Giustizia: dietro le sbarre… “al sicuro” di Sebastiano Ardita (Direzione generale detenuti e trattamento Dap) Casablanca, 11 novembre 2010 La conoscenza dell’universo penitenziario, con le sue contraddizioni ed i suoi limiti strutturali, potrebbe essere oggi una buona opportunità per misurare lo stato di attuazione delle politiche penali della nostra Nazione, e non solo di esse. Avvolto nel mistero di fitte mura che poco o niente hanno lasciato intravedere dal di dentro, nell’immaginario della gente lo strumento del carcere è stato ritenuto per anni l’unica possibile risposta ai tanti crimini che abbiamo visto raccontati dalle cronache; ma, al tempo stesso, anche un luogo di rimozione del male e di chi lo ha compiuto. La sua storia, i problemi di chi vi opera, persino le sue regole appaiono tutt’oggi sconosciute ai più. E dunque anche la sua funzione è tuttora prigioniera di un mito: quello della sicurezza che è garantita ai cittadini dal fatto che i cattivi stiano al sicuro, separati dai cittadini onesti, e messi nell’impossibilità di compiere ancora del male. La fotografia del carcere di oggi è ben diversa da questa rappresentazione convenzionale. È vero che all’interno vi sono tante persone pericolose, e che una parte di queste stanno lì ad espiare pene lunghe. Ma è pur vero che tra i quasi 70.000 detenuti ve ne sono oltre un terzo di origine extracomunitaria. Una buona parte sono poveri veri. Nel senso che non solo non possono permettersi di avere un motorino o di andare al cinema, ma in certi casi hanno il problema di trovare qualcosa da mangiare o non sanno cosa sia un medico. Una quota di questi inoltre non sono esattamente dei criminali - anche se hanno violato la legge penale - ed anzi avrebbero avuto anche l’intenzione di lavorare, se fosse stata loro concessa una qualche opportunità. Aggiungiamo poi che tra i detenuti il 20% soffre a vario grado di disturbi mentali e che un quarto è rappresentato da tossicodipendenti. Ma vi è un’altra importante questione. Il carcere come luogo di detenzione stabile, come posto in cui si entra e si paga per le proprie colpe è poco meno che un’utopia. Da uno studio che ho commissionato nel 2007 è emerso che il 30% delle persone arrestate e condotte nei penitenziari ritrovano la libertà dopo appena 3 giorni. E addirittura il 60% vi rimane per meno di un mese. Rispetto a questi dunque la detenzione, per la sua brevità, non è in grado di offrire offre né sicurezza per i cittadini, né trattamento rieducativo ai reclusi. Unendo i due dati ne consegue che, insieme a criminali pericolosi, anche una massa di poveri e disadattati entra in carcere e vi transita per qualche giorno. Affolla le strutture e rischia di essere reclutato dalla criminalità organizzata. Tra questi sventurati alcuni, già sofferenti per gravi disagi, si tolgono la vita. Spesso nei primi giorni di detenzione. Cosa viene da pensare leggendo questi dati? Innanzitutto che il nostro sistema penale nel complesso non funziona. Ma è solo un eufemismo. Potremmo anche dire che è sull’orlo del collasso, perché determina il fallimento di una grande parte delle sue intraprese e dunque non offre un servizio utile. Per fare un paragone è come se nel sistema scolastico il 60% dei giovani abbandonassero la scuola. Se nel sistema sanitario il 60% dei ricoveri finissero col decesso del paziente. La seconda considerazione è che ciò che manca è una regia complessiva nel sistema penale, non solo politica ma anche giudiziaria, che parta dalla osservazione di quante e quali detenzioni esso produce, e per quanto tempo, ossia si ponga la questione dei concreti risultati che riesce a realizzare. La terza osservazione è che gli operatori penitenziari sono i soggetti più produttivi tra tutti gli operatori penali, se non altro perché, intervenendo nell’ultimo segmento, sono chiamati a uno sforzo sovraumano per correggere le storture generate dalle altre parti del sistema: impedire il suicidio dei disperati, accogliere poveri e malati di hiv offrendo loro un lavoro o un altro interesse per vivere, interpretare il linguaggio e le problematiche degli stranieri. Si perché sino a quando sarà vigente questa Costituzione, in carcere più che in ogni altro luogo sarà impossibile ogni discriminazione di “razza, sesso, lingua e religione”. Per non dire della necessità di applicare con rigore le regole nei confronti di quanto hanno cercato di affermare la loro prevaricazione anche dentro gli istituti di pena: mafiosi ed esponenti di altri poteri criminali. Solo conoscendo questo mondo è possibile comprendere il compito che l’istituzione penitenziaria è chiamata a svolgere, e concepire il carcere come laboratorio antirazzista, come estrema frontiera dello stato sociale, ad un tempo come luogo di offesa e di riparazione dei valori della nostra Costituzione. E dunque, inevitabilmente, come spazio apolitico, anti ideologico, da tenere al riparo dalle spaccature che si sono determinate nella Nazione. Un luogo dove la sofferenza predomina, e dove la dignità dell’uomo deve affermarsi prima ancora dei suoi bisogni individuali. Dove gli operatori condividono il disagio coi detenuti e pagano sulla loro pelle il loro impegno in un ambiente estremo. Dove la malattia, la sofferenza, e persino il suicidio finiscono per accomunare i carcerati e quelli che ingenerosamente da qualcuno vengono ancora ritenuti i carcerieri. Non occuparsi del carcere è sprecare una occasione per conoscere lo stato di salute della nostra democrazia. Una occasione perduta, non solo per la società, ma anche per tanti addetti ai lavori del sistema giustizia che questo mondo non lo conoscono per niente. E tutto ciò mentre tanti benpensanti ritengono che tutti i cattivi stiano bene e stabilmente lì: al sicuro dietro le sbarre. Giustizia: intervista a Riccardo Arena, direttore di Radio Carcere di Roberta Mazzacane www.clandestinoweb.com, 11 novembre 2010 Per la rubrica “La voce dietro le sbarre” Clandestinoweb ha intervistato Riccardo Arena, avvocato, giornalista professionista e ideatore della rubrica radiofonica Radio Carcere, in onda su Radio Radicale ogni martedì alle 21. Lei conduce su Radio Radicale la rubrica Radio Carcere. Di cosa si occupa il suo programma e quando è nata la trasmissione? “La rubrica Radiocarcere nasce nel 2002 come rubrica d’informazione sulla giustizia penale e sulla detenzione proprio perché notavo una preoccupante mancanza di informazioni sul processo penale. Sui mass media c’è l’informazione politica, quella economica, ma non esiste uno spazio che faccia informazione con costanza sulla giustizia [...] quindi ho proposto la mia idea a Massimo Bordin, che era direttore di Radio Radicale, a cui è piaciuta l’idea di Radiocarcere”. Ci può raccontare se vi siete occupati di un caso particolare o se qualche vostra denuncia è riuscita a “sbloccare” una situazione? “Certo. Più di una volta diversi deputati, dopo aver ascoltato le puntate di Radio Carcere, hanno proposto interrogazioni parlamentari”. E sicuramente grazie all’informazione costante svolta da Radio Carcere l’attenzione verso le problematiche giudiziarie e carcerarie è cresciuta anche negli altri media. Infatti, Arena ci tiene a sottolineare come nel mondo politico, a suo avviso, i Radicali siano gli unici ad interessarsi di queste tematiche. “Per me è grave l’indifferenza mostrata dalla politica del governo sul collasso in cui versa il processo penale e la detenzione e, allo stesso tempo, trovo grave l’assenza di proposte dell’opposizione che vede, Radicali a parte, un Pd praticamente inesistente”. Arena, inoltre, precisa come sia “la disfunzione del processo penale e del sistema delle pene una delle cause principali a determinare la disfunzione della situazione carceraria”. In Italia abbiamo di certo bisogno sia di nuove pene da fornire al Giudice, oltre carcere e ammenda, che di strutture detentive diverse a seconda della tipologia di condannato, ma intanto è irrinunciabile una riforma della giustizia che, sul modello accusatorio, ridia centralità al giudizio di primo grado. Per quanto attiene alle carceri Arena evidenzia come “La situazione è davvero troppo grave e occorre intervenire, anche se noto che il Pd rimane silente pure di fronte alle affermazioni di Alfano, che dice “Abbiamo seminato bene. È la politica dell’apparenza”. Come riporta il sito di Radio Carcere “In Italia ci sono 207 carceri. Carceri che sulla carta potrebbero ospitare circa 42 mila detenuti, ma che di fatto ne potrebbero contenere poco più di 39 mila. Questi i dati delle presenze nelle carceri italiane alla data del 31 ottobre: detenuti presenti: 68.795. Ovvero circa 30 mila persone in più. La regione con maggior numero di detenuti è la Lombardia che conta 9.354 detenuti (4.300 in più), seguita dalla Sicilia con 8.090 detenuti (3.300 in più), dalla Campania con 7.813 detenuti (2.300 in più), e dal Lazio con 6.424 detenuti (2.200 in più). Massiccio è anche il numero degli stranieri detenuti in Italia. Su un totale di 68.795 detenuti, patrie galere ci sono infatti 25.364 stranieri”. I dati sono sconfortanti: “Ben 15.000 persone detenute sono in attesa di un primo giudizio. I condannati? Bè, invece di essere quasi il totale, sono l’altra metà dei detenuti italiani, ovvero 36.904. Un dato che impressiona e che è strettamente legato ad un eccessivo ricorso della misura cautelare in carcere. È il carcere prima del processo, prima della condanna. Un eccessivo ricorso alla misura cautelare che ha come causa l’eccessiva durata del processo penale”. Lettere: insostenibile l’Ufficio del Garante senza fondi e personale, mi dimetto di Giorgio Bertazzini (Garante dei detenuti di Milano) Ristretti Orizzonti, 11 novembre 2010 Al Presidente del Consiglio Provinciale, Bruno Giorgio Dapei. Egregio Presidente, le scrivo, a seguito dell’incontro avvenuto in data 3.11.2010, per comunicare ufficialmente a Lei e al Consiglio tutto la mia irrevocabile decisione di rassegnare le dimissioni dalla funzione di Garante dei diritti delle persone limitate nella libertà per la Provincia di Milano, a decorrere dal 1.11.2010. Le ragioni di tale, sofferta, scelta sono di carattere eminentemente personale, a fronte di elementi oggettivi persistenti e determinanti l’impossibilità soggettiva di affrontare con rigore, dignità di ruolo e continuità gli impegni che la funzione impone. La L. 27.02.2009, n. 14 ha inserito i “Garanti dei diritti dei detenuti” territoriali nella Legge 354/75 sull’Ordinamento Penitenziario con le prerogative di effettuare colloqui individuali con le persone detenute “anche al fine di compiere atti giuridici” e di “visitare gli Istituti Penitenziari senza autorizzazione”: ne consegue un dovere di intervento tempestivo per soddisfare le richieste formali di colloquio individuale presentate dalle persone detenute, nonché il dovere di monitorare costantemente le condizioni di detenzione effettuando visite ispettive di carattere generale o mirate in singoli reparti, anche a seguito di segnalazioni circa specifiche criticità. È di tutta evidenza che quanto sopra richiamato rappresenta un quid pluris non indifferente che, ovviamente, si aggiunge a quanto il Garante deve svolgere per realizzare i compiti individuati dal Regolamento istitutivo della figura stessa. Il sottoscritto ha agito in regime di prorogatio dalla primavera del 2009: detta prorogatio ha operato de plano sino al giorno 11/2/2010, allorquando è intervenuta la Delibera Consigliare che stabiliva di “rinnovare l’incarico all’attuale Garante… fino a completamento della procedura per la nomina del nuovo Garante e, comunque, non oltre Giugno 2010.” Successivamente la prorogatio ha vissuto una terza fase con la Delibera Consigliare del 24/7/2010 che impegnava altresì il Consiglio Provinciale “entro la data ultima del 31/10/2010, acquisiti i necessari supporti, a riesaminare collegialmente l’intera questione “Garante dei detenuti” a livello Provinciale”, nonché a “disporre opportuni approfondimenti in relazione alla disciplina sul punto dettata dalla normativa nazionale e regionale”. Chi scrive auspica che il Consiglio Provinciale riesca al più presto ad affrontare l’intera questione del Garante ridefinendone la cornice istituzionale e il quadro normativo di riferimento. Ricordo altresì che dal mese di novembre 2009 l’Ufficio del Garante è privo della figura del Direttore e che dal mese di luglio 2010 anche l’unica risorsa umana assegnata all’ufficio ha concluso il rapporto di lavoro interinale. Pur riconoscendo lo sforzo compiuto dalla Presidenza del Consiglio per mitigare la “sofferenza” di un Ufficio che non ha più un organico dedicato, ritengo di dover ribadire la necessità di portare a soluzione il tutto, pena l’insostenibile sopravvivenza, meramente nominalistica, di una figura unanimemente riconosciuta e sostenuta da tutte le determinazioni assunte dall’Amministrazione Provinciale. Cordialità e buon lavoro. Lettere: la Fp-Cgil scrive ai vertici del Dap sulla grave situazione dell’Uepe di Catania Ristretti Orizzonti, 11 novembre 2010 Questa O.S. intende porre all’attenzione di codesta amministrazione la difficile situazione in cui versa l’Uepe di Catania, una situazione che evidenzia serie criticità e problematicità operative, organizzative e professionali già più volte e da tempo rappresentate dalle OO.SS. territoriali e dalle Rsu dell’Ufficio ai vertici locali e centrali del Dap senza però, nonostante qualche timido intervento, in particolar modo da parte del Prap di Palermo, riuscire nella soluzione della problematica. Recenti informazioni rappresentano il costante aggravarsi della situazione dell’Uepe di Catania dove l’operatività quotidiana si esplica in un clima divenuto nel tempo particolarmente gravoso che sta inficiando i rapporti interpersonali tra gli stessi lavoratori e svilendo il loro impegno professionale. Tale situazione sembra riconducibile ad una modalità organizzativa e gestionale non certo ortodossa da parte della Dirigente; una modalità che si evidenzia e si esplica costantemente nei processi di comunicazione, compromessi da evidenti “difficoltà” all’ascolto e al confronto con il personale provato professionalmente e psicologicamente da comportamenti, a nostro parere, “vessatori”, nonché nelle palesi violazioni alle normali regole che disciplinano il rapporto di lavoro e le normali relazioni sindacali. Costanti, infatti, risultano gli interventi della Dirigente che disattendono le norme contrattuali, che violano i diritti acquisiti e che sviliscono l’operato dei lavoratori sempre più mortificati nella loro dignità professionale e personale. Una situazione che i lavoratori denunciano non più sostenibile . La Fp Cgil conferma il sostegno ai lavoratori dell’Uepe in questione e chiede ai vertici del Dap un urgente intervento finalizzato a dirimere la problematica evidenziata comunicando che saranno intraprese tutte quelle iniziative di prerogativa sindacale atte a tutelare e a sostenere i lavoratori e i loro diritti. Si resta in attesa di sollecito urgente riscontro e si porgono cordiali saluti. Lettere: la Uil Pa Penitenziari scrive al Governo per mancati rimborsi missioni 9Colonne, 11 novembre 2010 Il segretario generale della Uil Pa Penitenziari ha inoltrato al presidente del Consiglio Berlusconi, al sottosegretario Letta ed ai ministri Alfano, Tremonti e Brunetta una lettera circa la mancata erogazione degli anticipi e del saldo per i servizi di missione per traduzione effettuati dai poliziotti penitenziari, nonché per il parziale pagamento del lavoro straordinario effettuato dagli stessi. “Ne deriva - scrive Eugenio Sarno - che il personale impiegato nei servizi di traduzione dei detenuti per assicurare il servizio è costretto ad attingere dai bilanci familiari i fondi necessari per vitto, alloggio e spese varie (tra le quali anche l’acquisto dei carburanti per i mezzi di servizio) che dovrebbero essere anticipate, nella misura dell’80%, dall’Amministrazione Penitenziaria. A questa già intollerabile ed insostenibile condizione si coniuga anche il mancato pagamento delle indennità per i servizi di missione già espletati da personale di polizia penitenziaria da diversi mesi”. “Non è pensabile - aggiunge - che lo Stato per assicurare il diritto alla difesa, costituzionalmente sancito, e garantire la presenza degli imputati detenuti nei dibattimenti in aula possa pensare di continuare a gravare sulle spalle degli operatori addetti al servizio traduzioni. Analogamente il plauso che si deve a chi ogni giorno, con impegno sacrificio e dedizione, impedisce al sistema penitenziario di sprofondare definitivamente nel baratro non può risolversi nella parziale remunerazione del lavoro straordinario ai poliziotti penitenziari, già penalizzati (come tutti gli appartenenti al Comparto Sicurezza e Difesa) dal blocco dei rinnovi contrattuali e dal congelamento degli effetti economici derivanti dagli avanzamenti in carriera”. Firenze: Corleone; Sollicciano a quota 1.048 detenuti e “il direttore va in vacanza” Dire, 11 novembre 2010 Il garante Corleone accusa l’amministrazione penitenziaria: “Situazione surreale: in un momento così grave, il direttore Cacurri è stato collocato in ferie forzate per 45 giorni per il rispetto di circolari burocratiche” “Siamo di fronte a una situazione surreale: il direttore di Sollicciano, Oreste Cacurri, è stato collocato in ferie forzate per 45 giorni per il rispetto di circolari burocratiche, in un momento così grave per il carcere”. Così Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti di Firenze, si esprime in merito al comportamento dell’amministrazione penitenziaria. “Sono preoccupato che in un momento di così grave emergenza il carcere di Sollicciano sia decapitato per la mancanza di un direttore. L’impegno mio e delle associazioni presenti è di avere comunque l’indicazione di chi è l’interlocutore da qui alla fine dell’anno”. Pavia: depositata la perizia; Sami Mbarka Ben Gargi non morì “solo” per il digiuno La Provincia Pavese, 11 novembre 2010 Era morto in carcere, a Torre del Gallo, dopo 45 giorni di sciopero della fame. In tre, per quella vicenda, finirono sotto inchiesta. Ma dopo un anno e mezzo dai fatti sulla morte del tunisino Sami Mbarka restano ancora molti dubbi. La perizia depositata due giorni fa in Procura, infatti, avanza l’ipotesi che il digiuno, scelto dal detenuto per protestare contro una condanna ritenuta ingiusta, potrebbe non essere stata la causa principale della sua morte. Gli accertamenti condotti dal gruppo di esperti nominato dalla Procura per fare luce sulla vicenda, composto da Michele Carruba, nutrizionista, dello psichiatra Giordano Invernizzi e del medico-legale Marco Ballardini (che è stato impegnato come perito anche nel delitto di Garlasco), avrebbero riscontrato altre patologie, di cui il tunisino soffriva. Patologie che se non sono state la causa principale del decesso, avrebbero quantomeno concorso ad accelerare la morte del detenuto. Il magistrato della Procura Roberto Valli, che coordina l’inchiesta, sulla base dei risultati della perizia, dovrà ora decidere i prossimi passi. La perizia sembra alleggerire l’ipotesi di una responsabilità a carico degli indagati, ma non si esclude che possano essere ravvisate comunque delle “leggerezze” da parte di chi ebbe in cura il detenuto per non avere diagnosticato patologie che, insieme al digiuno, potrebbero avere portato alla morte. Il caso esplode, con un esposto dei familiari del detenuto, a settembre dello scorso anno. Ma è a luglio che il tunisino comincia lo sciopero della fame. Alla fine di agosto il direttore sanitario del carcere avvisa della situazione il magistrato di sorveglianza. Le condizioni del detenuto, infatti, stanno peggiorando. Non mangia da quasi 40 giorni e beve solo acqua e zucchero. Il 2 settembre viene portato in ospedale d’urgenza. Sta molto male e Torre del Gallo non ha un presidio sanitario adeguato. Il tunisino arriva al San Matteo ma rifiuta le cure. Viene visitato dallo psichiatra, ma per il medico non ci sono gli estremi per forzare l’alimentazione: il detenuto viene ritenuto “capace di intendere e di volere”. Torna quindi in carcere e poi ancora in ospedale, dove muore nella notte del 5 settembre. Trani (Ba): l’Asl presenta la prima “carta dei servizi” per gli utenti detenuti Trani Informa, 11 novembre 2010 La Asl Bat ha presentato all’interno del carcere di Trani la carta dei servizi sanitari a favore dei reclusi. Si tratta del primo caso in Puglia. All’incontro di presentazione dell’opuscolo erano presenti la direttrice del carcere, Annamaria Piarulli, il direttore sanitario della Asl, Francesco Polemio, ed il responsabile della sanità penitenziaria della Asl, Stefano Porziotta. La carta dei servizi è stata presentata come un ulteriore, tangibile segnale della collaborazione positiva fra l’amministrazione penitenziaria e l’azienda sanitaria locale. Ai reclusi vengono indicati i percorsi di diagnosi, prevenzione e cura all’interno della struttura. “I detenuti e gli internati - ha spiegato Stefano Porziotta - hanno diritto, al pari dei cittadini in stato di libertà, all’erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, in maniera efficace ed appropriata. L’opuscolo ha lo scopo di informare ed educare dal punto di vista sanitario e di facilitare l’attuazione di quelle misure curative contenute nel piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali ed in quelli locali”. All’erogazione delle prestazioni sanitarie in carcere provvede la Asl, mentre l’amministrazione penitenziaria provvede alla sicurezza dei detenuti ed a quella degli internati. Attualmente le branche specialistiche assicurate nei due istituti penali di Trani (con accessi settimanali) sono quelle di odontoiatria, ortopedia, dermatologia, neurologia, chirurgia, otorinolaringoiatria, radiologia, ginecologia, psichiatria, oculistica, infettivologia, cardiologia. Negli istituti tutti i giorni sono effettuate le visite del medico incaricato e dal medico di guardia anche se resta il problema del servizio nelle ore notturne. I medici prestano servizio nei due istituti nelle ore della mattina ed il pomeriggio dalle 14 alle 20. Gli agenti di polizia penitenziaria invocano però la copertura dalle 20 in poi. “Per fronteggiare il problema - spiega Franco Polemio - stiamo per far partire un corso di formazione rivolto agli agenti di polizia penitenziaria per le necessità di primo soccorso, la qual cosa riteniamo sia già un bel passo in avanti”. Perugia: terza Commissione del Consiglio provinciale visita il carcere di Capanne Agenparl, 11 novembre 2010 La Terza Commissione visita il carcere di Capanne a Perugia - “Situazione meno grave rispetto ad altre strutture del Paese anche se gli agenti della penitenziaria sono sotto organico” - I dati per nazionalità e condanne dei detenuti perugini (Cittadino e Provincia - Perugia 190 novembre 2010). Dopo la visita al carcere di Spoleto, la Terza Commissione della Provincia di Perugia ha avuto modo di visitare la struttura carceraria di Capanne a Perugia. La visita era stata proposta dal capogruppo dell’Idv Franco Granocchia che in un ordine del giorno datato alcuni mesi fa aveva “chiesto di poter verificare lo stato di sovraffollamento delle celle perugine, ascoltare i disagi della polizia penitenziaria e degli stessi carcerati e analizzare le strutture mense e per le attività formative e creative”. Dal giro è emerso - secondo la ricostruzione dei delegati della Provincia - che la struttura di Capanne non è al collasso anche se il fenomeno del sovraffollamento è purtroppo presente, mentre per il personale da inserire nell’organico il Governo starebbe per varare un concorso pubblico nazionale per nuovi agenti di cui ne dovrebbe beneficiare anche la struttura perugina. Secondo i commissari Capanne soffre dunque dei mali del settore, ma in forme meno gravi per fortuna. La direzione del carcere ha fornito un’ampia documentazione della popolazione carceraria: detenuti presenti 577 (uomini 488, donne 89). Per nazionalità: 194 gli italiani, 56 gli albanesi, 50 i romeni, oltre 246 gli africani, e altri 30 detenuti di varie nazionalità. I condannati con sentenza definitiva sono 214, contro gli imputati in attesa di primo giudizio sono 218, appellanti al secondo grado di giudizio 79, ricorrenti in Cassazione 23. Condannati definitivi 214. A Capanne è forte la rete sociale contro la povertà o l’esclusione: operano associazione laiche e cattoliche. “Con il direttore del Carcere - ha spiegato il capogruppo dell’Idv Franco Granocchia - ci siamo offerti di sostenere sia politicamente che umanamente i progetti del carcere stesso finalizzati ad una migliore qualità della vita (dei detenuti) e del lavoro (degli agenti)”. Teramo: strade da aggiustare? ci pensano i detenuti e i lavoratori in cassa integrazione Il Centro, 11 novembre 2010 Ecco una squadra di operai un po’ inusuale. È stata messa in piedi dalla Provincia di Teramo ed è composta da: “Cantonieri dell’ente, lavoratori in mobilità, detenuti”. È grazie a loro che l’Ente ha potuto iniziare i lavori di pulizia e manutenzione ordinaria sulla più grande arteria della Val Vibrata, la 259 fondovalle del Salinello: “Anche i drammatici fatti del Veneto ci rammendano l’assoluta urgenza di tornare a garantire una costante manutenzione ordinaria di strade, fossi e banchine e per farlo abbiamo bisogno di personale - afferma l’assessore alla viabilità, Elicio Romandini - e visto che i nostri cantonieri sono assolutamente insufficienti e che i numerosi vincoli posti in capo agli enti locali ci impediscono di fare assunzioni, attraverso i quattro Centri per l’Impiego, stiamo chiamando i lavoratori in mobilità ai quali garantiamo un piccolo rimborso giornaliero che si somma all’indennità che già percepiscono”. Insieme ai lavoratori in mobilità ci sono anche i tre detenuti del progetto di “reinserimento” attivato dall’Assessore alle Politiche sociali Renato Rasicci: “Gli interventi di manutenzione ordinaria sono iniziati già da qualche giorno e stanno interessando non solo la principale arteria vibratiana ma anche alcune provinciali che vi si affacciano: la Sp 5 zona Montagnola nel Comune di Corropoli; la Sp 2 nella zona San Martino di Colonnella; la Sp 56 fra i Comuni di Colonnella e Martinsicuro. La provinciale 2 che nei giorni scorsi aveva suscitato le proteste degli automobilisti è stata sistemata mentre sulla Torano Tronto si è intervenuti sull’asfalto per renderlo più “ruvido” ed è stato istituito un limite di 30 chilometri orari in caso di fondo bagnato. Sulla 5A sono state rispristinate le sponde in mattoni del Ponte di Fosso Gallerici”. Roma: sul Garante dei detenuti la palla torna al Sindaco di Stefano Anastasia Terra, 11 novembre 2010 Non è da tutti riconoscere l’inopportunità di una offerta prestigiosa. Dobbiamo essere grati, quindi, all’ispettore Lo Cascio per la serietà e la sensibilità istituzionale con la quale ha voluto rinunciare alla nomina a Garante dei detenuti per il Comune di Roma. Non si può un giorno rappresentare l’Amministrazione penitenziaria e il giorno dopo proporsi come garante dei detenuti senza scalfire la credibilità di una figura istituzionale volta innanzitutto a tutela di questi ultimi. La palla torna ora al Sindaco. Roma è stato il primo Comune in Italia a dotarsi di una simile figura. E, del resto, è anche il Comune italiano con il maggior numero di persone private della libertà, distribuiti in cinque istituti penitenziari per adulti, uno per minori e un centro di identificazione ed espulsione di stranieri extracomunitari irregolarmente presenti nel territorio dello Stato. Da allora ad oggi, da quando l’Ufficio del Garante dei detenuti è stato istituito, nel 2003, le condizioni di detenzione nella carceri romane, così come in tutt’Italia, si sono ulteriormente aggravate, non solo per il terribile sovraffollamento, mai tanto imponente, ma anche per i tagli finanziari, al Ministero della giustizia, ma anche alle regioni e agli enti locali; tagli che stanno trasformando le carceri italiane in un deposito di esseri umani senza speranze e senza aspettative. Tocca al Sindaco ora dire cosa ne vuole fare, delle carceri romane e dei suoi abitanti. Non ci aspettiamo, certo, che faccia fronte alle deficienze e alle stoltezze del Governo nazionale; e dunque non sarà il Garante dei detenuti del Comune di Roma ha cambiare la sorte delle sue carceri. Ma se qualsiasi Sindaco ha le sue responsabilità e le sue competenze, per esempio sull’idoneità delle strutture penitenziarie a contenere così tante persone, sui percorsi di reinserimento degli ex-detenuti e sull’assistenza alle famiglie, il Sindaco di Roma ha qualche responsabilità pubblica in più, che gli deriva - tra l’altro - proprio da quella rivendicata denominazione di Capitale della Repubblica. Aspettiamo quindi ora di vedere se quella nomina inopportuna a Lo Cascio era il frutto di pressioni e raccomandazioni indebite o se il Sindaco Alemanno a deciso di fare i conti con quell’umanità reclusa che abita le galere della nostra città: la nomina di un Garante indipendente e autorevole sarà un buon banco di prova delle sue reali intenzioni e del suo operato. Bari: Osapp; oggi assemblea generale per discutere le criticità delle carceri Bari Sera, 11 novembre 2010 L’hanno chiamata “la marcia su Bari”. Circa 200 agenti di polizia penitenziaria si sono dati appuntamento nella sala conferenze al secondo piano della sede dell’Amministrazione penitenziaria del Provveditorato regionale della Puglia. Si sono riuniti in assemblea generale per discutere le criticità delle carceri: dal sovraffollamento, alla carenza di poliziotti, alla scarsa igiene, al mancato pagamento dei servizi, delle missioni e dei festivi. “L’abbiamo definita la marcia su Bari alla conquista della legalità - spiega il vicesegretario generale nazionale dell’Osapp, l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria, Domenico Mastrulli - perché in Puglia, regione dove le carceri potrebbero ospitare in totale 2500 detenuti, ne abbiamo 4.700. Qui ci sono 12 strutture penitenziarie di cui 8 sono malandate dal punto di vista delle strutture edilizie. A Taranto, per esempio, è avvenuta la caduta di cornicioni all’interno del carcere”. E così Mastrulli ha cominciato a snocciolare dati che dimostrano le criticità delle carceri pugliesi. “A Bari - dice - il carcere ospita 650 detenuti quando al massimo potrebbe averne 280/300. La seconda sezione, poi, sta crollando e a giorni 180 detenuti dovranno essere trasferiti nel nuovo reparto del carcere di Trani. E qui da 380 detenuti gli agenti dovranno vigilarne 500. Un trasferimento che ha comportato il distaccamento da Bari di 4 agenti di polizia penitenziaria. E il paradosso è che il provveditore reggente si sposta con due autisti titolari e un terzo che arriva dall’Abruzzo in caso di necessità”. Nel carcere di Lecce sostano 1450 detenuti senza un comandante di reparto titolare di polizia penitenziaria, dicono ancora dal sindacato. “A Taranto - aggiunge Mastrulli - sono 650 i carcerati ed è una struttura che può ospitarne 230/250. E in questi giorni ha su di sé un’attenzione mediatica spaventosa. La situazione è preoccupante anche a Foggia con i suoi 750 detenuti. Una struttura penitenziaria senza direttore e dove giorni fa si è verificato un suicidio. A Foggia è stata organizzata anche un protesta per denunciare le carenze igienico-sanitarie senza esito. Infine, nel carcere di Turi soggiornano 120 detenuti, ma la norma è che siano tra i 230/250. A Lucera, da 150 sono 280”. La protesta barese, quindi, è stata finalizzata ad accendere un faro sulle problematiche pugliesi a livello nazionale. L’Osapp, in particolare, chiede che arrivino in Puglia 300 agenti di polizia penitenziaria e un provveditore titolare assente da marzo scorso. “Uno che prenda a cuore la questione delle strutture carcerarie e le problematiche degli agenti di polizia penitenziaria”. Sanremo: il Sappe chiede apertura sezione detentiva femminile www.riviera24.it, 11 novembre 2010 “Riteniamo invece sia necessario avere a Sanremo una sezione detentiva femminile, considerato che le arrestate nella provincia di Imperia vengono inevitabilmente tradotte nella Casa Circondariale di Genova Pontedecimo”. Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe è tornato oggi a chiedere al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta l’apertura di una sezione detentiva per donne nel carcere di Sanremo, in grado di accogliere le arrestate nel Ponente ligure. “Da tempo il Sappe, che è la prima e più rappresentativa Organizzazione di Categoria, chiede la chiusura della Sezione detentiva per collaboratori che c’è nel carcere di Sanremo, attualmente gestita dal Personale di Polizia Penitenziaria dell’Istituto (con ciò accentuando ulteriormente le già critiche condizioni operative del Reparto sanremese, sotto organico di ben 84 Agenti) e non da quello istituzionalmente previsto, appartenente al Gruppo Operativo Mobile”, spiegano Donato Capece e Roberto Martinelli, rispettivamente segretario generale e Commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “Noi riteniamo invece sia necessario avere a Sanremo una sezione detentiva femminile, che peraltro era nel progetto originario, considerato che le arrestate nella provincia di Imperia vengono inevitabilmente tradotte nella Casa Circondariale di Genova Pontedecimo, unico carcere della Liguria con sezioni detentive per donne. Questo provoca gravi disagi al Personale di Polizia penitenziaria che deve trasportate le arrestate, ma anche ai familiari ed in particolare ai figli delle donne arrestate”. Capece e Martinelli ricordano che “la Casa Circondariale di Sanremo ospita in media 360/370 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di posti letto pari a numero 209: erano 365 i presenti lo scorso 31 ottobre. Il Reparto di Polizia Penitenziaria, invece delle 253 unità previste in organico, ha in forza 169 appartenenti al Corpo (ben 84 in meno rispetto al previsto), 25 dei quali distaccati in altre sedi penitenziarie a vario titolo. È del tutto ovvio che ciò va a incidere inevitabilmente sui livelli di sicurezza della struttura e sull’organizzazione complessiva dei servizi.” Livorno: un corso di enogastronomia per i detenuti delle Sughere Asca, 11 novembre 2010 Un corso enogastronomico alle Sughere. Un gruppo di detenuti parteciperà, da lunedì fino a gennaio, ad alcuni incontri sul cibo, sul vino e come poterli abbinare. Claudio Mollo, giornalista enogastronomico, condurrà questi appuntamenti in collaborazione con il consorzio Doc Bolgheri e la coop Peschintavola di Viareggio. Lunedì pomeriggio la prima lezione dedicata al modo in cui è cambiata la cucina nel corso del tempo. L’incontro successivo (il 29 novembre) sarà dedicato al pesce azzurro con una parte teorica sulle caratteristiche di varie specie e una degustazione guidata di alcuni piatti realizzati davanti ai partecipanti dallo chef viareggino Maurizio Marsili. In due appuntamenti poi sarà la volta dei vini: prima i bianchi e poi i rossi, tutti provenienti dalla Doc Bolgheri. Saranno illustrate le caratteristiche principali delle produzioni enologiche, con particolare attenzione alla provincia livornese e si parlerà anche dei principi base di come si degusta un vino e come si abbina ad un piatto. Ultimo incontro a gennaio sulle carni, grazie alla disponibilità degli allevamenti biologici che l’amministrazione carceraria gestisce sull’isola di Gorgona. Enna: seminario sulla tutela dei diritti fondamentali dei detenuti La Sicilia, 11 novembre 2010 La facoltà di giurisprudenza della Kore di Enna ha organizzato per lunedì 15 di novembre alle ore 10 presso l’aula 1 della Facoltà di Giurisprudenza un seminario su “La tutela dei diritti fondamentali dei detenuti: la situazione in Sicilia.” Al seminario parteciperà il Garante dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, Coordinatore nazionale della Conferenza dei garanti dei detenuti in Sicilia. Attraverso il seminario, la Kore di Enna vuole contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica ed in primo luogo gli studenti sul tema dei diritti umani e delle persone private della libertà personale. L’iniziativa della facoltà di giurisprudenza, prende spunto dalla constatazione che quando si parla di carcere e della popolazione che vi abita, generalmente, si tende a pensare a qualcosa di lontano, di estraneo. Le porte del carcere sono ciò che divide la società da chi a essa si è ribellato, violando le regole di diritto che ne regolano la civile convivenza; il carcere, in questo senso, rassicura perché allontana e protegge i cittadini da chi si è macchiato di un crimine. Ciò, tuttavia, non autorizza a disinteressarsi di coloro i quali stanno scontando una pena, anche quando molto grave. I detenuti hanno diritto a un trattamento che non sia inumano e degradante. Un diritto riconosciuto dalla nostra Costituzione, dalle fonti internazionali, e che tuttavia, spesso, nei fatti, non è salvaguardato. Il seminario dopo i saluti del rettore della Kore di Enna, Salvo Andò e del sindaco di Enna Paolo Garofalo, e l’introduzione della Prof.ssa Agata Ciavola ospiterà le relazioni del Garante dei detenuti in Sicilia, Salvo Fleres, della responsabile dello sportello del Garante dei diritti dei detenuti presso la casa circondariale Ucciardone di Palermo Gloria Cammarata, del direttore della casa circondariale Ucciardone di Palermo Maurizio Veneziano, Marco Falcone deputato assemblea regionale siciliana, Comandante reparto polizia penitenziaria Ucciardone Palermo Patrizia Bellanti. Intervento programmato della laureanda Giovanna Gulisano. Televisione: sabato sera su Rainews il recital teatrale sulla vicenda di Stefano Cucchi Il Velino, 11 novembre 2010 Rai News manda in onda sabato 13 novembre alle 21.30 il recital “In morte segreta - conoscenza di Stefano” di e con Ugo De Vita, dedicato a Stefano Cucchi. Si tratta della versione quasi integrale dello spettacolo andato in scena il 30 ottobre al Teatro della Pergola di Firenze e promosso dalle associazioni Nessuno tocchi Caino, Ristretti Orizzonti, A buon diritto e patrocinato dal Garante dei detenuti del Lazio e dalla Nazionale italiana cantanti. Ugo De Vita si dedica da anni al teatro civile e qui non si concentra sull’epilogo della vicenda di Cucchi ma racconta la sua vita “difficile, ma piena di umanità e grandi passioni, come il gioco del calcio, i suoi amori, i suoi affetti”. La sua vita - dice De Vita - gli è stata raccontata da Ilaria Cucchi, ma anche da “mamma Rita e papà Giovanni”. “Stefano è stato fermato al Parco degli acquedotti, che è a 200 metri da casa di mia madre - continua De Vita - è stato facile e naturale entrare dentro casa sua, poi dopo ascoltare della sua giovinezza - Stefano aveva 31 anni - e della sue amicizie e della sua vita, questo è molto di più che incontrare un personaggio”. Cinema: intervista a Giuliano Capozzi, regista di “Oltre le mura - Un altro mondo”, di Antonella Barone www.innocentievasioni.net, 11 novembre 2010 “I detenuti volevano raccontare il carcere, ma non volevano che si raccontassero drammi strappalacrime, o che si utilizzasse un linguaggio eccessivamente ironico col rischio di minimizzare la serietà della condizione. Volevano rappresentare il carcere così com’è , un posto dove si ride, si piange, si ha paura, si muore e si vive, anzi, si sopravvive”. Così Giuliano Capozzi, regista di “Oltre le mura - Un altro mondo”, realizzato con i detenuti del carcere di Sant’Angelo dei Lombardi, spiega quello che colpisce di più del film : un taglio lucido e documentaristico che tuttavia riesce a trasmettere dolore e disincanto della condizione carceraria. Montaggio e colonna sonora - le sobrie note di Enzo Perna - contribuiscono a renderlo un piccolo “vero” film, realizzato con 1000 euro in cinque giornate “carcerarie” (tre ore l’una). Davvero cinema dell’altro mondo. Il film rende bene il punto di vista dei detenuti. Avete scritto insieme la sceneggiatura? Questo piccolo film nasce come prodotto finale del laboratorio di Arti Figurative e Cinema, svolto con i detenuti del Carcere di Sant’Angelo dei Lombardi. Durante il laboratorio i ragazzi hanno imparato come si realizza un film, analizzando il lavoro dei settori principali coinvolti nella lavorazione, dalla regia alla fotografia, fino alla scrittura. Una sceneggiatura vera e propria non poteva realizzarsi, alcuni dei detenuti avrebbero avuto serie difficoltà nel seguire un testo scritto, così la scelta è ricaduta su una sorta di canovaccio, dove i dialoghi erano affidati all’improvvisazione, una volta chiarito bene il senso di ogni singola scena. I detenuti hanno deciso quali dovessero essere le singole storie da raccontare, i contenuti e i toni che avrebbe assunto la narrazione. In questo ho cercato di essere il più rispettoso possibile del volere dei ragazzi. Perché la scelta di una versione originale dal napoletano? Direi che la scelta era quasi obbligata. La maggior parte dei ragazzi viene da Scampia, Secondigliano e Casal di Principe. L’obiettivo era rimanere fedeli alla realtà e riproporre con cifra quasi documentaristica la loro vita in carcere, la lingua italiana avrebbe rovinato la genuinità dei loro racconti, i dialoghi (di cui il film è ricco) sarebbero risultati pesanti e finti. Il dialetto ha restituito ai ragazzi la loro unicità e spontaneità. In più c’è da dire che tutti i dialetti, e quello partenopeo in particolare, hanno sfumature intraducibili in italiano, e conferiscono all’interpretazione dell’attore un carattere impulsivo e profondo, risultando naturale e vera. In ultimo vorrei dire che il lavoro svolto dai ragazzi come attori è stato eccellente. Ho visto davvero poche volte attori professionisti recitare con tanta naturalezza (con un coinvolgimento completo nella storia e nei personaggi) come hanno fatto i detenuti, spesso senza neanche rendersene conto. Talenti sprecati, senza ombra di dubbio. Vi sono state difficoltà nella lavorazione? Moltissime, come è facile immaginare. Il budget a disposizione era assai limitato, ci aggiriamo intorno alle 1.000 euro (anche meno) e per un film di 30 minuti è davvero poco. Abbiamo lavorato in totale povertà di mezzi, condizione ormai a cui sono abituato da quando mi dedico al cinema. Con pochi mezzi, dunque, ho cercato di lavorare molto con le luci naturali laddove era possibile, e la camera a mano si è rivelata una scelta interessante sia stilisticamente che “economicamente”. Per ciò che riguarda la lavorazione, gli ostacoli sembravano non finire mai: l’intero film è stato girato in 5 giorni, i ragazzi avevano poche ore al giorno a disposizione, quindi una lavorazione giornaliera normale (dalla mattina presto fino a sera) era impossibile; non avevano mai vissuto un set cinematografico e le sue regole, la divisione dei ruoli e i tempi di preparazione di una scena, gestirli tutti non è stato semplice; le restrizioni riguardavano anche le riprese: non tutti gli spazi potevano essere ripresi (comprese le celle vere dei detenuti, che infatti abbiamo dovuto riallestire in celle vuote). Realizzare un film, corto o lungo che sia, non è mai un lavoro semplice, in carcere lo è ancora meno e risolvere il singolo intoppo è più difficile, dove per ogni movimento ci vogliono autorizzazioni e permessi. In ultimo va ricordato l’importante contributo alla lavorazione dato da Monica Mariotti, attrice professionista, che con la sua partecipazione ha permesso ai ragazzi di confrontarsi con chi questo mestiere lo fa da anni, e da Enzo Perna, musicista e compositore, che ha realizzato i brani che ascoltiamo nel film. Nel film racconta anche un suicidio. Come ha scelto di trattare questo tema? Durante la fase del laboratorio dedicata al confronto con i detenuti sulla vita in carcere, si è parlato anche dell’atto estremo del suicidio. È un evento abbastanza frequente nelle carceri, anche qui non è difficile immaginare il perché. Molti di loro, i più anziani d’età, mi raccontavano di aver assistito a molti episodi di suicidi negli anni trascorsi in detenzione, e ne parlavano come un evento assolutamente normale, non tralasciando particolari sui metodi più diffusi per farlo. Ed è così che ho deciso di trattare questo tema, immettendolo nella quotidianità, senza pathos, con uno sguardo il più lucido possibile. Il carcere è un susseguirsi di eventi sospesi, un moto continuo, che mi ha suggerito una narrazione senza riferimenti temporali. Ciò che accade, sia esso divertente o tragico, passa, colpisce e lascia subito spazio a qualcos’altro. Un altro mondo appunto. Da regista, dopo avere lavorato con i detenuti, che differenze ha colto tra il carcere dell’immaginario cinematografico e quello reale? I tantissimi film che parlano di questo mondo si differenziano moltissimo tra loro, a seconda del paese da cui provengono e soprattutto a seconda dell’autore. Mi è capitato di osservare come spesso nell’industria hollywoodiana, ma con le dovute eccezioni, il carcere sia meramente una location “accattivante”, un ottimo contesto da usare per parlare di altro o su cui costruire degli action movies (detenuti in rivolta, dinamiche tra bande o gruppi di criminali etc.) sicuramente ben fatti, ma direi anche inutili (ultimamente è capitato anche all’Europa di produrre qualche film su questa falsa riga). Il carcere è tutt’altra cosa. Certamente viverlo da insegnante in un laboratorio è ben diverso da scontare una condanna, però l’esperienza mi ha dato modo di capire molte cose su chi delinque, soprattutto riguardo al perché si delinque (una scena del film, in cui due fratelli si scambiano pareri in un colloquio, tratta proprio questa questione). In più vivere il carcere mi ha dato la possibilità di capire quanto queste vite siano diverse da quelle di chi, come me, è “libero” ed ha fatto altre scelte. Ma, al contempo, conoscere i ragazzi nel quotidiano, con l’umanità, la sensibilità e l’intelligenza che li caratterizza, ha fatto in modo che questo mondo apparentemente lontano fosse in realtà molto vicino al mio. Senza giudicarli per i loro reati, men che meno pensare a loro come vittime. Il film sarà presentato domenica 14 novembre al Medfilm festival - sezione “Corti dal carcere”, Casa del Cinema Droghe: Staderini (Radicali); basta proibizionismo, non funziona e non conviene Asca, 11 novembre 2010 Miliardi alle narcomafie e milioni di fuorilegge. Dati di Giovanardi sono fasulli I dati dell’Agenzia europea delle droghe confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, il fallimento delle politiche proibizioniste. Il proibizionismo non funziona e non conviene, provocando immensi costi civili, economici, e sociali. È una forma di repressione sociale di massa che garantisce fiumi di denaro a terrorismo e narcomafie. Solo in Italia sono oltre 11 i miliardi di euro assicurati alla criminalità dalla droga proibita, mentre quattro milioni sono i consumatori trasformati in criminali, 250 mila gli spacciatori e 28 mila i detenuti per violazione della legge sugli stupefacenti Non ha alcun senso spendere miliardi di euro per la lotta alla droga quanto la stessa Agenzia denuncia la mancanza di risorse per i trattamenti sanitari dei tossicodipendenti. Il sottosegretario Giovanardi, poi, smetta di vantarsi per dei dati che sono scientificamente fasulli, visto che l’88% del campione della sua indagine non ha risposto alle domande. Francia: caso Franceschi, il Pd chiede indagine conoscitiva su italiani detenuti all’estero Asca, 11 novembre 2010 L’avvio di una indagine conoscitiva sui nostri connazionali detenuti all’estero, tanto in Paesi dove viene riconosciuta la reciprocità quanto in quelli in cui non viene riconosciuta, è stata chiesta dal Pd con particolare riferimento alla drammatica vicenda di Daniele Francheschi morto nella Maison d’arret di Grasse in Francia per motivi non ancora accertati. Ad annunciarlo è la senatrice Manuela Granaiola che precisa di aver già ricevuto risposta di un orientamento positivo da parte della commissione stessa. Nel pomeriggio sulla vicenda Franceschi il sottosegretario agli Affari esteri, Stefania Craxi risponderà ad una interrogazione firmata dalla stessa senatrice, in particolare sui passi compiuti e sulle misure che si intende adottare in relazione al caso dell’italiano morto nella casa circondariale di Grasse. All’interrogazione sarà presente in Aula anche la madre del giovane italiano morto, Anna Cira Antignano. ‘Utilizzeremo tutte le risorse parlamentari che abbiamo per conoscere e prevenire casi come quello di Daniele Franceschi - ha sottolineato dal canto suo la presidente dei senatori Pd, Anna Finocchiaro. La Francia, ma neanche l’Italia sono la Columbia, dove peraltro ci risulta il gravissimo caso di un nostro connazionale detenuto che non riusciamo a portare in Italia per scontare la sua pena, eppure il caso Cucchi è successo da noi ha ricordato Finocchiaro. Occorre fare luce, non è possibile che una persona giovane, ancora in attesa di giudizio come Franceschi, possa essere lasciata morire così - prosegue Finocchiaro -. Noi ci impegniamo con tute le nostre forze perché le porte del carcere non siano il luogo oltre il quale i diritti umani possano essere compressi. Anche la vicenda Franceschi, come quella di Cucchi è un caso che allude alla sicurezza delle persone detenute in carcere. Intanto i legali della madre del giovane morto in Francia sottolineano che la Farnesina proprio oggi è entrata in possesso degli atti processuali parziali del caso, essendo le indagini ancora in corso. Attualmente in Francia c’è soltanto un procedimento penale aperto - rimarca l’avvocato Aldo Lasagna - e nonostante le ampie assicurazioni ricevute dalla Francia non risulta avviata alcuna indagine amministrativa, su quanto è accaduto nella Maison d’arret di Grasse. In base alle informazioni rese note dall’agenzia di stampa Peace Reporter vicina ad Emergency, dall’inizio dell’anno in Francia si sono verificate almeno 80 decessi nelle carceri per motivi non chiariti. Oggi la nostra preoccupazione maggiore e più fondata - ricorda invece l’avvocato Maria Grazia Menozzi - è che al ritorno in Italia degli organi di Franceschi tornino come il suo cadavere, in condizioni tali da non poter espletare gli accertamenti autoptici necessari. Sull’impegno delle autorità italiane verso quelle francesi la madre di Franceschi, Anna Cira Antignano, come pure i legali e la senatrice Granarola hanno voluto confermare la grande professionalità e disponibilità dimostrate, in particolar modo le autorità consolari e diplomatiche italiane in Francia si sono prodigate in ogni modo sulla vicenda. Iraq: perché Tareq Aziz va salvato di Valter Vecellio Europa, 11 novembre 2010 Sembra scritta oggi, per l’oggi: “Torno a chiedere al governo italiano - come ho già fatto al momento della prima condanna a morte - di impegnarsi subito e seriamente per scongiurarne l’esecuzione immediata... se ciò accadesse, il governo iracheno compirebbe un atto infame, degno di quelli che furono propri del regime di Saddam, indegno di un paese civile e democratico...”. Così scriveva Marco Pannella, il 26 dicembre del 2006, annunciando di aver iniziato uno sciopero della fame e della sete “per impedire l’immediata esecuzione di Saddam Hussein”. E aggiungeva: “Si presenta una straordinaria occasione per far esplodere, letteralmente nel cuore del Medio Oriente e nel mondo, un grande atto di pace, un grande dibattito nei popoli e nelle coscienze, lo scandalo della nonviolenza come alternativa alle dittature e alla guerra...”; per questo Pannella comunicava la sua disponibilità e offerta di recarsi a Bagdad e ovunque, per ottenere la grazia della conversione della pena di morte per Saddam in quella di trent’anni di reclusione. Successivamente precisava che salvare Saddam avrebbe consentito di poter ascoltare la sua difesa, e dunque “storie e storia, in primo luogo quelle delle complicità insospettabili delle quali il dittatore poté godere o dalle quali è stato istigato e armato... si chiude la bocca al complice, e si esporta nel mondo inciviltà e disperata barbarie...”. Quello che quattro anni fa valeva per Saddam, vale oggi per uno dei suoi più stretti collaboratori, Tareq Aziz. Anche lui condannato a morte; e anche per lui, ancora una volta, Pannella mobilitato per impedire che sia ucciso, e in sciopero della fame e della sete. Ci importa qualcosa di Tareq Aziz? Sì, deve importarci. Va salvato in quanto persona. Chiedo esplicitamente la complicità di Europa per fare azione di “volantinaggio” a favore di questa causa. Emma Bonino è stata protagonista di un vorticoso, pressante, paziente e intelligente giro di consultazioni e di telefonate, ha bussato, come solo lei sa fare, a tutte le porte; fino a quando una si è aperta, e il ministro degli esteri Franco Frattini ha dichiarato che è disposto a recarsi a Bagdad assieme a Pannella per perorare la causa della moratoria delle condanne a morte. Una cosa che va al di là della maggioranza di governo e dell’opposizione, e che pone l’Italia all’avanguardia, una volta tanto non per le sguaiataggini del suo presidente del consiglio o i disastri ambientali come quello a Pompei. Per una volta siamo a capo di una grande battaglia di civiltà, analoga a quelle che ci videro protagonisti della lotta contro lo sterminio per fame nel mondo negli anni Ottanta, e in tempi più vicini per la moratoria delle esecuzioni capitali nel mondo decretata dall’Onu. E - non dimentichiamolo - alla straordinaria, pur se ignorata, campagna contro la barbarie delle mutilazioni genitali femminili. E sarà senz’altro un caso che in tutte queste iniziative si trovino in prima fila, promotori e “anime” Pannella e Bonino. Lo dico a quanti obiettano che i valori radicali sono di- stanti dai valori dei cristiani. Sicuri? Dopo la presa di posizione del ministro Frattini accade che il presidente iracheno Jalai Talabani, rispondendo all’auspicio del segretario della Lega Araba Ams Moussa, si sia detto contrario all’esecuzione di ogni pena capitale, anche quella di Aziz; Moussa si augura che Talabani si adoperi perché, “in un quadro di perdono e armonia sociale”, e nonostante il ruolo da lui svolto nell’eliminazione dei partiti religiosi, Aziz non venga ucciso. Ora si tratta di vigilare, di incalzare il governo e il ministro: perché le parole non restino tali, perché seguano fatti e comportamenti concreti, iniziative politiche incisive e, soprattutto, tempestive. Non solo. Tareq Aziz è un personaggio chiave per saperne di più sulla seconda guerra in Iraq. Il primo passo, per esempio, potrebbe essere l’istituzione di una commissione d’inchiesta sul modello di quella inglese. Giorni fa il sito Wíkileaks ha reso noti circa 400mila documenti riservati su questa guerra. Per quanto siano gravi le rivelazioni di Wikileaks, si continua a girare intorno alla questione; la carne del problema è una guerra, voluta per alimentare il complesso militare-industriale; e il boicottaggio, operato da George W. Bush e da Tony Blair, con la complicità di Silvio Berlusconi e di Muhammar Gheddafi, dell’alternativa a questa guerra: un’alternativa costituita dalla proposta di esilio per Saddam e i suoi, che la Lega Araba stava proponendo e Saddam stava accettando. La documentazione e le testimonianze di tutto ciò è disponibile, accessibile. Eppure si preferisce ignorare, nascondere, occultare questa verità accecante. Stati Uniti: pena di morte; proposta choc, usare i farmaci per l’eutanasia animale Ansa, 11 novembre 2010 La penuria di thiopental sta ritardando le esecuzioni. Le autorità dell’Oklahoma: usiamo il preparato veterinario. In molti stati americani la mancanza di farmaci usati per le iniezioni letali ha costretto a rimandare o addirittura a sospendere diverse condanne a morte, come è successo lo scorso 26 ottobre in Arizona, quando i legali di un detenuto hanno ottenuto un rinvio contestando l’intenzione di fare ricorso ad un farmaco importato dall’estero in sostituzione di quello “made in Usa” abitualmente utilizzato nelle esecuzioni per iniezione letale, le cui scorte erano terminate. Per far fronte alla situazione l’Oklahoma ha proposto una soluzione choc: somministrare ai detenuti gli stessi farmaci usati per l’eutanasia degli animali. Lo Stato, riporta il Wall Street Journal, sta cercando di ottenere il permesso da una corte federale per l’utilizzo del pentobarbital, secondo i veterinari “un anestetico ideale per l’eutanasia sugli animali”, e “molto simile” al thiopental, il farmaco tradizionalmente usato per le condanne a morte degli esseri umani. Le scorte di thiopental si stanno esaurendo. Questo perché l’unica società che distribuisce il farmaco negli Stati Uniti ha interrotto la produzione e non la riprenderà almeno fino al prossimo anno. L’Oklahoma vorrebbe ottenere il via libera della corte entro il 16 dicembre, in modo da poter giustiziare senza ritardi il condannato John David Duty. Gli avvocati di Duty, ovviamente, stanno dando battaglia: sostengono che il nuovo farmaco “non è stato ancora testato sugli esseri umani, è potenzialmente pericoloso, e l’esecuzione rischia di essere molto dolorosa” e quindi contrari ai principi umanitari che devono essere rispettati anche nel caso di esecuzioni capitali. Salvador: 22 ragazzi morti e 23 feriti per un incendio in carcere minorile Adnkronos, 11 novembre 2010 È salito a 22 morti e 23 feriti il numero di giovani detenuti morti in un incendio scoppiato in un carcere minorile a Ilobasco, in Salvador. Lo ha reso noto la polizia. Le autorità hanno aperto un’inchiesta sulle cause dell’incendio, scoppiato alle sei del mattino nell’istituto penitenziario a 25 chilometri dalla capitale, San Salvador. Secondo alcune fonti si sarebbe trattato di un cortocircuito. Fra i detenuti vi sono numerosi membri di due gang rivali, Mara Salvatrucha e Mara 18. Brasile: rivolta in un carcere, quattro morti e cinque persone tenute in ostaggio dai detenuti Apcom, 11 novembre 2010 Quattro persone sono morte in una rivolta scoppiata oggi nel carcere Desembargador Raimundo Vidal Pessoa, nel cuore di Manaus, in Amazzonia (Brasile settentrionale). Secondo quanto ha riferito un portavoce delle autorità locali, i detenuti tengono ancora in ostaggio cinque persone. Sempre in Brasile era scoppiata ieri un’altra rivolta in un carcere nello stato del Maranaho, che è stata sedata solo dopo duri scontri che hanno provocato la morte di 18 detenuti. Gran Bretagna: il Governo paga i criminali stranieri, perché tornino a casa Apcom, 11 novembre 2010 Il governo britannico è pronto a offrire fino a 1.500 sterline agli assassini, stupratori e ad altri criminali di origine straniera disposti a tornare nel loro Paese dopo aver scontato la pena. Stando a quanto riferisce oggi il quotidiano The Telegraph, Downing Street intende così fare fronte al problema del sovraffollamento delle carceri, pur avendo criticato la stessa misura presentata nel 2006 dal governo laburista, per scongiurare le deportazioni. Il quotidiano denuncia inoltre il costo milionario per i contribuenti britannici qualora la misura dovesse essere approvata. India: dopo visita Obama, Nuova Delhi libera 64 detenuti pakistani Aki, 11 novembre 2010 L’India ha rilasciato 64 detenuti pakistani, tra i quali 55 pescatori arrestati perché sorpresi in acque contese. È quanto riferisce l’emittente televisiva pakistana ‘Geò. La notizia di quello che viene considerato da sempre un gesto di distensione tra i due Paesi arriva dopo la missione del presidente statunitense Barack Obama in India, durante la quale Obama ha invitato i due Paesi eterni rivali ed entrambi dotati di armi nucleari a risolvere le divergenze che hanno portato allo stallo nel processo di pace, lanciato nel 2003. I pakistani liberati dalle carceri indiane sono stati consegnati alle autorità di Islamabad da funzionari indiani al posto di confine di Wagah. Tra le persone rilasciate vi sono nove pakistani arrestati perché sorpresi in India con visti d’ingresso scaduti. A giugno il Pakistan aveva liberato 17 detenuti indiani alla vigilia di un incontro tra alti funzionari dei dicasteri degli Esteri di Islamabad e Nuova Delhi. Di conseguenza l’India aveva rilasciato quattro pakistani. Da anni i pescatori indiani e quelli pakistani sono al centro di continui arresti con l’accusa di aver sconfinato in quelle che sono considerate acque territoriali dell’altro Paese. Uno degli elementi di tensione tra l’India e il Pakistan è la questione dell’estuario del Sir Creek, situato nella zona al confine tra il Gujarat e la regione pakistana del Sindh. All’origine della disputa vi sarebbero due mappe tracciate nel 1914 (su cui il Pakistan fonda le proprie rivendicazioni) e nel 1927, su cui sono segnati confini differenti. Ulteriore complicazione per la delimitazione della frontiera è l’accumulo di sedimentazione che ha creato nuova terra non esistente nelle mappe storiche.