Giustizia: i Garanti; i detenuti denuncino le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere Vita, 24 maggio 2010 Le figure istituzionali che tutelano i carcerati italiani preparano un reclamo che chiede il rispetto degli standard minimi di detenzione. Ecco il comunicato. “Il coordinamento dei Garanti ha chiesto con forza nei giorni scorsi il ricorso allo strumento del decreto legge, come peraltro annunciato dal Presidente del Consiglio, per far fronte all’emergenza dell’ormai ingovernabile sovraffollamento carcerario, per introdurre almeno la misura della detenzione domiciliare per chi ha pena residua inferiore ad un anno, pur nella consapevolezza della parzialità dell’intervento, apparendo di tutta evidenza il ricorrere dei presupposti di necessità ed urgenza. Ciò non è avvenuto, ed anzi la discussione sul ddl Alfano ha portato non a emendamenti volti a migliorare e a razionalizzare l’intervento, soprattutto con riferimento alla insostenibile situazione dei detenuti tossicodipendenti, la cui presa in carico con programmi comunitari o territoriali risolverebbe almeno in parte il sovraffollamento carcerario, ma al sostanziale snaturamento della originaria proposta, indicata, a torto, come una forma di indulto mascherato. Mentre politici di ogni schieramento plaudono ad una nuova ipotesi di detenzione domiciliare, che ricalca inutilmente la misura già esistente e che non avrà nessun effetto deflattivo rispetto alla popolazione carceraria, affidando alla magistratura di sorveglianza la verifica dei presupposti per l’ammissione, per paura di perdere consensi nessuno vuole comprendere che l’introduzione di una sorta di presunzione di pericolosità attenuata per le persone che sono a fine pena o che hanno pene brevi da scontare, in modo da consentire l’esecuzione della pena in una abitazione o in altro luogo di accoglienza, non crea allarme sociale e pericolo per la sicurezza pubblica. Si consuma così, nella mascherata indifferenza dei più, la tragedia di una condizione detentiva inumana e degradante, che coinvolge decine di migliaia di detenuti, le loro famiglie e i lavoratori in carcere, a cominciare dalla polizia penitenziaria, in attesa di un piano carceri che non c’è. E senza contare che molte persone detenute potrebbero già essere ammessi a misure alternative. I Garanti, a questo punto, di fronte all’impotenza delle forze politiche ad affrontare il dramma attuale del carcere, hanno predisposto il testo di un reclamo da presentare al magistrato di Sorveglianza, per richiedere l’adozione di misure necessarie per conformare le condizioni di detenzione al rispetto degli standard minimi di vivibilità. Il reclamo, che potrà essere completato da ogni persona detenuta a seconda della particolare condizione carceraria in cui si trova, sarà oggetto di capillare distribuzione e pubblicità. Alla stesura del reclamo, che vuole essere utile strumento anche ai fini della percorribilità del ricorso alla Corte europea, e che sollecita la magistratura di Sorveglianza ad assumere il tema delle lesione dei diritti dei detenuti, come previsto dall’art. 69 O.P., nonché ad applicare con determinazione laddove possibile le misure alternative al carcere, ha contribuito Alessandro Margara, al quale va il ringraziamento dei Garanti. I Garanti, infine, esprimono grande preoccupazione per l’avvicinarsi della stagione estiva, periodo nel quale i numeri del sovraffollamento arriveranno a quota 70mila e la vivibilità nelle carceri sarà completamente cancellata, e si riservano di intraprendere iniziative forti di sensibilizzazione qualora non intervengano provvedimenti che incidano intanto sulle detenzioni di breve periodo, per le quali è possibile per il legislatore introdurre una presunzione di non pericolosità delle persone detenute, per le quali in particolare la finalità rieducativa della pena, nelle condizioni date, appare in contrasto con il dato di realtà”. Avv. Desi Bruno Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna Coordinatrice Nazionale dei Garanti Territoriali Giustizia: all’Opg di Montelupo sette internati per cella, la Casellati promette nuove carceri Il Tirreno, 24 maggio 2010 Le pareti dei muri sono completamente vuote. Niente poster di giocatori, o di cantanti o calendari di donne seminude. Le celle in cui vivono gli internati dell’Opg sono disadorne senza alcun oggetto colorato o qualcosa che dia un alito di vita e manifesti il desiderio di voler uscire dall’Opg. Gli occhi dei detenuti sono lucidi e i loro sguardi disperati e spesso assenti. Sono internati che arrivano da tutte le parti d’Italia con reati anche molto gravi alle spalle. E sono soprattutto malati che hanno bisogno di continue cure. Ma, come tutta la nostra popolazione carceraria, soffrono di gravi disagi in relazione alla struttura dove devono scontare la misura di sicurezza (perché riconosciuti infermi di mente) e vivono di fatto accatastati in piccoli spazi. Pochi metri a disposizione per ciascuno anche ora che l’Opg è stato in parte ristrutturato. Sono in sette per cella. E la cella ha una dimensione di circa trenta metri quadrati: tre letti da un lato, tre dalla parte opposta e uno in mezzo alla stanza. Tutto compresso, senza metri quadrati in eccedenza. E anche gli spazi per le attività in comune sono carenti. Così come la possibilità di fare psicoterapia. In tutto, nei due padiglioni della villa medicea dell’Ambrogiana dove sono ospitati (terza sezione ed ex scuderie), gli internati sono oltre 160. Qui dentro i vissuti, le disgrazie e le patologie si condensano fino a diventare miscele esplosive che possono esplodere da un momento a un altro. Ecco perché ieri mattina il sottosegretario alla giustizia Maria Elisabetta Casellati ha messo nel suo giro di visite ai carceri toscani anche l’Opg di Montelupo. E per la prima volta anche testate giornalistiche e televisioni hanno potuto accedere e vedere parte della struttura carceraria, in particolare metà della terza sezione che è stata ristrutturata di recente (l’altra è chiusa perché i lavori sono ancora in corso e termineranno tra un anno). Il sottosegretario ha visitato tutti e tre i piani parlando con molti detenuti. Chi affetto da disturbi di personalità, chi da psicosi. Patologie gravi che necessitano di terapie con medicinali. “Ho ammazzato un mafioso e tre prostitute - ha raccontato uno degli internati originario di Aosta che è in carcere da 15 anni e da sei all’Opg - fino ad alcuni anni fa ero molto cattivo, ingrato e irriconoscente. Solo da poco ho capito che sbagliavo”. “Mia madre era una prostituta ed era cattiva come quelle tre che mi sono capitate (riferendosi alle sue vittime) - ha raccontato ancora al viceministro - mio padre faceva il ladro e il ricettatore. Sono stato adottato ma poi mi hanno abbandonato. Mio figlio non mi scrive più. Ora voglio rimanere qui (all’Opg) perché qui sto bene”. “Sono un ex carabiniere - racconta al sottosegretario un altro detenuto da 14 anni all’Opg - e ho compiuto un matricidio perché Lei (riferendosi a sua madre) non voleva che io andassi nell’Arma”. I compagni di cella lo chiamano “il consulente giuridico”. Lui studia e legge su norme e ricorsi. Si informa perché vorrebbe lasciare Montelupo. “In Italia - dice a Casellati mentre la saluta - non c’è certezza della pena”. Un altro, spiega “di essersi sì macchiato di alcuni reati” ma aggiunge “di non essere un malato di mente”. “Non abbandoni l’Opg - è stato l’appello accorato al sottosegretario di un altro internati più anziano che è tornato all’Opg dopo esserci stato 20 anni fa - sono stato abbandonato da piccolo e questa è la mia famiglia”. “Il sovraffollamento è un’emergenza - ha detto al termine della visita il sottosegretario - la riabilitazione è possibile solo dove ci sono condizione dignitose e spazi per le attività. Il governo si sta muovendo con un piano importante che fa leva su più punti, dall’edilizia alla rivisitazione del codice penale”. Rispetto al progetto di fare un Opg a dimensione regionale, come hanno spiegato anche il direttore sanitario Franco Scarpa e la direttrice della struttura Maria Grazia Grazioso, Regioni e amministrazione penitenziaria stanno lavorando per arrivare a una struttura con un bacino di detenuti limitato a quattro regioni: la Toscana, la Liguria, la Sardegna e l’Umbria. “Questo - spiegano ancora - non comporterà un numero inferiore di internati. Il loro numero rimarrà all’incirca lo stesso rispetto a ora. Ma sarà facilitato il percorso per arrivare alla riabilitazione dei detenuti con i servizi sul territorio”. È certo, in ogni caso, che la villa medicea dell’Ambrogiana, a dispetto di molti progetti del Comune di Montelupo, rimarrà un carcere o come Opg o con un’ altra destinazione. “Altrimenti gli interventi di ristrutturazione - spiega il provveditore dell’amministrazione penitenziaria per la Toscana Maria Pia Giuffrida - sarebbero stati fatti a perdere”. Giustizia: la negazione di affetti e amore è una pena aggiuntiva; una proposta dalla Toscana Il Tirreno, 24 maggio 2010 Il carcere cambia la sessualità dei detenuti. La maggior parte di loro ha 30-35 anni e l’astinenza forzata si traduce in pena aggiuntiva. Per questo Maria Pia Giuffrida, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, ha provato a rilanciare il progetto-Pianosa. In pratica, applicando in maniera estensiva i principi contenuti nella legge-Gozzini, i detenuti meritevoli potrebbero incontrare i partner e avere con loro brevi incontri. Come in via sperimentale si è fatto nel carcere lombardo di Bollate. Il timido tentativo di Giuffrida, tuttavia, non ha avuto il riscontro sperato. La sottosegretaria non si è sbottonata e alla richiesta del provveditore si è limitata a dire che quello sessuale non è l’unico problema relativo alla sfera affettiva dei detenuti. Nella stanza-parlatorio, tuttavia, la questione è emersa in tutta la sua evidenza. Un recluso ha incontrato la sua compagna al di là del bancone, un muro di cemento largo almeno un metro. Sotto gli occhi attenti delle guardie carcerarie, in piedi al di là di un vetro spesso, ha provato ad avvicinare la sua bocca a quella della donna. A malapena sono riusciti a sfiorarsi, la barriera fisica si è rivelata insuperabile. Giustizia: Simspe; malati cronici restano in carcere perché la magistratura non sa dove inviarli Comunicato stampa, 24 maggio 2010 Si è svolto ieri a Napoli, organizzato dalla Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria Italiana (Simspe) e dall’Azienda Ospedaliera Cotugno un interessante Convegno sulle malattie infettive in carcere. Dopo i saluti del Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera, dott. Antonio Giordano, ha preso la parola la dott.ssa Angelica di Giovanni, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli che ha sottolineato l’esigenza di restituire efficienza al Centro Clinico di Secondigliano, punto di riferimento per tutto il sud Italia, non in grado però, per carenza organizzative, di personale sanitario e di polizia penitenziaria di soddisfare le esigenze sanitarie della popolazione detenuta. Si assiste così a casi in cui paziente detenuti o debbono essere rimessi in libertà per consentire loro di curarsi adeguatamente, oppure, come ricorda il Prof. Raffaele Pempinello, Direttore della V Divisione - Medicina Protetta del Cotugno e organizzatore dell’incontro, “Ci sono pazienti in stato di detenzione, ormai dichiarati dimissibili ma con serie patologie croniche, che rimangono per mesi ad occupare una stanza di Ospedale perché la Magistratura non sa dove inviarli”. E tutto questo mentre viene data la notizia che a Lione, Francia, verrà realizzato un ospedale per detenuti capace di 600 posti letto, che si affianca a quello già operativo da 10 anni di Marsiglia. È poi intervenuto il Prof. Sergio Babudieri dell’Università di Sassari e Presidente nazionale della Simspe, che ha denunciato il grave pericolo di epidemie che dal carcere possono diffondersi alla comunità “ La tubercolosi, in diminuzione nella popolazione italiana, è invece diffusamente presente nelle carceri anche se per fortuna non ancora con focolai epidemici importanti come per esempio negli Stati Uniti, in Spagna. In questi Paesi è stato possibile dimostrare il passaggio dell’infezione dai detenuti al personale e ai visitatori. Il grave sovraffollamento e l’assenza di screening per la Tbc e per l’Hiv in molti Istituti Penitenziari costituisce una miscela esplosiva che le Regioni, ai quali è stata trasferita la responsabilità dell’assistenza sanitaria, sbagliano a sottovalutare.” Il dott. Giulio Starnini, Direttore dell’Unità Operativa di Medicina Protetta - Malattie Infettive, dell’Ospedale Belcolle di Viterbo, ha sottolineato che “tra i 45.211 detenuti che hanno fatto ingresso dall’1 gennaio 2009 al 30.06.2009 nei 207 Istituti penitenziari italiani, 13.292 (29,4%) sono stati sottoposti a screening per Hiv. La positività al test è stata riscontrata nel 3,22%, un valore che, sebbene sottostimato, è comunque sette volte superiore alla prevalenza dell’infezione tra la popolazione generale. È necessario quindi che venga attivato quanto prima presso l’Istituto Superiore di Sanità uno specifico Osservatorio sulle malattie infettive in carcere che consenta di studiare e proporre adeguati interventi ad ogni Regione”. Giustizia: Mancino (Csm); contro sovraffollamento nuove carceri, oppure depenalizzare reati Il Velino, 24 maggio 2010 “Quella del sovraffollamento delle carceri è una questione che si trascina da qualche anno. Quando ero ministro dell’Interno si parlava di sovraffollamento sulla scorta di un numero di 48mila detenuti, ora siamo a 60mila e vedo che non sono state costruite molte carceri. Ci sono alcuni provvedimenti in Parlamento per alleggerire di qualche unità, ma sono provvedimenti di emergenza che non risolvono la situazione”. A margine di un seminario dell’Associazione stampa parlamentare a Montecitorio, il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, risponde così a una domanda dei cronisti sull’emergenza carceri. Per il numero due del Csm occorre “un provvedimento di regime: o si costruiscono nuove carceri oppure occorre distinguere tra reato e reato - la depenalizzazione invocata da molti giuristi si può anche affrontare. Ci sono ci sono reati che non toccano più la sensibilità della pubblica opinione, possono trasformarsi in contravvenzioni”. Giustizia: Osapp; nel piano del Governo manca depenalizzazione dei reati, ddl Alfano è inutile Agi, 24 maggio 2010 “Le parole di Mancino ci appaiono come l’interpretazione di un copione già letto e riletto, che risale ai tempi di quando lui stesso era ministro dell’Interno”. Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, commenta così quanto affermato dal vice presidente del Csm sull’emergenza carceri. “Sulla depenalizzazione - spiega Beneduci - siamo d’accordo oramai tutti noi operatori del settore, peccato che nella proposta di legge del cosiddetto piano carceri, presentata dal governo, non sia stata prevista alcuna misura in tal senso. È stata prevista soltanto la possibilità di scarcerare quei condannati che abbiano un residuo di pena di un anno ed a ben definite condizioni: ci chiediamo se si riesca a comprendere come la misura sia inutile se così concepita”. “A parte i numeri reali - aggiunge Beneduci - questa modalità di operare non farà altro che affossare anche il sistema giudiziario in maniera definitiva se le cifre sono quelle che risultano dalle previsioni di uscita dei detenuti: anche il mondo delle cancellerie teme un rigurgito motivato dal fatto che decine di migliaia di richieste di scarcerazione perverranno sulle scrivanie dei lavoratori, i quali dovranno protocollare, registrare, fascicolare, istruire e preparare gli atti per la definitiva decisione del magistrato di sorveglianza”. Giustizia: Sappe; nelle carceri tensioni allarmanti, Governo studi misure alternative a detenzione Apcom, 24 maggio 2010 “L’allarmante situazione delle carceri italiane sta determinando in molti istituti penitenziari tensioni tra i detenuti e inevitabili problemi di sicurezza interna che ricadono sulla polizia penitenziaria, come hanno dimostrato le recenti proteste di detenuti in vari carceri del Paese e le molte aggressioni a poliziotti penitenziari”. E’ quanto scrive in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), in relazione alle manifestazioni di protesta di detenuti in atto in alcuni penitenziari del Paese. “La situazione - dice Capece - rischia di degenerare ed aggravarsi ulteriormente in vista dei mesi estivi e non si può dunque perdere ulteriore tempo, considerato anche che il corpo di penitenziaria è carente di più di 6 mila unita. Fermo restando che non si possono tollerare in alcun modo manifestazioni violente nelle nostre prigioni, bisogna anche proporre soluzioni concrete”. Secondo il Sappe “serve una nuova politica della pena, necessaria e indifferibile, prevedendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva”. “Se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la Polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere - conclude il sindacato - potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene”. Giustizia: Uil; 25mila detenuti oltre capienza, agenti continueranno manifestazioni di protesta Apcom, 24 maggio 2010 La Uil penitenziari, dopo l’incontro a Roma coi Radicali in cui sono stati snocciolati i numeri dell’emergenza carceri, conferma lo stato di agitazione degli agenti, proclamato tempo fa, e annuncia manifestazioni di protesta. Al tavolo romano si è parlato anche della situazione del supercarcere di Sulmona, in particolare dei 200 internati (su 1.200 complessivi), costretti a stare 22 ore rinchiusi nelle celle per l’impossibilità di frequentare tutti la casa lavoro. A rappresentare i 43.000 della polizia penitenziaria sono intervenuti i segretari della Uilpa penitenziari Eugenio Sarno e Mauro Nardella. Nei dati riportati da entrambi la portata dell’emergenza, legata principalmente al sovraffollamento e alle carenze di organico. Tre suicidi di agenti penitenziari; ventisette suicidi di detenuti; trentanove tentati suicidi in cella sventati in extremis dalla polizia penitenziaria; novanta agenti penitenziari feriti a causa di aggressioni da parte di detenuti; tre evasioni; cinque tentate evasioni; processi di mafia non effettuati per carenza di personale; traduzioni di detenuti realizzate con il personale contributo economico degli agenti , che hanno dovuto pagare il carburante per i mezzi. Dall’inizio dell’anno sono 150 le criticità accadute, a fronte delle complessive 240 nel 2009. “I numeri fanno pensare - scrive in una nota il vice segretario regionale Uil penitenziari, Nardella - che di qui a qualche mese verranno battuti storici record negativi. Tutto ciò coniugato alle infamanti e penalizzanti condizioni di lavoro nonché al degrado e all’inciviltà della gran parte delle strutture ci fanno dire di un sistema penitenziario indegno per un Paese civile. Irrimediabilmente alla deriva e consegnato alle violenze. Si prepara veramente un’estate torrida per chi in carcere ci vive e ci lavora. Il sempre più crescente malessere che serpeggia tra i detenuti, - continua Nardella - molti dei quali hanno cominciato a protestare in vari istituti attraverso l’istituto della “battitura”, non può che peggiorare considerato che il tanto sospirato decreto legge Alfano, impropriamente detto “piano svuota carceri”, si è svuotato di quei contenuti essenziali. Intanto allo stato attuale - conclude - sono circa 68.000 i detenuti presenti nelle carceri di Italia a fronte di una capienza regolamentare di 43.000 posti. Le assunzioni di personale di polizia penitenziaria, promessi dal ministro della giustizia Alfano al momento non ancora vedono l’alba”. Veneto: Sappe; 3.362 detenuti in 1.915 posti, quasi il 60% è costituito da stranieri Il Velino, 24 maggio 2010 Il sindacato Sappe ha organizzato per domani una visita al carcere di Verona, cui è stato invitato a partecipare il presidente della commissione Giustizia del Senato Filippo Berselli. Il Veneto - spiega il Sappe - è una delle Regioni che presenta i maggiori problemi di sovraffollamento dei detenuti e carenza di personale di Polizia penitenziaria. A fronte di una capienza di 1.915 detenuti, nelle carceri venete sono detenute 3.362 persone, con un sovraffollamento del 175 per cento; di questi 1.922 sono stranieri (57,16 per cento). L’organico previsto è di 1.866 agenti, mentre, attualmente, ce ne sono solo 1.415, con una carenza del 75 per cento. Mancano 451 agenti. A Verona, rispetto ad una capienza regolamentare di 589 detenuti, ce ne sono 981, con un sovraffollamento del 166 per cento; di questi, 631 sono stranieri, con una percentuale pari al 64,32 per cento. Nella casa di reclusione di Padova, dall’inizio dell’anno, ci sono stati un suicidio e due tentativi di suicidi. Lazio: Osapp; le proteste non scuotono le coscienze dell’Amministrazione Penitenziaria Il Velino, 24 maggio 2010 “L’agitazione degli operatori di polizia penitenziaria di questi giorni davanti alle strutture penitenziarie di Roma, Rieti e Viterbo sembra non aver scosso le coscienze dormienti dell’Amministrazione Penitenziaria”. “Senza personale di Polizia Penitenziaria, gli unici ad avere un rapporto quotidiano e costante con il detenuto, non si potrà mai avere un vero trattamento ed una reale sicurezza per i nostri cittadini, quando questi finiranno di espiare la pena”. La segreteria regionale Osapp Lazio punta il dito verso il Dap, il Dipartimento delle Carceri, reo di non aver preso in considerazione le agitazioni e i sit-in di protesta del personale di polizia penitenziaria, dove gli operatori sono stremati dalla mancanza di prospettive “presenti e non future” , ma ancor di più spendere le proprie risorse ed energie prioritariamente nella direzione delle condizioni e del trattamento dei detenuti, dimenticando invece il personale di polizia penitenziaria obbligato a convivere con turni lavorativi massacranti, straordinari pagati con eccessivo ritardo, condizioni di lavoro pessime e sicurezza nei luoghi di lavoro inesistente. “Sempre l’Osapp Lazio, - afferma - il suo Segretario Regionale Proietti Consalvi, che nel pieno rispetto della persona umana e della dignità di lavoratore e servitore dello Stato” ci si augura finalmente un intervento concreto per affrontare seriamente la carenza di personale di Polizia Penitenziaria e delle carenze strutturali degli istituti penitenziari dell’intera Regione Lazio, in particolare quello degli istituti romani di Rebibbia e Regina Coeli, quello di Viterbo e non ultimo quello della città di Rieti appena inaugurato ma dove numerose problematiche in ordine di carenza di personale affliggono gli operatori di polizia penitenziaria. Il miglioramento delle condizioni carcerarie, attività intrapresa da una recente direttiva del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria con l’istituzione di un gruppo di lavoro, dovrebbe passare anche dal miglioramento delle condizioni lavorative degli agenti di polizia penitenziaria. Ancora oggi, gli operatori di polizia penitenziaria ma le stesse OO.SS. come l’Osapp aspettano l’istituzione dei centri d’ascolto riservati agli agenti in difficoltà. Questi centri, con l’ausilio di psicologi e assistenti sociali , dovevano servire ad evitare il linea di massima quel disagio psicofisico “lavorativo e/o personale” degli agenti , ma soprattutto cercare di non lasciare soli gli operatori di polizia , nella loro solitudine che poi sfociano in atti di suicidio come accaduto ad un collega pochi giorni fa, nell’indifferenza dei vertici dell’amministrazione. Un buon padre si prende cura dei suoi figli, ma nelle ultime statistiche sembra che il padre si sia dimenticato dei suoi figli, ma i suoi figli tutti i giorni, con il sole o la pioggia, nei giorni di festa 24 su 24 portano avanti con mille difficoltà il loro compito istituzionale ma soprattutto fanno di tutto per tenere alto il nome del Corpo di Polizia Penitenziaria anche ricevendo in cambio dalla popolazione detenuta aggressioni di ogni genere. Infine, se le condizioni rimarranno tali - conclude - la segreteria regionale “non esiteremo, come del resto abbiamo fatto sempre in questi giorni, ad effettuare tutte quelle forme di protesta che la legge ci consente e di coinvolgere il più possibile anche le istituzioni esterne tanto da portare al di là del muro di cinta le nostre problematiche compreso le condizioni in cui operano oggi gli agenti di polizia penitenziaria”. Segreteria Regionale Osapp Lazio Vicenza: Cgil; più di 300 detenuti in 126 posti, un appello al Vescovo, risponde la Casellati Giornale di Vicenza, 24 maggio 2010 Il carcere di via Della Scola: troppi detenuti all’interno, più di 300. Giancarlo Puggioni, segretario generale della funzione pubblica della Cgil torna alla carica sulla casa circondariale di via Della Scola. “Il carcere, è sovraffollato, come abbiamo denunciato in più occasioni. I numeri sono sempre gli stessi - ricorda il rappresentante sindacale- : a fronte di una capienza prevista di 126 unità, i detenuti presenti sono oltre 300. Inutile aggiungere che l’organico degli agenti di polizia penitenziaria è sottostimato da anni. Il personale che garantisce il servizio è di soli 151 poliziotti: una carenza grave, con 40 unità in meno rispetto alla dotazione organica prevista dalle disposizioni ministeriali”. Secondo la Cgil le conseguenze di questa disparità sono pesantissime e ricadono sulle condizioni di lavoro degli agenti e sull’organizzazione del lavoro che di giorno in giorno diventa più pesante. “Il personale - continua Puggioni - è costretto a turni massacranti. I riposi saltano e ci sono difficoltà nella programmazione e nell’utilizzo delle ferie. Inoltre, lo straordinario non è recuperabile e ci sono ritardi nel pagamento delle missioni anche 5-6 mesi. Di fronte a questa situazione - sottolinea il rappresentante della Cgil - non riusciamo a capire perché il direttore non affronti queste problematiche con i sindacati. Inoltre, anche il silenzio del ministero di Giustizia è preoccupante, visto che sembra essersi dimenticato del personale penitenziario”. A tutto questo si aggiungono le voci della nuova manovra economica che il Governo intende varare, che colpirebbe ulteriormente il personale delle carceri. “Infatti, quest’ultimo, subirebbe il blocco delle assunzioni e del turnover - aggiunge Puggioni - , ma anche il mancato rinnovo del contratto di lavoro. Per questo gli agenti di polizia di via Della Scola chiedono di essere considerati e non ignorati, anche da chi ha la responsabilità istituzionale di questo settore, perché sarebbe, oltre che inaccettabile, anche da irresponsabili non fare nulla, o, peggio ancora, far precipitare ulteriormente una situazione che corre il rischio di scoppiare”. Da registrare anche una lettera che 160 detenuti di S.Pio X hanno inviato al vescovo e alle autorità per denunciare il sovraffollamento di San Pio X. A questa missiva ha risposto Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario alla Giustizia, la quale ha assicurato che verrà a Vicenza in tempi brevi per “verificare personalmente come si vive all’interno della struttura e per considerare tutte le critiche e le denunce che i detenuti hanno voluto estendere nella loro missiva”. Belluno: Cisl; la parola d’ordine è “arrangiarsi”, ma ci aspetta un’estate terribile Il Corriere delle Alpi, 24 maggio 2010 “Si prefigura un’estate terrificante, viste le condizioni in cui dobbiamo lavorare”. Il segretario provinciale della Cisl Fns, Roberto Agus non ha festeggiato l’anniversario della polizia penitenziaria. Il sindacato ha preferito scrivere una lettera al Provveditore regionale facendo presente la situazione. E già ieri è arrivata la risposta, in cui dice di “condividere le nostre preoccupazioni e perplessità. Mi auguro che questo sia un segnale che qualcosa si sta muovendo”, sottolinea Agus. Ma l’allarme esiste ed è molto grave. “Il 90% del personale è stato mandato in pensione per motivi medico-sanitari. In cinque anni da 126 agenti siamo passati a 94, mentre l’organico dovrebbe essere pari a 122 unità. Praticamente, siamo già con una carenza del 30% a cui si deve aggiungere quella ventina di persone in distacco o non in servizio per motivi di salute, per cui alla fine ci troviamo a lavorare con il 50-60% dell’organico. E questo non fa che accrescere il timore che l’estate che ci aspetta sia difficile”. Secondo quanto dichiara l’esponente sindacale, “la parola d’ordine è arrangiarsi, mentre noi e anche gli stessi detenuti ci sentiamo abbandonati dalle istituzioni”. Agus non risparmia niente a nessuno. “L’onorevole Gidoni aveva annunciato lo stanziamento di 1.5 milioni di euro per la ristrutturazione del carcere, ma di quei soldi nessuno sa niente. Come gli annunci del ministro su probabili assunzioni sono solo propaganda elettorale. La verità è che non abbiamo più i soldi, non solo per riparare i mezzi, ma anche per lavarli”. A questo Agus aggiunge il mancato pagamento agli agenti delle missioni. “Ci troviamo con colleghi che avanzano dai 500 ai 1000 euro. Siamo all’assurdo. È come se un muratore si comprasse i mattoni per costruire una casa. L’unica cosa in cui possiamo sperare è che non ci capiti qualcosa. Il clima che si sta originando nel carcere è pesante per le aspettative che si creano nei detenuti, che sono delle persone e vanno rispettate”. Rovereto (Tn): carcere sovraffollato di stranieri, tossicodipendenti ed emarginati Trentino, 24 maggio 2010 È emergenza carceri, anche a Rovereto. Sovraffollamento, diverse etnie, e la tensione è sempre più alta. Il carcere della Città della Quercia: dovrebbe contenere fino a 40 persone, ce ne stanno 103. La forte presenza di stranieri, tossicodipendenti ed emarginati rende sempre più difficile il lavoro della polizia penitenziaria, il cui personale è appena sufficiente. L’allarme è stato ribadito ieri in occasione dell’annuale celebrazione del Corpo. Alla celebrazione provinciale dell’annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria, erano presenti il sindaco Valduga, il vicesindaco di Trento Biasiolli ed i parlamentari trentini Divina, Fugatti e Santini. La direttrice della casa circondariale di Trento e Rovereto, Antonella Forgione, non ha usato giri di parole. “Sono in imbarazzo poiché in momenti celebrativi come questo si sottolineano di più gli aspetti positivi. Ho scelto di non farlo, per testimoniare il disagio che si vive ogni giorno nelle carceri. La nostra missione sarebbe quella di redimere e dare speranza, invece è offuscata dal continuo stato di emergenza e dal depauperamento di risorse. Si sceglie il carcere come soluzione diretta ed immediata e non come ultima ratio, ne consegue un forte sovraffollamento, e il nostro lavoro è paragonabile al voler arginare un fiume in piena con le mani. Il 37% dei detenuti in Italia sono stranieri, che diventano il 51% al Nord (costituiscono il 23% nel Centro ed il 31% al Sud). Si tratta di irregolari, clandestini, persone prive di famiglia e che non godono di molti benefici della legge; sono affiancati da molti malati e tossicodipendenti, da cui ne deriva una situazione instabile e colma di tensione. Gli italiani soccombono poiché i numeri dettano legge. Inoltre la maggioranza dei detenuti sono costituiti da soggetti con minore pericolosità e basse condanne”. Rovereto non fa eccezione, come ha spiegato Domenico Gorla, comandante del reparto di Polizia Penitenziaria di Rovereto. “A Rovereto ospitiamo in questo periodo 103 detenuti, quando la capienza massima della struttura sarebbe di 40. Basta solo pensare a questo, per farsi un’idea della situazione con cui siamo alle prese. L’ambiente è difficile, e le tensioni sono all’ordine del giorno, facilitato dal contatto ravvicinato e prolungato di tante persone diverse. Basta considerare una cella pensata per una persona, in cui si trovano a contatto anche 4 detenuti. Ciò causa tensioni, rischio di contagi, e anziché allontanare le persone dal mondo della delinquenza, le avvicina ancora di più. Ci sono docce comuni, e non sono sufficienti per tutti. Il cortile è solo uno ed è abbastanza piccolo, bisogna organizzare tutto in turni ristretti, e ciò aumenta la tensione, già alta per la compresenza di gruppi diversi. In particolare segnaliamo l’aggressività dei maghrebini verso tutti gli altri i gruppi. Di contro, noi della Polizia Penitenziaria abbiamo pochissimi uomini, siamo in difficoltà. La mia preoccupazione è che il personale regga, ma sono fiducioso perché ho ottimi uomini, senza dimenticare i medici, volontari, gli insegnanti, padre Fabrizio”. Nel carcere di Rovereto operano circa 50 agenti. In Provincia c’è grande aspettativa per il nuovo carcere di Trento, che dovrebbe aprire entro l’estate. In via Pilati ci sono 180 detenuti, a fronte di una capacità di 90, il carcere di Spini dovrebbe risolvere i problemi, almeno nel capoluogo. “L’aspettativa è immensa - fa Forgione - la situazione in via Pilati è insostenibile, il nuovo carcere dovrebbe finalmente risolverla. Non abbiamo però rassicurazioni sulle risorse, ci aspettano mesi di duro lavoro, soprattutto per il personale di Trento” Capienza massima di 40 persone: ce ne sono 103 La capienza del carcere di Rovereto è di 40 persone; ne ospita attualmente 103. Di queste, 82 sono uomini e 21 donne - dovrebbero essere 30 e 10. Gli stranieri sono 60. Sono rappresentante molte etnie (slavi, centrafricani, maghrebini, etc). Il 45% è detenuto per reati legati al traffico di stupefacenti, il 28% per furti, il 20% per reati legati all’immigrazione. Il personale del carcere è di circa 50 unità. A Trento in via Pilati ci sono 180 detenuti, a fronte di una capienza di 90. A Bolzano i detenuti sono 160, a fronte di 93. Su un totale di circa 400 detenuti, 280 sono stranieri. Dei 269 che scontano una condanna definitiva, 144 hanno una pena residua inferiore ad un anno, 63 tra 1 e 2 anni, 46 compresa tra 2 e 3 e solo una superiore a 5. Suicidi in aumento, servono misure alternative L’anno scorso il carcere di Rovereto è stato segnato da un evento tragico: il suicidio di Stefano Frapporti. Si impiccò la prima notte d’arresti, in cella, il 21 luglio scorso. Venne fermato per possesso di stupefacenti. Dopo il suo suicidio sono seguite polemiche, le manifestazioni degli amici e della famiglia di Frapporti, proteste sulla decisione di arrestarlo e sulla possibile mancata vigilanza. Il caso è stato alla fine archiviato dal Giudice per le indagini preliminari. Pur non citando direttamente il caso specifico, Antonella Forgione ha comunque speso alcune parole sui suicidi in carcere. In Italia infatti il fenomeno è in preoccupante crescita, ed è molto allarmante. Per Forgione è una delle conseguenze dell’emergenza, del sovraffollamento e della necessità di trovare alternative e una gestione più ampia del fenomeno. “È una delle manifestazioni di un malessere diffuso, ed è subita pesantemente anche dagli stessi operatori. Il fenomeno preoccupa per la sua drammaticità. È un dramma infatti sentito anche da chi lavora in carcere, che si trova alle prese con un’altra persona che decide di compiere un gesto estremo. Il trauma è enorme anche per gli operatori”, ha detto nel suo intervento la direttrice. La piaga dei suicidi nelle carceri altro non è che uno dei tanti sintomi di una situazione insostenibile nelle carceri italiane. “La legge dovrebbe prevedere approcci diversi, maggiore riabilitazione, strutture capaci anche di curare e non solo contenere. Ho fiducia nel Guardasigilli, affinché riesca a diminuire la popolazione nelle carceri. L’auspicio è quello di trovare una proposta di legge che assicuri la certezza della sanzione ma che anche dia alternative alla detenzione. La nostra missione è offuscata dalla continua emergenza. Altrimenti la vita di chi sta in carcere si risolve solo in continui trattamenti a base di metadone o di farmaci”, ha commentato Forgione. Pordenone: il Sindaco; in carcere ci sono 82 detenuti, o calano a 68 o a fine mese si chiude Messaggero Veneto, 24 maggio 2010 È ancora emergenza. L’ordinanza del sindaco, quella che chiede il ridimensionamento del numero dei detenuti accolti pena la chiusura del Castello, scadrà a fine mese e il carcere di Pordenone non ha ancora raggiunto la soglia limite, quella dei 68 ospiti che la struttura, per come è concepita, può arrivare ad accogliere. Il quadro è stato fatto nel corso della cerimonia per il patrono della polizia penitenziaria, corpo che quest’anno festeggia i vent’anni e che, anche a Pordenone, vive il problema dell’insufficienza di organico. Come ha ricordato il comandante della polizia della casa circondariale, Attilio Napolitano, nei primi mesi dell’anno sono stati accolti 97 detenuti “entrati dalla libertà” e 20 sono stati inviati da altri istituti. Negli stessi mesi sono stati rimessi in libertà o trasferiti ai domiciliari 81 carcerati. La polizia penitenziaria è stata impegnata in 268 trasferimenti di cui 57 visite in ospedale o luoghi di cura, 21 visite in ospedale oltre a ricoveri con piantonamento e trasferimento in altri penitenziari. Eventi critici. Tra i compiti che la polizia penitenziaria ha dovuto fronteggiare ci sono stati 13 “eventi critici” ovvero casi di sciopero della fame e aggressioni tra detenuti mentre in altri dieci casi ci sono state segnalazioni di rilievo disciplinare a carico dei carcerati. Per quel che riguarda lo sciopero della fame il problema non è stato legato tanto al sovraffollamento quanto alla solidarietà tra detenuti per vicende processuali ritenute ingiuste. La missione. Il direttore della casa circondariale, Alberto Quagliotto, più che sulle cifre e sul problema diretto del sovraffollamento ha cercato di volare alto e far riflettere tutti sull’importante compito della polizia penitenziaria, un compito già indicato dal comandante Napolitano e messo a repentaglio da un ambiente non idoneo. “L’opinione pubblica - ha detto Quagliotto - non sempre comprende la funzione della polizia penitenziaria. I suoi compiti sono più complessi della custodia: sono quelli di tendere alla rieducazione. La sicurezza è propedeutica a quest’obiettivo”. Ecco allora che la condizione di sovraffollamento, la mancanza di spazi adeguati ponte un interrogativo: “Come si può svolgere il proprio compito? Come porre le basi per la rieducazione? Non sempre basta la buona volontà o la fantasia”. Il rischio. E se il direttore spera di riuscire a ottenere alcuni trasferimenti per arrivare alla soglia prevista dall’ordinanza del sindaco, il futuro resta incerto. La bufera sulla Protezione civile ha bloccato una procedura straordinaria che sembrava pronta a partire. Il governo è pronto a varare il decreto svuota carceri ma si tratta di un’altra misura tampone. L’obiettivo del nuovo carcere appare ancora lontano. Firenze: Corleone al secondo giorno di sciopero della fame; il silenzio di Alfano è offensivo Redattore Sociale, 24 maggio 2010 Il garante dei detenuti di Firenze sta protestando per la chiusura dell’istituto penitenziario di Empoli, vuoto dal 4 marzo. “Inutile promettere nuove carceri se poi quelle esistenti sono inutilizzate”. Franco Corleone, garante dei diritti dei detenuti del Comune di Firenze, ha iniziato stamani il secondo giorno di sciopero della fame in segno di protesta nei confronti della chiusura del carcere Pozzale di Empoli, che inizialmente doveva essere riservato ai detenuti trans ma che è totalmente inutilizzato dal 4 marzo. “Il silenzio del Ministro Alfano sulle ragioni della chiusura del carcere di Empoli e sui motivi del blocco dell’esperimento di un carcere transgender è offensivo - ha detto Corleone - I cittadini hanno diritto di conoscere perché, in tempi di sovraffollamento e di donne detenute strette come sardine, un istituto è chiuso da più di un anno e non si sa quando riaprirà. Sarebbe interessante anche comprendere la legittimità delle spese fatte in questo periodo in quella struttura per interventi motivati con la sicurezza”. “La mia protesta - ha spiegato il garante - vuole servire a far comprendere che quando si promettono nuove carceri si fa solo propaganda e si pensa all’edilizia e agli interessi connessi e a niente altro, visto che non si utilizzano gli Istituti già pronti. Mi auguro che il Comune di Empoli, la Provincia di Firenze e la Regione Toscana chiedano conto all’amministrazione penitenziaria di questa sciatteria e di questa autoreferenzialità”. Reclamo dei detenuti per denunciare le condizioni disumane di detenzione Franco Corleone ha dichiarato: “Il Coordinamento dei Garanti, di fronte all’impotenza delle forze politiche ad affrontare il dramma attuale del carcere, ha predisposto il testo di un reclamo da presentare al magistrato di Sorveglianza, per richiedere l’adozione di misure necessarie per adeguare le condizioni di detenzione al rispetto degli standard minimi di vivibilità. Il reclamo, che potrà essere completato da ogni persona detenuta a seconda della particolare condizione carceraria in cui si trova, sarà oggetto di capillare distribuzione e pubblicità. Alla stesura del reclamo, che vuole essere utile strumento anche ai fini della percorribilità del ricorso alla Corte europea, e che sollecita la magistratura di Sorveglianza ad assumere il tema della lesione dei diritti dei detenuti, come previsto dall’art. 69 O.P., nonché ad applicare con determinazione laddove possibile le misure alternative al carcere, ha contribuito Alessandro Margara, al quale va il ringraziamento dei Garanti. I Garanti hanno espresso grande preoccupazione per l’avvicinarsi della stagione estiva, periodo del quale probabilmente si arriverà alla quota record di 70.000 detenuti presenti e la vivibilità nelle carceri sarà completamente cancellata violando l’art. 27 della Costituzione. Il Parlamento si appresta ad approvare una legge sulla detenzione domiciliare, inutile ancorché dannosa. Ho già sostenuto che siamo di fronte ad una vera provocazione. Governo, maggioranza ed opposizione si rifiutano di prendere atto che il sovraffollamento nelle carceri è dovuto alla presenza di oltre il 33% di tossicodipendenti e che se si calcolano i detenuti reclusi per violazione della legge sulle droghe (per detenzione o piccolo spaccio) si supera il tetto del 50% della detenzione a causa della legge punitiva e proibizionista sugli stupefacenti: È stato predisposto un pacchetto di emendamenti per eliminare le storture più gravi della legge Fini Giovanardi e della legge Cirielli che impediscono di concedere l’affidamento terapeutico ai detenuti tossicodipendenti, ma non è stato preso in alcuna considerazione. Occorre una svolta per liberare il carcere dalla presenza di soggetti deboli, di immigrati, di poveri, di emarginati. Domani comincerò la consegna ai detenuti di Sollicciano del reclamo perché sia affermata la cultura dei diritti anche da parte degli “ultimi”. Genova: Sappe; non parteciperemo a Festa Corpo, troppa l’indifferenza ai problemi del carcere Comunicato stampa, 24 maggio 2010 Il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, ha deciso di non presenziare alla cerimonia dell’Annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria in programma a Genova domani martedì 25 maggio 2010. Spiega Roberto Martinelli, Segretario Generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sappe: “Questa decisione, in linea con la scelta di non partecipare alla Festa nazionale del Corpo del 18 maggio scorso, non intacca certo il rispetto che il Sappe ha verso le istituzioni ma si prefigge di scuotere le coscienze assopite della classe politica italiana, dei parlamentari eletti in Regione e di tutti gli Enti locali sulla grave situazione penitenziaria nazionale e ligure in particolare. Le carceri della Liguria scoppiano per il pesantissimo sovraffollamento (1.750 detenuti presenti a fronte di 1.140 posti letto regolamentari, con una percentuale di detenuti stranieri pari quasi del 60% delle presenze ed una di tossicodipendenti del 40%) e per le gravi carenze negli organici di Polizia Penitenziaria (oltre 400 agenti in meno nei Reparti dei Baschi Azzurri): l’avvicinarsi dell’estate renderà certamente rovente la situazione generale. Gli unici a pagare lo scotto di questo dramma sono le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria, che è l’unica rappresentante dello Stato che sta fronteggiando concretamente questa emergenza anche mettendo a repentaglio l’incolumità fisica dei suoi Baschi Azzurri. Agenti che stanno lavorando logorati dallo stress generato da condizioni drammatiche aggravate dall’essere esposti a malattie come l’Hiv, la tubercolosi, la meningite e altre patologie che si ritenevano debellate e che invece spopolano nelle celle delle carceri italiane.” “Nonostante queste pesanti criticità” aggiunge Martinelli “gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria in servizio lavorano in maniera encomiabile, con grande professionalità ed alto senso del dovere, come dimostra il fatto che nelle 7 Case circondariali della Liguria, nel decorso anno 2009, i nostri Baschi Azzurri hanno sventato ben 33 tentativi di suicidio di detenuti (27 gli uomini e 6 le donne) e con il loro tempestivo intervento hanno impedito che i 243 atti di autolesionismo posti in essere da altrettanti ristretti potessero degenerare ed ulteriori avere gravi conseguenze. Agenti che, spesso nella generale indifferenza anche mediatica, hanno fronteggiato, rimanendo anche feriti, i 99 casi di aggressione posti in essere nelle carceri liguri da detenuti violenti, le tensioni connesse ai 190 casi di scioperi della fame attuati dai ristretti o alle 66 manifestazioni di protesta che hanno comportato anche danneggiamenti ai beni dell’Amministrazione. Manifestazioni nate nelle celle e nelle sezioni detentive per invocare nuovi indulti ed amnistie e per chiedere migliori condizioni carcerarie, che hanno complessivamente coinvolto in Liguria, durante tutto l’anno 2009, ben 3.356 detenuti. Agenti che hanno messo in evidenza le non comuni doti di umanità e professionalità gestendo i 4 bimbi di età inferiore ai tre anni ospitati nell’asilo nido del carcere di Pontedecimo insieme alle madri detenute. Ecco, nonostante tutto questo, nonostante questi quotidiani sacrifici, nonostante questo senso del dovere, abbiamo dovuto constatare e constatiamo - ad oggi - l’assenza di provvedimenti concreti a tutela dei poliziotti penitenziari che lavorano ogni giorno in precarie condizioni di sicurezza ed in Istituti di pena sovraffollati oltre ogni misura; l’assenza di azioni politiche condivise per una nuova politica della pensa non più differibile; l’assenza di concrete iniziative risolutive. Eppure l’intesa politica, quando lo si vuole, si trova: basti pensare alle “larghe intese” che ci furono per l’approvazione dell’ultimo provvedimento di indulto del 2006, per effetto del quale in Liguria furono scarcerati ben 1.158 detenuti (538 gli stranieri), 354 dei quali sono rientrati in carcere dopo aver fruito del beneficio. Cos’avrebbero dunque da festeggiare i Baschi Azzurri del Sappe il 25 maggio? Il Sappe domani sarà idealmente con i colleghi impiegati nei Servizi di rappresentanza all’Annuale di Genova; ma ancor più con quelli - molto più numerosi - che nello stesso momento sono all’interno delle sezioni detentive delle carceri liguri sovraffollate da quasi 1.800 detenuti, che stanno girando l’Italia con gli automezzi del Servizio Traduzioni per accompagnare detenuti in altri carceri o presso le Aule di giustizia di tutto il Paese, che piantonano i ristretti ricoverati nelle corsie degli Ospedali civili, che sono impiegati in tutti gli altri posti di servizio del Corpo. Ma il primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il Sappe, non parteciperà all’Annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria di Genova per protesta verso le diffuse indifferenze alle criticità ed alle problematiche penitenziarie e del Corpo di Polizia in particolare”. Critico, il Sappe, anche verso la sede scelta per lo svolgimento della Festa (la Scuola di Formazione della Giustizia in via del Seminario a Genova): ““Sì è deciso, ancora una volta, di celebrare una Festa solo a carattere regionale,, con ciò comprimendo al massimo la partecipazione del Personale di Polizia Penitenziaria degli Istituti di Pena liguri. Tornare poi a tributare il doveroso riconoscimento al lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria in una sala all’interno di una sede dell’Amministrazione della Giustizia, come quest’anno, è un controsenso e un significativo passo indietro rispetto alle manifestazioni degli anni passati, quando ai cittadini era stata data possibilità di conoscere da vicino, nelle piazze e nelle strade di Genova e delle altre città della Liguria, i nostri compiti e le nostre attività.” Udine: Sappe; assenti alla Festa del Corpo, nel carcere manca dignità per detenuti e agenti Messaggero Veneto, 24 maggio 2010 Anche nel giorno della festa della polizia penitenziaria, il tema rimane sempre il sovraffollamento delle carceri (come abbiamo anticipato anche in un articolo nell’edizione di ieri). Un problema sollevato dal sindacato Sappe, che non ha partecipato alla festa proprio in segno di dissenso. Troppi i detenuti in via Spalato e troppo pochi gli agenti. Ma non solo. Visto l’obiettivo primario di “tutela della salute e della dignità umana” manca anche personale medico-sanitario. Si tratta di almeno 20 persone, secondo il direttore delle carceri di Udine e Gorizia, Francesco Macrì, che ha colto l’occasione della festa per ricordare la grave carenza. “Non mi stancherò mai di ripetere che questo è un grave problema - ha detto ieri mattina in via Spalato -. Ed è difficile lavorare bene in simili condizioni”. Il problema riguarda anche la mancanza di agenti in grado di effettuare i cosiddetti “servizi di piantonamento”. Per esempio, se il detenuto ha necessità di andare in ospedale deve essere accompagnato da una scorta. “Se almeno si potesse restaurare l’ex sezione femminile composta da 8 stanze - ha detto ancora il direttore - potremmo portare avanti altre attività”. Ma pure su tale fronte, Macrì dice di non avere avuto alcuna novità sull’eventuale avvio dei lavori. Il sindacato della polizia penitenziaria Sappe ha dunque deciso di sottolineare queste difficoltà con un gesto pubblico significativo, non partecipando appunto all’evento di ieri mattina, ma ha fatto pervenire una nota, in cui spiega il motivo di questa assenza. “Non aveva senso - vi si legge - presenziare a una cerimonia che può essere tutto meno che una festa per coloro che ogni giorno, 24 ore su 24, vivono la tensione nella prima linea delle sezioni detentive sovraffollate”. E ancora: “Le carceri scoppiano e la classe politica tutta assiste inerte all’implosione del sistema penitenziario. Gli unici a pagare lo scotto di questo dramma sono le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria”. La nota, diffusa anche per volontà del segretario regionale del Sappe, Vito Gesualdi, contiene anche i numeri del carcere di Udine, almeno quelli rilevati dai rappresentanti delle guardia carcerarie. “La capienza regolamentare è di 63 detenuti, quella tollerabile di 168 e quella attuale di 224, mentre l’organico previsto è di 147 agenti, contro i 122 in forza e i 110 presenti effettivi in servizio. Il numero necessario sarebbe invece di almeno 180 agenti”. Anche il direttore Macrì è d’accordo sulla carenza di agenti, che costringe quelli presenti a lavorare di più. “Il personale è stanco e stressato - ha affermato - perché svolge turni più lunghi del previsto”. D’altronde già la casa circondariale e il Comune di Udine si impegnano a realizzare attività formative ed educative all’esterno e all’interno del carcere, “per contrastare la devianza”, come ha fatto notare alla festa di ieri il sindaco Furio Honsell. “Noi collaboriamo anche con l’istituto Percoto e con il Ceconi - ha aggiunto Macrì - e quindi con le scuole medie di via Petrarca, ma vorremmo fare ancora più attività, purtroppo sospese per la mancanza di spazi”. Pisa: 210 posti e 390 detenuti, ma per la Casellati “i discorsi sul sovraffollamento sono banali” Il Tirreno, 24 maggio 2010 “Siete giornalisti, non è vero? Allora, scrivete. Dite a tutti che stanno lì da mezz’ora, schierati al sole, per accogliere in pompa magna la senatrice. E che nelle sezioni ci sono ancor meno controlli. Tanto, chissenefrega, tra due mesi vado in pensione”. Il secondino ha passato quarant’anni in carcere da uomo libero a sorvegliare gli emarginati per legge, i rinchiusi per sentenza, i candidati a una riabilitazione che (quasi) mai sarebbe arrivata. Ora vuole assaporare la libertà di dirla come la pensa: “È uno schifo. Questo sistema carcerario è uno sconcio”. Così quando un quarto d’ora dopo mezzogiorno la sottosegretaria alla giustizia, Maria Elisabetta Casellati, varca l’ingresso blindato del carcere Don Bosco, passa davanti al picchetto e va dritta verso la sezione transiti, il cosiddetto “bronx”, il paradosso assume una forma distinta, al pari di una figura geometrica. La senatrice è arrivata ai piedi della Torre dopo un giro per gli istituti penitenziari toscani, con l’intento di osservare da vicino, finalmente, “un’esperienza avanzata”. Ma qui, dove l’aria intrisa di mille odori corporali più si addice a un girone dantesco che a un avanzato istituto di rieducazione, si capisce subito quanto l’anziano secondino abbia ragione: i detenuti, che per legge dovrebbero stare in celle singole perché in attesa della convalida dell’arresto, per ragioni di spazio stanno in coppia. Sono di mille nazionalità e parlano mille lingue, si sporgono come possono e infilano la testa tra le sbarre, battono colpi sulle porte per attirare l’attenzione, gesticolano e urlano. Ciascuno di loro ha un’ingiustizia di cui lamentarsi, un caso da sollevare, un messaggio da recapitare. Sono insieme emblema e vittime del sistema carcerario italiano che non funziona. A Pisa sono capitati bene: la direzione è illuminata, il personale esperto e disponibile, il centro sanitario è un fiore all’occhiello. Ma i numeri sono impietosi. Secondo il bollettino, ieri al Don Bosco c’erano 389 detenuti, compresi quelli ricoverati per motivi di salute. Vale a dire 179 oltre la capienza massima. Le guardie carcerarie in organico erano invece 177, comprese quelle assegnate al nucleo traduzioni e piantonamenti, 77 in meno rispetto al numero fissato. Un’asimmetria evidente, che con la logica ha poco da spartire. Diminuisce la sorveglianza, offusca le possibilità di riscatto sociale, ingigantisce i problemi. “Siamo oltre ogni limite di tolleranza”, dice il professor Francesco Ceraudo, direttore del centro sanitario del penitenziario. “In queste condizioni, il carcere non rieduca - aggiunge -. Diventa solo l’università del crimine, con i detenuti che maturano la voglia di vendicarsi contro una società che li tratta crudelmente”. Le guardie, che vivono il tempo scandito dal rumore delle porte metalliche e dall’ossessivo tintinnio delle chiavi, lavorano rassegnate per guadagnare 1.400 euro al mese: “Ogni volta che entro spero di cavarmela - dice un graduato -. Nelle ore serali e notturne non riusciamo a coprire il servizio. Siamo pochi. Spesso capita che un solo agente debba coprire quattro livelli diversi”. Il “bronx” è un settore delicato. Ci stanno i detenuti che poche ore prima erano liberi. Quando arrivano sono scioccati e non di rado qualcuno fa a brandelli le lenzuola per tentare d’impiccarsi alle sbarre delle finestre. E a scopo preventivo, talvolta le lenzuola sono di carta: uccidersi anziché rieducarsi è una sconfitta per tutti. Anche per l’imperfetto sistema carcerario italiano. Qui nel “bronx” la sottosegretaria passa di porta in porta, ad ascoltare ogni volta storie diverse ma poi uguali: mi hanno preso per una telefonata, ma dopotutto cos’ho fatto, chi penserà ai miei figli, quando incontrerò il magistrato, lei che può prenda a cuore le mie sorti... “Il carcere è luogo di espiazione della pena - dice Casellati -. Finisce per contagiare, coinvolgere, fa perdere di obiettività. Deve dare pace sociale e rieducare per il dopo. I discorsi sul sovraffollamento sono banali, qui non ci sono le condizioni d’invivibilità...”. Questione di punti di vista. In altre sezioni del Don Bosco, non toccate dalla visita lampo, i detenuti vivono stipati nelle celle. Non esiste la privacy, la sessualità diventa una prova di resistenza, i letti a castello sono ammassati l’uno sugli altri. Stare nel centro clinico è un privilegio. Lo sa anche il detenuto Mario, cardiopatico di 66 anni, veterano delle carceri mediterranee, una vita spesa a dare la caccia ai guai ovunque si trovassero: “Spero che questi mesi passino in fretta. Quando uscirò, vorrò esser libero davvero. Non che i carabinieri vengano a controllarmi due-tre volte ogni notte perché sono ai domiciliari”. Ma lui sta in una cella singola. Gli altri, quelli che scontano pene lunghe, darebbero un quarto della loro vita pur di andarsene da lì. Quando usciranno, si sentiranno estranei a un mondo che non gli appartiene più, che li ha segregati senza rieducarli. Non esiste un posto peggiore del carcere e ovunque siano capiranno di esserne prigionieri. Come l’anziano secondino. Treviso: il direttore; siamo vicini al collasso, è necessario depenalizzare i reati minori La Tribuna di Treviso, 24 maggio 2010 “Siamo vicini al collasso, è necessario depenalizzare i reati minori”. È l’appello lanciato dal direttore del carcere di Treviso Francesco Massimo dall’auditorium del Sant’Artemio dove ieri è stato inaugurato l’anno della polizia penitenziaria. I numeri del carcere di Santa Bona non lasciano spazio ad interpretazioni, si sono superati i 300 detenuti a fronte di una capacità di circa 180. “Ai tempi dell’indulto eravamo scesi a 120, poi siamo tornati sopra il limite. - spiega Massimo - Credo che l’unica soluzione sia depenalizzare alcuni reati minori, attraverso delle sanzioni amministrative. Bisognerebbe evitare che chi ha pochi giorni da scontare entri in carcere” ha spiegato il direttore Massimo. Anche nel carcere minorile i numeri non sono molto incoraggianti. Dovrebbero esserci 12 detenuti, sono già 17. “Possiamo tenere fino a 18. - ha spiegato il direttore del carcere minorile Massimo Paggiarino - Il nostro è un lavoro molto delicato, ora per lavorare con i minori i poliziotti devono avere il diploma ed ottenere una specializzazione. Nonostante lo stato di emergenza non ci siamo sempre”. E a dimostrarlo un premio conferito ieri ad un secondino che ha salvato un detenuto minorenne dal suicidio. Si tratta di un ragazzo che cinque mesi fa dopo essersi visto attribuire una condanna pesantissima per spaccio ha cercato di impiccarsi. È stato premiato anche il comandante Giovanni Ministeri per essere riuscito a sedare la rivolta di alcuni mesi fa, e per avere evitato tramite un’attività investigativa lo scagionamento del mandante di un omicidio. Oristano: il volontariato; sovraffollamento delle carceri non si risolve costruendone di nuove La Nuova Sardegna, 24 maggio 2010 “Il sovraffollamento delle carceri non si risolve costruendone di nuove. Serve invece una nuova visione del sistema, che punti su pene alternative, riduzione dei tempi dei processi e assicuri rieducazione e reinserimento. Ovviamente, partendo dalla certezza della pena, dato che non si possono certo trascurare le vittime”. È il messaggio lanciato ieri nel corso del 7º convegno regionale del Volontariato Carcere e Giustizia. Una realtà, quella dei volontari che operano negli istituti di pena, importantissima. La rete dei servizi regionali di volontariato in Sardegna è fatta di 18 associazioni per un totale di quasi 500 operatori, spesso religiosi. Nel salone parrocchiale di San Giovanni Evangelista, numerosi rappresentati del volontariato assieme ai cappellani delle carceri sarde, che assieme alla delegazione regionale della Caritas, erano fra i promotori dell’iniziativa, hanno partecipato ai lavori. Fra loro, volti noti come, don Ettore Cannavera e don Giovanni Usai, responsabili della Conferenza regionale volontariato e giustizia. L’incontro è stato aperto dalla relazione di don Andrea La Regina, responsabile dell’Ufficio solidarietà sociale della Caritas italiana. Il sacerdote, ha parlato del sovraffollamento delle carceri (“70mila detenuti in Italia, a fronte di una disponibilità di posti che si ferma a 40mila, con una situazione che evidenzia tutta la sua drammaticità nell’alto numero dei suicidi fra detenuti”), ma ha ribadito come “costruire nuovi carceri non servirà a garantire la svolta”. Giudizio negativo anche sul cosiddetto decreto svuota carceri “ha troppe restrizioni, non sortirà a grandi effetti”. Cagliari: detenuto malato di cancro in cella con le bombole d’ossigeno attaccate al letto Ansa, 24 maggio 2010 “Nelle sovraffollate carceri italiane accade di tutto ma un detenuto in gravissime condizioni di salute, a letto con le bombole di ossigeno che gli consentono di respirare, nel Centro Clinico di Buoncammino di Cagliari non si era mai visto”. È quanto denuncia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione Socialismo Diritti Riforme, dando notizia di un detenuto campano di 67 anni, che si trova ricoverato a Cagliari nonostante i medici lo abbiano dichiarato incompatibile al carcere per le gravi condizioni di salute. L’uomo, affetto da un carcinoma polmonare non trattabile chirurgicamente, è a rischio della vita. “È una situazione paradossale che crea preoccupazione - afferma Caligaris - e pone seri interrogativi sul rispetto dei diritti umani nel sistema penitenziario. È assurdo che una persona, qualsiasi pena debba scontare, non possa essere curato in ospedale o nella sua abitazione ma essere ristretto in un carcere anche se dotato di Centro Clinico. Si tratta infatti di un ambiente non idoneo alla ossigenoterapia, non in grado di gestire, in piena sicurezza, la dotazione di bombole di ossigeno, garantirne il trasporto e la loro sostituzione. L’uomo infatti deve assumere l’ossigeno durante la giornata. Conseguentemente si è creato un clima di allerta continuo anche per l’eventuale, tempestivo trasporto dell’ammalato in ospedale in caso di crisi che possano compromettergli la vita”. Potenza: Progetto Basilicata Donna; in carcere un seminario sulla salute delle donne Asca, 24 maggio 2010 Anche quest’anno nel carcere di Potenza tra le donne detenute sono stati eseguiti gli screening per la prevenzione del tumore al seno e al collo dell’utero. I risultati dell’iniziativa, che rientra nel Progetto Basilicata Donna, sono stati presentati stamattina in un seminario nella casa circondariale del capoluogo di regione. Il 95 per cento delle donne ha accettato di sottoporsi al pap test, esame diagnostico per individuare le lesioni precoci anticamera del cancro al collo dell’utero. La mammografia, invece, è stata effettuata su otto donne che hanno superato i quarant’anni e che, quindi, sono considerate maggiormente a rischio di sviluppare la patologia oncologica. Il seminario di oggi è stato utile anche per approfondire la collaborazione tra Regione Basilicata e Amministrazioni penitenziarie; una collaborazione già consolidata, ma - a detta dei presenti - da rafforzare, soprattutto per via del trasferimento alle Regioni delle funzioni di assistenza e di cure sanitarie a favore dei detenuti. Un impegno che l’assessore regionale alla Salute, Attilio Martorano, accompagnato dal direttore generale del Dipartimento Pietro Quinto, ha assicurato. “La cultura della prevenzione, che in Basilicata non è mai mancata - ha dichiarato Martorano - deve diventare patrimonio di tutti e in tutti gli ambiti. Presteremo la massima attenzione alle problematiche che afferiscono la sanità penitenziaria, rafforzando il servizio e dando inizio a ulteriori programmi di assistenza, monitoraggio e screening proprio come su tutto il territorio. Il Servizio sanitario regionale sarà al fianco del detenuto, e quindi dell’assistito, che vive una situazione di difficoltà, per garantirgli l’assistenza necessaria. Estenderemo - ha concluso Martorano - i progetti di screening a tutta la popolazione carceraria e daremo impulso all’attività dell’Osservatorio permanente della sanità penitenziaria per affrontare e risolvere le criticità del sistema nella regione”. Anche il direttore della casa circondariale di Potenza, Michele Ferrandina, ha ribadito il ruolo fondamentale dell’Osservatorio. “Oggi proseguiamo con i lavori iniziati con il convegno sulla sanità penitenziaria svoltosi nel febbraio scorso presso il Dipartimento Salute”. Ciò a dimostrazione della sensibilità delle istituzioni verso un progetto che può essere perseguito con la partecipazione dei soggetti preposti. “La Basilicata - ha affermato - è una regione dai piccoli numeri. Questa sua caratteristica può trasformarsi in punto di forza per creare esperienze da esportare in altre Regioni che, invece, per i grandi numeri e l’elevata popolazione carceraria mal si prestano a sperimentare modelli organizzativi nuovi”. Perciò seguiamo - ha concluso - con molta attenzione il passaggio delle competenze dal ministero di Giustizia al sistema sanitario nazionale e, di conseguenza, al sistema regionale e locale. All’incontro è intervenuta la presidente dell’Ordine degli Avvocati di Lagonegro, Rosa Marino. Dopo aver sottolineato la valenza costituzionale del diritto alla salute, che non a caso il nostro ordinamento giuridico riconosce a tutela della persona e non del soggetto produttivo, si è soffermata sulla sua esperienza di legale. “Ho potuto constatare che il soggetto che ha commesso reato molte volte deve convivere non con il giudizio ma con il pregiudizio. Il sistema e le istituzioni devono impegnarsi per aiutare il detenuto a superare le difficoltà e i momenti di solitudine connessi allo stato di privazione della libertà. La Regione Basilicata è stata antesignana nell’intervento di monitoraggio della salute delle donne detenute. È un percorso iniziato da tempo che deve continuare con il contributo degli altri operatori del settore, in particolare con i magistrati e gli avvocati”. Is Arenas (Or): detenuto getta olio bollente addosso a un compagno e a un poliziotto La Nuova Sardegna, 24 maggio 2010 Un assistente capo di polizia penitenziaria della casa di reclusione di Is Arenas e un detenuto extracomunitario sono finiti all’ospedale di San Gavino con ustioni al volto e alle braccia. A provocarle è stato l’olio bollente contenuto in un pentolino che un altro detenuto (italiano) ha lanciato loro dall’interno della cella mentre passavano nel corridoio. Non si sa di preciso a chi dei due il getto fosse indirizzato. Il grave episodio è accaduto avantieri in una delle sezioni carcerarie. L’agente stava accompagnando il detenuto negli uffici amministrativi quando sono stati investiti dal getto di olio bollente, scaldato con il fornellino a gas tenuto in cella. Immediatamente soccorsi, sono stati portati all’ospedale di San Gavino. Al primo sono stati assegnati venti giorni di cure, trenta al secondo. Solidarietà al collega ustionato è stata espressa dalla Cgil-Fp Polizia penitenziaria. Roma: spettacolo teatrale interpretato dalle detenute della Casa circondariale di Civitavecchia Il Velino, 24 maggio 2010 Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, l’assessore provinciale di Roma alle Politiche della Scuola Paola Rita Stella e Silvana Sergi, direttrice della Casa Circondariale di Civitavecchia, parteciperanno, domani 25 maggio, alle ore 18, nella Sala Concerti della Scuola Popolare di Musica di Testaccio (piazza Giustiniani 4/a) all’incontro-concerto “E_Migranti”. L’iniziativa è organizzata dall’associazione Sangue Giusto, sostenuta dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, ospitata dalla Scuola Popolare di Musica di Testaccio, patrocinata dalla Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche della Scuola, dalla Casa Circondariale di Civitavecchia, con la collaborazione dell’Associazione culturale “Kel’am”. Punto di partenza dell’incontro lo spettacolo “Siamo tutti E_Migranti” interpretato dalle detenute della Casa circondariale di Civitavecchia e presentato in febbraio come evento conclusivo del Laboratorio di Teatro, Canto Popolare ed Etnico svolto dall’Associazione Compagnia “SangueGiusto” nel settore femminile dell’Istituto. Il progetto, finanziato dall’Assessorato alle Politiche della Scuola della Provincia di Roma, ha coinvolto 40 detenute sul tema dell’emigrazione dagli inizi del novecento ai giorni nostri. Lo spettacolo è il risultato dell’adattamento teatrale de “Il lungo viaggio” di Leonardo Sciascia. Allo spettacolo in programma domano parteciperanno anche Giovanna Marini e il Coro Modi del canto contadino della Scuola di Musica Popolare di Testaccio, Andrea Pandolfo, musicista, Cristina Alì Farah, Chiara Ingrao e Ndjock Ngana, scrittori, parteciperanno con letture di testi e canti della tradizione popolare. Oristano: una mostra d’arte per cercare di parlare di libertà, anche da dietro le sbarre La Nuova Sardegna, 24 maggio 2010 Una mostra d’arte per cercare di parlare di libertà anche da dietro le sbarre. Si intitola “Liberi nell’arte”, la mostra delle opere realizzate dai detenuti del carcere di piazza Manno che martedì sarà inaugurata all’ex Asilo Sant’Antonio. È la quarta edizione di una iniziativa che la Casa circondariale porta avanti da tempo con il supporto di artisti locali. Mosaico, cartapesta e pittura, sono i generi nei quali i detenuti si sono cimentati con il supporto dei maestri d’arte Shkanely Ramos, Nicoletta Tronci e Antonio Elia. Una rassegna che verrà inaugurata in occasione delle celebrazioni per il 193º anniversario dell’istituzione del corpo di Polizia penitenziaria. Il programma della cerimonia, che avrà inizio alle 10,30, prevede le relazioni del Comandante di reparto, Mariano Pinna e del direttore, Pier Luigi Farci, che illustrerà i percorsi progettuali intrapresi dall’istituto, ad esempio nel settore agricolo e archeologico. Ci saranno infatti gli interventi dei rappresentanti delle istituzioni che hanno collaborato alle iniziative, come Mario Minoja, soprintendente ai Beni archeologici di Cagliari e Oristano e il professor Raimondo Zucca che hanno curato la campagna di scavi svolta in collaborazione con i detenuti all’anfiteatro del Forum Traiani di Fordongianus; ma anche il funzionario di Laore, Antonello Comina; Don Giovanni Usai della comunità Il Samaritano e il presidente del Sil, Antonio Ladu, per parlare dei progetti di inclusione sociale nel settore dell’agricoltura che si sono tenuti in collaborazione con le aziende agricole Il samaritano e Il Seme. Interventi introdotti da Rita Fanari. Alla manifestazione sono attesi gli assessori regionali alla Sanità, Antonello Liori, e ai Beni culturali, Maria Lucia Baire. Padova: domani le letture di Tiziano Scarpa per i detenuti del Due Palazzi Il Mattino di Padova, 24 maggio 2010 Martedì 25 maggio Tiziano Scarpa terrà un incontro/spettacolo al carcere Due Palazzi per la popolazione detenuta. L’evento chiude un ciclo di incontri con attori e autori impegnati su temi sociali e civili, organizzati da Tam Teatromusica, all’interno del progetto Teatrocarcere sostenuto dalla Regione. Gli incontri, che hanno già visto quest’anno la partecipazione dell’attore Vasco Mirandola, del giovane gruppo Marginemigrante e di Marco Tizianel e Silvio Barbiero con North bEast, sono realizzati con l’intento di creare dei percorsi culturali che favoriscano occasioni di dialogo e di scambio tra le persone detenute e la realtà esterna. La popolazione detenuta ha un numero crescente di persone di origine straniera. La condizione di detenzione unita all’appartenenza culturale diversa crea un doppio isolamento, fisico e culturale. Gli incontri hanno così la finalità di favorire dei ponti di dialogo tra esterno ed interno su temi inerenti alla condizione di marginalità. Tiziano Scarpa, veneziano, classe ‘63, narratore, drammaturgo e poeta: il suo incontro con i detenuti prevede alcune letture di Scarpa su temi civili e a seguire un dialogo e scambio tra i partecipanti su un piano artistico e umano. Svizzera: incendio in cella, ferito gravemente detenuto in carcere di massima sicurezza Agi, 24 maggio 2010 Un detenuto somalo di 44 anni è rimasto gravemente ferito ieri sera per un incendio scoppiato nella sua cella, nel carcere di Pöschwies a Regensdorf (ZH). Ne ha dato notizia oggi l’autorità zurighese per l’esecuzione delle pene. Non è stato ancora appurato con certezza se il detenuto abbia appiccato il fuoco volontariamente. L’uomo, condannato per lesioni gravi, era internato nel settore di massima sicurezza. Nell’incendio ha riportato gravi ustioni al petto e alla schiena. È stato inoltre ricoverato con sintomi di intossicazione da fumo. Cuba: regime carcerario attenuato per i dissidenti, dopo colloquio tra Castro e gerarchie cattoliche Apcom, 24 maggio 2010 Cuba ha deciso di “addolcire” il regime carcerario per i dissidenti politici, dopo un colloquio, avvenuto alcuni giorni fa, tra il presidente Raul Castro e due alti esponenti delle gerarchie cattoliche, il cardinale Jaime Ortega e l’arcivescovo di Santiago de Cuba, Dionisio Garcia. Lo scrive oggi la Bbc online. I prigionieri detenuti lontani dalle famiglie saranno avvicinati alle loro case e quelli in cattive condizioni di salute saranno ricoverati in ospedale, ha spiegato Guillemro Farinas, lui stesso dissidente, in sciopero della fame da febbraio, dopo aver raccolto il testimone da un altro dissidente cubano, deceduto per sciopero della fame. Secondo le organizzazioni di difesa dei diritti umani sono circa 200 gli esponenti dell’opposizione in carcere a Cuba e almeno 30 di loro non sono in buone condizioni di salute. Farinas, che è un giornalista di professione, ha detto di essere stato informato di questi ultimi sviluppi da un sacerdote che lo ha visitato in ospedale, portandogli un messaggio del cardinal Ortega.