Giustizia: Pd; non serve costruire altre carceri, bisogna dare spazio alle misure alternative Europa, 31 maggio 2010 Il bollettino di ieri sulle carceri registrava la morte a Cagliari di un detenuto ammalato e sieropositivo e il ferimento di un agente nel carcere di Marassi da parte di una detenuta sieropositiva che l’ha morso. Connessa, arrivava da Montecitorio la notizia che la Commissione Bilancio, presieduta dal leghista Giorgetti, ha negato la copertura finanziaria all’assunzione di 1.500 poliziotti, 1.500 carabinieri e l’adeguamento del personale di polizia penitenziaria che il ddl Alfano prevede insieme alla possibilità di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari. Un provvedimento quest’ultimo che, se mai vedrà la luce, sarà solo un tampone per la situazione disastrosa dei nostri istituti penitenziari, “i peggiori del Continente in quanto a sovraffollamento” secondo uno studio presentato ieri dall’associazione Antigone. Ogni giorno spendiamo “8 milioni di euro” (116 ciascuno) per i detenuti, ricorda Sandro Favi, responsabile carceri del Pd che ha organizzato un convegno su, appunto, “il limite penale ed il senso di umanità”. Perché è da qui che bisogna ripartire come premessa fondamentale per una gestione se non ottimale, accettabile, del sistema penitenziario che comprende anche gli agenti e il personale civile che vi lavora. Ad aggravare il quale concorrono non poco le presenze “transitorie”: “Nei primi cinque mesi del 2010 ben 8.777 persone sono state rinchiuse nelle patrie galere al massimo per tre giorni e 1587 per un periodo compreso tra 4 e 15 giorni” ricorda ancora Favi. Ecco perché il responsabile giustizia Andrea Orlando è deciso a riaprire il capitolo “carcerazione preventiva” “per capire, anche in un confronto con i magistrati, se è attuata al meglio”. “No, bisogna inventarsi forme e istituti diversi - suggerisce senza esitazione Paolo Canevelli che è magistrato di sorveglianza a Perugia - oggi la custodia cautelare viene gestita come un’anticipazione della pena e comunque va individuato un tetto massimo”. Di questi tempi, e con questa maggioranza, rovesciare il concetto “carcerocentrico della pena” fino a farlo diventare “opzione residuale” - come hanno suggerito l’avvocato Carlo Federico Grosso già presidente della prima commissione di riforma del codice penale e Luigi Manconi, ex sottosegretario alla giustizia - potrebbe apparire una pura provocazione destinata peraltro ad essere strumentalizzata. Ma il Pd sembra deciso a percorrere questa strada rilanciando anche il potenziamento delle pene alternative compresa la messa alla prova, “ma con correzioni rispetto all’originario ddl Alfano” dice Andrea Orlando, e con un no deciso “ai piani Anemone” per la costruzione di nuove carceri: “I pochi soldi che ci sono vanno utilizzati per ristrutturare i padiglioni fatiscenti ed inaugurare i nuovi istituti già esistenti” ha detto ieri; come quello di Empoli chiuso da un anno e mezzo per l’apertura del quale Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti di Firenze, ha messo in atto anche lo sciopero della fame. Ma poi va fatto anche “un ragionamento serio sulla depenalizzazione per correggere la giustizia di classe che abbiamo oggi” dice ancora Orlando. “A Terni un ragazzo è stato condannato a 4 anni di reclusione per cessione di una modica quantità di hashish” ha raccontato il magistrato Canevelli, sottolineando che “non c’è più proporzione tra pena e reato: per un furto classico vai dritto in carcere a prescindere dalla pena, per bancarotta no”. Va rovesciata la prospettiva, suggerisce sempre Grosso, e fatto capire all’opinione pubblica che “le pene interdittive, pecuniarie e di lavori di pubblica utilità sono un disincentivo all’illecito ben più forte del carcere”. Ma “serve coraggio “ ripete (scettico) Grosso. Giustizia: il carcere è diventato la risposta ai problemi sociali più gravi e disperati di Lillo di Mauro Terra, 31 maggio 2010 Ciò che non doveva accadere è successo: nella società dove le disuguaglianze economiche e sociali sono sempre più estese e marcate, il carcere è diventato la risposta ai problemi sociali più gravi e disperati. È evidente a tutti che l’attuale sistema penale e dell’esecuzione della pena è finito pericolosamente in un vicolo cieco. Uno dei compiti che ci attende e dal quale non possiamo sfuggire riguarda proprio le cause del sovraffollamento, che vanno individuate nella gestione dei reati e delle condanne meramente emergenziali e tipiche di un paese disorientato, ancora senza una politica per interagire con un fenomeno epocale come quello delle grandi migrazioni di questo nuovo secolo. Ciò che non doveva accadere è successo: nella società dove le disuguaglianze economiche e sociali sono sempre più estese e marcate, il carcere è diventato la risposta ai problemi più gravi e disperati. Tolti dalla strada i tanti migranti clandestini, i giovani tossicodipendenti e i poveri cristi che sono scivolati nel crimine spicciolo e spesso quotidiano per oggettive difficoltà rispetto ad un corretto inserimento, stanno adesso a rigonfiare le nostre carceri. Riconosciamo persone portatrici di gravi disagi ambientali e culturali, economici e sociali: il 30% circa della popolazione detenuta è rappresentata da tossicodipendenti, il 35% da immigrati non in regola con la legge Bossi - Fini e con reati contro il patrimonio: furti e rapine. Attualmente ci sono circa 70mila detenuti nelle nostre carceri e migliaia in esecuzione penale esterna: agli arresti domiciliari, in affidamento o in regime di libertà condizionale. Il dibattito sul sovraffollamento e le soluzioni per ridurlo sarà utile se riusciremo ad individuare nuove linee guida con le quali ricondurre tutto il sistema, con coraggio, nel solco di una nuova matura fase democratica, che permetta a tutti gli operatori istituzionali e sociali di progettare la sicurezza e il recupero dentro i tempi sociali e non dentro quelli delle mura e della pena fine a se stessa. Non abbiamo bisogno di boutade come quelle del Ministro Alfano che parla di piano carceri senza avere soldi per realizzarlo o peggio pensando di utilizzare i fondi della Cassa Ammende destinati al trattamento dei detenuti, o di norme che prevedevano pene alternative come gli arresti domiciliari, peraltro bocciate, e che comunque non avrebbero risolto il problema perché applicabili solo ad un numero limitato di condannati definitivi considerando che il 44% di detenuti è in attesa di giudizio o appellanti senza parlare degli stranieri che non ne avrebbero potuto beneficiare perché senza casa e famiglia. Il Governo e il Ministro devono immediatamente trovare una soluzione concreta al problema del sovraffollamento e se non si vuole che il sistema imploda si devono urgentemente abrogare o apportare sostanziali modifiche a leggi come la Bossi Fini sugli stranieri, la Fini Giovanardi sulle droghe, la ex Cirielli sulla recidiva ed altre che hanno fatto aumentare vertiginosamente il numero dei detenuti. Ma oltre questo c’è necessità di intervenire immediatamente affinché negli istituti vengano garantiti i diritti essenziali cosi come previsto dall’ordinamento penitenziario e dalla legge Gozzini. Per assurdo quando il carcere aveva solo una funzione di mera sicurezza, prima della riforma del 1975, la situazione era senz’altro meno esplosiva di quella che abbiamo oggi. Se l’ordine e la sicurezza all’interno degli istituti è ancora sotto controllo lo si deve in buona sostanza all’assenza nel Paese e nella società di conflitti esplosi in forme violente come avvenne nel passato, ma il merito va alla crescita culturale e civile della popolazione detenuta, alla smilitarizzazione del corpo degli agenti di custodia e alla quotidiana, tenace opera del terzo settore che si esprime nelle molteplici attività di volontariato. Oggi, nella fase dell’espiazione della pena, il trattamento ha perso la finalità di offrire strumenti al detenuto per rielaborare in modo consapevole il proprio percorso, le scelte esistenziali e culturali che lo riguardano e che hanno interagito con la sua esistenza. Attualmente l’unico trattamento possibile è ridotto al contenimento e al controllo che, a causa del sovraffollamento, esaurisce ogni altra funzione e chiude spazi all’attività intramuraria, alla scuola e alla sanità. La riforma dell’ordinamento penitenziario e le modifiche introdotte alla “Legge Gozzini”, nel corso del tempo e sotto la pressione di fatti criminali che hanno segnato la storia del nostro paese hanno subito profonde mutilazioni legislative che ne hanno depotenziato il ruolo fino a svilirlo nelle premesse per le quali vennero approvate. Le misure “correttive” introdotte interpretano i benefici previsti e le misure alternative in una chiave limitativa e non più come l’inizio di un percorso che dovrà condurre la persona detenuta al reintegro completo nel lavoro e nella società attraverso passaggi che ampliano la sfera delle libertà. Andrebbe migliorata la discrezionalità del Magistrato che di fatto restringe la concessione dei benefici. Attualmente, infatti, i benefici sono concessi con rigidità e anziché rendere la legge più sicura finisce per procurare l’effetto contrario e mi riferisco a due particolari situazioni: la prima è quella che riguarda detenuti a cui viene concesso un beneficio in un clima di totale sfiducia che lo restringe drasticamente al punto da renderlo ancora più duro della giornata passata in carcere, la seconda riguarda quei detenuti con lunghe pene che per molti anni usufruiscono dei benefici senza alcun miglioramento trattamentale nel corso del tempo, in particolare per quanto riguarda l’art. 21 il più restrittivo dei benefici poiché non prevede altri motivi se non il lavoro e in alcuni casi rarissimi lo studio e la formazione professionale. Quando invece dovrebbe contemplare, oltre al lavoro, anche la cura di figli, genitori anziani, parenti malati, motivi più che validi sul piano del recupero e dell’utilità sociale che potrebbero essere considerati un’interpretazione più esaustiva delle finalità per cui tale beneficio è stato pensato. In assenza di un lavoro dignitoso in grado di offrire autonomia personale e sostentamento alla famiglia non c’è recupero che tenga. Per essere messo nelle condizioni di esercitare il proprio ruolo sociale, culturale e civile, nell’esercizio dei propri diritti e doveri alle persone detenute devono essere rimossi quegli interventi punitivi accessori alla condanna (misure di sicurezza, pene accessorie, ecc...) perché fintanto che sarà sottoposto ad un controllo, che equivale in realtà ad una limitazione della sua possibilità di operare, di fatto vanifichiamo qualsiasi percorso di recupero, un valido esempio è la sanzione amministrativa del ritiro della patente di guida. Ritornare allo spirito della legge di modifica dell’ottobre 1986 significa ampliare la possibilità dell’applicazione dei benefici a tutte le figure detenute in particolare a tutte quelle che sono ancora escluse perché non considerate e in quanto portatrici di problematiche non previste nei precedenti scenari, quali la lingua, una differente cultura, il problema della casa, della lontananza dalle famiglie. Per i detenuti stranieri anche a causa della legge Bossi - Fini vale di fatto l’esclusione dai benefici in quanto non sarebbero in regola con il permesso di soggiorno o perché al momento dell’arresto erano clandestini o perché la legge Bossi - Fini non prevede il rinnovo del permesso di soggiorno per le persone condannate a più di due anni di pena. I problemi delle persone detenute si sono amplificati: i tagli nelle finanziare alla spesa sociale e sanitaria, la recessione economica e il mercato del lavoro saturo, la cronica assenza di case di accoglienza, comunità per tossicodipendenti case famiglia per malati di aids, la illegittima e immotivata carenza di personale dell’area pedagogica, dei servizi sociali, degli psicologi hanno una ricaduta pesantissima sulla popolazione detenuta, sui familiari, sugli operatori penitenziari costretti a lavorare in condizioni inaccettabili e inoltre non facilita la decongestione degli istituti di pena sovraffollati oltre ogni più catastrofica previsione. Allora mi chiedo se non manca qualcosa? Se per caso non c’è un luogo comune che ci rende ancora deboli e confusi quando parliamo delle cose da fare? Penso che di fronte all’acuirsi dei problemi che coinvolgono l’esecuzione penale tutti dobbiamo a cambiare sguardo e approccio a partire dal quel modo di concepire l’impegno sociale come un senso unico che parte da noi e ritorna a noi. Giustizia: dalle carceri italiane si teme una “evasione” di massa… dei volontari di Carlo Giorgi Il Sole 24 Ore, 31 maggio 2010 Dalle carceri italiane si teme una “evasione” di massa. Una fuga, però, non di detenuti ma di volontari. Gli istituti di pena italiani non hanno mai visto una situazione più critica: a fine marzo i detenuti “censiti” dal ministero della Giustizia erano 67.206, oltre una volta e mezza il numero di ospiti consentiti dalla capienza del sistema penitenziario (44.236 posti). Un simile sovraffollamento rende impossibile il lavoro degli agenti di polizia e, soprattutto, la vita dei reclusi. E il numero di suicidi dei detenuti è aumentato, raggiungendo quota 24 nei primi cinque mesi del l’anno. Autosospensione È per questo motivo che la Conferenza nazionale volontariato e giustizia, che rappresenta il volontariato di settore in Italia, ha sollecitato i propri aderenti a realizzare manifestazioni pacifiche che contemplino anche, fatto del tutto inedito, l’autosospensione dal servizio. “Nelle carceri le necessità sono tali che spesso i volontari suppliscono alle mancanze dello Stato - spiega Elisabetta Laganà, presidente della Conferenza nazionale - . Siamo davvero preoccupati: con l’attuale sovraffollamento mancano gli spazi per svolgere le attività previste; in questo modo i volontari non riescono a lavorare e le persone ospitate in carcere non possono che peggiorare. Per far capire la gravità della situazione, abbiamo invitato le associazioni a considerare anche la temporanea sospensione delle attività. Ciascuno tuttavia, sceglierà la propria forma di protesta, più o meno simbolica”. Presenza non uniforme Secondo gli ultimi dati ministeriali disponibili, i volontari che svolgono il loro servizio nelle carceri italiane sono 9.576: la media è di un volontario ogni sette detenuti. In Italia la presenza del volontariato non è uniforme. La Lombardia, regione con il maggior numero di volontari (2.433) e di detenuti (9.030), vanta la media di un volontario ogni 3,7 reclusi. Una condizione simile si rileva in Veneto (3,6, il migliore “rapporto”) e in Lazio (4,4). Al l’estremo opposto, c’è la situazione in Abruzzo e con soli 162 volontari su una presenza di 2.329 detenuti: la media è di un volontario ogni 14,4 reclusi. L’ordinamento penitenziario italiano (legge 354/1975) norma l’attività di volontariato agli articoli 17 e 78. I volontari più numerosi (8.194) sono quelli definiti dall’articolo 17: operano per la risocializzazione del detenuto attraverso attività precise. Si diventa volontari “articolo 17” presentando domanda al direttore dell’istituto, che la valuta comunicando la richiesta al magistrato di sorveglianza. I volontari definiti dall’articolo 78, invece, sono più rari (1.382): la loro candidatura passa direttamente attraverso il magistrato di sorveglianza e viene valutata dal Provveditorato locale. I volontari “articolo 78”, inoltre, lavorano in stretta collaborazione con educatori, assistenti sociali, psicologi. Vuoti in organico Un altro motivo di difficoltà per il volontariato carcerario è proprio la grave carenza di queste figure professionali, che i volontari dovrebbero semplicemente affiancare, nel lavoro volto alla risocializzazione dei detenuti. Al 31 marzo 2010, infatti, mancavano all’organico minimo stabilito per decreto ministeriale ben 613 educatori, quasi la metà (il 44,6%) di quelli previsti per legge; ma anche 535 assistenti sociali (il che significa il 32,6% in meno rispetto al personale fissato dal decreto) e 265 tra esperti informatici, linguistici, comunicatori, psicologi, statistici ed ausiliari. “Il ministero è certo dell’importanza dell’attività dei volontari - dice Laganà. Già nel 2006 una circolare ministeriale invitava tutti gli istituti a fare ogni sforzo per allungare l’orario delle attività di volontariato fino alle sei di sera. Oggi però non è più possibile lavorare. Il nostro appello è rivolto al governo perché entro l’estate trovi soluzioni adeguate alla situazione”. Giustizia: Casellati; nel “Piano Carceri” 2mila assunzioni, dai direttori, alle guardie, ai medici di Martino Valente Italia Oggi, 31 maggio 2010 Quando il lavoro è una vera prigione. Negli ultimi tre mesi oltre 500 persone hanno trovato un posto fisso come educatori, contabili o collaboratori in istituti penitenziari. A breve partiranno anche i concorsi per l’assunzione di duemila guardie previste dal Piano carceri, provvedimento straordinario che dovrebbe portare a una profonda ristrutturazione del comparto grazie all’aumento di personale e dei centri detentivi. In altre parole, con i chiari di luna degli ultimi tempi, la prigione è un lavoro (e non il contrario) e tutto il sistema carcerario può essere visto anche come una grande impresa pubblica nella quale investire il proprio futuro. Le carceri sono al collasso per sovraffollamento e il Piano del governo intende portare la capienza per gli “ospiti” a 80 mila unità. “Per questo sono in programma nuove assunzioni di personale e presto sarà necessario programmarne ad altre”, conferma il sottosegretario di stato alla giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati. Oggi, e fino a dicembre, vige lo stato d’emergenza: con 60 mila detenuti in 360 strutture sono in servizio 6.318 tra dirigenti, tecnici amministrativi ed educatori. Il personale di polizia penitenziaria è composto di 38.790 unità. A peggiorare il quadro il fatto che, se non bastasse, la popolazione nelle carceri aumenta di 800 unità al mese (26 al giorno). “Il governo”, puntualizza il sottosegretario, “ha dunque preso atto della situazione e ha deciso di percorrere una strada “costruttiva”, assai diversa rispetto alle scelte spesso solo paradossali fino a oggi adottate (trenta tra amnistie e indulti negli ultimi 60 anni)”. Altro aspetto da (rivalutare considerando un ipotetico lavoro nelle carceri è che (forse) niente sarà più come prima. “Con il Piano si riuscirà a riportare la situazione sotto controllo e a garantire che l’espiazione della pena avvenga nel pieno rispetto di tutte le garanzie costituzionalmente garantite ai reclusi”, annuncia il braccio destro del ministro Alfano. Oggi le cronache parlano tutti I giorni di suicidi in cella, di condizioni e trattamenti al limite del regolamento e tutto il sistema vive e respira aria di emergenza. Alla realizzazione del piano le carceri come le conosciamo non dovranno essere più le stesse, sotto dotate di fondi, uomini e mezzi. Lavorarci potrà essere meno drammatico (e mortificante) di quanto non sia oggi. “La riforma intrapresa prevede la creazione di 47 padiglioni all’interno delle carceri esistenti e di otto nuovi istituti. Il piano ha un costo stimato in 600 milioni di euro (500 dei quali previsti in Finanziaria, gli altri 100 a carico del ministero della giustizia) e si avvale anche dell’apporto di capitali privati”, continua Alberti Casellati. “Dal punto di vista del personale che nelle nuove e vecchie strutture dovrà lavorare è prevista l’assunzione di 2 mila agenti di custodia e, in prospettiva, lo sblocco del turnover che garantirà un ulteriore rafforzamento delle piante organiche. La proclamazione dello stato d’emergenza nazionale per tutto il 2010 consentirà di mettere in atto procedure snelle, sulla falsariga di quelle utilizzate per l’emergenza post terremoto in Abruzzo”. Ma come l’indulto anche le nuove carceri e il nuovo personale rischiano di diventare misure insufficienti e tardive? “Per evitarlo il Piano carceri”, spiega ancora il sottosegretario, “è corredato da una serie di norme che amplieranno l’impatto del provvedimento sull’intero sistema. Il punto di partenza sarà il fatto che circa 24 mila dei 67 mila detenuti nei nostri penitenziari hanno cittadinanza straniera. Il governo italiano sta avviando una serie di accordi bilaterali che mirano a ottenere la possibilità che questi detenuti scontino la pena nei Paesi d’origine. Si tratta peraltro di una riflessione avviata anche in sede di Unione europea, poi confluita nel “Programma di Stoccolma 2010 - 2014”. C’è poi la risoluzione che, a partire dal Programma, getta le basi per il finanziamento di nuove carceri con fondi europei in quei paesi, come appunto l’Italia, in cui il sovraffollamento è determinato anche dalla massiccia presenza di detenuti stranieri”. A questo va aggiunta una serie di norme che il governo intende varare, come la messa in prova di tre anni, e l’accelerazione impressa al varo di misure già all’esame del parlamento, come la detenzione domiciliare a chi deve scontare un residuo di pena inferiore ad un anno. Secondo le più recenti stime i reclusi che si trovano nella condizione di beneficiare di questa ultima norma sono circa 10mila, di cui circa 5.600 italiani, quasi 800 cittadini di paesi dell’Unione e circa 4 mila extracomunitari. “Si tratta”, precisa Alberti Casellati “di un provvedimento che non presenta alcun rischio per la sicurezza dei cittadini, giacché è congegnato in modo tale da infliggere il raddoppio della pena residua a coloro che si sottraessero agli obblighi previsti dalle nuove norme”. La chiamata sarà per concorso e toccherà tutte le figure che lavorano dall’altra parte delle sbarre: il direttore e il vice, le guardie e il personale medico - sanitario, tutte accomunate dal fatto di occuparsi per definizione giuridica del “trattamento dei detenuti e del loro recupero”. Il direttore è responsabile del carcere e ha molteplici compiti, tra i quali la supervisione di tutto ciò che accade in istituto: oggi se ne contano 360 ma con il già citato Piano saliranno sicuramente. La polizia penitenziaria ha il compito di mantenere l’ordine e garantire la sicurezza sia dentro alla struttura sia negli spostamenti all’esterno. In organico oggi se ne contano circa 40 mila ma, come detto, è prevista l’assunzione di altre duemila unità a breve e nuovi concorsi. L’educatore è una figura di primaria importanza, coordina infatti tutte le attività che si svolgono all’interno dell’istituto (sociali, culturali, ricreative...) e traccia una sintesi della personalità del detenuto. La relazione scritta dall’educatore, in collaborazione con lo psicologo e il criminologo viene inviata al magistrato, che in taluni casi può decidere di affidare il detenuto ai servizi sociali. Ciascun istituto è dotato di servizio medico e di servizio farmaceutico e dispone di almeno uno specialista in psichiatria (legge 354/1975, art. 11). Lo psicologo analizza la personalità del recluso, che in questo caso diventa “paziente”. Il criminologo infine ha un compito assai diverso che è quello di scoprire le caratteristiche che hanno portato la persona a compiere il reato cercando di valutarne la pericolosità sociale e la possibilità di continuare nell’attività criminosa. Giustizia: Ionta; i soldi per assumere 2mila nuovi agenti si troveranno, c’è un emendamento del governo Ansa, 31 maggio 2010 L’ampliamento dei posti detentivi, l’assunzione di 2.000 agenti penitenziari e le misure deflattive: “Sono questi i tre pilastri che nel breve e medio periodo possono supplire a questa situazione difficile”. Ne è convinto il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che oggi è intervenuto alla festa per il 193° anniversario di fondazione del corpo della Polizia penitenziaria che si è tenuta a Bologna. “Stiamo facendo grandi passi per migliorare la situazione - ha detto Ionta - Penso che con la manovra finanziaria non ci siano rischi per questo progetto”. E sul numero dei detenuti che potrebbero usufruire delle misure deflattive, concludendo quindi il periodo di detenzione fuori dal carcere, Ionta ha spiegato: “Spetterà alla magistratura di sorveglianza decidere chi fare uscire”. Durante il suo discorso il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha detto che “il 2010 si preannuncia un anno difficile, di transizione e di costruzione per andare verso la stabilità del sistema”. “Ci si muove - ha spiegato Ionta - per garantire migliori condizioni sia per i detenuti che per gli agenti che lavorano nelle carceri. Del resto i problemi sono gravi per via della carenza di organico, della moltitudine dei detenuti e degli spazi detentivi insufficienti. Ma le difficoltà non scoraggiano l’amministrazione e la polizia penitenziaria perché si possono affrontare e risolvere”. “Penso di no. Perché c’è un emendamento presentato dal Governo che dà copertura finanziaria a questa operazione. Con la copertura finanziaria siamo in grado nell’arco di alcuni mesi di poter assumere le persone che mancano”. Così Franco Ionta, capo del Dap, a chi gli ha chiesto se la manovra economica metta a rischio le nuove assunzioni previste dal piano carceri”. Ionta ha parlato a Bologna, a margine della festa della polizia penitenziaria dell’Emilia - Romagna. Alla celebrazione non ha partecipato per protesta il Sappe. Ionta ha spiegato che la risposta alle difficoltà lamentate dal sindacato passa per tre punti: “l’ampliamento dei posti detentivi, con un programma di edilizia penitenziaria straordinaria”. Poi, appunto, “l’assunzione di 2.000 poliziotti penitenziari”. Infine “ci sono allo studio del parlamento una serie di misure deflattive del carcere in modo tale che chi possa scontare una pena inferiore ad un anno, anche come residuo di una pena maggiore, possa farlo in regime di detenzione domiciliare”. Ma sempre la mancanza di copertura finanziaria metterebbe in forse l’assunzione dei 1.500 poliziotti e altrettanti carabinieri per vigilare sulle persone che poste ai domiciliari con il ddl svuota carceri, gli è stato fatto notare. “Non so bene quale sia la ragione per la quale polizia e carabinieri hanno fatto questa richiesta di aumento di personale. Tengo a dire che al momento dell’indulto sono uscite 25.000 persone che erano totalmente libere - ha risposto - Queste sono persone che comunque sono sottoposte ad un controllo”, ha spiegato, aggiungendo che “non c’è una liberazione immediata, ma una detenzione domiciliare”. La platea di riferimento interessata dal ddl, ha spiegato, è di alcune migliaia, ma “naturalmente spetta alla magistratura di sorveglianza fare la valutazione sulla pericolosità di queste persone”. Da parte di Ionta non è mancato il ricordo del giovane agente Rocco D’Amato morto a 20 anni durante il servizio in carcere e premiato con una medaglia d’oro al merito civile alla memoria. Ionta ha infine salutato il commissario Sabatino De Bellis, già capo degli agenti del carcere bolognese della Dozza, che da domani sarà in pensione, dopo 40 anni di servizio. Giustizia: Sbriglia (Sidipe); rammarico per stop Commissione bilancio a norme su assunzione personale Agi, 31 maggio 2010 “La bocciatura della commissione Bilancio di Montecitorio dei due articoli del ddl Alfano che prevedevano la possibilità dei detenuti di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari e la previsione dell’assunzione di 1.500 poliziotti e 1.500 Carabinieri, oltre che il necessario minimo adeguamento del personale di polizia penitenziaria e del ministero della Giustizia, fortemente carenti negli organici, ci lascia fortemente rammaricati”. Lo afferma Enrico Sbriglia, direttore del carcere di Trieste, nonché segretario nazionale del Sidipe, il sindacato dei direttori penitenziari. “Così come - aggiunge Sbriglia - non comprendiamo la posizione contraria che sarebbe stata espressa dal sottosegretario all’Economia Alberto Giorgetti, circa la possibilità per i detenuti tossicodipendenti o alcoldipendenti di scontare la pena residua presso strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, per la preoccupazione che ciò avrebbe determinato maggiori oneri, non quantificati né coperti, a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Non è comprensibile che proprio da quelle parti politiche che proclamano un continuo richiamo alla sicurezza - spiega Sbriglia - pervengano decisioni che alimentano uno stato di oggettiva insicurezza”. Sbriglia infine puntualizza sulla situazione dei direttori penitenziari che sono da cinque anni senza contratto. “Non si tratta di contratto collettivo congelato - precisa - ma proprio di assenza di contratto collettivo di diritto pubblico: una vergogna”. Giustizia; Cgil, con bocciatura in Commissione Bilancio sfuma piano del governo per le carceri Adnkronos, 31 maggio 2010 “Con la mancata approvazione in Commissione Bilancio della Camera, per assenza di copertura economica, degli articoli del ddl Alfano riguardanti l’assunzione dei famosi 2.000 agenti di Polizia Penitenziaria e la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena agli arresti domiciliari, vengono a mancare due dei tre pilastri del piano indicato come soluzione per l’emergenza carceri”. Lo afferma, in una nota,Francesco Quinti, responsabile nazionale per la Cgil del comparto sicurezza. Per Quinti, “fallisce così miseramente l’operazione d’immagine del governo e del ministro della Giustizia, troppo impegnati a tagliare per tenere in piedi almeno il terzo pilastro, quello che avrebbe dovuto finanziare con 1,5 miliardi di euro l’edilizia penitenziaria. Una manovra di tagli lineari presumibilmente travolgerà la soluzione indicata per una delle più gravi emergenze sociali citate dal presidente del Consiglio e dal ministro della Giustizia nelle conferenze stampa e davanti alle telecamere”. “Un fallimento - prosegue l’esponente della Cgil - che adesso si palesa nella sua completezza, con la Commissione Bilancio che dimostra che quanto avevamo più volte denunciato, l’assenza cioè di copertura per le nuove assunzioni, era nei fatti. Ci chiediamo a questo punto se il governo non intenda revocare l’incarico di commissario straordinario al capo del Dipartimento, considerata l’assenza degli strumenti finanziari e giuridici necessari ad affrontare l’emergenza e attenuarne gli effetti più drammatici”. “Anche per questo - conclude - i lavoratori della polizia penitenziaria, per protestare contro la manovra e l’assenza di soluzioni all’emergenza carcere, scenderanno in piazza, liberi dal servizio, il 12 giugno, a fianco dei lavoratori del lavoro pubblico, nella manifestazione indetta da Fp - Cgil, Flc - Cgil e Cgil confederale”. Giustizia: Sappe; servono azioni immediate, siamo vicini al crollo del sistema penitenziario Il Velino, 31 maggio 2010 “Il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il primo Sindacato del Corpo, chiede un ascolto vero e provvedimenti immediati: il crollo del sistema penitenziario è prossimo.” È quanto scrive il segretario generale, Donato Capece, in una nota inviata al Capo dello Stato Giorgio Napolitano, ai presidenti di Senato e Camera Renato Schifani e Gianfranco Fini, al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e ai ministri dell’Interno, dell’Economia e Finanze e della Giustizia. “Il Sappe ha rappresentato più volte, negli ultimi mesi, la sempre più grave situazione operativa degli istituti penitenziari, in particolare per quanto attiene alle risorse economiche, al sovraffollamento della popolazione detenuta, alle carenze di organico, alla formazione - sottolinea Capece. In proposito, da mesi, il Piano di edilizia per le carceri funge da imbonitore, quasi fosse una panacèa dell’intero pianeta carcerario: in realtà, nessun provvedimento viene assunto, nonostante il previsto arruolamento di duemila unità nel Corpo sia effettivamente una mera goccia nell’Oceano. Crescono intanto i disagi, gli inconvenienti, il numero dei detenuti e diminuisce la presenza del personale del Corpo: si avvicina la stagione estiva e il clima diventa sempre più caldo e irrespirabile, sotto ogni profilo. Tra un mese, tutte le Scuole dell’Amministrazione saranno completamente vuote, terminando i corsi in atto per allievi agenti e vice sovrintendenti - evidenzia ancora il Sappe - e la disponibilità di allievi da avviare subito ai corsi ammonta a meno di 300 unità, da inserire in servizio attivo non prima del mese di gennaio 2011, se la durata dei corsi sarà di sei mesi”. Il Sappe richiama l’attenzione “sulla criticità, davvero mai raggiunta, delle strutture penitenziarie: probabilmente non ci si rende conto, se non di fronte a episodi eclatanti di manifesta entità, che la costante emergenza è come una polveriera, che può esplodere in qualsiasi momento: basta un minimo errore e, in condizioni difficili e stressanti, sbagliare è quasi una certezza. Nei prossimi mesi, mentre i detenuti raggiungeranno il numero di 70mila unità, i contingenti del Corpo si depaupereranno ancora di altre centinaia di unità: una distanza proporzionale sempre più distante, incolmabile. Il Sappe chiede un ascolto vero e provvedimenti immediati: il crollo del sistema penitenziario è prossimo”. Giustizia: Osapp; con legge su intercettazioni in carcere non ci sarà possibilità di fare prevenzione Ansa, 31 maggio 2010 “Il ddl sulle intercettazioni renderà meno sicure le carceri italiane. Le intercettazioni sono il nostro sistema di difesa all’interno degli istituti di pena”: lo dice il segretario del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Leo Beneduci, nel giorno in cui il progetto di legge è al Senato per la sua discussione. “In un sistema penitenziario concepito come il nostro - spiega il sindacalista - dove la riabilitazione è oramai un miraggio e dove, in base ai dati, la cosiddetta recidiva è sempre più una realtà consolidata (chi “marcisce” in carcere compie un nuovo crimine per il 90% dei casi, una volta uscito di galera) intercettare è uno dei dispositivi di difesa e prevenzione che ci garantisce l’esistenza”. Secondo Beneduci, “è importante, specialmente per determinati reati (non soltanto di stampo associativo), tenere d’occhio chi del crimine, qui, fa una vera è propria accademia e con questa legge, soprattutto con le restrizioni che si vogliono introdurre, non c’è possibilità di fare prevenzione. Le cimici servono per sentire conversazioni attinenti ad un crimine, soprattutto tra detenuti e il mondo esterno, e il più delle volte è qua dentro che quei crimini si organizzano”. Ormai, sottolinea Beneduci, “il carcere non incarna più quei valori istituzionali che voleva onorare un tempo, è diventato il luogo ideale per il sistema affaristico di certe imprese, soprattutto dopo il varo del cosiddetto piano carceri. Ma rispetto a questo, per noi agenti non esiste alcuna partita di scambio: quei duemila poliziotti penitenziari in più sono come spariti dai progetti del ministro Alfano”. Giustizia: Associazione Difesa Animali; vietare la caccia e renderla un reato punibile con il carcere Agi, 31 maggio 2010 Non solo abolire la caccia, ma iniziare un percorso con l’obiettivo chiaro e dichiarato di rendere la caccia un reato penale punibile come qualunque altro delitto con la reclusione e con multe salate. È la proposta che avanza l’Aidaa, associazione italiana difesa animale e ambiente. “Chi uccide per sport e divertimento altri non è che un omicida di animali. Non solo la caccia è anacronistica, ma anche pericolosa; basta pensare infatti al numero di morti e feriti che anche tra gli uomini sono causati dai colpi sparati dai fucili dei cacciatori il cui bilancio ogni anno è di diverse decine di vittime. Togliere il porto d’armi, sequestrare i fucili spesso tenuti in armadietti accessibili anche ai bambini, abolire la caccia dichiarandola reato penale. Questi sono gli obiettivi che Aidaa si pone con la raccolta di firme lanciata oggi su scala nazionale”. Per aderire basta inviare una mail con scritto: “aboliamo la caccia e rendiamola un reato”, seguito dalle firme dei sostenitori; il tutto da inviare a presidenza.aidaa@gmail.com. “Uccidere creature vive e senzienti al solo scopo di sport e divertimento è abominevole, si tratta di un omicidio a sangue freddo di creature che vengono uccise solo per l’egoistico divertimento di una minoranza di uomini sanguinari - dice Lorenzo Croce, presidente nazionale di Aidaa -, senza contare poi le decine di vittime umane causate ogni anno dai cacciatori. In una società evoluta, la caccia come sport non solo deve essere abolita ma va considerata per quel che è: un omicidio di creature viventi, e quindi reato da inserire nel codice penale”. Lettere: Vicenza; qui al Pio X viviamo in tre su 7 metri quadrati per 21 ore di fila al giorno Giornale di Vicenza, 31 maggio 2010 Esiste una circolare ministeriale di fine 2009 che invita a tenere aperte le celle e concedere ai detenuti quel che è possibile per ridurre i notevoli disagi provocati dal sovraffollamento delle carceri. Il Tribunale di Sorveglianza di Cuneo, appena un mese fa, ha intimato alla direzione del carcere di Saluzzo di porre termine alle “non tollerabili condizioni di vita di 2 detenuti” in alta sicurezza, ristretti in 4,7 mq. ciascuno anziché in 7 mq “indicati dal comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti” e dall’insufficienza delle 5 ore giornaliere all’aperto rispetto alle 8 ore fissato dal comitato stesso. Infine e soprattutto, il 23 ottobre 2009, la Corte Costituzionale Italiana, sentenza n. 266, ha stabilito: “Il magistrato di sorveglianza impartisce disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti e dei condannati; la parola disposizioni, nel contesto in cui è inserita, non significa segnalazioni ma bensì prescrizioni o ordini il cui carattere vincolante per l’amministrazione penitenziaria è intrinseco alle finalità di tutela che la norma stessa persegue”. Significa, in altre parole, che se solo lo volesse, il Tribunale di Sorveglianza potrebbe mettere fine alle situazioni che subiamo in numerose patrie galere e qui a Vicenza. Scriviamo del Carcere di Vicenza perché quello che accade qui ha del paradossale. Innanzitutto l’ottanta per cento di noi è imputato e non condannato in via definitiva, viviamo stipati in 3 persone in uno spazio di 7 mq. (tre persone, non una...!) e disponiamo di 3 ore “d’aria” al giorno anziché delle 8 previste da trascorrere dentro ad una vasca di cemento e acciaio. Precisiamo che in 7 mq c’è il posto occupato da 3 brande, dal water, dagli armadietti, dal lavandino, da un mini tavolino con relativi sgabelli e dagli oggetti personali, pertanto lo spazio calpestabile si riduce a meno di 2 mq. per 3 persone per 21 ore di fila al giorno. Non è una formula chimica o matematica, è la nostra vita che se ne va... Si dirà, ma la prigione di Vicenza è vetusta, non permette nulla perché mancano gli spazi e per questo non è possibile per la direzione sopperire alle gravi privazioni e applicare la circolare ministeriale. Ma non è così! A Vicenza ci sono 4 campi da gioco all’aperto: 1 per il calcio, 1 per la pallavolo, 1 per il tennis ed 1 per il calcetto. Sarebbe un carcere a 5 stelle almeno per l’estensione esterna se solo potessimo adoperare tanto spazio che invece resta inutilizzato. Perché? Non lo sappiamo! Proviamo ad avanzare una ipotesi plausibile... Tutti reclusi particolarmente pericolosi? Assolutamente no! Perché non interviene il Magistrato di Sorveglianza che ne avrebbe titolo e potere come a Cuneo? A questo punto ci appelliamo anche alla cittadinanza ed al Comune di Vicenza affinché venga istituito il garante dei diritti delle persone private della libertà personale come già accade nelle vicine Padova e Verona e nel 90% delle carceri italiane. Mandate un vostro rappresentante a vedere in quale mostruosità siamo costretti a vegetare nel cuore del “civilismo veneto” e dopo chiedetevi il perché di tanti suicidi e atti di autolesionismo nel carcere di Vicenza e perché non vi sono significativi riferimenti di detenuti dopo la scarcerazione. Da questa scatola gigante di grigio cemento armato si alza forte il nostro grido di disperazione. Speriamo che qualcuno lo raccolga e che i nostri pochi diritti cessino di rappresentare una meta irraggiungibile. Ci piace terminare ricordando le parole del filosofo e senatore N. Bobbio. Così definiva il pianeta carcere in anni apparentemente lontani e in realtà vicinissimi: “Il carcere funziona come un ospedale dove ci si facesse ricoverare non per guarire ma per ammalarsi e maggiormente morire”. Seguono 160 firme di detenuti del carcere di Vicenza Puglia: Buccoliero (Mp); la situazione delle carceri regionali come una bomba a orologeria Asca, 31 maggio 2010 “Il sovraffollamento degli istituti penitenziari e la carenza di personale sono i due annosi problemi con cui il corpo di Polizia penitenziaria è costretto a confrontarsi ogni giorno. Eppure, nonostante le evidenti difficoltà, l’impegno degli agenti penitenziari non viene mai meno”. È quanto ha dichiarato il consigliere regionale pugliese dei Moderati e Popolari, Antonio Buccoliero, intervenendo alla cerimonia celebrativa dell’annuale regionale 2010 del corpo di Polizia penitenziaria, in piazza Duomo, a Lecce. “È necessario intervenire con urgenza - prosegue Buccoliero - per normalizzare una situazione che, allo stato attuale, è una vera e propria bomba ad orologeria. Le carceri infatti sono sul punto di scoppiare per un sovraffollamento estremo, a causa del quale gli uomini e le donne della polizia penitenziaria lavorano in condizione di elevato stress e senza le opportune misure di sicurezza”. “Del resto - spiega il consigliere - è sufficiente dare uno sguardo alle cronache locali per rendersi conto di come le aggressioni da parte di detenuti all’interno degli istituti penitenziari siano, ormai, una costante”. Lecce: detenuto extracomunitario di 30 anni si impicca in carcere Asca, 31 maggio 2010 Un detenuto extracomunitario di 30 anni si è suicidato l’altra notte impiccandosi nella cella del carcere di Lecce dov’era recluso. Lo riferisce il vice segretario nazionale dell’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), Domenico Mastrulli. Il giovane era stato arrestato per reati di droga e si è tolto la vita annodando le lenzuola del suo letto, legandole alle sbarre della stanza e infine lasciandosi sospendere dopo aver infilato il cappio artigianale al collo. A dare l’allarme sono stati i suoi compagni di cella, ma quando gli agenti di polizia penitenziaria sono intervenuti per il giovane non c’era più nulla da fare. Secondo quanto riferito da Mastrulli, il detenuto nei giorni scorsi avrebbe manifestato insofferenza per il sovraffollamento in cella. “In media - ha detto Mastrulli, che nei giorni scorsi ha visitato il carcere di Lecce - in una cella sono ospitati 4 - 6 detenuti, in contrasto con le normative europee”. Attualmente nelle carceri pugliesi ci sono 4.400 detenuti, mentre l’organico di polizia penitenziaria è carente e gli agenti sono costretti a turni massacranti, secondo l’organizzazione sindacale. Per questi motivi l’Osapp annuncia che non parteciperà alla festa per il 193/o anniversario della polizia penitenziaria. Suicidi in carcere, una piaga senza fine Ennesimo suicidio di un detenuto in un carcere italiano. Un extracomunitario di 30 anni, recluso per droga, si è impiccato nel penitenziario di Lecce. Secondo il sindacato degli agenti penitenziari Osapp aveva lamentato il sovraffollamento della sua cella. Solo quest’anno si sono già uccisi 26 detenuti in Italia. A CNRmedia l’intervista a un’esperta dei problemi carcerari, la professoressa Laura Cesaris. Sovraffollamento, malfunzionamento, condizioni di vita pessime sia per i detenuti sia per gli agenti. Spesso delle carceri italiane si parla in questi termini. Ma qual è la differenza tra la situazione reale e quella prevista dalla legge? CNRmedia lo ha chiesto a un’esperta, la professoressa Laura Cesaris, docente di Diritto dell’esecuzione penale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia. Sovraffollamento - Qual è la previsione normativa? “In una cella, secondo l’articolo 6 della legge penitenziaria, dovrebbe stare una persona o più. La legge non dice quante in più, ma dice che le celle sono dotate di uno o più posti. E agli imputati dovrebbe essere assicurata una cella singola”. E qual è la situazione reale? “In una cella ci sono molti più detenuti. Dipende, ovviamente, dalla disponibilità e da come sono fatte le celle. Ogni istituto varia e possiamo arrivare ad avere in una cella anche otto persone o in celle più grandi - cameroni - addirittura sedici persone. Questo è veramente inaccettabile. La popolazione carceraria, secondo i dati del ministero, oggi è di 67 mila persone, a fronte di una capienza ufficiale che è invece intorno alle 42 - 43 mila”. Rapporto tra agenti e detenuti - Cosa dice la legge? “La legge non prevede un rapporto di questo genere, non sta a indicare qual è il rapporto unità - detenuti e unità - agenti di polizia penitenziaria. Il corpo è oggi costituito da circa 45 mila persone però, purtroppo, in servizio effettivo negli istituti penitenziari ce ne sono circa 30 mila. Adesso il ministero ha bandito nuovi concorsi per la Polizia Penitenziaria e anche nell’ultimo disegno di legge Alfano - quello che prevedeva una forma di detenzione domiciliare nell’ultimo periodo di pena - è prevista un’assunzione di altre 2 mila unità”. Assistenza psicologica - La legge prevede la presenza di uno psicologo in carcere? “Sì. Già durante la cosiddetta visita di primo ingresso, cioè quella che viene effettuata quando la persona entra in carcere - a titolo di custodia cautelare o a titolo di condanna definitiva - la persona viene visitata da un medico che, se ne avverte i sintomi, segnala la situazione di fragilità psicologica e c’è l’intervento di uno psicologo”. “Ultimamente, per prevenire - o comunque contenere - il problema dei suicidi in carcere, il Dap (la direzione dell’amministrazione penitenziaria) ha emanato una nuova circolare in cui sottolinea l’importanza della presenza dello psicologo, per cogliere eventuali fragilità e per venire incontro ai problemi che l’impatto con la realtà carceraria determina in ognuno di noi. L’impatto con il carcere è comunque disastroso”. Rieducazione - “Si fa, si fa molto in questo senso. Certo, una situazione di sovraffollamento riduce di molto le possibilità di perseguire effettivamente questo obiettivo. Sottolineo che la finalità rieducativa è l’unica che trova riconoscimento a livello costituzionale, nell’articolo 27 comma terzo della Costituzione, in base al quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Ma non è solo un problema di sovraffollamento: è un problema anche di scarsità di risorse e di personale, perché il numero degli educatori è molto basso. Si calcola che ci sia un educatore in media per duecento detenuti. Quindi, di fatto, una situazione di questo genere non consentirebbe - o quasi - attività trattamentali, se non ci fossero interventi dall’esterno attraverso i volontari”. Diritti - Quali sono i principali diritti dei detenuti che non vengono rispettati nelle carceri? “Potrei rispondere, di primo acchito: tutti. Penso però che in primo luogo il diritto alla salute e ancor prima il diritto al rispetto della dignità della persona siano quelli che vengono maggiormente omessi. Poi da questi discende tutto, perché il rispetto della dignità di una persona è il presupposto per il rispetto di tutti gli altri diritti”. Recidiva - È vero, come si dice, che il carcere è criminogeno? “Ci sono statistiche che lo confermano. C’è un alto tasso di recidiva, che scende quando il carcere riesce ad attuare programmi trattamentali. La riprova si ha dal fatto che la percentuale di recidiva scende, e di molto, quando la persona condannata viene ammessa ad una delle misure alternative, che non sono una fuga dalla pena, ma un’esecuzione in una forma diversa, che ha soprattutto la grande valenza di consentire alla persona un percorso risocializzante. Attraverso, ad esempio, lo svolgimento di un’attività lavorativa”. Milano: “Raee nelle Carceri”, al via nel carcere di Bollate un progetto per riciclo dei rifiuti Il Velino, 31 maggio 2010 “Puntare sulle competenze professionali e sulla formazione è il modo migliore per rendere il carcere non solo un’esperienza punitiva, ma una occasione di riscatto. Milano crede nel recupero di chi ha sbagliato e si rende disponibile a un percorso di reinserimento”. Così il sindaco di Milano Letizia Moratti intervenuta alla presentazione del progetto sperimentale regionale “Raee nelle Carceri” (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) che ha l’obiettivo di creare opportunità di lavoro all’interno della casa di reclusione di Bollate, grazie a un protocollo d’intesa sottoscritto da Regione Lombardia, provveditorato regionale per l’Amministrazione penitenziaria e Amsa. Presenti il sottosegretario di Stato alla Giustizia Giacomo Caliendo, l’assessore regionale all’Ambiente Marcello Raimondi, il provveditore regionale Luigi Pagano, il presidente della commissione Carceri del Consiglio comunale Alberto Garocchio e il presidente di Amsa Sergio Galimberti. “Raee” prevede la creazione del primo impianto industriale milanese per il trattamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, che darà lavoro a un centinaio di detenuti. Il Comune di Milano investe circa 800mila euro per questo progetto. “La formazione che gli operatori acquisiranno sarà spendibile anche fuori dal carcere nel mondo del lavoro - ha proseguito il sindaco - . Inoltre questo progetto connette direttamente il mondo carcerario ai temi della sostenibilità ambientale e fa compiere alla nostra collaborazione con gli istituti di reclusione un passo avanti”. Ogni anno circa un centinaio di detenuti partecipano ai percorsi di inserimento lavorativo attivati dal nostro ufficio di mediazione al lavoro, attraverso l’attivazione di tirocini formativi e di orientamento e con l’incentivo di una borsa lavoro. Fra le iniziative sostenute dal Comune: il contratto sottoscritto con Milano Ristorazione per l’acquisto quotidiano del pane prodotto dal forno nel carcere di Opera, il progetto che per un anno coinvolge detenuti per la pulizia e la cura del verde dei cimiteri e altri che si prendono cura dei parchi cittadini. A questi si aggiungono i detenuti che dal 2007 sono stati incaricati, sempre attraverso Amsa, del servizio rimozione graffiti e altri detenuti volontari impiegati come spalatori nei giorni dell’emergenza neve. “Sono certa - ha concluso Letizia Moratti - che Milano potrà contare sulla vostra voglia di riscatto, di dignità, di partecipazione alla vita civile della città e del Paese”. Trento: detenuti in rivolta; sciopero della fame e protesta rumorosa con tanto di incendi Trentino, 31 maggio 2010 Sciopero della fame e protesta rumorosa con tanto di incendi ieri al carcere di Trento. Dalle 11.45 alle 13.30 circa è scattata la prima fase della “rivolta” dei detenuti che ha coinvolto la maggior parte dei detenuti che sono circa 180 quindi ben oltre le capacità della vecchia struttura di via Pilati. Per far sentire il loro malumore hanno sbattuto piatti, caffettiere e quant’altro sulle inferriate e sui tavoli. Hanno quindi lanciato giornali incendiati all’esterno delle celle. Le ragioni della protesta sono sostanzialmente tre. Al primo punto c’è la criticità della struttura e in particolare l’assenza di acqua calda nelle docce. C’è poi l’annoso problema del sovraffollamento che sta raggiungendo livelli altissimi ed infine denunciano una posizione rigida da parte della magistratura di sorveglianza con il no a permessi e concessioni di libertà anticipata. Nel pomeriggio, dalle 16.30 alle 19.30 c’è stata la seconda parte della protesta con lenzuola e coperte intrise d’olio e date alle fiamme. La protesta è stata tenuta sotto controllo dalle guardie carcerarie ma è probabile che riesploda anche domani. Empoli: il carcere di Pozzale presto sarà riaperto, ma non servirà per i detenuti transessuali Il Tirreno, 31 maggio 2010 Lo sciopero della fame ha centrato l’obiettivo e da Roma arrivano assicurazione che il carcere di Pozzale, vuoto da un anno, sarà a brevissimo ripopolato. Non si sa ancora da chi. Ma Franco Corleone, che ha digiunato sei giorni, ha interrotto la sua forma di protesta. Corleone, garante dei detenuti per il Comune di Firenze, si era detto indignato dal silenzio del ministro della giustizia Angelino Alfano sulla questione. Da qui la decisione di iniziare uno sciopero della fame. Ieri la decisione di interromperlo perché “mentre ero a Roma a un convegno - spiega il garante - Franco Ionta mi ha assicurato in pubblico che Pozzale sarà riaperto entro pochi giorni”. Di sicuro, è sempre Corleone a parlare, non ci saranno portati i trans. Non è chiaro ancora chi ospiterà la struttura di Pozzale. Probabilmente la destinazione sarà quella femminile. Ieri pomeriggio sull’argomento carcere era intervenuta anche la Regione. Il vicepresidente dell’assemblea Toscana, Giuliano Fedeli, si era rivolto al ministro di grazia e giustizia per non tenere vuoto il carcere di Empoli. “Il ministero è in chiara contraddizione - spiega - in questa fase di esagerato sovraffollamento degli istituti di pena toscani”. Dopo questa presa di posizione il vicepresidente del consiglio regionale aveva chiesto a Franco Corleone, garante dei detenuti di Firenze, di sospendere lo sciopero della fame. “Sono solidale con Corleone, ma mi preoccupa il prolungarsi del suo sciopero della fame di protesta. Lo invito, perciò, a sospendere il digiuno - ha dichiarato Fedeli - ma allo stesso tempo invito la giunta regionale della Toscana a svolgere una comunicazione in consiglio regionale, su cui votare un documento per attivare la Regione verso il governo”. No ai trans al Pozzale per motivi sanitari “La protesta e lo sciopero della fame di Franco Corleone (terminato ieri) sul carcere di Empoli sono insensati e strumentali”. Lo ha detto il consigliere regionale del Pdl Nicola Nascosti. “Le iniziative del garante fiorentino dei detenuti sono volte a farsi solo pubblicità e certo non a tutelare così né gli ospiti delle carceri né coloro che vi lavorano. Noi siamo favorevoli a bloccare lo spostamento al carcere empolese del Pozzale dei detenuti transgender. Siamo stati in disaccordo fin dall’inizio - ha aggiunto Nascosti. Siamo invece favorevoli a sfruttare questa struttura per diminuire il sovraffollamento di altri penitenziari come per esempio quello di Sollicciano che ospita 966 detenuti nonostante abbia una capienza di soli 521 posti. Il vero scandalo è il fatto che questo carcere non sia utilizzato da mesi quando in altri spazi ci sono detenuti stipati come sardine”. Nascosti, insieme al capogruppo del Pdl in consiglio comunale a Empoli, Paolo Baroncelli, ha spiegato che il vero problema dei transgender è la “gestione sanitaria: hanno bisogno di cure ormonali e psicologiche e bisognerebbe aumentare il personale medico e infermieristico. La gestione di questi reparti è più simile a un reparto di medicina che a un carcere”. Infine sulla proposta dello stesso Corleone di istituire un garante toscano dei detenuti Nascosti è stato lapidario: “La proposta ci trova assolutamente favorevoli, basta che non sia lui”. Catania: quell’inferno chiamato Piazza Lanza… 550 detenuti in 285 posti di Francesco Silluzio Catania Politica, 31 maggio 2010 Vi è mai capitato di entrare nel Carcere di Piazza Lanza? Speriamo per Voi di no! La Casa Circondariale di Piazza Lanza attualmente ha circa 550 detenuti a fronte di una capienza massima di 285 posti e con 230 unità di polizia penitenziaria, invece delle 435 necessarie e previste dal Decreto Ministeriale sulle piante organiche. Il carcere presenta, peggiorati, i problemi della maggior parte delle carceri italiane: sovraffollamento insostenibile e carenza di personale. Qualche settimana addietro è cominciata la protesta dei detenuti, che ha avuto una bassissima risonanza mediatica, i quali battendo sulle inferriate, cercavano di far percepire all’esterno la condizione di estremo disagio in cui sono costretti a vivere; il sindacato UIL della Polizia penitenziaria ha denunciato la situazione in cui versa il carcere e il suo organico; La situazione che emerge dalle denunce è allarmante. Il carcere risulta essere una struttura vecchia e inadeguata agli scopi rieducativi che invece dovrebbe avere; in celle di circa 18 metri quadri, che a stento potrebbero ospitare tre detenuti, sono stipati fino a nove, o addirittura tredici detenuti, secondo la Uil penitenziari. Si registra anche una forte carenza di personale, sia di agenti di polizia penitenziaria che di figure specializzate come educatori e psicologi. La carenza di fondi colpisce l’area sanitaria: i farmaci sono insufficienti e mancano le dotazioni primarie per le medicazioni. Così com’è, la vecchia struttura penitenziaria sembra insomma una bomba ad orologeria. Le denunce non sono nuove. Dal luglio 2009, periodo dell’iniziativa di monitoraggio “Ferragosto 2009 in carcere”, organizzata dai radicali su tutto il territorio nazionale, che ha portato oltre 150 parlamentari in tutti gli istituti di pena, ad oggi, l’unico problema che è stato risolto è quello dei topi che infestavano l’istituto. Nelle celle sovraffollate fredde d’inverno (quest’anno l’impianto di riscaldamento non è stato attivato) e soffocanti d’estate, i cittadini detenuti trascorrono almeno venti ore chiusi a chiave. Nel carcere, a differenza di altri istituti di pena, non esistono attività al di fuori della cella e non vi è alcuna possibilità di socializzare. Per non parlare del fatto che, nella stessa struttura, si svolgono le Udienze di convalida degli arresti e i colloqui con i detenuti. È chiaro che occorre un immediato intervento che non sia limitato solo a risolvere le emergenze ma a creare strutture degne di un paese civile e democratico. Teramo: due medici sotto indagine per la morte di Uzoma Emeka Il Centro, 31 maggio 2010 Ci sono due medici indagati per la morte in carcere di Uzoma Emeka, il detenuto nigeriano che assisté al presunto pestaggio di un altro recluso da parte degli agenti di polizia penitenziaria. Emeka, il 18 dicembre scorso, fu stroncato nel carcere di Castrogno, dove era rinchiuso dal giugno 2009 per fatti di droga, da un malore che poi l’autopsia avrebbe rivelato causato da un tumore al cervello. Un tumore mai diagnosticato. Per questo la procura ha aperto un’inchiesta: per fare chiarezza sulle mancate cure dovute alla mancata diagnosi. Il pm che indaga, il sostituto procuratore Roberta D’Avolio, ha iscritto nel registro degli indagati un medico della Asl che a turno è di servizio in carcere e un altro medico, uno specialista che ha operato come consulente. Il pm ha chiesto al gip un incidente probatorio: sarà nominato un consulente medico - legale che dovrà accertare il nesso di causalità tra la mancata diagnosi e la morte. Le zone d’ombra, in questa vicenda, sono diverse. Dall’autopsia si è infatti appreso che Uzoma tempo prima aveva avuto un infarto, anch’esso mai scoperto. E, dopo il sequestro della cartella clinica, gli investigatori hanno scoperto che una settimana prima della morte il nigeriano era stato visitato in carcere da un neurologo chiamato dal medico di guardia. Una visita al termine della quale non sarebbe stato diagnosticato nulla. Nel frattempo il caso del presunto pestaggio al quale avrebbe assistito Emeka ha portato al rinvio a giudizio solo del presunto pestato, un detenuto di Chieti, e alla richiesta di archiviazione per gli agenti coinvolti. Il caso esplose dopo che qualcuno inviò ai giornali locali un cd audio nel quale l’ex comandante delle guardie diceva a un sottoposto, in sintesi: “Il detenuto si massacra da un’altra parte, non in sezione. Il nero ha visto tutto”. Oristano: i costruttori; i lavori del nuovo carcere vanno avanti, lo consegneremo prima della scadenza La Nuova Sardegna, 31 maggio 2010 Il gruppo Intini, che sta realizzando il nuovo carcere che dovrebbe sorgere alle porte di Massama, non sta attraversando alcuna crisi finanziaria ed i lavori del complesso stanno proseguendo senza alcun problema. La precisazione è arrivata direttamente dal responsabile della comunicazione della società Intini costruzioni, Ruggero Cristallo. “L’attività del Gruppo va avanti senza intoppi e i fornitori non devono preoccuparsi” ha spiegato il portavoce della società di Bari. L’importo complessivo dei lavori per la costruzione del complesso - si legge nella nota - di 39milioni e passa è stato suddiviso tra prima (euro 23milioni) e seconda fase (euro 15milioni): “I lavori della prima fase sono stati completati a novembre, come da programma - dichiara Ruggero Cristallo. La seconda fase, la cui scadenza contrattuale è fissata per giugno 2011, procede regolarmente; anzi ci siamo prefissati di consegnarli con qualche mese di anticipo. Per i pagamenti ai fornitori e ai subappaltatori, la situazione è perfettamente nella norma, anche se ad essere precisi c’è uno scaduto complessivo di circa 300mila euro, con una media di ritardo non superiore ai trenta giorni”. Il gruppo Intini fa sapere inoltre di aver contestualmente perfezionato un’operazione di smobilizzo, dei crediti maturati con il ministero delle Infrastrutture, con la Banca nazionale del lavoro. “Sino a oggi, nessuna impresa è fallita, salvo quella barese deputata agli impianti elettrici, comunque, non imputabile al Gruppo Intini. La società ha dato e vuole continuare a dare opportunità di lavoro ai fornitori locali - ha concluso Ruggero Cristallo - e nessun problema è insormontabile: andiamo avanti”. Le finalità dell’inchiesta sui lavori del nuovo carcere di Oristano, pubblicata dalla Nuova Sardegna, non era certo quella di mettere in crisi il Gruppo Intini, ne le imprese appaltatrici, ma riportare la gravità della situazione che si è venuta a creare dopo l’inchiesta della magistratura che ha inquisito i vertici del Ministero delle Opere pubbliche. Tutto questo ha infatti portato, anche se in parte, a bloccare il trasferimento di fondi del Ministero per la realizzazione delle nuove carceri. I ritardi accumulati nel passato e le nuove inchieste giudiziarie faranno infatti slittare la consegna delle opere e il fantomatico Piano Carceri ancora oggi sbandierato dal ministro Angelino Alfano. Firenze: Osapp; licenziate le “donne delle pulizie” per gli uffici, saranno sostituite da detenuti Ansa, 31 maggio 2010 “Abbiamo appreso in maniera del tutto informale che, con decorrenza 1 giugno, le donne delle pulizie non lavoreranno più ed è molto probabile che tale decisione sia scaturita dalla necessità di fare spazio alla manodopera dei detenuti”. Lo scrive in una nota il sindacato di polizia penitenziaria Osapp (Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria) in relazione al carcere fiorentino di Sollicciano. “È piuttosto incredibile oltre che vergognoso - prosegue il sindacato - che in un contesto lavorativo così grande come quello di Sollicciano l’amministrazione penitenziaria non abbia trovato i margini necessari per salvaguardare il lavoro delle quattro donne addette alle pulizie. Due tra loro sarebbero andate in pensione fra due anni, e tre di loro hanno figli”. A tale riguardo l’Osapp scrive anche che “pur se non ha prerogative rispetto a tale categoria di lavoratori, non può esimersi dal denunciare che una simile decisione porterà altresì i detenuti a fare ingresso in tutti gli uffici di Sollicciano, a partire dalla segreteria del personale di polizia fino ad arrivare agli uffici di ben otto sigle sindacali, ambienti che detengono e trattano esclusivamente le pratiche del personale. Un vero e proprio addio alla privacy dei poliziotti ma anche il serio rischio di comprometterne la sicurezza individuale, famiglie comprese”. Napoli: “I fiori della speranza”, per Telefono Azzurro i fiori e le piante coltivati dai detenuti La Repubblica, 31 maggio 2010 Le piante dei detenuti per “Telefono Azzurro”. I reclusi del Centro penitenziario di Secondigliano si danno appuntamento oggi alle 10.30 in Villa Comunale, alla Cassa armonica. Esporranno le piantine coltivate nelle serre del carcere nel corso del progetto “I fiori della speranza”, avviato dalla direzione della casa circondariale in collaborazione con il Comune. Nato per promuovere il recupero sociale dei detenuti e rifornire di verde i parchi della città, il progetto chiede ora alla cittadinanza di acquistare a un prezzo simbolico le piantine fiorite di tagete, petunia, begonia e basilico, prodotte per sostenere le campagne a tutela dell’infanzia. Il Comune allestirà anche un piccolo laboratorio di giardinaggio sulla cura e la manutenzione delle piantine. A trasformare i reclusi in giardinieri sono stati nei mesi scorsi agronomi e addetti comunali che, coordinati da Rosa Stefanelli, hanno impartito lezioni sia di teoria che di pratica florovivaistica: fornendo ai detenuti i principi di un mestiere spendibile anche dopo l’ espiazione della condanna. Alla manifestazione di oggi interverrà l’ assessore all’ Ambiente, Rino Nasti. Perù: privilegi in carcere per l’ex presidente Fujimori, licenziato direttore istituto Adnkronos, 31 maggio 2010 Il ministro della Giustizia del Perù, Victor Garcia Toma, ha destituito Tomas Melendez, il direttore del carcere dove l’ex presidente Alberto Fujimori sta scontando una condanna a 25 anni. L’annuncio arriva pochi giorni dopo che la rivista “Caretas” aveva denunciato presunti privilegi e irregolarità a favore di Fujimori, detenuto nel penitenziario Diroes. Secondo “Caretas”, venivano concesse fino a 180 visite al giorno a Fujimori che aveva iniziato a fare campagna elettorale per la figlia Keiko, candidata alle prossime presidenziali, distribuendo gadget del suo partito, Fuerza 2011.