Giustizia: Csm; bene modifiche ddl detenzione domiciliare, ma basta interventi d’emergenza Apcom, 25 maggio 2010 La VI commissione del Csm plaude alle modifiche apportate al cosiddetto ddl svuota-careceri, quello cioè che prevede la detenzione domiciliare per chi deve scontare una pena inferiore a un anno, ma ora basta con gli interventi dettati dall’emergenza. Secondo i consiglieri di palazzo dei Marescialli, che hanno licenziato questa mattina all’unanimità il parere sul ddl, inviandolo per l’approvazione definitiva al plenum, è ormai “indifferibile una riforma organica” del sistema carcerario e delle pene, riforma “in grado di ridare al sistema penitenziario e prima ancora al sistema sanzionatorio una coerenza e un’armonia complessiva”. Il Csm ritiene infatti che, grazie ai cambiamenti introdotti, il ddl ora “superi alcune delle criticità presenti nel testo originario”. Particolare apprezzamento per “l’evidente volontà del legislatore di intervenire solo in via transitoria, riservando a un intervento legislativo di più ampio respiro una nuova disciplina sulle misure alternative alla detenzione”. Una strada obbligata, quella della riforma organica, perché “se il carcere rappresenta l’unica risposta che l’ordinamento è in grado di offrire al problema della illegalità e della devianza” è inevitabile “l’incremento progressivo della popolazione detenuta”. Giustizia: Mancino (Csm); quando ero ministro 48mila detenuti già erano troppi, ora ce ne sono 68mila Avvenire, 25 maggio 2010 La questione del sovraffollamento delle carceri? Si trascina già da qualche anno: ai miei tempi, quando ero ministro, già si ritenevano in eccesso 48mila detenuti, mentre vedo che adesso siamo a quota 68mila”. Lo ha dichiarato ieri il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, rispondendo ai cronisti sul tema del sovraffollamento delle carceri. “Ci sono provvedimenti davanti al Parlamento per alleggerire di qualche unità l’affollamento dei penitenziari - ha proseguito -, ma si tratta di iniziative di urgenza, non risolutive. Serve un provvedimento di regime: o si costruiscono nuove carceri o si distingue tra reato e reato e si depenalizzano quei reati ritenuti dall’opinione pubblica non più socialmente dannosi”. “Nel piano presentato dal Governo alla Camera non esiste la depenalizzazione dei reati” ha replicato il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, definendo le dichiarazioni di Mancino “l’interpretazione di un copione già letto e riletto, che risale ai tempi di quando lui stesso era ministro dell’Interno, sul fatto cioè che il problema delle carceri seppur problema emergenziale vada affrontato con la logica del regime”. Nel frattempo Trento, sono in dirittura d’arrivo i lavori per il nuovo carcere, all’avanguardia per materiali e tipologia di strutture, primo in Italia ad avere anche vetri per il risparmio energetico, e pensato per puntare al massimo al recupero dei detenuti. Tra le peculiarità ci sono la luce diretta, cioè dall’esterno, quasi in ogni spazio, dalle pareti o dal soffitto, 283 telecamere, porte delle celle e dei bracci che si possono comandare anche a distanza; le celle femminili hanno posti nido e cortile apposito e ci sono celle per disabili. Compreso nei lavori, c’è un parco pubblico attrezzato di 7.500 m quadrati per i residenti, in via di realizzazione vicino all’istituto. Il carcere è, per 244 persone, è a nord della città, a Spini: la consegna è prevista per fine giugno, un anno prima dei tempi dell’appalto, così da trasferire i detenuti per l’autunno. Sono invece pronte dall’aprile 2009 le residenze per la polizia penitenziaria, 66 alloggi consegnati 120 giorni prima del previsto. L’insieme è costato 112,5 milioni di euro, tutti finanziati dalla Provincia autonoma di Trento. Giustizia: Ionta; presto appronteremo un servizio aereo “ad hoc” per il trasporto dei detenuti Asca, 25 maggio 2010 In un futuro non proprio lontano i detenuti nelle carceri italiane saranno trasferiti sempre più spesso via aereo. Sarà sempre più difficile, quindi, vedere per le strade i cellulari blu scuro della Polizia penitenziaria trasferire i detenuti da un carcere all’altro o ad una udienza, ma si appronteranno aerei ad hoc per questo tipo di servizio. A dirlo è il direttore del Dap, Franco Ionta nel corso di una audizione alla Commissione parlamentare antimafia. Ionta ha fatto presente che nel solo 2009 la Polizia penitenziaria è stata impegnata in 330 mila traduzioni di detenuti con un “aggravio veramente importante per il lavoro della Polizia penitenziaria che deriva dalla gestione degli arresti” laddove, ha detto, malgrado quanto preveda la legge in flagranza di reato, il detenuto non viene tenuto in camera di sicurezza nelle caserme di polizia e carabinieri ma, quasi sempre, “immediatamente tradotto in carcere”. Per quanto riguarda le traduzioni dei detenuti, lo stesso capo del Dap ha poi riferito che sempre nello scorso anno si sono spesi 8-9 milioni di euro “pagati solo alle compagnie aeree, senza contare le spese di diaria per due o tre agenti per detenuto”. Da qui l’idea di un “nuovo modello” di trasporto via cielo ormai in uno studio avanzato che consiste in vere e proprie “linee dedicate di traduzione” e che consentirebbe forti risparmi ma anche, ha detto Ionta, “di avere miglioramenti sotto l’aspetto della sicurezza e della dignità sia dei detenuti che dei loro accompagnatori”. Giustizia: Cgil; basta propaganda sull’uso dei “braccialetti” e sull’edilizia carceraria selvaggia Comunicato stampa, 25 maggio 2010 In questo difficile momento le carceri risentono di un sovraffollamento senza precedenti: gli utenti sono in larga parte indigenti, psichiatrici, tossicodipendenti e stranieri privi di permesso di soggiorno. La Fp Cgil ed i lavoratori penitenziari hanno, in questi anni, condotto un’azione di denuncia costante dei danni che questo stato di cose avrebbe provocato, ma dobbiamo ammettere che si è preferito soffiare sul fuoco delle paure collettive piuttosto che approntare un organico “piano carceri” che restituisse civiltà e sicurezza al nostro paese in coerenza dell’art. 27 della Costituzione. Oggi, ancora una volta, dobbiamo misurarci con il facile sensazionalismo del piano carceri varato dal governo Berlusconi, un impianto normativo che annuncia una serie di azioni che graveranno sugli esigui numeri degli operatori trattamentali, educatori ed assistenti sociali in primis, chiamati dalla legge a contribuire con atti ed indagini sociali rimesse alle valutazioni della Magistratura di Sorveglianza. In questo quadro i danni della giustizia si intrecciano con le vite di quelle persone e di quelle famiglie che si trovano a vivere il dramma della carcerazione, meritata o immeritata che sia, e che non possono contare sulla speranza di un reinserimento sociale potendo essere sicuri del solo contenimento fisico in strutture sempre più affollate e ipocritamente “aperte”. Non resta che la forza di un’idea, quella di un paese che sostiene di essere ancora in democrazia e per questo i lavoratori penitenziari chiedono di poter svolgere compiutamente il loro mandato con i mezzi ed i numeri necessari per farlo: non si può pensare ad un reinserimento sociale senza un intervento sul territorio, sulle persone e sui meccanismi di emarginazione che inevitabilmente si attivano non appena scatta la detenzione. Il nuovo “Piano carceri” non ci convince, non ci piace nella sua ipocrisia e non ci sembra sufficiente a risolvere il sovraffollamento penitenziario che invece si nutre delle crisi sociali e dell’incremento di nuove fattispecie di reato. Per poter declinare efficacemente le azioni necessarie alla salvaguardia della sicurezza sociale ed al rispetto della civiltà serve credere davvero nell’azione risocializzante della pena e nella sua efficacia verso tutti. Auspichiamo una maggiore attenzione delle forze politiche impegnate in questi giorni nella disamina degli articoli del Ddl. Auspichiamo che dalla propaganda mediatica sull’uso di “braccialetti” o di edilizia carceraria selvaggia si passi a pensare, invece, al carcere come elemento di un sistema sociale vivo che necessita di un numero congruo di operatori trattamentali e di collegamenti di rete con il territorio, contesto ove dover incidere per limitare le recidive e la paura sociale. In caso contrario assisteremmo per l’ennesima volta al triste ed irrispettoso scenario al quale l’attuale compagine governativa ci ha abituati ove gli interessi e le incapacità risultano essere i veri protagonisti. Una immagine vergognosa che, nel caso specifico, oltre all’incremento abnorme della popolazione detenuta ha ulteriormente depotenziato e svilito il mandato istituzionale delle professionalità preposte. Cgil - Coordinamento Nazionale Penitenziari Comparto Ministeri Giustizia: domani il Sappe protesta davanti a Montecitorio per sottolineare l’emergenza carceri Vita, 25 maggio 2010 Una manifestazione davanti a Montecitorio “per sensibilizzare il Governo e il Parlamento sulla questione carceri”. È quella che annuncia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe). Donato Capece, segretario generale del sindacato, spiega che la situazione è “semplicemente allarmante. Il numero dei detenuti oggi presenti in carcere ha raggiunto la cifra record di 67.542 a fronte di una capienza di circa 43mila posti detentivi; mancano 6500 agenti della Polizia Penitenziaria; gli agenti - prosegue - sono costretti a fare turni di 8/9 ore senza che gli venga pagato lo straordinario; coloro che vengono mandati in servizio di missione devono anticipare i soldi; un agente è costretto a sorvegliare fino a 150 detenuti, molti dei quali affetti da patologie infettive; non sono stati stanziati i soldi per il rinnovo contrattuale 2010 - 2012”. “La situazione attuale delle carceri”, prosegue il leader sindacale, “non consente più di avviare alcuna opera di recupero sociale sia per le citate carenze che per la promiscuità della popolazione detenuta, in cui gli stranieri sono ormai quasi 25mila, per una percentuale del 37%. Di questi, circa 9.900 si sono dichiarati di fede islamica al momento dell’ingresso in istituto. Ciò vuol dire”, fa notare Capece, “che si tratta di persone che rispettano i precetti religiosi, a partire dal mese del Ramadan, nel corso del quale digiunano durante il giorno. Quindi, le difficoltà culturali, di lingua e di religione contribuiscono a rendere ancora più difficile il lavoro della polizia penitenziaria e degli altri operatori”. Le iniziative del governo contenute nel ddl Alfano, condivise dal Sappe, si fa presente, “devono però trovare immediata attuazione, anche in considerazione dell’approssimarsi della stagione estiva che renderebbe ancora più difficile la gestione dei detenuti, in ambienti angusti e spesso malsani, a causa delle tante patologie di cui sono portatori molti detenuti”. Capece, che tra poco parteciperà all’incontro con il Governo a Palazzo Chigi sui contenuti nella manovra finanziaria, proprio in relazione ad alcune indiscrezioni che riguarderebbero il Comparto sicurezza aggiunge “sarebbe davvero grave e dimostrerebbe profonda insensibilità l’eventuale congelamento del rinnovo contrattuale per il biennio 2008-2009 per il Comparto della difesa e della sicurezza, alla quale starebbero lavorando i tecnici del Ministero dell’Economia in vista della manovra finanziaria per il 2011-2012. Se ciò fosse vero”, conclude, “questa maggioranza e questo Governo scriverebbero una pagina davvero triste nella storia del Paese e nei rapporti con le donne e gli uomini che tutti i giorni ne garantiscono la sicurezza”. Le iniziative del governo contenute nel Ddl Alfano, condivise dal Sappe, si fa presente, “devono però trovare immediata attuazione, anche in considerazione dell’approssimarsi della stagione estiva che renderebbe ancora più difficile la gestione dei detenuti, in ambienti angusti e spesso malsani, a causa delle tante patologie di cui sono portatori molti detenuti”. Capece, che tra poco parteciperà all’incontro con il Governo a Palazzo Chigi sui contenuti nella manovra finanziaria, proprio in relazione ad alcune indiscrezioni che riguarderebbero il Comparto sicurezza aggiunge “sarebbe davvero grave e dimostrerebbe profonda insensibilità l’eventuale congelamento del rinnovo contrattuale per il biennio 2008-2009 per il Comparto della difesa e della sicurezza, alla quale starebbero lavorando i tecnici del Ministero dell’Economia in vista della manovra finanziaria per il 2011-2012. Se ciò fosse vero”, conclude, “questa maggioranza e questo Governo scriverebbero una pagina davvero triste nella storia del Paese e nei rapporti con le donne e gli uomini che tutti i giorni ne garantiscono la sicurezza”. Giustizia: ancora un suicidio tra gli agenti della polizia penitenziaria, è il quarto caso in un mese Ansa, 25 maggio 2010 Frosinone, Brescia, Sulmona e, martedì mattina, Pesaro. Oggi Antonio Smacchia, 44enne assistente capo della polizia penitenziaria del carcere della città marchigiana, si è tolto la vita nella sua abitazione sparandosi con la pistola di ordinanza. Nel giro di nemmeno 30 giorni, questo è il quarto suicidio che si registra tra le fila della polizia penitenziaria italiana, indice evidente di un disagio sociale che avvalora ancora una volta la necessità di una riforma organica del sistema carcerario nostrano, già da qualche mese in discussione nelle Commissioni Giustizia di Camera e Senato. L’agente di Pesaro, che da qualche tempo si trovava in convalescenza per un incidente stradale, sarebbe dovuto rientrare in servizio proprio oggi. La scoperta è stata fatta intorno alle 11 dalla postina che, giunta alla casa per consegnare una lettera, ha visto del sangue uscire dalla porta. Quando i soccorsi sono giunti sul posto hanno trovato l’uomo ancora agonizzante: è spirato durante il trasporto in ospedale. Sanremo (Im): detenuto 44enne con aids conclamata muore per una crisi cardiocircolatoria Sanremo News, 25 maggio 2010 È morto questa mattina alle 5.30, mentre stava riposando sulla branda della sua cella, un 44enne detenuto in carcere a Sanremo, Giuseppe Bonafè. L’uomo, secondo quanto confermato dalla dirigenza della casa circondariale di Sanremo, soffriva di crisi cardiorespiratorie ed era affetto da Aids conclamata. Questa mattina si è sentito male ed ha cercato di scendere dalla brandina, chiedendo aiuto anche ai suoi compagni di cella. Questi hanno subito chiamato gli agenti della Polizia Penitenziaria che, intervenuti, hanno anche parlato con il detenuto. Questo ha avuto un’ulteriore crisi e, sul posto, sono stati prontamente chiamati i medici del 118. Sono state praticate le cure necessarie ma, purtroppo, per l’uomo non c’è stato nulla da fare. Il medico legale, arrivato poco dopo, ha confermato l’insufficienza cardiorespiratoria acuta. Il detenuto era stato trasferito da qualche mese dal carcere di Chiavari a quello di Sanremo. “Dispiace moltissimo di quanto accaduto - ha dichiarato al nostro giornale il Direttore del carcere matuziano, Francesco Frontirrè ma, come in questo caso, purtroppo molte volte in carcere finiscono soggetti che hanno svolto una vita non molto tranquilla. In questo caso eravamo di fronte ad un caso conclamato di Aids e, come confermato dal medico legale, escludiamo totalmente che la morte si da attribuire ad una caduta dalla branda”. Sul caso è intervenuto il sindacato Uil-Pa: “Chi il carcere lo conosce davvero, ha gioco facile a prevedere anche le tragedie che all’interno di esso possono capitare. Quindi questa morte non ci coglie impreparati, perché ampiamente preannunciata. Quando si insiste nell’ammassare persone in spazi incompatibili con la dignità e la vivibilità, quando ci si ostina a voler determinare condizioni inumane di detenzione non possono non capitare certe cose. È noto a tutti che i letti a castello con tre piani sono potenzialmente pericolosi. Purtroppo siamo a commentare una morte che si poteva e si doveva evitare”. È chiaro e diretto il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Sarno, nel commentare la morte di un detenuto, Giuseppe Bonafè. “Purtroppo la politica approccia quello che l’esimio Presidente Ciampi ha giustamente definito un dramma con tempi e modi ordinari, quando invece la straordinarietà della situazione imporrebbe soluzioni e tempi straordinari. La melina sul Ddl sulle carceri denota una insensibilità di fatto alla tragedia umanitaria che si consuma nelle nostre galere. Ogni giorno - continua Sarno - ci tocca aggiornare i macabri elenchi luttuosi di morti avvenute dentro le mura. Il personale assiste attonito ed impotente a questa carneficina, vittima anch’esso di un sistema statico ed incapace di indicare un percorso di gestione e di soluzioni. Più volte avevamo denunciato e lanciato l’allarme sul carcere sanremese. Allarmi e denunce rimasti inascoltati. Oggi l’istituto conta la presenza di 367 detenuti, quando ne potrebbe contenere al massimo 209”. La Uil Penitenziari ricorda l’appello del Presidente Napolitano inviato alla recente Annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria: “Come non dare ragione al Presidente Napolitano quando invita, direi esorta, i politici e la politica a rendere concrete le tante parole che si spendono sull’universo carcere. Il magma che ribolle nelle viscere delle carceri è ben noto agli operatori penitenziari di cui si continuano ad ignorare appelli ed allarmi. Siamo alla vigilia di una stagione che si connoterà per violenze e proteste. Nello stato attuale in cui versa il Corpo di polizia penitenziaria non può, perché impossibilitato, far fronte alle emergenze. Di questo si abbia coscienza e conoscenza. Per questo - conclude il segretario della Uil Pa Penitenziari - occorre determinare con immediatezza quelle implementazioni delle piante organiche del Corpo, che oggi scontano un deficit di circa 7mila unità. Penso a quanto accaduto ad Opera. Anche ciò ampiamente previsto. Lo avevamo detto che la mancanza di uomini, di mezzi e persino di carburante avrebbero potuto mettere a rischio processi e diritto alla difesa. Ed è puntualmente accaduto. Come puntualmente accadrà ciò che preannunciamo da tempo”. Teramo: Sappe; carcere al collasso, l’avvicinarsi dell’estate renderà ingestibile la situazione Asca, 25 maggio 2010 L’organico della Polizia penitenziaria di Teramo nei primi anni novanta contava 240 unità, il servizio degli spostamenti dei detenuti era affidato ai carabinieri e i reclusi erano circa 190. Oggi questo dato è raddoppiato è risultano circa 400 carcerati. “A questa crescita”, assicurano dal Sappe, l’organizzazione sindacale più rappresentativa del Corpo, “non è minimamente corrisposto un adeguamento dell’organico. Anzi abbiamo assistito ad una flessione continua, inarrestabile, con pericoli sempre più allarmanti per la sicurezza e con disagi e difficoltà per l’adempimento dei compiti istituzionali”. Così, spiega il sindacato, la carenza costante ha significato “riposi e congedo ordinario non fruiti, lavoro straordinario e indennità di missione eseguito e non retribuito, accorpamenti di più posti di servizio, inconvenienti quotidiani di interi nuclei familiari, rapporti disciplinari per inadempienze inevitabili, aggressioni e violenze subite e uno stato permanente di malessere e un abbassamento costante e rischioso dei livelli minimi di sicurezza”. Nei dieci anni di raffronto, il personale collocato in quiescenza o trasferito in altre sedi ammonta a 55 unità: “la sproporzione tra le presenze in carcere e i sorvegliati ordinari è vistosamente traumatica”, denuncia ancora il Sappe, “e diventa ancor più allarmante se si considera che ad una popolazione reclusa stanziale e permanente stabile nell’istituto fa fronte personale del Corpo che effettua orari di servizio organizzati su 3-4 turni lavorativi, nell’arco di una giornata. Vale a dire che il rapporto tra le valenze numeriche indicate si allarga in maniera macroscopica, evidenziando carenza biblica che appare incolmabile”. Il carcere teramano scoppia per il pesantissimo sovraffollamento e per il sindacato di polizia la classe politica “assiste inerte all’implosione del sistema penitenziario, che con l’avvicinarsi dell’estate renderà certamente rovente l’istituto”. Il sindacato torna così a chieder un’integrazione dell’organico, “per fronteggiare adeguatamente le molteplici esigenze e incombenze”, il potenziamento dell’Area Educativa e Sanitaria e il sostegno di tutte le istituzioni a vario titolo, da quella regionale passando per quella provinciale e locale, “con una popolazione detenuta che comunque continuerà a crescere”. Fossombrone (Pu): prima dei colloqui i minori accolti con le madri in “un’area gioco” Ansa, 25 maggio 2010 Per dieci mesi i minori saranno accolti con le madri in un’area gioco all’interno del penitenziario, prima di affrontare i colloqui con i familiari detenuti, monitorati da alcuni psicologi. L’Università di Urbino ha elaborato un progetto sperimentale con l’obiettivo di aiutare i detenuti a mantenere i legami con le loro famiglie, anche in vista del reinserimento nella società, e sostenere i figli piccoli e le mogli dei reclusi, nell’affrontare l’allontanamento forzoso e i problemi quotidiani. L’esperimento sarà effettuato alla casa di reclusione di Fossombrone, che attualmente ospita 150 detenuti. Per dieci mesi, due giorni al mese, i minori saranno accolti con le madri in un’area gioco all’interno del penitenziario, prima di affrontare i colloqui con i familiari detenuti, monitorati da alcuni psicologi. Secondo le statistiche, il 30% dei figli di detenuti è destinato a ripetere, da adulto, l’esperienza detentiva del genitore, se non cresce con un sostegno adeguato. Tra gli obiettivi del progetto c’è poi quello di aiutare il familiare non detenuto a gestire la separazione tra il bambino e il padre dietro le sbarre, a spiegare al minore cosa sta accadendo, e ad aiutarlo a rappresentarsi la figura del genitore al di là del reato commesso, e della permanenza in cella. Il progetto del Centro ricerca e formazione psicologica ha l’appoggio dell’Assemblea legislativa regionale, della Commissione pari opportunità, dell’Ufficio esecuzione penale esterna di Ancona, dell’Ombudsman regionale, e si avvale della collaborazione del direttore del carcere Maurizio Pennelli. Sostenere le relazioni familiari dentro e fuori il carcere, ha detto il presidente dell’Assemblea Vittoriano Solazzi, non è solo “spirito umanitario”, ma un modo per rendere concreto il principio della “pena come momento di rieducazione, che non cancella la vita di una persona e i rapporti con l’esterno”. Oltre a un valore di prevenzione per i detenuti, l’iniziativa è pensata per sostenere le relazioni fra coniugi, e come forma di responsabilizzazione genitoriale. Dopo i colloqui in carcere, gli psicologi segnaleranno all’Ufficio esecuzione se ritengono necessario un percorso di collaborazione a livello territoriale con altri enti (ad esempio i consultori familiari) nei luoghi di residenza delle famiglie. “Il carcere - ha osservato Elena Paradiso, dirigente dell’Ufficio esecuzione penale - non è una realtà isolata da allontanare, è importante mantenere i collegamenti con l’esterno”. A fine pena i reclusi “rientrano nel loro ambiente di vita. Aiutarli a mantenere o riprendere le relazioni familiari previene le recidive, e aiuta i figli a non ripetere gli stessi errori”. Il progetto di Fossombrone, illustrato da Danilo Musso, costerà 6.800 euro. Gli incontri, tra giugno prossimo e marzo 2011, saranno in totale 20 per cinque ore giornaliere. A condurli saranno psicologi con un’esperienza specifica, coordinati dalla prof. Daniela Pajardi dell’Università di Urbino. Centrale sarà l’accoglienza del minore al suo arrivo in carcere, in un’area verde o una sala attrezzata con giochi e strumenti per il disegno in attesa dell’incontro con il genitore detenuto. Questo gli permetterà di sciogliere tensioni emotive e di socializzare con altri bimbi. I colloqui con i congiunti si svolgeranno dopo in stanze attigue: gli psicologi osserveranno in maniera discreta le interazioni familiari, per elaborare una relazione finale. La situazione delle mogli dei detenuti, ha sottolineato la presidente della Commissione pari opportunità Adriana Celestini, “viene spesso sottaciuta. Sulle mogli grava un doppio ruolo, educativo dei figli e di mantenimento dell’unità della famiglia, e hanno bisogno di aiuto”. L’Ombudsman regionale e garante per i detenuti Samuele Animali ha citato i problemi di sovraffollamento, l’aumento di suicidi e la scarsa vivibilità che affliggono le carceri italiane. La collaborazione tra Regione, ministero della Giustizia e università può dare “buoni frutti” per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Per il direttore del carcere Pennelli “le relazioni familiari sono fondamentali per realizzare il mandato del reinserimento dei detenuti nella società. Soprattutto attraverso il sostegno delle mogli dei detenuti e dei figli, che pagano di più questa condizione senza avere colpe”. Cagliari: sovraffollamento, scarsità di risorse umane, disinteresse della società per il carcere… Agi, 25 maggio 2010 Sovraffollamento, scarsità di risorse umane, disinteresse della società per la vita penitenziaria. Sono i problemi con i quali devono fare i conti gli operatori della Polizia penitenziaria e degli istituti di pena della Provincia di Cagliari, secondo quanto segnalato oggi, in occasione della Festa della Polizia penitenziaria. Gli agenti in servizio sono circa 300, tra Buoncammino (200), la Scuola di formazione di Monastir (18), la casa circondariale di Iglesias (52), l’Istituto minorile di Quartucciu (25). In base ai dati forniti questa mattina, alla presenza delle autorità e dei vertici delle forze dell’ordine, i detenuti nel carcere cagliaritano sono attualmente 508, 120 quelli a Iglesias, 15 a Quartucciu. Da più parti è stata sottolineata la carenza di personale e il sovraffollamento delle strutture, “in un mondo - ha detto il direttore di Buoncammino, Gianfranco Pala - in cui si tenta di dare risposte a problemi sociali, in un contesto inadeguato e con pochi mezzi a disposizione”. Enna: un “carcere senza sbarre” per detenute madri e i loro bambini negli immobili sequestrati alla mafia Vivi Enna, 25 maggio 2010 Il Comune di Villarosa (En) è conosciuto alle cronache giudiziarie per la presenza di una criminalità organizzata di stampo mafioso che ha portato alla confisca di ben 11 immobili sui 38 confiscati in tutta la provincia di Enna dal 2002 ad oggi. Ed è in due di questi beni che verrà realizzato il progetto “Carcere senza sbarre” dedicato alle detenute madri, un carcere diverso, secondo in Italia essendone stato realizzato solo un’altro in Lombardia che attraverso il lavoro mira al recupero delle detenute evitando nel contempo di sottoporre al duro regime di detenzione anche i figli in tenera età delle stesse. In esecuzione del protocollo d’intesa sottoscritto dal Ministro della giustizia, dal Prefetto di Enna, dal Sindaco del Comune di Villarosa e dal Presidente della Fondazione Mons. Di Vincenzo, la realizzazione del carcere senza sbarre comporterà la creazione dell’asilo nido e svilupperà un hinterland a supporto delle attività manifatturiere da realizzare nell’immobile. Per la realizzazione del “Carcere senza sbarre” il Sindaco ha presentato due progetti, approvati dal Cosp, per accedere ai finanziamenti del Pon Sicurezza: misura 2.5 Migliorare la gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata e misura 2.6 Contenere gli effetti delle manifestazioni di devianza. Vicenza: il Sindaco; situazione del carcere è preoccupante, istituiremo Garante dei diritti dei detenuti Giornale di Vicenza, 25 maggio 2010 Il sindaco Achille Variati ha sollecitato l’assessore alla famiglia e alla pace, Giovanni Giuliari, ad accelerare l’iter per l’adozione da parte del Comune di Vicenza dell’istituto del Garante per i diritti dei detenuti. Dopo aver ricevuto nei giorni scorsi la lettera dai carcerati della casa circondariale di via Della Scola, il sindaco dichiara infatti: “La situazione che mi è stata descritta nella missiva e in cui si trovano a vivere i detenuti è davvero preoccupante. Ho quindi mandato oggi una lettera al direttore Fabrizio Cacciabue per chiedergli un riscontro su quanto denunciato dai carcerati, ma ho anche chiesto a Giuliari che venga sbloccata velocemente la situazione in cui si è incagliato il regolamento per la nomina del garante”. La giunta comunale si era infatti espressa lo scorso novembre approvando una bozza di regolamento da sottoporre al consiglio comunale, che però si è poi bloccato in commissione consiliare. I consiglieri hanno infatti unanimemente richiesto alcune modifiche, in particolare legate al potere di nomina: essendo un istituto di garanzia, la nomina, secondo i consiglieri, è più opportuno che sia fatta dal consiglio comunale e non dal sindaco. Variati ha quindi chiesto agli uffici e all’assessore di velocizzare lo sblocco della situazione nei termini richiesti dalla commissione, in modo da arrivare quanto prima all’approvazione dell’istituto del garante. “Una società si giudica anche dallo stato delle proprie carceri - dichiara infine il sindaco -, e ogni società democratica e avanzata deve assicurare ai propri cittadini detenuti un trattamento civile e dignitoso”. Ragusa: centinaia di libri donati dall’Assemblea regionale siciliana alla Casa circondariale La Sicilia, 25 maggio 2010 Con “Biblioteca 2010” la Biblioteca dell’Assemblea regionale siciliana ha varato, in occasione della “Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore”, un programma di iniziative varie per aprire sempre più al territorio la conoscenza e la fruizione dei propri “tesori”. Le iniziative sono state volute dal dirigente della Biblioteca Eugenio Consoli e dai deputati componenti della Commissione di vigilanza per la Biblioteca on. Innocenzo Leontini, on. Nino Bosco e on. Pino Apprendi. Il primo è un evento di carattere sociale multietnico e multiculturale. Avrà luogo infatti la consegna di centinaia di volumi, parte dei quali in arabo, donati dalla Biblioteca dell’Ars ai detenuti siciliani delle case circondariali di Palermo, Agrigento e Ragusa, per poter avviare un percorso di rivalutazione della lettura a favore dei detenuti, invitandoli a trovare tramite i libri e all’interno di queste istituzioni, nuove occasioni di confronto e di socializzazione. La consegna dei testi al Direttore del Carcere di Ragusa, Santo Mortillaro, è stata effettuata dall’on. Innocenzo Leontini, accompagnato dall’Assessore ai Servizi Sociali Piero Mandarà, oggi lunedì 24 Maggio nei locali della casa circondariale. Mortillaro, che ha accolto l’On. Leontini in compagnia dell’educatrice dott.ssa Stella, ha manifestato grande entusiasmo per l’iniziativa e si è soffermato con il Capogruppo del PdL all’Ars sottoponendogli le diverse problematiche che giornalmente la direzione della casa circondariale è costretta ad affrontare in un periodo di limitazione di risorse che coinvolge l’amministrazione pubblica. L’on. Leontini ha manifestato, dal canto suo, ampia disponibilità nella risoluzione di alcune pressanti problemi ed il suo impegno nel portare avanti prossimamente alcune iniziative che verranno realizzate di concerto con l’Assessorato provinciale ai servizi sociali a favore dei detenuti. Secondo quanto dichiara Leontini relativamente alla donazione dei testi “dotare o arricchire le carceri di un rilevante numero di libri, significa creare molteplici opportunità e iniziative al loro interno, quali per esempio, l’organizzazione di laboratori di lettura per favorire un dialogo costruttivo, fra i detenuti, che hanno letto il medesimo libro, in maniera tale da poter offrire loro la possibilità di confrontare emozioni, curiosità, critiche suscitate dal libro, creando rinnovate occasioni di riflessioni personali che possano aiutare i detenuti nel loro cammino di riabilitazione. La consegna dei volumi in arabo” ha concluso Il Capogruppo del Pdl all’Ars “riflette poi la volontà di consolidare e migliorare il processo di integrazione degli extracomunitari consentendo loro di mantenere vivo il rapporto con la propria cultura e identità”. Roma: i detenuti-attori della Compagnia di Rebibbia lasciano il carcere per debuttare al Teatro Quirino Apcom, 25 maggio 2010 Per la prima volta i detenuti-attori della Compagnia del carcere romano di Rebibbia N.C. lasciano il teatro del penitenziario per debuttare al Teatro Quirino di Roma. Domani alle 20.45 sarà rappresentato “Viaggio all’isola di Sakhalin”, testo di Anton Cechov e Oliver Sacks liberamente ispirato all’esperienza che Anton Cechov - nell’esercizio della sua seconda professione, quella di medico - fece alla fine del800 visitando la colonia penale posta all’estremo oriente della nazione russa. Allo sconvolgente reportage cecoviano sulle condizioni di detenzione degli ergastolani relegati nell’isola di ghiaccio, si intreccia il racconto di una delle più sorprendenti esperienze dello scienziato cognitivo Oliver Sacks. Nelisola dei senza colore Sacks incontra uomini e donne che l’isolamento ha reso ciechi ai colori: acromatopsia è il nome scientifico della malattia diffusa da un gene misterioso, trasmesso di padre in figlio. Lo spettacolo intreccia dramma e commedia, seguendo la traccia del medico che prova a sconfiggere, con la passione dello scienziato - missionario, quel male terribile che è la “cecità degli affetti”: il male che colpisce in ogni tempo, luogo e condizione, coloro che vivono reclusi e privati delle fondamentali relazioni umane e affettive. L’evento è ad ingresso libero fino ad esaurimento posti. Libri: “Il gambero nero” (Edizioni Derive & Approdi), quando lo chef è detenuto Affari Italiani, 25 maggio 2010 “Il Gambero nero” (Derive & Approdi), è un libro che parla di cucina. In prigione. Un ricettario per raccontare la vita quotidiana dei detenuti del carcere piemontese di Fossano. L’ha scritto Michele Marziani, giornalista free-lance, assieme al fotografo Davide Dutto, che ha curato la parte iconografica. Era il 2005. Marziani, com’è nata l’idea del libro? “L’idea è nata per caso. “Il Gambero nero” è un libro fotografico sul carcere di Fossano, nato dalla collaborazione col fotografo Davide Dutto, che stava già tenendo lì dei corsi di fotografia. Parlando al telefono, Davide mi ha raccontato una cosa che non sapevo: in quasi tutti i penitenziari d’Italia, i detenuti la sera non mangiano i pasti forniti dall’amministrazione carceraria (che anzi, si guarda bene dal passare la cena). Il carcere, infatti, a causa della mancanza di fondi, garantisce solo il pranzo, che viene preparato per tutti nella cucina centrale da alcuni carcerati, che lavorano e vengono pagati come cuochi dall’amministrazione della struttura. La sera, invece, per una sorta di accordo non scritto, i detenuti devono arrangiarsi da soli e si cucinano nelle celle con dei fornellini da campeggio”. Come si procurano il cibo? “In generale, quando un grossista alimentare vince la gara di appalto per provvedere al vitto del carcere, automaticamente si aggiudica anche la fornitura del sopravvitto, cioè del cibo che il detenuto può comprare con i propri soldi. Il meccanismo funziona così: il carcerato compila una sorta di lista della spesa. Il giorno dopo arriva in cella quanto ordinato. Il costo dell’acquisto viene scalato da un conto corrente, che ognuno ha in carcere. I soldi provengono o dai versamenti dei parenti oppure dallo stipendio che l’amministrazione carceraria dà per i lavori svolti nel penitenziario. Chi non ha soldi vive della solidarietà della cella (i compagni che hanno possibilità di acquistare cibo, in genere, offrono sempre qualcosa da mangiare). Altrimenti, se proprio non hanno niente, la struttura gli allunga una fetta di formaggio e dell’insalata”. Perché succede questo? Non dovrebbero essere garantiti due pasti al giorno? “Dovrebbe. Ma l’importo base d’asta per far mangiare un detenuto è di appena un euro al giorno, con cui pagare colazione, pranzo e cena. Ecco perché il cibo è sempre stato al centro delle rivolte carcerarie negli anni ‘70. Rappresentava una forma di autodeterminazione. Quando a un certo punto nella gestione delle carceri si è capito che per l’amministrazione della struttura era persino più conveniente che i detenuti si arrangiassero per la cena, la pratica è diventata paradossalmente tollerata e addirittura auspicata. In teoria, i fornellini da campeggio si potrebbero tenere in cella solo per prepararsi il caffè. Ma nella maggior parte delle carceri si usano per cucinarsi il pasto serale”. Al di là del lato economico, che effetto ha sui detenuti il doversi preparare la cena? “Cucinare ha un risvolto molteplice. Innanzitutto, si crea una mescolanza di sapori e di saperi. Di origini. Di solito, la cella è condivisa da minimo 5-6 persone. In genere, si dividono gli italiani dagli stranieri. Ma gli stranieri non sono distinti per provenienza o etnia. Di solito sono messi tutti insieme. Quindi è inevitabile che cucinare porti a convivialità e condivisione. È un bel modo di entrare in relazione. Così, da un lato, hai la durezza della situazione e un fai-da-te al limite del regolamentare, dall’altro un’occasione di scambio. La cosa affascinante è che queste persone mettono nella cucina una creatività immensa”. In che senso? “È la vita in carcere che è, al tempo stesso, orribile ma creativa. Lo dico anche nel libro, con ironia, ma un’ironia amara. Vedendoli preparare il pasto si potrebbe scrivere un manuale di cucina per sopravvivenza . Quello che stupisce è che il carcere è un luogo di non regole. O meglio, ci sono ma sono aggirabili. Per fare un esempio, non si possono detenere coltelli, come fanno i carcerati a tagliare il cibo? Si inventano “coltelli” alternativi: anche il coperchio della scatola dei pelati può bastare. Poi però, siccome può essere considerato un’arma in caso di ispezione, bisogna schiacciarne i bordi perché non sembri un coltello. È proprio dalla povertà di mezzi e risorse che nasce la loro creatività. Mettono nella cucina un’inventiva e una ricerca di soluzioni incredibile. Con dei risultati ottimi. Ho visto cuocere la pizza in forni fatti da due padelle sovrapposte. O preparare le lasagne con tre fornellini, una teglia sopra e carta stagnola ad avvolgerla, mentre un quarto fornello mandava aria calda da sopra attraverso un barattolo che fungeva da grill. Il fatto che il libro sia fotografico rende la cosa più interessante. Sono le immagini a dargli forza”. Quali sono state le difficoltà nel realizzare il progetto? “Il primo problema è stato ottenere il permesso dall’amministrazione del penitenziario di svolgere il lavoro all’interno delle celle. Avevamo già tentato in altre carceri più grandi ma il nostro ingresso non era tanto gradito, perché volevamo raccontare una cosa che sta quasi al limite della legalità. Il secondo passo è stato l’incontro con i detenuti del piccolo carcere di Fossano per spiegare il progetto. È stata per me un’esperienza dura e, allo stesso tempo, mortificante. Ero così entusiasta nello spiegare cosa avevo in mente che non mi ero accorto che a loro non interessava. Siamo stati accolti con occhiate curiose e un po’ d’ironia”. E come siete riusciti a conquistare la loro fiducia? “A un certo punto, il mio parlare quasi inutile si è interrotto quando ho detto loro: “Se volete proviamo questa esperienza insieme. Al peggio, avrete perso del tempo con due imbecilli”. Al che, si alza un detenuto e mi dice “Dottore, lei quella parola se la deve dire da solo. Se gliela diciamo noi rischiamo di essere puniti. Siamo in carcere!”. Allora mi sono reso conto di dove ero veramente e ho chiesto loro cosa volessero. Con sorpresa la risposta è stata: “Qui viene un sacco di gente. Fanno cucina, fanno teatro, fanno corsi vari. Ma, alla fine, se ne vanno e noi siamo sempre qua”. Ho capito che avevano bisogno di passare del tempo con qualcuno. Ecco che ci abbiamo messo un anno per un progetto, che nella mia mente, richiedeva al massimo tre pomeriggi. Per un anno siamo andati là tutti i lunedì pomeriggio. Questa è stata la nostra forza. Ne è venuto fuori un libro molto denso, proprio perché siamo stati “costretti” a stare per un anno con queste persone”. Quindi si sono creati dei legami personali con i detenuti? “Si è creato un legame forte, con tutti i rischi dei legami forti. Un giorno, tre persone mi hanno preso e portato in un angolo, chiedendomi un favore. Sul momento mi sono preoccupato, in testa mi stavo già immaginando tutte le richieste possibili. Alla fine mi dicono: “Avremmo bisogno di carta stagnola per il forno. Il ministero non ce la lascia più comprare e non sappiamo come trovarla”. Di nascosto, l’ho portata”. E ora? “Adesso il legame non c’è, perché grazie a Dio, sono usciti dal carcere. Qualcuno mi è capitato di incrociarlo ed è stato un bell’incrociarsi. Una persona ci ha perfino seguito nelle varie presentazioni del libro ma poi ci si è persi. È naturale. Le ultime persone che vuoi vedere fuori dal carcere sono proprio quelle che hai visto in carcere”. Cosa ti è rimasto di questa esperienza? “Fondamentalmente mi sono rimaste due cose, che pensavo già prima e che adesso sono diventate per me delle certezze. Innanzitutto, in carcere in Italia ci vanno sono gli sfigati, quelli che non hanno un bravo avvocato, quelli che non sanno bene l’italiano e non conoscono le regole dei giochi giudiziari e come aggirare le leggi. Poi ho capito che il carcere è una struttura assolutamente inutile, che, in realtà, si basa su norme diverse da quelle che dice di avere. Se si pensa di mettere delle persone in un luogo di detenzione per dargli delle regole, quello è il luogo in cui le regole sono meno rispettate. È un luogo tremendo, dove vai perché hai commesso dei reati, non voglio giustificare nessuno, ma resta un luogo terribile. Scrivere questo libro mi ha permesso di raccontare e parlare di una realtà che resta un tabù. Ho potuto parlare di carceri perfino all’Accademia del Barolo, o comunque in luoghi in cui, di solito, non si affrontano questi argomenti. Ho raccontato un mondo con cui si fa finta di non avere contatti, che si fa finta che non esista. Il carcere è come la morte. È ancora un grande tabù che si cerca di evitare”. Clarissa Gigante, Valentina Sorci, Master in Giornalismo Iulm, Milano Immigrazione: permesso di soggiorno a punti, si allunga la via crucis per i migranti di Anna Maria Rivera Il Manifesto, 25 maggio 2010 Si vantano, Maroni e i suoi, d’aver fatto come in Canada. Un po’ ignorando (ché ignoranti sono), un po’ fingendo d’ignorare che, quanto ad accoglienza degli stranieri, welfare state, rispetto dei diritti delle minoranze, estensione della cittadinanza, è come paragonare il giorno e la notte. La notte italiana è nera come la pece, il suo cielo è costellato d’ogni artificio per rendere impossibile la vita ai migranti, fino alla vessazione e alla riduzione in schiavitù. Manca un progetto di soluzione finale, ma la progressiva sottrazione di diritti umani, i processi di de-umanizzazione degli “estranei”, il loro uso costante come capri espiatori un po’ ricordano le notti lontane che covarono lo sterminio. Quel che sconcerta è la coltre di silenzio o le vocine di educata protesta che accompagnano il varo del permesso di soggiorno a punti, una tappa dell’escalation della xenofobia all’italiana. Come se non vi fosse un nesso fra la legge che imbavaglia l’informazione, giustamente deprecata a gran voce, e l’”accordo per l’integrazione”, cioè l’ultima trovata per moltiplicare le stazioni dolorose della via crucis dei migranti. Del resto, uno degli aspetti dell’anomalia italiana è una certa sintonia fra destra e sinistra - di “pancia”, prima che politica - quando si tratta del destino dei migranti. È una sintonia, talvolta inconsapevole, che si riscontra nei vertici dei partiti e di certi quotidiani “democratici” come in una parte del “popolo di sinistra”, che esso si vesta di rosso, di rosato o di viola. A tutto vantaggio della vorace iena leghista che si pasce dei cadaveri abbandonati nelle strade ove un tempo c’erano solidarietà di classe e di umanità, conflitti per il lavoro e per la dignità. La iena è ormai tanto satolla da dominare l’agenda di un governo allo sbaraglio. Così che essa ha perduto, se mai ne abbia avuti, ogni freno inibitorio. Se non bastano i discorsi e le imprese quotidiane del razzismo federale e nazionale, si dia un’occhiata al sito ufficiale del Movimento giovani padani: vi si troverà la retorica nazista delle “millenarie comunità etnonazionali di Sangue e Suolo” e i deliri di certi ideologi di mezza tacca che imitano il Fuerher anche nei baffetti e straparlano di etnonazionalismo razzialista. Non è folclore, è il ventre che partorisce le leggi discriminatorie contro gli stranieri. Né è folclore l’apparente contraddizione fra l’obbligo della conoscenza dell’italiano e della Costituzione imposto ai migranti e i corsi di dialetto locale per stranieri: in quel di Belluno, un assessore provinciale ha pensato bene di sacrificare denaro pubblico al nobile scopo di permettere ai meteci di comprendere l’oscura parlata dei loro sfruttatori. I quali, se sottoposti a un test d’italiano, dopo cinquanta o settanta anni di vita in Italia, farebbero cilecca. Non parliamo poi se (dovessero dar prova di conoscenza della Costituzione e di “formazione civica e informazioni e conoscenze sulla vita civile”, o se dovessero dimostrare i di aver onorato gli “obblighi fiscali”, come la Regge esige dai migranti. In realtà, la contraddizione logica fra vessazione localizzata e nazionalizzazione degli stranieri non è incoerenza politica. Per parafrasare Theodor W. Adorno, fu il culto delle feste in costume a partorire la politica nazional-socialista. Lo stillicidio di ordinanze comunali per decontaminare il territorio locale dalle scorie migranti (che restino sepolte per farsi sfruttare da qualche padroncino) è l’altra faccia delle leggi nazionali discriminatorie o vessatorie. Si dirà: è una legge-propaganda, inapplicabile, utile solo a mostrare i muscoli e a intimorire gli immigrati. E in parte è vero. Come scrive Sergio Briguglio, comporterà anzitutto un pesante aggravio del lavoro dell’amministrazione, quindi un allungamento dei tempi per il rinnovo dei permessi di soggiorno, già oggi biblici. E anche, aggiungiamo, l’incremento dell’arbitrio e della burocratica banalità del male che conduce a internare o a espellere un immigrato. Ma il punto decisivo è questo: in un contesto di grave decadimento della democrazia e di crescente razzismo, istituzionale e popolare, ogni tassello legislativo rivolto ai capri espiatori è un passo verso la loro umiliazione. Droghe: quando la prevenzione passa dalle fogne delle scuole di Emanuela Micucci Italia Oggi, 25 maggio 2010 Consumo di droga sempre più precoce in Italia. La prevenzione, allora, passa per le fogne della scuola. Questo il piano che sta sperimentando in 8 città campione il dipartimento delle politiche anti-droga della presidenze dei ministri, guidato dal sottosegretario Carlo Giovanardi. Perché gli studenti sono sempre di più sballati prima dello squillo della campanella, mentre la droga entra negli istituti scolastici con una facilità disarmante. Il primo appuntamento con gli stupefacenti è tra i 14 e i 16 anni, ma la prima volta per 1 ragazzo su 5 è tra gli 11 e i 14 anni. E non si ferma la primo amore ma 9 ragazzi su 10 provano anche altre sostanze. Una fotografia allarmante scattata recentemente dalla ricerca nazionale “Giovani, uso di sostanze, precarietà e genere”, che si somma ai tanti fatti di cronaca. Come il giro di spaccio messo in atto da un sedicenne con ordinazioni criptate via sms e consegne della roba negli istituti durante gli intervalli. Tra le mura delle scuole, dunque, si spaccia e si consuma. Fumo ma anche strisce di cocaina. Per monitorare il consumo di droga nelle scuole sta il dipartimento anti-droga individuerà una scuola-campione, che rimarrà segreta, a Torino, Roma, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli e Palermo, e per una settimana monitorerà gli scarichi fognari dell’istituto per registrare la presenza di stupefacenti nelle urine tra gli studenti. I campioni sanno poi analizzati dal laboratorio dell’istituto di ricerca Mario Negri di Milano, dove verranno portate a termine le analisi chimiche dei residui prelevati. Ampio lo spettro delle sostanze che saranno intercettate. Il progetto rientra nella strategia di prevenzione primaria per contrastare consumo e spaccio a ritroso: dalle fogne ai bagni delle scuole monitorate. In prospettiva la sperimentazione potrebbe estendersi anche ad altri istituti in modo da arrivare a un vero censimento delle scuole più a rischio. Immediata la reazione contraria dei radicali: “A cosa serve e quanto costa”, chiede Giulio Manfredi, “una volta che si appurasse che la scuola i questione ospita schiere di consumatori di sostanza illegali, cosa si fa? La si chiude? La si presidia ogni giorno con i cani poliziotto?”. Ma la strategia del governo fa proseliti. A Trieste il sindaco Roberto Dipiazza pensa a un’iniziativa analoga: “Rilevata l’eventuale presenza di sostanze stupefacenti, di concerto con le forse dell’ordine, agiremo per individuare gli spacciatori”. Haiti: Onu; dopo il terremoto la polizia sparò sui detenuti in rivolta, 20 furono uccisi La Stampa, 25 maggio 2010 La polizia di Haiti è responsabile della strage avvenuta nel carcere di Les Cayes una settimana dopo il terremoto di gennaio. Lo rivela il “New York Times”. La rivolta avvenne nel carcere di Les Cayes il 19 gennaio scorso. Per alcune ore i 467 detenuti, rinchiusi in 14 celle, riuscirono a conquistare il controllo della prigione. Dopo alcune ore di incertezza la polizia assalì la prigione: almeno venti detenuti morirono. Secondo le autorità il leader della insurrezione, “Ti Mousson” Cazeau, avrebbe sfruttato l’occasione per regolare vecchi conti. Ma numerosi testimoni hanno raccontato al New York Times una versione diversa: “I poliziotti hanno urlato ai detenuti di stendersi faccia a terra - ha rivelato un testimone - quindi hanno cominciato ad aprire il fuoco, da distanza ravvicinata: un’esecuzione”. “Gli agenti hanno sparato ad un sacco di gente totalmente disarmata. C’era sangue dappertutto”, ha raccontato un altro detenuto. Numerosi detenuti sono stati ucciso o feriti nel cortile della prigione. Altri all’interno delle celle. Le uniche immagini della strage, scattate alcune ore dopo da un ufficiale delle Nazioni Unite, mostrano scene orribili. Sono finite in un dossier che gli agenti delle Nazioni Unite ad Haiti stanno preparando sulla strage nel tentativo di accertare le vere responsabilità. I corpi dei detenuti uccisi erano stati trasferiti con un camion ad un becchino che aveva provveduto alla sepoltura in un luogo rimasto misterioso. I familiari delle vittime non sono mai stati avvertiti di quanto era accaduto. Stati Uniti: le carceri scoppiano ma non è un problema… basta che siano private di Arturo Zampaglione La Repubblica, 25 maggio 2010 È una delle rare aziende a trarre beneficio dai deficit statali. Fondata nel 1983, quotata a Wall Street e con oltre 17mila dipendenti, la Cca (Corrections corporations of America) è la maggiore società di gestione di prigioni private negli Stati Uniti. Attraverso contratti con il governo federale e le amministrazioni statali e comunali, “ospita” 75mila detenuti in 60 carceri sparse nei quattro angoli del paese. E il suo business è in pieno boom: costretti a tagliare le spese, gli stati americani non hanno più soldiper costruire nuovi penitenziari e subappaltano i servizi carcerari alla Cca. In alcuni casi, come nel Vermont, i carcerati vengono addirittura “delocalizzati” in altri stati. E ad approfittarne sono sempre la Cca e i suoi azionisti, per l’80% rappresentati da maxi-fondi pensione e investitori istituzionali. “È un momento favorevole per il nostro settore”, confessa Damon Hinger, un quarantenne instancabile che, partendo da semplice guardia carceraria, è riuscito a diventare chief executive del gruppo. Fino a qualche anno fa la privatizzazione delle carceri era ancora al centro di polemiche e criminologi come Mark Kleiman, della Università della California a Los Angeles, non si stancavano di evidenziare il contrasto tra gli obiettivi dello stato (punizione e riabilitazione dei condannati) e quelli degli operatori privati (riduzione dei costi e allargamento del business). Ci sono anche stati alcuni scandali, in particolare per il centro gestito dalla Cca a San Diego per conto del governo federale, trasformatosi - secondo una causa avviata dal-: la Associazione americani per i diritti civili - in una “scuola per gladiatori”. Ma le conseguenze della crisi e della recessione sui bilanci pubblici hanno fatto dimenticare queste controversie, a vantaggio del fatturato, degli utili e delle quotazioni della Cca. Secondo le ultime proiezioni i cinquanta stati americani accumuleranno entro il 2012 un deficit complessivo di 136 miliardi i dollari. E siccome per statuto nessun governatore può prendere soldi in prestito per la gestione corrente, tutti cercano di arrampicarsi sugli specchi. Il New Jersey ha appena approvato una legge populista (che probabilmente sarà bloccata dal veto del nuovo governatore repubblicano Chris Christie) per tassare tutti i milionari. Per risparmiare il Connecticut ha abolito i festeggiamenti pubblici per il 4 luglio. A New York, dove è in corso un braccio di ferro tra il parlamento statale e il governatore uscente David Paterson su come colmare il disavanzo di bilancio di 9,2 miliardi, è stato bloccato l’accesso ad alcuni parchi statali per mancanza di organici. E in California, dove la proiezione del buco di bilancio latta dal governatore Arnold Scharzenegger, anche lui in uscita, è di 19 miliardi di dollari, Meg Whitman, il candidato repubblicano per le prossime elezioni ed ex-chief executive di eBay, ipotizza il licenziamento in quattro anni di 40mila dipendenti statali. E in questo quadro così cupo l’ulteriore privatizzazione del sistema carcerario appare a molti americani solo un male minore. Cuba: attesa sul destino dei prigionieri politici, dopo il dialogo tra Chiesa cattolica e Governo Il Velino, 25 maggio 2010 Prosegue l’attesa sul destino dei prigionieri politici cubani all’indomani del dialogo tra la Chiesa cattolica e il governo locali. Secondo Guillermo Fariñas, protagonista di un prolungato sciopero della fame e uno dei simboli della protesta nata nelle carceri isolane, i primi risultati della mediazione si sarebbero potuti produrre lunedì. Ma ancora non si hanno notizie di trasferimenti dei 17 reclusi nelle carceri vicine ai luoghi di residenza delle famiglie, e neanche dell’ospedalizzazione per i detenuti nelle condizioni più gravi. Ma rimane alta la speranza che entro la settimana si possano celebrare segnali positivi. L’aspettativa poggia soprattutto sulla novità del dialogo che il cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana, e il governo cubano, hanno avuto la settimana scorsa. Una riunione di quattro ore celebrata su iniziativa della Chiesa locale e propiziata dal governo isolano: un dialogo tutto “cubano” che offre all’Avana la possibilità di rispondere alle richieste che la comunità internazionale avanza sul tema dei diritti dei detenuti, senza legare la sua azione a nessuna capitale straniera. D’altro canto la Chiesa cattolica gode da diversi mesi di un potere di critica - certificabile negli editoriali pubblicati sulla rivista “Palabra nueva” - che fonti diplomatiche cubane definiscono “costruttivo”, pur ricordando le distanze nelle rispettive posizioni.