Giustizia: per detenzione domiciliare decide giudice sorveglianza, messa in prova stralciata Apcom, 11 maggio 2010 Il ddl svuota-carceri, duramente criticato dalla Lega e dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, cambia volto: il governo praticamente lo riscrive in toto presentando tre emendamenti in commissione Giustizia alla Camera che cancellano l’automatismo per cui ai detenuti a cui resta un anno di pena è concesso di scontarla a domicilio. Se potranno uscire dal carcere lo deciderà il magistrato di sorveglianza valutando anche “l’idoneità” del domicilio. Stralciato invece l’articolo che prevedeva la sospensione della detenzione con la messa alla prova presso i servizi sociali. Lo stralcio è stato votato quasi all’unanimità dalla Commissione: contro si è espressa solo la deputata radicale eletta nel Pd Rita Bernardini, in sciopero della fame proprio per protesta contro il sovraffollamento delle carceri. La Commissione tornerà a riunirsi domani quando alle 10 scadrà il termine per i subemendamenti agli emendamenti presentati dal governo. Gli emendamenti presentati dal governo, a prima firma del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, al ddl che prevede la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena a domicilio e lo stralcio dell’articolo che prevedeva la messa alla prova fanno rientrare la protesta della Lega che, con il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, aveva pubblicamente dichiarato la sua contrarietà al testo all’esame della commissione Giustizia di Montecitorio. Per il Pdl si tratta di un testo “più equilibrato” che peraltro piace anche al Pd che riconosce “lo sforzo” dell’esecutivo nell’accogliere anche alcune osservazioni dell’opposizione. L’unica a protestare è la radicale Rita Bernardini, in sciopero della fame da 27 giorni contro il sovraffollamento delle carceri. “Gli emendamenti presentati dal governo - commenta il capogruppo Pdl in Commissione, Enrico Costa - tengono conto in modo massiccio delle osservazioni arrivate anche nel corso delle audizioni. Viene abolito il meccanismo automatico di scarcerazione, viene inserito il filtro da parte della magistratura e l’idoneità del domicilio: insomma tutto dipenderà dalla valutazione dei magistrati. Le modifiche del governo bilanciano le opposte esigenze della funzione educativa del carcere e della garanzia di sicurezza: ora è un testo equilibrato che aumenta la sicurezza”. Esulta il leghista Matteo Brigandì: “Finalmente non si parla più sic et simpliciter di prendere i detenuti e portarli a casa. Ora bisognerà fare i conti con l’oste e l’oste in questo caso sono i magistrati”. E ancora: “È evidente che non ci può scoppiare in mano una situazione insostenibile ma non si può trovare un escamotage all’ultimo minuto per risolvere il problema”. Quindi Brigandì ricorda che “in carcere ci sono 26mila persone in attesa di giudizio al termine del quale una buona parte di questi esce dalla galera perché non ha fatto nulla. Quindi l’autostrada è fare i processi e liberare gli innocenti...”. Il testo riscritto dal governo piace anche al Pd che ha votato pure a favore dello stralcio della messa alla prova: “È un testo diverso che tiene conto delle osservazioni. Non la chiamerei marcia indietro, anzi. Il governo ha fatto uno sforzo, non si è irrigidito. Il ddl Alfano non era uno svuota-carceri ma era un testo confuso, creava un automatismo eccessivo. Ora invece è temperato e consente che si evitino i domiciliari alle persone pericolose o a rischio di fuga. Inoltre esclude che gli immigrati finiscano nei Cie a fare la detenzione domiciliare. Insomma è un testo che fa un passo avanti nella chiarezza”. Giustizia: Di Pietro; bisogna costruire più carceri per tenere dentro i delinquenti, per evitare di metterli fuori ogni due anni Ansa, 11 maggio 2010 “Bisogna costruire più carceri per tenere dentro i delinquenti e per evitare di metterli fuori ogni due anni”. Con queste parole Antonio Di Pietro ha criticato, intervistato da Repubblica Tv, la proposta di fare scontare l’ultima parte della pena agli arresti domiciliari. “Non è accettabile - ha aggiunto il leader dell’Idv - che questa sia una misura generalizzata indipendentemente dal tipo di reato commesso. È un giochino del quale non ne possiamo più. Per una serie di reati non gravissimi si può anche prevedere che una parte della pena sia scontata con misure alternative fuori dal carcere. Ma questo non può essere un automatismo, come il governo propone. E in ogni caso è indispensabile che ci sia la valutazione del magistrato che deve vagliare per ogni singolo detenuto se è ancora una persona pericolosa per la società o se può andare agli arresti domiciliari. Per alcuni tipi di reati non si possono fare sconti”. Di Pietro non ha avuto alcuna difficoltà, rispondendo ad una domanda di un ascoltatore, a riconoscere di essere d’accordo su questo tema con Roberto Maroni: “Non debbo essere in disaccordo con Maroni a tutti i costi, soprattutto se si tratta di tenere in galera uno stupratore incallito”. “La mia soluzione è semplice: la pena deve essere poca, maledetta, subito e certa. Se vogliono svuotare le carceri perché non c’è posto bisogna intervenire sui reati per cui non vale la pena tenere in carcere, come l’immigrazione clandestina, ma non puoi metterli fuori ogni due anni. Sono 20 anni che si va avanti con questo giochino, invece di buttare via i soldi facciano qualche carcere in più. Ma se c’è un delinquente che deve stare in galera, deve stare in galera”. Di Pietro ha insistito: “Ci sono tante persone nei cui confronti il carcere è inutile, si intervenga perché non sia previsto il carcere. Ma prevedere generalmente che tutti devono andare fuori, delinquenti di tutte le risme che stanno a casa senza poter essere controllati, mette in pericolo lo Stato”. Giustizia: le mani della “Cricca” sul Piano carceri, due fazioni in lotta per 600 milioni di euro di Francesco Bonazzi Secolo XIX, 11 maggio 2010 La “Cricca” degli appalti voleva costruire perfino le nuove galere. Quasi a realizzare con le sue stesse mani il proprio destino. Ma di fronte alla mega-torta da 600 milioni di euro rappresentata dal Piano carceri, si spaccò in due fazioni l’una contro l’altra armate. Quella della Protezione Civile, che faceva capo al duo Guido Bertolaso-Angelo Balducci e aveva come costruttore di riferimento Diego Anemone. E quella di via della Ferratella, che ruotava intorno al gran commis Fabio De Santis e aveva come costruttore di riferimento Valerio Carducci. Una battaglia andata in scena per tutto il 2009 e risolta solo dallo scattare imprevisto delle manette, lo scorso 10 febbraio, per ordine della procura di Firenze. È questa la novità più sorprendente che emerge dalla lettura delle nuove carte depositate dai pm toscani, in vista del giudizio immediato per corruzione chiesto a carico di Balducci, De Santis, Francesco Maria De Vito Piscicelli (il costruttore intercettato mentre ride al telefono la notte del terremoto dell’Aquila) e dell’avvocato Guido Cerruti. Il 23 ottobre 2009, i carabinieri del Ros di Firenze, guidati dal colonnello Domenico Strada, intercettano una telefonata tra De Santis (poi arrestato) e l’avvocato Maria Pia Pallavicini, potente direttore generale del ministero delle Infrastrutture, con delega per l’edilizia di Stato e gli interventi speciali. De Santis è preoccupatissimo perché ha saputo che la Protezione Civile vuole mettere le mani su quel Piano Carceri al quale tanto tiene il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, alle prese con il cronico problema del sovraffollamento nei penitenziari. E all’amica delle Infrastrutture dice: “Senti, reggiamo duro rispetto al fatto che, come si ventilava, possa essere la Protezione Civile a fare il piano Carceri, eh?”. La Pallavicini si proclama assolutamente d’accordo e gli chiede “dove gira ‘sta cosa”. De Santis non glielo vuol dire, almeno al telefono, ma propone già una controffensiva netta: “Lì ci vuole una ribellione feroce”. “Certo, però sai, bisogna essere spalleggiati dal ministro... da soggetti che caldeggiano questo, perché io posso fare tutto quello che è in mio potere, ma è molto limitato se l’indicazione è quella”, gli spiega l’avvocato. E De Santis indica la strada: “Guarda, io sono amico di Settembrino Nebbioso, che è il capo di gabinetto di Alfano, ... io ci vado martedì alle 10 e mezza perché il sindaco di Perugia mi ha chiesto di intraprendere ... diciamo una verifica generale se Grazia e Giustizia è interessata a modificare quel carcere che sta proprio al centro di Perugia”. Come vada l’appuntamento di De Santis con Nebbioso, non è dato sapere. Almeno per il momento. Anche perché a questo punto del faldone d’inchiesta, c’è un “omissis” che pesa come un macigno. Ma per le mire di Bertolaso e Balducci finisce malissimo. Lo scoppio dello scandalo “G8-Grandi appalti” stronca sul nascere la trasformazione in Spa della Protezione Civile, che tra i propri compiti avrebbe avuto anche la costruzione dei nuovi penitenziari. Una legge fieramente contestata da Confindustria, a nome di tutti quei costruttori che non facevano parte del giro ristretto di Palazzo Chigi. Ma neppure De Santis, che nelle intercettazioni risulta legatissimo al costruttore Carducci (indagato per altri appalti), potrà gioire dello stop del Parlamento alla “Bertolaso spa”. Perché finirà in carcere anche lui. Giustizia: Alfano; rischio corruzione per realizzazione piano carceri? trovano il ministro sbagliato Dire, 11 maggio 2010 “Riguardo alle inchieste che hanno avuto oggi spazio sui giornali circa interessamenti di imprenditori alle carceri, siccome noi vogliamo fare il piano carceri senza correre il rischio di finirci dentro, chiunque abbia intenzioni brutte sappia che ha trovato ministro e periodo storico sbagliato”. Lo dice il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, a margine della seduta delle commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia del Senato sul ddl corruzione. Inoltre, prosegue il ministro, “aggiungo che tutta questa vicenda che riguarda le carceri non è mai stata di competenza del ministero della Giustizia che non è competente all’appalto sulle nuove strutture carcerarie. La scelta legislativa di affidare a un commissario straordinario, che per altro è un magistrato, la costruzione del percorso pratico e giuridico per l’edificazione delle nuove carceri in tempi rapidi è un ulteriore elemento di celerità e di garanzia sulla trasparenza e correttezza delle operazioni che saranno fatte”. Giustizia: Sidipe; le carceri, così come sono oggi, costituiscono il pericolo più grande per la sicurezza Comunicato stampa, 11 maggio 2010 Condividiamo la finalità del Ministro Alfano all’introduzione di più efficaci strumenti normativi per il governo effettivo dell’esecuzione penale, attraverso la ragionevole previsione degli istituti della messa in prova e della detenzione domiciliare, per talune tipologie di condannati obiettivamente “meno pericolosi. In tal modo risulterebbero meglio utilizzate le risorse pubbliche che i contribuenti sono costretti a finanziare, consentendo che le stesse, già di per se insufficienti, vengano più opportunamente indirizzate verso il controllo di quanti, detenuti con maggiori capacità criminali, costituiscono motivo di preoccupazione per la sicurezza pubblica: sempre che per davvero si voglia fare sicurezza, non limitandosi ad attendere l’esplosione del sistema penitenziario e gli effetti destabilizzanti che potranno derivarne per la sicurezza tutta, non solo quella carceraria. Oggi le carceri sono sotto gli occhi dei cittadini e chiare devono esserne le responsabilità: Noi, direttori penitenziari, continuiamo a rilevare un deficit di alta progettualità ed osserviamo, da parte dei massimi livelli, una mancata comprensione della complessità; registriamo, inoltre, metodologie di gestione e stili di leadership cupamente burocratiche ed un approccio organizzativo di tipo vetero-paternalistico e/o “grazioso”, mentre il corebusiness del lavoro dovrebbe essere soprattutto di “rete” di servizi, di collaborazioni aperte, di piani ed accordi di programma, di costante confronto e dialogo serrato con tutte le professionalità e competenze, non solo penitenziarie e/o dello stretto entourage dei “fedelissimi”, con chiara vision del territorio e delle opportunità che lo stesso può offrire in termini di sinergie, se non anche risorse, al sistema penitenziario. Ci auguriamo, al riguardo, che nella stesura del “Piano Carceri”, nel caso di nuovi insediamenti penitenziari, si tenga particolare conto e “rispetto” dei territori e delle differenze che possono registrarsi tra gli stessi, chiaramente percepibili spostandosi dalle aree geografiche più problematiche, dove andrebbero rafforzati e migliorati gli istituti contrattuali, nonché immaginate forme di incentivo per il personale, rispetto a quelle dove le realtà economiche sono più dinamiche e produttive ed il tessuto sociale più strutturato, nelle quali potrebbero sperimentarsi, in accordo con le realtà locali, forme di maggiore coinvolgimento di quelle, per renderlo ancor più impermeabile agli attacchi delle criminalità organizzate. Al momento, invece, prendiamo atto di come l’attuale stile di governo dell’amm.ne penitenziaria appaia agli occhi della periferia, da noi fortemente rappresentata, priva della del confronto anche con i direttori d’istituto e di Uepe che la incarnano nei rapporti con i cittadini e le istituzioni, e ciò non può che preoccuparci; così come non rileviamo un effettivo coinvolgimento delle altre realtà, in particolare quelle delle autorità locali e regionali, del mondo del volontariato, di quello universitario e della formazione scolastica e professionale. In verità, è meglio che il Ministro sappia, la generalità delle utili iniziative che sono realizzate sul territorio sono, di regola, il frutto di un lavoro in solitario dei direttori d’istituto e di Uepe, e dei loro diretti collaboratori: comandanti, direttori delle relazioni ed organizzazione, educatori, collaboratori amm.vi, assistenti sociali, ragionieri, etc., i quali, altrimenti mandati allo sbaraglio, cercano di fare di necessità virtù, con la differenza che le Direzioni si pongono come “inter pares” verso l’esterno, e non come “I up and you down”…. Per comprendere quanto sia importante ricevere aiuto, sarebbe sufficiente pensare alle cose che siamo costretti a vedere ogni giorno: un gravissimo sovraffollamento, scarsezza di organici e di mezzi, oggettiva difficoltà nel proporre credibili programmi di recupero, nonché di impedire alle organizzazioni criminali più feroci la possibilità di “fidelizzare” quanti, ristretti di modesta e bagattellare pericolosità, vengano convinti ad atteggiamenti vendicativi verso uno Stato che non è in grado di assicurare una branda, uno sgabello, un “cesso” che non sia da condividere con decine di detenuti di tutti i paesi del mondo. In luoghi del vivere dove c’è il rischio di contrarre malattie gravi malattie, dove le persone detenute sono stipate in celle dove l’acqua, anche se non potabile, diventa un bene prezioso, per lavarsi o per pulire le latrine comuni… Quanti affermino che queste penose condizioni di vita risulteranno disincentivanti affinché i detenuti non commettano, una volta ritornati in libertà altri reati, raggirano impietosamente la cittadinanza. L’unico modo per evitarlo con certezza è che i detenuti muoiano prima o si suicidino… Rimessi in libertà con un “carico” di odio senza pari, verosimilmente ritorneranno a commettere nuovi e più gravi reati, alla faccia della sicurezza parlata e muscolare. La rabbia e l’odio accumulato in giorni, mesi, anni di mortificazioni supereranno, nelle menti delle persone detenute, i sensi di colpa per i reati commessi, e spingerà molti di loro a ricercare soddisfazione nella commissione di altri delitti: bugiarda sicurezza è quella di quanti non comprendano o fingano di comprendere questa banale verità. Le carceri, così come sono oggi conciate, costituiscono il pericolo più grande che gli italiani debbano affrontare in termini di sicurezza nazionale. Se gli istituti penitenziari non saranno riportati, attraverso le necessarie assunzioni di personale e nuove strutture, a condizioni accettabili, risulteranno la migliore culla per le nuove leve del terrorismo nazionale ed internazionale, politico e religioso, delle peggiori criminalità organizzate, ed il luogo peggiore per tantissimi giovani tossicodipendenti, la cui vita scorre tra fiumi di metadone e l’assunzione massiccia di psicofarmaci, unico modo per dimenticare in quali inferni essi siano costretti a vivere. Anche per questo apprezziamo la concorrente azione di sensibilizzazione del Sottosegretario Giovanardi, circa l’opportunità che l’istituto della recidiva tenga conto delle difficoltà evidenti delle persone detenute tossicodipendenti, ove abbiano commesso reati modesti e pertinenziali al loro status di schiavi delle droghe: il carcere “secco”, in questi casi, è la peggiore delle soluzioni, piuttosto andrebbero rilanciate delle apposite strutture per tossicodipendenti, pure penitenziarie ove occorra, come quella che si intendeva realizzare a Castelfranco Emilia, ed il maggior utilizzo delle misure alternative… Tra l’altro siamo convinti che le azioni e le proposte del Ministro Alfano e del Sottosegretario Giovanardi, se tradotte in pratica, troveranno ancora una volta nel mondo del volontariato, laico e religioso, sempre attento e vicino agli operatori penitenziari, nonché dai servizi sociali del territorio, effettiva attenzione e collaborazione, contribuendo a produrre sicurezza vera e duratura, nonché a minori costi per la collettività. Sindacato Direttori Penitenziari Giustizia: Borraccetti (Procura Venezia); carceri stracolme, non portarci fermati per reati minori Corriere della Sera, 11 maggio 2010 Solo negli ultimi giorni ci sono stati un paio di casi. Il primo è quello di un magrebino fermato in zona stazione di Mestre sabato pomeriggio, con 30 grammi lordi di eroina in tasca, pronti per essere spacciati. Il secondo è quello di un uomo che, nel corso di un controllo, ha spinto a terra un agente ed è stato dunque accusato di resistenza. Qualche tempo fa probabilmente sarebbero finiti entrambi in carcere; ora il pm di turno, in questo caso il magistrato veneziano Giovanni Zorzi, ha dato disposizione di lasciarli andare e di denunciarli a piede libero. Il motivo principale è una recente circolare del procuratore capo di Venezia Vittorio Borraccetti, in cui sostanzialmente si chiede ai propri sostituti procuratori di arrestare il meno possibile, visto lo stato di sovraffollamento del carcere lagunare di Santa Maria Maggiore: oltre 300 detenuti rispetto ad una capienza ufficiale di 111, ufficiosa di 160 e tollerabile di 240. “Salvo che esigenze investigative o cautelari dipendenti dalla gravità del reato impongano di disporre la custodia in carcere”, ha scritto Borraccetti lo scorso 9 aprile nella circolare inviata a Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, oltre ai pm, al procuratore generale Pietro Calogero, al prefetto e alla direttrice del carcere. Circolare che ha scatenato la polemica durissima del sindacato di polizia Coisp. “Il procuratore Borraccetti invita i poliziotti a non fare il proprio dovere “, ha tuonato in un comunicato diffuso ieri il segretario generale del Coisp Franco Maccari, chiedendo al Ministro dell’Interno ed al capo della Polizia di intervenire con una circolare. “Il Procuratore Borraccetti non è nuovo a “circolari” che sanno scovare il giusto articolo di legge per supportare le proprie tesi. Noi le chiameremo, per semplicità, con il nome più adatto: scaricabarile - scrive Maccari - L’atteggiamento che il procuratore Borraccetti dimostra equivale a quello di scopare la polvere sotto al tappeto, pretendendo così di aver reso salubre un ambiente”. Parole durissime, a cui il procuratore non risponde. “Non ritengo questo signore un mio interlocutore”, attacca Borraccetti, che accetta solo di rispiegare il senso di quel provvedimento. “Non si tratta di nulla di nuovo, mi sono solo limitato a ricordare quello che è previsto dalla legge”, spiega. Si citano infatti l’articolo 558 del codice di procedura penale, secondo cui per i reati “da monocratico” (cioè quelli minori) si va dritti davanti al giudice senza passare per il carcere e tocca alla polizia giudiziaria trattenere l’imputato “per il tempo necessario nei propri uffici”. Qui però nasce il problema: le cosiddette “camere di sicurezza” presso le Questure o le altre sedi delle forze dell’ordine sono poche o proprio non ci sono. “Però questo non è un problema mio, ma loro”, taglia corto Borraccetti, come a dire che dovrebbe essere il Ministero dell’Interno a provvedere. In attesa che il Viminale si faccia carico delle strutture, il magistrato consiglia ai suoi sostituti di liberare l’arrestato, salvo le esigenze investigative o cautelari di cui sopra. Perché una cosa Borraccetti vuole sottolineare: “L’autorità del nostro ordinamento che dispone se un cittadino debba o meno andare in carcere è la procura della Repubblica e quindi il pm”. Con toni meno accesi, ma su una linea simile al collega Maccari, c’è anche Diego Brentani, segretario del Siulp: “Per arginare il problema di sovraffollamento delle carceri, se ne sta creando uno di più grave - commenta - Si distolgono uomini e mezzi dal controllo del territorio per obbligarli a vigilare gli arrestati all’interno dei loro uffici, pur sapendo che non hanno strutture adeguate ed una organizzazione per tale attività”. La sicurezza e i lamenti sono rimasti lettera morta, di Eduardo Sivori È di questi giorni la notizia che il Procuratore della Repubblica di Venezia abbia inviato una circolare alle Autorità di Polizia, il cui senso sarebbe il seguente: siccome non abbiamo posto nelle carceri, anzi siamo all’emergenza, se proprio non trovate uno col coltello in mano sporco di sangue e diversi morti ai suoi piedi, sarebbe meglio denunciare a “piede libero”. Con tutto quello che ne consegue, alla faccia delle leggi e della obbligatorietà dell’azione penale, che ancora serve da tela di Penelope, volendo con questo dire che è un concetto valido a giorni alterni ed a seconda di chi lo esprime. Ma rimandiamo le polemiche nel merito ad altro momento, ed analizziamo il fenomeno dal punto di vista storico. Sono più di 40 anni che le Forze di Polizia, anche quando non potevano parlare, silenziosamente hanno “urlato” questo fatto. Chi ha qualche capello bianco ricorda le amnistie e gli indulti, ad ogni due per tre, negli anni ‘60 e ‘70. Poi il terrorismo ha concesso che la classe politica si interessasse di sicurezza, i maligni dicono che lo abbia fatto solo quando, dopo carabinieri, poliziotti e magistrati, il tiro si alzò proprio sulle sue “auguste terga”. Ma il proverbio “passata la festa, gabbato lo santo” lo conoscono anche i cittadini più distratti, che quindi si chiedono se, aldilà delle chiacchiere, oggi, perché ci si interessi seriamente di sicurezza, si aspetta un altro caso Moro? Edora che il capo della Polizia Giudiziaria di Venezia mette nero su bianco, tutti fanno come i bambini di Povia: ohohohoh.Macari “bambini”, per non dire altro, dove eravate negli ultimi lustri? In che condizioni sono le vostre orecchie se non avete mai ascoltato le innumerevoli lagnanze degli addetti ai lavori che in tutto questo tempo si sono fatti sentire per come hanno potuto? Per trovare fondi per ogni più discutibile accadimento avete fatto, soprattutto fatto fare a noi contribuenti, i salti mortali, ma per sistemare una volta per sempre il comparto sicurezza, allora no, soldi non ce ne sono. E voglia di trovarne anche meno. Ai cittadini va detto chiaramente che della loro sicurezza ci si potrà interessare dopo che saranno stati accontentati tutti gli altri; solo a titolo di esempio, scusandomi con quelli che non mi sono ricordato, piloti di Alitalia, netturbini di Napoli, organizzazioni non governative con bilanci da multinazionali, costruttori miliardari, centri sociali vari, bancari e banchieri, deputati regionali siculi e loro uscieri. Ovviamente parlavo della sicurezza dei cittadini, perché quella dei politici è saldamente nelle mani delle Forze dell’Ordine. Quello che più addolora chi ha vissuto tutta la vita nei ranghi dei tutori della tranquillità dei cittadini, è il sentirsi, oltretutto, fare la predica da quelli che avrebbero potuto fare e non hanno mosso mai un dito. Anzi, talvolta erano proprio coloro che il dito lo puntavano, ma contro carabinieri e agenti, rei di fare un lavoro ingrato, mal pagato e inviso ai più “democratici”. Parliamone. Giustizia: carceri polveriere pronte a esplodere, anche 10 per cella e molti dormono per terra Corriere della Sera, 11 maggio 2010 Le carceri venete sono al collasso. Ospitano quasi il doppio dei detenuti previsti (3286 invece di 1726) e la percentuale più alta d’Italia di extracomunitari: l’85%. Il tutto con la polizia penitenziaria in sotto organico del 20%. “È una situazione allucinante - denuncia Gianpietro Pegoraro, coordinatore regionale della Fp-Cgil penitenziari - i nostri istituti di pena sono polveriere pronte ad esplodere da un momento all’altro, come dimostra l’ultima rissa con cella distrutta avvenuta al circondariale di Padova. Dove ora i detenuti, esasperati dal sovraffollamento, girano con le lamette in bocca, pronti a una nuova rivolta. La circolare di Borraccetti è una misura-tampone utile a regalare un po’ di ossigeno a Venezia, ma solo il legislatore può affrontare un problema diventato drammatico. Non ha senso portare dentro chi ha rubato un litro di latte, né tenerci i tossicodipendenti, anche perché un detenuto costa allo Stato 300 euro al giorno: bisogna puntare sulle misure alternative. E dotare la polizia penitenziaria di organici e mezzi adatti, a partire dai furgoni cellulari per finire con divise e scarpe, che scarseggiano e sono di bassa qualità”. In effetti il viaggio nelle prigioni venete è desolante: celle con dieci persone, spazi comuni e per l’ora d’aria ridotti al minimo, topi alla Giudecca ogni volta che c’è l’acqua alta, strutture fatiscenti e senza bunker per i ricoveri, reclusi costretti a dormire per terra col materassino, in sala giochi o in brande sistemate sopra letti già a castello, educatori ridotti all’osso e poche opportunità di lavoro. A Belluno sta creando forti disagi al personale la sezione riservata ai transessuali, di difficile gestione psicologica e anche fisica, perché da quanto denunciano non possono ricevere gli ormoni di cui hanno bisogno, quindi sono insofferenti. Spazi ridotti al minimo nel vecchio Santa Bona di Treviso, mentre il Santa Maria Maggiore di Venezia è al collasso, tanto che il grido d’allarme lanciato dalla direttrice Irene Iannucci sembra aver ispirato il provvedimento di Borraccetti. “Ormai da oltre un mese siamo a quota 336 detenuti, contro i 111 regolamentari - conferma la Iannucci - abbiamo toccato punte di 354. Ho segnalato il quadro all’autorità giudiziaria, specificando che i nuovi arrivati devono dormire per terra, con il materassino, e che in queste condizioni non siamo in grado di garantire l’isolamento giudiziario. L’intervento del procuratore è già un aiuto, almeno evitiamo nuovi ingressi fino al rito direttissimo e probabilmente anche dopo”. “Su dieci arrestati, sette vengono scarcerati dopo due giorni, quindi Borraccetti ha ragione - chiarisce Felice Bocchino, procuratore triveneto alle carceri -. Ogni nuovo ingresso comporta le pratiche di immatricolazione, i primi colloqui, le visite mediche: tutto lavoro inutile, che si aggiunge ad un carico già enorme, per una permanenza limitata a 48 ore. Già adesso per il rito direttissimo riferito a reati di competenza del tribunale monocratico la polizia giudiziaria dovrebbe custodire l’arrestato in flagranza, nell’impossibilità di condurlo subito davanti al giudice, in celle di sicurezza interne a questure o caserme. Ma ciò non avviene, il pm di turno dispone sempre il trasferimento in carcere-prosegue Bocchino - anche perché le forze dell’ordine non si sono mai attrezzate con spazi adeguati all’osservanza di tale disposizione. Il risultato è che tutta grava su di noi. Confido nella proposta Alfano di far scontare ai domiciliari l’ultimo anno di pena ai condannati per i reati minori. Tale misura farebbe uscire dalle prigioni venete 700 persone”. Tornando al viaggio nelle carceri, va meglio alla Giudecca, eccezione che registra addirittura meno recluse di quelle previste: 95 invece di 104. Qui le donne possono tenere i loro figli fino a tre anni e lavorare nell’orto o in lavanderia, contribuire alla creazione di saponi e profumi destinati agli hotel, confezionare costumi e maschere per il Carnevale di Venezia. Si torna nel tunnel a Rovigo, dove gli spazi sono talmente ristretti che una parte della caserma della polizia è stata sacrificata per ospitare l’attività dei tre educatori. La sala giochi è poco provvista, c’è una sola cooperativa che fa lavorare i detenuti e le celle sono piuttosto squallide e sovraffollate. Tensione alle stelle al circondariale di Padova, come detto, dove convivono 25 etnie e gli spazi d’aria sono ristretti. Nella casa di reclusione, che accoglie affiliati alla Mala del Brenta, mafiosi e criminali come Donato Bilancia, non c’è un reparto bunker per i ricoveri. Col risultato che, per ogni recluso da accompagnare in ospedale, vengono mobilitati e quindi tolti al servizio interno più uomini. Cinque, quando Bilancia si è dovuto sottoporre a una serie di visite. Si può però lavorare nella pasticceria o per le aziende Morellato e Roncato. Vicenza soffre il problema dei collaboratori di giustizia, che spesso vanno accompagnati al carcere di Ferrara, il più vicino dotato di strumentazione adeguata, per testimoniare in videoconferenza. Altre tensioni sono alimentate dall’alta presenza di extracomunitari di diverse etnie e dal fatto che ci sia un’unica ditta ad offrire un’opportunità occupazionale. A Verona, infine, manca il personale femminile, così gli uomini devono coprire turni anche nella sezione donne. Per sistemare i tanti reclusi in eccesso sono state piazzate brande sopra i letti a castello, così diventati a tre posti. “Un quadro desolante gestito da personale stanco, sempre più vecchio e costretto a rinunciare anche ai pochi benefici contrattuali - chiude Pegoraro. Per esempio dopo i 50 anni di età o i 30 di servizio si è esentati dal turno di notte, ma visto il perenne sotto organico difficilmente tale norma si mette in atto”. Giustizia: Lega contro Borraccetti; un attacco al sistema sicurezza, il governo mandi gli ispettori Corriere della Sera, 11 maggio 2010 La più arrabbiata, per l’iniziativa del procuratore capo Vittorio Borraccetti, è la Lega, che minaccia provvedimenti immediati. “Se quella del magistrato veneziano è una provocazione per esortare il legislatore a risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, la accettiamo-attacca il senatore Gian Paolo Vallardi, estensore di alcuni emendamenti cruciali al pacchetto-sicurezza. Ma se, come sembra, il suo è un provvedimento serio, allora i ministri alla Giustizia, Angelino Alfano, e all’Interno, Roberto Maroni, adotteranno serie misure in proposito. È contrario a qualsiasi logica lasciare libero un soggetto arrestato in flagranza di reato, significa smontare il sistema sicurezza del Paese. Chiederemo ad Alfano di mandare gli ispettori a Venezia, sennò terremo noi la situazione sotto controllo e presenteremo un’interrogazione parlamentare. Per svuotare le celle-prosegue Vallardi-bisogna puntare sul reinserimento sociale dei detenuti. Per esempio dotando di braccialetto elettronico i condannati per reati meno gravi negli ultimi 2-3 anni di pena e impiegandoli in lavori di pubblica utilità, come la pulizia delle strade o altre mansioni gestite dai Comuni”. Ha segnalato subito la circolare al titolare dell’Interno il sindaco di Verona, Flavio Tosi, altro riferimento del Carroccio in Veneto. “Stimo Borraccetti - rivela - ma questo è un nodo che deve sciogliere la politica, non un tecnico. Si rischia infatti la disomogeneità di trattamento tra province e poi è un fatto di ordinamento generale, che ha importanti ricadute politiche. Chiedo a Maroni di dirimere la questione insieme ad Alfano, scelte così importanti non possono essere prese in forma estemporanea da un magistrato”. In casa Pdl, dubbiosa Elisabetta Casellati, sottosegretario alla Giustizia e avvocato. “La prima parte della circolare, cioè l’indicazione alla polizia giudiziaria di custodire nelle celle di sicurezza l’arrestato in attesa del processo per direttissima, si ispira allo spirito di un tempo- riflette-in passato si faceva così. È un buon consiglio. Ma la seconda parte, concernente la facoltà del sostituito procuratore di turno di rimettere in libertà il soggetto, mi lascia perplessa. Capisco il dramma delle carceri al collasso, che infatti il governo sta affrontando dopo aver dichiarato lo stato di emergenza, ma non credo sia questa la strada per venirne fuori”. Difende invece l’operato del procuratore l’avvocato Piero Longo, senatore del Pdl e legale del premier Silvio Berlusconi. “Non c’è violazione di alcuna norma - puntualizza - anzi, l’atto richiama all’osservanza dell’articolo 558 del Codice di procedura penale, non è dunque un provvedimento-tampone o di emergenza mala regola, che dovrebbe essere sempre rispettata. Questure e caserme dicono di non avere spazi e mezzi per custodire gli arrestati? La verità è che tutti vogliono scaricare su altri le proprie responsabilità. Se le case di reclusione scoppiano è perché sono piene di detenuti in attesa di giudizio: c’è un’applicazione della carcerazione preventiva non rispondente alle disposizioni del nostro ordinamento, che la vorrebbe come eccezione. Se tale interpretazione prevalesse, una parte importante del problema sarebbe risolta”. Ha invece un’altra ricetta Felice Casson, ex pm a Venezia e ora senatore del Pd: “Il richiamo di Borraccetti al rispetto di una norma esistente è positivo, anche se le forze dell’ordine non hanno mezzi né uomini per farsi carico della sicurezza sociale. Non si può affrontare il caso carceri creando problemi a poliziotti e cittadini, bisogna gestirlo nel suo complesso e con più provvedimenti, contestuali e definitivi. Non con atti estemporanei e disordinati come l’indulto, altrimenti non cambierà mai niente. Si deve agire sull’edilizia, usare meglio la polizia penitenziaria, e non sprecarla per le scorte, depenalizzare i reati che non creano allarme sociale, imponendo a chi li commette misure alternative alla detenzione”. Giustizia: Zaccariotto (Lega); detenuti stranieri scontino la pena nei loro paesi, paghiamo noi la spesa Ansa, 11 maggio 2010 “La Provincia già lo scorso ottobre aveva richiesto un intervento del governo per affrontare la situazione disumana del sovraffollamento del carcere di Santa Maria Maggiore, argomento che non può certo essere affrontato da un singolo tecnico, per quanto stimato e competente, quale è il procuratore Borraccetti - ricorda la presidente della Provincia Francesca Zaccariotto - Al governo la Provincia aveva tra l’altro richiesto l’incremento del personale di custodia attualmente sotto organico e che si valutasse la fattibilità della ristrutturazione degli spazi ex-Sat maschile all’Isola della Giudecca da destinarsi a detenuti definitivi. Questi interventi sono oggi ancora più urgenti perché nel frattempo il sovraffollamento del carcere è peggiorato, passando da 320 a 336 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 111 posti”. “Ci rendiamo conto dei costi di questi interventi, che si sommano al costo giornaliero di un detenuto che è di 400 euro al giorno, mentre la Regione Veneto spende 2.500 euro pro capite all’anno per la sanità dei detenuti a fronte di una spesa di soli 1.500 euro pro capite per i cittadini veneti - aggiunge Francesca Zaccariotto - Perciò è da prendere in seria considerazione l’ipotesi di convenzioni che permettano ai detenuti extracomunitari, l’85 per cento dei detenuti nelle carceri venete, di scontare la pena nei loro paesi d’origine, con spese comunque a carico dell’amministrazione italiana”. “Al di là dell’evidente vantaggio per le casse dello Stato, in quanto le spese di detenzione sarebbero nettamente inferiori in paesi a basso reddito, questa scelta potrebbe avere un significato profondo sotto il profilo dei diritti umani - conclude la presidente - Oltre a risolvere il sovraffollamento delle carceri italiane, si favorirebbe il sorgere in paesi del sud e dell’est del mondo di strutture carcerarie in linea con gli standard di rispetto per i diritti umani previsti dalla comunità internazionale”. Giustizia: Sappe; positiva iniziativa Borraccetti su convalida dell’arresto e giudizio direttissimo Ansa, 11 maggio 2010 “Mi auguro che l’iniziativa del procuratore capo della Repubblica di Venezia, Vittorio Borraccetti, che ha diramato ai Pm e alle forze dell’ordine una circolare in cui si invita a evitare di portare in carcere i delinquenti colti in flagranza di reato in osservanza di quanto previsto dall’articolo 558 del codice di procedura penale, venga fatta propria anche dalle altre Procure italiane. Anzi, auspico che analoghe iniziative vegano prese in tutta Italia. L’attuale sovraffollamento penitenziario, costituito ormai da quasi 68mila detenuti per buona parte in attesa di giudizio, impone interventi concreti. Uno, efficace e concreto, è proprio indicato dalla Legge ed è stato richiamato dal procuratore capo Borraccetti: l’articolo 558 del codice di procedura penale in materia di convalida dell’arresto e giudizio direttissimo espressamente prevede che colui che è arrestato in flagranza va condotto subito dal giudice senza passare per il carcere. Se poi il giudice deputato a tenere il processo è troppo impegnato e il passaggio in aula slitta di 24 ore, anziché portarlo in carcere, deve essere tenuto in custodia in caserma, in guardina o comunque nei locali a disposizione delle forze dell’ordine che ha operato l’arresto. Questo è quanto prevede la legge, per cui non comprendiamo davvero le sterili polemiche sull’iniziativa di Borraccetti”. È quanto scrive in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione all’iniziativa del procuratore capo della Repubblica di Venezia, Vittorio Borraccetti. “Oggi le carceri sono sovraffollate anche da persone che vengono detenute per pochi giorni, spesso per il solo periodo di attesa dell’udienza di convalida dell’arresto. Incidono pesantemente sul gran numero di detenuti che entrano ed escono dal carcere quotidianamente, specie nelle Case circondariali (161 delle complessive 206 strutture carcerarie italiane), e creano enormi problemi organizzativi per trovare sistemazioni ad un gran numero di detenuti che entrano negli Istituti penitenziari per poi venire scarcerati dopo pochi giorni. E crea molti problemi anche il fatto che spessissimo gli arrestati vengono portati in carcere a qualsiasi ora del giorno e (soprattutto) della notte. Dunque, giudiziario più che positivo all’iniziativa del procuratore capo della Repubblica di Venezia Vittorio Borraccetti; speriamo, anzi in una analoga iniziativa anche dalle altre Procure italiane”. Giustizia: il pestaggio di Stefano Gugliotta è diventato un caso politico, indagine sui poliziotti di Federica Angeli e Laura Serloni La Repubblica, 11 maggio 2010 È diventato un caso politico il pestaggio di Stefano Gugliotta, il giovane che la notte del 5 maggio è stato picchiato da alcuni poliziotti vicino allo stadio Olimpico, dove si disputava la finale di Coppa Italia. È bipartisan la richiesta di far luce sulla vicenda: dal ministro dell’Interno Maroni al radicale Staderini, dal governatore del Lazio Polverini al presidente della Provincia Zingaretti. E il capo della polizia, Antonio Manganelli, ha disposto “una rigorosa attività ispettiva” per verificare la correttezza degli agenti. Da ieri mattina i contorni giudiziari della vicenda hanno cominciato a delinearsi. Per cominciare, la procura, su richiesta dell’avvocato difensore Cesare Piraino, ha aperto un’inchiesta e ha affidato alla questura di Roma il compito di indagare sui propri agenti. Tre di loro sono già stati identificati grazie a uno dei video girati dai residenti di viale Pinturicchio. Ai poliziotti è stata chiesta una relazione dettagliata sull’accaduto. Saranno ascoltati in tribunale, nei prossimi giorni, dal pubblico ministero Francesco Polino che ieri ha visionato il video dell’aggressione e ha accolto l’istanza presentata dal difensore. Intanto Stefano Gugliotta resta in carcere. Il giovane romano di 25 anni, accusato dalla polizia di essere un ultrà e di aver partecipato agli scontri con la polizia, al termine di Roma-Inter, è ancora a Regina Coeli. Ieri ha ricevuto la visita di vari uomini politici, e tutti hanno chiesto la sua scarcerazione. Ma secondo gli inquirenti il ragazzo ha dei precedenti penali: uno per rapina, un altro più recente per lesioni. In più la patente di guida gli è stata sospesa per due mesi per uso di cocaina. “Impossibile - ribatte l’avvocato Piraino - ho qui davanti a me il certificato penale e il certificato dei carichi pendenti ed entrambi sono nulli. Stefano è incensurato”. Tuttavia, verificare come siano andate le cose è il chiaro proposito della questura di Roma che “procederà a verificare con scrupolo e massima trasparenza l’esatta dinamica degli eventi, non potendosi tollerare eccessi e abusi”. Qualora verranno accertati gli abusi, prosegue la questura, “i responsabili, oltre che penalmente perseguiti, saranno anche disciplinarmente sanzionati”. Sono salite a 15 le persone pronte a confermare la versione fornita dal ragazzo che, angosciato dal carcere, continua a sostenere la sua innocenza. “Con i tifosi della Roma non c’entro niente. Sono uscito di casa quindici minuti dopo l’inizio del secondo tempo della partita. Col motorino, insieme a un mio amico che ha il tutore alla gamba, sono andato a vedere in viale del Pinturicchio se era aperto un pub per festeggiare il quindicesimo compleanno di mio cugino. Quando ho girato lo scooter per tornare indietro sono stato avvicinato dalla polizia”. Il resto è stato filmato dalle finestre dei palazzi. Disperata la madre del ragazzo che annuncia gesti estremi qualora il figlio non torni in libertà. “Di qualsiasi cosa possano sospettarlo, non si può trattare così una persona”, dice Raimonda Gugliotta. Ieri, davanti al carcere di Regina Coeli, ha ricevuto una telefonata dalla mamma di Stefano Cucchi. “I nostri casi - l’ha incoraggiata la donna - devono far sì che non si ripetano certe tragedie”. Paola Frassinetti, vicepresidente della Commissione Cultura e Sport della Camera, presenterà oggi un’interrogazione al ministro dell’Interno che ha già dichiarato la sua volontà di chiarire la vicenda. “Se ci sono dei responsabili saranno puniti, come sempre è avvenuto e come avverrà anche in questo caso”. Lettere: sui pestaggi nelle carceri e nelle caserme le indagini sono impossibili, domina l’omertà di Luigi Manconi e Valentina Calderone L’Unità, 11 maggio 2010 “Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto...”. Queste parole sono ormai note. La voce che le pronuncia appartiene a Giuseppe Luzi, comandante della polizia penitenziaria nel carcere Castrogno di Teramo. Ricostruiamo quella vicenda. Il detenuto in questione, Mario Lombardi, denuncia di essere stato aggredito da un agente mentre, prima di rientrare in cella, voleva farsi offrire un caffè da altri detenuti e di essere stato portato, poi, nei sotterranei dove sarebbe continuato il pestaggio. Prevedibilmente diversa la ricostruzione degli agenti. Lombardi, a un primo controllo, risulta avere una costola fratturata. Frattura che non verrà più riscontrata nei successivi accertamenti. Per l’agente invece c’è un trauma contusivo a spalla e mano. Il “negro” testimone, Uzoma Emeka, nel frattempo è morto di un tumore al cervello mai diagnosticato e in condizioni di grave carenza assistenziale e terapeutica. Lombardi avrà a breve la prima udienza del processo che lo vede imputato per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale aggravate da futili motivi. Altra storia, invece, il procedimento che prende spunto dalla denuncia del detenuto, supportata dalla registrazione delle frasi pronunciate dal comandante. Il sostituto procuratore David Mancini, incaricato delle indagini, ha chiesto pochi giorni fa l’archiviazione del procedimento per i quattro agenti e il loro comandante: ma, allo stesso tempo, ha denunciato - attenzione - il grave clima di omertà esistente nel carcere che ha indotto alla reticenza tanto i detenuti quanto gli agenti. L’indagine impossibile A ben vedere, questo è il punto cruciale: com’è possibile condurre indagini in piena autonomia e verificare indizi e prove e ascoltare testimoni affidabili in un ambiente dove dominerebbe l’omertà? Ma la cronaca della scorsa settimana ci consegna altre notizie inquietanti. L’associazione A Buon Diritto ha reso pubblico un video, ripreso da una telecamera all’interno della caserma dei carabinieri di via del Campo a Ferrara, in cui alcuni giovani fermati (sempre per resistenza a pubblico ufficiale) vengono sottoposti a pressioni abusi e in qualche caso violenze da appartenenti all’Arma. Le immagini non sembrano lasciare spazio a dubbi: si vedono almeno due ragazzi ammanettati e chiaramente inoffensivi subire colpi. Un carabiniere ha ricevuto un avviso di garanzia e non è escluso che vi siano altri indagati. Un’altra indagine, invece, si è conclusa ed è quella relativa alla morte di Stefano Cucchi. I due Pm hanno depositato gli atti e chiedono si proceda contro tredici persone tra medici, appartenenti all’amministrazione e poliziotti. Per i primi l’accusa non è più di omicidio colposo, bensì di abbandono di incapace: reato più grave e persino più screditante sotto il profilo morale se contestato a medici. Contro i poliziotti sono state elevate le accuse di lesioni e abuso di autorità. È stato così spezzato il nesso di causa-effetto tra gli atti di violenza subiti da Stefano Cucchi e la sua morte. E questa conclusione, se fosse definitiva, costituirebbe un grave passo indietro. Questi fatti si registrano mentre viene resa pubblica la relazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura relativa alle condizioni degli Ospedali psichiatrici giudiziari in Italia. Dal rapporto emergono fatti sconcertanti: violenze, abusi, uso indiscriminato della contenzione (legare il paziente al letto, serrando polsi e caviglie, 24 ore su 24, a volte per giorni e giorni). Ultimamente, pur tra molte ovvietà e grossolane omissioni, capita di sentir parlare di carcere, spesso attraverso denunce che rivelano un circuito penitenziario che fa acqua da tutte le parti e riproduce all’infinito crimini e criminali, oltre a perpetuare lo stato di illegalità del sistema. Degli Opg, invece, di queste strutture a metà tra luoghi di cura e luoghi di reclusione, non si parla mai. Eppure anche lì (lo documentiamo in queste pagine), come nelle caserme, nelle prigioni, nei centri di identificazione e di espulsione per stranieri, le violenze, i soprusi, le umiliazioni sono all’ordine del giorno. E a volte qualcuno lì trova la morte. E non accade di rado. Lettere: il ddl “svuota carceri” di Alfano fa la cosa giusta, nonostante il populismo leghista di Geny Stanco (Avvocato penalista di Salerno) www.libertiamo.it, 11 maggio 2010 Se non fosse per il ricorso alla normativa di emergenza che, occorre dirlo, è un male da troppo tempo ritenuto necessario e da abbandonare in favore di un riassetto sistemico della giustizia, si potrebbe ammettere che il disegno di legge presentato dal Ministro Alfano il 9 maggio del 2010 e passato agli onori della cronaca con il titolo di “Decreto svuota carceri” appare convincente nei fini, pur obbligando a qualche riflessione soprattutto rispetto alle reali possibilità attuative. Un dato è incontrovertibile: stando ai risultati che pervengono dai vari osservatori l’ individuazione di interventi correttivi tesi a risolvere la questione del sovraffollamento carcerario non può essere rinviata oltre, eventualmente attendendo che decolli il piano di irrobustimento dell’edilizia penitenziaria, tra l’altro pure annunciato come imminente dal Ministro. Obbligano ad un’accelerazione non solo le continue condanne che ci piovono addosso dalla Corte di Giustizia Europea per il trattamento riservato ai nostri detenuti - con strascichi negativi per il nostro Paese, sia in termini economici che di immagine di scarsa civiltà nel trattamento della persona - ma anche e soprattutto perché l’ammasso di condannati, in numero molto superiore rispetto a quello che le celle oggi disponibili potrebbero contenere annienta, di fatto, la dignità dell’individuo, frustrando ogni finalità costituzionalmente assegnata alla pena che, occorre ricordarlo, deve essere rieducativa e non già meramente punitiva. Non va parimenti taciuto che il divario prodottosi tra l’organizzazione penitenziaria, sottodimensionata per infrastrutture ed organico rispetto al fabbisogno nazionale, e il proliferare della popolazione carceraria, finisce paradossalmente per peggiorare anziché correggere l’attitudine di taluni ad allontanarsi dalle regole di civile convivenza. Gli interventi contenuti nel ddl in discussione alla Camera appaiono indirizzati a ridurre, nell’immediatezza, il numero di condannati presenti nei penitenziari, favorendo l’uscita dagli istituti di una parte consistente della popolazione carceraria, vale a dire i condannati che devono scontare una pena pari o inferiore a dodici mesi, anche come residuo di pena maggiore, con esclusione per coloro che siano stati condannati per reati di particolare allarme sociale e per tutte le fattispecie più gravi, oltre che per delinquenti abituali e professionali, per coloro che già abbiano meritato una condanna per evasione o abbiano violato le prescrizioni imposte per la detenzione domiciliare e per chi si trova in regime di sorveglianza speciale. In proposito, ci si permette di segnalare che la norma potrebbe meglio soddisfare anche l’esigenza deterrente se si inserisse nel testo la previsione che il beneficio della espiazione dell’unico/ultimo anno di detenzione fuori dagli istituti è concedibile una sola volta. Solo così facendo si potrebbe valorizzare il fine rieducativo, viceversa azzerato in caso di concessioni a catena. Sono stati poi previsti significativi e generalizzati inasprimenti di pena per il reato di evasione - senza alcun distinguo tra l’evasione ordinaria e quella dal luogo di espiazione dell’ultimo anno di pena, più grave in quanto sprezzante del beneficio concesso - e si è escluso che la recidiva specifica sia ostativa alla concessione del beneficio (contrariamente a quello che accade per la misura alternativa della detenzione domiciliare) Il meccanismo procedimentale tendente alla concessione del beneficio è stato pensato snello ed automatico sì da non gravare in termini organizzativi sul lavoro già ingolfato dei tribunali. In linea di principio il sistema che si va delineando appare pragmatico e teleologicamente coerente rispetto al fine positivo del miglioramento del trattamento penitenziario, che è molto più utile alla collettività di quanto non lo siano le suggestioni populiste di chi grida all’amnistia mascherata, soprattutto perché esso, da un lato offre al reo un’occasione di risocializzazione che non avrebbe ottenuto in carcere, dall’altro solleva la collettività dagli ingenti costi necessari al mantenimento giornaliero del detenuto, che per effetto indirette della novella legislativa andrebbero invece a gravare sulle famiglie, per lo meno nel caso degli arresti domiciliari. Non può dirsi tuttavia che il meccanismo così congegnato sia esente da censure. Innanzitutto c’è la questione legata ai tempi di predisposizione di un’adeguata rete di servizi sociali e di pubblica utilità realmente capaci di accogliere i detenuti che devono espiare l’ultimo anno, che devono essere rapidi se si vuole alleggerire il carico carcerario senza rinunciare alla finalità nobile delle rieducazione del reo. Si consideri che ogni carenza organizzativa si scaricherebbe, come è immaginabile, su tutti quei detenuti privi di famiglie pronti ad accoglierli, dunque prevedibilmente in misura maggiore sui cittadini extracomunitari, i quali in considerazione dei reati per i quali vengono più frequentemente condannati e dell’esiguità delle pene per essi previste, potrebbero beneficiare in gran numero degli effetti del decreto. Parimenti, i rischi di mancanza di adeguate strutture socio-assistenziali, andrebbero a vanificare anche un richiesto percorso riabilitativo e di socializzazione, indispensabile per dare contenuto di recupero all’anno di detenzione domiciliare. Il maggior elemento di distonia sistemica dell’intervento legislativo in questione è però connesso alla valutazione della recidiva, verso la quale il legislatore pare stia scivolando verso un atteggiamento schizofrenico. Se da un lato infatti essa viene enfatizzata in termini di inasprimento delle pene e di allungamento della prescrizione, oltre che di causa di esclusione dell’ammissione alla detenzione domiciliare ordinaria, dall’altro, senza alcuna ratio apprezzabile, viene ritenuta ininfluente ai fini della concessione del beneficio della espiazione dell’ultimo anno di pena fuori dal carcere palesando, con ciò, una sorta di disparità di trattamento rimasto privo di giustificazione. Inoltre preme segnalare che l’approvazione del ddl carceri, ed in particolar modo la dichiarata necessità di sfoltire la popolazione carceraria, collide, in un certo senso, con altra norma, già approvata nella presente legislatura e inserita nel cd. “pacchetto sicurezza” 2009. Ci si riferisce alle modifiche dell’art. 135 c.p. che hanno spropositatamente innalzato l’indice di conversione delle pene detentive brevi in pene pecuniarie. A fronte della vecchia normativa che fissava in trentotto euro la pena pecuniaria da calcolare per ogni giorno di detenzione convertibile, fino ad un massimo di pena detentiva di sei mesi, il pacchetto sicurezza ha quasi decuplicato i suddetti criteri di ragguaglio, portandoli a duecentocinquanta euro per ogni giorno di detenzione. La modifica, che ha di fatto precluso ai meno abbienti la possibilità di accedere al beneficio, con sostanziale sacrificio del principio di uguaglianza (solo i ricchi potranno convertire), evidenzia una sorta di irrazionalità del sistema in quanto dapprima si mortificano le occasioni di accesso alle sanzioni alternative alla detenzione e poi si è costretti a ricorrere a norme di uscita anticipata dagli istituti per ridurre la popolazione carceraria. Si ritiene auspicabile, pertanto, che insieme a misure necessarie che tendono a favorire l’uscita anticipata dalle case di reclusione vengano incentivati, anziché sacrificati, istituti come quello della conversione, che innestano meccanismi virtuosi di punizione senza tuttavia ingolfamento delle carceri. Si ricordi, del resto, che in tal senso si muove la seconda parte del ddl carceri, meno pubblicizzata ma, a parere di chi scrive, di grande interesse ed utilità. Viene introdotto l’istituto della cd. sospensione del processo con “messa alla prova”, mutuato dal procedimento dinanzi al Tribunale per i Minorenni, pensato come modalità di definizione alternativa previo consenso dell’imputato il quale, per taluni reati puniti non gravemente (fino a tre anni) può richiedere di sottoporsi ad un periodo di lavori di pubblica utilità presso enti pubblici o di volontariato e previa positiva prognosi da parte del giudice, essere ammesso al beneficio, per una sola volta e con esclusione dei recidivi specifici (con reviviscenza della distonia, incomprensibile, per la quale la recidiva consente al carcerato di uscire dall’istituto ma preclude all’imputato di svolgere lavori di pubblica utilità). Ciò posto, anche l’abbassamento dei criteri del ragguaglio per la conversione delle pene detentive brevi in pene pecuniarie, in uno all’allargamento della pene convertibili, eventualmente prevedendo, congiuntamente, per la parte di pena convertita eccedente i sei mesi, anche lavori di pubblica utilità, come per la messa alla prova, potrebbe dare un contributo rilevante allo snellimento dell’attività processuale e, latu sensu, alla riduzione della probabile futura popolazione carceraria. Senza considerare che la previsione, per taluni reati meno gravi, di forme sanzionatorie di carattere pecuniario, certe ed immediatamente esigibili, oltre a svolgere una funzione deterrente molto più efficace della minaccia di sanzione detentiva, avvertita come remota e di improbabile esecuzione, precostituirebbero un canale di finanziamento della giustizia non trascurabile. Abruzzo: Pd; situazione non più sostenibile, aderiamo all’appello di Ristretti Orizzonti per sciopero fame Ansa, 11 maggio 2010 “Da domani mi unirò anche io allo sciopero della fame lanciato dall’On. Rita Bernardini”. “Il problema delle carceri è un problema di democrazia e di diritti. La situazione attuale è la più difficile dal dopoguerra ad oggi, infatti attualmente si è arrivati a quasi 70.000 detenuti,con una capienza utile ad accoglierne 43.000, si è superata anche la soglia di massima tollerabilità”. Queste le parole di Michele Fina, segretario del Pd della provincia dell’Aquila, che ha ripreso oggi il tema dell’emergenza carceri: “Per il rispetto dei diritti anche per le persone recluse ci siamo battuti da tempo, abbiamo come partito istituito un dipartimento quello dei diritti e delle garanzie guidato da Giulio Petrilli, il quale negli ultimi mesi si è battuto con coraggio e capacità: le visite al carcere di Sulmona e Teramo, le denunce sulle difficili condizioni di vita, gli appelli, lo sciopero della fame, la sensibilizzazione verso queste problematiche complesse. Tutto questo lavoro con il mio assoluto sostegno. Ma oggi siamo ad una nuova fase di questa battaglia politica la quale seppur giusta non raccoglie il necessario ascolto e la doverosa sensibilità da parte delle istituzioni, cieche e sorde di fronte ai più elementari diritti di una società civile e “umana”. Per questo - ha concluso Fina - aderisco convintamente all’appello lanciato dall’associazione Ristretti Orizzonti in sostegno allo sciopero della fame che l’On. Rita Bernardini e altre persone stanno conducendo da quasi un mese per cercare di risolvere il drammatico problema del sovraffollamento delle carceri e da domani inizio anche io lo sciopero della fame”. Partito Democratico Provincia dell’Aquila Hanno inoltre aderito allo sciopero della fame a staffetta per un giorno Francesco Iritale segretario comunale Pd L’Aquila Mauro Zaffiri segreteria comunale Pd L’Aquila Gilda Panella segreteria comunale L’Aquila Francesca Tomei segreteria comunale Pd L’Aquila Fulvio Angelini segreteria comunale Pd Stefano Albano segretario prov. giovani democratici Mauro Marchetti segreteria prov. giovani democratici Ermanno Natalini esecutivo provinciale Pd Nicola Iannarelli L’Aquila Liguria: Sappe; solo 15% dei detenuti lavora, enti locali li impieghi in progetti di pubblica utilità Il Velino, 11 maggio 2010 “La situazione penitenziaria regionale peggiora ogni giorno sempre di più e chi si appresta a governare la regione non può ignorarlo. Invitiamo il presidente della giunta regionale della Liguria, Claudio Burlando, e l’assessore regionale alla salute e alla sicurezza, Claudio Montaldo, insediatisi oggi, a venire in una qualsiasi delle sette carceri liguri per constatare personalmente le gravi criticità penitenziarie connesse al pesante sovraffollamento carcerario e alla carenza di personale di Polizia penitenziaria”. È quanto scrive Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto e commissario straordinario per la Liguria del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe. “La presenza record di 1.755 detenuti, mai registrata neppure ai tempi immediatamente precedenti l’indulto del 2006, nei sette penitenziari regionali che dispongono di una capienza regolamentare complessiva di 1.140 posti letto - continua Martinelli -, fanno comprendere con quante difficoltà lavorano le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, sotto organico di oltre 400 unità in Liguria. La presenza di stranieri tra i reclusi della Liguria si attesta tra il 50 ed il 60 per cento dei presenti e nella nostra regione si registra anche la percentuale più alta a livello nazionale di detenuti tossicodipendenti (circa il 40 per cento dei presenti rispetto a una media nazionale del 25 per cento)”. “Altro record negativo a livello nazionale è quello dei detenuti che lavorano, che in Liguria sono solamente il 15 per cento dei presenti. La situazione è davvero allarmante e ritengo che anche la regione Liguria debba fare qualcosa. Chiedo l’impegno della regione Liguria (anche attraverso il coinvolgimento delle province e dei comuni liguri, d’intesa con il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, e il qualificato e fondamentale contributo del personale di Polizia penitenziaria) a promuovere concretamente l’impiego dei detenuti in progetti per il recupero del patrimonio ambientale ligure. L’attivazione sul territorio nazionale di iniziative inerenti la promozione del lavoro è diventato obiettivo primario che l’amministrazione penitenziaria persegue al fine del coinvolgimento consapevole e responsabile dei soggetti in espiazione di pena in attività lavorative volte all’integrazione e al reinserimento nella comunità sociale. Impiegare in detenuti in progetti di recupero del patrimonio ambientale e in lavori di pubblica utilità è motivato dalla necessità concreta di dare davvero un senso alla pena detentiva: una iniziativa in tal senso era stata formulata al termine della precedente legislatura regionale dal consigliere del Pdl Rosso”. “Spero e auspico che il presidente Burlando e l’assessore Montaldo la facciano loro. I detenuti hanno prodotto danni alla società? Bene, li ripaghino mettendosi a disposizione della collettività ed imparando un mestiere che potrebbe essere loro utile una volta tornati in libertà. Sono pochissimi i carcerati che lavorano nei penitenziari e in Liguria la percentuale è la più bassa d’Italia: la maggior parte di loro, dunque, ozia tutto il santo giorno. E allora, se è vero - come è vero - che il lavoro è potenzialmente determinante per il trattamento rieducativo dei detenuti (perché li terrebbe impiegati per l’intero arco della giornata durante la detenzione e perché permetterebbe loro di acquisire un’esperienza lavorativa utile fuori dalla galera, una volta scontata la pena) - conclude il segretario generale aggiunto del Sappe, impiegarli in lavori di pubblica utilità di salvaguardia e cura del territorio ligure può davvero dare un senso (concreto) alla pena”. Roma: Patrizio Gonnella (Antigone) e Luigi Nieri (Sel) in visita al carcere romano di Regina Coeli Comunicato stampa, 11 maggio 2010 Patrizio Gonnella, Presidente nazionale dell’Associazione Antigone, e Luigi Nieri, Capogruppo di “Sinistra Ecologia Libertà per Vendola” nel Consiglio regionale del Lazio, si sono recati oggi nel carcere romano di Regina Coeli dove hanno incontrato i ragazzi arrestati all’indomani della partita Roma-Inter. “Abbiamo potuto constatare di persona - dichiarano - i segni sul corpo subiti da Stefano Gugliotta nonché le condizioni di Daniele Luca, attualmente ricoverato presso il centro clinico di Regina Coeli a causa di una vertebra rotta. In particolare dopo aver visto e parlato con alcuni dei ragazzi coinvolti, parte dei quali molto giovani ed evidentemente estranei a logiche da ultras, ci è sembrato palese che si sia trattata di un’operazione in cui la polizia ha preso nel mucchio i primi che gli sono capitati. Ora speriamo che ci sia giustizia rispetto alle violenze inferte e rispetto agli arresti a dir poco esagerati. Detto questo, siccome non è più il tempo della teoria delle “mele marce”, è invece necessario che ci siano risposte politiche a questi episodi di violenza che si ripetono drammaticamente nel tempo ossia: immediata introduzione del reato di tortura nel codice penale, istituzione di una figura che possa ispezionare tutti i luoghi di detenzione a partire dalle caserme e dai commissariati, infine la previsione di un norma che preveda la identificabilità di poliziotti e carabinieri che svolgono servizi d’ordine. Solo se ci saranno risposte di questo genere potremmo credere a chi oggi riveste ruoli di governo delle forze dell’ordine.” Dalla vista è emerso che in data odierna i detenuti ospitati nell’Istituto sono 1.065 e che celle pensate per una o al massimo due persone ne accolgono anche quattro. Puglia: Sappe; le carceri regionali sono sovraffollate, ma penitenziario di Spinazzola è vuoto Il Velino, 11 maggio 2010 Ancora una volta il Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) torna a denunciare “una situazione assurda e incredibile che colpisce il carcere di Spinazzola poiché ciò potrebbe contribuire in maniera concreta a dare un po’ di sollievo nel disastrato panorama penitenziario pugliese” spiega in una nota. Infatti, “mentre quasi tutte le carceri della regione sono al collasso per il grave sovraffollamento di detenuti, presso il penitenziario di Spinazzola la capienza di detenuti è ridotta ad un quarto (circa 30 detenuti a fronte di oltre 130 posti disponibili). Sicuramente riempire con altri cento posti il carcere di Spinazzola non porterà a soluzione la grave problematica del sovraffollamento dei penitenziari pugliesi, anche se si deve far notare che la tipologia dei detenuti ospitati nel carcere della Murgia Barese renderebbe un grande servigio ai penitenziari più grandi - continua il Sappe. Infatti a Spinazzola tutti i detenuti ristretti appartengono alla categoria sex-offender che nelle carceri normali creano molto più lavoro e disagio alla Polizia penitenziaria, nonché pericoli alla sicurezza del carcere stesso. Ciò poiché tale categoria è molto invisa alla popolazione detenuta normale che nutre sentimenti di odio verso questi ultimi per cui si è costretti a prendere misure molto rigorose per evitare incontri occasionali che potrebbero sfociare in episodi di violenza anche drammatici, con enorme dispendio di uomini e mezzi. Trasferendo invece tali detenuti a Spinazzola si potrebbero liberare le sezioni detentive di Lecce, Taranto, Foggia, Bari, che allo stato creano grosse tensioni e malumori all’interno dei predetti Penitenziari. Peraltro come confermatoci dalla direzione dell’istituto, basterebbero poche migliaia di euro nonché una decina di Poliziotti penitenziari per portare a regime la capienza di 130 detenuti. È possibile che l’amministrazione penitenziaria che sta spendendo, negli anni, decine di milioni di euro presso il carcere di Bari, senza creare alcun posto in più, anzi la situazione diventa sempre più grottesca e catastrofica a partire dalla seconda sezione che non si riesce a chiudere per le cattive condizioni igienico sanitarie, non trovi pochi spiccioli per completare una struttura che ridarebbe un po’ di ossigeno agli istituti penitenziari pugliesi?” Il Sappe ritiene che “in un momento così drammatico ogni sforzo deve essere fatto affinché si riesca a razionalizzare e distribuire al meglio la popolazione detenuta al fine di evitare ulteriori aggravi di lavoro, nonché enorme spreco di risorse e mezzi. Il Sappe, considerata l’attuale situazione, chiede al provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria di autorizzare nel più breve tempo possibile i lavori necessari per aumentare la capienza del carcere di Spinazzola a 130 detenuti permettendo così come si diceva prima di far convergere in un’unica struttura tutta la popolazione detenuta che è si è macchiata di particolari e ripugnanti reati, prevedendo comunque per questi ultimi, una detenzione così come è prevista dalle leggi dello Stato Italiano”. Milano: detenuto di Opera finge suicidio in carcere e aggredisce agente di polizia penitenziaria Adnkronos, 11 maggio 2010 Un agente di polizia penitenziaria del carcere di Opera, a Milano, è stato aggredito ieri sera da un detenuto. Il carcerato ha attirato l’agente dentro la sua cella fingendo di impiccarsi, ma quando l’agente è intervenuto per salvarlo il detenuto lo ha aggredito e picchiato. Per l’agente i medici hanno dichiarato una prognosi di 30 giorni. “Un episodio del genere - commenta Angelo Urso segretario nazionale della Uilpa penitenziari - non ha precedenti, la dinamica di questa aggressione ci preoccupa molto. Fino ad ora gli agenti sono sempre intervenuti con il solo obiettivo di salvare il detenuto. Dopo questo episodio c’è il rischio che gli agenti temano altre simulazioni ed abbiano dei timori ad intervenire. I problemi per la sicurezza degli agenti - conclude Urso - ci sono sempre stati, soprattutto con il sovraffollamento attuale, ma mai un detenuto aveva simulato il suicidio. Porto Azzurro: dopo la protesta degli angenti il Governo sospende l’arrivo di 300 nuovi detenuti Elba Tirreno News, 11 maggio 2010 L’annuncio al convegno dentro il carcere. In piazza la protesta degli agenti. Il direttore: “spero che l’estate passi tranquilla, e che il governo valuti le condizioni della struttura penitenziaria, per garantire l’incolumità di chi ci lavora e di chi sconta la pena”. È stato sospeso l’arrivo nel carcere di Porto Azzurro di altri 300 detenuti. Lo ha annunciato ai nostri microfoni il direttore del carcere Carlo Mazzerbo durante “Volontariando” il convegno che la terza Conferenza del Volontariato ha organizzato questa mattina all’interno di Forte San Giacomo. “Al momento è stato sospeso il provvedimento di raddoppio - ci ha detto il direttore del carcere, Carlo Mazzerbo - perché si sono resi conto che non è soltanto una questione di metri quadri di stanza, ma di organizzazione generale. Io ho chiesto di valutare, prima, con molta attenzione, le condizioni non solo strutturali ma anche organizzative per garantire l’incolumità di chi lavora e di chi sconta la pena. Create quelle condizioni se ne può riparlare. Mi auguro che l’estate passi tranquilla e che ci siano provvedimenti, da parte del governo, che affrontino in maniera decisa questa questione, per limitare all’essenziale l’ingresso nelle carceri e non che diventi un rimedio per tutte le violazioni di legge”. È la prima volta che “Volontariando” entra in carcere. Una decisione nata dal fatto che spesso, chi fa volontariato in carcere non ha voce e non si conosce realmente l’opera di chi si impegna in questo settore. “Abbiamo ritenuto opportuno fare questa iniziativa all’interno del carcere - ha affermato l’assessore provinciale Monica Mannucci - coinvolgendo istituzioni e associazioni al fine di parlare della grande opera che i volontari svolgono per ridonare dignità a quelle persone che nella vita hanno fatto gravi errori”.Presente anche il presidente della Provincia di Livorno Giorgio Kutufà che ha assicurato un supporto alla realtà carceraria. “Siamo presenti per dimostrare la nostra attenzione al mondo carcerario - ha affermato Kutufà - e a tutti quelli che chi operano, volontari, guardie e ristretti. L’impegno della provincia è sostenere iniziative che rendano la vivibilità in questi ambienti, la più alta possibile. Certamente non è nei compiti istituzionali e quindi appoggiamo chi opera con gratuità, impegno e passione. Penso ai numerosi volontari elbani che per tradizione hanno una presenza in questo carcere. Un’attenzione che si manifesta nel sostenere iniziative come il premio Casalini e opere di conforto nelle tre carceri della provincia. Un impegno che deve essere condiviso da tutte le istituzioni con una particolare attenzione che lo stato deve avere. Quindi operare per attuare il dettato costituzionale di valorizzare le persone e lavorare per il loro recupero e il reinserimento nella società. È un impegno molto forte a cui cerchiamo anche noi di dare la nostra collaborazione”. Un lavoro difficile quello del volontario in carcere e molto impegnativo, ma possibile, e l’Associazione Dialogo lo sta portando avanti da 24 anni. “La realtà carceraria è molto cambiata nel tempo - costata Licia Baldi, presidente di Dialogo - ma restano fondamentali gli aspetti relazionali e il ruolo che il volontariato ha, secondo me, di promuovere il rispetto per la persona detenuta e per i suoi diritti fondamentali che sono quelli di ogni uomo: il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro, all’affettività, ad una vita dignitosa che possa aprirsi, poi ad un futuro migliore. Occorrono gli strumenti che non ci sono spesso, o sono limitati. Però il lamento serve a poco, la critica e la denuncia sì. Serve condividere con le istituzioni penitenziarie locali, con il territorio la stampa. Perché soltanto unendo le forze si possono raggiungere degli obiettivi positivi”. Una presenza importante quella del volontariato che aiuta, spesso, a superare i momenti più difficili come ha affermato anche il direttore del carcere. “Proprio in questo momento abbiamo deciso di tener fede all’impegno preso con la Provincia - afferma Carlo Mazzerbo - perché i momenti difficili si superano lavorando ogni giorno, impegnandosi ogni giorno e cercando la collaborazione. Il nostro è un lavoro difficile che vive anche momenti critici. Questo è uno dei più forti ma credo che se crediamo fortemente nel nostro lavoro e cerchiamo aiuto si riesce a superare anche questo momento. Sono più preoccupato per la carenza di organico, molto grave e difficile. Vorrei condividere pubblicamente questo momento di difficoltà che vivono i miei uomini. Gli sono vicino e vorrei ringraziarli perché nonostante il momento che stanno passando, hanno collaborato per realizzare questa giornata”.