Rassegna stampa 31 marzo

 

Giustizia: no piano carceri, escano i detenuti tossicodipendenti

di Achille Saletti (Presidente Associazione Saman)

 

Terra, 31 marzo 2010

 

All’interno di una vastissima produzione di piani (casa, alberi, Marshall per il medio oriente etc.) l’attuale governo ha varato, tramite il Ministro della Giustizia Alfano, il nuovo piano carceri. Il verbo "varare" risulta essere un termine impegnativo, perché in realtà, si limita ad un annunciato costellato di buone intenzioni. Diventa utile in ogni caso capire come i governi affrontino le situazioni emergenziali, con quali strumenti, con quale propaganda e con quali risultati.

In buone sostanza l’idea di Alfano si limita a prevedere la costruzione di nuove carceri, e nello specifico di nuove strutture (sorta di padiglioni) all’interno degli spazi comuni che vengono adibiti, normalmente, alla socializzazione dei detenuti. Parlo dei campi da calcio o degli impianti sportivi di cui le carceri di ultima generazione (quella dello scandalo c.d. delle carceri d’oro) sono dotati. Voglio tralasciare il fatto che una protesta, rispetto a questo piano, è già piovuta sul tavolo del Ministro da parte della rappresentanza dei Direttori delle carceri i quali asseriscono di non essere mai stati consultati. Sarebbe sparare sulla croce rossa voler fare una riforma del pianeta carcere senza nemmeno ascoltare i diretti interessati. Quindi vado oltre.

Il Ministro Alfano ha indicato l’eventuale nuova capienza di queste nuove costruzioni in 20.000 nuovi posti letto. Ma esiste un’emergenza? Sicuramente sì. Gli indici di cancerizzazione dell’Italia, in linea con gli indici europei, ci impongono una cifra precisa: il numero di nuovi ingressi in carcere al mese si aggira intorno ai 750 - 800 detenuti in più.

In un anno, al netto anche delle scarcerazioni, il presunto beneficio dei nuovi posti letto sarebbe annullato. Sempre da fonte del Ministero sarebbero affidate alla Protezione Civile, con gare di appalto rapide, la costruzione e la consegna chiavi in mano. I tempi previsti si stimano in diciotto mesi. La matematica non è una opinione e i nuovi posti nei prossimi diciotto mesi sarebbero, interamente prenotati dall’esercito crescente di poveracci (tossicodipendenti, immigrati, psichiatrici) che affollano sempre maggiormente le nostre patrie galere.

Tutto questo appare rassicurante per le note paure di chi mal tollera la sofferenza, ma poco incisivo come risultati. Oltre all’aspetto aritmetico sopra evidenziato vi è un aspetto, non affatto secondario, che riguarda gli organici di chi già adesso lavora in carcere e, a maggior ragione, dovrà lavorare in futuro. Riguarda, in pratica, i concorsi degli agenti penitenziari che da anni non si fanno (per le note vicende economiche del paese Italia) e che, allo stato attuale, causano ripetuti malumori all’interno del corpo con innumerevoli grida di allarme per una difficile situazione lavorativa. Nelle carceri che scoppiano di detenuti scoppiano anche gli agenti per un problema di carenza d’organico.

Si aggiunga, ma forse sembrerà di poca importanza, che i padiglioni verrebbero costruiti negli spazi oggi adibiti ad attività varie (sport, di socializzazione ecc). Ciò renderà ancora più dura la vita in carcere sia dei detenuti sia degli agenti che quanto meno in quelle due ore d’aria passate a giocare a calcio o a camminare, possono rifiatare. Infine il costo: sarà anche il buon Bertolaso ad occuparsene ma costruire costa e costa anche mantenere.

Proposta alternativa: un terzo dei detenuti presenti nelle carceri italiane sono tossicodipendenti, la maggior parte dei quali detenuta per reati di poco conto. In numeri sono oltre 25 mila persone parte delle quali, se si volesse, potrebbero uscire ed essere accolti nelle comunità terapeutiche. Il costo per 20.000 detenuti in Comunità si aggirerebbe intorno ai 200 milioni di euro l’anno, costo alto ma di gran lunga inferiore alla costruzione di 20.000 posti letto in più con tutti gli oneri che deriverebbero. Perché non si vuole fare? Ho delle idee in proposito ma preferirei che fossero i vostri commenti a suggerirne delle altre.

Giustizia: Alfano; interverremo anche con strumenti straordinari

 

Apcom, 31 marzo 2010

 

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha inviato un messaggio al segretario del Sappe Donato Capece in occasione del XXI congresso del principale sindacato di polizia penitenziaria. Il Guardasigilli sottolinea "l’emergenza attuale legata al sovraffollamento", la necessità di "diversificare il sistema sanzionatorio" ed elogia l’operato del corpo penitenziario. "Sin dall’origine dal mio mandato - scrive Alfano - ho prestato massima attenzione al pianeta carcere, ben consapevole dell’encomiabile spirito di servizio con il quale tutto il personale della Polizia penitenziaria, egregiamente affiancato da dirigenti e dai dipendenti dall’intero Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ne ha fino ad oggi garantito il funzionamento, tra mille difficoltà di tipo logistico ed operativo. Una realtà complessa nella quale l’attuale Governo intende investire anche attraverso il ricorso a strumenti straordinari già approvati, ad onta delle attuali difficoltà economiche connesse alla negativa congiuntura economica internazionale".

"Pur tuttavia ho sempre elogiato l’operato di quanti, nonostante la scarsità degli organici di personale e di mezzi, sono riusciti ad instaurare un clima di tolleranza e rispetto. conscio dell’emergenza attuale, legata al sovraffollamento penitenziario, diventa evidente come gli attuali problemi non si superano costruendo solamente nuove carceri, ma diversificando il sistema sanzionatorio. Ciò non corrisponde solo ad esigenze umanitarie, ma alla prospettiva di una prevenzione più efficiente.

Giustizia: Osapp; piano carceri? ma Dap è sommerso dai debiti

 

Il Velino, 31 marzo 2010

 

"Altro che piano carceri da un miliardo e mezzo di euro in tre anni, di cui 700 milioni solo nel 2010. Le amministrazioni penitenziarie periferiche hanno accumulato debiti con le società di carburanti per centinaia di migliaia di euro negli anni scorsi, soprattutto in regioni essenziali quali Lazio, Piemonte e Sicilia, vista la riduzione dei bilanci del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di oltre il 40 per cento. Sempre più spesso i gestori dei distributori chiedono agli agenti di polizia penitenziaria di pagare di tasca il rifornimento dei mezzi del corpo".

A dirlo è il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria), Leo Beneduci che prosegue: "Rispetto a un’eccezionale disponibilità di fondi per l’edilizia - prosegue Beneduci - presto non sarà più possibile trasportare i detenuti da un istituto all’altro, alle aule di giustizia o verso gli ospedali, a meno che il personale non provveda con mezzi propri e, come per i carburanti nonostante che l’anno sia appena iniziato, cominciano scarseggiare i fondi per le missioni e per le prestazioni straordinarie che, causa il sovraffollamento e la carenza di personale, i poliziotti penitenziari effettuano in misura pari al 25 per cento del lavoro ordinario.

Troveremmo del tutto irreale che si vogliano costruire nei prossimi mesi 9.650 nuovi posti per i detenuti e 21.700 posti in più nel triennio sapendo che mancano i soldi per trasportare i reclusi da una sede all’altra o per poterli curare in caso di malattia o per pagare il personale che deve lavorare ben oltre gli orari d’obbligo, se non fosse quella della mano destra che non conosce i problemi della mano sinistra, una principali caratteristiche dell’amministrazione penitenziaria negli ultimi due anni. Per questo - conclude il segretario dell’Osapp - stiamo chiedendo da tempo a gran voce che il capo del Dap Ionta vada a fare il commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria da un’altra parte e lasci ad altri l’incarico di gestire un’amministrazione sull’orlo del fallimento".

Giustizia: in Corte d'Assise tutti i reati di "grave allarme sociale"

 

Il Sole 24 Ore, 31 marzo 2010

 

Sì definitivo all’unanimità da parte della Camera al decreto che definisce le competenze dei tribunali e delle Corti d’assise in merito a procedimenti per reati di "grave allarme sociale" voluto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano per impedire l’annullamento di una serie di processi di mafia.

Il provvedimento di 4 articoli si è reso necessario dopo che la Cassazione, con una sentenza di febbraio, aveva aperto la strada al possibile annullamento di processi che vedevano imputati importanti boss mafiosi. Si tratta di processi che sono celebrati nei tribunali, ma in base alle nuove norme antimafia, come sottolinea la sentenza della Cassazione, dovrebbero tenersi solo davanti alla Corti d’assise che sono competenti per i reati che prevedono l’ergastolo o la reclusione oltre i 24 anni.

In sostanza il provvedimento mantiene ai tribunali la competenza a decidere sui reati di mafia in modo da evitare l’azzeramento di alcuni processi e la conseguente scarcerazione di imputati eccellenti della criminalità organizzata. Accanto alla conferma della competenza dei tribunali, però, il decreto approvato ieri allarga il perimetro dei reati attribuiti alla Corte d’assise, accogliendo in questo senso una delle misure che il ministero della Giustizia aveva previsto nel più ampio disegno di riforma della procedura penale in discussione al Senato anche su pressione della Lega Nord che intende dare maggiore spazio alle uniche corti che vedono la partecipazione di giudici popolari.

Così, alla Corte d’assise sono assegnati i delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore a 24 anni. Con l’esclusione dei delitti, comunque aggravati, di tentato omicidio, di rapina, di estorsione e di associazioni mafiose anche straniere e i reati comunque aggravati inseriti nel Testo unico sulla disciplina degli stupefacenti. Come pure sotto la competenza esclusiva delle Corti d’assise sono destinati a finire i reati di riduzione in schiavitù e di tratta di persone e i reati di terrorismo, tutte le volte che la pena sia superiore a dieci anni di detenzione.

Lettere: Comitato educatori penitenziari si appella ai Sindacati

 

Lettera alla Redazione, 31 marzo 2010

 

A tutte le Associazioni Sindacali di categoria, Comparto Ministeri Dipartimento Amministrazione Penitenziaria.

Egregio Segretario, in occasione dell’incontro che si terrà il 7 aprile p.v. tra il Ministro della Giustizia e le OO.SS., al fine di acquisire suggerimenti sul piano dell’edilizia penitenziaria e sulle modalità della sua gestione in particolare all’interno di strutture già esistenti, chiediamo che, ancora una volta, in tale occasione Lei voglia farsi latore di questa nostra, ricordando al Ministro che, visto il crescente numero di ingressi in carcere, gli altrettanti suicidi, gli atti autolesionistici e le numerosissime denunce provenienti da operatori penitenziari e non, il primo problema da affrontare è l’emergenza del sovraffollamento in cui versano le nostre carceri e che il primissimo, urgentissimo e ormai improcrastinabile passo da muovere è quello dell’assunzione di ulteriori unità di educatori penitenziari.

È ormai terminato il tempo degli annunci ed è giunto il momento di affrontare, il problema del sovraffollamento partendo proprio dalla componente umana per poi passare eventualmente a problematiche di carattere strutturale. Infatti, vogliamo anche ricordare che, come emerso da un articolo pubblicato su www.girodivite.it del 20 gennaio 2010, in Italia esistono ben 40 istituti non utilizzati o occupati per una minima parte come ad esempio - citiamo testualmente - "ad Agrigento la sezione femminile che potrebbe ospitare cento detenute ne contiene solo sei! A Pinerolo c’è un carcere chiuso da dieci anni, ma è stata già individuata l’area ove costruirne uno nuovo; a Mantova il carcere è in costruzione da 17 anni; a Codigoro il carcere è pronto dal 2001, ma non viene utilizzato; a Pontremoli l’istituto femminile è pronto dal 1993 ma attualmente chiuso; ad Ancona 180 posti sono stati inaugurati nel 2005 e oggi ci sono solo 20 detenuti. E poi ancora in Abruzzo, vicino a Pescara, dove c’è un carcere pronto da 15 anni ed oggi utilizzato solo da cani, pecore e mucche; a Monopoli dove il carcere è occupato abusivamente da famiglie di sfrattati e potremmo continuare ancora per molto senza dimenticare Gela dove il carcere è stato progettato nel 1959 e terminato nel 2007."

Senza contare, poi, che la costruzione di altre carceri richiederebbe un certo numero di anni e quindi non si farebbe altro che creare una nuova "carceri d’oro" senza risolvere minimamente nell’immediato il problema dei detenuti.

Siamo, dunque, fermamente convinti che data l’esistenza già di queste strutture debba essere attuata una seria indagine ricognitiva dell’esistente che potrebbe essere riattato, qualora fosse necessario, con una spesa sicuramente inferiore rispetto ad una costruzione ex-novo e pertanto si potrebbe e si deve procedere immediatamente all’ assunzione di ulteriori unità di educatori. Tali assunzioni è quanto questo Comitato e numerosissimi parlamentari, operatori del settore, esperti, giuristi e associazioni vanno chiedendo da parecchio, a cui però è stata data una frettolosa e superficiale risposta dall’On. Caliendo all’interrogazione parlamentare n. 5-02550 dell’On. Ferranti e altri, il quale ha asserito l’impossibilità di effettuare altre assunzioni a causa di una mancanza di fondi ed ha nuovamente rimandato la questione al prossimo anno, qualora ci fossero fondi utilizzabili a tali scopi.

Simile risposta, che scarica ad un indefinito futuro e ad una fortunosa quanto mai improbabile concomitanza di eventi che si dovrebbero tra loro casualmente combinare affinché si possa almeno cominciare a pensare di assumere proprio coloro che la giurisprudenza vuole fautori dei processi rieducativi, non può costituire la risposta seria di un Governo che ha la volontà di affrontare scientemente, celermente e definitivamente le questioni del pianeta carcerario.

Riteniamo, infatti, che rispetto alla stessa denuncia circa lo stato emergenziale delle carceri italiane fatta da quel medesimo Governo che poi nega l’assunzione proprio degli educatori argomentando con una penuria economica non possa reggere, poiché se si vuole, come abbiamo appena suggerito, i fondi ci sono e sono ricavabili da più parti!

Inoltre, nelle intenzioni dello stesso Ministro Alfano vi è un ampliamento del ricorso alle misure alternative al carcere, dunque ci chiediamo come farà a garantirne l’accesso visto che lo spartissimo numero di educatori in servizio non riesce neanche ad espletare almeno colloqui regolari? A chi affiderà la realizzazione materiale delle necessarie relazioni per attivare tali misure, oltre ad un certo iter ad esso connesse, di spettanza agli educatori? Come sarà possibile assicurare a ciascuno detenuto un progetto educativo di reinserimento valido e condiviso se il rapporto educatori/detenuto è di 1:1000?

Ma c’è un fatto ancora più tragico e grottesco, poiché proprio in questo periodo di estrema emergenza nelle carceri, veniamo a conoscenza che è stato approvato dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato, un emendamento sul ddl n. 1955, volto alla conversione in Legge del Dl 194-2009, in cui si stabilisce la riduzione del 10% delle dotazioni organiche della PA, che ovviamente andrà ad investire anche la già esigua pianta organica degli educatori.

Pertanto, l’estrema chiarezza dei fatti e degli intenti del Governo, fa sorgere un’altra miriade di domande e perplessità, purtroppo sempre più pesanti, ma soprattutto restiamo basiti rispetto alla ritrosia all’assunzione proprio di quella figura professionale che rappresenterebbe il primo è più naturale e giusto atto concreto che un Ministro possa realizzare nell’ottica di un repentino miglioramento dell’attuale condizione emergenziale, qualora si voglia procedere nel rispetto dell’ articolo 27 della nostra Costituzione.

Alla luce di quanto appena esposto, il Comitato vincitori e idonei del concorso per educatori penitenziari, senza più indugio o vacuo proclama, visto il riconoscimento dell’esattezza di quanto sostiene anche da parte dello stesso Ministro Alfano che con l’approvazione di ben cinque specifiche mozioni nei giorni 11 e 12 gennaio 2010 - in particolare la n. 1-00301 a firma dell’On. Di Stanislao - , conveniva con le richieste da noi presentate,

Chiede

1) l’assunzione immediata di ulteriori unità di educatori almeno fino a completare la già esigua pianta organica prevista per tale profilo professionale, attingendo tali educatori dagli idonei della vigente graduatoria risultata dal concorso indetto con PDG 21 novembre 2003 e bandito nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 16 aprile 2004, affinché anche costoro possano partecipare ai previsti corsi di formazione che il DAP deve attivare per questi operatori prima dell’ ingresso nelle carceri a cui sono destinati, onde evitare sprechi di danaro per doverli riattivare in seguito;

2) che tutto l’iter per l’assunzione degli educatori al punto 1 venga investito della massima urgenza e celerità;

3) un concreto impegno fin da ora che all’atto della sua scadenza venga prontamente prorogata di almeno un quinquennio la validità della graduatoria di merito del concorso citato al punto 1 - stando agli odierni orientamenti dettati dal Ministro Brunetta e del progetto di legge 2462 presentato il 21 maggio 2009, nonché alle disposizioni in materia di razionalizzazione delle spese pubbliche in vigore- per permetterne un graduale scorrimento parimenti all’avvicendarsi dei fisiologici turnover pensionistici, al fine di evitare l’indizione di nuovi concorsi per il medesimo profilo che comporterebbero inutili oneri pubblici;

4) che venga bloccato il processo per la citata riduzione degli organici della P.A.

Certi dello spessore umano, della sensibilità e della professionalità con cui accoglierà queste nostre imprescindibili richieste, oggettivamente indispensabili per affrontare l’emergenza in atto nel mondo carcerario, confidiamo in un Suo celere interessamento e restiamo in attesa di risposta.

 

Avv. Anna Fasulo

Comitato vincitori e idonei concorso educatori

Bergamo: detenuto ucciso dalla malasanità e per malagiustizia

 

Ristretti Orizzonti, 31 marzo 2010

 

Rita Bernardini, deputata radicale eletta nelle liste del Pd, membro della Commissione Giustizia della Camera, ha presentato una interrogazione al Ministro della Giustizia sul caso di Angelo Musolino.

Angelo Musolino, cinquantenne, è stato rinchiuso nel carcere di Bergamo fino al 2 febbraio 2009. Nel maggio 2009 il detenuto ha cominciato ad accusare forti dolori alla schiena che, secondo i medici, erano dovuti al formarsi di un grumo di grasso o ad una lipoma. Le richieste della difesa - sottoporre il detenuto ad una Tac ovvero ad accertamenti medici più approfonditi - non sono mai state prese in considerazione.

Solo poco prima di Natale 2009, ossia a distanza di molti mesi dalla comparsa della malattia, il giudice della cautela ha deciso di sottoporre il signor Musolino ad una visita specialistica con la quale è stato purtroppo appurato che i dolori lamentati dal detenuto erano prodotti non da un semplice lipoma ma da una vera e propria neoplasia polmonare. Oltre al danno anche la beffa: a causa delle tardive visite specialistiche e della mancanza di ogni terapia protrattasi per moltissimi mesi, la neoplasia polmonare si era infatti estesa enormemente divenendo inoperabile.

La diagnosi svolta dalla azienda ospedaliera San Paolo, quinta divisione di medicina interna, ha riscontrato infatti l’esistenza di un "carcinoma polmonare non a piccole cellule con metastasi, epatopatia cronica HCV correlata". Angelo Musolino è morto giovedì 25 marzo all’ospedale di Lecco a soli 51 anni. "Probabilmente quella di Angelo Musolino non verrà ricompresa - come tante altre - nel numero delle morti prodotte dal carcere, così da non appesantire le tristi statistiche frutto di un ambiente, quello carcerario, che - a termini di legge - non ha i requisiti minimi di abitabilità e a cui spesso si aggiunge, come in questo caso, la falce della malasanità e della malagiustizia.

Angelo Musolino, detenuto in attesa di giudizio, non ha infatti beneficiato di una corretta ed adeguata assistenza sanitaria, il che ha probabilmente reso inevitabile il suo decesso. Sulla vicenda ho depositato qualche settimana fa una interrogazione a risposta scritta chiedendo al Ministro della Giustizia e al Ministro della Salute "quali iniziative intendano assumere per accertare se al signor Musolino sia stato consentito di sottoporsi tempestivamente a visite medico-specialistiche nonché di potersi adeguatamente curare e se nel caso di specie non sia stato negato al detenuto l’inalienabile diritto alla salute che appartiene ad ogni essere umano al di là dei delitti presuntivamente commessi".

Ho inoltre chiesto al Governo "quali iniziative intenda promuovere o adottare, nell’ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare che in sede di attuazione del riordino e del trasferimento delle funzioni in materia di sanità penitenziaria, siano tenute in adeguata considerazione le esigenze di assistenza dei detenuti che si trovano nelle condizioni del signor Angelo Musolino".

Al mio atto di sindacato ispettivo i Ministri interrogati non hanno ancora dato alcun tipo di riscontro, eppure dovrebbero sapere che le ripetute e gravi violazioni dei diritti delle persone private della libertà personale costituiscono di per sé una violazione grave e persistente di molte norme costituzionali nonché di tutti i più importanti principi ispiratori del nostro ordinamento giuridico.

Per quanto tenti di "non vedere, non sentire e non parlare", è necessario che il Governo prenda fin da subito urgenti iniziative in merito alla tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, soprattutto del loro diritto alla salute. Quand’è che oltre a guardare i nostri governanti decideranno di agire?"

Teramo: indagine su pestaggi; magistrato chiede archiviazione

 

Redattore Sociale, 31 marzo 2010

 

Una registrazione a novembre incolpava il comandante e quattro agenti di polizia penitenziaria. Il sostituto procuratore Mancini: "L’omertà in carcere ha impedito di raccogliere prove indispensabili per arrivare al processo".

Cinque mesi fa in una registrazione audio, pubblicata dal giornale on-line "la Città" il 2 novembre scorso, veniva riportato il dialogo tra agenti di polizia penitenziaria e il loro comandante, Giuseppe Luzi, sull’avvenuto pestaggio di un detenuto nel carcere di Teramo. Allora la notizia fece il giro del paese e scandalizzò l’opinione pubblica tanto che lo stesso ministro della Giustizia Angiolino Alfano chiese la sospensione del comandante. Oggi i giornali locali hanno riportato la notizia della richiesta di archiviazione sull’inchiesta ai danni di quattro agenti insieme al comandante, indagati per abuso, omissioni e lesioni. Tale richiesta è arrivata da colui che ha seguito l’indagine, il sostituto procuratore David Mancini, che però ha denunciato un’omertà carceraria che, di fatto, avrebbe impedito di raccogliere prove indispensabili per arrivare al processo. Il magistrato ha parlato di un silenzioso codice di comportamento carcerario in vigore tra i detenuti che ha imposto di non riferire alle autorità quello che succede in cella.

Nella registrazione incriminata si sentivano le voci di alcuni agenti che dicevano:"Non lo sai che ha menato al detenuto in sezione?", dice uno, e l’altro: "Io non c’ero, non so nulla". Il tono di voce cresce: "Ma se lo sanno tutti?" Pochissimi secondi e poi parla il comandante, Giuseppe Luzi: "In sezione un detenuto non si massacra, si massacra sotto". E ancora: "Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto?".

Il testimone era Uzoma Emeka, morto purtroppo un mese dopo in carcere, stroncato da un tumore al cervello che nessuno ha diagnosticato. Così senza testimoni e con l’omertà degli altri detenuti, sono cadute le accuse agli agenti e allo stesso Luzi che sentito dal magistrato sulle registrazioni, ha ammesso i colloqui registrati, ma ha sostenuto che quelle frasi vanno interpretate in un contesto di forte tensione.

Nella richiesta di archiviazione il magistrato ha sostenuto che le dichiarazioni del comandante diano l’idea del clima di agitazione esistente in quei giorni e del fatto che egli sia intervenuto per evitare che la vicenda degenerasse. Ma sempre il pm ha sottolineato come tale affermazione contrasti quanto dichiarato dalla presunta vittima della violenze, l’unico ad essere ancora indagato per percosse ad un agente, che sostanzialmente ha negato tutto. E così anche gli altri agenti indagati hanno respinto ogni accusa, anche se, secondo Mancini, le contraddizioni evidenziate sia dagli agenti e sia da Luzi farebbero dubitare della veridicità delle loro versioni.

Firenze: dalla provincia 370 mila euro per formazione detenuti

 

Iris, 31 marzo 2010

 

La Provincia di Firenze mette a disposizione 370 mila per la formazione dei detenuti all’interno della casa Circondariale di Sollicciano e dell’Istituto Penale minorile Meucci. Il contributo sarà erogato attraverso un bando che sarà pubblicato domani sul sito della Provincia.

Nel dettaglio, il finanziamento prevede: 84 mila euro dedicati alla formazione per l’edilizia, per l’elettricità, la termoidraulica e la falegnameria e 28 mila euro per interventi sulle professionalità informatiche, entrambi i progetti riguardano per i detenuti di Sollicciano. Per le donne detenute invece sono previsti 22 mila euro dedicati alle professionalità nel settore dell’igiene ambientale. Oltre ad uno stanziamento di 45 mila euro a sostegno di interventi formativi rivolti ad ex detenuti prevalentemente nel settore dell’agricoltura.

Inoltre, per i detenuti dell’Istituto Penale minorile Meucci sono stati messi a disposizione: 84 mila euro per la formazione per l’edilizia, per l’elettricità, la termoidraulica e la falegnameria; 54 mila euro per interventi formativi sulla gelateria artigianale. Infine, un sostegno di 52 mila euro per i detenuti della Casa Circondariale Mario Gozzini, finalizzati alla formazione per l’edilizia ed impiantistica.

Tutti i dati sono stati resi noti dal Presidente della Provincia Andrea Barducci e dall’assessore provinciale alla formazione e lavoro, Elisa Simoni a seguito di una vista all’istituto penitenziario fiorentino. "L’incontro - ha dichiarato il Presidente Barducci - è servito a discutere e confrontarsi su come rafforzare il rapporto tra il carcere e le Istituzioni e su come mettere in atto interventi formativi davvero rispondenti alle esigenze dei detenuti e al loro reinserimento lavorativo".

"La Provincia di Firenze - ha spiegato l’assessore Simoni - ha individuato la formazione all’interno delle carceri fiorentine come elemento centrale per la costruzione di alternative alla condizione detentiva ed alla pena. Il lavoro e la formazione sono strumenti irrinunciabili per dare un significato vero all’azione di recupero e di reinserimento sociale da assicurare alle detenute e ai detenuti e a coloro che fuoriescono da tale condizione e devono ricostruirsi una vita. È fondamentale utilizzare al meglio il tempo di pena e costruire un rapporto più incisivo tra carcere e territorio".

Gli interventi tengono conto della tipologia di utenza, dell’età, della nazionalità e della durata della pena. I detenuti che partecipano ai corsi dovranno essere scelti sulla base di incontri e di iniziative di informazione, motivazione e orientamento che li indirizzeranno verso i percorsi più adatti alle loro capacità e aspirazioni e anche in relazione alle successive possibilità di inserimento lavorativo all’esterno del carcere.

Al momento i detenuti sono circa 970 di cui poco più di un centinaio donne. Il 67% è rappresentato da stranieri di varia nazionalità: il 60% proviene dai Paesi del Nord Africa (Tunisia e Marocco), il 20% sono albanesi e comunque le nazionalità sono 59. Tra i 970 il 70% sono imputati e il resto sono definitivi, cioè già condannati. Il turnover è molto alto e questo rende difficile anche l’impostazione di percorsi formativi che abbiano continuità nel tempo. Ecco quindi che si rende necessaria una formazione flessibile e organizzata per moduli brevi.

Bologna: 11 detenuti fanno uno stage, e diventano operai edili

 

Redattore Sociale, 31 marzo 2010

 

Concluso il corso professionale gestito dall’Iple e finanziato dalla Provincia, con un "cantiere" interno alla Dozza. Tre carcerati sono stati assunti dal servizio di manutenzione dello stesso istituto di pena. A giugno parte un nuovo corso.

Undici detenuti, cinque stranieri e sei italiani, hanno seguito nel carcere bolognese della Dozza un percorso di formazione che li ha portati a ottenere il certificato di "operatore edile alle strutture". La qualifica regionale li aiuterà a reinserirsi nel mondo del lavoro una volta scontata la pena. Per la prima volta è stato possibile permettere ai detenuti di partecipare ad uno stage, con un "cantiere" interno al carcere durante il quale i detenuti hanno imparato a lavorare in sicurezza su opere in muratura. Tre di loro sono già stati assunti dal servizio di manutenzione interna della Dozza, per svolgere piccoli lavori di ristrutturazione.

Il progetto di formazione e reinserimento lavorativo "Dozza in cantiere" è stato gestito dai tecnici dell’Iple, l’Istituto professionale edile di Bologna, e finanziato dalla Provincia di Bologna attraverso il fondo sociale europeo. "Siamo un ente bilaterale - spiegano dall’Iple - cioè composto da rappresentanti sia delle imprese edili sia dei sindacati, e questo garantisce un reale collegamento con il sistema imprenditoriale. Inoltre il settore dell’edilizia è meno discriminante di altri per quanto riguarda la provenienza dei nuovi addetti, grazie al forte e continuo ricambio della manodopera".

I partecipanti al corso sono stati selezionati in base alle motivazioni individuali e alle indicazioni della dirigenza del carcere. Hanno potuto seguire lezioni teoriche e lavorare in pratica da muratori, durante lo "stage", sulle aree del carcere che avevano bisogno di piccole ristrutturazioni. Un nuovo corso di "Dozza in cantiere" è in programma già a giugno, sempre sotto la guida dei tecnici dell’Iple.

Vercelli: il laboratorio "Codiceasbarre" è modello di riferimento

 

La Stampa, 31 marzo 2010

 

L’impresa "Codiceasbarre" leader dell’abbigliamento. Con il nuovo nome di "Sigillo" verranno gestite tutte le commesse. Tra le prime realtà in Italia a parlare di imprenditoria femminile all’interno di un carcere, Codiceasbarre raggiunge ora uno dei traguardi più importanti della sua storia. Il suo metodo di fare impresa è stato scelto dal ministero della Giustizia come modello di riferimento per l’intero settore a livello nazionale, e oggi Codiceasbarre ha assunto la direzione nazionale di "Sigillo", il nuovissimo "marchio di qualità e garanzia" promosso dallo stesso ministero. Lo annunciano con il dovuto orgoglio Caterina Micolano, direttore generale del marchio, Ketty Politi dell’assessorato alle Pari opportunità del Comune (dal 2002 partner del progetto) e il direttore della casa circondariale di Vercelli Antonino Raineri.

"Le prime esperienze imprenditoriali certificate dal marchio "Sigillo" - spiega Micolano - sono, oltre a Codeceasbarre, Made in Carcere di Lecce, Gatti galeotti del carcere di Bollate e San Vittore e Papily Factory del carcere di Torino. Ogni realtà ha competenze diverse, ma tutte si occupano della lavorazione dei tessuti. C’è chi è specializzato in borse e chi in abbigliamento, chi guarda all’ecologia e chi al mondo del fashion, ma ogni impresa offre competenze e professionalità di alto livello, ed è pronta a farsi conoscere sul mercato dei gadget e del merchandising".

E, grazie a "Sigillo", tutte queste imprese sono ora pronte a crescere e a fare rete: "Insieme sarà più facile gestire le commesse e suddividerle tra le varie realtà. Già in questo momento, ad esempio, le sarte del laboratorio all’interno del carcere di Vercelli stanno smaltendo parte di una commessa arrivata alle colleghe di Lecce".

Codicesbarre, oltre alla direzione, offre al marchio competenze specifiche come quelle relative ai settori creatività, marketing e design. "Abbiamo un obiettivo ambizioso - conclude Micolano: oggi, su circa 2.800 donne detenute nelle carceri italiane, lavorano soltanto in 26 (4 a Vercelli). Vogliamo portare questo numero in un primo tempo a 40, e nel giro di tre anni, grazie anche alla creazione di quattro nuovi laboratori, a 60". Un’esperienza unica in Europa, di cui si parlerà anche alle Nazioni Unite.

Parma: Uil; organico insufficiente e condizioni lavoro disagiate

 

La Repubblica, 31 marzo 2010

 

Locali insalubri, tecnologie obsolete, condizioni di lavoro disagiate. Per il segretario generale della Uil Penitenziari Eugenio Sarno, che martedì ha visitato il carcere cittadino, la situazione per gli agenti della casa circondariale di via Burla non è delle migliori. Pur apprezzando "gli ampi spazi verdi", lo spaccio e il servizio di video conferenze, Sarno ha definito la caserma "in condizioni di precaria salubrità". E ha verificato personalmente quello che i lavoratori denunciano da tempo: l’organico è insufficiente rispetto al numero di detenuti. "A Parma - scrive Sarno in un comunicato - sono assegnate 391 unità. Di queste 391 ben 69 sono state destinate (per motivi vari) ad altre sedi. Al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti sono impiegate 38 unità (8 in distacco presso altre sedi). Ne deriva che la deficienza organica del reparto di polizia penitenziaria di Parma sia pari a circa il 32,8 %, ovvero una delle più alte in Emilia Romagna seconda solo a Castelfranco Emilia (-37%)".

Sulle condizioni delle strutture aggiunge: "Le stanze sono pervase da umidità e infiltrazioni di acque piovane". "Non a caso - continua - ben 25 stanze sono state dichiarate inagibili. I bagni sono al limite della sostenibilità in fatto di fruibilità. I sanitari sono vecchi e consumati. Le docce andrebbero sostituite e gli estrattori d’aria, nella quasi totalità, non funzionano. Considerato che si tratta di bagni senza finestre è ben comprensibile il disagio (non solo olfattivo) che recano tali disfunzioni. Il mobilio è di tipo "antico", ovvero del tipo in dotazione agli Agenti di Custodia. Nessuna stanza è arredata secondo i canoni previsti dall’Accordo Nazionale. Da alcuni mesi l’ascensore è fuori servizio per un guasto tecnico". "La palestra destinata al personale - aggiunge - non è agibile perché continuamente allagata dalle acque d’infiltrazione, che ne minano anche la stabilità strutturale. Pertanto la scarsa attrezzatura è stata delocalizzata in altro locale molto angusto e non idoneo allo scopo".

Da riqualificare, secondo il segretario, anche i locali di controllo all’ingresso, dove "i monitor ivi installati per il tele-controllo di aree perimetrali sono di vecchia tecnologia, obsoleti, in bianco e nero e non consentono una visione ottimale delle immagini". L’unità preposta al controllo dei mezzi in entrata ed in uscita, inoltre, scrive Sarno, "opera in condizioni di estremo disagio non potendo trovare ristoro e riparo dagli agenti atmosferici nell’esercizio di tali compiti".

"Tutte le sezioni - scrive ancora Sarno - sono costituite da 25 celle. In genere ad ogni piano (due sezioni) è preposta una sola unità di polizia penitenziaria per circa 100 detenuti da sorvegliare. Condizioni di lavoro,quindi, che determina insostenibili, carichi di lavoro e non garantiscono i livelli minimi di sicurezza nonostante trattasi di detenuti inseriti nei circuiti ad Alta Sicurezza. Purtroppo tale penalizzante situazione muta drammaticamente durante i turni notturni, al punto da poter essere considerata vessatoria. In tale orario, infatti, una sola unità deve attendere al controllo di due piani (quattro sezioni) per circa 200 detenuti. Pare utile sottolineare che i due piani sono fisicamente separati da alcuni corridoi ed hanno accessi diversificati". Per tutti questi motivi Sarno sollecita urgentemente chi di competenza a trovare una soluzione per le difficoltà operative della polizia penitenziaria.

Siracusa: l’inserimento lavorativo è l'arma i contro futuri disagi

 

Gazzetta del Sud, 31 marzo 2010

 

La parola ai medici specialisti nel corso della nuova riunione della Commissione speciale sulle carceri nata in seno al consiglio provinciale e presieduta da Carmelo Spataro, della quale fa parte anche il presidente dell’assise di via Laberinto, Michele Mangiafico.

All’appuntamento, infatti, svoltosi ieri mattina presso gli uffici provinciali di via Malta, la commissione ha ascoltato i direttori dei dipartimenti Asp di salute mentale di Siracusa, Augusta e Noto, rispettivamente Michele Lo Magro, Antonio Cappellani e Antonio Cappello. All’incontro ha partecipato anche Valeria Rubino, del dipartimento di Noto.

Alla riunione di ieri mattina - presieduta ancora una volta da Carmelo Spataro - hanno partecipato Michele Mangiafico e gli altri consiglieri Gino Gionfriddo, Alessandro Acquaviva, Paolino Amato, Nino Iacono e Luciano Spicuglia.

La riunione è cominciata con l’intervento del presidente della commissione, Carmelo Spataro, che ha informato gli ospiti sull’iniziativa che la Provincia regionale sta portando avanti per conoscere, a 360 gradi, la questione carceraria.

"Sulla vicenda - ha detto Carmelo Spataro - vogliamo accendere i riflettori della politica: vedremo concretamente che cosa potrà fare la Provincia regionale nei suoi organismi alla fine dei lavori di questa commissione, che si concluderanno con un consiglio provinciale informale al quale parteciperanno tutte le componenti interessate ed anche i deputati nazionali espressi da questa provincia".

L’aspetto più importante venuto fuori dall’incontro di ieri è che nelle carceri del territorio - contrada Cavadonna nel capoluogo, Noto e Piano Ippolito, vicino alla frazione marinara di Brucoli in territorio megarese - con particolare riferimento alla struttura di Brucoli, vi sono pochissimi casi di patologia psichica conclamata.

Esistono, invece, come è stato confermato dai medici specialisti dirigenti chiamati in causa, parecchi casi dove emerge il cosiddetto disturbo di personalità. Aspetto che è diretta conseguenza del sovraffolamento delle carceri e di altre criticità che fanno scattare anche episodi di autolesionismo tra i soggetti reclusi più fragili e tra i cittadini extracomunitari.

Tra le criticità emerse nel corso della riunione, "la mancanza di progettualità, di attività che possano in qualche modo coinvolgere il detenuto". E l’inserimento lavorativo potrebbe costituire la svolta. Insomma, interventi preventivi per evitare il futuro disagio.

Tra le considerazioni formulate dai consiglieri membri della commissione, anche quella secondo cui, più che di attività ludiche e ricreative, i detenuti avrebbero bisogno di allargare il proprio spazio vitale. "La necessità che il tempo - dicono i consiglieri - possa essere scandito da un impegno che dia, al soggetto detenuto, una dimensione più umana".

Monza: carcere sovraffollato, agenti su orlo della disperazione

di Marco Galvani

 

Il Giorno, 31 marzo 2010

 

"Siamo sull’orlo della disperazione. Il sovraffollamento e la carenza di agenti ci sta mettendo in ginocchio". Domenico Benemia, segretario regionale della Uil penitenziari, denuncia una situazione "ormai invivibile" all’interno del carcere di Monza. I detenuti sono costantemente attorno a quota 840, "ben oltre la capienza massima tollerabile". All’inizio "riuscivamo a tamponare la situazione con letti a castello e brandine a terra spiega il sindacalista ma le celle sono piccole e lo spazio vitale è praticamente nullo". Adesso, però, "non c’è più un buco libero e quindi siamo costretti a sfruttare le tre celle che solitamente utilizziamo per l’immatricolazione dei nuovi giunti". Le quali "non sono assolutamente adeguate al pernottamento dei detenuti lamenta Benemia.

Lì le persone arrestate vengono trattenute qualche ora per le perquisizioni e la registrazione dell’ingresso, quindi vengono portate all’interno del detentivo vero e proprio. Invece ora ci rimangono anche qualche giorno". Nelle 14 sezioni maschili e nelle 2 femminili non c’è più posto. E "a ben poco servono gli sfollamenti che quotidianamente facciamo. Nell’arco di una settimana vengono trasferiti circa cinquanta detenuti, ma dopo qualche giorno si torna al collasso". Si sfollano i reclusi anche verso la Sicilia e la Sardegna. Ogni sabato da Malpensa o Linate parte un aereo con detenuti da tutte le carceri lombarde".

Ma poi sorge un altro problema: "Questi sono tutti detenuti in attesa di giudizio, che magari fra due, tre settimane devono tornare qui per il processo. E questo significa ulteriori spese di viaggio e sottrazione di agenti dalle carceri per la scorta". E con gli organici tutt’altro che a regime "siamo costretti ad allungare i turni, dalle 6 ore previste dal contratto alle 8 che ormai sono diventate la normalità continua Benemia.

Qui a Monza di agenti ne mancano una cinquantina. Chi è in servizio, però, fa in modo che tutto fili per il verso giusto". Tra l’altro nei giorni scorsi gli agenti di polizia penitenziaria di Monza sono stati insigniti dell’onorificenza Cavalieri dei diritti umani per "l’intervento immediato e provvidenziale" che ha permesso di evitare una tragedia dopo che un detenuto, il 21 dicembre scorso, appiccò un incendio nella sua cella.

Trieste: scarcerato da tre giorni chiede di tornare al "Coroneo"

di Laura Tonero

 

Il Piccolo, 31 marzo 2010

 

Viene scarcerato e dopo tre giorni bussa al portone del Coroneo per poter rientrare in cella e trovare un riparo. Una vicenda, quella che ha coinvolto un giovane bosniaco, che evidenzia le difficoltà di reinserimento nel tessuto sociale di chi, dopo il carcere, non trova una rete di sostegno familiare. Chi non ha una casa, chi non trova nessuno ad attenderlo, nessuno che gli prepari un pasto e gli metta a disposizione un letto, preferisce la "protezione" di una cella. L’uomo in carcere da diversi mesi per aver commesso dei furti, si è presentato alla porta di via Coroneo a tarda notte.

Ha suonato al campanello della Casa circondariale e rivolgendosi al personale di guardia ha chiesto: "Non ho dove andare, mi riprendete dentro, mi date un posto dove dormire". "Purtroppo non ci è permesso accogliere ex detenuti che presentano simili situazioni - evidenzia il direttore del Coroneo Sbriglia - e i casi come quello accaduto la scorsa settimana sono più frequenti di quanto si pensi. La triste realtà è che all’interno del carcere queste persone trovano una serie di servizi che poi, all’esterno, vengono mancare".

A chi viene scarcerato il personale del Coroneo dà indicazioni su case d’accoglienza e realtà del volontariato e dell’assistenza sociale che in città possono dare un aiuto concreto. "Con il nostro Gruppo Carcere - spiega don Mario Vatta, fondatore e anima della Comunità San Martino al Campo - siamo presenti almeno due volte la settimana all’interno della struttura di via Coroneo - e durante i colloqui diamo indicazioni sulla rete di aiuti che può tendere la mano a chi, dopo il carcere, non trova un supporto familiare.

Oggi, se si tratta di ex-detenuti stranieri, nella maggior parte dei casi per loro scatta l’espulsione. In molti non ottemperano a quanto impostogli e si allontanano dalla nostra città tentando di riciclarsi nella clandestinità". Diversa la situazione per gli italiani: "Per fortuna, la maggior parte trova un primo aiuto dai familiari - racconta don Vatta - altri invece vengono a accolti e supportati da strutture come la nostra o la Caritas e dalle altre realtà che collaborano con noi in rete".

Iglesias: il dottore non c’è… otto ore per ricoverare un detenuto

 

Ansa, 31 marzo 2010

 

Un detenuto del carcere di Iglesias che lunedì mattina ha lamentato forti dolori a un’anca ha dovuto attendere circa otto ore prima di poter essere ricoverato in ospedale, come disposto dalla guardia medica intervenuta su richiesta degli agenti. Nell’istituto, sottolinea la Cgil, dalle 20 alle 8 non è presente un medico: un’assenza che va a sommarsi alle più volte sottolineate carenze d’organico. Gli agenti di polizia penitenziaria di turno notturno erano solo quattro: troppo pochi perché due, come da prassi, potessero distaccarsi e trasportare il detenuto in ospedale. La situazione si è risolta soltanto a mezzogiorno.

Napoli: ragazzi dell'Istituto minorile di Nisida diventano pizzaioli

 

Redattore Sociale, 31 marzo 2010

 

Otto i diplomi consegnati oggi. Hanno seguito un corso di tre mesi. Per qualcuno di loro si apre la possibilità di trovare lavoro. È il risultato del progetto "Finché c’è pizza… c’è speranza".

Otto aspiranti pizzaioli nel carcere di Nisida. Li ha diplomati stamattina il maestro Ernesto Fico dell’Antica Pizzeria Donnaregina, che ha sede nel centro storico della città. Hanno seguito un corso di tre mesi, due volte a settimana, per imparare a fare la pizza. E per qualcuno di loro si apre anche la possibilità di trovare lavoro, alcune pizzerie napoletane si sono già offerte per dare una mano. È il risultato del progetto "Finché c’è pizza… c’è speranza", promosso dall’associazione "Scugnizzi" in collaborazione con l’Antica Pizzeria Donna Regina, a favore dei ragazzi presenti nell’istituto penale minorile partenopeo.

Stamattina, in occasione della "Pizzata" organizzata al termine del corso, sono state sfornate oltre 100 Margherite. La festa ha visto la partecipazione, oltre al presidente dell’istituto Gianluca Guida, di alcuni calciatori della squadra del Napoli (Iezzo, Grava, Gargano, De Santis Paolo Cannavaro) oltre agli attori di "Un posto al sole".

Soddisfazione nelle parole di Ernesto Fico: "L’arte di sfornare Margherite oggi si impara soprattutto in bottega, il corso non ha la presunzione di formare un ottimo pizzaiolo, ma si è posto il fine di creare un’occasione di incontro tra l’imprenditoria della ristorazione campana e alcuni giovani sfortunati che hanno chiesto di far pace con la vita riscattandosi con un lavoro onesto".

I giovani diplomati vengono da Napoli e provincia, hanno storie difficili alle spalle: droga, scippi rapine, vite compromesse già a sedici-diciasette anni. "Il progetto non è finanziato, pertanto è svolto e portato a termine dalle sole forze dei volontari, ma ci crediamo molto. Per alcuni di questi ragazzi il corso rappresenta la possibilità di prendere coscienza delle regole, imparare un mestiere", precisa il presidente dell’associazione Scugnizzi, Antonio Franco, che in seguito ai successi raggiunti nel corso del 2009 che hanno portato all’inserimento di alcuni ragazzi degli Istituti Penitenziari Minorili di Nisida e di Airola nella vita sociale e lavorativa, ha voluto riprovarci.

"Svolgere questo mestiere consente di lavorare in un ambiente giovanile e stimolante, essere in mezzo alla gente ed al centro dell’attenzione, destreggiarsi tra decine di tipi di pizze facendosi apprezzare per la propria inventiva e per la tecnica che suscita l’ammirazione dei clienti e degli amici: questo è il pizzaiolo". - aggiunge Ernesto Fico.

"E i ragazzi - conclude il direttore Guida non hanno deluso le aspettative, ad ogni lezione si sono dimostrati pronti, seri e volenterosi. Ed è proprio in questo senso che si è lavorato dando la possibilità ai giovani ospiti dell’Istituto di Nisida di apprendere la tecnica del mestiere, offrendo loro la possibilità di un inserimento nel tessuto sociale ed economico della ristorazione perché finché c’è pizza …c’è speranza.

Nuoro: "Farfalle" a Badu e Carros, i libri di favole dei detenuti

 

La Nuova Sardegna, 31 marzo 2010

 

Due anni di gestazione e lavoro, e adesso la prima uscita pubblica nelle librerie con una presentazione ufficiale. Da oggi, i "Liberi libri farfalla" scritti e preparati dai detenuti di Badu ‘e Carros, sotto la guida dell’insegnante Pasquina Ledda, e delle docenti Luisa Muravera e Maria Lucia Sannio, del Centro di educazione territoriale permanente, saranno disponibili alla libreria Novecento. Sempre oggi, dalle 18.30, alla libreria Novecento di via Manzoni, ci sarà anche la loro presentazione.

I libri, dalla coloratissima forma di farfalla, sono in sostanza favole scritte e pensate per i bambini. Sono stati ideati da una ventina di detenuti della sezione di alta sicurezza del carcere nuorese. La singolare avventura è cominciata tre anni fa, quando la maestra Raffaella Podda aveva proposto ad alcuni detenuti di scrivere un libro destinato ai più piccoli.

La scommessa riesce, anzi, col tempo si arricchisce grazie all’entusiasmo e alla passione delle insegnanti del Cpt, che si occupa dell’educazione e dell’istruzione degli adulti. Tra i detenuti-scrittori c’è stato chi ha pensato di raccontare ai suoi figli, chi ai nipoti, chi ha scelto, invece, di inventare storie nuove, chi ha preferito attingere dalla propria autobiografia. Nascono così i libri farfalla. Realizzati da tre detenuti che seguono il corso di approfondimento culturale tenuto dall’insegnante Pasquina Ledda, del Cpt.

Gli alunni sono Alessandro Bozza, Calogero Lo Bue e Antonino Alcamo. Alessandro Bozza, in particolare, si è distinto in questa avventura perché ci ha messo tanto impegno e tanta passione, trasformando addirittura la sua cella in un grande laboratorio di arte, scrittura e creatività. Le farfalle-libro sono state ospitate anche al festival letterario Isola delle storie di Gavoi. Sono state donate anche alla compagnia dei ragazzi down durante uno spettacolo che si è tenuto in carcere. I libri-farfalla dei detenuti della sezione alta sicurezza di Badu ‘e Carros sono stati inviati anche a una scuola elementare di Imola per aprire un canale di scambio culturale e di amicizia.

Libri: "Non mi uccise la Morte", racconto a fumetti per Cucchi

 

Corriere della Sera, 31 marzo 2010

 

"Non mi uccise la Morte", graphic novel di Castelvecchi - Tazebao. Il libro ricostruisce la notte dell’arresto, il tribunale, l’ospedale e la morte. E punta il dito: omicidio di Stato.

Un libro a fumetti racconta la tragica vicenda della morte di Stefano Cucchi, il geometra arrestato per droga la notte del 16 ottobre 2009 e morto dopo 6 giorni al reparto penitenziario dell’ospedale Pertini di Roma. Dalla ricostruzione di quella notte, il ragazzo di 31 anni sarebbe stato picchiato e poi trasportato in ospedale per curare le ferite. Avrebbe anche rifiutato di essere curato, ma la sorella Ilaria ha sempre sostenuto che i sanitari sono gli unici responsabili delle cure mancate. Così ha anche sentenziato la Commissione d’inchiesta parlamentare il 17 marzo. Infatti dopo due autopsie è stata accertata la causa della morte: disidratazione.

La Commissione d’inchiesta - Il caso di Stefano Cucchi ha colpito da subito l’attenzione dei mezzi d’informazione, della gente e della politica. La rapidità del decesso dopo l’arresto, la noncuranza del trattamento, il degrado per le condizioni dei detenuti, hanno scosso notevolmente l’opinione pubblica. E la sorella e la famiglia non hanno mai smesso di lottare per accertare la verità. Il ministro Alfano il 3 novembre è intervenuto in aula al Senato tuonando: "Stefano Cucchi non doveva morire". Promise l’impegno del governo: "Uno Stato democratico assicura alla giustizia e può privare della libertà chi delinque ma nessuno può essere privato del diritto alla salute". Venne istituita una commissione d’inchiesta parlamentare presieduta da Ignazio Marino (Pd) che il 17 marzo rese noti i punti critici della tragica vicenda.

"Violato il diritto alla salute" - Stefano Cucchi aveva perso 10 chili in 6 giorni e Ignazio Marino il 17 marzo ha detto: "è stato violato il diritto alla salute", confermando quindi la colpevolezza dei medici. E ha poi spiegato: "A Stefano Cucchi, probabilmente, sono state inferte lesioni traumatiche che non sono la causa diretta della morte. Che è avvenuta per la disidratazione legata alla volontà di Cucchi di richiamare su di sé l’attenzione dei suoi legali e del mondo esterno". Abbandonato, ignorato e solo, Stefano non ce l’ha fatta a sopravvivere.

Il libro, una Graphic Novel - Il libro "Non mi uccise la Morte" edito da Castelvecchi - Tazebao è un racconto a fumetti disegnati da Toni Bruno con i testi di Luca Moretti. Il libro racconta con partecipata sofferenza gli ultimi giorni di vita del ragazzo e punta il dito con un’accusa: quello di Stefano Cucchi fu un omicidio commesso in nome dello Stato. La Graphic Novel narra la vicenda da quando il geometra è fermato da una pattuglia dei Carabinieri nei pressi del Parco degli Acquedotti di Roma e trovato in possesso di una piccola quantità di hashish. I militari, dopo aver perquisito la sua abitazione, lo arrestano e lo portano in caserma. Al momento del fermo Stefano gode di ottima salute e frequenta quotidianamente un corso di prepugilistica. Il giorno dopo il suo arresto è processato per direttissima nel tribunale di piazzale Clodio, ha il volto segnato ma sta ancora bene.

L’incubo dietro le sbarre - Quello è l’ultimo momento in cui i genitori di Stefano Cucchi hanno la possibilità di vedere loro figlio. Dopo, di Stefano rimangono solo le foto: immagini raccapriccianti con gli occhi incavati e la mascella rotta. Le bruciature sulla schiena e i lividi. Il volto tumefatto e la magrezza che mostra solo pelle e ossa. Stefano diventa così il simbolo dei diritti negati e dei tanti - troppi - omicidi commessi nelle carceri, sotto la tutela dello Stato.

Gli autori - Luca Moretti ha trentadue anni e vive a Roma, dove lavora come ferroviere. Appassionato da sempre di letteratura, ha fondato la rivista letteraria TerraNullius e dirige i corsi di scrittura creativa presso la cooperativa sociale Agorà. Curatore della collana "Microlit" (18:30 Edizioni), ha pubblicato diversi libri, tra cui il romanzo "Cani da rapina" (Purple Press, 2009). Toni Bruno, classe 1982, siciliano trapiantato a Roma, ha illustrato libri per la Newton Compton, disegnato vignette per "l’Unità" e pubblicato fumetti per la Coniglio Editore. Il suo primo Graphic Novel si intitola Lo psicotico domato (Nicola Pesce Editore, 2009).

Immigrazione: rivolta a Ponte Galeria, danni per 200 mila euro

 

Corriere della Sera, 31 marzo 2010

 

La battaglia è cominciata all’improvviso, lunedì notte: una trentina di immigrati, per lo più pregiudicati per gravi reati, hanno dato vita a una rivolta nel Cie di Ponte Galena. Giovani sui tetti, lanci di mattonelle e bottiglie contro gli agenti di polizia, materassi e cuscini incendiati nelle camerate. Caos, fumo e fiamme, che si sono rapidamente propagate all’impianto di areazione al sottotetto della struttura d’accoglienza.

"Volevano far evadere quattro immigrati", spiegano gli investigatori, intervenuti in forze per riportare l’ordine. Ma non è stato facile. Tre agenti sono rimasti contusi negli scontri che si sono protratti a lungo nel Centro di identificazione ed espulsione, dove solo pochi giorni fa i movimenti antagonisti avevano organizzato una manifestazione all’esterno della struttura. Anche allora c’erano stati incidenti, con due stranieri arrestati. Lunedì notte, al termine di un paio d’ore ad alta tensione, gli investigatori, coordinati dal dirigente dell’Ufficio immigrazione Maurizio Improta, hanno arrestato diciotto extra-comunitari ospiti del Cie.

Alcuni di loro sono pluripregiudicati, clandestini, con una fedina penale dove spiccano reati come violenza sessuale e tentato omicidio. Ora sono accusati di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale, danneggiamento di beni dello Stato, incendio doloso. Questa mattina saranno processati per direttissima 14 evasi sono invece riusciti a guadagnare i cancelli del Cie, smontati nonostante pesassero quasi 6 quintali, e a sparire nei campi.

Anche loro sono pregiudicati: un egiziano e un marocchino vengono considerati pericolosi, gli altri due avrebbero approfittato della situazione. Ora sono ricercati dappertutto. Ma, dagli accertamenti della polizia, c’è il sospetto che l’azione di lunedì notte sia stata un diversivo per provocare un’evasione di massa che non è riuscita per il pronto intervento degli agenti. E anche quello che gli immigrati del Cie possano aver avuto contatti diretti con l’esterno, con il telefonino, con ambienti estremisti e dell’antagonismo. Le indagini proseguono. Intanto i danni alla struttura ammontano a 200 mila euro.

Immigrazione: rivolta al Cie Roma giudice non convalida arresti

 

Apcom, 31 marzo 2010

 

Non convalidati gli arresti di 18 immigrati, fermati in seguito alle proteste avvenute la scorsa notte nel centro di identificazione ed accoglienza (Cie) di Ponte Galeria a Roma. Il giudice Francesco Rugarli della II sezione penale del tribunale di Roma ha ritenuto che non sussistesse la flagranza. Il provvedimento, comune a tutti e 18 gli indagati, non ha portato alla remissione in libertà per tre di loro, per precedenti penali a loro carico. Gli atti sono stati trasmessi dal giudice al pm Eleonora Fini, che dovrà ora svolgere accertamenti. Secondo quanto ipotizzato dagli investigatori della Questura le proteste sarebbero state una sorta di diversivo per agevolare la fuga di quattro stranieri.

I reati contestati a vario titolo vanno dalle minacce, violenza e lesioni a pubblico ufficiale al danneggiamento. Gli extracomunitari, quasi tutti egiziani, in aula, davanti al giudice, hanno spiegato di ritenersi estranei a quanto avvenuto. I difensori hanno argomentato, fuori dall’aula d’udienza: "Sono stati presi a caso e l’assenza di riprese video non permette di ricostruire l’accaduto". In base a quanto raccontato da un agente un gruppo di extracomunitari ha inscenato la protesta arrampicandosi sul tetto della struttura, lanciando bottiglie d’acqua, pezzi di mattonelle ed altri oggetti contro gli uomini del personale di vigilanza. Il giudice Rugarli ha fatto cadere il reato di incendio perché non c’era materiale infiammabile e per le scarse dimensioni del rogo. I tre immigrati che non sono tornati al Cie, come gli altri 15, sono rimasti in carcere in ragione di precedenti penali per reati contro la persona. Un piccolo presidio dei movimenti antagonisti, fuori dal tribunale, ha seguito l’udienza. Su uno striscione era scritto: "Non si processa la libertà".

Droghe: mobilitazione per i tossicodipendenti fuori dal carcere

di Elena Placitelli

 

Terra, 31 marzo 2010

 

Una mobilitazione davanti alle carceri italiane per denunciare le condizioni di detenzione e per chiedere la depenalizzazione dei comportamenti connessi al consumo di sostanze. Molto probabilmente a Padova, prima dell’inizio dell’estate. Ma la tappa veneta sarà solo la più eclatante di una serie di iniziative che dall’inizio di febbraio si stanno già susseguendo in tutto il Nordest.

A partire da Trieste, dove la commemorazione dei trent’anni dalla morte di Franco Basaglia, il celebre psichiatra che fece chiudere i manicomi, ha sollecitato la rimessa in discussione del ruolo che il potere attribuisce al sistema del welfare.

Tutto è nato proprio all’interno nel vecchio manicomio di Trieste, lo stesso di cui Basaglia distrusse i muri facendo approvare la legge 180 di riforma psichiatrica. Dal 9 al 13 febbraio scorso, all’interno di quegli spazi liberati, operatori sociali, medici e psichiatri, giornalisti e studenti si riuniscono per chiedersi come sia possibile, ora, attualizzare la libertà terapeutica proposta da Basaglia liberando dalle strategie di controllo e contenimento coloro che vengono considerati i "devianti" di oggi.

Ne esce una piattaforma di lavoro, denominata la "Carta di Trieste", che propone di organizzare una giornata nazionale sul carcere e una sul tema delle sostanze. Ma tra l’appuntamento di Trieste e quello che verrà organizzato a Padova prima dell’estate ci sono una serie di passaggi che coinvolgono anche le città di Monfalcone e di Schio, nelle province di Gorizia e di Vicenza.

A Monfalcone sono due gli episodi recenti che riportano alla ribalta delle cronache le contraddizioni connesse a una criminalizzazione sempre più spinta dei consumatori di sostanze e a un’applicazione sempre più invasiva di strategie di controllo sociale. Il 7 febbraio scorso, una maxi - retata sottopone una trentina di giovanissimi a perquisizioni: tra loro alcuni minorenni che, nel cuore della notte, vengono prelevati da casa e trasportati in pronto soccorso per "urgenti" esami delle urine. In tutto si trova una manciata di "fumo", ma la vasta operazione viene resa pubblica in nome della ricerca di una presunta attività di spaccio di sostanze stupefacenti.

L’operazione smuove perfino gli avvocati della Camera penale di Gorizia, che inviano una delibera ai ministeri dell’Interno, della Salute, della Gioventù, oltre che all’Azienda sanitaria, alla questura e ai politici locali.

"I davvero esigui esiti dell’operazione - si legge nel documento -, sempre per come riportati dalla stampa (sequestro di quantità del tutto irrilevanti di sostanze, a prima vista riconducibili a consumo personale, non già a traffico di stupefacenti), insieme alla vasta eco che gli operanti hanno deciso di dare alla stessa, lasciano presumere, salve successive emergenze allo stato non note, che l’operazione sia stata concepita e condotta con il fine principale di colpire giovani consumatori delle cosiddette "droghe leggere", non già personaggi di rilevante spessore criminale".

La Camera penale di Gorizia, poi, sottolinea che, per legge, gli accertamenti sanitari devono essere volontari, che il consumo e il possesso di stupefacenti per uso personale non costituiscono reato e che gli aspetti connessi a forme di disagio sociale giovanile devono trovare giusto supporto in interventi di natura educativa e assistenziale e non in operazioni di polizia.

L’altro episodio risale invece al 16 marzo e si riferisce a una vicenda molto simile che si era svolta, sempre a Monfalcone, un anno fa, quando diversi attivisti dello spazio autogestito "Officina sociale" furono incarcerati con l’accusa di spaccio.

Anche in quel caso non si trovarono altro che esigue quantità di hashish, tant’è che il Tribunale del Riesame di Trieste li scarcerò dopo due settimane, smontando il metodo di indagine condotto dagli inquirenti. Di lì a poco, ad essere allontanati dal loro posto di lavoro (con un caso di arresto), furono proprio alcuni degli stessi inquirenti.

Il 16 marzo scorso, al Tribunale di Gorizia si svolge l’udienza preliminare. All’esterno del palazzo i militanti degli Spazi sociali del Nordest inscenano un presidio: "Da un lato - spiegano - si attaccano in maniera deliberata, cosciente e smodata le vite private degli studenti, delle famiglie e di normali cittadini, dall’altro viene pubblicamente sancita la non volontà del potere giudiziario di affrontare le vere e tragiche emergenze che questo territorio soffre, come, un esempio su tutti, i processi per le morti d’amianto che ancora non hanno trovato giustizia".

Passano poche ore e viene definitivamente archiviata l’imputazione che accusava diversi attivisti di aver adibito lo spazio autogestito e le loro case al consumo e al traffico di sostanze stupefacenti. Ma il processo vero e proprio aprirà comunque il 16 luglio.

Passiamo a Schio, in provincia di Vicenza. É il 5 marzo quando le forze dell’ordine entrano in due scuole superiori con cani al seguito per perquisire alcuni ragazzi accusati di spaccio. "L’operazione - spiega il portavoce del coordinamento studentesco, Stefano Segalla - provoca reazioni tra gli studenti che decidono di aprire un dibattito sul territorio, aperto anche a presidi, genitori e operatori sociali". A una settimana di distanza si organizza un’assemblea pubblica, che fa il pieno nella sala comunale del quartiere di Santa Croce".

E intanto a Padova, prima della mobilitazione estiva davanti al carcere, l’appuntamento è per dopodomani, giovedì 1° aprile, al Centro sociale occupato Pedro di via Ticino, alle ore 21. "L’assemblea - spiega il portavoce, Max Gallob - è il tentativo di coinvolgere tutti quei soggetti lavorano nel campo delle dipendenze. Si vuole aprire una campagna condivisa legata alla depenalizzazione dell’uso delle sostanze stupefacenti e alla denuncia delle condizioni di vita all’interno delle carceri italiane".

India: coppia di italiani in carcere per l’omicidio di connazionale

 

Ansa, 31 marzo 2010

 

Due italiani, un cameriere di 27 anni di Albenga (Savona), Tomaso Bruno ed una sua amica, Elisabetta Boncompagni, 36 anni, torinese, sono rinchiusi da due mesi in carcere a Varanasi, in India, accusati di omicidio per la morte di un loro amico, Francesco Montis, trentenne, originario della Sardegna, ma pure lui residente nel torinese.

La notizia si è appresa solo oggi ed è stata confermata dal padre di uno dei protagonisti della vicenda, Euro Bruno, che è presidente dell’Ecoalbenga, la municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti in città.

"Mio figlio non ha ucciso nessuno. La verità - dice Euro Bruno - probabilmente è un’altra: da diversi giorni quel ragazzo non stava bene. Aveva forti attacchi di tosse. I suoi genitori e gli amici di mio figlio hanno raccontato la stessa cosa. È probabile quindi che la morte sia dovuta a problemi di salute".

Montis fu trovato il 4 febbraio scorso in stato di semi incoscienza in una camera d’albergo del paese indiano dai due compagni di viaggio. Tutti i tre risiedevano a Londra per lavoro e dalla capitale britannica alla fine dell’anno erano partiti per il viaggio in India. Trasferito con un taxi all’ospedale, i medici ne hanno dichiarato il decesso per asfissia. Sul cadavere sarebbero state trovate ecchimosi provocate da un oggetto contundente. Due ore dopo la morte i due amici sono stati arrestati dalla polizia.

Il caso però non si presenta facile. In India infatti la Procura può formulare l’accusa entro tre mesi dalla morte. E sino a questo momento manca un documento d’accusa. Forse i magistrati attendono che vengano depositati gli atti conclusivi della perizia medico legale sul cadavere della vittima.

 

 

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