Giustizia: se tre metri quadri per ogni detenuto vi sembrano tanti... di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro Liberazione, 28 maggio 2010 Oggi la commissione giustizia della Camera voterà (forse) il disegno di legge Alfano, cosiddetto svuota-carceri, che a seguito delle modifiche introdotte con gli emendamenti proposti e votati dal centro destra come dal centro sinistra può essere ribattezzato ex-svuota carceri. Con la cancellazione della messa in prova per pene sotto i tre anni e dell’automatismo dei domiciliari per chi deve scontare un anno di pena residua il provvedimento legislativo interesserà infatti non più di 2-3 mila detenuti, mentre le patrie galere hanno oggi 23.000 detenuti in più della capienza regolamentare. Svuotano un oceano con un cucchiaino. Per questo motivo lanciamo, insieme ai soggetti riunitisi sabato scorso a Roma (da Antigone a Sant’Egidio, dall’ex Presidente Ciampi a Don Ciotti), un accorato appello a scendere in piazza, come avvenne nel natale del 2005, perché il potere politico si renda conto della tragedia umana che affligge le nostre patrie galere e trovi soluzioni immediate che evitino l’apocalisse che rischiamo di vivere la prossima estate. In uno stato di diritto non è infatti tollerabile che nelle carceri si viva in uno spazio medio di tre metri quadri a persona o che vi sia la media di un morto (27 i suicidi) ogni due giorni dall’inizio dell’anno. In uno stato di diritto non è concepibile che di fronte ad una sciagura del genere la politica, in nome del consenso elettorale, si continui a trincerare sotto il vessillo della sicurezza. La mano forte sulla legalità non è sinonimo di sicurezza, avvertiva Pietro Ingrao già nel 1975, esortando a non avere un atteggiamento pan-giustizialista. Perché il numero dei crimini commessi prescinde dalla severità delle leggi ed è più legato allo sviluppo delle politiche sociali e delle politiche di prevenzione che di quelle repressive. Sappiamo di dire qualcosa di non gradito finanche tra le nostre fila: dissentiamo totalmente non solo dalla fabbrica della paura delle destre, ma anche dal giustizialismo cieco e testardo (spesso populista) delle forze dell’opposizione oggi presenti in Parlamento. Perché il giustizialismo non solo non è efficace come vorrebbero farci credere, ma troppo spesso si accompagna ad una giustizia a due velocità, spietata con i deboli, bonacciona con i forti. Quella giustizia che diventa sinonimo di severità con gli stranieri, i tossicodipendenti e i deviati, per poi diventare lumacona e garantista con i colletti bianchi e le divise blu. E troppo spesso chi come Di Pietro si fa gran cassa dei giustizialisti è lo stesso che poi nella scorsa legislatura ha di fatto impedito il venir alla luce della commissione di inchiesta sui fatti di Genova. Non ci meravigliamo allora delle parole irrispettose del Ministro Maroni all’indomani della sentenza di appello sulla “macelleria messicana” messa in scena nella scuola Diaz di Genova. Non ci meravigliamo che quello stesso Ministro che si fa passare per nemico giurato delle mafie così come dei clandestini (come se fossero la stessa cosa) poi diventa blando e padre premuroso nei confronti dei vertici della polizia condannati dalla giustizia e promossi (anche dal centro sinistra) dalla politica. Perché ad inseguire le destre sul tema della sicurezza e della paura ci abbiamo perso non solo le ultime elezioni, ma anche quelle del 2001. E nel 2001 prima della mattanza di Genova ci sono stati i preparativi di Piazza Municipio e della Caserma Raniero di Napoli, con il centro sinistra al governo. È arrivata l’ora di decidere a sinistra da che parte stiamo: se vogliamo essere servi imitatori dell’ideale securitario proprio delle destre o se vogliamo realizzare una giustizia più mite con i deboli e meno blanda con chi ha gli strumenti per difendersi. Giustizia: Antigone; le carceri italiane sono le più sovraffollate d’Europa Il Manifesto, 28 maggio 2010 Siamo i primi in Europa, ma non ci fa onore. Se c’è un record assai poco invidiabile che l’Italia è riuscita a raggiungere in pochi anni scalando tutte le classifiche europee, lo dobbiamo alla capacità di sopportazione dei detenuti che riescono a stare in 157 laddove ce ne potrebbero stare al massimo 100. Per diventare i primi dei 47 paesi del Consiglio d’Europa siamo riusciti a recludere nelle patrie galere costruite per 43 mila posti circa 68 mila persone. Di cui solo 35.800 condannati. Con un’accelerazione impressa negli ultimi 45 mesi durante i quali la popolazione detenuta è cresciuta di 29 mila unità, circa 650 persone in più al mese, abbiamo lasciato ai blocchi di partenza perfino Cipro, Grecia, Serbia e Russia. Sono i dati contenuti nel dossier che verrà presentato oggi dall’associazione Antigone, in occasione dell’assemblea nazionale che si svolgerà, non a caso, proprio all’interno del carcere romano di Rebibbia alla presenza di Franco Ionta, capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria. A confrontarsi su una delle più scottanti emergenze italiane ci saranno rappresentanti di tutti le tipologie di operatori penitenziari: volontari, avvocati, politici, sindacalisti, giornalisti, detenuti, magistrati e agenti penitenziari. Non a caso il titolo scelto per l’incontro è “Overbooking. Il protagonismo degli operatori. Come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti umani”. “L’idea è quella di far parlare voci diverse, spesso non collimanti, ma tutte interne alla realtà carceraria e quindi ben consapevoli dell’urgenza di trovare una soluzione giusta, sistematica e duratura al problema del sovraffollamento - spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone -. Bisogna creare una grande alleanza riformatrice per rendere consapevole della tragica situazione anche la classe politica”. La presenza di Ionta e la disponiblità del direttore di Rebibbia, Carmelo Cantone, testimoniano invece la piena consapevolezza dell’amministrazione penitenziaria. Voci diverse per sostenere che il ddl Alfano sulle carceri è “inutile” perché, spiega ancora Gonnella, “non estende l’applicazione delle misure alternative oltre quella già prevista dalla legge Gozzini”, soprattutto dopo che l’emendamento governativo ha stralciato l’istituto della “messa alla prova” e ridotto la detenzione domiciliare per chi deve scontare meno di un anno da misura obbligatoria a discrezionale. Ci vuole altro che un piano edilizio o un commissario dai poteri straordinari, se si pensa che solo la Moldavia, il Liechtenstein e la Bulgaria hanno un tasso di incarcerazione superiore a quello italiano per motivi legati alla droga: da noi il 26,8% dei reclusi è tossicodipendente e il 36,1% dei reati commessi dalla popolazione reclusa è per droga, contro il 16,1 dell’Inghilterra o il 15,4 della Germania. Il grosso del sovraffollamento, infatti, si è ottenuto in un paio d’anni, tra il 2007 e il 2008: esattamente il periodo di maggior applicazione della legge sulle droghe Fini-Giovanardi varata nel 2006. Mentre in Austria in quel periodo la popolazione carceraria diminuiva dell’11,2% e in Germania del 4%, in Francia aumentava del 4,2% e in Inghilterra del 3,6% (unico paese che riesce a superarci nel tasso di carcerazione: 152 detenuti ogni 100 mila abitanti contro i nostri 110), l’Italia superava tutti con un incremento del 22,5%. Giustizia: Antigone; straniero il 37,4% dei detenuti, “percentuale mai raggiunta” Redattore Sociale, 28 maggio 2010 In custodia cautelare il 64,2% degli immigrati. Antigone: “Maggiore propensione all’uso del carcere”. In Italia il maggior tasso di crescita della popolazione detenuta in tutta Europa, dal 2007 ad oggi. L’Italia è il Paese con il maggior tasso di crescita della popolazione detenuta in tutta Europa, dal 2007 ad oggi. E a dimostrarlo anche il fatto che in alcuni Paesi europei il trend è addirittura negativo. A fare il punto sulla situazione delle carceri è l’associazione Antigone durante il convegno “Overbooking, il protagonismo, come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti umani”, in corso presso la casa Circondariale Rebibbia nuovo complesso a Roma. Secondo i dati presentati in Portogallo, per esempio, dal 2002 al 2007, si è registrata una diminuzione del numero di detenuti del 16% grazie all’introduzione di pene e misure alternative e alla depenalizzazione di alcuni reati. Caso analogo in Germania, dove si è registrato una riduzione della popolazione detenuta di oltre 6mila unità, o come in Austria e Finlandia, dove la variazione percentuale dal 2007 al 2008 è stata rispettivamente del -11,2% e del 2,7%. Un segno positivo, invece, viene registrato in Francia e Gran Bretagna, dove si ha il 4,2% e il 3,6% in più nello stesso periodo, comunque ad una certa distanza dal dato italiano, cioè il 22,5% in più, facendo crescere la popolazione detenuta negli ultimi 45 mesi di 29 mila unità, una crescita mensile di 650 detenuti. Un sovraffollamento che in Italia ha delle caratteristiche facilmente individuabili. In Italia gli stranieri detenuti sono il 37,4% sulla popolazione detenuta. “Percentuale - spiega Antigone - così alta sul totale dei detenuti mai raggiunta prima”. Altro dato è la custodia cautelare, che se nella media riguarda il 43,9% dei detenuti, per quanto riguarda gli stranieri si arriva al 64,2% dei detenuti. “Quasi il doppio - spiega il documento di Antigone - rispetto alla media europea. È quindi evidente come nei confronti degli stranieri vi sia una maggiore propensione all’uso del carcere anche durante la fare processuale. Esiste una palese discriminazione nell’uso degli strumenti cautelari”. Anche la percentuale di quanti tra i detenuti stranieri riescono ad accedere alle misure alternative è molto diversa da quella che riguarda gli italiani. “Degli 11.897 affidamenti in prova gestiti dagli uffici della esecuzione penale esterna complessivamente nel corso del 2009, 10.400 erano di condannati italiani, circa l’87%, mentre solo 1.497 stranieri” per lo più comunitari o in possesso di un permesso di soggiorno. A questi numeri, poi, si aggiungono i 2.500 che sono in carcere per aver violato la legge sull’immigrazione, numero che sale a 12 mila unità se si prende in considerazione il totale degli ingressi nel 2009 per la stessa ragione. La violazione della legge sulle droghe, poi, riguarda circa 26 mila detenuti. Il 26,8% dei detenuti è oggi tossicodipendente e il 38,2% è in carcere per detenzione o spaccio. Per la violazione del Dpr 309/90 nel periodo 2005-2008 gli ingressi in carcere annuali sono cresciuti di 7.400 unità, una crescita del 34,6%. Sono poi oltre 3.500 i detenuti imputati o condannati per contravvenzioni. Circa 30 mila detenuti, poco meno del 50% del totale, inoltre, stanno scontando in carcere un periodo di custodia cautelare. “Siamo in Europa superati solo da Turchia e Malta”. Antigone, infine, torna a ribadire la necessità di un potenziamento delle misure alternative. “Più di due terzi dei detenuti definitivi, e dunque più di 19.800 detenuti, scontano un residuo di pena inferiore ai tre anni, e sono quindi teoricamente nelle condizioni per accedere ad una misura alternativa. Pertanto più che inventarsi nuove inutili misure alternative, basterebbe togliere le preclusioni previste da leggi recenti, in primo luogo quelle imposte dalla ex Cirielli sulla recidiva, e restituire ai giudici la discrezionalità che queste leggi gli hanno sottratto”. Potenzialmente, continua il documento, si potrebbero far uscire ben 20 mila detenuti che hanno da scontare meno di tre anni. All’inizio del 2006 a fronte di 60 mila detenuti, erano 23.500 le persone in misura alternativa. Nel 2010, invece, a fronte dei numeri attuali della popolazione detenuta quelli in misure alternative sono poco più di 10 mila. Giustizia: Gonnella (Antigone); con depenalizzazione risparmio di quasi 1,5 miliardi Redattore Sociale, 28 maggio 2010 “Un pezzo di manovra”: questo secondo il presidente di Antigone il guadagno se “con provvedimenti di progressiva decarcerizzazione, si tornasse ad avere 43 mila detenuti”. A Rebbibia convegno su come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti. “Se oggi tornassimo ad avere, con provvedimenti di progressiva depenalizzazione e decarcerizzazione, 43 mila detenuti ci sarebbe un risparmio di oltre 1.430 milioni di euro, quasi un miliardo e mezzo di euro, un pezzo di manovra”. È quanto ha affermato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone in apertura del convegno “Overbooking, il protagonismo, come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti umani”, in corso presso la casa Circondariale Rebibbia nuovo complesso a Roma, voluto dall’associazione Antigone per fare il punto sulla situazione dei penitenziari italiani. Una situazione generale più volte denunciata dalla stessa associazione, che vede oggi circa 68 mila detenuti in strutture che hanno una capienza di poco più di 43 mila posti letto. Secondo Antigone, i costi del sovraffollamento sono altissimi. L’associazione, infatti, ha stimato che il costo giornaliero di un detenuto sia di 157 euro al giorno, per un costo totale attuale di oltre 10 milioni di euro al giorno per il totale dei detenuti. Un costo mensile di oltre 300 milioni di euro e di quasi 4 miliardi l’anno. Tutto questo, spiega Antigone, quando invece “le misure alternative costano un decimo del carcere e producono molta più sicurezza”. Giustizia: Ionta (Dap); irresponsabile sottovalutare il problema dell’edilizia penitenziaria Redattore Sociale, 28 maggio 2010 Il responsabile del Dipartimento: “Aumentare gli spazi è la prima cosa che bisogna fare. Naturalmente non è l’unica”. Mano tesa alle associazioni: “L’emergenza è oggi. Dateci una mano”. L’edilizia penitenziaria è la prima risposta al problema del sovraffollamento delle carceri. È quanto ha affermato questa mattina Franco Ionta, capo del Dap, intervenuto questa mattina al convegno “Overbooking, il protagonismo, come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti umani”, in corso presso la casa Circondariale Rebibbia nuovo complesso a Roma, voluto dall’associazione Antigone per fare il punto sulla situazione dei penitenziari italiani. “Ho sentito spesso e non solo qui sottovalutare il problema dell’edilizia penitenziaria - ha detto Ionta -. Se stiamo qui a lamentarci del fatto che c’è un sovraffollamento, aumentare gli spazi è la prima cosa che bisogna fare. Naturalmente non è l’unica cosa da fare, però sottovalutarne la portata mi sembra francamente poco responsabile”. Il capo del Dap si è detto disponibile, però, ad un confronto su quello che si sta facendo, ma chiede proposte concrete. “L’amministrazione non si sottrae al confronto perché la coscienza critica che Antigone rappresenta è un lievito importante perché può dare delle indicazioni ed era quello che francamente mi aspettavo da questo incontro. Dal momento che dire come uscire dalla crisi penitenziaria preservando i diritti umani significa una cosa epocale, sono un pò deluso perché mi sembra non ci sia stato qualcosa che vada al di là della fotografia della situazione attuale. Dobbiamo confrontarci con quello che l’amministrazione sta facendo, ed esaminare se ci sono delle cose che possono essere modificate, o eliminate. Questo è un dibattito che serve ad uscire dalla crisi penitenziaria”. Dal vice capo del Dap Emilio Di Somma, infine, arriva una richiesta di aiuto alle associazioni e alle realtà che si occupano di carcere. “L’emergenza è oggi. Dateci una mano, non solo sulle necessità di un impostazione penale diversa ma questo richiede tempo, ma per far capire al governo, al Parlamento e all’opinione pubblica che noi così non possiamo andare avanti, siamo oggi in una situazione di feroce e pericolosa difficoltà”. Giustizia: Di Somma (Dap); temo non sfuggiremo ai tagli della “manovra finanziaria” Ansa, 28 maggio 2010 “Molto preoccupato” per l’effetto che la manovra finanziaria varata dal governo, che “impone tagli orizzontali del 10% ai ministeri”, avrà sul sovraffollamento delle carceri. Così si dice Emilio Di Somma, vice-capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. “Temo che non sfuggiremo ai tagli - ha detto Di Somma, interpellato a margine di un incontro sull’emergenza sovraffollamento organizzato dall’associazione Antigone nel carcere di Rebibbia - anche se mi auguro che si sposi l’idea di preservare le risorse destinate agli istituti”, facendo valere l’autonomia concessa ai ministeri nell’indirizzare il contenimento. I costi del sistema penale sono aggravati da quei detenuti che transitano dal carcere per uno o due giorni: ognuno di loro - ha spiegato - costa più di 150 euro al giorno e “una permanenza così breve non serve a niente, lo scopo non è il trattamento per la rieducazione, e si creano solo difficoltà negli istituti”. Giustizia: stop della Commissione Bilancio al ddl Alfano, no all’aumento degli organici Apcom, 28 maggio 2010 La commissione Bilancio di Montecitorio boccia due articoli del ddl Alfano che prevede la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari: secondo il parere condizionato approvato ieri dalla Commissione presieduta dal leghista Giancarlo Giorgetti, infatti, le norme che prevedono l’assunzione di 1.500 poliziotti e 1.500 Carabinieri oltre che l’adeguamento del personale di polizia penitenziaria e del ministero della Giustizia non hanno copertura finanziaria. Il parere ricalca la posizione espressa in Commissione dal sottosegretario all’Economia Alberto Giorgetti ed esprime dubbi anche sulla norma che prevede la possibilità per i detenuti tossicodipendenti o alcoldipendenti di scontare la pena residua presso strutture sanitarie pubbliche o private accreditate: “È suscettibile di determinare maggiori oneri non quantificati né coperti a carico del Servizio sanitario nazionale”, osserva il sottosegretario secondo quanto riportato dal Bollettino delle Commissioni. Per il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, bisogna andare avanti comunque con il mantenimento dei due articoli bocciati dalla Bilancio: “Su un provvedimento così importante come quello in esame bisogna assumersi delle responsabilità serie”, dice nel corso della seduta della Commissione presieduta da Giulia Bongiorno che invece sottolinea la “necessità di approfondire ulteriormente il parere della Bilancio e di verificare la possibilità di una riformulazione delle norme delle quali si chiede la soppressione al fine di renderle adeguate sotto il profilo della copertura finanziaria”. Ferranti: Giorgetti smentisce Maroni e affossa il ddl Alfano “La commissione Bilancio azzoppa il ddl svuota carceri e smentisce il ministro Maroni che aveva legato l’approvazione del provvedimento ad un potenziamento dell’organico delle forze dell’ordine”. Così la capogruppo del Pd nella commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti dopo che la V commissione di Montecitorio, presieduta da Giancarlo Giorgetti, ha bocciato tutte la parti del provvedimento che richiedono un impegno economico per le casse dello Stato. “Insomma, questo provvedimento tanto sbandierato dal Governo come la panacea di tutti i mali delle nostri carceri proprio non riesce a decollare. A questo punto però - sottolinea Ferranti - il governo e la maggioranza dovrebbero dire con chiarezza come intendono proseguire visto che ogni ulteriore dibattito in commissione Giustizia risulterebbe sterile. Infatti - spiega - se non venissero recepite le richieste di Maroni sull’organico della polizia il provvedimento sarebbe inapplicabile, mentre se venissero accolte ci sarebbero, a quanto pare, rilievi di carattere economico. Insomma - conclude Ferranti - ancora una volta il provvedimento è in un cul de sac e pensare che era stato approvata all’unanimità dal consiglio dei ministri e presentato in pompa magna come la soluzione a tutti i mali delle carceri”. Giustizia: il Sappe scrive a Napolitano; il crollo del sistema penitenziario è prossimo Ansa, 28 maggio 2010 Il Sappe ha rappresentato più volte, negli ultimi mesi, la sempre più grave situazione operativa degli istituti penitenziari, in particolare per quanto attiene alle risorse economiche, al sovraffollamento della popolazione detenuta, alle carenze di organico, alla formazione. In proposito, da mesi, il “Piano di edilizia per le carceri” funge da imbonitore, quasi fosse una panacèa dell’intero pianeta carcerario; in realtà, nessun provvedimento viene assunto, nonostante l’arruolamento di 2000 unità nel Corpo sia effettivamente una mera goccia nell’Oceano. Intanto, crescono i disagi, gli inconvenienti, il numero dei ristretti e diminuisce la presenza del personale del Corpo; si avvicina la stagione estiva e il clima diventa sempre più caldo e irrespirabile, sotto ogni profilo. Tra un mese, tutte le Scuole dell’Amministrazione saranno completamente vuote, terminando i corsi in atto per allievi agenti e vice sovrintendenti: e la disponibilità di allievi do avviare subito ai corsi ammonta a meno di 300 unità, da inserire in servizio attivo non prima del mese di gennaio 2011, se la durata dei corsi sarà di sei mesi. il Sappe richiama l’attenzione sulla criticità, davvero mai raggiunta, delle strutture penitenziarie; probabilmente non ci si rende conto, se non di fronte a episodi eclatanti di manifesta entità, che la costante emergenza è come una polveriera, che può esplodere in qualsiasi momento: basta un minimo errore e, in condizioni difficili e stressanti, sbagliare è quasi una certezza. E nei prossimi mesi, mentre i ristretti raggiungeranno il numero di 70.000 unità, i contingenti del Corpo si depaupereranno ancora di altre centinaia dì unità: una distanza proporzionale sempre più distante, incolmabile. Il Sappe chiede un ascolto vero e provvedimenti immediati: il crollo del sistema penitenziario è prossimo. Giustizia: Uilpa; carceri pronte a esplodere, serve nuova amministrazione penitenziaria Il Velino, 28 maggio 2010 “Avendo abortito ogni speranza di veder approvato un qualsiasi provvedimento di legge realmente deflattivo delle criticità che investono il sistema penitenziario, su tutte il sovraffollamento e le carenze d’organico, vogliamo permanere nella speranza che si possa lavorare per cambiare l’amministrazione penitenziaria”. Così il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, ha portato il proprio saluto all’assemblea nazionale di Antigone, in corso nella palestra del Nuovo complesso di Roma Rebibbia. Il segretario della Uil, che nel pomeriggio parteciperà al convegno sulle carceri organizzato dal Pd alla Camera dei deputati, ha invitato i politici presenti a riflettere sulla necessità di una riorganizzazione complessiva dell’Amministrazione penitenziaria. Rivolgendosi al segretario della Anm Giuseppe Cascini, ha posto l’attenzione sulla possibilità che il Dap sia guidato da un dirigente penitenziario e non più da un magistrato. “Negli ultimi 20 anni ci siamo dovuti misurare con il garbo e la disponibilità di tanti Capi dipartimento provenienti dai ruoli della magistratura ma tutti, inevitabilmente, hanno pagato dazio alla loro incompetenza specifica. Paradossalmente - ha aggiunto - quando hanno cominciato a capire come gestire il sistema sono stati vittime di quello spoil system che inopinatamente si applica anche a una amministrazione particolare come quella penitenziaria. Vi chiedo, pertanto, se non sia giunto il momento che alla guida del Dap non debba essere indicato un dirigente penitenziario”. Per Sarno “all’interno di questa auspicata e necessaria riorganizzazione del dipartimento occorre riorganizzare anche il Corpo di polizia penitenziaria, unico corpo di Polizia a non avere un’organizzazione verticistica e al cui comando è preposto un extra corpo. D’altro canto una recente sentenza della cassazione apre la strada al recupero di quelle professionalità, sin’ora emarginate e marginalizzate, degli ex ufficiali degli Agenti di Custodia”. Il segretario generale della Uil Pa Penitenziari ha anticipato che nel convegno organizzato dal Pd ribadirà le proprie riserve sull’efficacia e sull’utilità del ddl Carceri: “con fatica e con molto lavoro abbiamo cercato di creare una coscienza politica e sociale su quello che l’esimio presidente Ciampi ha definito, a ragione, dramma penitenziario. Avevamo creduto che l’intelligente ricettività e le disponibilità del premier Berlusconi e del ministro Alfano avrebbero potuto portare a un percorso di soluzioni concrete e non solo annunciate. In quest’ottica avevamo salutato con favore l’intenzione di decretare misure deflattive e aumenti d’organici. Di tutto questo - ha concluso Sarno -, ci pare di capire, nella proposta bipartisan non c’è più traccia e quindi la giudichiamo inefficace oltre che inutile. La straordinaria emergenzialità del momento dovrebbe imporre alla politica tempi e discussioni straordinarie. Si va avanti, invece, con tempi e discussioni ordinarie. Nel frattempo il fuoco cova, il magma ribolle e la polveriera è pronta a esplodere”. Giustizia: caso Cucchi; da Amnesty International, massima attenzione sulla vicenda Agi, 28 maggio 2010 “Seguiremo con interesse e attenzione la vicenda di Stefano Cucchi. Il suo caso si inserisce in un quadro insoddisfacente per quanto riguarda l’attenzione dell’Italia alla tutela dei diritti umani”. Lo ha detto Giusy D’Alonzo, di Amnesty International che ha analizzato il caso Italia, a margine della presentazione del Rapporto 2010 sui Diritti Umani nel Mondo.”In Italia - ha aggiunto - non c’è un garante dei detenuti che, ad esempio, possa effettuare visite senza preavviso. Non abbiamo organismi di tutela dei diritti umani che siano indipendenti. Ma il vero problema, in casi come quello di Cucchi o come quello di Federico Aldrovrandi, morto nel 2005 per le percosse di agenti, di Aldo Bianzino, deceduto in carcere a Perugia, le famiglie sono lasciate sole e si vedono costrette a far partire autonomamente le indagini, a nominare i propri periti. C’è un’attività intensa che le famiglie devono compiere mentre non dovrebbe essere cosi”. L’Italia, ricorda Amnesty, “non ha ratificato il Protocollo Opzionale alla Convezione che imporrebbe l’adozione di meccanismi di prevenzione della tortura e dei maltrattamenti e oltre alla mancanza di una struttura indipendente per il monitoraggio sui diritti umani e dei luoghi di prevenzione, manca di un organismo altrettanto indipendente di denuncia degli abusi di polizia”. Sappe: salviamo decine di detenuti che tentano suicidio Nel rapporto di Amnesty International che denuncia “troppi abusi di polizia” in Italia, è menzionato anche il caso Cucchi, il detenuto morto dopo 15 giorni dal suo arresto: “Sulla morte di Stefano Cucchi, è in corso un’indagine della magistratura. Se qualcuno ha sbagliato pagherà, ma l’autopsia dimostra l’estraneità degli agenti”, ribadisce Donato Capece, segretario del Sappe, Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il quale inoltre ricorda ch egli agenti penitenziari “ogni giorno salvano la vita a decine di detenuti che tentano il suicidio”. “Per quanto riguardo il caso di Stefano Cucchi - sottolinea Capece - i fatti sono tutti da dimostrare, fermo restando che in un momento come quello attuale scontiamo il sovraffollamento nelle carceri e le carenze di organico, la magistratura indaga e se qualcuno ha commesso qualche abuso sarà punito”. Il segretario del Sappe, comunque, sul caso Cucchi sottolinea che “nella copia della relazione rilasciata della perizia del medico legale disposta dal pm, si esclude categoricamente che il detenuto sia morto per ferite o lesioni relative a percosse ricevute, ci sono delle lesioni precedenti, cadute prima degli arresti. I magistrati stanno indagando, ma ribadisco che nel caso specifico la polizia penitenziaria ha fatto il suo dovere, non ha mai sfiorato il detenuto Cucchi”. In generale, quello sollevato da Amnesty per Capece è “un polverone, un pò semplicistico. Attacchi gratuiti nei confronti delle forze dell’ordine non sono una novità. Io invece chiederei all’opinione pubblica che ci stia più vicina, perché siamo spesso soli, e spesso paghiamo in prima persona”. Non solo - sottolinea il segretario del Sappe - perché spesso gli agenti sono vittime di aggressioni, ma perché “quando il detenuto viene ad una collusione dell’agente, per prima cosa il poliziotto viene sospeso. E con il magro stipendio che ha deve prendersi un avvocato per difendersi anche quando le denunce non hanno fondamento. Come nel caso della morte di un altro detenuto a Palmi, poco dopo il caso Cucchi, la sorella sull’onda dell’emotività denunciò la polizia penitenziaria che ha dimostrato come fosse un caso di suicido”. E - conclude Capece - “si dimentica che ogni giorno gli agenti nelle sovraffollate carceri italiane salvano la vita a decine di detenuti che tentano il suicidio”. Piemonte: Osapp; i cittadini versino “un obolo” all’amministrazione delle carceri Ansa, 28 maggio 2010 I “cittadini onesti” versino “un obolo” all’amministrazione delle carceri perché le condizioni di lavoro delle guardie possano finalmente migliorare: questo l’appello che la segreteria Osapp del Piemonte e Valle d’Aosta, un sindacato di categoria, lancia alla vigilia della festa del Corpo di polizia penitenziaria. La mossa serve ad annunciare una provocatoria iniziativa che, con ogni probabilità, verrà adottata nei prossimi giorni: veri e propri banchetti compariranno in strade e piazze - le modalità sono ancora da definire - per raccogliere i fondi. Un comunicato dell’organizzazione sindacale spiega che il denaro serve “per pagarci gli straordinari, le missioni, per ricucirci le uniformi rotte, per risuolarci le scarpe, le pagare il carburante dei furgoni e degli automezzi fermi, per pagarci i biglietti aerei quando scortiamo i detenuti nelle regioni del Sud”. “Non possiamo più tacere - continua la nota - sul fatto che a Roma, e anche qui a Torino, i bilanci sono esauriti, le casse vuote, il riposo settimanale un sogno e le ferie un’utopia”. Il comunicato si conclude con un “grazie” al ministro della giustizia, Angelino Alfano, e al capo de Dap, Franco Ionta, “che presto spenderanno tanti soldi, quanti nessuno nei ha mai spesi per le carceri, ma non per i detenuti, non per chi in carcere lavora e, soprattutto, nemmeno per i poliziotti penitenziari”. Lazio: l’Assessore Cangemi incontra il Garante dei detenuti; la situazione è critica Dire, 28 maggio 2010 “Ho voluto incontrare il Garante dei detenuti, per verificare le attività in tema dei diritti e delle garanzie delle persone sottoposte a misure restrittive, ma anche per programmare e definire politiche di sostegno finalizzate volte a migliorare la qualità di vita dei detenuti”. È quanto afferma l’assessore regionale agli Enti locali e Sicurezza, Giuseppe Cangemi, dopo aver incontrato Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio. “Il quadro che emerge - continua Cangemi - la crescita del numero dei detenuti nelle carceri della Regione è un dato abbastanza critico segnalato ormai da tutti coloro che vivono il carcere, a cominciare dagli agenti di polizia penitenziaria. È evidente che in queste condizioni viene pericolosamente meno ogni tipo di discorso sul recupero e la rieducazione dei detenuti, mentre la nostra attenzione sarà rivolta prevalentemente al recupero e il reinserimento sociale dei detenuti attraverso il lavoro, dentro e fuori dal carcere”. Cagliari: detenuto tossicodipendente e sieropositivo muore nel carcere di Buoncammino Ansa, 28 maggio 2010 Un detenuto tossicodipendente e sieropositivo è morto nel carcere cagliaritano di Buoncammino. A darne notizia è la presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, Maria Grazia Caligaris, sottolineando che ‘quando una persona muore in carcere è chiaramente una sconfitta per le istituzioni e per chi opera dentro e fuori gli Istituti penitenziari. Sarà l’autopsia disposta, dal pubblico ministero Guido Pani, ad accertare le cause del decesso. Il detenuto - spiega la presidente di Socialismo Diritti Riforme - nonostante fosse affetto da diverse patologie e stesse facendo accertamenti per una sospetta neoplasia, aveva rifiutato il ricovero nel Centro clinico. I medici però lo seguivano con particolare attenzione per la delicatezza del suo quadro clinico generale. Avrebbe dovuto tuttavia essere ospitato, come tutti coloro che fanno uso di sostanze stupefacenti e finiscono in carcere per reati comuni, in un’apposita struttura a custodia attenuata. Sorprende che in Sardegna - conclude Caligaris - nonostante l’alto numero di detenuti con doppia diagnosi, non ci sia questa opportunità e il ricovero nelle comunità terapeutiche sia sempre complicato. Genova: a Marassi detenuta sieropositiva aggredisce e morde agente penitenziario Agi, 28 maggio 2010 Mattinata di tensione nel carcere di Marassi, dove una detenuta sieropositiva - M.B., 20 anni, genovese, reclusa per spaccio di stupefacenti - ha aggredito due poliziotti penitenziari, ferendone uno con un morso. A denunciare “l’ennesimo sintomo di criticità” del penitenziario ligure è il Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria. “È la ciliegina sulla torta di una situazione ben oltre il limite della tolleranza - denunciano Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto, e Domenico Tarantino, segretario Sappe di Marassi. La detenuta, durante la convalida d’arresto presso la sala magistrati ha dato in escandescenze proferendo volgarità nei confronti del Gip dottor Papillo, tanto da essere allontanata in una apposita saletta. Qui ha iniziata a ferirsi prendendo a testate il muro ed a pugni la finestra. I nostri agenti sono immediatamente intervenuti, ma lei si è scagliata con estrema violenza contro di loro sferrando calci e pugni e ferendo in particolare con un violento morso al braccio, con conseguente copiosa fuoriuscita di sangue, un nostro assistente capo. ‘Ti sta bene: io sono sieropositivà, ha aggiunto”. L’agente, comprensibilmente preoccupato per la sua salute, è stato immediatamente sottoposto alla profilassi sanitaria prevista per i possibili contagi infettivi e refertato con 10 giorni di prognosi (la collega se l’è cavata con 7). “Queste violente aggressioni - sottolineano Martinelli e Tarantino - mettono drammaticamente in evidenza le gravi condizioni di lavoro dei poliziotti penitenziari, che a Marassi sono carenti in organico di ben 155 unità mentre i detenuti presenti sono circa 780 rispetto ai 456 posi letto regolamentari. I nostri agenti lavorano sistematicamente sotto scorta per le gravissime carenze di personale e devono fare fronte a carichi di lavoro particolarmente delicati e stressanti, aggravati da una popolazione detenuta, sempre più spesso aggressiva, ogni giorno in crescita esponenziale. Così non si può più andare avanti”. Firenze: Corleone; a Sollicciano detenuti transessuali stretti come sardine Agi, 28 maggio 2010 “A Sollicciano ci sono 25 detenuti transessuali ammassati come sardine, 13 sono stati fatti arrivare da altre parti d’Italia in previsione dell’annunciata apertura a Empoli del carcere a loro riservato: ma ad oltre un anno dall’avvio, ci risulta che il ministro Alfano abbia bloccato tutto per ragioni, crediamo, legate ad una concezione moralista e retrograda della sessualità”. Lo ha detto incontrando i giornalisti il garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone. Corleone è arrivato al quinto giorno di sciopero della fame per protestare contro lo stop all’esperimento di penitenziario per soli trans a Empoli e ha ricordato che “esiste un decreto ministeriale che prevede l’attivazione del carcere trans gender” e che “non applicandolo, il Governo si pone in condizione di illegalità”. Il garante ha invitato “Regione Toscana e Comune di Empoli” a intervenire e ha anche reso noto che la consegna ai detenuti di schede di reclamo per chiedere di migliorare le condizioni di vivibilità del carcere “è stata avviata”. Infine Corleone ha auspicato che “entro l’estate possa partire il progetto per far uscire i tossicodipendenti dal carcere concedendo loro l’affidamento terapeutico”. Gorizia: Serracchiani (Pd); il carcere di via Berzellini è il peggiore della Regione Messaggero Veneto, 28 maggio 2010 La maglia nera delle carceri in regione spetta al penitenziario di via Barzellini. Lo ha affermato l’europarlamentare del Pd Debora Serracchiani, che ha concluso ieri mattina a Gorizia la ricognizione del sistema carcerario regionale, in cui era stata impegnata negli ultimi mesi. Nelle prossime settimane il Pd presenterà un documento di sintesi sulla situazione carceraria regionale sulla base dei dati raccolti sul campo, per poter pianificare i futuri interventi. Assieme al consigliere regionale del Pd Paolo Menis, Serracchiani ha visitato sia l’ala attualmente utilizzata per ospitare i detenuti sia l’ala ora inagibile a causa dello stato di degrado avanzato. “La struttura carceraria di Gorizia è la peggiore in assoluto, seguita da quella di Pordenone, fra tutte quelle che ho visitato qui in regione - ha sottolineato Serracchiani -. Sono rimasta davvero impressionata dalle condizioni di fatiscenza della casa circondariale. A Gorizia in modo particolare sono manifesti anche altri problemi che caratterizzano il sistema carcerario, ovvero il sovraffollamento e il sottodimensionamento dell’organico”. In via Barzellini sono ospitati infatti 46 detenuti quando invece il penitenziario potrebbe accoglierne al massimo 30. Dunque 16 detenuti in più, costretti a vivere in spazi angusti. Anche il personale è in numero inferiore rispetto alle esigenze di vigilanza e controllo. Quale soluzione individuare dunque per risolvere tali problematiche? Serracchiani dubita fortemente che si possa pensare a una ristrutturazione del carcere di via Barzellini: “Le condizioni di degrado sono tali che un recupero dell’edificio risulterebbe antieconomico. Si spenderebbe meno probabilmente a costruirlo ex novo oppure a trasferire il carcere in un’altra sede”. Nel giro di ricognizione gli esponenti del Partito democratico hanno incontrato i detenuti e si sono confrontati con il personale di custodia, accumulando segnalazioni sulle criticità del sistema. “Il sovraffollamento e la cronica carenza di personale sono le priorità su cui agire - ha detto Paolo Menis -, ma ci sono anche altri aspetti della vita carceraria da prendere in considerazione. Spesso si tratta di rispondere a specifiche esigenze delle singole strutture, che vanno affrontate ascoltando e supportando i rispettivi direttori”. Padova: raccolte 1.000 firme per chiedere un Garante comunale dei detenuti Il Mattino di Padova, 28 maggio 2010 “Anch’io voglio il garante per i diritti dei detenuti a Padova”. A ribadire la richiesta le voci e i volti di centinaia di persone note e non, raccolte in un video girato in poche settimane di campagna dalla rete ScarceraMenti, che raggruppa Ristretti Orizzonti, associazione Antigone, Noi famiglie padovane contro la droga e l’emarginazione, Cso Pedro e Reality shock. L’altro ieri alle 17,30 una cinquantina di attivisti ha proiettato il video realizzato intervistando semplici cittadini e studenti, ma anche personaggi del mondo della cultura e rappresentanti della società civile. Ieri mattina la Rete ScarceraMenti ha consegnato in Comune le oltre mille firme raccolte a sostegno della richiesta di avere anche a Padova la figura del Garante dei diritti dei carcerati, già istituita nelle città di Verona e Rovigo. Ristretti Orizzonti continua nel frattempo la raccolta firme tra i detenuti del carcere patavino, costretti a vivere in celle sovraffollate. Per portare ai detenuti la solidarietà dei padovani dopo la proiezione del video è scattata una critical mass in bici, che si è conclusa verso le 20 al Due Palazzi. Sanremo: per protesta detenuto extracomunitario si cuce la bocca con una graffetta Ansa, 28 maggio 2010 Per protestare contro un provvedimento di “sorveglianza particolare” che gli rendeva ancora più restrittiva la sua custodia in carcere, extracomunitario detenuto presso il carcere di Sanremo, si è abbandonato ad alcuni gesti autolesionistici. In particolare ha reperito una graffetta a clip con la quale si è trafitto le labbra cucendosi la bocca. Gli angenti della polizia penitenziaria lo hanno così soccorso e portato all’ospedale. I medici lo hanno curato e dimesso ed ora il detenuto sarà sorvegliato con ancora maggiore attenzione. Quest’ultimo aveva protestato perché gli era stata applicata una particolare misura di sicurezza - utilizzata per quei detenuti un pò a rischio - che gli impediva di usufruire di tutti i benefici concessi agli altri detenuti. Si parla della privazione del televisore e di altre piccole punizioni. Immigrazione: il giudice di pace di Bari; niente espulsione per chi collabora con la giustizia di Dina Galano Terra, 28 maggio 2010 Il giudice di pace di Bari ferma l’espulsione dello straniero. Perché, si legge nell’ordinanza depositata lo scorso 24 maggio, il cittadino d’origine ghanese merita la protezione umanitaria. Non è un caso qualunque, quello deciso dal tribunale pugliese, perché l’extracomunitario cui si intimava di lasciare il territorio nazionale apparteneva al gruppo di immigrati irregolari sfruttati nelle campagne di Rosarno. A quattro mesi dalle violenze che hanno reso noto al Paese il sistema di caporalato e abusi che regge gran parte dell’agricoltura nazionale, quella manodopera straniera fatica ancora a ottenere il permesso di soggiorno. Non lo possiede nemmeno G., perché un provvedimento di annullamento del decreto di espulsione non vale l’automatica autorizzazione arrestare nella pienezza dei diritti. È libero sì, ma ancora “clandestino”. Il giudice ha riconosciuto i requisiti stabiliti dall’articolo 18 del testo unico immigrazione che prevede un programma di protezione per chi è vittima di sfruttamento lavorativo, sessuale o di altra natura. Una situazione esplicitata nella decisione dove è evidenziato che “il ricorrente coinvolto nelle vicende di Rosarno, costretto a lavorare e sopravvivere in condizioni disumane, sottopagato e vivendo in una fabbrica senza acqua ed elettricità, subendo minacce e soprusi di vario genere”. Ma che, si lascia sospettare, in assenza di una “collaborazione con le forze dell’ordine, fornendo nomi utili alle indagini” citata in ordinanza, sarebbe stato più complicato riconoscere. “L’ipotesi di sfruttamento lavorativo non richiede la collaborazione o la denuncia dello sfruttatore per accedere al programma dell’articolo 18”, puntualizza l’avvocato Dario Belluccio che ha assistito il cittadino ghanese. “Ora speriamo che la situazione di libertà sostanziale in cui si trova attualmente - aggiunge il legale - sblocchi anche la richiesta di permesso di soggiorno che abbiamo avanzato diversi mesi fa e che non ha ottenuto risposta dalla Questura”. Nemmeno un mese fa, il 26 aprile 2010, la procura di Palmi (Rc) metteva le manette a trenta “caporali” accusati di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina nelle campagne di Rosarno. Allora furono indispensabili le testimonianze offerte da quindici cittadini extracomunitari, come dichiarò il pm titolare dell’indagine Giuseppe Creazzo. In quarantatre erano trattenuti, o - come bisognerebbe dire - detenuti, nel Centro di identificazione ed espulsione di Bari. Lo stesso giorno, arrivava il premio per alcuni di loro: nove delle vittime di Rosarno, comunicava l’Organizzazione internazionale migranti (Oim), “che collaborato con la giustizia, hanno ricevuto un permesso di soggiorno per protezione sociale”. Chi non è stato assistito dall’organizzazione, che ha stipulato un accordo con il ministero dell’Interno per agevolare la tutela legale, attende ancora un provvedimento. A quattro mesi dalle violenze, nel Cie di Bari sono una ventina ad avere una sorte sospesa. Per loro la pronuncia di questi giorni “può costituire un precedente, anche poco forte perché non tutti si sentono liberi di denunciare e fare nomi, a causa di ritorsioni e minacce”, considera Alessia Montuori, che attraverso lo sportello legale dell’associazione Senza confini assiste molti immigrati. “Sulla base della mia esperienza, il permesso per motivi umanitari che spetta alla discrezionalità delle Questure - avverte Montuori - difficilmente viene concesso senza un preliminare assenso del Ministero”. Alle difficoltà di difendere “chi a volte nemmeno percepisce l’entità dello sfruttamento cui è sottoposto”, rileva l’avvocato Belluccio che lavora per più di una decina di immigrati coinvolti nei fatti di Rosarno, si aggiunge l’amarezza di dover ammettere che “sembra quanto meno singolare che tra chi raccoglie arance e mandarini si faccia distinzione per accedere al programma di protezione sociale”. Immigrazione: seconda fuga in 48 ore dal Cie di Brindisi, dopo l’ennesima guerriglia Gazzetta del Mezzogiorno, 28 maggio 2010 Seconda rivolta con evasione dal centro di Restinco, in sole 48 ore, da parte di un gruppo di detenuti nordfricani pe lo più di nazionalità tunisina. Dopo i disordini verificatisi nella serata di lunedì - sfociati nella fuga di 9 extracomunitari in attesa di identificazione e nel leggero ferimento di cinque uomini del dispositivo di sorveglianza - l’altra notte, intorno alle 12, i circa settantacinque stranieri presenti nella parte della struttura destinata a chi non ha i requisiti per restare in Europa hanno dato vita ad un vero assalto ai danni dei militari del San Marco e delle forze dell’ordine che piantonavano le uscite del recinto interno. La massa di extracomunitari, oramai priva di controllo, è riuscita a sfondare uno dei cancelli facendosi strada col lancio di sedie e di oggetti contundenti, fino ad impegnare il personale di guardia in un vero e proprio scontro fisico che, fortunatamente, non ha comportato altri feriti. E mentre una parte dei detenuti ingaggiava la guerriglia in prossimità del cancello sfondato, un altro gruppo di ribelli è riuscito a scalare l’alto muro di cinta che costituisce l’ultimo anello di recinzione che divide la struttura dall’esterno. Così, raggiunti i campi circostanti, i fuggitivi hanno fatto perdere ogni loro traccia. Pare che in questa circostanza siano stati circa quindici i nord africani evasi dal Centro di identificazione e di espulsione (Cie) di Restinco. Ed a nulla è servita l’immediata mobilitazione, anche in questo caso, di tutte le pattuglie di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza di servizio in città al momento della sommossa. Via radio sono state fatte convergere in forze presso il Cie, ubicato pochi chilometri fuori dall’abitato. Ma al loro arrivo la prima ondata di ribelli aveva già sfondato e la fuga dei quindici era ormai avvenuta. Nelle campagne della zona sono state subito disposte ricerche, sfociate in una caccia all’uomo che però non ha sortito effetti. Il tutto mentre all’interno del centro il lavoro degli addetti alla sorveglianza e dei rinforzi intervenuti a dar manforte era tutt’altro che finito. La parte dei ribelli rimasta a forza all’interno del della struttura, infatti, ha continuato a scontrarsi con gli addetti alla sorveglianza rimanendo a lungo in agitazione e dando vita ad una serie di schermaglie e di ulteriori tentativi di assalto alle recinzioni. Una situazione di guerriglia protrattasi fino alle cinque di ieri mattina. Solo allora si è registrata una tregua, anche se per tutta mattinata è stato necessario mantenere la massima allerta, con funzionari della Questura e della Prefettura rimasti sul posto fino alla tarda mattinata per valutare momento per momento il dafarsi e disporre misure idonee a scongiurare ulteriori situazioni di scontro. Il bilancio delle due sommosse verificatesi tra lunedì sera e ieri notte, a questo punto, è di 24 nordafricani evasi. Si tratta per lo più individui già colpiti da decreto di espulsione, spesso ritenuti responsabili di reati commessi nei loro luoghi d’origine o in altri paesi europei, bloccati poi in Italia da clandestini recidivi. Stati Uniti: iniezione letale, dopo ben 31 anni nel braccio della morte Ansa, 28 maggio 2010 L’uomo, 63 anni, è stato giudicato colpevole di aver rapito, violentato, ucciso e fatto a pezzi una donna nel 1976. È la 24esima persona giustiziata dall’inizio dell’anno. È stato ucciso dopo aver passato 31 anni nel braccio della morte: è un record ben poco piacevole, quello raggiunto da Thomas Whisenhant, 63 anni, giustiziato in Alabama (ed è il 24esimo dall’inizio dell’anno in USa). L’uomo è stato giudicato colpevole di aver rapito, violentato, ucciso e fatto a pezzi, la ventiquattrenne Sheryl Lynn Payton, impiegata in una salumeria, e un’altra donna, nel 76. Secondo quanto riferito dalla portavoce dei servizi penitenziari, Whisenhant, dopo aver trascorso metà della sua vita nel braccio della morte, non ha voluto fare nessuna dichiarazione prima dell’iniezione letale.