Rassegna stampa 4 marzo

 

Giustizia: carcere come luogo reinserimento? pochi ci credono

di Daniela de Robert

 

www.articolo21.org, 4 marzo 2010

 

Scandalo nel carcere di Bollate, l’unico in tutta Italia in cui gli uomini e le donne detenute svolgono attività comuni. Lo scandalo consiste nel fatto che una donna e un uomo abbiano iniziato una storia d’amore in un luogo in cui i sentimenti sono banditi e che questa storia abbia portato al concepimento di una vita.

Come succedeva nei manicomi, aboliti con la legge 180, l’idea di una vita concepita dietro le sbarre non è ammissibile. Quei corpi sono corpi reclusi. Quelle vite, anche se sono di persone adulte, sono vite prigioniere e pertanto private dell’autonomia propria delle persone adulte. Quei sentimenti vissuti in un carcere sono avvertiti come una minaccia.

La vita in un carcere fa più paura della morte. I sentimenti di amore possono trovare spazio solo se mutilati dalle sbarre, dalla divisione, dalla castità coatta. Solo se si esprimono per lettera o nei colloqui in mezzo a tutti gli altri. Eppure la pena a cui sono stati condannati quell’uomo e quella donna prevede solo la privazione della libertà, non il divieto dell’amore, dell’affettività, della sessualità, della vita che nasce.

In due mesi sono morti suicidi in carcere 12 persone. Più di uno a settimana. Ma quelle morti non fanno rumore. In fondo la morte, la violenza, il dolore sono considerate parte integrante del carcere. In fondo, potevano pensarci prima di delinquere. In fondo, è solo un delinquente in meno.

Il concepimento di un bambino invece scatena sentimenti di indignazione: si sono amati mentre stavano scontando un pena! Per questo si chiede che siano puniti e insieme a loro anche la direttrice che consente che succedano fatti così riprovevoli dentro un carcere, anche se è un carcere modello. Perché al carcere come luogo di reinserimento credono davvero poche persone. Basta un seme di vita per fare cadere la maschera.

Giustizia: le carceri sono incivili e gli ispettori vanno a Bollate!

di Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 4 marzo 2010

 

Nel carcere di Bollate è successo un fatto davvero grave. Un fattaccio che merita attenzione e desta allarme. Una detenuta avrebbe fatto l’amore con un detenuto all’interno di un’aula scolastica. Il fattaccio, già gravissimo di per sé, ha assunto le connotazioni di uno scandalo penitenziario perché, udite udite, la donna detenuta sarebbe rimasta incinta a seguito del rapporto sessuale.

Ora sembra certo che il fattaccio sarebbe rimasto sconosciuto se non fosse stato per l’impegno e la solerzia di Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe), che ha denunciato l’accaduto. Ma il prode Capece non si è limitato a denunciare il fattaccio. No. Il Segretario generale del Sappe è andato anche oltre. Ha infatti chiesto al Ministro della Giustizia Alfano di mandare degli ispettori nel penitenziario incriminato, per capire cosa non abbia funzionato.

Indubbiamente si tratta di una denuncia e di una richiesta di ispezione ministeriale assai opportuna considerata la gravità dell’accaduto. Si rimane solo perplessi dal fatto che, visto l’assoluto degrado in cui versano le carceri italiane, il Sappe ieri non abbia avuto altro di cui occuparsi se non di due detenuti che fanno l’amore.

Stupisce che, anche prima di fare un semplice comunicato stampa, al Sappe nessuno si sia chiesto di denunciare accadimenti assai più gravi e drammatici che avvengono nelle carceri italiane. Accadimenti tragici che riguardano sia i detenuti che gli agenti della polizia penitenziaria.

Giustizia: con Di Girolamo, 5 "onorevoli" in carcere in 64 anni

 

Ansa, 4 marzo 2010

 

Da senatore a detenuto: con il caso di Nicola Di Girolamo, giunto ieri al suo epilogo, passano da 4 a 5 (in 64 anni) i casi di parlamentari per i quali la Camera di appartenenza ha detto sì alla richiesta di arresto da parte della magistratura. Anche se la vicenda di Di Girolamo è diversa, perché il Senato ha accolto la sua richiesta di dimissioni, le conseguenze sono le stesse: ora il senatore non è più protetto dallo scudo parlamentare e la giustizia può seguire il suo corso. Tra l’altro il senatore inquisito, per il quale il 23 febbraio scorso è stato chiesto l’arresto nell’ambito della gigantesca inchiesta sul riciclaggio internazionale, già nel settembre del 2008 era stato messo sotto i riflettori giudiziari per la vicenda della residenza fittizia in Belgio (ma il Senato allora salvò il parlamentare dagli arresti domiciliari).

L’ultima richiesta di arresto per un parlamentare risale al dicembre scorso e riguarda Nicola Cosentino (su cui grava il sospetto di legami con la Camorra); ma il sottosegretario è uscito indenne dal "processo" dell’aula della Camera che ha detto no alle manette. Le richieste di arresto per i parlamentari in carica sono dunque un evento tutt’altro che raro nella storia della Repubblica. È raro, invece, che l’autorizzazione sia stata concessa: con Di Girolamo salgono a 5 in 64 anni (dalla Costituente ad oggi). Francesco Moranino, deputato del Pci, era stato condannato per la morte di sette persone durante la Resistenza, fatti giudicati non coperti dall’amnistia del 1946. L’autorizzazione fu concessa il 27 gennaio 1955, ma Moranino si sottrasse all’arresto fuggendo in Cecoslovacchia. Fu graziato infine dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat.

Sandro Saccucci, del Msi-Dn, era accusato per l’omicidio di un giovane comunista, Luigi Di Rosa, a Sezze Romano nel 1976. L’autorizzazione fu concessa dalla Camera il 27 luglio 1976, quando Saccucci aveva lasciato l’Italia.

Toni Negri, professore universitario e capo dell’Autonomia operaia di Padova, era stato eletto deputato per il Partito radicale nel 1983, quando era in carcere in attesa di giudizio dal 1979. La richiesta di autorizzazione all’arresto per reati legati al terrorismo fu concessa il 21 settembre 1983, quando però Negri era già fuggito in Francia; tornerà in Italia nel 1997, scontando il residuo di pena.

L’arresto di Massimo Abbatangelo, del Msi-Dn, fu autorizzato dalla Camera il 18 gennaio del 1984: era stato condannato per aver partecipato nel 1970 all’assalto con bottiglie incendiarie ad una sezione napoletana del Pci.

La legislatura che ha visto il maggior numero di richieste d’arresto è stata l’undicesima, fra il 1992 e il 1994; negli anni di Mani Pulite, le richieste furono 28 e furono tutte respinte (tra cui quelle di Bettino Craxi e Francesco De Lorenzo).

In questa legislatura il Senato ha respinto la richiesta per Cosentino (10 dicembre 2009) e prima ancora per Di Girolamo (24 settembre 2008). No all’arresto anche per il deputato del Pd Salvatore Margiotta, il 18 dicembre 2008, quanto la Camera si oppose alla richiesta avanzata dalla procura della Repubblica di Potenza nell’ambito di una inchiesta su tangenti sugli appalti per l’estrazione del petrolio in Basilicata.

Un capitolo a parte merita il caso di Cesare Previti: essendo stato condannato in via definitiva, è stato arrestato il 5 maggio 2006 senza che fosse necessaria l’autorizzazione della Camera di appartenenza.

 

Di Girolamo: non sono criminale

 

La giornata di Nicola Di Girolamo si chiude con una sola certezza: il carcere. L’ormai ex senatore è il sesto parlamentare in 64 anni per cui un ramo del Parlamento di fatto consente l’arresto dicendo sì alle sue dimissioni da parlamentare: dimissioni motivate stamane in aula in Senato dopo un discorso dell’esponente del Pdl dal tono drammatico, velato da una forte emozione. "Intendo con questa scelta allontanare dalla Camera alta l’ignominia che mi ha riguardato".

La mia - ha detto in sostanza - non è una storia criminale. Non sono Lucifero, non sono l’untore. Vorrei che per questa mia vicenda non scontassero degli innocenti e cioè - ha spiegato - la famiglia dell’ex senatore e gli italiani all’estero, "una risorsa preziosa per il Paese e non un problema. Sono parte di un circuito virtuoso".

Sulla foto scattata con il rappresentante di una ‘ndrina Di Girolamo ha spiegato che gli fu detto che si trattava di un ristoratore; sapete "in campagna elettorale si fanno tante foto".

Di Girolamo ha rivendicato, con tono quasi orgoglioso nonostante le accuse che gli si rivolgono, "di non avere portato l’indegnità della ‘ndrangheta in quest’aula". Le dimissioni sono arrivate, ha sottolineato, dopo tanto fango, dopo l’ignominia di un’esposizione mediatica che mi ha descritto agli occhi del Paese come un mostro, usurpatore della politica e del mandato elettorale. "Sono convinto - ha aggiunto - di dover rendere disponibile la mia persona, la mia storia personale, la mia esperienza recente, perché chi dovrà giudicarmi possa davvero conoscere i contorni di una vicenda che potrà finalmente essere vagliata lontano dai riflettori e dal clamore delle prime suggestioni".

Una scelta, quella delle dimissioni, accolta con una larga maggioranza dal Senato: 259 sì, 16 no e 12 astenuti dopo un nervoso confronto in aula scandito anche dal malore della senatrice Emanuela Baio. Intervistato telefonicamente dal Gr Parlamento dopo il voto Di Girolamo dice di essere sereno, di aver gradito l’applauso della maggioranza partito dai banchi al termine del suo intervento e che ha innescato una dura polemica nell’aula del Senato tra opposizione e il Presidente Schifani, difeso dalla maggioranza.

"Ci siamo lasciati in modo molto sentito da entrambe le parti", ha detto l’ex senatore parlando dei suoi colleghi. Si è sentito abbandonato? "Io ho fatto una riflessione di natura generale. Sarebbe bene che la facessero anche altri, altre persone, tra cui anche i miei ex colleghi".

L’ex senatore ha nuovamente spiegato di aver preso la decisione di dimettersi come "atto dovuto" verso la sua famiglia e il Parlamento. L’ex parlamentare si aspetta di non di passare il cinquantesimo compleanno a casa, il 25 giugno. La durata della detenzione infatti, pronosticano uomini vicini a lui, potrebbe anche arrivare ad un anno, se persistesse l’aggravante di tipo mafioso. Se invece tale aggravante decadesse, potrebbe essere chiamato a rispondere di evasione fiscale e frode, con conseguente riduzione dei tempi di carcerazione.

Poi, come fin dalla mattina aveva concordato con gli inquirenti, ha compiuto l’ultimo passo e in serata si è costituito dopo aver trascorso le ultime ore di libertà in compagnia dei propri familiari. Nel tardo pomeriggio si è infatti recato in un struttura delle forze dell’ordine nel quartiere romano dei Parioli da dove sarà trasferito, con ogni probabilità, nel carcere di Rebibbia.

Giustizia: Cucchi; periti danno Cd con autopsia altro cadavere

 

Ansa, 4 marzo 2010

 

"Abbiamo avuto difficoltà a ricevere dai consulenti della Procura la documentazione della tac e l’autopsia di Stefano, contenute in alcuni cd che abbiamo chiesto da tre mesi. Dopo averne ricevuti alcuni incompleti per due volte, dove comparivano solo le fotografie dei pantaloni di Stefano macchiati di sangue, la settimana scorsa ci è stato consegnato un cd che conteneva la documentazione dell’autopsia di un altro cadavere". Lo ha detto Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il detenuto morto all’ospedale Pertini di Roma.

"Adesso abbiamo ricevuto altri cd che abbiamo inviato ai nostri medici consulenti a Foggia - ha precisato Ilaria Cucchi - speriamo che siano quelli giusti. In ogni caso il comportamento dei periti della Procura è preoccupante e strano". Ilaria Cucchi ha inoltre riferito che "da quanto ci risulta, alla metà di questo mese termineranno le perizie dei consulenti della Procura".

Lettere: picchiato al "San Sebastiano" 10 anni fa, mai risarcito

 

La Nuova Sardegna, 4 marzo 2010

 

Chi invia questo scritto è un ex detenuto che il 3 aprile del 2000 è stato vittima di quel brutale pestaggio da parte delle guardie carcerarie nei confronti dei detenuti di San Sebastiano. Vorrei fare presente che in quel maledetto giorno non solo fummo pestati a sangue, ma allo stesso tempo ci fu tolta la dignità di esseri umani, che stavano pagando i loro sbagli con le condanne inflitteci da un Tribunale. Sono passati dieci anni circa da quel giorno che mai nessuno di noi dimenticherà, dal momento che quasi nessuno dei 90 arrestati per quei fatti ha pagato per le proprie responsabilità.

Io non cerco e non voglio nessuna vendetta, ma la cosa che più mi irrita è che dal momento che il pestaggio l’abbiamo subìto (e tutto ciò è provato dai referti medici che lo stesso ministero di Grazia e Giustizia ha verificato attraverso le visite a cui siamo stati sottoposti da parte dei medici, con tanto di giorni di cura assegnateci) ancora non siamo stati risarciti delle somme che i nostri avvocati hanno chiesto. Faccio presente che io tutti gli errori che ho fatto nella mia vita li ho sempre pagati, e tutt’oggi mi stanno arrivando delle vecchie condanne che risalgono a nove anni fa.

Perciò vorrei una risposta alla mia domanda: perché quando io ho qualcosa da pagare verso la società non mi vengono fatti sconti, mentre ora che devono essere altri a pagare a noi i danni fisici, in alcuni casi permanenti, che ci hanno causato, dopo dieci anni ancora non siano stati risarciti di ciò che ci dovrebbe spettare? Faccio presente che già dieci persone che hanno subìto quello che ho subìto io, sono decedute.

 

Daniele Zorda, da Sassari

Roma: Sel; a Rebibbia 1.912 persone, è il record delle presenze

 

Ansa, 4 marzo 2010

 

"Record di presenze nel carcere di Rebibbia. Questa mattina i detenuti nel carcere romano erano 1.912. Un affollamento come non si era mai registrato, neppure prima dell’indulto". È quanto afferma la consigliera regionale di Sel, Anna Pizzo, "secondo quanto appreso dalla funzionaria del carcere romano che stamane l’ha accompagnata nella visita dell’istituto penitenziario". Il sopralluogo, che fa seguito a quello a Regina Coeli, rientra nell’inchiesta che Pizzo sta conducendo nelle tredici carceri del Lazio sul sovraffollamento e sull’inquietante numero di suicidi dall’inizio dell’anno.

"Nel corso della visita a Rebibbia ho incontrato anche Silvio Scaglia, detenuto nell’ambito dell’inchiesta su Fastweb - spiega Pizzo - Scaglia era tranquillo anche se ha dato giudizi a dir poco inclementi sulla magistratura italiana confrontandola con quella inglese, paese in qualche modo di adozione. Scaglia ha detto di ricevere un trattamento accettabile nel carcere romano sottolineando però più volte che è ben altro il trattamento fuori dal carcere. Scaglia è apparso in buone condizioni e, per sua stessa affermazione, ha dichiarato di non aver bisogno di farmaci né per dormire né per eventuali condizioni di stress emotivo".

"A Rebibbia - sottolinea Pizzo - sono almeno quindici le persone legate all’inchiesta che ha coinvolto anche Scaglia. Alcune di loro, per motivi di spazio, sono state messe in celle da sei: una situazione limite che sottolinea la condizione generale di invivibilità non solo di Rebibbia ma dell’intero mondo carcerario. Nel corso del sopralluogo ho visitato anche il reparto infermeria per verificare la notizia di un eccezionale aumento delle patologie psichiatriche, alcune delle quali conducono evidentemente all’esito terminale del suicidio. Il medico di turno ha confermato tale tendenza informandomi che proprio domani si svolgerà un vertice dei medici penitenziari per studiare una situazione che, come ha sottolineato il medico, sta diventando una vera emergenza".

"Almeno la metà delle persone detenute che ho incontrato nei cinque anni di sopralluoghi nelle carceri del Lazio - ha concluso la consigliera - non dovrebbero stare in carcere ma potrebbero usufruire di soluzioni alternative. Invece, il sistema attuale, fornisce solo carcere che a sua volta produce nuovo carcere in una perversa spirale"

Perugia: Pdl; intervenire per ripristinare l’agibilità del carcere

 

Ansa, 4 marzo 2010

 

Un’interrogazione per conoscere quali iniziative intenda assumere il ministro della Giustizia per garantire in tempi brevi tutti i necessari interventi per il ripristino delle condizioni di piena agibilità del carcere di Capanne a seguito del terremoto dello scorso dicembre provvedendo, allo stesso tempo, alla dotazione di personale necessario ed indispensabile al funzionamento della casa circondariale è stata presentata dall’on. Rocco Girlanda, Pdl. All’iniziativa - ha reso noto lo stesso deputato - hanno aderito tutti i parlamentari umbri del Popolo delle libertà.

"Io e i miei colleghi umbri Pietro Laffranco, Luciano Rossi e Roberto Speciale, vogliamo intervenire con questo atto - ha spiegato Girlanda - al fine di sollecitare una maggiore attenzione sul carcere di Capanne a seguito degli eventi sismici dello scorso dicembre, i cui danni strutturali hanno determinato una condizione di non agibilità stabilita con un’apposita ordinanza comunale, per quanto siano già stati predisposti lavori di intervento e ponteggi per ovviare in parte a questi danneggiamenti, ma anche sul versante dell’organico del personale della polizia penitenziaria, che registra una condizione di sofferenza.

Nel corso visite alla struttura carceraria sia io che i miei colleghi abbiamo avuto modo di apprezzarne la gestione e il funzionamento - continua Girlanda - sul quale da troppo tempo ha luogo sulle pagine di alcuni quotidiani locali un dibattito dai toni allarmistici quando, invece, l’andamento della struttura di Perugia si può definire pressoché esemplare, pur nelle difficoltà provocate dalla mole di quasi cinquecento detenuti e dal genere degli stessi.

Non bisogna confondere la criticità di una realtà carceraria con episodi che riguardano singoli detenuti che, nel caso di episodi autolesionistici o conflittuali con altri reclusi, non intaccano minimamente la capacità gestionale e la funzionalità dell’intera casa circondariale. Ho quindi ritenuto opportuno recepire buona parte delle richieste dei vari livelli del personale della struttura, caratteristici peraltro di buona parte del sistema carcerario nazionale, sollecitando un interesse particolare del ministero nei confronti di una realtà che è ben lontana dall’assumere carattere di criticità, a patto che si disponga di intervenire in maniera adeguata e con una risposta immediata, come in parte è già avvenuto". L’on. Girlanda ha quindi sottolineato come il complesso sia ancora privo di una pianta organica e ha lodato la professionalità del personale operante nel carcere "applaudito dagli stessi detenuti in occasione dell’evacuazione degli edifici determinata dalle scosse sismiche del dicembre scorso, nonché dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia".

Cuneo: il carcere di Cerialdo, tra i progetti e una realtà difficile

 

www.targatocn.it, 4 marzo 2010

 

La realtà di un carcere con strutture ormai vecchie e fatiscenti, sovraffollato e con un numero non sufficiente di agenti di polizia penitenziaria ed i progetti per integrare maggiormente la casa circondariale nel tessuto sociale della città, offrendo ai reclusi una possibilità di riscatto. Ha ruotato attorno a questi due aspetti il dibattito sviluppato dalla IV Commissione consiliare del Comune di Cuneo con il nuovo direttore del carcere di Cerialdo Carlo Mazzeo. Il penitenziario del capoluogo ospita circa 300 detenuti, di cui 91 sottoposti al regime del carcere duro previsto dal 41 bis. 132 sono stranieri, 10 di nazionalità comunitaria. 73 sono tossicodipendenti. Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio sono 180, 17 sono gli impiegati che compongono il personale amministrativo.

"Il mio obiettivo - ha esordito Mazzeo - è che il carcere di Cuneo sia sempre meno un’istituzione totale e sempre più sociale ed aperta al territorio. Gli scopi a cui deve rispondere l’organizzazione complessa che lo gestisce sono la sicurezza, ma anche la proposta di opportunità educative e socializzanti che prevedano un contatto con il mondo esterno." Il riferimento è ai circa 200 detenuti comuni e non a chi sconta la pena in quanto appartenente ad un’organizzazione criminale "che - ha spiegato il Direttore - ha fatto della criminalità la sua scelta di vita." Tanti i progetti rieducativi proposti per i quali, data la scarsità di risorse economiche, è indispensabile l’appoggio degli enti locali: dalla serra per la coltivazione di fiori che sta per essere terminata, al progetto di avviare nel nuovo padiglione alcuni corsi in collaborazione con l’Istituto Alberghiero di Mondovì, all’organizzazione di tornei di calcio nel segno di sport e legalità, all’utilizzo con fini ludici di un vasto terreno limitrofo al carcere da aprire anche alla cittadinanza.

Tra le idee, assai apprezzate dai Consiglieri comunali, anche la creazione di un allevamento di lumache e la disponibilità, nell’ambito delle attività di giustizia riparativa, a fornire alcuni detenuti per spalare la neve. In discussione anche la questione del collegamento del carcere al resto della città tramite un servizio di trasporto pubblico pensato per i parenti dei reclusi, il personale, ma anche i residenti della frazione. Una questione che si dovrebbe risolvere con l’allargamento di via Cittadella. "Ne parliamo ormai da anni, ma nulla è stato concretizzato - ha obiettato il Consigliere del PdL Riccardo Cravero.

Assieme alle proposte di attività educative, con l’attenzione per l’informatica suggerita da Giancarlo Isaia (Idee ed Impegno) e l’utilizzo dei detenuti nei lavori di sistemazione dei letti dello Stura e del Gesso indicata da Vincenzo Pellegrino (Cuneo Più), sono emersi però anche inviti al realismo ed alla difficile realtà vissuta dai carcerati e dal personale. "Mettere in piedi dei progetti è molto difficile - ha osservato Luigi Mazzucchi, Capogruppo di Centro Lista Civica e residente a Cerialdo -.

Più di una volta il Comitato di Quartiere ha tentato di coinvolgere i detenuti in iniziative poi cadute nel nulla per problemi di sicurezza." Ricordando la recente visita al penitenziario condotta con il gruppo consiliare regionale di Rifondazione Comunista, Fabio Panero ha invece insistito sulle gravi mancanze della struttura carceraria cuneese e sui frequenti episodi di autolesionismo. "Le stanze sono sovraffollate ed ospitano in 18 metri quadri 6 persone invece di 3. Esiste una questione sanitaria seria che abbiamo segnalato all’ASL. Molti stranieri non riescono nemmeno a parlare con i loro avocati ed il desiderio di scontare la pena nel loro paese non viene realizzato per le lungaggini burocratiche dei consolati. Di fatto i contatti dei detenuti con il mondo esterno sono pochissimi."

Una realtà su cui il Direttore non ha taciuto. "Soprattutto tra i detenuti extracomunitari - ha spiegato - esistono fenomeni di aggressività verso sé stessi e gli altri. Ogni volta è un bollettino di guerra e solo l’altro giorno un detenuto ha cercato di impiccarsi ed è stato ricoverato in ospedale. La struttura è vecchia e manca l’acqua calda che i detenuti devono trasferire con dei secchi. Nella mia carriera ho assistito a tanti fallimenti delle azioni rieducative ed è evidente che quando verifico la possibilità di mettere a disposizione dei detenuti per spalare la neve mi prendo grandi responsabilità. Sono ben consapevole delle difficoltà: abbiamo provato a concedere ai musulmani la possibilità di pregare per rispettare il loro credo religioso. Purtroppo, l’esperimento si è concluso con un litigio. Per quanto riguarda l’aspetto sanitario non ho alcun potere d’incidenza sull’Asl se non quello di segnalazione. Il nuovo padiglione - ha concluso - rappresenta una risorsa importante: avrà bagni nelle stanze, riscaldamento a pavimento e rispetterà le norme per i disabili."

Proprio attorno alla costruzione della nuova ala che dovrebbe essere completata entro l’anno sorge una delle principali questioni per l’avvenire. Sostituirà il vecchio e malandato carcere ospitandone i detenuti o si sommerà ad esso portando la popolazione carceraria a sfiorare le 500 unità? Una risposta che l’amministrazione penitenziaria centrale deve ancora fornire anche al direttore del carcere di Cerialdo.

Sulmona: il Comune richiede la chiusura della "Casa di lavoro"

 

Il Centro, 4 marzo 2010

 

Chiudere la Casa lavoro del supercarcere di via Lamaccio o ridurre il numero dei detenuti internati (passati da 50 a 200 in pochi anni). Il consiglio comunale ha approvato all’unanimità un documento per chiedere interventi. Le richieste sono rivolte a ministero e Dipartimento penitenziario. Tutto questo a pochi giorni dall’ennesima aggressione di un detenuto a un agente. A presentare la mozione il consigliere comunale di maggioranza Roberto Gentile che, dopo aver parlato delle condizioni di vita di internati e detenuti e delle condizioni di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria (in cronica carenza di organico), si è appellato al buon senso del consiglio comunale.

Maggioranza e opposizione hanno approvato il documento, che sarà inviato al ministero della Giustizia e al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, in cui si chiedono interventi. Il nervo scoperto del supercarcere appare la Casa lavoro, la più affollata delle quattro esistenti in Italia (le altre sono a Castelfranco Emilia, Saliceta San Giuliano e Favignana). Nella sezione si registra il maggior numero di suicidi, tentati suicidi e aggressioni. Solo pochi giorni fa, come denunciato dalla Uil, si è verificata l’ultima aggressione ai danni di un agente, colpito con calci e pugni da un detenuto.

Solo il pronto intervento di altri poliziotti ha evitato il peggio. Il sindacato tuona: "Siamo stanchi delle parole e delle continue illusioni. Abbiamo bisogno di concretezza". Arriva però il plauso al Comune. La richiesta è chiudere la struttura o ridurre il numero degli internati in modo tale di consentire loro di lavorare. Gentile ha rimarcato il limitato numero di agenti, sotto organico di almeno 50 unità. Il capogruppo del Pdl, la parlamentare Paola Pelino, ha garantito di portare il problema all’attenzione del guardasigilli.

"Il ministro Angelino Alfano ", interviene la parlamentare, "intende inserire il carcere di Sulmona tra i 16 in Italia che necessitano di interventi, anche sul fronte dell’incremento del personale di polizia penitenziaria". Il sindaco Fabio Federico, inoltre, caldeggia l’idea di tenere un consiglio comunale straordinario all’interno del carcere.

"Si tratterebbe forse di un caso unico in Italia", sottolinea il primo cittadino, che è dirigente sanitario del carcere, "ma farò di tutto affinché questa iniziativa possa essere intrapresa. La struttura peligna è enorme, c’è un medico presente per 24 ore e così il carcere è stato scambiato per una struttura sanitaria, molti detenuti hanno gravi patologie". È arrivata una proposta anche dalla minoranza. Il consigliere Mimmo Di Benedetto (Pd) ha sollecitato il ripristino del garante dei diritti dei detenuti.

Lucca: manca il 30% del personale, così il carcere è al collasso

 

Il Tirreno, 4 marzo 2010

 

Il carcere di San Giorgio è al collasso. Con 90 agenti di polizia penitenziaria in servizio su un organico di 130. A denunciare la situazione è il sindacato Ugl con una lettera inviata alla direzione della casa circondariale: "La situazione lavorativa è davvero al collasso per la mancanza di personale. - si legge nella nota - Attualmente sono presenti 90 unità in servizio in luogo delle previste 130.

I poliziotti penitenziari sono costretti ad effettuare turni di servizio 12 ore continuative ed oltre. Non sono più garantiti i diritti basilari dei lavoratori come la fruizione di ferie e riposi. Alcuni lavoratori operano anche in 5 posti di servizio previsti "in modo dinamico" dal modello 14. La gestione degli 80 detenuti presenti nel 3º reparto detentivo è ormai insostenibile, oltre ad essere affidata ad un solo poliziotto penitenziario il quale è in possesso siadelle chiavi d’ingresso al reparto che delle celle.

Essendo quest’ultime aperte tutti il giorno dalle 8 alle 20, siamo costretti ad affidarci alla "buona sorte" e quando quest’ultima viene a mancare, bisogna ricorrere alle cure del medico del pronto soccorso, come è avvenuto pochi giorni fa ad un collega, oltre alla speranza che i detenuti non tentino di fuggire. Eufemisticamente potrebbe trattarsi di una forma di premialità nel "trattamento" dei detenuti che non fuggono pur potendo. Lavorare nella casa circondariale di Lucca non è più ne sicuro ne dignitoso per i poliziotti penitenziari. Il personale è sfiduciato. Pertanto L’Ugl polizia penitenziaria chiede un autorevole intervento alla direzione della casa circondariale teso a ristabilire almeno le condizioni di sicurezza minime e i diritti basilari".

Genova: Sappe; rischio di tensioni nel Centro clinico del carcere

 

Corriere Mercantile, 4 marzo 2010

 

Rischio tensioni al Centro clinico del carcere di Marassi. A lanciare l’allarme è il Sappe (Sindacato autonomo polizia penitenziaria) che evidenzia acluni problemi all’interno della casa circondariale genovese dove "lunedì prossimo - spiega il sindacato - sarà operativo il primo piano della nuova struttura del Centro Clinico penitenziario, completamente ristrutturato, con conseguente spostamento dei detenuti con problemi sanitari, psichiatrici ed affetti da Hiv ad oggi ristretti in altra sezione detentiva".

Secondo il sindacato di polizia si tratta di "una scelta decisa autonomamente dal Provveditorato regionale, che l’ha imposta alla Direzione del carcere". Un provvedimento giudicato dal Sappe "troppo affrettato" e che gli agenti contestano duramente. "Non siamo d’accordo - continua la protesta del sindacato della polizia penitenziaria "anche perché ancora non esiste alcun ordine di servizio interno che regolamenti l’impiego operativo della Polizia penitenziaria

come, ad esempio, il controllo dei pasti destinati ai detenuti e provenienti da una ditta esterna o la gestione del servizio di sopravvitto (ossia la possibilità per i detenuti di poter acquistare a proprie spese generi alimentari o per la pulizia e l’igiene personale)". Insomma una serie di problemi irrisolti che ancora necessitano di una risposta. "Tutte queste situazioni - concludono gli agenti del carcere di Marassi -se non vengono organizzate nel modo migliore possono creare momenti di tensione tutti a discapito dei poliziotti penitenziari. E questo lo riteniamo inaccettabile".

Siracusa: carenze idriche per il carcere; interviene la provincia

 

La Sicilia, 4 marzo 2010

 

La Commissione speciale sulla situazione delle carceri nella provincia di Siracusa, istituita dal Consiglio provinciale all’indomani della proclamazione dello stato di crisi da parte del governo nazionale, tornerà a riunirsi il prossimo lunedì, 8 marzo, alle ore 11, presso la sede di via Malta. I membri della Commissione incontreranno i dirigenti della società che gestisce il servizio idrico nella provincia di Siracusa, Sai 8, e il direttore dell’Area marina protetta del Plemmirio. Nel primo caso l’invito è legato alle gravi carenze idriche emerse sia in occasione della visita presso la struttura di Brucoli, sia in occasione della visita presso quella di Noto. Nel secondo caso, la commissione ascolterà il direttore dell’Amp relativamente al progetto in corso di realizzazione di una ludoteca a Cavadonna.

E proprio la struttura di Siracusa sarà successivamente oggetto della terza e ultima visita della commissione, visita che avrà luogo il prossimo giovedì, 11 marzo 2010, come concordato questa mattina tra l’ufficio Consiglio e gli uffici della dott.ssa Gianì, direttrice del carcere di Cavadonna.

Pisa: con l’Uisp calcio e attività di socializzazione per i detenuti

 

Il Tirreno, 4 marzo 2010

 

Si chiama "Attività di socializzazione per i detenuti" il progetto messo su dall’Uisp, che nel carcere opera da anni con successo, e dalla Società della salute. È nell’ambito di questo progetto che è stato realizzato ieri pomeriggio l’incontro di calcio.

L’iniziativa si deve agli educatori del Don Bosco, in particolare a Piera Paola Rocchetti, che ha curato l’organizzazione e la preparazione della partita, e alla responsabile del progetto per l’Uisp, Maria Grazia Bennici. L’Uisp fra le mura del Don Bosco ha avviato da tempo un percorso sportivo con incontri settimanali. Negli allenamenti sono impegnati Dario Scordo e Massimiliano Romano. E veniamo alle formazioni. In campo sono scesi, per il Don Bosco: Aliou Ba Ousmane, Gana Diop, Mamai Nizar, Aleks Nikolli, Emil Demoglava e Massimo Rossi. Per il Porta a Piagge, in divisa nero-senape, Giulio Coli, Samuele Battaglini, Alessandro Simoncini, Maurizio Cini, Riccardo Lazzeri, Francesco Magnanimo, Davide Falleni, Niccolò Leoncini, Giovanni De Tata, Carlo Quartieri, Patrick Galloppo e Gabriele Pula. Erano presenti anche il presidente Riccardo Lazzeri e il direttore generale Uris Lazzeri. A segnare per primo è stato Pula, su rigore, poi sono seguite le 4 reti dei detenuti, 3 di Mikalli e una di Diop. L’altro punto a favore del Porta a Piagge è dovuto ad un autogol di Rossi. Ora tutta l’attenzione si sposta sul prossimo incontro. Il Porta a Piagge ha lanciato lui questa volta la sfida per la rivincita, promettendo anche di portare le maglie per la squadra del Don Bosco. Dunque si aspetta con ansia di sapere la data della prossima partita. Ieri, a filmare il match, c’erano gli allievi del corso di spettacolo del carcere, che hanno messo in pratica così le nozioni apprese.

 

E il calcio sa un po’ di libertà

 

Bella vittoria dei detenuti del Don Bosco ieri pomeriggio, nel campo di calcetto del carcere, sulla squadra del Porta a Piagge. L’incontro si è chiuso con un 4 a 2 per i locali e va sottolineato che i due gol degli ospiti sono dovuti il primo ad un rigore e il secondo ad un’autorete. Insomma netta superiorità della squadra dei reclusi, nata spontaneamente fra le mura del Don Bosco durante l’ora d’aria, messa su al termine di un torneo interno che si è chiuso proprio l’ultimo dell’anno, il 31 dicembre scorso.

La squadra vincitrice, per quanto rimaneggiata da continue uscite (fortunatamente per chi lascia il carcere) e nuovi ingressi (purtroppo) ha voluto sfidare una squadra esterna. Trovando la disponibilità del Porta a Piagge, allenato da Francesco Cecchi. La bella squadra del Don Bosco invece deve il suo allenamento ad uno dei volontari dell’Uisp che si è messo a loro disposizione settimanalmente, Dario Scordo, un ragazzo che ha seguito con entusiasmo ieri la compagine a cui si è dedicato con spirito sociale lodevole.

Ad assistere all’incontro, in uno dei campi di calcetto degli spazi dedicati all’aria, una cinquantina di detenuti che potevano usufruire del permesso, gli educatori che seguono i vari progetti e che offrono ai reclusi queste possibilità di interfaccia con l’esterno, guardie penitenziarie e otto tirocinanti, quattro ragazzi e quattro ragazze, con le divise blu nuove fiammanti, volontari della cosiddetta ferma prefissata che, dopo il relativo concorso, hanno accesso al tirocinio per il futuro possibile ingresso in uno dei corpi delle forze armate. Il calciatore straniero della squadra del Don Bosco, rimasta purtroppo senza nome ma in casacca arancio fluorescente, è stato l’unico italiano presente, Massimo Rossi; per il resto l’équipe era composta da 4 africani e 2 albanesi, uno dei quali, Aleks Nikolli, con la fissa del pallone in testa, ha dimostrato davvero una bella grinta.

Sono firmati da lui tre dei quattro gol messi a segno al Porta a Piagge, il quarto è invece di Gana Diop. Giovani nel complesso i giocatori, visto che in 4 sono degli Anni 80 e hanno fra i 20 i 30 anni. Il quinto ha 35 anni, il sesto 42. La bella giornata ha regalato un sole quasi primaverile allo spettacolo di calcio, che si è snodato in tre tempi da 20 minuti. Al termine, Coppa dell’Uisp per i vincitori e medaglie per tutti: gli ospiti hanno chiesto la rivincita e hanno promesso di portare in regalo la prossima volta divise nuove per i locali.

Bologna: lezione di murales ai detenuti, per "abbellire" le celle

 

Dire, 4 marzo 2010

 

Lezioni di murales per i detenuti del carcere di Bologna. Così, chi si appassionerà, potrà dipingere e abbellire le celle. È il progetto a cui sta lavorando Roberto Morgantini, del Centro stranieri della Cgil di Bologna: ieri ne ha discusso con Ione Toccafondi, la direttrice della Dozza, in occasione della consegna di alcuni beni di prima necessità (prodotti per l’igiene personale, ma anche francobolli, carta da lettera e pentole). "L’idea di cui abbiamo parlato ieri con la direttrice - spiega Morgantini - prevede di coinvolgere un artista di murales, Luis Gutierrez, autore di alcune opere in zona universitaria: lui potrebbe tenere un corso, portare in carcere i materiali, insegnare ai detenuti a usarli e così loro potrebbero poi dipingere le loro celle". La discussione è partita, ora si tratta di trovare anche qualche finanziamento per concretizzare l’idea, aggiunge l’esponente della Cgil.

Oltre a mettere in pista questo progetto, però, Morgantini alla Dozza ha raccolto anche altre esigenze. In vista dell’estate, spiega, servirebbero dei frigo per contenere gli alimenti, mentre per le docce c’è esigenza di phon. "Per ragioni di sicurezza gli asciugacapelli non possono essere quelli classici, servirebbero quelli fissi. E per questo vorremmo fare un appello a chi li produce o agli alberghi che li hanno però intendono dismetterli perché possano essere forniti al carcere", spiega Morgantini.

Trento: apertura di mostra "Libertà va cercando, ch’è si cara"

 

Trentino, 4 marzo 2010

 

L’associazione Amici de "Il Faggio" propone nel foyer della facoltà di giurisprudenza la mostra "Libertà va cercando, ch’è si cara. Vigilando redimere", realizzata con il patrocinio di parlamento europeo, camera dei deputati, ministero della giustizia e in collaborazione con Fondazione per la sussidiarietà e Tg1. La mostra, già presentata in diverse piazze italiane, presenta immagini e testimonianze da istituti di pena di tutto il mondo. Fra queste, si segnalano le esperienze dei detenuti coinvolti dal consorzio Rebus (cooperativa Giotto), che, grazie alla cosiddetta legge Smuraglia che consente l’ingresso delle cooperative sociali per il lavoro nelle case di reclusione, ha raggiunto livelli di qualità con il laboratorio di pasticceria e la produzione di gioielleria. L’iniziativa si concentra poi sul ruolo della detenzione nel nostro paese, a partire dalla costituzione (articolo 27 comma 3), che concepisce la detenzione come un percorso di rieducazione del condannato. Queste problematiche, di attualità nel panorama italiano, sono spesso dimenticate e poco o nulla viene fatto per attuare il disegno della costituzione. L’inaugurazione della mostra è attesa domani alle 17 a giurisprudenza (aula conferenze, via Verdi 53) e sarà preceduta dalla tavola rotonda "Il lavoro nelle carceri: dal detenuto all’uomo".

Cinema: "Cella 211" ovvero l'esperimento di Stanford si ripete

 

Coming Soon, 4 marzo 2010

 

C’è qualcosa, nel modo discreto e silenzioso in cui i titoli di testa appaiono e scompaiono nel giro di pochi istanti, sfumando tanto da lasciar quasi una scia di inquieta attesa dietro di loro, che fa immediatamente presagire il peggio. Avvertire un irrefrenabile desiderio di guardare e al tempo stesso chiudere gli occhi alle immagini successive. E c’è qualcosa, dell’altro, che sembra rintanarsi in quelle prime inquadrature che si aprono sul volto scavato, dall’espressione freddamente calma, di un uomo pronto a porre fine alle proprie sofferenze con un accurato taglio delle vene. Taglio sul quale la macchina da presa si sofferma e gioisce per più di un minuto, forse due, come a voler anticipare quel male che, ambiguo quanto incontrollato ed incontrollabile, finirà per propagarsi nell’animo di chi, seppur sopraggiunto dalle situazioni migliori, sarà inaspettatamente colui che darà il via alle situazioni peggiori.

Juan Oliver (Alberto Ammann) è il nuovo secondino di un carcere di massima sicurezza. Per fare subito una buona impressione sui suoi superiori, si presenta al lavoro con un giorno d’anticipo, lasciando a casa una moglie innamorata ed ormai incinta di sei mesi. Durante una visita del braccio che rinchiude i detenuti più temibili, vengono lui illustrate le procedure esatte con le quali questi ultimi sono spogliati di ciascun oggetto potenzialmente pericoloso prim’ancora di esser confinati in cella, quando il frammento di intonaco di una parete in via di ristrutturazione cade e lo colpisce dritto in testa. Nel tentativo di rianimarlo, un paio di guardie lo distendono temporaneamente in una cella vuota, la 211, ma nel medesimo momento si rendono conto del fatto che qualcosa, nel braccio, si sta muovendo. È Malamadre (Luis Tosar): già responsabile di una tumultuosa rivolta avvenuta in un’altra prigione, è adesso il leader di una nuova sommossa organizzata all’interno della sezione, fortunatamente isolata dal resto del penitenziario. Abbandonato sul posto dalle due guardie, Juan si risveglia poco dopo, ancora intontito, nel bel mezzo del caos. Giovane ed intelligente, comincia a togliersi di dosso cintura, lacci delle scarpe, documenti e fede nuziale. E, non appena gli viene chiesto, dice di essere l’ultimo prigioniero della cella 211.

Il trucco è vecchio, l’atmosfera non delle più favorite, forse; la combinazione tra i due elementi, però, è altamente invidiabile. Siamo all’ennesimo scambio di ruoli tra guardie e detenuti, ma Cella 211 (Celda 211) dimostra di saper giocare bene le sue carte. E se nel 2001 Oliver Hirschbiegel, scuola tedesca, dirigeva un film la cui sceneggiatura non originale era basata sull’esperimento carcerario di Stanford, Daniel Monzón, scuola spagnola di impronta amenábariana (vedi Apri gli occhi) / almodóvariana (vedi Carne tremula), ripropone lo stesso, insano giochetto. Così, alla stessa maniera, se The Experiment - Cercasi cavie umane vedeva protagonisti dei volontari che, in cambio di quattromila marchi, si prestavano a dividersi in guardie e detenuti in una finta prigione per due settimane, Cella 211 assorbe e riutilizza la psicologia presupposto di un esperimento mal riuscito (con un bilancio di due morti e numerosi feriti da entrambe le parti) per trattare un argomento delicato ed attraente al contempo. Arrivato a quel punto, l’occhio della telecamera documenta, senza mai interpretare direttamente, il dilemma della corruttibilità dell’animo umano, ponendo particolare enfasi sull’attimo in cui Juan non ha più niente da perdere, e finendo col giustificare le sue azioni-reazioni con il delirio di onnipotenza che appare pervadere la mente dei secondini, a loro volta accecati da quella piccola fetta di potere che può procurar loro una divisa od il semplice stare dall’altra parte delle sbarre.

Vincitore di ben otto Premi Goya, uno dei riconoscimenti cinematografici maggiori e celebratissimi in Spagna, probabilmente tra i migliori "filtri" per un cinema serio e di genere assieme al Sundance Film Festival di Robert Redford, questo autentico e tutt’altro che pretenzioso lungometraggio d’autore si è aggiudicato il titolo di Miglior film spagnolo dell’anno, conquistando letteralmente la giuria nel vedersi conferire, inoltre, il premio di Miglior regia, Miglior attore, Miglior attrice non protagonista (Marta Etura), Miglior attore esordiente e Miglior sceneggiatura non originale (Monzón/Jorge Guerricaechevarria). Data di uscita nelle sale italiane: 16 aprile 2010.

Immigrazione: l'ultima beffa, espulsi dopo richiesta di sanatoria

di Paolo Rumiz

 

La Repubblica, 4 marzo 2010

 

Come criminali comuni, magnaccia o spacciatori di droga. Gli immigrati che hanno fatto domanda di sanatoria ma in passato non hanno rispettato un decreto di espulsione vanno rispediti a casa.

Non ovunque, ma così, come gira agli uffici stranieri delle questure. Qua e là, alla chetichella, partendo dalla provincia, che nessuno mangi la foglia in anticipo. Uno sì e l’altro no, in modo che tutti restino col fiato sospeso. Funziona così la sanatoria Maroni: inflessibile in alcune province, a maglie larghe altrove. Una dicotomia interpretativa che colora la carta d’Italia come le chiazze del morbillo.

Durezza a Trieste, Rimini, Perugia. Clemenza a Milano, Venezia, Bologna e in altre province. Incertezza ovunque, di conseguenza. La voce si è sparsa e gli immigrati si scoprono a bagnomaria, con un contratto regolare in mano ma senza sapere ancora se saranno espulsi o no. In gran parte africani, gli stessi che la mafia ha preso a fucilate a Rosarno. I più visibili, quelli espulsi più di frequente, dunque più ricattabili e di conseguenza a costo più basso sul mercato del lavoro. L’incertezza del diritto in Italia la vedi sulla pelle degli stranieri.

La storia si gioca negli ultimi sette mesi, da quando parte la sanatoria Maroni. A monte, la contraddizione insita nella precedente legge Bossi-Fini, che all’articolo 14 individua nella mancata ottemperanza all’espulsione l’unico reato veniale del codice per il quale è previsto l’arresto obbligatorio. Come dire: non hai fatto niente, ma ti ficco dentro lo stesso. Di fronte a questa incertezza del diritto, molte organizzazioni vogliono vederci chiaro. I condannati per mancata obbedienza al decreto di espulsione possono fare domanda, sì o no?

La Confartigianato di Rimini per esempio, città che in seguito vedrà espulsioni, pone il quesito al Viminale. Ottiene circostanziata risposta ufficiale via mail in 48 ore: la richiesta si può fare. Data: 23 settembre 2009. Anche il buon senso dice che non può essere altrimenti. Che cosa si deve sanare se non una precedente illegalità? Che senso avrebbe impedire la legalizzazione di coloro che sono stati illegali? Insomma: lasciate che le pecorelle vengano a noi con fiducia.

Tutto sembra mettersi bene. Il ministero raccomanda alle prefetture, che devono istruire le domande, di lavorare con larghezza. Ovunque si instaura un clima di efficienza ecumenica. Traduttori, mediatori culturali, rispetto. L’Italia sembra improvvisamente un altro Paese. Ma attenzione: la raccomandazione del Viminale non avviene per iscritto ma con telefonate dirette a ogni prefetto d’Italia. L’elettore medio non deve sapere che questo governo tratta gli immigrati come persone.

Ma i prefetti non si formalizzano e la macchina s’avvia. Scatta l’emersione. Decine di migliaia di stranieri escono dalle catacombe, trovano datori di lavoro per un contratto, spesso minimale ma sufficiente. Pagano l’Inps e le varie tasse di regolarizzazione. Firmano montagne di carte. Fanno lo stesso i cittadini italiani che li hanno assunti. Ma l’ultima parola spetta alla questura, che deve controllare la fedina degli stranieri.

E qui il clima cambia di colpo. Alcune questure convocano gli immigrati, comunicano il respingimento della domanda e, contestualmente, il decreto di espulsione. Il pollo è lì, si è auto consegnato con i documenti in mano, e viene caricato su un aereo. La sua colpa è appunto quella individuata dalla Bossi-Fini: avere ignorato la condanna all’espulsione. Il tutto gli viene spiegato senza preavviso prefettizio e senza dar tempo al malcapitato di consultare un legale. Via subito. Il caso di Trieste.

La voce gira, e gli immigrati si organizzano, cercano patrocinio legale. Alcuni consegnano i passaporti ai loro datori di lavoro, non si sa mai. Tutti fiutano il trappolone, temono che la larghezza iniziale sia stata propedeutica alla chiusura successiva. E intanto partono nuove domande al Viminale. Il giornale di Trieste, per esempio, segnala la cosa al ministro, il quale risponde, ma con un appunto anonimo, cioè senza firma, compilato dalla stessa questura.

C’è scritto: la condanna per mancata obbedienza all’espulsione è da considerarsi reato grave, tant’è vero che comporta arresto obbligatorio. La cacciata dall’Italia è dunque legittima.

L’esatto contrario di quanto sostenuto ufficialmente il 23 settembre. Ora nemmeno al ministero ci capiscono più niente. Gli uffici cui fanno capo le prefettura ignorano quanto pensano e fanno al piano di sopra gli uffici delle questure. Il marasma è tale che le stesse questure chiedono istruzioni, vedi Pavia e Alessandria. E il ministro risponde con appunti senza firma perché non può sostenere un nonsenso e contraddirsi.

"Noi applichiamo la legge" dichiara il questore di Trieste, il quale peraltro aggiunge subito dopo che il reato in questione "può rientrare" tra quelli ostativi alla concessione della sanatoria. "Può rientrare", si badi bene: non "rientra". Dunque quell’interpretazione è, per sua stessa ammissione, facoltativa. Ed è quanto avviene, per l’appunto, in giro per l’Italia. Chi vuol mostrare i muscoli col ministro espelle; gli altri no. E le prefetture, laddove subalterne alle questure, si adeguano all’anarchia interpretativa. Sulla quale sarebbe ora che il ministro si pronunciasse in prima persona, in nome dello stato di diritto.

Angola: Governo punta su formazione e reinserimento detenuti

 

Agi, 4 marzo 2010

 

L’ammodernamento dei penitenziari dell’Angola è una priorità del ministero dell’Interno. Lo ha detto il viceministro competente, Josè Bamoquina Zau, durante una visita nella provincia di Kwanza Norte. "La costruzione di nuovi penitenziari - ha detto Zau - la formazione accurata delle risorse umane, il miglioramento dei servizi e l’adozione di politiche di formazione e reinserimento dei prigionieri sono le priorità del ministero per il 2010".

Parlando all’inaugurazione dell’anno giudiziario Zau ha spiegato che un’attenzione particolare sarà posta sui servizi sanitari nelle prigioni. Zau, inoltre, ha fatto appello "all’unione degli sforzi di tutta la società per sostenere il reinserimento sociale dei detenuti e a ricordato che questa è la condizione necessaria per scongiurare recidive. Per queste ragioni i detenuti saranno impiegati in attività sociali, come elemento centrale del reinserimento e con vantaggi indubbi per le persone e per la società".

 

 

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