Giustizia: Radicali; situazione drammatica nelle carceri, scendiamo in piazza Ansa, 22 maggio 2010 Il disegno di legge Alfano, ribattezzato svuota-carceri, è ormai destinato all’approvazione in sede legislativa in commissione Giustizia la settimana prossima, del tutto svuotato dei sui effetti, privato dell’automatismo dei domiciliari per l’ultimo anno di pena dagli emendamenti presentati dal governo: e tutto questo si è realizzato con il consenso dei gruppi parlamentari - sottolinea la deputata Rita Bernardini - senza tenere conto della mozione approvata alla Camera a gennaio. Ora i radicali si preparano a costituire un comitato per scendere in piazza, come si fece il giorno di Natale del 2005, quando si chiedevano provvedimenti di clemenza. Questo è l’obiettivo di una giornata di riflessione sulla situazione carceraria, cui hanno aderito tra gli altri le associazioni Antigone, Ristretti Orizzonti, Libera e la Comunità di Sant’Egidio, e simbolicamente anche il presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che ha inviato un telegramma a Marco Pannella in cui sottolinea come nel “dramma carcerario regredisce la civiltà”. “Sono disponibile a fare gesti di qualsiasi tipo, dobbiamo collegarci di più e diventare una forza di pressione”, ha promesso don Antonio Mazzi, ricordando le rivendicazioni di Gozzini di un carcere che non offenda i diritti e di pene alternative alla detenzione “che non significano impunità”. Si contestano la sinistra, “non più disponibile a riflessioni sulla persona e su servizi efficienti anche per coloro che sbagliano” e le leggi di destra, come la Bossi-Fini che introduce due codici penali, uno per gli italiani e uno per gli stranieri’ e la ex Cirielli che impedisce l’accesso a pene alternative per i recidivi. È inoltre non più rinviabile una reale applicazione della legge Fini-Giovanardi che prometteva il carcere per gli spacciatori e le comunità di recupero per i tossicodipendenti, invece, ricordano i volontari di Sant’Egidio le strutture di recupero sono sottoutilizzate. Occorre agire, è la preoccupazioni dei partecipanti all’assemblea, prima che la situazione precipiti in estate, invece il governo fa solo propaganda con il piano carceri, afferma Rita Bernardini. La restrizione degli spazi porta le persone alla disperazione, è l’allarme di don Ciotti: e indurre i detenuti al suicidio non è altro che una pena di morte mascherata. Dall’inizio dell’anno, secondo il monitoraggio della Uil Pa Penitenziari sono, infatti, 3 i suicidi tra gli agenti, 27 quelli tra i detenuti, 40 i tentativi sventati. Giustizia: quale risarcimento sarà mai possibile dare a una madre che ha perso un figlio… di Stefano Anastasia Terra, 22 maggio 2010 Quale risarcimento sarà mai possibile dare a una madre che ha perso un figlio, a una moglie che ha perso un marito, a una figlia che ha perso il padre? Quale risarcimento economico, morale, materiale, simbolico? Non c’è nulla nella vita umana che possa risarcire una simile perdita e certo non lo si può chiedere a quella prosaica forma di giustizia che si raggiunge allo stato degli atti in un’aula di tribunale e si affida, come possibile, all’esecuzione di una pena comminata in nome della legge. Questa incommensurabilità tra la sofferenza dei parenti delle vittime e i limiti della giustizia umana rende mal posta l’invocazione che abbiamo sentito ripetere in questi giorni, in occasione del differimento della pena per motivi di salute riconosciuto a Salvatore Vitale, condannato all’ergastolo per il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, “reo” di essere stato figlio di un collaboratore di giustizia. “Questa gente ha diritto al risarcimento”, scriveva ieri Francesco La Licata su La Stampa. Ma quale risarcimento? Noi, come La Licata, non conosciamo gli elementi sulla base dei quali il giudice di sorveglianza di Pavia ha riconosciuto la necessità della sospensione della pena. Come La Licata, presumiamo che la decisione sia stata “formalmente e tecnicamente inappuntabile”. E allora? C’è qualcosa che non va nelle leggi? Bisogna abrogare la sospensione della pena per motivi di salute? Bisogna farlo per chi si è macchiato di gravi reati? Il diritto (questo sì, veramente) umano alla salute è limitabile per chi abbia commesso gravi crimini? Naturalmente, no. No in generale e neanche in casi come questo. Se fosse il tipo di reato a determinare la qualità della pena, se si dovesse riscoprire una necessaria equivalenza tra reato e pena (“il ricordo del figlio perduto, non è anch’esso un ergastolo senza fine?” si chiede La Licata), solo la morte bilancerebbe la morte, ma - come sappiamo - Giuseppe Di Matteo non tornerebbe in vita e il dolore dei familiari non sarebbe meno straziante, e quello strano ergastolo meno duro. La tragedia resta tragedia, qualunque epilogo si voglia darle. Per questo il diritto penale si è dato dei limiti: inseguendo una “giusta punizione” irraggiungibile potrebbe varcare ogni soglia, fino a fare dell’omicidio di Stato una pratica legittima e finanche rituale. Succede, ancora oggi, in molte parti del mondo. Per questo la nostra Costituzione vieta la pena di morte e i trattamenti contrari al senso di umanità. Per questo anche il più biasimevole dei criminali conserva intatto, dopo la condanna, il diritto alla vita e alla salute. È questa la differenza del diritto: ciò che distingue la giustizia dalla vendetta; ciò che distingue una comunità civile dalla violenza che intende combattere e sconfiggere. Giustizia: violenza minorile… l’Italia non ratifica la convenzione sugli abusi sessuali di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 22 maggio 2010 Gli abusi sessuali nei confronti dei minori, le discriminazioni razziali che coinvolgono i bambini, le violenze giovanili sono al centro della prima conferenza internazionale per un’azione strategica contro la violenza nei confronti dei bambini che si tiene oggi e domani a Vienna. I soggetti promotori sono il Consiglio d’Europa e l’Ufficio del rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla violenza contro i bambini. Saranno altresì presenti i rappresentanti di varie organizzazioni internazionali nonché dei governi dei paesi membri del Consiglio di Europa. Era il novembre del 2009 quando il Comitato dei Ministri adottò con una propria Raccomandazione le linee guida rivolte ai 47 Stati aderenti e contenenti le strategie nazionali integrate utili a proteggere i minori da ogni tipo di violenze. Le linee guida sono state formulate dopo un lungo lavoro di raccolta di dati legislativi e statistici realizzato su scala nazionale. Esse includono informazioni e indicazioni utili a: rafforzare l’azione nazionale e locale per prevenire e rispondere alla violenza contro i bambini; vietare qualsiasi forma di violenza, compresa quella tra le mura domestiche; sviluppare e attuare un sistema di raccolta e ricerca sistematica di dati sui comportamenti violenti nei confronti dei bambini. Un ruolo di primo piano è stato finora ricoperto da Italia, Norvegia, Portogallo e Romania per una prima analisi qualitativa, giuridica e istituzionale delle politiche realizzate a livello nazionale. Alla conferenza austriaca, dove si verificherà lo stato di adeguamento dei paesi europei alle linee guida adottate meno di un anno fa, tra gli altri è previsto che intervengano Maud de Boer-Buquicchio, vice segretario generale del Consiglio d’Europa, Marta Santos Pais, rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla violenza contro i bambini e Paulo Sérgio Pinheiro, commissario e relatore sui diritti dei bambini della Commissione interamericana per i diritti umani che opera nell’ambito dell’Organizzazione degli Stati americani. Il tema della violenza nei confronti dei minori si collega tragicamente a quello dello sfruttamento sessuale. Il primo luglio del 2010 entrerà in vigore la Convenzione europea sulla protezione dei bambini dallo sfruttamento e dalla violenza sessuale. Erano sufficienti cinque ratifiche per la sua vigenza. Con la ratifica di San Marino è stato raggiunto il numero minimo di ratifiche. Gli altri quattro stati che l’hanno prontamente ratificata sono Albania, Danimarca, Grecia e Olanda. L’Italia l’ha firmata nel luglio del 2007, così come altri trentasette Paesi, ma tarda a ratificarla. Purtroppo capita spesso con le convenzioni sui diritti umani. Non viene assicurata loro priorità nell’agenda parlamentare. Il Trattato rappresenta un passo significativo in avanti in termini di prevenzione, protezione e cooperazione internazionale. Sono previste misure per favorire il contrasto sovra-nazionale alla pornografia on-line e al triste fenomeno del “grooming” (adulti che cercano di entrare in contatto con bambini o adolescenti a scopi sessuali attraverso, ad esempio, le chat rooms). Anche di questo, ossia della difficoltà a rendere rapida e efficiente l’entrata in vigore della Convenzione, si parlerà nell’assise viennese. Nel 2011 saranno passati vent’anni dalla ratifica italiana della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia. Un buon modo per onorare la ricorrenza potrebbe essere quello di annunciare a Vienna una rapida ratifica della convenzione europea. Giustizia: detenuti e hiv; in carcere c’è un alto rischio di trasmissione Dire, 22 maggio 2010 Il fenomeno dell’omosessualità, consumato nelle celle, segue dinamiche particolari. Qui la prevenzione è dimenticata in favore dell’impulso e le malattie sessualmente trasmissibili si diffondono, causa anche il consumo di droga. La stima dei detenuti affetti da Hiv e malattie sessualmente trasmissibili è per gioco forza relativa. Il monitoraggio infatti non può essere completo perché solo una minoranza di detenuti, il 35%, come riportano gli ultimi dati rilevati (2003) dall’Istituto Superiore di Sanità, ha deciso di sottoporsi a test diagnostico. La percentuale di sieropositivi negli Istituti penitenziari italiani, è stimata intorno al 7%. L’età media degli infettati era compresa fra i 30 e i 45 anni (11,4%), molti provenivano dal Nord (14,7%) o dalle isole (12,4%), accomunati da uno stato di tossicodipendenza (18,2%) e di omosessualità (50%). Escludendo, invece tossicodipendenti e omosessuali, la prevalenza di infezione da Hiv è stata stimata pari al 3,5% negli stranieri e al 2,6% nei reclusi di nazionalità italiana. Una prevalenze circa 10 volte maggiori rispetto a quelle attese nella popolazione generale, che fa delle carceri una delle realtà a più alta diffusione del virus. Le iniziative per far fronte a questa situazione non mancano, come “Yes, we condom”, campagna per la distribuzione gratuita di preservativi nelle carceri, organizzata dalla Lila (Lega italiana per la lotta contro l’aids). Per il ministro della Salute Fazio, però, “non esistono evidenze di efficacia di tali interventi nel ridurre la trasmissione dell’infezione da Hiv”. La presidente della Lila, Alessandra Cerioli ha risposto spiegando che in Italia “il sesso in carcere è praticato, e non attende certo la nostra legittimazione, ma non può essere protetto”, cosi’ come riscontrano pure l’Organizzazione mondiale della Sanità, le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa. Giustizia: Amato; mi fa rabbrividire che nelle nostre carceri si possa vivere come si vive Ansa, 22 maggio 2010 “Con il culto dei diritti della persona che abbiamo in Italia, mi fa rabbrividire che nelle nostre carceri si possa vivere come si vive. È una negazione che non dovremmo ammettere”. Lo ha detto oggi alla Spezia Giuliano Amato, professore di diritto costituzionale e due volte presidente del consiglio dei ministri, ritiratosi dal 2008 dalla politica attiva, invitato come relatore alla tre giorni spezzina di approfondimento sulla libertà e sui diritti, intitolata Parole di Giustizia 2010. Parlando del diritto Europeo, Amato lo ha definito una “fisarmonica che si può anche espandere, ed è compito della politica”. Libri: “Il giudice della pena”, di Angelica Di Giovanni Il Velino, 22 maggio 2010 “Se si desse più autorevolezza alla figura del giudice di sorveglianza molti problemi troverebbero una giusta risoluzione: a cominciare dallo sfollamento delle carceri”. Parola di Angelica Di Giovanni, ora reggente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, che ha guidato per oltre dodici anni. La figura del Giudice della pena è stata particolarmente analizzata dal magistrato, nelle 136 pagine dell’omonimo libro. Lei ha formulato delle proposte Presidente: partiamo dal tema della criminalità organizzata... “Quello che si sta facendo oggi non si era mai fatto nella storia. Le ultime direttive agevolano molto, sono stati fatti passi da gigante. Ma ci sarebbe anche altro da fare”. Ad esempio? “Si potrebbe allargare alla Magistratura di Sorveglianza la possibilità di confisca dei beni. Una novità da studiare”. Che marcia in più darebbe? “Di notevole incidenza. Perché c’è il grosso vantaggio che dinanzi al magistrato di sorveglianza il requisito di pericolosità sociale è già acclarato. Quindi la confisca diventa una misura più facile da applicare”. Nelle carceri situazione esplosiva: in questo la magistratura di Sorveglianza come potrebbe rendere la situazione meno difficile? “Premetto che la volontà del Governo di aumentare i posti è la strada maestra. Oggi siamo al 44 per cento di giudicabili a fronte di una media che al massimo arrivava al 30 per cento. e questo è un dato da valutare. La magistratura di Sorveglianza però potrebbe agevolare il sistema penitenziario attraverso l’applicazione con consapevolezza e certezza, delle misure alternative. E ancora ci sarebbe un’altra proposta di cui ho già parlato anche a Roma”. Quale? “Affidare il controllo delle misure alternative alla Polizia Penitenziaria: da una parte solleverebbero Polizia e Carabinieri da quest’altra incombenza, dall’altra si tratterebbe di affidare a chi ha già nella sua formazione quella che è la cultura dell’esecuzione penale con annessi e connessi. Solo la pena espiata effettivamente ha carattere intimidatorio. Così s’interrompe il circolo vizioso della recidiva”. Servirebbe quindi un Osservatorio sulla pena? “Si, certo e sarebbe ancora meglio se si potesse unificare con una commissione regionale in grado di interagire con i Ministeri dell’Interno e della Giustizia. Questo come ulteriore presidio per la lotta alle criminalità organizzate”. Frosinone: detenuto tossicodipendente di 32 anni muore per un infarto in cella Apcom, 22 maggio 2010 Un detenuto di 32 anni, tossicodipendente, è morto per un infarto nel carcere di Frosinone. Ne dà notizia il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, che sottolinea: “Questo ragazzo, affetto da tossicodipendenza acuta, non doveva stare in carcere ma in una struttura adeguata”. È la 77esima morte nel 2010 nelle carceri italiane, compresi i suicidi. Il 32enne, spiega il Garante, è morto a causa di un improvviso attacco di cuore, all’interno della cella che divideva con il fratello nel carcere di Frosinone. L’uomo, Fabrizio S., 32 anni, è morto ieri sera. A dare l’allarme lo stesso fratello che, mentre preparava la cena per entrambi, si è reso conto della morte di Fabrizio. Inutili tutti i tentativi di soccorso. Secondo i collaboratori del Garante, la vittima era tossicodipendente, ed era arrivato ad assumere 60 cc di metadone al giorno. La morte di Fabrizio - sottolinea il Garante - è arrivata all’interno di un carcere sovraffollato dove, a fronte di una capienza regolamentare di 325 posti, i ristretti superano abbondantemente le cinquecento unità. “La morte di Fabrizio sarà catalogata dalle statistiche come un decesso per cause naturali, ma si tratta pur sempre di una morte di carcere”, ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, concludendo: “Dobbiamo chiederci se per una persona in quelle condizioni di salute, certificate dalla quantità di metadone che assumeva ogni giorno, il carcere fosse la soluzione migliore o se, invece, non dovesse essere ricoverato in una comunità o in una struttura più adeguata”. Il Garante: non doveva stare in carcere È morto a causa di un improvviso attacco di cuore, all’interno della cella che divideva con il fratello nel carcere di Frosinone. La notizia di questo nuovo decesso in un carcere - il 77mo dall’inizio dell’anno - è stata diffusa dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. L’uomo - Fabrizio S., 32 anni - è morto ieri sera. A dare l’allarme lo stesso fratello che, mentre preparava la cena per entrambi, si è reso conto della morte di Fabrizio. Inutili tutti i tentativi di soccorso. Secondo i collaboratori del Garante, la vittima era tossicodipendente che era arrivato ad assumeva 60 cc. di metadone al giorno. La morte di Fabrizio è arrivata all’interno di un carcere sovraffollato dove, a fronte di una capienza regolamentare di 325 posti, i ristretti superano abbondantemente le cinquecento unità. “La morte di Fabrizio sarà catalogata dalle statistiche come un decesso per cause naturali, ma si tratta pur sempre di una morte di carcere - ha detto il garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - Dobbiamo chiederci se per una persona in quelle condizioni di salute, certificate dalla quantità di metadone che assumeva ogni giorno, il carcere fosse la soluzione migliore o se, invece, non dovesse essere ricoverato in una comunità o in una struttura più adeguata”. Reggio Emilia: 350 detenuti in 160 posti, dall’inizio dell’anno in due si sono suicidati La Gazzetta di Reggio, 22 maggio 2010 “Sicuramente il sovraffollamento nelle carceri è drammatico, ma il suicidio di Aldo Caselli è una vicenda più complessa e che va ben al di là del numero di detenuti reclusi o degli organici penitenziari ridotti”. A dirlo è il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto . Aldo Caselli, con precedenti di tossicodipendenza, era malato da tempo. Per questo nell’aprile 2009 il tribunale di sorveglianza di Bologna gli aveva concesso i domiciliari in una struttura specialistica, la comunità terapeutica “Bellarosa” di Reggio: il suo stato di salute era stato giudicato, infatti, incompatibile con la detenzione. “Rispettiamo ma non condividiamo le parole del presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna, Maisto, espresse in merito al caso del detenuto che si è suicidato a Reggio”. Così il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante , commenta la dichiarazione del magistrato Francesco Maisto. “Tutti, o quasi, i gesti suicidari in carcere sono collegati al vissuto personale, famigliare e giudiziario dei detenuti - sottolinea Durante -. La maggior parte di costoro provengono da esperienze di droga e da situazioni di instabilità affettiva e, spesso, anche psichica. Ciò però non esclude che la drammatica situazione delle carceri, dovuta proprio al sovraffollamento e alla carenza di personale di polizia penitenziaria e di altre figure professionali come educatori e psicologi, contribuisca e sia concausa dei suicidi e della impossibilità di attuare qualsiasi programma di prevenzione rispetto a tale drammatico fenomeno. Riteniamo che le enormi carenze strutturali, economiche e professionali siano concausa di eventi drammatici”. Poi dalle colonne di “Radio carcere”, Riccardo Arena sostiene che Aldo Caselli è “l’ennesima vittima del sovraffollamento e del collasso carcerario”. “La notte in cui si è ucciso - ricorda Arena - era di guardia un solo agente di polizia penitenziaria. Un agente che avrebbe dovuto sorvegliare 2 piani del carcere, 100 detenuti. Quell’agente ha cercato di soccorrere Aldo, ma essendo l’unico in servizio, è arrivato troppo tardi”. “Quello di Aldo Caselli è il secondo suicidio in carcere a Reggio nel 2010 e il 26esimo dal l’inizio dell’anno nelle carceri italiane. Si tratta di una “morte di Stato”: le carceri italiane sono da anni formalmente fuorilegge. A Reggio Emilia sono detenute 350 persone a fronte di una capienza massima di 160. Ricordo che una parte significativa della popolazione carceraria resta in carcere solo per qualche giorno in attesa di giudizio”. Lo rileva l’assessore alle Politiche sociali del Comune di Reggio, Matteo Sassi , aggiungendo che “tutti quelli che si oppongono ad alleggerire questo drammatico sovraffollamento devono sentire sulla propria coscienza queste morti”. Con il suicidio del giovane reggiano salgono quindi a 76 i detenuti morti da inizio anno nelle carceri italiane: 21 detenuti si sono impiccati, 6 sono morti per avere inalato gas di bombolette da camping, 49 per malattia. Modena: Sappe; rissa tra 8 detenuti italiani e albanesi, alcuni dei quali sono rimasti feriti Agi, 22 maggio 2010 Nei giorni scorsi si è verificata una violenta rissa nel carcere Sant’Anna di Modena tra 8 detenuti italiani e albanesi, alcuni dei quali sono rimasti feriti. La rissa, resa nota oggi dal Sappe (il sindacato di Polizia Penitenziaria), è stata sedata dagli agenti in servizio nel carcere e gli autori sono stati denunciati all’autorità giudiziaria. Per i responsabili - in forma sempre il Sappe - è stato tra l’altro proposto il temporaneo isolamento e, successivamente, l’allontanamento dal carcere di Modena, cosa che il sindacato auspica avvenga al più presto. Nell’ultimo periodo, nelle carceri italiane, gli eventi critici (risse, aggressioni, gesti di auto ed etero lesionismo) sono quasi raddoppiati. Ogni giorno, secondo dati forniti dal sindacato, ci sono dai 100 ai 150 eventi, alcuni dei quali riguardano anche aggressioni al personale di polizia penitenziaria. Dall’inizio dell’anno, infatti, le aggressioni agli agenti sono state circa 80. Ciò è sicuramente dovuto all’acuirsi delle tensioni e dei conflitti per il sovraffollamento e, quindi, per la carenze di spazi all’interno delle carceri. In quello di Modena ci sono 519 detenuti - circa il 70% stranieri - a fronte di una capienza di 240 posti detentivi. Sempre nel carcere di Modena gli agenti di polizia penitenziaria sono circa 150 (organico previsto 210). Entro fine anno sarà pronto il nuovo padiglione detentivo di 250 posti, ma non potrà essere aperto - conclude il segretario generale aggiunto del Sappe, Giovanni Battista Durante - se non arriveranno almeno 50 agenti di polizia penitenziaria. Trieste: un carcere ancora in grado di reggere, ma sovraffollato e con sempre meno risorse Il Piccolo, 22 maggio 2010 Forte preoccupazione per il futuro del Coroneo, “un carcere ancora in grado di reggere l’urto, ma sovraffollato e con sempre meno risorse a disposizione”. È stato un grido di allarme quello lanciato ieri dal direttore della Casa circondariale triestina, Enrico Sbriglia, che ricopre anche la carica di segretario nazionale del Sindacato direttori penitenziari (Sidipe), nel corso della cerimonia per il 193° anniversario della Polizia penitenziaria. I dati, resi noti nella sua relazione dal Comandante del reparto di Polizia del carcere, il commissario Antonio Marrone, parlano chiaro: rispetto a una capienza regolamentare di 160 detenuti, oggi al Coroneo ce ne sono ben 231. I poliziotti del reparto sono 120, mentre l’organico ne prevede 159. “Spesso - ha spiegato Marrone - dobbiamo alloggiare nella stessa stanza una decina di persone e, all’inizio di maggio, siamo nuovamente stati costretti, anche se solo per tre giorni, a utilizzare materassi sistemati a terra”. “Riusciamo a resistere - ha sottolineato Sbriglia - grazie al continuo impegno del personale della Polizia penitenziaria, dei formatori professionali, degli insegnanti, dei volontari, dei medici e degli operatori dell’Azienda per i servizi sanitari e del Sert in particolare”. Nel corso della mattinata, il direttore del Coroneo ha anche lanciato un’originale proposta, quella che consiste nel puntare su carceri galleggianti e caserme dismesse, per contrastare il sovraffollamento. Sbriglia ha detto che “si potrebbe prendere in considerazione la realizzazione di piattaforme galleggianti che, in 20 mesi, alleggerirebbero la pressione. Si tratterebbe di strutture - ha proseguito - che, al termine dell’emergenza penitenziaria, potrebbero essere riutilizzate, per esempio, dalla Protezione civile”. La mattinata, che ha visto la sala delle cerimonie di via del Coroneo colma di invitati, è iniziata con un minuto di raccoglimento, in onore dei due più recenti caduti italiani in Afghanistan, Massimiliano Ramadù e Luigi Pascazio. Poi è stata data lettura alle relazioni. Nella sua, la più attesa, Sbriglia, pur avendo espresso il disagio “per le oggettive difficoltà nelle quali siamo costretti a operare”, ha concluso con un segnale positivo: “Non abbiamo mai rinunciato - ha affermato - a offrire concrete speranze ai detenuti”. Il direttore della Casa circondariale triestina ha citato il motto latino della Polizia penitenziaria: “Despondere spem munus nostrum” (dare speranza è il nostro compito). Firenze: Corleone conferma lo sciopero della fame, a partire da domenica sera Redattore Sociale, 22 maggio 2010 Il garante dei detenuti di Firenze avvierà la sua forma di protesta domenica sera. “Ci turba che in piena crisi dovuta al sovraffollamento un istituto rimanga vuoto. Gestione insipiente”. Il garante dei detenuti del Comune di Firenze, Franco Corleone, conferma l’inizio dello sciopero della fame a partire da domenica sera, come già annunciato nei giorni scorsi. Lo sciopero, spiega il garante, è in segno di protesta “contro l’insipienza di una gestione superficiale” del carcere di Empoli, vuoto dal 4 marzo e sul quale “il silenzio ufficiale continua in maniera provocatoria”. “Ieri in Toscana - ha detto Corleone - si è presentata la sottosegretaria alla giustizia Casellati e non ha ritenuto di fornire spiegazioni del divieto del ministro Alfano all’apertura del carcere di Empoli destinato alle detenute transessuali. Si rincorrono voci generiche su una prossima apertura dell’istituto di Pozzale destinato alla detenzione femminile. Ma l’arroganza offensiva del potere dell’amministrazione penitenziaria si rifiuta di spiegare perché si è cancellata l’esperienza della custodia attenuata per detenute tossicodipendenti e le ragioni per impedire il nuovo esperimento di carcere trans gender. Ci turba che in piena crisi dovuta al sovraffollamento un istituto rimanga vuoto e non venga utilizzato”. Viterbo: polizia penitenziaria protesta in concomitanza con la cerimonia della festa del Corpo Asca, 22 maggio 2010 In concomitanza con la cerimonia locale della Festa del Corpo di Polizia Penitenziaria, “le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del personale in servizio al carcere viterbese Mammagialla, come preannunciato, sono scese oggi in piazza per denunciare le insostenibili condizioni lavorative e le drammatica situazione vissuta dalla popolazione detenuta”. Lo si legge in una nota. “Un tentativo - spiega - di spezzare il silenzio delle istituzioni politiche e amministrative, inerti di fronte al collasso del sistema penitenziario, alle privazioni vissute dai suoi lavoratori e dalle persone private della libertà personale”. “La sicurezza dell’istituto penitenziario di Viterbo è pregiudicata: sovraffollato (ospita 700 detenuti, più del doppio del numero consentito); la carenza di personale di Polizia Penitenziaria ha superato le 220 unità, con un organico ormai dimezzato. I pochi poliziotti rimasti in servizio - dicono ancora nel comunicato - sono costretti a rinunciare sistematicamente ai propri diritti contrattuali, a sostenere turni sfiancanti in condizione di assoluta insicurezza intra ed extra muraria, come dimostrano gli episodi di aggressione e umiliazione quotidiana, divenuti troppo frequenti. Insopportabili l’immobilismo e la noncuranza del Governo, del ministro della Giustizia e del capo del Dap (che inoltre ricopre l’incarico di commissario delegato all’attuazione del Piano carceri)”. “Mentre le istituzioni e la politica continuano con il sensazionalismo degli annunci - conclude la nota - la Polizia Penitenziaria fa i conti con una triste realtà, con i suicidi, le aggressioni e con una situazione di instabilità costante che rasenta la rivolta, che non permette agli operatori di fare fino in fondo il proprio lavoro e ai detenuti di intraprendere veri percorsi di riabilitazione e di reinserimento nella società”. Comunicato stampa di Francesco Quinti Responsabile Nazionale Comparto Sicurezza Fp Cgil In concomitanza con la cerimonia locale della Festa del Corpo di Polizia Penitenziaria le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del personale in servizio al carcere viterbese “Mammagialla”, come preannunciato, sono scese oggi in piazza per denunciare le insostenibili condizioni lavorative e le drammatica situazione vissuta dalla popolazione detenuta. Un tentativo di spezzare il silenzio delle istituzioni politiche e amministrative, inerti di fronte al collasso del sistema penitenziario, alle privazioni vissute dai suoi lavoratori e dalle persone private della libertà personale. La sicurezza dell’istituto penitenziario di Viterbo è pregiudicata: sovraffollato (ospita 700 detenuti, più del doppio del numero consentito); la carenza di personale di Polizia Penitenziaria ha superato le 220 unità, con un organico ormai dimezzato. I pochi poliziotti rimasti in servizio sono costretti a rinunciare sistematicamente ai propri diritti contrattuali, a sostenere turni sfiancanti in condizione di assoluta insicurezza intra ed extra muraria, come dimostrano gli episodi di aggressione e umiliazione quotidiana, divenuti troppo frequenti. Insopportabili l’immobilismo e la noncuranza del Governo, del Ministro della Giustizia e del Capo del DAP (che inoltre ricopre l’incarico di Commissario delegato all’attuazione del “Piano Carceri). Mentre le istituzioni e la politica continuano con il sensazionalismo degli annunci la Polizia Penitenziaria fa i conti con una triste realtà, con i suicidi, le aggressioni e con una situazione di instabilità costante che rasenta la rivolta, che non permette agli operatori di fare fino in fondo il proprio lavoro e ai detenuti di intraprendere veri percorsi di riabilitazione e di reinserimento nella società. Bologna: detenuto marocchino in sciopero della fame da due mesi, ha perso 20 chili La Repubblica, 22 maggio 2010 Non tocca cibo da due mesi, beve solo acqua e talvolta un goccio di latte, e dal 23 marzo scorso, quando ha iniziato lo sciopero della fame, ha perso venti chili. Aziz Khoudali, operaio marocchino di 29 anni, al momento dell’arresto per violenza sessuale avvenuto a Villa Fontana di Medicina nel marzo 2009, ne pesava 75: è ricoverato alla Dozza, nell’infermeria già stracolma del carcere, e i medici riescono a tenerlo in vita solo grazie alle flebo. In primo grado è stato condannato a cinque anni e sei mesi, pena confermata in appello. Nei giorni scorsi il suo legale, l’avvocato Giuseppe Cherubino, ha inviato un’istanza ai giudici del secondo grado chiedendo di alleggerire la misura cautelare con i domiciliari: “Aziz rischia la vita, la sua è una condizione di emergenza grave e ho prodotto tutta la documentazione clinica necessaria per dimostrarlo. La direzione del carcere sta facendo tutto il possibile per tenerlo monitorato, ma occorre trovare una soluzione al più presto”. I giudici della Corte d’Appello potrebbero disporre una consulenza tecnica per verificare le condizioni del suo stato di salute, ma il legale esorta a far presto. Ieri mattina, nel corso di un incontro alla Dozza, Aziz ha ribadito al legale di essere innocente. “Avvocato, io morirò, ma tutti devono sapere che sono stato condannato ingiustamente. Andrò fino in fondo”. Contro di lui le parole della vittima, che in aula ha detto di averlo conosciuto quattro anni e mezzo or sono e di essere stata aggredita da lui con un coltello. Lei riuscì a scappare, si rifugiò in una macelleria e chiamò i carabinieri, che arrestarono il ragazzo. Sostiene di essere vittima della vendetta della ex fidanzata, Aziz. “Ma fra noi non c’era mai stato niente, nemmeno un bacio”, replicò la ragazza al processo. “Non commento una sentenza dice l’avvocato Cherubini - ma il mio assistito rischia la vita”. Sulmona: il 4 luglio il Papa incontrerà i detenuti del carcere di Via Lamaccio Il Centro, 22 maggio 2010 Un’intera giornata in città per presiedere la celebrazione eucaristica, per incontrare i detenuti e i giovani e benedire una struttura per sacerdoti anziani. Il vescovo Angelo Spina ha ufficializzato il programma della visita di Benedetto XVI, in programma il 4 luglio. “Si tratta” ha sottolineato Spina “di un dono speciale del pontefice alla città”. Ma anche un impegno concreto per la diocesi peligna che spenderà circa 500mila euro. Ieri monsignor Spina e don Maurizio Nannarone, segretario generale e responsabile dell’area liturgica del comitato diocesano, hanno presentato il programma stilato, in accordo con la Prefettura Pontificia, per il 4 luglio. L’arrivo di Benedetto XVI è previsto alle 9.30. Dopo aver sorvolato l’Abbazia di Santo Spirito e l’eremo di Sant’Onofrio, l’elicottero del pontefice atterrerà negli impianti sportivi dell’Incoronata. Poi il santo padre, con la papamobile, percorrerà viale Mazzini e corso Ovidio per arrivare in piazza Garibaldi. Dopo un giro di piazza, durante il quale Benedetto XVI saluterà i fedeli, è in programma un intervento del vescovo Spina e del sindaco Fabio Federico. Alle 10.15 presiederà la celebrazione eucaristica, a cui seguirà l’Angelus e alle 12.30 il santo padre, percorrendo con la papamobile corso Ovidio e viale Roosevelt, arriverà alla casa sacerdotale per benedire una nuova struttura dedicata ai sacerdoti anziani e malati. Al termine è previsto il pranzo nella casa sacerdotale. Qui, nel pomeriggio, il pontefice incontrerà una rappresentanza di detenuti del carcere di via Lamaccio che saranno accompagnati dal direttore Sergio Romice, alcuni agenti di polizia penitenziaria e il cappellano. Poi, sempre con la papamobile e passando lungo viale Roosevelt, raggiungerà la cattedrale di San Panfilo per un momento di preghiera con i giovani della diocesi. Al termine Benedetto XVI tornerà in Vaticano partendo, con l’elicottero, dal vicino stadio “Pallozzi”. In occasione della visita, torneranno in città, per un giorno, le spoglie di papa Celestino V. “La giornata rappresenterà” spiega il vescovo Spina “un evento spirituale molto importante”. Intanto fervono i preparativi. Da ieri sono pronte 25mila cartoline raffiguranti il papa e i monumenti simbolo della città, le locandine con il programma, che saranno inviate alle 76 parrocchie della diocesi di Sulmona-Valva e alle altre di Abruzzo e Molise per permettere ai fedeli di organizzare l’arrivo in città. In piazza Garibaldi sono previsti circa 10mila posti (compresi gli addetti alla sicurezza e al primo soccorso e le autorità), di cui circa 5 mila a sedere. Per accedere alla piazza sarà necessario un pass gratuito rilasciato dalla diocesi che, dal primo giugno, in Curia attiverà un ufficio informazioni. I fedeli che arrivano in città e non hanno il pass” continua monsignor Angelo Spina “potranno vedere e salutare il pontefice che, con la papamobile, percorrerà viale Mazzini e corso Ovidio e seguire tutto in diretta sui maxi-schermo”. In piazza Garibaldi saranno sistemati 2 km di transenne, arriveranno 300 cantori e un’orchestra con 40 strumenti musicali. Tutte le spese organizzative (circa 500mila euro) sono a carico della Diocesi che ha raccolto fondi attraverso una sottoscrizione. “Nessun altro comitato, eccetto quello diocesano” riprende il vescovo “è autorizzato alla richiesta fondi per la visita del santo padre e per sostenere le spese organizzative”. Infine, la diocesi ha avviato una colletta per raccogliere fondi da donare a Benedetto XVI per un ospedale e le chiese sofferenti dell’Africa. Droghe: Cgil; troppi tossicodipendenti in carcere, vadano in comunità Notiziario Aduc, 22 maggio 2010 Collocare la tossicodipendenza fuori dalle mura del carcere, nelle comunità terapeutiche, e trovare delle soluzioni strutturali che tendano a risolvere il problema del sovraffollamento. È la proposta del responsabile nazionale del comparto sicurezza della Cgil Francesco Quinti, al termine della visita di oggi al supercarcere di Sulmona. Il sindacalista ha affermato di avere voluto verificare di persona la situazione in cui sono costretti a lavorare gli agenti di polizia penitenziaria e le condizioni in cui sono ristretti i detenuti di Sulmona, dopo l’interruzione delle trattative sindacali con la direzione del carcere. Ci vuole un po’ più di coraggio da parte del ministro Alfano, per ricercare soluzioni che diano un equilibrio e una stabilizzazione del sistema anche per il futuro - ha aggiunto Quinti. Noi stiamo chiedendo al governo di ragionare sulla possibilità di introdurre nuove regole che tendano a deflazionare la presenza in carcere, perché crediamo che la sola misura che attualmente è in discussione in commissione giustizia (il cosiddetto svuota carceri), sia come una goccia nell’oceano. Le stime dicono che oggi ci sono in Italia circa 67.700 detenuti, reclusi in circa 207 strutture penitenziarie che coprono circa 43.800 posti. Questo produce una serie di problemi alle persone detenute - ha proseguito Quinti - perché si trovano strette in celle in maniera inverosimile. Una situazione che prevede anche un abbassamento delle attività del trattamento terapeutico e un aggravio del lavoro sia per la polizia penitenziaria che per le altre professionalità socio educative assistenziali che sono tutte insieme davvero poche per sostenere il carico di lavoro che oggi è determinato da questa scelta.