Giustizia: le carceri italiane sono una vergogna, governo e parlamento non intervengono di Pietro Calabrese Il Messaggero, 29 maggio 2010 In un Paese civile il ministro dell’Interno, quello della Giustizia e il capo dell’opposizione si vergognerebbero. In un Paese appena Civile, la pletora di funzionari, burocrati, commissari straordinari e portaborse mascherati da esperti, si vergognerebbero molto. In un Paese normale l’opinione pubblica si sarebbe già indignata e mobilitata da un pezzo. In un Paese appena normale nessuno si sognerebbe di lasciare sulle spalle dei radicali di Pannella, che da mezzo secolo sono avanti a tutti nelle battaglie civili, il peso di un problema enorme come quello del sovraffollamento delle carceri. I numeri testimoniano non più il disagio ma la tragedia sfiorata ogni giorno. Abbiamo in Italia 206 carceri e 44 mila posti branda. Sono in galera 68 mila detenuti. Quindi: 68mila contro 44 mila. E già questo dato basterebbe a far capire quanto è vicino l’abisso. Ogni giorno si verificano venti tentativi di suicidio nelle patrie galere, vale a dire quasi uno l’ora. Dall’inizio dell’anno si sono uccisi 26 detenuti. Per disperazione, perché non ce la facevano più, per tirarsi fuori dall’inferno carcerario. Un’ultima cifra: il 40 per cento dei detenuti è ancora in attesa di giudizio. Sta lì, ma nessuno si sogna di stabilire se a torto o a ragione. Alla faccia del sacrosanto principio in base al quale puoi togliermi la libertà, se lo merito, ma nessuno può strapparmi di dosso la dignità. Cesare Beccaria nel suo “Dei delitti e delle pene” parla di “dolcezza” della pena. E gli antichi latini avevano coniato una delle più belle parole del vocabolario universale di tutti i tempi: la pietas. Chissà che fine ha fatto oggi la pietas nelle stanze del potere, nei palazzi di chi comanda e può decidere, nel cuore di politici preoccupati solo della cricca e delle auto blu. Sembrava si fosse arrivati a un accordo su un provvedimento che concedeva a quelli che avevano da scontare ancora un solo anno di carcere di poterlo fare a casa, dietro alcune garanzie, ma non se n’è fatto nulla. Forse l’hanno ridotto a quelli che hanno da scontare solo sei mesi, forse no, nessuno ci capisce niente. Maroni e Di Pietro contro Alfano, Bersani balbetta, Berlusconi tace, alcuni farfugliano, e intanto si allunga la lista dei morti e dei tentati suicidi. Tra poco arriva l’estate e col caldo la situazione rischia di deflagrare. Qualcuno, per favore, ascolti gli uomini di buona volontà che ancora resistono alla barbarie. In Italia le galere peggiori d’Europa, di Raffaella Griggi Peggiori anche di quelle serbe e russe in quanto a sovraffollamento. Le carceri italiane risultano secondo l’associazione Antigone allo stremo. Le più penose di tutta Europa. La vita dentro più problematica del continente risulta essere negli istituti italiani. Con un costo medio per ogni detenuto di 157 euro al giorno, circa 3,8 miliardi l’anno. “Se si tornasse ad avere 43 mila detenuti, quanti sono i posti letto effettivi, si risparmierebbero 1 miliardo e mezzo di euro: Un pezzo di manovra” afferma Antigone. Il costo medio giornaliero di ogni detenuto è, infatti, di 157 euro al giorno, questo significa 3,8 miliardi in un anno. Mai così piene le celle quanto oggi. Leggendo i numeri del rapporto Antigone i posti effettivi in tutte le case circondariali della penisola sono infatti 43.000, ma l’indice di affollamento supera addirittura il 157% (più di una volta e mezzo) rispetto a una media europea del 96%. In questa speciale fotografia dietro le sbarre il nostro paese figura all’ultimo posto anche dopo i 47 Stati del Consiglio d’Europa (compresi Cipro, Serbia e Russia). Tra i motivi che portano l’Italia in cima a una sconfortante classifica secondo l’associazione c’è il ricorso quasi sistematico alla carcerazione preventiva per le persone in attesa di giudizio per spaccio e l’uso di metri di giudizio diversi sulle misure alternative tra stranieri e italiani. La percentuali di stranieri, mai raggiunta prima, è intorno al 37,4%. “Alla fine del 2005 erano il 33%, un anno dopo nonostante l’indulto che ha inciso su pene brevi portando alla scarcerazione molti più stranieri che italiani, erano tornati comunque al 34%” dicono gli autori del rapporto. “Mi auguro che nella manovra economica si preservino comunque i fondi destinati agli istituti” auspica Emilio Di Somma, vice capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “Una permanenza di due giorni in prigione come succede in molti casi non serve a nulla. Si crea solo sovraffollamento con una spesa altissima”. Nei non luoghi d’Italia, 25.000 persone sono dentro per aver violato la legge sull’immigrazione, ma molti di più, oltre 12.000 sono “parcheggiati” in attesa di misure alternative. “Già solo scarcerando 3.500 imputati o condannati per contravvenzione si avrebbe un effetto smaltimento” rafforzano il concetto da Antigone. Della realtà carceraria italiana fanno parte 26.000 persone legate allo spaccio di sostanze stupefacenti. Percentuali elevatissime riguardano infatti la tossicodipendenza (oltre il 27%), ed è sempre la detenzione e il commercio di droga ad aver messo in manette il 38% della popolazione carceraria. A testimoniare la criticità degli istituti italiani, gli episodi di violenza sono all’ordine del giorno: ieri una detenuta sieropositiva a Genova Marassi ha morsicato due guardie; un altro tossicodipendente nel carcere di Cagliari è morto. Mentre ha sospeso lo sciopero della fame Franco Corleone, garante dei detenuti a Firenze che si batte per una casa per soli transessuali. fa sapere Leo Benedici, segretario sindacato Osapp. “Andando a spulciare nei lavori parlamentari non si vede l’ombra di nuovi reclutamenti relativi alla Polizia penitenziaria”. Giustizia: il Dap chiede aiuto… se metti troppi conigli in una gabbia diventano cannibali di Dina Galano Terra, 29 maggio 2010 Se metti quattro conigli in gabbia, poi otto, poi sedici, cosa accade? Mutano i loro comportamenti e diventano tutti cannibali. Con questa metafora, il capo dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Franco Ionta, intervenendo al convegno organizzato dall’associazione Antigone nel carcere romano di Rebibbia, ha espresso sensibilità e intenzioni di chi è anche plenipotenziario per l’emergenza carceraria. Occorre costruire nuovi edifici, è il punto. “Mi sembra che sia sottovalutato il problema dell’edilizia penitenziaria” ha ammonito Ionta, che ha presentato nei giorni scorsi l’ennesimo progetto di piano carceri, (solo) annunciato sedici mesi. Non omette osservazioni, Ionta, rispondendo a tutte le criticità poste in evidenza da operatori, volontari e addetti ai lavori. “Deluso da questo atteggiamento per cui non va mai bene niente”. Il capo del Dap ha anche difeso il ddl Alfano sulla detenzione domiciliare per chi deve scontare un residuo di pena non superiore all’anno. “Non è inutile”, ha sostenuto Ionta reagendo a chi accusa il provvedimento di “non avere nessuna efficacia”. Eppure, pochi minuti prima del suo intervento, il vice capo dell’amministrazione penitenziaria Emilio Di Somma ha mostrato a riguardo più di una perplessità: “Non lo dico io, ma un magistrato di sorveglianza di Roma che questo ddl potrebbe portare fuori dal carcere 2 - 3mila persone al massimo”, ha riferito. Prima di chiedere aiuto. “Chiudo con una preghiera governo, Parlamento e opinione pubblica - ha concluso Di Somma. Dateci una mano, noi così non possiamo andare avanti”. La resa del dirigente del Dap, però, si coglie anche nell’amarezza delle forze di polizia rappresentate dal segretario del sindacato Uilpa penitenziaria, Eugenio Sarno, che ha aggiunto carne sul fuoco: “Mi chiedo quando finirà l’epoca dei magistrati a capo del Dap. Sono almeno quindici anni che non riusciamo a interloquire con persone competenti”. Salvo ammorbidire il tiro: “Se le diversità si incontrano oggi - ha riconosciuto - vuol dire che il momento è davvero critico”. Ad essere presenti, infatti, non soltanto gli operatori al cui “protagonismo” è andato il tributo di Antigone, ma anche i magistrati, avvocati, garanti dei detenuti, politici di Sinistra ecologia e libertà e del Partito democratico, rappresentanti di associazioni sociali come l’Arci. La nutrita assemblea, in fondo, è sembrata concorde nel ritenere che il problema maggiore non è quello di far uscire chi è dentro quanto piuttosto quello di non far entrare tutti coloro che ci finiscono. Come ha sostenuto anche Roberto D’Errico dell’Unione camere penali, puntando il dito contro l’abuso della carcerazione preventiva per motivi cautelari che ha determinato che “il 45% della popolazione penitenziaria è ancora in attesa di sentenza definitiva”. “Opacità ed inefficacia” sono i difetti principali del sistema penale individuati da Mauro Palma, presidente del Comitato europeo contro la tortura, citando l’aforisma per cui ancora oggi “la norma la si applica per il nemico e la si interpreta per l’amico”. Se, infatti, il carcere pullula di persone socialmente emarginate, tossicodipendenti e stranieri, questo è il risultato di un’operazione risalente nel tempo che ora mostra il volto più tragico nell’accresciuto tasso di mortalità. Ricorda Giuseppe Cascini, segretario dell’Associazione nazionale magistrati, che il processo ha avuto origine dal 1990. “Dall’ultima amnistia il tasso di affollamento è cresciuto con la legge sugli stupefacenti (la 309/1990) e con quella che nel 1998 ha trasformato l’immigrazione in un fenomeno criminale. L’ultimo salto si è avuto dal 2000 in poi, con l’avvento di una legislazione della “sicurezza percepita” di fronte alla quale fornire dati sulla diminuzione della criminalità è un’operazione del tutto inutile”. Fino al giorno d’oggi, in cui un’autorità inquirente è costretta ad ammettere che “abbiamo preso quelli sbagliati”. Giustizia: Amnesty; Italia crudele con gli immigrati e abusi della polizia contro i detenuti di Flavia Amabile La Stampa, 29 maggio 2010 Bocciate le autorità italiane che in alcune circostanze “hanno messo a repentaglio i diritti di migranti e richiedenti asilo”, nonché le loro stesse vite, lasciandoli in mare “per giorni senza acqua e cibo”. E poi per gli sgomberi di campi rom, i respingimenti e il rimpatrio forzato di immigrati, l’introduzione del reato di “immigrazione clandestina” e l’assenza del reato di tortura nel codice penale che arginerebbe il pericolo del ripetersi di casi come quello di Stefano Cucchi, il trentenne morto in circostanze molto sospette dopo una settimana di carcere. Già da alcuni anni Amnesty International non è tenera con l’Italia nel suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Anche quest’anno non ha riservato al governo parole di elogio ma pesanti critiche nel dossier immigrazione. La differenza è che questa volta il governo ha respinto con forza le critiche al mittente. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha bollato come “indegne” le parole dell’organizzazione. “L’Italia è certamente il Paese europeo che ha salvato più persone in mare”. Per questo, secondo il ministro, il rapporto dell’organizzazione è “indegno per il lavoro dei nostri uomini e delle nostre donne delle forze di polizia, che ogni giorno salvano le persone, tutto il contrario di quello che dice Amnesty”. Parole a cui ha risposto Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr): “Che l’Italia abbia in passato salvato migliaia di vite umane in mare è sicuramente vero e questo fa onore al Paese. Altrettanto vero, però, è che con la pratica dei respingimenti dal 6 maggio del 2009 l’Italia ha rimandato in Libia senza aver svolto alcuna identificazione anche a richiedenti asilo provenienti dalla Somalia e dall’Eritrea bisognosi di protezione”. Il filo conduttore del rapporto 2010 sono “le lacune” della giustizia internazionale, con “alcune grandi potenze che pensano di essere al di sopra della legge”. E l’Italia non è ben messa. L’organizzazione stigmatizza il trattamento riservato ai rom, vittime di “sgomberi forzati illegali” (a Roma e Milano) ed esclusi da “un equo accesso all’istruzione, all’alloggio, alle cure sanitarie e all’occupazione”. L’Italia, poi, “ha continuato ad espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni di diritti umani” - ovvero la Libia - “senza valutare le loro necessità di asilo e protezione internazionale”. Inoltre, sottolinea Amnesty, “i governi italiano e maltese, in disaccordo sui rispettivi obblighi di condurre operazioni di salvataggio in mare, hanno lasciato i migranti per giorni senza acqua e cibo, ponendo a grave rischio le loro vite”. Né si risparmiano critiche per non aver collaborato “pienamente” alle indagini sulle violazioni dei diritti umani e segnalazioni di “tortura e altri maltrattamenti commessi da agenti delle forze di polizia”, anche nelle carceri. Qui si imputa all’Italia di non aver istituito un organismo indipendente di denuncia degli “abusi” della polizia e di non aver ancora introdotto il reato di tortura nel codice penale che eviterebbe molte morti sospette, pestaggi, maltrattamenti delle forze dell’ordine. Giustizia: il mestiere di Amnesty International e il ministro intollerante alle critiche di Gabriella Monteleone Europa, 29 maggio 2010 Va bene che l’intolleranza alle critiche è una costante che accomuna tutti i rappresentanti di questo governo almeno quanto la preoccupazione perché il Belpaese appaia tale. Ma che il ministro Frattini respinga al mittente come “indegno” il rapporto 2010 di Amnesty International su “La situazione dei diritti umani nel mondo” perché non risparmia, ahinoi, l’Italia, sembra più un riflesso condizionato da nervi troppo scoperti che un legittimo risentimento da offesa “gratuita”. Perché è certo vero che il nostro paese non è la Guinea, la Bielorussia o la Russia (checché ne pensi Berlusconi), e neppure la Birmania, ma in quanto a violazioni di diritti umani, anche qui non mancano. A meno di non voler ignorare le segnalazioni di “tortura e altri maltrattamenti commessi da agenti delle forze di polizia”, anche nelle carceri: vedi Cucchi, Aldrovrandi ed altri casi noti e meno noti. Non è solo Amnesty a denunciarli, ricordandoci anche la colpevole mancata introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura. Quanto alla politica dell’immigrazione, che più preoccupa evidentemente il titolare della Farnesina, il rapporto accusa l’Italia che nel 2009 “ha continuato ad espellere persone verso luoghi in cui erano a rischio di violazioni di diritti umani senza valutare le loro necessità di asilo e protezione internazionale” come la Libia, e le autorità “hanno messo a repentaglio i diritti dei migranti e richiedenti asilo”, nonché le loro stesse vite, lasciandoli in mare “per giorni senza acqua e cibo”. Si riferisce in particolare, ma non solo, ad aprile 2009 quando dovette intervenire la nave turca Pinar per mettere in salvo 140 tra migranti e richiedenti asilo, perché né Malta né l’Italia fecero entrare in porto l’imbarcazione lasciando i migranti al loro destino per giorni (comprese donne incinte e bambini). Da lì il governo, grazie ad un accordo con la Libia, inaugurò la politica dei respingimenti. Contro la quale è stato per primo il Comitato europeo per la prevenzione della tortura (che fa parte del Consiglio d’Europa, come Frattini ben sa) a puntare il dito stendendo un rapporto di denuncia di “casi gravi e reiterati di xenofobia e trattamenti disumani” nei confronti degli stranieri e dei profughi, invitandoci anche “a rivedere le attuali azioni di intercettazioni dei migranti in mare”. Perché il principio del non refoulement è un cardine della Convenzione di Ginevra sottoscritta dall’Italia nel 1951. Considerare la Libia un paese sicuro in termini di diritti umani e del diritto dei rifugiati è quantomeno un azzardo. Sarà un caso che i giornalisti non possono avvicinarsi ai centri di raccolta del clandestini in quel paese? Non è forse vero che molti vi rimangono rinchiusi a tempo indeterminato perché non ci sono limiti di legge al trattenimento? C’è poco da indignarsi. Amnesty fa solo, e bene, il suo mestiere. Giustizia: l’Italia respinge 15 raccomandazioni del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 29 maggio 2010 No all’introduzione del crimine di tortura nel codice penale. No al riconoscimento dello status di minoranza linguistica alle comunità rom e sinti presenti in Italia. Sì alla costituzione di una istituzione nazionale indipendente per la promozione e protezione dei diritti umani. Sono queste alcune delle risposte che il Governo italiano darà a Ginevra al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, il prossimo 9 giugno, in occasione dell’esame periodico universale (Universal periodical review) dell’Italia. Lo scorso 9 febbraio 2010 il Consiglio Onu ha rivolto ben 92 raccomandazioni al Governo italiano sui temi più disparati: dalla giustizia all’infanzia, dalle discriminazioni di genere a quelle razziali, dalla libertà di espressione a quella di informazione. La Gran Bretagna ne ha ricevute 30, l’Olanda 40, la Germania 45, il Canada 71. Il rapporto all’Italia è stato stilato da tre Stati estratti a sorte: Argentina, Ghana e Slovacchia. Su ciascuna di queste raccomandazioni il Governo dovrà rispondere, ossia decidere se accogliere o rigettare i suggerimenti Onu. L’orientamento definitivo del Governo è stato reso pubblico dal Viceministro agli Affari Esteri Vincenzo Scotti in sede di audizione presso la Commissione Straordinaria per i Diritti Umani del Senato su sollecitazione del Presidente Pietro Mercenaro. Il Governo italiano è orientato ad accettare 75 raccomandazioni, ad accoglierne parzialmente 2 e a respingerne 15. Una percentuale di raccomandazioni non accolte che è circa del 17%. In materia di immigrazione l’Italia conferma il proprio rifiuto a ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei migranti in quanto essa non distinguerebbe fra immigrati regolari ed irregolari. Verrebbero invece accolte tutte le raccomandazioni dirette a rendere più rapidamente esigibile il diritto all’asilo. Non è stata accolta la richiesta di elaborare un piano nazionale contro il razzismo. In materia di infanzia e adolescenza sono state elaborate otto raccomandazioni che coprono questioni come l’accesso all’istruzione, il ricovero negli istituti per minori, l’adozione del piano nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Il Governo le ha accolte tutte. Allo stesso modo ha fatto in materia di tratta di esseri umani specificando che è intenzione governativa promuovere azioni dirette a proteggere le vittime e punire i trafficanti. In materia di tortura il Governo si impegnerebbe a presentare un disegno di legge diretto alla ratifica del Protocollo opzionale alla Convenzione sulla tortura il quale prevede, tra le tante norme, la nascita di un organismo nazionale di controllo di tutti i luoghi di detenzione. Per quanto riguarda la costituzione di una più generica - e forse meno incisiva - istituzione nazionale indipendente per la promozione e protezione dei diritti umani il Governo intende accogliere tutte le raccomandazioni Onu salvo quelle che imporrebbero una scadenza temporale di fine anno per l’effettiva creazione dell’organismo. Il problema attuale ha ricordato il viceministro è quello dei costi. Il no, invece, al crimine di tortura nel codice penale, viene giustificato affermando che la legislazione già prevederebbe varie norme incriminatrici sufficienti a coprirne l’ambito di applicazione. A tale affermazione, i sostenitori della fattispecie autonoma di reato obiettano che resterebbero invece impuniti gli atti di violenza psicologica né si riuscirebbe a dare peso specifico al dolo intenzionale che nel caso della tortura consiste nella volontà di umiliare la persona sottoposta a custodia. Giustizia: stop ddl detenzione domiciliare, chiesta “attenta riflessione su aspetti finanziari” Asca, 29 maggio 2010 Il nuovo testo del Ddl 3291 che prevede norme per l’esecuzione domiciliare delle pene detentive non superiori ad un anno - oggetto di ampia revisione in Commissione Giustizia dopo gli emendamenti presentati dal Governo e i subemendamenti della Lega Nord - è stato sottoposto a dettagliato esame in Commissione Giustizia. Il relatore Mario Commercio del gruppo Misto ha rilevato che andrebbero acquisiti elementi di quantificazione idonei a dimostrare la neutralità finanziaria delle disposizioni nelle ipotesi in cui i soggetti interessati possano utilizzare per l’esecuzione della pena un luogo pubblico o privato di cura o assistenza. Il Sottosegretario all’economia Alberto Giorgetti ha chiarito che i detenuti con ancora un anno di pena sono circa 10.000, ma vanno esclusi i condannati per reati che comportano - in base all’articolo 1 del testo - l’esclusione dal beneficio. Una percentuale del 70% dei restanti 7.000, cioè circa 5.000 dispongono di un domicilio dove scontare la pena residua. Restano, quindi, circa 2.000 detenuti - ha aggiunto Giorgetti - per i quali sarebbe necessaria l’esecuzione della pena residua di un anno in strutture assistenziali pubbliche o private o, in caso di tossicodipendenti, in comunità terapeutiche la cui retta verrebbe posta a carico del Ssn. Il leghista Massimo Poliedri ha sottolineato anche in relazione a questa possibilità di scontare la detenzione in strutture sanitarie l’esigenza di quantificare chiaramente gli oneri derivanti da questa disposizione e, quindi, fare un’attenta riflessione sugli aspetti finanziari. La Commissione Giustizia, alla luce dei rilievi della Bilancio, ha rilevato - con interventi della Presidente Giulia Bongiorno e del Sottosegretario Giacomo Caliendo - l’opportunità di o mantenere gli articoli oggetto di critica o riformulare le norme di cui è stata chiesta la soppressione. La Affari Sociali, nel parere espresso sul Ddl, ha chiesto di escludere dal beneficio i responsabili di delitti di maltrattamenti in famiglia, prostituzione e pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico, turismo diretto allo sfruttamento della prostituzione di minori, violenza sessuale e corruzione di minorenni. Giustizia: dal Pd arriva una proposta contro “gli abusi della carcerazione preventiva” Il Foglio, 29 maggio 2010 Le sanzioni alternative e i dati “incredibili” sul sovraffollamento. Così l’opposizione vuole riformare i termini della custodia. Dopo alcune prese di posizione sul caso Scaglia - “detenzione scandalosa”, aveva scritto il vice capogruppo alla Camera Alessandro Maran in una lettera al Foglio - e l’affiorare di distinguo garantisti su vari temi legati alla giustizia, il Pd sembra orientarsi verso una linea revisionista della custodia cautelare così come concepita e soprattutto praticata oggi. Una sorta di versione democratica del decreto Biondi? Pare di sì. E ieri, in apposito convegno - dibattito, il Pd ha affrontato la questione del sovraffollamento delle carceri anche come premessa per ripensare alla carcerazione preventiva. La proposta uscita dalla riunione è di dar vita a un’indagine conoscitiva per verificarne la reale necessità. I numeri hanno creato sgomento: “Circa la metà dei detenuti sono in attesa di giudizio, ed è incredibile”, spiega il responsabile Giustizia. Andrea Orlando. A gennaio 2010, su 65 mila ben 31 mila persone erano ancora in attesa della sentenza. Sia l’ala più riformista sia quella più sensibile al punto di vista dei pm hanno convenuto che è arrivato il momento di fare qualcosa. “Ma non basta depositare una proposta di legge, ci teniamo anche a far scaturire le iniziative da una discussione collegiale”, spiega Maran. Donatella Ferranti osserva che ci sono state tre commissioni governative che sì sono occupate delle carceri, ci hanno lavorato pm e politici come Carlo Nordio, Giuliano Pisapia, ma il lavoro non è arrivato a una conclusione. L’idea ora è studiare per alcuni reati forme di sanzione che siano diverse dal carcere, “fin da subito perché sul sovraffollamento la custodia cautelare incide moltissimo”. “Gli abusi della carcerazione preventiva esistono - dice Orlando - e io lo confermo; il Pd studierà nei prossimi giorni una sua proposta per riformare i termini della custodia”. Giustizia: Don Spriano; il volontariato in carcere sta diminuendo terribilmente Redattore Sociale, 29 maggio 2010 Il cappellano di Rebibbia: “È il momento di ripensare tutto il carcere, per capire cosa possiamo fare come polizia, come volontari, come operatori”. Favero (Ristretti Orizzonti): “Non abbiamo messo insieme uno straccio di proposta”. “Forse è il momento di ripensare tutto il carcere, per capire cosa possiamo fare come polizia, come volontari, come operatori all’interno dei nostri istituti perché altrimenti avremo sempre dei problemi”. È la riflessione di don Sandro Spriano, cappellano del carcere di Rebibbia intervenuto convegno “Overbooking, il protagonismo, come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti umani”. Da don Spriano una forte autocritica anche al ruolo delle associazioni. “Ormai in questi nostri convegni recitiamo una litania - ha detto Spriano, un lamento, e speriamo che con questo si riesca intervenire. Le facce degli operatori sono sempre le stesse, gli operatori sono sempre gli stessi e i detenuti aumentano. In tutto questo il volontariato sta diminuendo terribilmente. Inviterei a rientrare in carcere con la voglia di salvare qualcuno”. Stessa considerazione quella di Ornella Favero, responsabile di Ristretti Orizzonti. “Dobbiamo essere onesti - ha affermato. In questi mesi non siamo riusciti a mettere insieme uno straccio di proposta. Non abbiamo nessuna capacità di dire qualcosa insieme e oggi mi sembra ancora più drammatico perché le proposte le abbiamo. Stiamo dando per persa una battaglia che è della società”. Per Favero, le diverse proposte avanzate da tempo e ribadite anche durante il convegno di oggi, come l’abrogazione dei limiti previsti dalla ex Cirielli, la proposta di abrogare la norma che prevede l’arresto obbligatorio per gli stranieri e quanto meno decarcerizzare il reato di inottemperanza all’obbligo di espulsione, il maggiore utilizzo delle misure alternative o anche alle questioni relative alla presenza dei tossicodipendenti in carcere sono tutti temi che potrebbero “diventare una piattaforma” comune portare avanti. Che ci sia la pressante necessità di risposte concrete al problema del sovraffollamento, secondo Franco Corleone, garante del Comune di Firenze, lo dimostra anche l’intervento di Franco Ionta, capo del Dap, oggi al convegno di Antigone. “La presenza del presidente Ionta è un segno che il Dap è preoccupato e vuole capire che cosa succederà nei prossimi mesi - ha affermato Corleone. Oggi vedo l’assenza di un disegno, non si sa che cosa serva al carcere, ma credo si possa fare qualcosa di diverso e la prima questione da affrontare è di liberare i tossicodipendenti dal carcere, senza cambiare la Fini - Giovanardi. La possibilità potrebbe essere il disegno di legge Alfano. Forse, inoltre, è anche tempo di ripensare la polizia penitenziaria, dobbiamo ripensare assieme il carcere e il ruolo dei custodi del carcere fuori da logiche corporative. Se non si fa questo credo che non ce la faremo”. Di polizia penitenziaria ha parlato anche il senatore del Pd, Roberto Di Giovan Paolo, secondo cui la mancanza di fondi è un problema di scelte. “Se si dice che è una priorità assumere agenti della polizia penitenziaria è evidente che i soldi li devi trovare - ha affermato il senatore. Nei prossimi anni si spenderanno 16 miliardi di euro per avere 350 nuovi caccia bombardieri. Visto che si deve fare una difesa europea mi chiedo se servano proprio questi aerei che non portano neanche soldi alle imprese italiane. La verità è che se si vogliono trovare le priorità le si trovano”. Giustizia: Ardita (Dap) nell’esecutivo Cep, l’organizzazione europea per la probation Ansa, 29 maggio 2010 Sebastiano Ardita, direttore generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, è stato nominato all’unanimità componente dell’organo esecutivo dell’Assemblea generale della Cep, l’organizzazione europea per la probation che lavora per promuovere l’inclusione sociale dei condannati attraverso le misure alternative. La nomina è stata decisa nel corso della riunione a Malaga dell’Assemblea, nella quale Ardita rappresenta l’Italia. “Occorrerà lavorare nel medio periodo per adeguarsi alle raccomandazioni europee per lo sviluppo e la diffusione delle misure alternative al carcere. In Europa - ha detto Ardita - continua a essere decisivo il ricorso al monitoraggio elettronico dei detenuti domiciliari, il cui controllo è assicurato dappertutto dallo stesso organo di polizia responsabile del sistema penitenziario”. Lettere: bloccato a letto e col catetere, ma troppo pericoloso per avere gli arresti domiciliari di Stefano Anastasia Terra, 29 maggio 2010 Antonio è in carcere da dodici anni, eppure è in custodia cautelare. No, naturalmente non è in custodia cautelare da dodici anni. Il fatto è che Antonio è un “misto”, come dice il gergo penitenziario: definitivo per alcuni reati, in attesa di giudizio per altri. Questa posizione giuridica anfibia fa sì che sia sottoposto alle cure di due giudici: quello dell’esecuzione per le condanne e quello del procedimento per i giudizi pendenti. Un anno prima di essere arrestato gli tornano i sintomi di una malattia neurologica di cui aveva cominciato a soffrire a vent’anni. Nove anni dopo il suo quadro clinico si aggrava. L’astaso-abasia all’inizio dà una postura irregolare, movimenti a scatti in tutti gli arti, poi - con il tempo - rende difficile qualsiasi deambulazione. Oggi Antonio ha difficoltà a parlare, gli si blocca il respiro, ha dolori diffusi dalla testa ai piedi. Un anno fa sembrava in procinto di andare, per un paio di mesi, al San Raffaele di Cassino, disponibile a prenderlo in carico. Poi, per un intoppo burocratico (l’Amministrazione penitenziaria avrebbe voluto mandarlo al più vicino Pertini di Roma, ma il Pertini si è dichiarato inidoneo alla cura della patologia) non se ne è fatto più nulla. Nel gennaio scorso i sanitari di Rebibbia ribadiscono “la necessità di un ricovero presso un idoneo centro per minorati fisici con deficit neurologico”. Ma Antonio, come Arlecchino, è servitore di due padroni e la Corte di appello di Latina ritiene insuperabili le ragioni cautelari che impongono ad Antonio di stare in carcere: non può andare agli arresti in ospedale. Il Tribunale del riesame conferma. Sotto processo per fatti risalenti a più di dodici anni fa, Antonio bloccato a letto dalla sua malattia, attaccato a un catetere da qualche mese, incapace a esprimersi compiutamente, è giudicato ancora troppo pericoloso dai suoi giudici: per quanto sia difficile immaginarlo, da un letto d’ospedale potrebbe inquinare le prove, o forse fuggire, o ancora commettere nuovi reati… e allora resta in carcere, sperando che una volta completamente definitivo il suo unico giudice superstite abbia più coraggio nel consentirgli una sistemazione ospedaliera. Magari rinunciando al diritto alla difesa, potrebbe essergli garantito più rapidamente il diritto alla salute? Ma si può rinunciare all’uno per l’altro? Intanto, però, perché l’amministrazione penitenziaria non provvede con i mezzi che gli sono propri? A febbraio ha lasciato l’infermeria di Rebibbia per un reparto ordinario. Basterebbe, forse, mandarlo in un centro clinico, se non per curarlo, almeno per assisterlo in maniera più dignitosa, in attesa che diventi un condannato a tutti gli effetti alla ricerca di un unico preminente diritto, quello alla salute. Lettere: Comitato educatori penitenziari; senza assunzione personale il ddl Alfano è inutile Comunicato stampa, 29 maggio 2010 Egregi Onorevoli, dopo aver appreso la notizia sul parere negativo della Commissione Bilancio sugli artt. 2 quater e 2 sexies del Ddl Alfano questo Comitato ritiene necessario porre alla Vostra attenzione alcune osservazioni. L’eliminazione dell’articolo aggiuntivo Schirru 2.060 svuoterebbe di significato il Ddl Alfano riducendolo ad una imago sine re. L’investimento in risorse umane è propedeutico alla concreta materializzazione della normativa contenuta nel provvedimento. Secondo quanto enunciato dall’art. 1 comma 3 del Ddl. il magistrato di sorveglianza decide sulla base della relazione inviatagli dall’istituto penitenziario. Alla luce della normativa penitenziaria è l’educatore colui che osserva il comportamento del detenuto e provvede alla stesura della relazione di sintesi, cioè di quella relazione di cui si servirà il magistrato di sorveglianza per la decisione finale sulla misura alternativa. Senza l’incremento di ulteriori unità di personale pedagogico la situazione del sovraffollamento carcerario non potrà mai essere risolta né tantomeno potrà trovare risoluzione la drammatica condizione in cui versano le carceri italiane. Pochi educatori significa poche relazioni da inviare al magistrato di sorveglianza. Pochi educatori significa impossibilità di fare il trattamento. Pochi educatori significa stasi della concessione di misure alternative. L’eliminazione dell’articolo aggiuntivo Schirru creerebbe un vero e proprio effetto boomerang che provocherebbe la totale paralisi del Ddl Alfano. La Commissione Giustizia dopo aver preso atto della grave situazione di disagio in cui versano le carceri italiani ha dato voce all’articolo 27 della Costituzione decidendo di investire su quello che già nel Settecento Beccaria definiva “il più sicuro mezzo di prevenire i delitti” ossia l’educazione. L’approvazione dell’articolo aggiuntivo che esclude il Dap dalla riduzione della pianta organica e dal blocco delle assunzioni costituisce una vera e propria presa di coscienza dell’assunto secondo il quale non può esserci alcun miglioramento delle condizioni di detenzione senza l’investimento in risorse umane. Si evidenzia inoltre che l’emendamento è già stato “riformulato” originariamente infatti prevedeva l’obbligo per il governo,dopo l’invio della relazione per l’adeguamento della pianta organica, di predisporre entro 2 mesi un piano straordinario di assunzioni. La totale eliminazione di questo emendamento volto alla concreta applicazione della misura alternativa sulla quale questo Governo intende puntare per risolvere il dramma del pianeta carcere renderebbe inutile l’approvazione di un Ddl che non riuscirebbe mai ad essere attuato. Ci sarebbe infatti una vera e propria antinomia tra norma e realtà. La realtà è che la situazione carceraria italiana è drammatica e preoccupante. I continui suicidi in carcere sono da porre in relazione con le insopportabili condizioni di disagio in cui vivono i reclusi delle carceri italiane alla carenza di trattamento e attività rieducative e alla mancata assistenza psicologica dovuta alla cronica carenza di personale educativo Ebbene, l’Italia, Paese democratico, è stata condannata dalla Cedu per trattamento degradante e disumano. A tale situazione va data una risposta concreta, soprattutto se si considera che il bilancio dello stato potrebbe essere aggravato dalle condanne della Cedu (Sic!). Inoltre non si comprende come la crisi riguardi solo le risorse umane e non anche lo stanziamento dei fondi per l’edilizia penitenziaria ,infatti, una volta costruite nuove carceri queste rimarranno inutilizzate (Sic!) Un esempio è fornito dal carcere di Agrigento e dal carcere di Rieti, a Pinerolo inoltre, c’è un carcere vuoto da 10 anni ma è già stata individuata un’area per costruir un nuovo carcere (fonte Girodivite). Per un provvedimento importante, come quello in esame, che punta sulla rieducazione e sul recupero del reo, occorre assumersi delle responsabilità serie, perché l’incremento del personale pedagogico rappresenta il sine qua non della correlazione legge - realtà. Ancora una volta si evidenzia inoltre che il “decantato” vulnus di copertura finanziaria può essere sanato attingendo dai fondi della Cassa delle Ammende che secondo quanto disposto dall’art 129 III comma del Dpr 30 giugno 2000, n. 230, devono essere destinati ai programmi che tendono a favorire il reinserimento sociale dei detenuti e degli internati anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione”e non all’edilizia penitenziaria (Sic!) . Qualora il Governo non intenda attingere i fondi necessari dalla cassa delle Ammende potrebbe ricavarli dai fondi del Fug, visto che il Presidente del Consiglio dei Ministri ha firmato il decreto che assegna per la prima volta le quote delle risorse sequestrate alla mafia e i proventi derivanti dai beni confiscati al Fondo Unico Giustizia (Fug), nella misura del 50 per cento al Ministero dell’Interno e del 50 per cento al Ministero della Giustizia. Attingendo i fondi o dalla cassa delle Ammende o dal Fug non vi sarebbe alcun onere aggiuntivo in quanto gli stessi sono già previsti in bilancio. Per le ragioni suesposte riteniamo che l’emendamento presentato dall’On. Donatella Ferranti e Schirru sia una vera proposta “bipartisan” che deve, necessariamente,trovare accoglimento così come è stato approvato in Commissione Giustizia. Riteniamo altresì che il governo, dopo aver provveduto all’adeguamento della pianta organica anche in relazione alla popolazione detenuta ( quasi 70mila detenuti) debba predisporre un piano straordinario di assunzioni di educatori penitenziari da attingersi dalla vigente graduatoria del concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di Educatore, Area C, posizione economica C1, indetto con Pdg 21 novembre 2003. Una scelta in tal senso rappresenterebbe la chiave di volta per un chiaro e ben preciso impegno di responsabilità affinché la drammatica situazione che affligge il pianeta carcere possa finalmente essere risolta. Per tali ragioni auspichiamo che tutta la commissione bilancio della camera e il sottosegretario Alberto Giorgetti facciano una seria e proficua riflessione riconoscendo l’importanza ai fini dell’attuazione del Ddl in esame dell’emendamento Schirru 2.060. Anna Fasulo Comitato vincitori e idonei concorso educatori penitenziari Lettere: Cgil Brescia; Festa Polizia Penitenziaria? in realtà non c’è nulla da festeggiare www.giornaledibrescia.it, 29 maggio 2010 Il prossimo 31 maggio si terranno anche a Brescia, presso la chiesa di S. Faustino, le iniziative di celebrazione per il 193esimo anniversario della fondazione del corpo di Polizia Penitenziaria. La Fp Cgil di Brescia, pur con tutto il rispetto per la cerimonia celebrativa, si sente a disagio e ritiene che non ci sia in realtà nulla da festeggiare. Troppe e gravi sono infatti le difficoltà che attraversano i poliziotti penitenziari, troppe sono le disattenzioni di chi amministra la giustizia oggi in Italia. Lo stato delle carceri è noto: sovraffollamento da un lato, con oltre 20mila detenuti in più rispetto al consentito, gravi carenze di organico, strutturali, economiche e di mezzi dall’altro. Questa situazione drammatica e difficile è bene esemplificata a Brescia, in particolare nella Casa Circondariale di Canton Mombello, struttura costruita nell’800 dove a fronte di 206 posti letto vi sono circa 500 detenuti. I reparti detentivi sono fatiscenti, intrisi di umidità, le celle tengono fino a 14 e più persone in pochi metri quadrati. In questo contesto, le condizioni di vita per detenuti e personale di Polizia Penitenziaria sono sempre più pesanti. Il personale di Polizia Penitenziaria presso la Casa Circondariale, già sotto organico di circa 90 unità più una ventina distaccati in sedi extraregionali, si trova a sopportare turni sempre più stressanti, a volte non avendo la garanzia dei diritti fondamentali come il riposo settimanale o le ferie. E che dire dei detenuti? Si parla tanto di rieducazione e di reinserimento ma ci chiediamo: è possibile in queste condizioni? Il prossimo 2 giugno, si festeggerà anche la Repubblica e la Costituzione repubblicana. Ma, ci chiediamo ancora: l’articolo 27 di questa Costituzione, dove si legge che “le pene... devono tendere alla rieducazione del condannato”, è rispettato oggi in Italia? O è vero semmai che alcune carceri italiane sono diventate vere e proprie palestre del crimine? I continui annunci dell’onnipresente ministro Alfano e i richiami all’oramai leggendario piano carceri ci lasciano più che perplessi. Come definire altrimenti un piano, annunciato in piena crisi economica e poche settimane prima di questa manovra di tagli pesanti, che promette da qui al 2012 diciotto nuovi istituti penitenziari e 2mila assunzioni, dimenticandosi peraltro di aggiungere che nello stesso arco di tempo ci saranno 2.800 pensionamenti nel settore e che quindi il saldo sarà negativo? Il tema della giustizia e delle carceri è problema complesso che tiene insieme certezza della pena, riabilitazione dei condannati, condizioni di lavoro e di vita di chi opera nel settore. Sarebbe bene, per questi motivi, affrontarlo con meno proclami e maggiore serietà. Ci permettiamo di prendere a prestito alcune considerazioni che ci ha fatto pervenire il Garante dei detenuti di Brescia dott. Mario Fappani quando osserva che il tema del sovraffollamento è dibattuto e noto sui mass media, ma ci si limita spesso a deprecare solo il disagio dei detenuti e a lamentare le conseguenze per gli agenti della Polizia Penitenziaria. È questo un atteggiamento strano perché evita di indagare sulle cause di questa situazione, che non è imprevista. Il sovraffollamento ha una ragione precisa nelle scelte di politica criminale compiute nel corso degli anni. Vale per la scelta di sanzionare nei fatti il consumo di droghe illegali, l’immigrazione clandestina e molti altri comportamenti di “disturbo sociale”. In altre parole il carcere non è più l’estrema ratio, ma è diventato il mezzo ordinario per “ripulire” le città. Questi pensieri di Fappani dovrebbero porre domande a chiunque. Noi, queste domande, proviamo a porcele anche nel giorno della festa della Polizia Penitenziaria, convinti che scaricare le ansie sociali sulle carceri, su chi cerca di farle funzionare e sui detenuti non sia una buona strada. O meglio, magari serve a chi sulle paure costruisce i propri successi politici, ma non ai cittadini e alle cittadine, non alla comunità che abita la città. Calogero Lo Presti, Coordinatore Regionale Fp Cgil Donatella Cagno, Segretaria Generale Fp Cgil Brescia Sardegna: sanità in carcere, in dirittura d’arrivo il passaggio di competenze alla Regione Sardegna Oggi, 29 maggio 2010 Sanità penitenziaria a un bivio. Le norme di attuazione per il passaggio alla Regione delle competenze in materia sono state definite. Manca l’approvazione in Consiglio Regionale e poi il documento potrà passare all’esame del Consiglio dei Ministri per il via libera definitivo. “La situazione è in piena emergenza”, afferma Maria Grazia Caligaris, Presidente dell’Associazione “Socialismo Diritti Riforme”. “La norma di attuazione dello Statuto Speciale della Sardegna per il passaggio alla Regione delle competenze e delle funzioni della sanità penitenziaria è stata definita dalla commissione paritetica. È ora necessario l’esame e il voto dell’Assemblea regionale per consentire l’approvazione del Consiglio dei Ministri del Decreto di attuazione. Soltanto dopo l’approvazione del Decreto, la Regione Sardegna assicurerà l’espletamento delle funzioni trasferite attraverso le aziende sanitarie”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, Presidente dell’Associazione “Socialismo Diritti Riforme” preoccupata di “un protrarsi nel tempo della situazione di provvisorietà in assenza di adeguate risorse finanziarie in quanto il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia si limiterà a garantire gli attuali standard. In sostanza, in attesa della riforma, permarrà lo stato di emergenza creato dai ritardi accumulati, dal sovraffollamento e dal conseguente mancato adeguamento delle risorse finanziarie”. Le Scadenze. “Non si può del resto dimenticare - sottolinea Caligaris - che dal 1° gennaio 2011 cesserà l’assegnazione dei fondi nazionali per la sanità penitenziaria che andranno nel fondo indistinto mentre la Regione se nel frattempo non approverà il dispositivo attuando la riforma non potrà accedere ai finanziamenti triennali stabiliti dalla legge finanziaria dello Stato del 2008. Secondo la norma elaborata dalla Commissione Paritetica Stato - Regione, il termine ultimo per il passaggio al Servizio Sanitario Regionale è stato infatti fissato all’1 luglio 2011. Tredici mesi sono però un tempo insostenibile rispetto all’attuale situazione e si rischia il collasso con gravi conseguenze per il personale medico e paramedico, interno e a convenzione, per i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria che dovranno fronteggiare il clima di tensione creato dalle inevitabili carenze nell’assistenza”. Firenze: il nuovo padiglione di Sollicciano non si farà, torna l’ipotesi del secondo carcere Corriere Fiorentino, 29 maggio 2010 Franco Corleone, il garante toscano dei detenuti, è al quinto giorno di sciopero della fame, “È un atto di protesta contro l’arroganza del ministro Alfano - spiega Corleone - che tiene chiuso il carcere di Empoli da un anno e mezzo”. Ad Empoli doveva sorgere un penitenziario per transessuali; proprio per questo, erano stati trasferiti in via transitoria nel carcere fiorentino di Sollicciano 12 trans da altri carceri. “Ma il tutto è stato bloccato - continua Corleone - dal moralismo e dal perbenismo di Alfano”. La novità riguarda però Sollicciano. Corleone rivela infatti in via ufficiosa che il nuovo padiglione probabilmente non si farà: “Avrebbe stravolto l’architettura dell’istituto e occupato aree essenziali per le attività ricreative” . Senza il nuovo padiglione, però, dove si mettono i reclusi? Sollicciano ospita ormai stabilmente quasi mille detenuti, quando la capienza sarebbe di 500. Torna a galla, dunque, l’ipotesi di costruire un carcere giudiziario nei pressi del nuovo palazzo di giustizia di Novoli. In 4 anni dall’indulto, che aveva riportato la popolazione carceraria a 37mila persone, sono finiti in cella 30 mila persone: “Solo il 27% di essi avevano beneficiato dell’indulto, che, dunque - precisa Corleone - ha funzionato”. “La costruzione di carceri è un affare per arricchire i soliti noti - continua Corleone - Infatti tutte le procedure, gare d’appalto e affidamento dei lavori, sono secretate. Il problema non è la mancanza di carceri, bensì l’eccessivo numero di detenuti che deriva dalla mancanza dì un ripensamento del codice penale e della funzione della pena”. I reclusi per reati di mafia sono circa 600, quelli per reati gravi 7mila: “Gli altri 60mila sono poveracci, tossicodipendenti, extracomunitari e persone dentro per reati minori”, prosegue il garante dei detenuti. I tossicodipendenti sono il 33% della popolazione carceraria: “Mi appello alle istituzioni affinché si rispettino le leggi per l’affido a comunità specifiche di recupero”. Corleone ha apprezzato l’apertura del presidente della Regione Rossi per il lancio di progetti ad hoc con questa finalità. Da domani sarà distribuito nelle carceri un reclamo per denunciare le condizioni disumane di detenzione; i detenuti potranno compilarlo e darlo al magistrato di sorveglianza. Ancona: le senatrici Magistrelli e Sbarbati interrogano Alfano; la situazione del carcere è critica Corriere Adriatico, 29 maggio 2010 Dopo la visita effettuata qualche giorno fa, le senatrici Marina Magistrelli e Silvana Amati (Pd) e Luciana Sbarbati (repubblicana che si è avvicinata all’Udc) hanno presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Alfano sulla “situazione critica” del carcere di Montacuto ad Ancona. Le esponenti parlamentari segnalano “carenza di personale e di fondi e grave sovraffollamento, aspetti che pongono in forse il pieno rispetto della dignità in primo luogo degli agenti di polizia penitenziaria, oltre che dei detenuti”. Una situazione che rende estremamente difficile “realizzare quella funzione rieducativa che il carcere dovrebbe avere”. Gli agenti di custodia hanno sventato un tentativo di evasione il 6 maggio scorso dall’istituto di pena anconetano, tentativo che “ha evidenziato nuovamente il problema dei rischi connessi al sovraffollamento del carcere Dorico”. Secondo i dati presentati dal sindacato di categoria, nella casa circondariale di Ancona la pianta organica “prevede l’impiego di 198 agenti, ma quelli effettivamente in servizio sono 126, inclusi i comandanti, più altri 50 lavoratori distaccati in altre sedi, quindi vi sono 72 agenti in meno, rispetto ad un totale di 370 detenuti, nonostante la capienza regolamentare ne preveda 150, e quella tollerabile 288”. Dei 370 reclusi nel carcere di Monteacuto “circa 100 si trovano nell’area di massima sicurezza, altri 50 sono in attesa di giudizio mentre gli altri stanno scontando pene minori”. La situazione - sottolineano le senatrici Magistrelli, Amati e Sbarbati - “è sempre più insostenibile: nelle celle da due posti dormono fino a 4/5 persone”. Peraltro “la drammaticità delle condizioni del carcere di Ancona è la stessa di tutte le carceri italiane”. Oltre alla violazione della dignità dei detenuti, “anche il personale penitenziario soffre il disagio delle condizioni dell’ambiente lavorativo, con turni massacranti di 9 ore giornaliere a fronte della disciplina del contratto di lavoro che ne prevede 36 settimanali”. Bari: Sappe; per completare carcere di Turi basterebbero 45 milioni di euro e un anno di lavori La Repubblica, 29 maggio 2010 “Per risolvere l’emergenza carceri in Puglia, dove a fronte di 2.200 posti ci sono 4.400 detenuti, bastano 67 milioni di euro. Il tempo delle vacche grasse è finito e c’è bisogno di spenderei pochi soldi a disposizione nella maniera più responsabile e oculata possibile”. A rilanciare il problema, trovando però una soluzione realizzabile, è il segretario nazionale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Federico Pilagatti. Il sindacato ritiene che “la torta rappresentata dalla costruzione di carceri - scrive Pilagatti - possa rappresentare un bel boccone per le varie cricche, poiché gli appalti verrebbero fatti saltando le normali procedure previste per le gare pubbliche”. Ecco allora cosa propone: “Con una spesa di circa 45 milioni di euro e un anno di lavori - spiega - potrebbe essere pronto il grande penitenziario metropolitano di Turi, che coprirebbe tutta l’area di Bari e del sud est barese”. Per il segretario si potrebbe sfruttare la proposta del sindaco di Turi, Enzo Gigantelli, che metterebbe a disposizione gratuitamente l’area demaniale della ex polveriera, utilizzando poi “materiali nuovi e più economici del cemento armato, che sfrutterebbero la tecnologia di sicurezza oggi disponibile,a partire dai sistemi antiscavalcamento e anti intrusione, telecamere a circuito chiuso, cancelli automatizzati”. Con altri 20 milioni di euro, poi, si potrebbero realizzare altri 1.500 posti, all’interno degli istituti già esistenti a Trani, Foggia, Lecce e Taranto, “abbattendo strutture fatiscenti e pericolose - dice Pilagatti - utilizzando anche in questo caso la tecnologia modulare che consente un grosso risparmio energetico, economico e di manutenzione. Tolmezzo: si è concluso il corso di “operatore edile” per nove detenuti Messaggero Veneto, 29 maggio 2010 Si è svolta nella Casa Circondariale di Tolmezzo la presentazione del lavoro svolto dagli allievi del corso finanziato dal Fondo sociale europeo di “Operatore edile - pittore decoratore” della durata di 600 ore, che ha coinvolto nove detenuti impegnati prevalentemente in lavori di tinteggiatura e decorazione di muri interni e nella realizzazione di 4 pitture murali. l percorso, finalizzato all’acquisizione di una qualifica ufficiale, ha avuto un duplice scopo: da un lato quello di offrire ai detenuti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale e lavorativo, una volta scontata la pena; dall’altro quello di consentire uno sviluppo personale volto al consolidamento dell’autostima e all’acquisizione di una nuova visione del lavoro. Elemento di nota evidenziato dal personale di Enaip Fvg - coordinatrice, tutor e docenti del corso - è stato l’entusiasmo, l’impegno e la costanza dimostrati durante l’intero percorso formativo da parte degli allievi, che hanno voluto in quest’occasione ringraziare tutti dell’opportunità a loro offerta. Alcuni di loro stanno per scontare la pena dovuta ed hanno evidenziato come il corso abbia saputo dare loro competenze utili ed una rinnovata motivazione ad affrontare una nuova vita. Fondamentali per la riuscita del progetto sono stati la grande collaborazione del personale che opera nel carcere e l’affiatamento ed una motivazione intensa del personale docente a cui va aggiunta la preziosa collaborazione del Comune di Tolmezzo, che ha contribuito attivamente alla realizzazione del percorso in collaborazione con Enaip. Un segnale concreto e tangibile di come la formazione possa trasmettere una nuova visione del lavoro come strumento di reintegrazione e reinserimento nella società. Napoli: a Secondigliano progetto per la produzione in serra di piante ornamentali Il Velino, 29 maggio 2010 Il Comune di Napoli il 30 maggio presenta un progetto con la Direzione del centro penitenziario di Secondigliano finalizzato al recupero dei detenuti. L’iniziativa, motivata dalla necessità di dimostrare vicinanza a chi vuole riscattarsi dalla dimensione del carcere con un reinserimento sociale, ha avuto come scopo finale la produzione di piante ornamentali nelle serre, finora inutilizzate, presenti nel carcere e ha coinvolto dieci detenuti opportunamente istruiti e diretti dal personale comunale del Servizio Gestione Grandi Parchi Urbani. A una prima fase teorica di sei lezioni, attraverso la quale sono state fornite le necessarie cognizioni di botanica e tecniche di giardinaggio, è seguita una fase pratica di coltivazione di piante fiorite stagionali ed arbusti della flora mediterranea. Le produzioni ottenute saranno impiegate per arricchire le aiuole del carcere e quelle di alcuni parchi pubblici. Nel corso della mattinata del 30 maggio, a partire dalle 10, in Villa Comunale si svolgerà una manifestazione pubblica di divulgazione dell’iniziativa nel corso della quale saranno offerte in beneficenza a favore di Telefono Azzurro le piantine fiorite di tagete, petunia, begonia e basilico prodotte. Bologna: lunedì nell’ ex carcere Festa della Polizia Penitenziaria con Ionta Agi, 29 maggio 2010 Si svolgerà lunedì mattina, nel suggestivo vecchio carcere di San Giovanni in Monte di Bologna oggi sede di locali universitari, la festa regionale della Polizia Penitenziara dell’Emilia Romagna, che vedràla partecipazione del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, a fianco del Provveditore regionale Nello Cesari. Ionta, spiega in una nota il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, ha scelto di essere a Bologna in rappresentanza di tutte le feste regionali d’Italia: dal canto suo il sindacato più rappresentativo degli agenti penitenziari (più di 11.000 iscritti a livello nazionale e circa 700 in Emilia Romagna) ha deciso di non partecipare alla festa, così come già avvenuto in quella nazionale a Roma. “Riteniamo che non ci sia niente da festeggiare, vista la drammatica situazione in cui ci troviamo - commenta Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe - I detenuti hanno raggiunto la cifra record di 67542, mentre i posti disponibili sono circa 44000; in Emilia Romagna ci sono circa 2000 detenuti in più rispetto alla capienza prevista e mancano 650 agenti, 6500 a livello nazionale”. Il sindacato, oltre ai tagli e al mancato rinnovo del contratto, lamenta anche la totale assenza del nuovo piano carceri di cui si parla da oltre un anno e mezzo. La Garante elogia la Polizia Penitenziaria… ma non siano solo custodi Lunedì in San Giovanni in Monte si terrà la festa della Polizia penitenziaria di Bologna, che come ogni anno celebra l’anniversario della fondazione del corpo. Confermando la propria partecipazione, il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, spende qualche parola sulla situazione di “disastroso sovraffollamento” delle carceri e sul grande impegno delle guardie carcerarie. Bruno ringrazia tutti gli agenti penitenziari “per lo sforzo che stanno compiendo nell’esercizio della loro difficile funzione, per assicurare condizioni di vivibilità all’interno degli istituti penitenziari”. La festa annuale, che cade “in un momento particolarmente difficile”, secondo il Garante “può costituire un momento serio di analisi e riflessione”. A rendere particolarmente critiche la situazione delle carceri, ricorda Bruno, non c’è solo il sovraffollamento (che in Emilia - Romagna e in particolare a Bologna “raggiunge le punte più alte in tutto il territorio nazionale”), ma anche una “ormai cronica carenza di agenti penitenziari e altre figure professionali”. Se le cose continuano così, “la funzione degli agenti rischia di essere meramente custodiale”, mentre occorrerebbe “un progetto serio di politica penitenziaria che riduca il ricorso al carcere e favorisca le misure alternative” dice Bruno. In questo percorso, gli operatori di polizia sono “un tassello importante, dal quale non si può prescindere” per riuscire nell’obiettivo di “recupero e reinserimento sociale delle persone condannate”. Bologna: Fondazione Augusta Pini; dopo la Comunità minorile, progetto per un polo culturale Redattore Sociale, 29 maggio 2010 Dopo il positivo avvio della comunità per minori sottoposti a provvedimenti penali, la Fondazione Augusta Pini lancia il progetto di un centro scientifico - culturale che ospiti anche ragazzi affetti da disagi psico - affettivi. A soli due mesi dal suo avvio la comunità maschile per minori sottoposti a provvedimenti penali Augusta Pini, la prima di questo genere, sta già funzionando a pieno regime. È quanto emerso all’inaugurazione ufficiale, avvenuta a Bologna nei giorni scorsi. “Il centro accoglie già sette ragazzi, a testimonianza del fatto che questa realtà risponde a un bisogno del territorio”, ha dichiarato Giorgio Palmeri, presidente della Fondazione Augusta Pini ed Istituto del Buon Pastore onlus, che ha donato l’edificio in cui ha sede la comunità. Gli ospiti dell’Augusta Pini provengono da centri di giustizia minorile, principalmente dal carcere del Pratello di Bologna ma anche da altre parti dell’Emilia - Romagna. Il centro, che ha sede in via del Cardo ed è gestito dalla cooperativa Csapsa, può ospitare otto - nove ragazzi, e non riesce a far fronte alle moltissime richieste giunte anche da altre regioni, come la Sicilia. “Il risultato atteso è una sempre più efficace e competente presa in carico dei ragazzi dell’area penale - ha detto Giuseppe Centomani, direttore del Centro di giustizia minorile dell’Emilia - Romagna. Una forma di investimento collettivo per il recupero e la promozione di un diverso ruolo sociale per i ragazzi discoli del Pratello”. Proprio il successo dell’iniziativa sta dando impulso a un nuovo progetto della Fondazione, che è stato presentato durante l’inaugurazione. Nel giro di due - tre anni, infatti, l’Augusta Pini intende costruire un polo scientifico - culturale residenziale per minori in una zona centrale di Bologna. Si tratterà di una struttura formata da tre comunità in grado di ospitare circa trentadue ragazzi affetti da disarmonie dello sviluppo psico - affettivo. Ma si tratterà anche di un vero e proprio centro culturale. Auditorium, sala conferenza, sala concerti, biblioteca e sale studio: questi gli edifici che saranno riuniti in un’unica struttura aperta a tutti. In collaborazione con l’Università, si attiverà anche un centro di formazione sia per il personale che per altre realtà: un servizio di formazione, infatti, sarà offerto agli ospiti del centro, ma anche ai giovani bolognesi dai sedici ai ventisei anni. “Di solito le comunità minorili sono luoghi ghettizzati - spiega Giuliana Lipparini, responsabile operativa della fondazione. - Noi vogliamo invece che il nostro polo sia aperto a tutta la città”. Nascerà anche una scuola di teatro diretta da Vitaliano Trevisan, lo scrittore e attore che coordina già diversi laboratori teatrali con i ragazzi seguiti dalla Fondazione. Libri: “L’attività motoria nelle carceri italiane”, di Ario Federici e Daniela Testa Corriere Adriatico, 29 maggio 2010 Ario Federici è un docente di Scienze Motorie dell’Università di Urbino. Dal 2002 ha avviato un progetto, frutto di una convenzione, nella casa di reclusione maschile di Fossombrone, grazie al contributo della collega Daniela Testa ed alla collaborazione volontaria degli studenti dell’ateneo urbinate. Da questa esperienza è scaturito un libro, “L’attività motoria nelle carceri italiane”, scritto a due mani (Federici - Testa) che sarà presentato, nei primi giorni di giugno, a Fossombrone. La sperimentazione nella casa di reclusione di Fossombrone è guardata con impegno dal Ministero di Grazia e Giustizia Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria “perché rappresenta un modello vincente per tutta l’Italia” visto che da un’indagine dello stesso Dipartimento è risultato che “cinque giorni di carcere sono sufficienti a provocare nel recluso claustrofobia, irritabilità, apatia, estraniamento”. In effetti, come sottoscrive la campionessa di pallacanestro femminile Mabel Bocchi in una recensione al libro, il progetto di Federici - Testa, “sviluppa e potenzia l’attività motoria all’interno dei penitenziari istituzionalizzando la figura dell’educatore fisico”. Ario Federici (è stato nel passato anche un allenatore di volley) si rifà ad una citazione di Don Ciotti che ne ha condiviso la prefazione: “la società riceve dopo il periodo di reclusione una persona ammalata, avvilita ed incattivita, anziché responsabilizzata e cosciente”. Quali, allora, gli interventi? “Ridurre al minimo gli effetti dell’ozio e dell’inattività sul fisico e sulla mente dei detenuti”, ci ha sottolineato il prof. Federici. “Inoltre visite mediche e psicologiche, evitare inattività, eseguire stretching, assumere posture corrette, avere attenzione in ciò che si mangia. E cinque, sei esercizi individualizzati”.