere, avevo perso il lavoro e avevo tante spese arretrate da pagare. Non sapevo dove sbattere la testa e, così, ho iniziato a rubare profumi di marca, pc, televisori, per poi rivenderli ad un terzo del prezzo: giusto i soldi per poter pagarmi le spese. Non ho mai messo le mani in borsa a nessuno, non ho mai rubato in casa a nessuno, mai fatto rapine: le mie vittime erano i centri commerciali e le grandi catene, che hanno una copertura sulla merce rubata. Da me acquistavano dottori, avvocati, signorotti e gioiellieri. Tutta gente per bene, perfettamente consapevoli del fatto che si trattasse di merce rubata. Spesso, mi sono ritrovato a chiedere a me stesso se fossi cleptomane, perché non mi è bastato fare il carcere una volta per taccheggio, sono entrato ed uscito 4 volte. Ma sono un buon psicologo di me stesso: non sono cleptomane, mi son solo fatto prendere la mano dai soldi facili. La tentazione di ripetermi, fino a tre settimane fa, era tanta. Ora mi sento più forte e, se pur in nero, sono soddisfatto di riuscire a guadagnarmi due soldi. Speriamo che continuino ad offrirmi qualche lavoretto manuale. Non ci metto la mano sul fuoco, perché non si sa mai, ma credo questa volta di aver chiuso. Se riuscirò a trovarmi un lavoretto, sarà tutto e solo merito mio e questo me lo voglio riconoscere". Gutierrez e il reinserimento degli ex detenuti Per meglio capire come funzioni l’assistenza sociale, durante e post carcerazione, e quali siano le prospettive di reinserimento per un ex detenuto abbiamo chiesto al direttore Sociale dell’Asl, Lucas Maria Gutierrez. Quali sono le iniziative innovative che vengono messe in atto all’interno delle carceri? "Dallo scorso anno Regione Lombardia sta promuovendo iniziative finalizzate alla creazione di attività professionali. Il carcere di Busto Arsizio, primo nel suo genere, sta formando i detenuti nel settore pasticceria a livello professionale. Sicuramente la struttura del carcere di Busto Arsizio si presta a questo tipo di laboratori, nel casa circondariale di Varese un progetto del genere non è possibile, mancano gli spazi. Sicuramente, aver la possibilità di essere all’interno di un carcere dove sono attivi corsi di formazione professionale, che mirano a fornire competenze tecniche ben precise, aiuta nella ricerca lavorativa una volta scontata la pena. Senza avere una professionalità trovare lavoro è difficile, anche per chi non ha avuto problemi con la legge. I soggetti che escono dal carcere, inclusi nella fascia che va dai 40 ai 50 anni, sono quelli maggiormente penalizzati. Noi, come direzione sociale Asl, abbiamo un ruolo di monitoraggio dei soggetti appena usciti dal carcere, con interventi mirati a contrastare l’emarginazione, e abbiamo anche l’incarico di attivare i servizi promossi dalla Regione". Come funziona il reinserimento nella società di un ex detenuto? "Il reinserimento non è codificato, dipende dalle strutture e dalle risorse del territorio. Il volontariato gioca un ruolo chiave in questa fase: spesso sono proprio i volontari a trovare soluzioni lavorative agli ex detenuti. Molto dipende anche dal contesto: le realtà più metropolitane e industriali rendono la ricerca di un impiego più semplice, mentre la nostra area montana risulta più ostica a tale fine. Non da meno, bisogna considerare la variabile individuale, i piani di zona prevedono buoni sociali e contributi economici anche in questa direzione, non è sicuramente una soluzione risolutiva, ma aiuta nei primi periodi. Poi, anche l’interessato deve metterci del suo". Quali sono le occasioni di lavoro per un ex detenuto? Come si fa a voltare pagina? Quali sono le prospettive per un nuovo futuro una volta usciti dal carcere? Se hai 54 anni è molto difficile. È il caso di Jerry, che dal 24 di agosto è in cerca di un lavoro. Al momento vive in un piccolo appartamento a Varese, con i suoi gatti, aiutato nelle spese dai servizi sociali e dalla sua amica Rosy, assistente sociale volontaria conosciuta nel carcere di San Vittore. Jerry ha fatto un po’ di tutto, l’arredatore, il restauratore, l’autista, possiede la patente C, ha la terza media e una cultura appresa dalle pagine dei libri che divora come fossero caramelle. Ha voglia di lavorare, darsi da fare, riscattarsi, ma tra i suoi trascorsi, l’età e la crisi che pesa per tutti, la questione è più ardua di quanto si possa pensare. "Sarei disposto a fare qualsiasi cosa. Faccio fatica ad avere i soldi per comprare il biglietto dell’autobus, o del treno, per andare in cerca di lavoro. Fatico a pagare le bollette e a comprarmi da mangiare. Per fortuna ho pochi buoni amici che mi conoscono e, quando possono, mi danno una mano. Bisognerebbe vivere al contrario: nascere vecchi e saggi e ripercorrere la vita all’indietro". Ma Jerry non si abbatte e, di certo, non rimane con le mani in mano: nell’ultimo periodo è riuscito a trovare qualche lavoretto saltuario. "Aiutati che il ciel ti aiuta", si ripete Jerry. Negli ultimi anni, quando si era ritrovato in ristrettezze economiche, si era dato al taccheggio. "Non vuole essere una giustificazione ma lo facevo per necessità perché, dopo la prima esperienza di carcere, avevo perso il lavoro e avevo tante spese arretrate da pagare. Non sapevo dove sbattere la testa e, così, ho iniziato a rubare profumi di marca, pc, televisori, per poi rivenderli ad un terzo del prezzo: giusto i soldi per poter pagarmi le spese. Non ho mai messo le mani in borsa a nessuno, non ho mai rubato in casa a nessuno, mai fatto rapine: le mie vittime erano i centri commerciali e le grandi catene, che hanno una copertura sulla merce rubata. Da me acquistavano dottori, avvocati, signorotti e gioiellieri. Tutta gente per bene, perfettamente consapevoli del fatto che si trattasse di merce rubata. Spesso, mi sono ritrovato a chiedere a me stesso se fossi cleptomane, perché non mi è bastato fare il carcere una volta per taccheggio, sono entrato ed uscito 4 volte. Ma sono un buon psicologo di me stesso: non sono cleptomane, mi son solo fatto prendere la mano dai soldi facili. La tentazione di ripetermi, fino a tre settimane fa, era tanta. Ora mi sento più forte e, se pur in nero, sono soddisfatto di riuscire a guadagnarmi due soldi. Speriamo che continuino ad offrirmi qualche lavoretto manuale. Non ci metto la mano sul fuoco, perché non si sa mai, ma credo questa volta di aver chiuso. Se riuscirò a trovarmi un lavoretto, sarà tutto e solo merito mio e questo me lo voglio riconoscere". Napoli: la denuncia della madre; mio figlio è paralizzato, in carcere rischia di morire Senza Colonne, 18 novembre 2010 Teodoro Gasbarro, 35enne originario di Latiano, è rinchiuso nel carcere di Poggioreale, a Napoli. Ha subito la paralisi alle gambe ed è costretto a stare su una sedia a rotelle, è diventato - si presume dal racconto della madre - a causa della somministrazione di farmaci, obeso in soli tre mesi, gli stessi che sono trascorsi da quando è stato trasferito dal carcere di Lecce a quello di Poggioreale. "Mio figlio non è più lui - si dispera la madre Savina D’Amato - me lo uccideranno". Teodoro è rinchiuso nel penitenziario partenopeo dall’agosto scorso dopo aver trascorso cinque anni presso la casa circondariale di Lecce - Borgo San Nicola. Deve scontare otto anni di reclusione perché accusato di associazione di stampo mafioso. Per le sue condizioni di salute si trova nel centro clinico del penitenziario, una sezione distaccata proprio per i detenuti con gravi patologie. Ieri mattina si è recato presso la casa circondariale di Napoli l’avvocato difensore del detenuto, Fabio Falco, per constatare le reali condizioni fisiche e psichiche del 35enne. "Ho trovato il mio assistito - dichiara l’avvocato - sofferente. Ho nuovamente presentato richiesta di detenzione domiciliare al magistrato di sorveglianza della struttura di Poggioreale, viste le gravi condizioni - continua - di disabilità in cui versa il mio assistito". Teodoro ha iniziato a stare male cinque anni fa, poco dopo l’arresto, nel carcere salentino. Si è ammalato di depressione - racconta la mamma del detenuto - e non si è mai più ripreso del tutto. Ha subito la prima paralisi ad una gamba quattro anni fa. Cagliari: il prefetto Balsamo in visita al carcere; la dignità dei detenuti va rispettata La Nuova Sardegna, 18 novembre 2010 Visita a Buoncammino del prefetto di Cagliari Giovanni Balsamo. Con la sua visita il prefetto ha voluto essere messo al corrente della situazione dei detenuti e di alcuni problemi che aspettano soluzione, ma anche portare il saluto e l’apprezzamento agli operatori che lavorano in condizioni difficili e in costante sovraccarico di impegno causa la carenza cronica di personale. Gli agenti di polizia penitenziaria lavorano in situazioni estreme quasi ogni giorno, mettendo insieme le esigenze della sicurezza con il rispetto della dignità umana di chi deve trascorrere una parte della sua vita in stato di detenzione. A ricevere il prefetto il direttore del carcere Gianfranco Pala e la comandante degli agenti di polizia penitenziaria Michela Cangiano. "Un rispetto - notavano ieri gli addetti - che deve a volte fare i conti con la scarsità di risorse a disposizione, la limitazione dei posti di lavoro, la mancanza di agenti di polizia penitenziaria e le condizioni strutturali di un carcere che richiede notevoli interventi di ristrutturazione. Proprio questo quadro generale - si notava ancora ieri nella cerimonia informale - rende ancora più prezioso il sacrificio e lo spirito di abnegazione di chi nel carcere o per il carcere lavora e che non vuole rassegnarsi ma contribuisce con impegno e dedizione a rendere dignitoso il periodo di carcerazione". I detenuti riescono a seguire corsi scolastici, corsi di formazione professionale, qualcuno anche attività fuori dal carcere: cose possibili solo grazie a un’efficiente organizzazione interna, e l’organizzazione, si sa, ha anche bisogno di numeri per funzionare, a Buoncammino, invece, spesso si deve supplire con la sola buona volontà personale. Padova: dopo gli Avvocati arrivano gli "Psicologi di strada", per assistere i senza dimora Redattore Sociale, 18 novembre 2010 A Padova il servizio per i senza dimora dell'associazione "Granello di senape" si amplia. Bassan: "Spesso il disagio va oltre i problemi giuridici che sono solo la punta dell’iceberg". Non più solo avvocati per le strade padovane a fornire assistenza alle persone in condizione di disagio sociale: da oggi il team si amplia anche agli psicologi. È questa la principale innovazione del progetto "Com-munitas", che riprende e amplia l’iniziativa già consolidata degli "Avvocati di strada". L’obiettivo è di garantire una resa in carico completa a chi si trova in difficoltà a causa di problemi legali, relazionali o psichici. L’esperienza, pilota a livello nazionale, è stata presentata oggi dall’associazione "Granello di senape", che festeggia i 6 anni di attivazione degli avvocati di strada. "Nel corso della nostra attività abbiamo preso in carico circa mille persone – racconta Andrea Andriotto, segretario del progetto – e ci siamo avvalsi della collaborazione di circa 40 volontari che prestano gratuitamente servizio. Di questi 32 sono avvocati che prestano consulenza e, tra loro, una decina si alterna agli sportelli". Attualmente il servizio è prestato una volta a settimana nella sede Caritas e una volta al mese negli uffici del Csv di Este. "Ora stiamo cercando di poter raggiungere anche il dormitorio pubblico" continua Andriotto. La maggior parte delle persone che ottengono assistenza legale sono stranieri con problemi legati al permesso di soggiorno, ma ci sono anche molte persone colpite dalla crisi, reduci da divorzi o separazioni che le hanno costrette fuori casa, senza un posto dove andare. Ma ci sono, appunto, anche persone con problemi psichici ed è proprio l’incontro con esse che ha spinto verso l’ampliamento del progetto: "L’introduzione degli psicologi di strada serve certamente per dare sostegno a queste persone, ma è utile anche agli avvocati che in diversi casi necessitano di una valutazione psicologica – spiega Laura Baccaro, psicologa di strada –. In particolare però il nostro ruolo sarà quello di sostenere le persone in un percorso di diritto, aiutandole anche a prendere coscienza delle conseguenze che una denuncia o una querela possono avere sulla persona che la subisce". "Lo psicologo di strada è un’intuizione felice – commenta l’avvocato Monica Bassan – perché spesso il disagio va oltre i problemi giuridici che in alcuni casi sono solo la punta dell’iceberg. Tra queste persone c’è molto bisogno di ascolto". Bassan è uno degli avvocati che presta servizio volontario e definisce "positivissima" questa esperienza: "È come tornare alle radici della professione. Ritengo sia un’opportunità importante anche per i giovani avvocati, perché coinvolge anche da un punto di vista emotivo. Nella nostra quotidianità, schiacciati dallo stress e dalla frenesia, rischiamo di perdere i valori di aiuto alla persona che ci hanno spinto a iniziare: fare l’avvocato di strada è di aiuto anche a noi professionisti, che riscopriamo lo slancio di un tempo". Il progetto Com-Munitas, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo nell’ambito di "Progetti per il Sociale", dal Csv e dal Comune di Padova. Palermo: convegno internazionale sulle giustizia minorile, con Alfano e Ionta 9Colonne, 18 novembre 2010 L’Ufficio Studi, Ricerche e Attività Internazionali del Dipartimento Giustizia Minorile, in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, promuove il convegno internazionale "Across the legal age. Young adults in the criminal area" che si terrà oggi e domani a Palermo, al Grand Hotel Piazza Borsa. Lo scopo, in considerazione della sempre crescente permanenza nel circuito penale minorile di utenza ultradiciottenne, è quello di discutere su come dovrebbero essere trattati i giovani adulti detenuti tramite un confronto tra diverse realtà operanti in Europa e nel mondo e finalizzato all’avvio di sperimentazioni di lavoro integrate in nuovi servizi. I lavori apriranno alle 14 con un intervento del ministro Angelino Alfano, congiuntamente al capo dipartimento per la giustizia minorile Bruno Brattoli e al capo dipartimento per l’amministrazione penitenziaria Franco Ionta. A seguire, l’avvio della fase tecnica del seminario, con un intervento del direttore del Centro per la Giustizia Minorile della Sicilia, Michele Di Martino. È prevista la partecipazione di almeno cento tra esperti ed operatori. Haiti: allarme della Croce Rossa; nelle carceri in atto epidemia di colera Ansa, 18 novembre 2010 Il 17 a Ginevra, la commissione internazionale della Croce Rossa ha riferito che attualmente l’epidemia di colera ad Haiti è molto grave, le condizioni igieniche nele carceri locali sono quasi nulle e la prevenzione contro l’epidemia è scarsa. Il direttore dell’Ufficio di Haiti della commissione internazionale della Croce Rossa, Riccardo Conti, ha detto che le carceri di Haiti sono piene e in molte sono comparsi casi di colera e decessi. Attualmente, la commissione ha inviato gli esperti e i sanitari per aiutare carceri e case di custodia di Haiti nella pulizia e disinfezione, inoltre sono stati spediti medicinali e articoli igienici ai detenuti, come divulgazione delle conoscenze per la prevenzione. Usa: primo processo "civile" a detenuto di Guantanamo, assolto quasi da tutte le accuse Adnkronos, 18 novembre 2010 Ahmed Ghailani, il primo detenuto di Guantanamo processato in un tribunale civile negli Stati Uniti, è stato giudicato colpevole per un solo capo di accusa su un totale di 286 che erano stati formalizzati contro di lui, accuse relative agli attentati del 1998 contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania in cui erano morte 224 persone, fra cui 12 cittadini americani. Ghailani, che ha 36 anni ed è originario della Tanzania, è quindi stato giudicato colpevole dal tribunale di New York di cospirazione ad arrecare danni o distruggere beni americani con esplosivo, per cui potrà essere condannato ad almeno 20 anni di carcere. Le accuse contro Ghailani erano state formulate negli Stati Uniti nel marzo del 2001. Era stato catturato nel luglio del 2004 e trasferito a Guantanamo due anni dopo. L’udienza in cui verrà annunciata la condanna è stata fissata per il 25 gennaio. "Rispettiamo il verdetto della giuria e siamo compiaciuti perché ora Ghailani dovrà affrontare un minimo di 20 anni di prigione e una potenziale sentenza di ergastolo per il suo ruolo negli attentati contro le ambasciate", è stato il commento del portavoce del dipartimento della Giustizia, Matthew Miller. Ma le critiche al Presidente Barack Obama, che aveva promesso la chiusura di Guantanamo entro il primo anno della sua amministrazione, e sperato di poter trasferire a tribunali civili molti detenuti, non si sono fatte attendere. "Questa è una tragica sveglia per l’Amministrazione Obama, perché abbandoni immediatamente il suo programma malpartito per processare i detenuti di Guantanamo in tribunali civili. Dobbiamo trattarli come nemici di guerra e processarli in commissioni militari a Guantanamo", ha dichiarato il deputato repubblicano, Peter King, probabile presidente della Commissione per la sicurezza interna nel nuovo Congresso che si insedierà a gennaio.