Giustizia: Napolitano al Parlamento; la situazione delle carceri è critica, subito interventi Il Messaggero, 19 maggio 2010 Sei persone in una cella per due, quattro stipate in dieci metri quadri, si sta stretti anche in piedi, letti sistemati in quei luoghi una volta dedicati alla socialità. Nel penitenziario bolognese della Dozza da lunedì i detenuti battono le stoviglie sulle grate per protesta, chiedono più spazi, ieri - denuncia il Sappe - due guardie sono state aggredite a Sollacciano, Firenze. Le carceri italiane sono al collasso, oltre l’emergenza, e il presidente della Repubblica chiede che si faccia qualcosa per “superare le molte criticità”. Lo fa in occasione del 193° anniversario della fondazione della polizia penitenziaria, alla presenza del ministro Alfano e del capo del Dap. “Le carenze di organico - ammette Napolitano - e il continuo aumento della popolazione detenuta”, rendono la situazione insostenibile ed ecco allora che per il Capo di Stato diventa “ineludibile l’attuazione di interventi normativi e organizzativi” per alleggerire la tensione. L’augurio di Napolitano è che il lavoro del Parlamento e del governo “conduca al più presto a risultati concreti”. I numeri dicono tutto: i detenuti sono 67.593 (secondo i dati del Dap aggiornati al 14 maggio) ben oltre la capienza regolamentare delle strutture che potrebbero ospitare 44.218 persone e anche al di là della soglia di tollerabilità (66.905). Parla di “emergenza penitenziaria” anche il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta: “una questione di primaria importante - aggiunge - sulla quale siamo tutti chiamati a rispondere”. Ionta, nominato commissario delegato per gestire il piano straordinario di edilizia penitenziaria, spiega che tre saranno i “pilastri” del programma di intervento: più posti letto, più agenti di polizia penitenziaria e misure alternative al carcere quando si può. “Nei casi in cui l’allarme sociale è basso - spiega - si può ricorrere alla detenzione domiciliare”, come prevede il ddl ora in commissione giustizia alla Camera: niente cella per chi ha meno di un anno di pena da scontare. Maggioranza e opposizione cercano un’intesa su questo punto. La Lega, inizialmente contraria al provvedimento (è “peggio dell’indulto”) ritira tutti i suoi emendamenti e il ddl viene modificato e rivisto in più punti, anche col contributo dell’opposizione. Sono 11.460 i detenuti che devono ancora scontare un anno. Tuttavia se il ddl verrà approvato in tempi brevi, si calcola che saranno circa tremila l’anno i detenuti che dal carcere passeranno ai domiciliari, secondo una stima del Dap. Ancora poco per decongestionare le carceri italiane. Servono comunque nuovi posti. Il piano per affrontare il sovraffollamento va avanti, assicura il ministro della Giustizia Alfano, “da giugno del 2008 a oggi, attraverso la ristrutturazione di padiglioni preesistenti e l’edificazione di nuovi, sono stati creati 2.223 nuovi posti”. In più, promette il ministro, saranno assunti duemila agenti di polizia penitenziaria. Per far questo saranno utilizzati i 500 milioni di euro previsti dalla legge finanziaria del 2010. Ma è da registrare, aggiunge il ministro, un’inversione di tendenza nel flusso di ingressi in carcere: rispetto al 2008 il trend di crescita annuale dei detenuti si è ridotto del 17% nel 2009, e del 62% nel 2010. “Il carcere non può e non deve tornare a essere un’accademia del crimine”, avverte il ministro, “è di fondamentale importanza che a nessuno sia consentito di affermare con intollerabili privilegi il proprio rango criminale”. Speriamo che il messaggio del presidente Napolitano “non cada nel vuoto”, è il commento del segretario del Sappe (il sindacato degli agenti penitenziari) Donato Capece che per protesta ha disertato la cerimonia. Ora alle parole devono seguire i fatti, si augura la Uil-pa accogliendo l’invito di Ionta al dialogo. Sono passati ormai quattro mesi “dalla proclamazione dello stato di emergenza delle carceri e niente è accaduto”, protesta l’associazione Antigone. Giustizia: 2.200 posti in più nelle carceri in due anni, ma intanto i detenuti sono aumentati di 12.000 di Dimitri Buffa L’Opinione, 19 maggio 2010 C’era poco da celebrare ieri al 193 esimo anniversario della fondazione del corpo della polizia penitenziaria, svoltosi a Roma alla presenza di Giorgio Napolitano, del ministro Alfano e del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, a Roma. Le carceri scoppiano, gli agenti di custodia (dopo i detenuti che stanno a quota 25) cominciano a suicidarsi anche loro, due nell’ultima settimana, e i politici ci fanno propaganda pre elettorale. Come nel caso dell’Italia dei Valori, di alcuni settori del Pd, della Lega Nord e di esponenti del Pdl. Mentre tutti i “piani carceri” di cui si parla da due anni a questa parte sinora avrebbero partorito, per ammissione dello stesso Alfano, poco più di 2.200 nuovi posti letto. Nel frattempo le patrie galere vedono ingressi nuovi per oltre 700 unità al mese, anche se il trend ultimamente si starebbe invertendo (-19% nel 2009). Per questo ieri Giorgio Napolitano ha chiesto un passo in avanti, verso la soluzione di questa vergogna nazionale che ci sta portando a livelli da Turchia anni 70, come quella descritta nel film “Fuga di mezzanotte”, e uno indietro nella demagogia da “deriva securitaria” e forcaiola. Per il Presidente della Repubblica infatti rimane “ineludibile l’attuazione di interventi normativi e organizzativi per il superamento delle criticità ormai manifeste”. E siamo anche all’eufemismo: 67 mila persone laddove ci sarebbe spazio per non più di 45 mila, con la prospettiva di un’estate molto calda, è qualcosa con cui non si può più scherzare. Non a caso per un mese una sparuta pattuglia di deputati e militanti radicali, a partire da Rita Bernardini, hanno tentato la mossa dello sciopero della fame perché passasse il decreto sfolla carceri che invece giace impantanato nella Commissione giustizia. Si parla di mettere ai domiciliari chi ha meno di un anno pena anche residuo da scontare, non si tratterebbe quindi di amnistia o indulto ma solo di tenere la gente meno pericolosa a casa a scontare la pena. Se del caso avvalendosi anche dei famigerati braccialetti elettronici per cui si continuano a sprecare soldi pubblici pagandone la gestione alla Telecom a botte di 11 milioni di euro l’anno. Per la cronaca sono 11.460 i detenuti che devono scontare nelle carceri una pena residua fino a 1 anno. Il ministro Alfano rassicura che “il piano carceri messo appunto dal governo per fronteggiare il sovraffollamento va avanti”, e che sono stati stanziati “oltre 600 milioni di euro” e che “dal giugno 2008 sono stati creati 2.223 nuovi posti detentivi”. Peccato che queste litanie continuino a non risolvere il problema Le “prigioni” per stranieri Non è un segreto che nel Lazio il problema della carceri sia all’ordine del giorno. Non meno dei centri di accoglienza per richiedenti asilo, che rischiano di diventare, se non regolamentati, delle carceri aggiuntive, prima che centri di accoglienza.Ed ecco che la neo governatrice del Lazio, renata Polverini, ha annunciato ieri che, al pari dei Radicali, ha già pronto un calendario di visite ai penitenziari della Regione. “Voglio stilare un calendario per visitare tutte le carceri del Lazio a cominciare dall’istituto minorile. Voglio capire quale tipo di contributo può dare la Regione per rendere migliore la vita degli agenti mettendoli nelle condizioni di svolgere al meglio il loro lavoro, ma anche per sostenere la rieducazione dei detenuti”, ha annunciato ieri. “Come detto dal ministro”, ha aggiunto Polverini, “abbiamo un problema di emergenza carceraria soprattutto per quanto riguarda la popolazione immigrata: la Regione nell’ambito delle sue competenze darà il suo contributo”. Forse le istituzioni dovrebbero preparare anche un bel giro per i C.a.r.a. del Lazio, insieme ai prefetti di competenza per testare le condizioni degli “ultimi”. Giustizia: ogni anno più di 150 detenuti muoiono in cella, tra suicidi e “cause da accertare” di Maria Lombardi Il Messaggero, 19 maggio 2010 L’ultimo caso a Siracusa, tre giorni fa, un detenuto si è impiccato in cella. Ventisei suicidi dall’inizio dell’anno, oltre cento (per l’esattezza 105) in diciotto mesi. In media ogni anno muoiono in cella 150 detenuti: un terzo “per cause da accertare” e un altro terzo per suicidi. Molti si saranno tolti la vita “per sofferenze legate a vicende famigliari, a depressione, a fattori imprevedibili - commenta l’Osservatorio sulle morti in carcere - ma almeno qualcuno è stato certamente spinto a togliersi la vita da condizioni detentive divenute insopportabili, tra affollamento e mancanza di personale penitenziario, sia del trattamento che della sorveglianza”. Sono poche le guardie carcerarie e anche gli educatori e gli psicologi. Si calcola che gli psicologi possano dedicare ai detenuti non più di 10 minuti al mese, “in queste condizioni non si può fare prevenzione ai suicidi - commenta Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio - ed è del tutto impossibile offrire il sostegno e l’assistenza ai detenuti”. Oltre 300, calcolano i sindacati delle guardie penitenziarie, i tentativi di suicidi sventati dagli agenti nei primi mesi. “Solo nel 2009 quei poliziotti sono intervenuti salvando la vita a 944 detenuti che avevano tentato di uccidersi e impedendo quasi seimila atti di autolesionismo”. E se aumenta il numero dei detenuti, diminuisce quello delle guardie, “l’organico è fermo al 1992”, protesta l’Osapp, quando il numero dei carcerati era circa la metà. Tant’è che il ministro Alfano ha assicurato che saranno assunti altri duemila guardie. Carceri sovraffollate, inutilmente secondo l’opinione dell’ex presidente della commissione per la riforma del codice penale, Giuseppe Pisapia. “La stragrande maggioranza dei detenuti sconta pene inferiori ai tre anni, più del 50% è in carcerazione preventiva, si tratta dunque di presunti innocenti, solo il 12% è in cella per fatti di criminalità organizzata”. Tossici (il 35% del totale), extracomunitari (il 37% è costituito da stranieri) e reclusi per piccole condanne. Ogni anno transitano in media 170mila persone che restano dentro solo tre giorni. Solo una riforma del sistema sanzionatorio, per Pisapia, può risolvere l’emergenza, “occorre diversificare le pene e lasciare il carcere solo per i reati di allarme sociale”. Oggi sono circa 11.500 i detenuti che devono scontare ancora meno di un anno di pena, 36mila quelli condannati con pena definitiva, 1.493 hanno avuto l’ergastolo. Giustizia: Associazione Giovanni XXIII; nel Ddl Alfano pericolose derive xenofobe Asca, 19 maggio 2010 L’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi, “prima associazione in Italia per numero di detenuti accolti”, afferma in una nota di accogliere “con preoccupazione la convergenza bipartisan sul procedimento del disegno di legge Alfano, cogliendolo come un segnale di inevitabile resa alle necessità urgenti suscitate dal sovraffollamento delle carceri, tralasciando di fatto la valutazione del bene individuale di ciascun detenuto”. Secondo l’associazione, nelle nuove modifiche “si delineano criteri di discriminazione preoccupanti soprattutto per quanto riguarda il trattamento degli stranieri che, di fatto, saranno costretti a scontare la pena comminata per intero non potendo disporre di idoneo domicilio per status, come enunciato nel decreto”. La Giovanni XXIII ribadisce quindi che “la risposta al sovraffollamento e alle esigenze di sicurezza viene semplicemente da una corretta applicazione della normativa già vigente. La delega prevista al magistrato di sorveglianza non rappresenta la novità di questo disegno, in quanto già oggi l’accesso alle misure alternative avviene attraverso lo stesso sistema. La novità vera sarebbe costituita dalla strutturazione di percorsi di reinserimento veri, reali, che portino alla certezza del recupero del condannato. Per far questo occorre concedere le misure alternative come previste e consolidare l’attività di sostegno e accompagnamento dei vari attori istituzionali e volontari attraverso percorsi specifici come quelli sviluppati all’interno della nostra associazione”. L’associazione riminese rinnova la propria disponibilità al confronto con le istituzioni, “convinti - conclude - che la specificità della nostra vocazione abbia sviluppato in sé le risposte di cui i detenuti e i cittadini hanno bisogno fatte di serietà, fermezza, condivisione, attenzione al bene comune e del singolo senza praticare pericolose derive xenofobiche”. Giustizia: i figli dei detenuti, “vittime e giudici”; giornata di studi organizzata da Ristretti Orizzonti Redattore Sociale, 19 maggio 2010 È dedicata ai famigliari dei reclusi l’annuale giornata di studi organizzata da Ristretti Orizzonti in programma venerdì prossimo al Due Palazzi di Padova. Tra gli ospiti la figlia di Aldo Moro e la sorella di Stefano Cucchi. Quando dietro a un detenuto si chiudono le porte del carcere, al di fuori rimangono gli altri: non solo la vittima e i suoi famigliari, ma anche gli affetti di chi il reato l’ha commesso. Madri, mogli, figli del detenuto pagano a loro volta un prezzo molto alto, quello della perdita di un caro e, spesso, della stigmatizzazione da parte della società: “Ci sono persone - spiega la direttrice di Ristretti Orizzonti, Ornella Favero, - che hanno dovuto cambiare cognome per non essere additate come “i parenti di”, mogli che si sono trovate di punto in bianco con il marito in galera e quindi senza più la fonte prima di sostentamento, genitori anziani costretti per la prima volta a varcare le porte di un carcere”. Di questo aspetto meno dibattuto si parlerà nel corso dell’annuale giornata di studi organizzata da Ristretti Orizzonti, cui quest’anno è stato dato il titolo “Spezzare la catena del male”. Il convegno si svolgerà venerdì prossimo 21 maggio all’interno del carcere Due Palazzi di Padova. Un’attenzione particolare, in questa nuova ottica, sarà dedicata alle persone che, forse più di altre, sentono il peso della condanna: i figli dei detenuti che, secondo Favero, sono “le prime vittime. Quei figli che faticano a perdonare ai loro genitori di averli abbandonati, perché di fatto la carcerazione di un padre o di una madre per loro è anche un abbandono. Quei figli che sanno essere giudici spietati”. La giornata di studi si pone dunque un obiettivo ambizioso: cercare di stabilire un contatto tra famigliari di detenuti e persone che hanno subito un reato, invitandoli a un confronto che - sperano gli organizzatori - potrebbe portare a un passo avanti in quel percorso per “spezzare la catena del male”, ma anche per rompere l’isolamento del carcere. “È importante - conclude Favero - che le vittime accettino di mettere la loro sofferenza a disposizione di tutti e di incontrare le famiglie dei detenuti per chiedere insieme pene diverse, che abbiano un senso, che non schiaccino le persone che le devono scontare, che permettano loro di salvare gli affetti e la dignità”. Tra i tanti ospiti che si confronteranno su questi temi, interverrà Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, e Giorgio Bazzega, figlio di Sergio, maresciallo di polizia ucciso dal brigatista Walter Alasia. Bazzega attualmente gestisce su Facebook il gruppo “Per chi non ha paura del dialogo” con Mario Ferrandi, ex esponente di Prima Linea. Ci sarà poi la testimonianza di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi, e interverranno esperti in diritto penale e criminologia e direttori di carcere che presentano buone pratiche. Per informazioni: www.ristretti.it. Giustizia: dossier affettività in carcere; non c’è posto per l’amore, le relazioni non durano Redattore Sociale, 19 maggio 2010 Scontare una pena in Italia significa anche essere privati di sesso e affetti. Valcarenghi, psicoterapeuta: “Nelle stanze libere si dovrebbe poter mangiare, amare, socializzare”. A Bollate (Milano) c’è la camera dell’affettività. Sonya ha 39 anni, ha ucciso cinque pazienti e tentato di ammazzarne altri due all’ospedale di Lecco, dove ogni giorno lavorava come infermiera. Oggi ha una pena di vent’anni da scontare a San Vittore, dove continua a esercitare la professione. Tra le pareti del carcere Sonya ha trovato l’amore e adesso vuole sposarsi col suo fidanzato, un altro detenuto incontrato per caso e col quale ha iniziato un fitto rapporto epistolare. La storia di Sonya è il pretesto per fare il punto su quanto accade nelle carceri italiane quando si entra nella sfera dell’affettività. Sentimento e galera: due dimensioni apparentemente difficili da conciliare. Marina Valcarenghi e Giuliana Proietti sono due autorevoli studiose in materia. Secondo Valcarenghi, psicoterapeuta, scrittrice e per anni alla guida di un gruppo sperimentale di psicoterapia nel reparto di isolamento maschile del carcere di Opera (Milano), quello di Sonya è un caso raro: “In carcere c’è difficoltà ad avere intimità per parlare, passare del tempo, fare l’amore con una compagna. La conseguenza è un effetto corrosivo nella relazione. Gli amori non durano e questo è triste”. C’è chi in Italia ha mostrato sensibilità per questo genere di problemi. Nessuna legge attualmente in vigore impedisce di destinare luoghi all’intimità dei detenuti, dove scambiare una carezza con la propria moglie o semplicemente conversare in tranquillità. Non a caso il carcere di Bollate (Milano) ha istituito una camera dell’affettività. “Un caso esemplare, nato dalla competenza di una persona valida” che, volendolo estendere anche altrove, avrebbe, continua Marina Valcarenghi, un’implicazione troppo impegnativa. “Nelle stanze libere - afferma la dottoressa - si dovrebbe poter mangiare , amare, socializzare. Se non lo si fa è perché questo è faticoso. Bisognerebbe aumentare il numero delle perquisizioni, quindi il controllo e rompere la routine. Si aprirebbero nuove strade e percorsi nella maniera di intendere la pena”. Francesco Maddaloni e Gaetano Pecoraro, Master in Giornalismo Iulm, Milano Giustizia: dossier affettività in carcere; omosessualità tra costrizione e trasgressione Redattore Sociale, 19 maggio 2010 L’analisi di Giuliana Proietti, psicoterapeuta: “La reclusione forzata può portare le persone a modificare, anche temporaneamente, il proprio orientamento. Ma le conseguenze psicologiche possono arrivare al suicidio”. Affetto negato, fisicità mancata. L’inevitabile conseguenza di una costrizione simile comporta nelle carceri italiane l’aumento del fenomeno dell’omosessualità. Secondo Giuliana Proietti, psicologa e psicoterapeuta, “la reclusione forzata, il contatto intimo con persone dello stesso sesso, le esperienze sessuali, dapprima occasionali e poi sempre più ricercate, possono portare la persona a modificare, anche temporaneamente, il proprio orientamento sessuale”. Prima c’è l’autoerotismo, supportato dal consumo di materiale pornografico, poi si cerca il contatto. “Sarebbe superficiale pensare che tra due uomini che fanno sesso, fosse anche per mero bisogno di uno sfogo pulsionale, non nasca una certa complicità, una certa amicizia, un certo affetto - continua Proietti - è normale dunque che in carcere vi siano amori, gelosie e tradimenti”. La galera ha quindi il potere di determinare un cambio nell’identità sessuale ? Secondo Marina Valcarenghi, no. “Chi, all’interno delle carceri, pratica il sesso con persone dello stesso genere resta sempre eterosessuale. Una volta fuori dal carcere le persone ritornano a essere quello che erano prima di entrare in carcere. Non si tratta, quindi di cambiamento d’identità sessuale, bensì di un adattamento forzato alla compressione dell’stinto sessuale”. L’identità non viene messa in discussione, ma la costrizione sessuale determina conseguenze a livello psicologico. “Il detenuto subisce danni enormi che si manifestano con la pazzia, ma soprattutto con l’aumento dell’aggressività a livelli impressionanti. Non ultimo il suicidio” spiega Giuliana Proietti. “I soggetti potrebbero vivere sensi di colpa e vergogna, perdita dell’autostima, crisi di identità, ma anche mostrare un segreto interesse nella ricerca di questi rapporti “particolari”, che in precedenza non si conoscevano, ma assumono valore di trasgressione, e permettono alla persona di rievocare e rivivere esperienze emotive molto forti, difficili da gestire e da dimenticare. Alla base c’è una coazione a ripetere di stampo sadomasochistico”. Francesco Maddaloni e Gaetano Pecoraro, Master in Giornalismo Iulm, Milano Giustizia: dossier affettività in carcere; detenuti e hiv, un alto rischio di trasmissione Redattore Sociale, 19 maggio 2010 La percentuale di sieropositivi nelle carceri è stimata intorno al 7%. Solo una minoranza si sottopone al test. La Lila cerca di porre rimedio con la campagna “Yes we condom” per la distribuzione gratuita di preservativi. Il fenomeno dell’omosessualità, consumato nelle celle, segue dinamiche particolari. Qui la prevenzione è dimenticata in favore dell’impulso e le malattie sessualmente trasmissibili si diffondono, causa anche il consumo di droga. La stima dei detenuti affetti da Hiv e malattie sessualmente trasmissibili è per gioco forza relativa. Il monitoraggio infatti non può essere completo perché solo una minoranza di detenuti, il 35%, come riportano gli ultimi dati rilevati (2003) dall’Istituto Superiore di Sanità, ha deciso di sottoporsi a test diagnostico. La percentuale di sieropositivi negli Istituti penitenziari italiani, è stimata intorno al 7%. L’età media degli infettati era compresa fra i 30 e i 45 anni (11,4%), molti provenivano dal Nord (14,7%) o dalle isole (12,4%), accomunati da uno stato di tossicodipendenza (18,2%) e di omosessualità (50%). Escludendo, invece tossicodipendenti e omosessuali, la prevalenza di infezione da Hiv è stata stimata pari al 3,5% negli stranieri e al 2,6% nei reclusi di nazionalità italiana. Una prevalenze circa 10 volte maggiori rispetto a quelle attese nella popolazione generale, che fa delle carceri una delle realtà a più alta diffusione del virus. Le iniziative per far fronte a questa situazione non mancano, come “Yes, we condom”, campagna per la distribuzione gratuita di preservativi nelle carceri, organizzata dalla Lila (Lega italiana per la lotta contro l’aids). Per il ministro della Salute Fazio, però, “non esistono evidenze di efficacia di tali interventi nel ridurre la trasmissione dell’infezione da Hiv”. La presidente della Lila, Alessandra Cerioli ha risposto spiegando che in Italia “il sesso in carcere è praticato, e non attende certo la nostra legittimazione, ma non può essere protetto”, così come riscontrano pure l’Organizzazione mondiale della Sanità, le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa. Francesco Maddaloni e Gaetano Pecoraro, Master in Giornalismo Iulm, Milano Giustizia: Uil-Pa; un’escalation di violenze contro gli agenti penitenziari Adnkronos, 19 maggio 2010 “Pare inarrestabile l’ondata di violenza che attraversa le nostre prigioni. Ieri a Savona in due distinti episodi due agenti sono rimasti vittime di aggressioni”. Lo afferma, in una nota, Eugenio Sarno, segretario generale Uil Pa Penitenziari, che spiega come “il primo episodio è avvenuto nella prima mattinata, quando un detenuto che rifiutava il trasferimento ha aggredito un agente procurandogli ecchimosi e ferite giudicate guaribili in sette giorni”. “Il secondo episodio - aggiunge Sarno - in tarda mattinata quando un detenuto, già responsabile di fatti violenti, ha preso a sgabellate l’agente di sorveglianza procurandogli una slogatura alla mano con prognosi di 15 giorni”. “La situazione di Savona è particolarmente critica e degradata - fa notare il leader sindacale - vi sono ospitati 86 detenuti per una capienza massima di 40. In alcune celle è stato necessario prevedere letti a castello a tre piani. A Lecce nel pomeriggio di ieri, solo il tempestivo intervento dei poliziotti in servizio ha scongiurato il compiersi di un suicidio tentato da un detenuto”. Giustizia: Sappe; un nuovo sito internet per i 193 anni della Polizia Penitenziaria Comunicato Sappe, 19 maggio 2010 In occasione del 193esimo anniversario del corpo di Polizia penitenziaria, il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) ha inaugurato ieri il sito web poliziapenitenziaria.it. L’elenco dei siti creati dal tecnologico sindacato di Polizia penitenziaria si allunga in occasione dei 193 anni del Corpo. La prima e più rappresentativa organizzazione di categoria, annovera già, oltre alle pagine online del sindacato stesso (sappe.it), quelle del blog della rivista poliziapenitenziaria.net e quelle dell’Associazione Nazionale della Polizia Penitenziaria. Il sito per ora propone una rassegna web delle notizie che riguardano la Polizia penitenziaria, ma l’iniziativa fa parte di un più ampio progetto che permetterà a tutti gli appartenenti al Corpo di discutere del proprio lavoro anche attraverso uno scambio di idee tra tutti gli operatori che gravitano attorno al “pianeta carcere”, compresi i cittadini che vogliono conoscere da vicino il settore. L’occasione per il debutto online è stata quella del 193° Annuale del Corpo di Polizia Penitenziaria, svoltosi ieri a Roma, alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La cerimonia ha avuto inizio la mattina presso l’Altare della Patria a Piazza Venezia dove il Ministro della Giustizia Angelino Alfano, accompagnato dal Capo del Dipartimento Franco Ionta, ha deposto una corona d’alloro al Sacello del Milite Ignoto. La registrazione del dominio poliziapenitenziaria.it risale appena al 7 gennaio pertanto il progetto del nuovo sito non è stato improvvisato per il giorno dei festeggiamenti. Il Sappe ha da tempo anche un canale video su YouTube e un profilo su Facebook. Il sindacato aderisce al progetto dell’Associazione “Pianeta carcere”, il cui sito internet è raggiungibile attraverso il link pianetacarcere.it, con l’intento di rendere comprensibile a tutti, anche a chi con il carcere non ha nulla a che fare, gli aspetti storici, giuridici ed amministrativi di questo settore dell’amministrazione pubblica. Livorno: archiviata l’inchiesta sulla morte di Marcello Lonzi, per i giudici fu un malore Ansa, 19 maggio 2010 Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Livorno Rinaldo Merani ha archiviato stamani l’inchiesta sulla morte di Marcello Lonzi, detenuto morto nel carcere delle Sughere l11 luglio 2003. Lo stesso pm Antonio Giaconi aveva chiesto l’archiviazione della posizione dei tre indagati, un compagno di cella di Lonzi accusato di omicidio preterintenzionale, e due agenti della polizia penitenziaria per omessa vigilanza. Ma la famiglia di Lonzi aveva fatto opposizione. Secondo il gip, comunque, Lonzi morì a causa di un malore. Il gip, inoltre, ha ritenuto che l’inchiesta sia stata esaustiva nell’escludere responsabilità dolose o colpose. Già nel 2004 lo stesso Merani aveva archiviato una prima inchiesta su questo decesso in carcere. Fuori del tribunale, durante l’udienza, una ventina di persone ha manifestato con striscioni contro la decisione della procura livornese di chiudere l’inchiesta senza individuare il responsabile di un presunto pestaggio in cella. Quando Maria Ciuffi, la madre di Lonzi, piangendo ha annunciato ai presenti l’esito dell’udienza si sono levate grida all’indirizzo del tribunale come “vergogna” e “Stato assassino”. “Me l’aspettavo - ha spiegato Maria Ciuffi fuori dal tribunale - ma la speranza di una mamma non finisce mai. Con la procura di Livorno ho chiuso. Ringrazio chi mi ha aiutato a combattere in questi sette anni. Purtroppo ho perso”. La madre di Lonzi ha annunciato che, dopo aver letto le motivazioni del giudice, presenterà ricorso. Empoli: tornerà il carcere femminile, sfuma l’idea dell’istituto per detenuti trans Ansa, 19 maggio 2010 Ne è convinto il provveditore regionale del Dap, Maria Pia Giuffrida. Sfuma l’idea dell’istituto per detenuti trans. Santi Consolo (vicedirettore Dap): “Apertura imminente”. L’istituto penitenziario Pozzale di Empoli, vuoto dal 4 marzo, diventerà un carcere femminile. Lo ha annunciato il provveditore regionale Maria Pia Giuffrida, spiegando che “sono sicura al 99% che la struttura sarà destinata a detenute donne”. Sfuma così la possibilità dell’istituto penitenziario per trans, originariamente ipotizzata dal Dap e dallo stesso provveditore regionale. Nei giorni scorsi si è tenuta una riunione tra i vertici regionali e nazionali del Dap nel quale è stata esaminata la situazione del carcere Pozzale. “Sul tavolo sono state messe tantissime proposte - ha spiegato Giuffrida - Ma alla fine quella del carcere femminile sembra la più concreta”. Secondo Santi Consolo, vicedirettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, l’apertura del carcere è soltanto questione di giorni. “Siamo in dirittura d’arrivo - ha detto - Entro l’estate l’istituto dovrebbe essere riaperto”. Sulla lentezza delle operazioni di riapertura, Consolo ha spiegato che “non è facile attivare una struttura che non ha una sua autonomia, ci sono tanti problemi da superare, come la reperibilità del personale e la valutazione della destinazione”. In ogni caso, precisa Consolo, “l’amministrazione penitenziaria sta lavorando affinché si arrivi in tempi rapidi alla funzionalità del carcere”. Nei giorni scorsi il Comune di Empoli ha espresso le proprie lamentele per l’inutilizzazione della struttura, e per i relativi fondi economici bruciati che potevano essere destinati ad opere pubbliche nell’area comunale. Sulla questione, il vicedirettore del Dap ha espresso la condivisione delle lamentele, sostenendo che “il Comune di Empoli in questo caso ha ragione”. Empoli: il carcere è vuoto da un anno, ma spesi 700mila euro per mantenerlo in funzione Il Tirreno, 19 maggio 2010 Il ministro Angelino Alfano non ha probabilmente mai visitato Pozzale. Ma sicuramente nella contabilità delle spese del suo ministero figura che per tenere vuoto questo carcere si sono già bruciati circa 700mila euro. Una somma con cui il Comune di Empoli avrebbe potuto dare una discreta risistemata a tutte le scuole del territorio oppure alle buche di numerosissime strade. Ma finora, il motivo è ignoto, ha prevalso la linea di spendere senza senso, per tenere una struttura inutilizzata. È un anno che il carcere è vuoto e due mesi che il ministro Alfano ha bloccato il progetto di farne una struttura per transgender. Ecco perché il garante dei detenuti del Comune di Firenze ha deciso di iniziare uno sciopero della fame. Con la struttura chiusa, però, all’interno di Pozzale ci lavorano comunque una ventina di persone: 4/5 persone per turno tenendo in considerazione ferie, malattie e permessi. Considerando che uno stipendio medio lordo di una guardia carceraria si aggira sui 2.500 euro al mese, in un anno sono stati spesi 600mila euro inutilmente. E se si aggiunge le spese per le bollette della struttura e per pagare le missioni degli altri otto dipendenti di Pozzale che stanno lavorando in altri carceri si arriva a circa 700mila euro. Ecco qunato lo Stato ha deciso (finora) di gettare dalla finestra. A questa somma si deve poi sommare i soldi che sono stati spesi nei mesi scorsi per aumentare la sicurezza. Ma rispetto a chi non è ancora chiaro. Le voci si rincorrono: radio carcere ipotizza che a Pozzale arrivino di nuovo le donne senza regime attenuato oppure gli ospiti del carcere di Arezzo che deve essere chiuso per lavori di ristrutturazione. Franco Corleone comincerà questa forma di protesta domenica 23 maggio se nella prossima settimana “non interverranno - spiega lui stesso - decisioni che cancellino la vergogna di un istituto vuoto, quello di Empoli, in tempo di intollerabile sovraffollamento”. “La situazione delle carceri in Toscana e a Firenze - spiega ancora Corleone - continua a rimanere nello stato di gravità denunciato più volte vanamente. Dal 4 marzo scorso, data in cui doveva partire il primo esperimento di carcere transgender, sono passati inutilmente molti giorni e nessuna risposta è giunta. Circola la voce che il carcere sarà nuovamente destinato alla detenzione femminile, non transessuale. Sono curioso, come credo tutti, di sapere se il divieto di Alfano è per moralismo o per pruderie perbenista. Abbiamo pazientato anche troppo!”. Lo sciopero della fame, precisa poi Corleone, comincerà domenica 23 “in vista anche della festa del corpo della polizia penitenziaria, che si terrà giovedì 27 maggio alla Badia Fiesolana a Firenze”. Forlì: il Dap risponde alla richiesta del presidente della provincia, in arrivo 8 agenti Dire, 19 maggio 2010 Aveva scritto al ministero della Giustizia dopo una visita al carcere della Rocca, in cui aveva definito preoccupanti le condizioni della struttura, tra sovraffollamento di detenuti, pesante sotto-organico e situazione igienico-sanitaria. Il vice-presidente della Provincia Guglielmo Russo, a distanza di circa un mese da quella denuncia, ottiene una risposta da Roma. In particolare, dal dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria fanno sapere che giungeranno a Forlì otto nuove unità di personale, proveniente dal corso allievi agenti appena concluso. Un altro grave problema segnalato da Russo era la forte presenza di ratti (non nelle aree che ospitano le celle e gli spazi per i detenuti). “Per quanto concerne le segnalate carenze igienico sanitarie, si comunica che oltre ad essere effettuati con regolare frequenza periodica interventi di derattizzazione da parte di una ditta specializzata, ogni anno ne vengono eseguiti almeno due a carattere straordinario”, indica la nota di risposta del dipartimento. Cagliari: “bolletta pazza” a un detenuto, 227 euro di spese processuali diventano 5mila La Nuova Sardegna, 19 maggio 2010 Due bollette pazze sono state recapitate a Buoncammino a un detenuto siciliano che, a fronte di un debito di 227 euro per spese di giustizia, risalente a una vicenda giudiziaria del 1997, dovrebbe pagare circa 3 mila euro a Equitalia e circa 2 mila a Equisardegna. La denuncia arriva da Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme”. Il detenuto sconta una pena per un sequestro di persona commesso in Lombardia al quale era seguito un lungo periodo di latitanza. È a Buoncammino da due anni, non ha uno stipendio da cui eventualmente l’esattore può far prelevare il quinto della paga perché l’uomo non è in ottime condizioni di salute e quindi non può lavorare. Il detenuto deve ancora una quota delle spese processuali che gli sono state addebitate a conclusione del processo, non risulta che abbia familiari o comunque alle visite in carcere in questi anni cagliaritani non si è mai presentato nessuno, davvero c’è il rischio che debba essere l’unico destinatario di una richiesta di questa natura. Il punto è che ormai il detenuto non è nelle condizioni di pagare: D.C., queste le sue iniziali, ha presentato per due volte al magistrato di sorveglianza istanza per la remissione del debito, ma entrambe gli sono state respinte. “Ora - precisa Caligaris - dinnanzi alla prospettiva che il debito, durante il periodo di detenzione, possa crescere a dismisura, per effetto degli interessi e della mora, ha presentato un’altra istanza sottolineando la mancanza di reddito e precisando di avere nel conto a Buoncammino circa 150 euro. È infatti preoccupato che il debito possa vanificare qualsiasi possibilità di reinserimento nella società una volta scontata la pena e potendo contare solo su una modesta pensione peraltro non ancora riconosciutagli. È opportuno - conclude la presidente di Sdr - che la magistratura accerti le effettive possibilità economiche di D.C.”. Caligaris suggerisce anche che Equitalia “verifichi l’errore”: ma si tratta di errore oppure della solita tragedia dei debiti che messi nelle mani degli esattori si moltiplicano a dismisura col consenso della legge? Caligaris commenta: “Bisogna allontanare lo spettro delle ganasce da una persona che, pagato il conto con la giustizia, pagato il conto con la giustizia, ha la volontà di rifarsi una vita”. Un caso che rende i detenuti identici a tutti gli altri cittadini: tanta parte dei debitori di uffici che erogano servizi pubblici si trovano anche in condizioni molto peggiori e, a parte le rateizzazioni che comunque non abbassano mai troppo le cifre mensili da corrispondere, non hanno speranza di appello. Diverso è il caso degli errori: è un errore quello che affligge il detenuto che ha la prospettiva di uscire dal carcere fra circa otto anni? Caligaris nella denuncia pubblica sollecita la necessità che si proceda a un approfondimento da parte degli esattori di Equitalia ed Equisardegna. Trani: si inaugura il laboratorio sartoriale di “Officina Creativa” sperimentato a Lecce Asca, 19 maggio 2010 Borse “Made in carcere” per avere, durante e dopo il periodo di detenzione, una seconda chance. Dopo i taralli nel carcere maschile, le detenute della casa circondariale di Trani produrranno borse di tessuti riciclati nel laboratorio sartoriale allestito da “Officina Creativa”, una cooperativa sociale senza scopo di lucro, creata e amministrata da Luciana Delle Donne, che nel 2007 ha dato vita al marchio “Made in carcere” per borse, accessori e shopper bag colorate e originali, realizzate dalle detenute del carcere di Lecce. Il secondo laboratorio pugliese è stato inaugurato questa mattina alle 10.30 nella struttura penitenziaria di piazza Plebiscito dal governatore Nichi Vendola e dal gruppo Megamark di Trani. Quest’ultimo, con alcuni dei suoi supermercati presenti in Puglia, Campania, Lazio e Molise, diventerà infatti il primo cliente delle detenute tranesi: le borse saranno distribuite in alcuni dei punti vendita della catena amministrata da Giovanni Pomarico. L’intento di “Officina Creativa” è quello di fornire anche alle 15 detenute tranesi - alcune delle quali condannate anche all’ergastolo - una “seconda chance”, dando loro l’opportunità di imparare un nuovo mestiere. Ma è anche “seconda chance” per materiali e tessuti, che anziché essere gettati acquistano nuova vita per la realizzazione delle borse. Nel supercarcere maschile di via Andria invece, già da due anni, alcuni detenuti si dedicano alla produzione di taralli artigianali che ora sono distribuiti attraverso la rete Ipercoop pugliese. In questo caso la produzione avviene con l’aiuto della cooperativa gravinese “Campo dei Miracoli”, che si occupa della preparazione dei pasti nel carcere insieme ai detenuti appositamente formati. Ma appunto da due anni si producono taralli che vengono distribuiti all’esterno, oltre che nello spaccio dell’istituto di pena tranese. Roma: l’arte dietro le sbarre, in mostra le opere delle detenute di Rebibbia Redattore Sociale, 19 maggio 2010 Progetto “Donne multietniche”: gli ultimi due venerdì e sabato di maggio, le opere realizzate dalle detenute usciranno dal penitenziario femminile di Roma per diventare una mostra-mercato itinerante nei supermercati Coop della città. Esiste l’arte anche dietro le sbarre. E per quattro giorni, gli ultimi due venerdì e sabato di maggio, le opere realizzate dalle detenute del carcere di Rebibbia usciranno dal penitenziario femminile di Roma per diventare una mostra-mercato itinerante nei supermercati Coop della città. Ceramiche, batik, mosaici, quadri e sculture, coi colori dell’Africa, del Medio Oriente e del Sudamerica, sono il frutto del progetto “Donne multietniche” e il risultato del lavoro delle detenute - una quindicina di ragazze in maggioranza straniere - che frequentano il corso di decorazioni organizzato dal liceo statale d’arte Roma2 all’interno della casa circondariale femminile di Rebibbia. E grazie alla collaborazione con Unicoop Tirreno, e al patrocinio della provincia di Roma, del ministero di Giustizia e del garante dei diritti dei detenuti del Lazio, le opere escono dalla prigione per mostrarsi alla città. “Carcere, scuola e centri commerciali, tre luoghi apparentemente inconciliabili della società, si intrecciano in una buona pratica per far vedere che la funzione riabilitativa della pena è l’unica garanzia di sicurezza per i cittadini”, ha detto l’assessore alle Politiche culturali della provincia di Roma Cecilia D’Elia oggi in conferenza stampa. “E la formazione è fondamentale per poter parlare di trattamenti rieducativi, reinserimento sociale delle detenute e rispetto delle differenze”, le ha fatto eco Ida Del Grosso, vicedirettrice della sezione femminile di Rebibbia. Un’affermazione ribadita anche da una stessa alunna del corso, Zagami Jaqueline Virginia, 46enne uruguayana, che dietro le sbarre ha imparato di “avere una possibilità e poter ricominciare”. “Imparare a decorare o a dipingere può essere utile per reintrodursi nella vita di tutti i giorni con un lavoro, anche autonomo”, ha aggiunto Mariagrazia Dardanelli, dirigente scolastico del liceo statale d’arte Roma2. La preside si è poi detta preoccupata circa la prosecuzione del corso quando, “con la riforma delle superiori, l’educazione degli adulti passerà ai centri territoriali permanenti”. Sull’importanza del lavoro in carcere si è soffermato anche il garante dei diritti dei detenuti del Lazio: “Serve a mandare qualche soldo alle famiglie”, ha spiegato Angiolo Marroni, che ha poi sottolineato “l’importanza della cultura in carcere e di iniziative come il teatro e l’università per i detenuti”. Le opere saranno esposte il 21 e 22 maggio nei supermercati Coop di via Laurentina (angolo via Sapori) e di via Bettini (angolo via Cervi), mentre il 28 e 29 maggio saranno all’ipercoop Casilino (in via Casilina 1011) e al supermercato di Colli Aniene in via Franceschini all’altezza di largo Franchellucci. Il ricavato della vendita andrà in parte alle detenute e in parte al liceo artistico per l’acquisto di materiali destinati al corso. Quella di Unicoop Tirreno è la terza iniziativa intrapresa con le carceri, dopo le orate allevate dai detenuti dell’isola di Gorgona e i vini prodotti nella casa circondariale di Velletri. Ecuador: l’Associazione Antigone ha siglato un accordo per la tutela dei detenuti Ansa, 19 maggio 2010 L’associazione Antigone ha firmato questa mattina presso la sede dell’ambasciata dell’Ecuador in Italia un accordo di collaborazione a beneficio dei cittadini ecuadoriani detenuti in territorio italiano. La Defensora del Pueblo ha come funzione la protezione e la tutela dei diritti umani degli abitanti dell’Ecuador o degli ecuadoriani residenti all’estero e ha tra le proprie competenze quelle che specificamente si rivolgono alle persone detenute. Mancando in Italia una figura omologa, informa l’associazione, la Defensora del Pueblo ha valutato di stipulare l’accordo, che in altri paesi è stato firmato da figure istituzionali, con Antigone, da oltre vent’anni impegnata nel garantire i diritti e le garanzie nel sistema penale e penitenziario e che a tal fine ha istituito un Osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione nonché ha promosso al proprio interno un ufficio del Difensore civico dei detenuti. Antigone si impegnerà nei prossimi mesi a stipulare analoghi accordi con figure di tutela e promozione dei diritti dei detenuti di altri paesi del mondo, al fine di creare una rete di cooperazione più sviluppata possibile, anche in vista dell’altissima percentuale di detenuti stranieri nelle carceri italiane.