Giustizia: se il carcere diventa pena di morte, tra i silenzi del Governo e i ricatti della Lega di Valter Vecellio (Direzione Nazionale Radicali) L’Unità, 15 maggio 2010 Con la morte di Eraldo Di Magro, che si è impiccato nel carcere di Como, e quella di un detenuto bulgaro, nel carcere milanese di San Vittore, sono 102 i detenuti suicidi negli ultimi 18 mesi. Il segretario della Uil-Penitenziari Eugenio Sarno denuncia: “Le recenti polemiche tra membri del Governo contribuiscono ad allontanare i tempi per quelle soluzioni sempre più urgenti e necessarie. E un bruttissimo segnale che deprime ancora di più il personale: comincia a radicarsi l’idea che si opera in solitudine nel più completo abbandono e disinteresse”. Nel frattempo il governo, prigioniero di veti e demagogie della Lega è paralizzato. Il “piano carceri” è in gestazione da un anno e mezzo, ma non si sa in cosa consista. Il ministro della Giustizia promette, come fa da un anno, che si stanno predisponendo 21.479 nuovi posti, annuncia che saranno assunti duemila nuovi agenti; ma non una parola sui tempi di attuazione del “Piano”, le modalità, i costi, i luoghi; ancor più silenzioso sulle carceri date in appalto, nel 2005, con procedura d’urgenza e segretezza, non ancora terminate - e sono trascorsi già cinque anni - appaltate in alcuni casi a ditte che fanno capo ad elementi di quella “cricca” su cui stanno indagando i magistrati di Perugia. Discorso a parte, il ddl in discussione alla Camera: demagogia e speculazioni a gogò. La Lega evoca il rischio di un aggravamento della situazione ordine pubblico. Previsioni non si sa bene su cosa fondate, e illogiche: un pregiudicato cui mancano solo 12 mesi prima di essere libero, se posto agli arresti domiciliari, starà ben attento a non “sgarrare” ha tutto da guadagnare... Nel frattempo è caduto il cosiddetto “automatismo”. Sarà il giudice a decidere o meno se mandare ai domiciliari un detenuto applicando le misure alternative. Ma lo poteva fare già, non c’è bisogno di un ddl. Per alleggerire davvero le carceri occorrerebbe eliminare la detenzione per alcune ipotesi di reato come il decreto di espulsione o alcune condotte legate alla tossicodipendenza. Le carceri si svuoterebbero di alcune migliaia di persone che non fanno altro che entrare e uscire, perché non sono ritenuti pericolosi e per le quali sarebbe più utile la sistemazione in altre strutture. Intanto, la deputata radicale eletta nel Pd Rita Bernardini e un’altra dozzina tra militanti e dirigenti radicali da quasi un mese sono impegnati in uno sciopero della fame: per aiutare chi deve decidere, a farlo. È un “allarme” accorato e preoccupato: presto sarà estate; e d’estate tutti i problemi nel carcere crescono, incancreniscono, con sviluppi ed evoluzioni pericolose, incontrollabili. È questo che si vuole? Giustizia: arriva un modulo per permettere ai detenuti di denunciare “condizioni disumane” Redattore Sociale, 15 maggio 2010 I Garanti dei detenuti diffondono un documento che consentirà un reclamo immediato al magistrato di sorveglianza. La coordinatrice nazionale, Desi Bruno: “Un disastro annunciato: quest’estate la popolazione carceraria toccherà quota 78 mila”. Un modulo di reclamo standard che ogni detenuto potrà presentare al magistrato di Sorveglianza per denunciare situazioni disumane di detenzione: è questa la risposta del Coordinamento nazionale dei garanti dei diritti delle persone in carcere “all’immobilismo politico che caratterizza il dibattito sul sovraffollamento degli istituti di detenzione”. Come spiega la coordinatrice nazionale dei garanti Desi Bruno, “quest’estate raggiungeremo la cifra di 78.000 detenuti. La capienza delle carceri è di 43.000 posti. È stata fissata una soglia di tolleranza arbitraria di 73.000 posti, che già prevedeva di stipare i carcerati. E stiamo comunque riuscendo a superarla”. I garanti hanno quindi deciso di predisporre per i detenuti il testo standard per un reclamo da presentare al magistrato di Sorveglianza. Il documento, che sarà utile anche in caso di ricorso alla Corte europea, permette di richiedere le condizioni minime di vivibilità per quanto riguarda la detenzione o sollecitare l’applicazione di misure alternative al carcere quando possibile. La Bruno spiega così l’utilizzo e l’efficacia del modulo: “I reclami si concentrano generalmente sull’ambito delle misure disciplinari adottate dal carcere. È un mezzo poco utilizzato, avrebbe bisogno di una ridefinizione normativa. Ma sicuramente questa iniziativa servirà a sensibilizzare di più l’opinione pubblica”. “La scorsa estate più di 200 detenuti della Dozza di Bologna hanno presentato un reclamo per le loro condizioni”, continua la garante, “ma non sono stati assolutamente ascoltati, e c’è chi ancora deve dormire per terra. Dobbiamo informare su queste situazioni”. Secondo una nota del Coordinamento garanti, la decisione di ricorrere al modulo di reclamo è stata presa perché “non c’è nessun piano carceri, e qualunque forma di intervento politico si scontra con la paura della perdita dei consensi”. Per far fronte al sovraffollamento, i garanti hanno ripetutamente chiesto il ricorso al decreto legge, a suo tempo annunciato da Silvio Berlusconi, che introduce gli arresti domiciliari per chi deve scontare meno di un anno di pena. Di fronte a questa proposta però già in molti hanno evocato lo spettro dell’indulto mascherato, che ha subito paralizzato l’iniziativa, facendo virare le forze politiche su una nuova ipotesi di detenzione domiciliare, “che è però - dicono i garanti - l’inutile copia della normativa attualmente esistente e non avrà nessun effetto concreto sul numero dei detenuti e sul problema del sovraffollamento”. Giustizia: Corleone; il ddl Alfano è misura inutile, in Italia c’è un problema di detenzione etnica Ansa, 15 maggio 2010 Il ddl Alfano sulle carceri? “Una provocazione”. Lo ha detto il garante fiorentino dei detenuti ed ex componente della Commissione giustizia della Camera, Franco Corleone, parlando a margine di un convegno nazionale sulle carceri in corso a Fiesole (Firenze). “Avevo già giudicato il primo testo Alfano una schifezza - ha detto Corleone -. Si poteva utilizzare questo provvedimento per renderlo un’occasione importante ed è quello che abbiamo fatto come associazioni presentando a Governo e Parlamento una serie di emendamenti per incidere sulla questione dei tossicodipendenti in carcere. Perché - spiega Corleone - è questa la vera e grande questione che spiega il sovraffollamento delle carceri, visto che oltre la metà dei detenuti in carcere sconta la violazione della legge sulle droghe oppure perché tossicodipendenti e quindi produttori di reati di microcriminalità”. “I nostri emendamenti non sono stati colti: non mi stupisce che non l’abbiano fatto né Alfano né Maroni che hanno invece sostenuto la commedia delle parti, uno sul piano dell’improvvisazione l’altro sul piano della demagogia. Ma nemmeno Giovanardi ha avuto la forza di presentare questi emendamenti e nemmeno l’opposizione. Quindi si va ad un provvedimento del tutto inutile. Lascino perdere: non sono capaci di fare riforme. E si preparino perché il dies irae si sta avvicinando”. In Italia c’è un problema di detenzione etnica La morte del welfare e il razzismo assumono nel carcere questo volto: poveri e stranieri ammassati nell’istituzione totale per non turbare le anime belle e la pretesa della sicurezza dei cittadini “onesti” e di coloro che vogliono essere “padroni a casa propria” - ha detto Corleone -. La multi etnicità sentita come rischio incombente nella società è realtà acquisita in carcere. La presenza di detenuti stranieri si aggira in Italia intorno al 40%, ma nelle carceri metropolitane del centro-nord la percentuale supera il 60%. In moltissimi casi si tratta di persone che, se fossero italiane, non passerebbero certo dal carcere. I reati contestati ai detenuti stranieri vanno dal piccolo spaccio al furto, dalla rissa all’oltraggio e alla resistenza a pubblico ufficiale e spesso alla mera violazione delle norme sull’espulsione. Insomma - ha concluso Corleone - emerge un quadro di condotte di disturbo punite esemplarmente per accreditare nell’ immaginario collettivo l’equazione straniero=criminale e giustificare la politica dei respingimenti senza il diritto al riconoscimento della condizione di rifugiati. Giustizia: Stefano Gugliotta e gli altri… quei ragazzi picchiati per la loro innocenza di Francesco Merlo La Repubblica, 15 maggio 2010 È agghiacciante il racconto di Stefano Gugliotta che urlava le sue ragioni e loro lo menavano, è orribile quel suo sorriso sdentato che ci coinvolge tutti, ci commuove e ci spaventa. Ma ad inchiodare la polizia italiana è soprattutto la sua pulitissima difesa della polizia italiana. La maggior parte degli agenti sono in buona fede e non si abbandonano ad abusi di potere”. È questa l’accusa più forte, l’idea di un povero ragazzo che si consegna alla polizia come Lucia si consegna alla monaca di Monza: pensava che lo avrebbero protetto e invece lo hanno pestato. E fanno i prepotenti con i ragazzini disadattati. Non sono la versione italiana del “Dirty Harry” impersonato da Clint Eastwood. Non fanno i duri coni malandrini ma con i poveracci. Rompono i denti al fragile Stefano e non ai casalesi. Ammazzano di botte il drogato Cucchi e non i boss mafiosi. Non sono insomma giustizieri della notte che si sentono assediati ma, al contrario, sono vigliacchi impuniti tutti questi picchiatori in divisa che si sono accaniti su quattro ubriachi a Ferrara, e su Giuseppe Uva, e su Federico Aldovrandi...: su tanti, troppi poveri cristi, la cui spavalderia è fatta di dolcissima debolezza e spesso di marasma psicologico, giovani disgraziati che hanno bisogno di aiuto e non di botte, di severità ma non di pugni in faccia, di controllo ma non di brutalità. E va bene che ogni caso fa storia a sé, ma il numero degli abusi, dei pestaggi registrati dai video amatoriali, delle denunzie non campate in aria e persino dei morti ammazzati comincia ad inquietare anche chi non crede alla polizia fascista, ai carabinieri che sarebbero per natura sceriffi sadici o, per scelta politica, la mano armata di un qualche imperialismo multinazionale. Insomma è come se un pezzo di polizia si fosse organizzata in banda e avesse assunto su di sé i valori della società del male. Ma Stefano Gugliotta ci insegna che la polizia italiana non è più quella di Scelba o di Tambroni, non è quella con la “k” e non è neppure quella che a Genova si permise abusi e violenze che rimasero comunque isolati e che stavano dentro gli scontri di piazza, dentro l’impreparazione politica di alcuni funzionari spiazzati dalla rabbia organizzata dei no global. Invece qui ci sono agenti che si abbandonano all’odio contro i fermati, contro gli indifesi, contro quelli che dovrebbero tutelare anche quando devono reprimerli. Da un lato loro, protetti dalla divisa, e dall’altro questi ragazzi sospetti, fermati ed esposti all’autorità; loro armati e quelli inermi; loro organizzati e in tanti e quelli soli con se stessi e con le loro paure. E va bene che il questore di Roma ha chiesto scusa alla mamma di Gugliotta ed è vero che il poliziotto è in contatto con il peggio del mondo e magari non ha modelli culturali molto forti, ma sono diventate davvero troppe queste orribili violenze. Sarebbe dunque necessario che ora la polizia indagasse sulla polizia, che riflettesse sul reclutamento, che denunziasse se stessa. E ci vogliono colleghi che isolino colleghi perché il volto di un qualunque poliziotto è il volto di tutta la polizia e non è giusto che gli italiani, dietro ogni divisa, scorgano un mostro. Niente indulgenza, né tolleranza né comprensione per chi, a calci e schiaffi, non ha avuto rispetto per stesso e per il proprio ruolo, per chi rischia di trasformare un simbolo di difesa in un simbolo di vessazione. Ci sono nel paese troppi luoghi di impunità, troppi poteri che si autoassolvono. L’impunità è un modello che l’Italia ha prodotto in una sorta di laboratorio, insieme con la pizza, gli spaghetti e gli abiti firmati. Ma il rapporto tra la polizia e gli italiani non può tornare ad essere teso come ai tempi di Pasolini. Gli italiani sono troppo occupati a combattere con il presente e con il proprio paese. Ci sono politici che rubano e commettono abusi e delitti di Stato, e può persino succedere che una guardia si tramuti in ladro e che alcuni poliziotti scoprano di avere in corpo l’odio e la violenza. Ma deve essere la polizia a fermare la polizia. Il processo di identificazione deve ritrovare i suoi valori positivi: è vero che il poliziotto che si comporta da criminale rappresenta tutta la polizia, ma è altrettanto vero che il poliziotto che ferma - arresta! - il poliziotto criminale diventa tutta la polizia. Giustizia: caso Gugliotta; il Capo della Polizia chiede scusa, arrivano nuove accuse per gli agenti Ansa, 15 maggio 2010 Le scuse del capo della Polizia Manganelli ma anche nuove accuse agli agenti da parte di un altro giovane arrestato la sera della finale di Coppa Italia Inter-Roma. Sul caso Gugliotta, il giovane arrestato e scarcerato dopo che un video ha testimoniato di un pestaggio prima dell’arresto, oggi alla festa della Polizia Antonio Manganelli ha spiegato che “quando accadono questi fatti, c’è amarezza e forte rammarico e voglia di scusarsi con tutti. Ci sono migliaia di uomini e donne straordinarie nelle forze di polizia che lavorano ogni giorno raggiungendo ottimi risultati e possono esserci fisiologici momenti di smagliatura. Per prevenirli abbiamo costituito un anno fa la Scuola della formazione e tutela dell’ordine pubblico che insegna buone pratiche”. Intanto, in una conferenza stampa al Senato promossa dall’Idv i parenti di uno dei sette ragazzi ancora in carcere hanno denunciato soprusi subiti dal loro congiunto. “Mi hanno pestato. Poi, all’interno della camionetta, mi hanno fatto mettere in ginocchio e mi hanno camminato sopra in due”: così Stefano Amicone, trentenne imprenditore romano, tuttora a Regina Coeli, ha raccontato alla sua compagna Michela Reali ciò che successe la sera del 5 maggio. Alla conferenza stampa ha partecipato anche il senatore dell’Idv Stefano Pedica che ha lanciato un appello per la loro scarcerazione: “È una retata di incensurati - ha spiegato Pedica, che ogni giorno li va a trovare - o c’era il bisogno di fare numero o c’è certamente qualcosa che non va. I capi d’imputazione sono ingiurie, resistenza e oltraggio, ma non si parla di partecipazione agli scontri: perché in carcere non ci sono le persone che hanno lanciato i sassi?”. Dietro le sbarre, invece, ci sono “degli innocenti - spiegano le famiglie - persone sbagliate al momento sbagliato”. Emanuele De Gregorio e Stefano Carnesale, per esempio, due abruzzesi di 19 anni, si sono fermati a raccogliere una canna di plastica per appendere il Tricolore quando ci saranno i Mondiali. Sono anche della Juve: amano il gioco, non il tifo - spiega la sorella del primo. Due “bimbi” gracili e inesperti. Emanuele Pecorone, in cella anche lui, ora ha lividi e una rotula rotta. Antonello Cori ed Emiliano Giacomobono stavano solo mangiando un panino vicino a un camion bar. Luca Danieli, unico non incensurato, è stato ripreso mentre viene urtato da un’auto bianca. Ha una vertebra schiacciata e 30 giorni di prognosi. Amicone, addirittura, ha i legamenti della gamba rotti: “Figurarsi se poteva fare tafferugli - spiega la compagna - E poi è tifoso, ma non è un ultrà. Nostro figlio chiede di lui: gli dico che è in viaggio e ha il cellulare scaricò. Pedica ritiene che, tenendo conto dei tempi tecnici, potrebbero essere rilasciati già nelle prossime ore, ma intanto sta organizzando nel carcere una partita di calcetto incensurati-agenti (lui starà in squadra con i primi): Sono giovani come mio figlio, come potremmo essere noi - ha spiegato - che da otto giorni si chiedono “perché siamo qui?”. Ogni giorno che passa hanno sempre meno fiducia nelle istituzioni. Pensiamo anche al loro futuro, al lavoro che potrebbero perdere, alla loro dignità. Non lasciamoli soli. Intanto Pedica ha presentato un ddl nel quale si chiede l’introduzione dell’Ufficio matricola e della cartella del detenuto con i suoi dati sanitari negli uffici di polizia giudiziaria, i quali, insieme ai penitenziari, dovranno essere video sorvegliati “a tutela dei fermati, ma anche degli uomini in divisa”. Giustizia: l’Idv presenta proposta legge per videosorveglianza in uffici polizia, a tutela dei fermati Ansa, 15 maggio 2010 Ufficio matricola negli uffici di polizia giudiziaria, cartella personale dell’arrestato, e un sistema di videosorveglianza, oltre che negli uffici stessi, anche nei penitenziari e negli ospedali psichiatrici giudiziari. È quanto vuole introdurre un disegno di legge d’iniziativa del senatore Idv Stefano Pedica illustrato stamattina nel corso di una conferenza stampa in Senato. “Con la creazione della cartella personale dell’arrestato, fermato o detenuto - ha spiegato - nella quale vengono registrate e aggiornate a ogni trasferimento le sue condizioni psicofisiche, sarà possibile monitorare permanentemente la salute del soggetto, anche grazie a fotografie”. La videosorveglianza, invece, consentirà di “prevenire e arginare i reati di abuso di autorità, violenza e lesioni che le recenti cronache hanno mostrato, purtroppo, commessi anche da soggetti dell’autorità di pubblica sicurezza”. I filmati potranno essere adoperati inoltre come materiale indiziale. Secondo il senatore lo scopo della proposta è duplice: “Garantire l’integrità fisica e morale di ogni individuo, ma anche tutelare il lavoro prezioso delle forze dell’ordine, che non deve essere scalfito da errori commessi da singoli soggetti: solo tramite l’accertamento delle responsabilità individuali e la prevenzione di violenze - ha concluso - l’onorabilità delle forze dell’ordine nel suo complesso sarà garantita”. Lettere: RdB Penitenziari scrive ad Alfano e Ionta per denunciare lo stato di abbandono degli Uepe Comunicato stampa, 15 maggio 2010 Questa O.S. ha più volte denunciato lo stato di abbandono in cui versano gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna, situazione che oramai si dilunga da troppo tempo e che si è purtroppo incancrenita nel disinteresse generale della politica della giustizia. È di tutta evidenza che il sovraffollamento del carcere lo si vuole contrastare con l’incremento dell’edilizia penitenziaria e con l’ampliamento delle misure alternative alla detenzione. Ma queste ultime hanno senso se e solo se servono alla riduzione della recidiva, così come l’incremento dell’edilizia penitenziaria ha come fine non il solo contenimento di carne umana, ma trova la sua ragione d’essere nelle opportunità che l’istituzione nel suo complesso offre al reo, per cui sì c’è bisogno di polizia Penitenziaria, ma anche e soprattutto di adeguate politiche di restituzione del reo alla società civile. Un vecchio detto, noto in tutta Italia, dice che “non si possono fare le nozze con i fichi secchi”, analogamente non si possono incrementare le misure alternative se non si pensa ad un incremento degli operatori addetti ad essi. Abbiamo denunciato - senza risultati - che non sono previsti concorsi a fronte di un esodo per pensionamento di 200 unità su circa 1000 e, d’altro canto, langue nei meandri della burocrazia ministeriale, il transito di questi professionisti operanti in settori diversi dal penitenziario, attraverso le procedure di mobilità. La Carenza di organico e nell’organico sovraccarica i pochi presenti che devono troppo spesso lavorare “gratis” e senza alcun riconoscimento tangibile. A questo si aggiunga la penuria di mezzi e di personale di supporto. In taluni Provveditorati sono state tolte le macchine per il servizio esterno. Si pensi a realtà come il Trentino o il Friuli, dove l’affidato o il semilibero vive prevalentemente in mezzo alle montagne o anche la Sicilia o la Calabria dove i mezzi funzionano poco e male. A questo si devono aggiungere due variabili tra loro indipendenti, egualmente distruttive. L’incapacità di taluni dirigenti ad espletare il proprio mandato: non si possono fare le telefonate a casa del destinatario della misura alternativa per verificare se l’operatore ha effettivamente svolto il proprio compito, né si può discutere sulla durata o meno del colloquio assumendo comportamenti che rispondono solo alla volontà di vessazione del dipendente. Non dobbiamo mai dimenticare che quest’ultimo molto spesso usa, per i contatti con l’utenza il proprio cellulare, stanti le disposizioni restrittive sull’uso del telefono delle direzioni, così come troppo spesso usa la propria auto a rischio e pericolo personale. L’altra variabile sono le disposizioni che provengono dall’alto e che nascono dalla scarsa conoscenza delle situazioni. È emblematica l’ultima circolare, emanata dal Presidente Ionta, sulla quale non intendiamo soffermarci più di tanto, dal momento che è stata largamente commentata, in senso professionale dall’Ordine degli Assistenti Sociali e che questa O.S. condivide ampiamente e ne chiede l’annullamento. Questa O.S. pertanto chiede che venga riconsiderati il budget del cosiddetto “Piano Carceri” e che in quest’ambito si consideri la necessità impellente di destinare una parte dei fondi quantomeno a rendere gestibili tali Uffici. Diversamente già siamo nelle condizioni di non rispondere, ma la messa alla prova proposta dal Ministro, rischia di essere un fallimento clamoroso Il Coordinamento RdB Penitenziari Lettere: il Governo riduce a una truffa la proposta di legge Alfano, solo i Radicali si oppongono Liberazione, 15 maggio 2010 Cara “Liberazione”, il governo, con la sola opposizione dei radicali all’interno del Pd, riduce la proposta di legge di Alfano ad una truffa. La possibilità di scontare agli arresti domiciliari l’ultimo anno di pena è stata stralciata in commissione: andrà al magistrato di sorveglianza il compito di valutare l’idoneità del domicilio, mentre la sospensione della detenzione con messa in prova ai servizi sociali è saltata. La deputata radicale Bernardini è in sciopero della fame per il sovraffollamento delle carceri (67mila reclusi per appena 44mila posti previsti), ed in contemporanea il 9 maggio si è suicidato a San Vittore il 24esimo detenuto dei 2010: ma stanno venendo alla luce anche sensibilità diverse dal mondo penitenziario. Il 26 aprile il direttore generale del dipartimento Amministrazione penitenziaria, Sebastiano Ardita, ha inviato ai dipartimenti regionali e ai direttori generali una lettera circolare su “Nuovi interventi per ridurre il disagio derivante dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire fenomeni auto, aggressivi”. Potremmo definire questo atto, dovuto, risultato della mobilitazione del mondo dell’associazionismo impegnato e della controinformazione. Perché non lanciare un appello di base che tenga assieme questi soggetti a chi vuole unirsi fra i lavoratori della polizia penitenziaria, agli altri che lottano contro la criminalizzazione dell’uso delle droghe, le comunità che combattono l’Aids e l’ignoranza che lo riproduce? Pensiamo a una campagna che faccia sentire meno soli chi vive nei luoghi di pena, per prima cosa, e che faccia discutere le assemblee elettive. Si potrebbe partire dai precedenti che ci sono, delle proposte di legge e di moratorie (ergastolo) anche. Potremmo dare ai giovani la notizia che non possono essere pestati e poi detenuti, come Gugliotta, e che il loro problema non è solo generazionale. Marcello Pesarmi, Italo Di Sabato, Paola Beatriz Amadio, Sergio Labate, Stefano Trovato Cagliari: Socialismo Diritti Riforme; a Buoncammino troppi detenuti con disturbi psichici Sardegna Oggi, 15 maggio 2010 L’associazione “Socialismo Diritti Riforme” ha denunciato la presenza di numerosi detenuti con disturbi psichiatrici all’interno del carcere di Buoncammino. Secondo le loro indagini ci sarebbero almeno non meno di 150 detenuti a rischio tra i 530 ospiti dell’Istituto di pena. “Nel carcere di Buoncammino sono reclusi non meno di 150 detenuti con disturbi psichiatrici, dalla schizofrenia alla alternanza dell’umore. Problemi che si aggiungono ad altre malattie croniche alcune gravissime”. Lo rivela l’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che durante le costanti visite nell’Istituto di Pena cagliaritano sta effettuando un “monitoraggio” sulle principali patologie che gravano sulla realtà di Buoncammino dove sono rinchiusi in media oltre 530 detenuti. I Disturbi “I disturbi psichiatrici, in particolare la depressione e la schizofrenia, non possono essere curati all’interno di una struttura le cui finalità non si conciliano con patologie complesse e dove mancano - sottolinea la presidente di SdR Maria Grazia Caligaris - i tecnici riabilitativi specifici, e dove i medici incaricati sono 3 e 11 quelli del servizio integrato di assistenza sanitaria. Un numero ridicolo di sanitari e di infermieri (complessivamente 38) che deve far fronte alle necessità dell’intera popolazione detenuta. In queste condizioni e con questi numeri è impossibile garantire gli attuali standard del Servizio Sanitario. Tutto ciò mentre tarda ancora a concretizzarsi il passaggio della Sanita Penitenziaria al sistema regionale. Insomma il diritto alla salute dei detenuti, senza opportuni investimenti, è seriamente a rischio anche perché non può sempre contare sul volontariato degli operatori sanitari e sul principio della tuttologia”. Trieste: Debora Serracchiani (Pd) ha visitato il carcere; Coroneo sovraffollato, ma vivibile Il Piccolo, 15 maggio 2010 Esce dal carcere quasi sorridente, tenendo in braccio un dono graditissimo: dei lavori fatti con la cera che alcune detenute del Coroneo hanno voluto regalarle. Debora Serracchiani, eurodeputata del Pd, riporta dalla sua visita nella casa circondariale triestina più sensazioni positive che negative. “Questo almeno è nato come carcere, e si vede - chiosa - mentre quello di Pordenone in spazi assolutamente inadatti, dove il degrado è evidente”. Nel suo check-up alle istituzioni penitenziarie regionali la Serracchiani si è messa di buona lena, tanto che snocciola numeri e statistiche con precisione assoluta. “Il vero problema del Coroneo - conferma - è quello del sovraffollamento. Ha una capienza di 150 detenuti al massimo e ne ospita 237, il 60 per cento dei quali stranieri ed è l’unico a ospitare una sezione femminile in regione. Quanto alla polizia penitenziaria è chiaramente in affanno perché a fronte di un organico che dovrebbe essere di 150 agenti ne può presentare sulla carta 132, ma in realtà 120 effettivi. Senza dimenticare i problemi di manutenzione, con l’ascensore guasto che costringe a portare i piatti a mano nei vari piani o la telecamera che si blocca e può essere riparata solo in Inghilterra!”. Una situazione di disagio, ha sottolineato l’europarlamentare, nella quale però è emersa “la grande professionalità e umanità del personale”. “Mi ha colpito molto il gran numero di attività che sono state realizzate dentro il Coroneo, dalla palestra con annesso laboratorio per la cera del settore femminile alle aule dove si insegnano italiano e inglese, dalla falegnameria e tappezzeria a un laboratorio di panificazione superprofessionale che oltre a tutto fa degli ottimi dolci, per finire con una cucina con cinque detenuti fissi. Credo sia una delle poche strutture nel nostro paese dove i termini recupero e reinserimento nella società abbiano ancora un senso”. La Serracchiani ha anche evidenziato l’importanza dei lavori di ristrutturazione, “protrattisi dal ‘92 al 2005, ma con doppia difficoltà perché sono stati effettuati con i detenuti dentro”. Per finire, un invito, alla luce di quello che è stato già chiamato il decreto svuota carceri del ministro Alfano. “Questa visita mi ha confermato la grande importanza del ruolo svolto dagli operatori del carcere, dal direttore agli uomini della polizia penitenziaria, all’unico educatore (ce ne dovrebbero essere sette ndr). Bene, è a queste persone che ci si deve rivolgere, anche per rimettere o meno in parziale libertà un detenuto. Senza di loro questo sarebbe un luogo di perdizione”. Brescia: volontari e detenuti stendono un documento per chiedere Canton Mombello più umano Brescia Oggi, 15 maggio 2010 Continua la battaglia degli operatori e dei detenuti del carcere bresciano; il punto in un convegno Il garante dei detenuti Fappani propone un testo con i reclami da inviare alla Corte europea per il rispetto dei diritti umani. Prosegue la richiesta di umanità dei detenuti di Canton Mombello: chiedono un carcere a misura d’uomo che, prima di puntare alla riabilitazione, garantisca la dignità della persona. E, stavolta, nero su bianco. A lanciare l’allarme, o meglio, l’eco di un SOS che dura da anni, sono i reclusi di Canton Mombello, maglia nera delle carceri italiane in termini di sovraffollamento e degrado. “Abbiamo sollevato più volte il problema dell’inciviltà nei penitenziari italiane, dove anche la restrizione ordinaria porta alla limitazione della garanzia dei diritti di chi deve scontare una pena - ribadisce Mario Fappani, garante dei detenuti di Brescia -. Per questo abbiamo deciso di proporre ai detenuti che decideranno di sottoscrivere un testo di reclamo da consegnare al magistrato di sorveglianza, per poi procedere davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani”. Una battaglia, quella in nome della tutela dei diritti, che operatori e detenuti intendono quindi portare avanti di fronte alle istituzioni, e in qualsiasi grado possibile. Una battaglia al centro di un convegno internazionale (che ha portato rappresentanti dalla Francia e dalle Filippine) organizzato alla Facoltà di Giurisprudenza su iniziativa dell’associazione Carcere e Territorio (con il patrocinio degli avvocati di Brescia) per fare il punto sul bilanciamento tra misure di sicurezza pubblica e diritti dei singoli, in base alla normativa vigente e con particolare riferimento al regime restrittivo speciale, quello che in gergo si chiama carcere duro, anche se a Brescia non esiste una sezione del genere. “Il senso di responsabilità per chi dirige strutture critiche come Canton Mombello è enorme e ci induce quotidianamente a sforzarci affinché il nostro sia un lavoro di educazione, ancora prima che di rieducazione - sottolinea la direttrice, Maria Gabriella Lusi -. In quest’ottica, è fondamentale la collaborazione con i volontari, per garantire il rispetto della persona”. E cambiare si può. Paradossalmente, anche sotto questo profilo, Brescia insegna. “Verziano è la dimostrazione che strutture adeguate possono contribuire concretamente alla tutela dei diritti dei ristretti”, assicura la direttrice, Francesca Lucrezi. Incipit del dibattito sul regime di restrizione speciale, è stato il 41 bis, modificato negli anni fino alla legge 94/09, noto come pacchetto sicurezza. “La nuova formulazione prevede una serie di figure che amplificano la portata della norma - spiega Carlo Alberto Romano, criminologo e presidente di Act -: fino a 4 anni con proroga biennale la durata della reclusione, un solo colloquio al mese con i familiari e due ore al massimo di aria al giorno, in gruppi da 4 persone. E ancora, la competenza a decidere sui reclami diventa esclusiva del Tribunale di Sorveglianza di Roma che, però, non può più entrare nel merito della causa ma solo nei presupposti di sussistenza”. E sono solo alcuni dei punti che, prima del varo, avevano spinto la Commissione Europea per la Prevenzione della Tortura, a mettere in guardia l’Italia, paventando il rischio di “un danno irreversibile nel bilanciamento degli interessi della società e la garanzia dei diritti individuali”. “Perché non ci può essere sicurezza senza tutela dei diritti, e viceversa - ribadisce Miguel Sarre Iguiniz, rappresentante della Commissione Antitortura -: non dobbiamo dimenticare che tutti i detenuti hanno dei diritti che dovrebbero essere protetti dal sistema giudiziario”. Salute, libertà di culto, integrità, dignità, intimità: per garantirle, uno degli strumenti da adottare potrebbe e dovrebbe essere la trasparenza, “anche mediatica - sottolinea Iguiniz -: affinché la comunità tutta, dal momento in cui il motore sociale è indispensabile per cambiare le cose, sappia come si svolge la fase esecutiva della pena, per proteggere se stessa, e non solo i singoli, dagli abusi”. Ancona: Pd; situazione più grave del previsto; affollamento, carenza di organico, 2 tentate evasioni Ansa, 15 maggio 2010 È “ancora più grave e preoccupante del previsto” la situazione nel carcere di Montacuto ad Ancona, dove ci sono stati nelle scorse settimane due tentativi di evasione e dove i sindacati denunciano da tempo sovraffollamento e carenza di organico. Lo ha detto la sen. Marina Magistrelli (Pd), che oggi ha visitato l’istituto di pena insieme alle colleghe Silvana Amati (anche lei Pd) e Luciana Sbarbati (repubblicana del gruppo Udc-Svp-Autonomie). Le senatrici presenteranno due interrogazioni: una sull’inadeguatezza delle iniziative per il lavoro dei detenuti, l’altra sul sovraffollamento. “Anzi, a Montacuto c’è addirittura più del sovraffollamento - racconta la sen. Magistrelli: i reclusi sono 365, contro una capienza regolamentare di 172 e una capienza massima tollerabile di 313 unità. In celle di 9 metri quadrati dormono tre persone in letti a castello, con l’ultimo piano molto vicino al soffittò. Tra gli obiettivi della visita, anche quantificare l’eventuale alleggerimento della popolazione carceraria se venisse applicato il ddl svuota-carceri all’esame del Parlamento, con gli arresti domiciliari per l’ultimo anno di reclusione. “Con il provvedimento così come è ora, ad Ancona uscirebbero solo 32 persone - spiega la sen. Magistrelli, quindi avrebbe un’incidenza molto relativa”. Gli agenti di custodia in organico sono 187, ma nel carcere anconetano ne lavorano 127. ‘Ci sono arretrati di ferie dal 2007, 2008 e 2009 - aggiunge la senatrice Pd -. E il personale è spesso costretto a fare 35 ore di straordinario mensile, in pratica lavorando cinque settimane al mese invece di quattro. Il provveditore ha chiesto al Ministero 60 unità in più, solo per Montacuto. E sempre per quello che riguarda i detenuti, è in condizioni molto gravi un tunisino, trovato svenuto in cella qualche giorno fa per problemi cardiaci e ricoverato d’urgenza all’ospedale di Torrette. Unica nota positiva, “sono stati assunti 3 educatori, che si sono aggiunti ai due già in servizio”, ma che sono comunque pochi rispetto alle necessità. Le sen. Magistrelli, Amati e Sbarbati si sono intrattenute brevemente con i manifestanti di un presidio della Fp-Cgil davanti al carcere e hanno incontrato la direzione e gli agenti di custodia. In occasione della visita delle parlamentari, esprime di nuovo la sua preoccupazione il sindacato della polizia penitenziaria Sappe, che ha chiesto un incontro al ministro Maroni per parlare degli istituti di pena delle Marche. Secondo il segretario regionale Aldo Di Giacomo, a Montacuto la situazione è esplosiva: solo nelle ultime settimane, sono arrivati 13 detenuti in più. E l’estate potrebbe essere a rischio, con il potenziale aumento di reati nelle località turistiche. Como: al Bassone un agente per 100 detenuti, a rischio l’incolumità personale degli operatori Giornale di Como, 15 maggio 2010 Sovraffollamento, scarsità di personale e una direzione che agisce unilateralmente venendo meno agli accordi presi con i sindacati. Di questi problemi si è parlato nel corso della conferenza stampa indetta da Cgil, Cisl, Uil, Sappe e Osapp, dedicata alla situazione critica del carcere cittadino. Dal 2002, il Bassone è sottoposto ad un turnover continuo fra direttori e comandanti, ognuno ha il suo sistema di organizzare il lavoro: “L’ultima è durata un anno e veniva a Como 2-3 volte la settimana, ha cercato di lavorare con i sindacati e le cose stavano migliorando - spiega Massimo Corti segretario generale provinciale e regionale della Federazione Nazionale Sicurezza Cisl - Da 5 mesi c’è una nuova direttrice che ha smontato tutto quello che avevamo fatto, seguendo iniziative che non trovano appoggio dai sindacati. Si va avanti improvvisando”. I servizi vengono decisi giornalmente e non c’è ancora un piano delle ferie ma non solo: “I detenuti hanno organizzato una manifestazione di protesta contro alcuni provvedimenti restrittivi, che sono stati poi modificati in seguito alla protesta. Un fatto che non possiamo vedere in modo positivo”. In merito al personale mancherebbero all’appello 75 unità . Il carcere ospita 600 detenuti. Ad ogni turno c’è un solo agente per 100 detenuti: “è impressionante, non si riesce a garantire quello che sarebbe previsto per un penitenziario”. La capienza tollerabile del Bassone è di 420 detenuti, è stata poi calcolata quella massima tollerabile, che si basa sui metri quadrati delle celle: “Peccato che sia stato conteggiato anche il bagno, così è risultato che in una cella di 4x2 ci possono stare 3 persone”. Tra la sezione riaperta e quella che è stata depenalizzata, i sindacati hanno calcolato che il numero dei detenuti potrebbe arrivare presto a quota 700. Senza aumento di personale. Il 19 è stato fissato un incontro con il provveditorato regionale: “Speriamo di avere presto un confronto anche con le istituzioni. Rischia di rimanere un problema nascosto dietro a 4 mura”. Roma: Vivicittà nelle carceri; venerdì 21 maggio lo sport entra a Rebibbia Ansa, 15 maggio 2010 “Porte aperte allo sport”: è questo l’obiettivo di Vivicittà nelle carceri, la manifestazione podistica dell’Uisp che porta la corsa e il movimento negli istituti penali e minorili di tutta Italia. Venerdì 21 maggio si corre a Roma, nella casa circondariale Nuovo complesso di Rebibbia che ospita circa 1.600 detenuti. La partenza di Vivicittà è prevista per le ore 16 del pomeriggio dalla piazzetta interna al carcere, e adiacente all’area verde dove generalmente si svolgono i colloqui con i familiari. Sono attesi al via 60 detenuti e 60 atleti esterni. Due i percorsi allestiti per l’occasione: quello canonico di 12 km e uno più breve da 4 km. Si corre lungo le mura interne dell’istituto su un tracciato ad anello che quest’anno è percorribile in 2 giri per la 4 km, e in 6 per la 12 km. Saranno presenti all’evento Angelo Marroni, garante dei diritti dei detenuti, e il direttore del carcere Carmelo Cantone. L’appuntamento romano con Vivicittà “Porte Aperte” sarà preceduto mercoledì 19 maggio dall’incontro tra Filippo Fossati, presidente nazionale Uisp con i ragazzi del circolo “La Rondine” affiliato all’Uisp e costituito all’interno della casa circondariale di Rebibbia Nuovo complesso. Nella sezione G12 Alta sicurezza, alle ore 16 del pomeriggio, i 120 detenuti del circolo, presenteranno il programma 2010-2011 delle attività sportive. Oltre al torneo di calcio interno, il circolo “La Rondine” organizza partite con esterni e attività ricreative e culturali. Al momento i detenuti sono impegnati nella realizzazione di kit di prima accoglienza in favore dei nuovi detenuti in particolare stranieri, e nella realizzazione di murales lungo i passeggi. Milano: derby a San Siro, si affrontano detenuti e agenti del carcere di Bollate Redattore Sociale, 15 maggio 2010 Appuntamento per mercoledì 19 maggio. In campo anche i magistrati, e sugli spalti ci saranno amici e parenti dei giocatori, la direttrice Lucia Castellano e una trentina di detenuti in “articolo 21”. Venti detenuti del carcere di Bollate calcheranno il prato di San Siro per un insolito derby con gli agenti di polizia penitenziaria e magistrati. Emozioni garantite alla “Scala del calcio” a partire dalle 18.30 di mercoledì 19 maggio. Sugli spalti ci saranno amici e parenti dei giocatori, alcuni magistrati di sorveglianza del Tribunale di Milano, il provveditore Luigi Pagano, la direttrice Lucia Castellano e una trentina di detenuti del carcere di Bollate in “articolo 21”. L’incontro è stato organizzato dalla presidente della squadra di calcio dei detenuti di Bollate, Mimma Buccoliero (vice direttrice del penitenziario) e dall’allenatore della squadra Nazzareno Prenna. “Lo scopo è quello di dare sempre maggiore visibilità al Progetto educativo Bollate - spiega Mimma Buccoliero. Saranno proprio i magistrati e la polizia penitenziaria che testimonieranno quanto sia importante considerarli persone con la loro dignità”. La squadra di calcio degli ospiti del carcere di Bollate è ben affiatata: partecipa infatti al campionato di terza categoria Figc. “Sono contentissimi, per loro giocare a San Siro è una cosa eccezionale -spiega Nazzareno Prenna. Se poi a questo aggiungiamo anche la straordinarietà di giocare sia con i Magistrati che la Polizia Penitenziaria non ci dormono la notte”. Libri: “Il carcere spiegato ai ragazzi”, di Patrizio Gonnella e Susanna Marietti di Luigi Manconi L’Unità, 15 maggio 2010 Qualche decennio fa, mi capitò di trascorrere sei o sette mesi in varie carceri a seguito di scontri di piazza con polizia e fascisti. Tempo dopo, i miei figli più piccoli - non avevano ancora 10 anni - appresero incidentalmente la cosa e ne furono enormemente stupiti. Non troppo spaventati o turbati: stupiti, sì. La spiegazione loro fornita non fu brillantissima, anche se resa meno complicata (e comunque meno mortificante) dal riferimento a vicende politiche, delle quali tutto ignoravano ma di cui qualcosa andavano apprendendo. Non avevo a disposizione, come “ausilio didattico” (si dice così?), il libro “Il carcere spiegato ai ragazzi”, scritto da Patrizio Gonnella e Susanna Marietti per Manifestolibri. Probabilmente le parole dei due autori sarebbero state più adeguate di quelle da me utilizzate, anche se l’elemento della soggettività paterna messa in gioco qualcosa avrà pur significato. Ma il problema resta irrisolto e non è costituito esclusivamente dalla necessità di “spiegare ai più piccini” il sistema penitenziario. La questione, piuttosto, è quella dell’esistenza del male e della necessità di accettarlo senza subirlo. Gonnella e Marietti fanno una scelta di verità: non presentano ai loro lettori (direi 12-18 anni) il “carcere per ragazzi”, censurato delle sue dimensioni di abiezione e violenza, ma cercano - e trovano - le parole per dire tutta la galera: dalla sua funzione sociale alle sue poche luci e alle sue moltissime ombre. Assai interessante è l’analisi della composizione della popolazione detenuta: il superamento dei luoghi comuni, in particolare quello che equipara tutti i detenuti a un pericolo sociale, consente di tracciare una mappa della popolazione detenuta che offre alcune sorprese. Oppure, a scelta, una granitica conferma di ciò che risulta la più tradizionale ed esatta interpretazione del ruolo sociale del carcere. Insomma, il carcere è oggi più che mai ciò che si è voluto che fosse due secoli fa. Lo strumento più rapido ed efficiente di regolazione sociale e di disciplinamento culturale. Il carcere è il luogo della miseria e della spoliazione. Chi sta in carcere, in genere, è un delinquente, ma è - nella maggioranza dei casi - un delinquente povero o poverissimo, privo di risorse materiali e immateriali, destinato alla marginalità o all’esclusione dal sistema dei diritti di cittadinanza. Stranieri, tossicomani, senza fissa dimora, malati cronici, affetti da infermità mentale o da patologia fisica o psichica. Se questo è vero, è pressoché fatale che questa folla indistinta e indifesa, non garantita e non tutelata, subisca processi di abbandono, mortificazione e veri propri abusi, illegalità, violenze. D’altra parte, il sistema penitenziario è anche un mondo sconosciuto, dotato di sui codici e di suoi linguaggi. Gonnella e Marietti ci aiutano a decifrare questi ultimi: “una lingua strana, da un lato spaccona e smaliziata e dall’altro sprovveduta e fanciullesca” “chi passa cella per cella con il carrello del cibo (...) è un “portavitto”. Quando avrà scontato la pena e sarà alla ricerca di un lavoro non sarà facile per lui poter scrivere nel curriculum di aver svolto il mestiere che ha svolto. In italiano: il cameriere”. Attenzione a quel “fanciullesca”: il carcere può essere letto come una macchina di regressione infantile. Quando visitai l’istituto di Grosseto, anni fa, rimasi attonito di fronte a una struttura di reclusione, ricavata da un edificio del periodo granducale. Una dimensione tutta miniaturizzata: la cappella sembrava un confessionale, le celle costringevano uno come me, non particolarmente alto, a chinare il capo, i corridoi come minuscoli ambulacri di una casa di bambole. Vidi lì, plasticamente rappresentata, la tendenza del carcere a “infantilizzare” i suoi ospiti. Si pensi solo al fatto che, il fondamentale strumento di comunicazione nei confronti dell’autorità interna - e insieme uno degli oggetti più citati - è chiamato, chissà perché, “domandina”. È il modulo attraverso il quale il detenuto formula le sue domande: di colloquio col direttore o di acquisto del cibo. Ma si tratta solo del segno più visibile di una dimensione complessiva: la privazione della libertà corrisponde alla dipendenza dalla libertà (=potere) altrui: per muoversi, per decidere del proprio tempo, per comunicare con altri. Com’è proprio dei bambini (o dei gravemente invalidi). Ciò è ancor più visibile nel rapporto con l’autorità dove il meccanismo di premio-punizione si esercita all’interno di una relazione puntualmente configurata sul modello di quella tra adulti e minori. Se tutto ciò fosse vero il seguito di questo bel libro dovrebbe essere: “il carcere spiegato ai grandi”. Brasile: contro sovraffollamento delle carceri allo studio l’utilizzo del “braccialetto elettronico” Adnkronos, 15 maggio 2010 È allo studio in Brasile l’adozione del braccialetto elettronico per i detenuti come misura per risolvere il problema del sovraffollamento nelle carceri. Basandosi sul principio della presunzione di innocenza come in gran parte del mondo, i funzionari del ministero della Giustizia hanno messo a punto un piano preliminare che potrebbe venire applicato in teoria per la metà circa del totale della popolazione carceraria, ovvero il 46% che è in attesa di giudizio. Il piano che prevede braccialetti elettronici e arresti domiciliari ha già suscitato polemiche e dubbi sul funzionamento pratico dei dispositivi. “Di frequente i tribunali emettono un verdetto di non colpevolezza dopo che un accusato ha passato diversi mesi in carcere -ha detto il direttore dei servizi penitenziari del ministero, Airton Michels, citato dalla Bbc. Ciò può essere estremamente ingiusto e inoltre aggrava la situazione delle nostre carceri che in questo momento funzionano al massimo della loro capacità”.