Giustizia: in carcere “rivoluzione culturale possibile”, contro la sofferenza estrema e illegale di Lucia Castellano (direttore casa di Reclusione di Milano-Bollate) Europa Quotidiano, 8 luglio 2010 “Questa estate rischia di essere ricordata come quella della rivolta e dei suicidi in carcere”. Così l’onorevole Alfonso Papa presenta alla camera il ddl Alfano che prevede la detenzione domiciliare per i condannati che abbiano da scontare ancora un anno di detenzione. Come dargli torto? Abbiamo appena superato la metà dell’anno e contiamo già 33 suicidi in galera. Più di cinque al mese, più di uno alla settimana. 97 i morti in carcere, in totale, quest’anno. In più, livelli di sovraffollamento insopportabili. Al 31 maggio, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria registrava una presenza di 67.601 persone, a fronte di una capienza tollerabile di 44.592. Il caldo, com’è noto, rende tutto più difficile. Perché questa emergenza? I reati non sono aumentati, i detenuti aumentano a dismisura; quindi, il carcere si configura sempre di più come l’unica risposta punitiva che riusciamo a immaginare. Il nostro apparato legislativo ne prevede in realtà molte altre, ma una riflessione su questo tema ci porterebbe fuori strada. Le carceri scoppiano, che fare? La risposta politica sembra chiara: costruire nuovi istituti, nel segno di una detenzione più umana, che riconosca i diritti fondamentali dell’individuo e si adoperi per il suo reinserimento sociale. Il ministro Alfano ha appena inaugurato l’Agenzia per il collocamento al lavoro dei detenuti, e contemporaneamente ha annunciato l’immediata assunzione di mille agenti di polizia penitenziaria, a cui seguirà quella di altri mille in tempi brevi. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria esorta, con forza, le direzioni degli istituti a garantire una gestione del quotidiano improntata all’apertura, all’incontro con la società civile, alla lotta all’ozio e all’isolamento. Chiede ai direttori di consentire ai volontari di stare accanto ai detenuti “almeno fino alle ore 18”; si sa, infatti, che il carcere, pur essendo operativo 24 ore su 24, poiché abitato da persone, chiude i battenti al pubblico esterno al massimo alle 16.00, e i pomeriggi d’estate, in 7 o 8 in celle da 2 o 4 persone, sono lunghi da passare. Ma soprattutto, il Dipartimento chiede che sia tutelato il diritto all’affettività dei detenuti; li autorizza a telefonare sul telefono cellulare, innovazione notevole considerato che, soprattutto fra gli stranieri, i telefoni fissi non esistono quasi più. In ogni regione, i Provveditori riuniscono i direttori per esortarli a far fronte all’emergenza facendo appello all’umanizzazione della pena. Non solo. L’emergenza carceri è subita anche da chi lavora negli istituti. La polizia penitenziaria, gli educatori, i medici, gli infermieri si trovano a fronteggiare questa umanità dolente in pochi, in un periodo in cui gli affetti familiari reclamano la loro presenza a casa. E bisogna che chi dirige ne tenga conto, e non sacrifichi i diritti alle ferie e ai riposi sull’altare dell’emergenza. Altri rimedi per attenuare la sofferenza estrema, illegale, che il carcere impone ai propri ospiti e ai propri dipendenti? Forse una strada c’è, ed è ben tracciata da un apparato normativo che dal 1975 ad oggi non ha mai smesso di imporre all’Amministrazione di costruire un quotidiano penitenziario basato sul riconoscimento dei diritti fondamentali della persona. Il che vuol dire, in sintesi, riconoscere al detenuto tutta la libertà possibile (di autodeterminazione, di decisione, di organizzazione, di movimento) compatibile con la presenza del muro di cinta. È il muro che segna la pena, qualunque altra restrizione è afflittività aggiuntiva, “contra legem”. Questo è forse il salto più difficile , anche perché il sovraffollamento non aiuta. Ribaltare il rapporto tra istituzione e detenuto da quello di potere assoluto a quello di servizio pubblico all’ utenza (esattamente come gli ospedali o le scuole). Ci vuole coraggio, ma siamo sostenuti dalla legge; e, soprattutto, ribaltando, con una rivoluzione culturale, l’assetto organizzativo del carcere potremo finalmente sondare la capacità del detenuto di affrontare, progressivamente la libertà. Quale “revisione critica del proprio passato” possiamo accertare in una persona che non è libera nemmeno di muoversi all’interno dell’istituto? Il carcere che funziona deve produrre la definitiva libertà dei propri abitanti e abbattere la recidiva. Cominciamo, anche nel marasma del sovraffollamento. Il Dap ci da indicazioni concrete in tal senso. Considerare il detenuto una persona capace di decidere, con cui stabilire un rapporto umano significativo, che non annienti la sua individualità, ma la riconosca, forse abbatte il rischio di suicidio. Ci si uccide non solo perché si sta stretti in cella, ma anche e soprattutto perché in galera nessuno davvero ti vede e ti riconosce. Giustizia: Consulta penitenziaria di Roma; ddl unificato su bambini in carcere è un pasticcio Redattore Sociale, 8 luglio 2010 La proposta di legge in discussione unifica e rielabora le tre giacenti in Parlamento a firma Ferranti, Bruggher e Bernardini. Di Mauro (Consulta penitenziaria del comune di Roma): “È un pasticcio”. Non piace alle associazioni che si battono affinché “nessun bambino varchi più la soglia di un carcere” il progetto di legge in discussione in queste settimane in Parlamento. “Se il testo di legge che aspettiamo da tanti anni dovesse essere quello presentato in Commissione giustizia della Camera dall’onorevole Samperi del Pd, è meglio lasciare tutto come sta”, commenta Lillo Di Mauro, presidente della Consulta permanente per i problemi penitenziari del comune di Roma. Di Mauro è stato ascoltato negli scorsi giorni in Commissione giustizia in rappresentanza dei promotori delle varie campagne contro la permanenza in carcere dei bambini a proposito del testo unificato su “disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”: un progetto di legge che unifica e rielabora le tre proposte giacenti in Parlamento a firma Ferranti, Bruggher e Bernardini. “Il testo unificato prende il peggio di ogni proposta di legge - prosegue il presidente della Consulta penitenziaria. Ne viene fuori un pasticcio”. Da quasi 15 anni la Consulta penitenziaria del comune di Roma, l’associazione “A Roma insieme” e la Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con numerose organizzazioni del volontariato e del privato sociale, stanno portando avanti una battaglia per evitare qualsiasi forma di permanenza in carcere dei bambini da zero a tre anni, figli di madri detenute. Al fine di evitare il dramma delle separazioni tra mamme e figli, l’attuale normativa prevede infatti che le madri in attesa di giudizio o in esecuzione di pena possano portare con sé i propri piccoli, con l’aberrante conseguenza di un’infanzia e una crescita dietro le sbarre. Attualmente i bambini in carcere sono 56, “ma non ce ne dovrebbe essere neppure uno”, commenta Di Mauro. “In più occasioni - aggiunge - negli scorsi anni le associazioni hanno presentato ai parlamentari una proposta di legge accompagnata da una petizione popolare che ha raccolto 8 mila firme”. Ma in cosa il testo presentato in Commissione Giustizia diverge dalla proposta delle associazioni? “La nostra proposta - spiega il presidente della Consulta - prevede case di accoglienza protette (Icam) esclusivamente per donne che hanno compiuto reati molto gravi, quali mafia, terrorismo e infanticidio, e detenzione domiciliare e case famiglia gestite da enti locali per tutti gli altri casi. La proposta Samperi, invece, parla di carcere per le madri accusate di reati molto gravi e di case famiglia protette Icam per tutte le altre”. “Ma bisogna precisare - sottolinea Di Mauro - che le case famiglia protette sono gestite dai direttori degli istituti penitenziari, prevedono la presenza degli agenti di polizia penitenziaria anche se in abiti civili e sono sottoposte alle stesse regole del resto dell’istituto. Insomma, sono carcere a tutti gli effetti”. “Per non dare un dispiacere alla Lega - continua - dalla proposta unificata è stata poi stralciata la parte che riguardava le detenute madri straniere e prevedeva la non automaticità dell’espulsione”. Cosa, quest’ultima, che per il presidente della Consulta eviterebbe ai bambini “di subire un ulteriore trauma”, Sarebbe stata stralciata, inoltre, anche la norma che rivedeva la cosiddetta legge ex Cirielli sulla recidiva, definita “uno dei motivi ostativi per accedere alle misure alternative”. Per questa ragione - precisa - “i bambini ci saranno sempre in carcere” dal momento che “il 90% delle madri detenute sono rom e straniere che compiono recidive”. Un ulteriore punto di divergenza tra la proposta delle associazioni e il testo unificato attualmente all’esame del Parlamento riguarda il ricovero dei minori. “Secondo le organizzazioni - chiarisce Di Mauro - il permesso alla madre per accompagnare o fare visita al figlio in ospedale dovrebbe essere concesso direttamente dal direttore della casa protetta. Al contrario, il testo unificato prevede che ad accordare il permesso sia l’autorità locale di pubblica sicurezza. Ciò vuol dire - sottolinea il presidente della Consulta penitenziaria - che il direttore della casa protetta deve informare la Prefettura e il Tribunale di sorveglianza per le opportune verifiche. E i tempi sarebbero tutt’altro che brevi, con buona pace del superiore interesse minore”. Ultima questione, quella relativa alle risorse: “Il testo unificato non prevede alcuno stanziamento di spesa” - commenta il presidente della Consulta -. Quindi la legge non potrebbe comunque essere applicata. Meglio così - conclude - sarebbero tutti soldi sprecati”. Giustizia: nasce l’Anrel; il progetto avrà testa e corpo nella Sicilia del ministro Alfano di Patrizio Gonnella (Associazione Antigone) Italia Oggi, 8 luglio 2010 Quasi cinque milioni di euro sono stati messi a disposizione dalla Cassa delle Ammende presieduta da Franco Ionta, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per il reinserimento lavorativo delle persone detenute o ex detenute. Nasce così l’Agenzia Nazionale Reinserimento e Lavoro detenuti ed ex detenuti (ANReL), frutto di una Convenzione quadro siglata tra il Ministero della Giustizia e la Fondazione “Monsignor F. Di Vincenzo”. Coinvolti come partner nel progetto sono anche il Comitato Nazionale per il Microcredito, l’Agenzia per i beni confiscati alla criminalità organizzata, la Caritas Italiana, le Acli Nazionali, la Coldiretti Italiana, la Prison Fellowship International, e soprattutto, per il suo ruolo di rilievo, il Movimento del Rinnovamento nello Spirito Santo. Nelle intenzioni dei promotori l’ANReL dovrebbe funzionare da vera e propria “agenzia di collocamento” con percorsi personalizzati di orientamento, formazione, avviamento al lavoro, inserimento professionale anche attraverso la concessione di borse lavoro. Dalle parole chiave e dai soggetti coinvolti si intuisce la finalità ultima del progetto: si parla infatti di redenzione e di un percorso di recupero sociale, umano e spirituale di detenuti, ex detenuti e delle loro famiglie. Non in molti sanno cosa è la Cassa delle Ammende da cui sono stati attinti i fondi, i quali da sempre posso essere stanziati senza troppi vincoli. È un vecchio istituto giuridico risalente agli anni trenta. È oggi disciplinato dall’art. 121 del Regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario approvato con d.p.r il 20 settembre del 2000. La Cassa è dotata di un ampio fondo, al momento ammontante a quasi centocinquanta milioni di euro. Un Fondo che è stato poco utilizzato negli anni per inerzie stratificatesi nel tempo. I soldi - come si evince dalla parola stessa - derivano direttamente dalle ammende pagate dai condannati. Per legge devono essere utilizzati dall’amministrazione penitenziaria per l’assistenza e il sostegno ai detenuti. Nella legge mille-proroghe 2009 fu previsto che quei fondi potessero essere usati anche per l’edilizia penitenziaria. E infatti nel Piano sull’edilizia carceraria, approvato dal Comitato di Sorveglianza solo pochi giorni addietro, si fa espresso riferimento ai milioni presenti nella Cassa delle Ammende per raggiungere la quota di 661 milioni di euro utili per costruire le nuove prigioni. Il progetto presentato martedì scorso, e fortemente voluto dallo stesso Ministero, attinge allo stesso pacchetto di fondi. Destinatari del programma di recupero lavorativo saranno, in via sperimentale e per un percorso triennale, i detenuti e gli ex detenuti delle Regioni Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia e Veneto. Nella prima fase si afferma che verrà realizzata una banca dati con i curricula di seimila detenuti. L’obiettivo dichiarato è di dare a milleottocento persone la possibilità di lavorare. Si prevede anche, con l’ausilio del Comitato nazionale per il microcredito, la costituzione di ben cento imprese realizzate da detenuti. Gli strumenti usati saranno quelli della micro-finanza. Nelle cinque regioni coinvolte saranno creati centri di coordinamento sul territorio e centri di consulenza. Il progetto avrà testa e corpo nella Sicilia del ministro Angelino Alfano. In particolare la regia è affidata al Polo di Eccellenza della solidarietà e promozione umana “Mario e Luigi Sturzo” che si trova vicino Caltagirone. In una momento in cui lavora meno del venti per cento della popolazione detenuta il progetto è particolarmente importante e per questo andrà monitorato. Giustizia: Antigone; il ddl Alfano per detenzione domiciliare riguarderà solo 2 - 3 mila detenuti Adnkronos, 8 luglio 2010 Il cosiddetto ddl svuota-carceri così come è stato progressivamente modificato nei suoi contenuti più significativi non potrà riguardare più di 2-3 mila persone, su una popolazione di 68 mila detenuti stipati in una capienza regolamentare di 43 mila posto letto. Lo dice Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, commentando il sì dell’Aula alla legislativa per il provvedimento contro il sovraffollamento negli istituti di pena. Il ddl, dunque non produrrà effetti deflattivi seri. Per questo - fa notare Gonnella - è totalmente sbagliata, nel merito e nelle previsioni, l’ingiustificata reazione dell’Italia dei Valori. Delle norme che prevedono la possibilità di scontare ai domiciliari l’ultimo anno di pena, solo una nuova misura alternativa al carcere che si aggiunge a quelle già esistenti - dice Gonnella - potranno usufruire, infatti, solo tossicodipendenti, immigrati e non certo criminali o colletti bianchì. Per Gonnella, nonostante i suoi limiti, il ddl è comunque un segnale in controtendenza rispetto al passato. Giustizia: Sappe; il ddl Alfano per i domiciliari importante segnale di attenzione sulle carceri Il Velino, 8 luglio 2010 “L’allarmante situazione delle carceri italiane sta determinando in molti istituti penitenziari tensioni tra i detenuti e inevitabili problemi di sicurezza interna che ricadono sulle donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, come purtroppo dimostrano gli eventi critici che con sempre maggiore frequenza si verificano ogni giorno nelle carceri italiane. La situazione rischia di degenerare, con più di 68mila detenuti stipati in celle idonee ad ospitarne 43mila, e non si può perdere ulteriore tempo, considerato anche che il Corpo di Polizia penitenziaria è carente di più di 5mila unita. Bisogna anche trovare soluzioni concrete. Spero e mi auguro che il ‘via liberà dato oggi dall’Aula della Camera all’esame in sede legislativa del ddl Alfano che prevede la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari possa essere un primo passo per ripensare organicamente il sistema penitenziario del Paese”. È la dichiarazione rilasciata da Danato Capece, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) in merito al via libera dato dalla Camera dei Deputati all’esame in commissione Giustizia in sede legislativa del ddl Alfano: “Come sindacato più rappresentativo del corpo di polizia penitenziaria abbiamo l’obbligo morale di perseguire un’attività di proposta e di indirizzo sulle problematiche penitenziarie, seguendo le indicazioni che sono frutto della nostra decennale esperienza sul campo. Il grave momento di crisi che ricade per ora unicamente sulle donne e gli uomini della polizia penitenziaria e sulle loro famiglie ci impone di trovare e discutere su soluzioni che possano essere comprese e condivise dai cittadini e fatte proprie dal Governo”. Il Sappe esprime l’intenzione “di fare la propria parte. Si abbia il coraggio e l’onestà politica e intellettuale di riconoscere i dati statistici e gli studi universitari indipendenti su come il ricorso alle misure alternative e politiche di serio reinserimento delle persone detenute attraverso il lavoro siano l’unico strumento valido, efficace, sicuro ed economicamente vantaggioso per attuare il tanto citato quanto non applicato articolo 27 della nostra Costituzione”. L’invito del Sappe è di “riprendere il decreto sull’utilizzo della polizia penitenziaria presso gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna (Uepe), per il controllo sulle persone che usufruiscono delle misure alternative”. Secondo il sindacato infatti: “il problema dell’enorme spreco di denaro pubblico dovuto al mancato utilizzo dei braccialetti elettronici che il Sappe sta denunciando da mesi sembrerebbe dipendere da problemi tecnici e burocratici per cui è la Magistratura che trova difficoltà pratiche a ricorrere al loro utilizzo come misura alternativa. Tutto ciò rende intollerabile il problema del sovraffollamento nelle carceri e rende pericoloso il lavoro quotidiano dei nostri agenti. La polizia penitenziaria, in virtù anche degli istituendi ruoli tecnici, potrebbe facilmente ed efficacemente, provvedere alla loro installazione e gestione, con conseguente maggiore e più efficace controllo delle misure alternative, di quanto non succeda oggi”. Il Sappe dichiara di confidare “nella sensibilità del ministro Alfano affinché, anche con il contributo delle altre realtà sociali che operano negli istituti penitenziari, si trovino insieme con urgenza delle soluzioni condivise per risolvere il grave momento di crisi che il settore penitenziario sta vivendo e che principalmente la polizia penitenziaria sta fronteggiando e pagando in termini di condizioni di lavoro gravose e particolarmente stressanti”. Giustizia: Osapp; ci sentiamo traditi dal Governo, gestione deleteria di Alfano e Ionta Il Velino, 8 luglio 2010 “Apprezzabili e in massima parte condivisibili le dichiarazioni del leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro e del presidente dei deputati dell’Idv Massimi Donadi riguardo alla decisione dell’aula di Montecitorio di dare il via libera all’esame in sede legislativa in commissione Giustizia del ddl Alfano che prevede la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari”. A dichiararlo è il segretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria) Leo Beneduci che aggiunge: “Chi, come i poliziotti penitenziari italiani, esclusivamente a proprio rischio e pericolo vive il quotidiano disagio di mantenere, in nome dello Stato e della collettività nazionale, la legalità in quello che rimane del sistema penitenziario italiano, non può che sentirsi tradito da un governo che destina le poche risorse rimanenti, non al potenziamento degli organici e degli strumenti per il mantenimento della sicurezza negli istituti di pena, ma all’edilizia carceraria sul modello dell’Aquila, ovvero per il reinserimento dei detenuti, per svariati milioni di euro devoluti ad associazioni religiose siciliane che nessun addetto ai lavori conosce. Mentre il ministro Alfano e il capo del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) Ionta erano a ossequiare l’associazione dei pensionati di un sindacato “amico” - prosegue il sindacalista -, anche nella giornata odierna si è consumato nelle carceri italiane il consueto dramma di tensioni e sacrifici accentuate dalla calura estiva sempre più insopportabile. Per questo e contro la deleteria gestione delle carceri italiane da parte del duo Alfano-Ionta - conclude Beneduci - come poliziotti e come tutori dell’ordine e della legalità ci dichiariamo disponibili all’azione di denuncia e di sensibilizzazione dei cittadini nelle piazza italiane preannunciato dall’Idv”. Giustizia: Uil; contro il sovraffollamento proteste dei detenuti a Pavia e Catania 9Colonne, 8 luglio 2010 “A Catania Piazza Lanza, un lazzaretto piuttosto che un carcere, i detenuti da qualche ora hanno ripreso a protestare con la classica battitura delle stoviglie”. Lo riferisce Eugenio Sarno, segretario generale della Uilpa penitenziari in un comunicato stampa in cui annuncia per domani lo stato di agitazione dei “baschi azzurri” sia per i tagli previsti dalla finanziaria sia per le condizioni delle carceri italiane. “La Polizia penitenziaria parteciperà idealmente allo sciopero, astenendosi dal consumare i pasti presso le mense di servizio -afferma Eugenio Sarno-. Dai segnali che ci giungono dalle periferie l’adesione sarà molto importante, a testimoniare un malessere ed una insoddisfazione che attraversa trasversalmente il personale a prescindere dall’appartenenza sindacale”. La protesta nel carcere di Catania, motivata dalle condizioni di sovraffollamento, non è l’unica. “A Pavia l’altro ieri alcuni detenuti hanno incendiato la propria cella - racconta il segretario della Uilpa -, provocando una lieve intossicazione alle unità di polizia penitenziaria intervenute a spegnere le fiamme. Purtroppo, mentre nelle carceri monta la rabbia pronta ad esplodere in protesta, nel Paese va in onda la farsa di un ddl che nulla risolve in tema di sovraffollamento”. La Uilpa chiede al Governo e al Parlamento una serie di misure per ridurre il disagio di detenuti e agenti. “L’implementazione, urgente, degli organici della polizia penitenziaria; un maggior ricorso alle forme alternative alla detenzione - si legge nel comunicato stampa-; una diversa allocazione dei soggetti tossicodipendenti e dei malati psichici; finanziamenti, in luogo dei tagli indiscriminati e spropositati, per il lavoro penitenziario e norme propedeutiche ad un concreto deflazionamento degli istituti”. Emilia Romagna: il volontariato invia una lettera aperta ai Prefetti “basta sovraffollamento” Dire, 8 luglio 2010 Una lettera aperta ai prefetti di tutta l’Emilia-Romagna. Un allarme già ampiamente noto, rimarcato dalla morte per cause naturali di un 32enne ex tossicodipendente, nel carcere della Dozza di Bologna proprio alcuni giorni fa. La Conferenza regionale volontariato giustizia dell’Emilia-Romagna chiede alle autorità un gesto di responsabilità sul problema delle carceri in regione. Di fronte a una situazione che vede un sovraffollamento dell’88% (significa 4.508 detenuti invece dei 2.393 previsti), la rappresentante della conferenza Paola Cigarini chiede al governo che venga recuperata al più presto la proposta del ministro Alfano che apre qualche possibilità di uscita per chi è molto vicino alla fine pena e di promuovere una maggiore applicazione delle misure alternative che sembrano essere troppo spesso dimenticate. “Le autorità locali e nazionali devono farsi carico dei problemi del sistema carcerario regionale, perché in Emilia-Romagna vi sono situazioni molto preoccupanti. Così accade che a Modena, 500 detenuti, il direttore manchi da mesi, il nuovo direttore non arrivi, e non si capisce davvero chi comandi - spiega Cigarini - ogni tanto vengono, a turno, i direttori di altre strutture emiliane, svolgono l’ordinaria amministrazione e a mezzogiorno se ne vanno: qui ci sono 500 persone senza un vero responsabile. Gli educatori nuovi non hanno ricevuto le consegne dai vecchi, che hanno chiesto tutti il trasferimento senza spiegare la situazione dell’istituto e i singoli casi. Fare l’educatore non è un mestiere facile, ci deve essere uno scambio di informazioni tra chi viene e chi va”. Le cose non vanno meglio a Bologna. Il carcere della Dozza è stracolmo, manca l’aria, le finestre sono troppo piccole e la gente soffoca. Ci sono tre, quattro, a volte cinque persone per cella, 40 gradi all’ombra, le finestre troppo piccole e centinaia di detenuti più tutti gli agenti della polizia penitenziaria al limite della sopportazione e dello stress. “La Dozza è un carcere teoricamente moderno che in realtà è già fatiscente - conclude Cigarini - su tutto il territorio nazionale ci sono veri casi disperati, Poggioreale a Napoli, l’Ucciardone a Palermo, Regina Coeli a Roma. È stato detto che un paese si giudica anche dalle sue carceri: ecco, cosa possiamo dire dell’Italia? Fino a quando la situazione è questa dai penitenziari italiani arriveranno solo cattive notizie”. La lettera aperta della Conferenza regionale volontariato giustizia punta anche il dito sulle recenti leggi che hanno originato “la follia del sovraffollamento”: leggi come la Cirielli sulla recidiva, legge Bossi-Fini sull’immigrazione, la legge Giovanardi sulla tossicodipendenza fino alle nuove leggi orientate alla logica della “tolleranza zero”. Bologna: detenuto morto per intossicazione da sostanze psicotrope, pm indaga per omicidio colposo Dire, 8 luglio 2010 È morto per un intossicazione da sostanze psicotrope il 32enne tossicodipendente deceduto al carcere della Dozza all’alba di lunedì. È quanto emerge dall’autopsia, eseguita l’altro ieri dal medico legale Eva Montanari su ordine della Procura. Ora, però, solo l’esito degli esami tossicologici (per cui richiede tempo), potrà dire se l’intossicazione sia dovuta a sostanza stupefacente o a psicofarmaci, oppure a un mix di entrambi. Il contesto è in ogni caso tutto da chiarire e a questo stanno lavorando gli inquirenti. Il pm Luca Tampieri, che si occupa della vicenda, ha aperto un fascicolo, contro ignoti, con le ipotesi di omicidio colposo e morte in conseguenza di altro reato (un’ipotesi accusatoria a cui si ricorre, spesso, nel caso delle morti per overdose, nei confronti di chi ha fornito la dose letale). Se gli esami tossicologici rivelassero che a uccidere il 32enne è stata droga, gli inquirenti si concentreranno per chiarire come tale sostanza sia arrivata all’interno del carcere e da chi l’abbia avuta il detenuto. Se l’intossicazione è stata invece causata da psicofarmaci, andrà fatta una serie di approfondimenti, a partire dal tipo di terapia che il 32enne, essendo tossicodipendente, stava seguendo. Era infatti seguito a livello medico ed era in cura con una terapia farmacologica. I medici e gli operatori saranno sentiti. Intanto, sono già stati ascoltati i due compagni di cella del 32enne, che hanno detto di non essersi accorti di nulla fino al mattino. Il giovane è stato trovato morto nel suo letto. Tossicodipendente e in carcere dal settembre 2009 per scontare una condanna definitiva, per R.M. questa non era la prima volta che si trovava dietro le sbarre: aveva infatti alle spalle diversi precedenti, per droga e non solo, e alla fine del 2007 era stato arrestato anche per rapina. Bologna: il Consiglio comunale chiede al Governo il potenziamento del carcere della Dozza Sesto Potere, 8 luglio 2010 “Considerata la grave situazione di sovraffollamento del carcere della Dozza, tale da configurarsi come la peggiore su tutto il territorio regionale, con una media giornaliera di 1200 persone contro una capienza di 483”, il Consiglio sottolinea, nell’ordine del giorno approvato ieri all’unanimità, che “l’addensamento abnorme all’interno della struttura carceraria bolognese non solo ostacola i progetti e gli interventi necessari ad affrontare la molteplicità dei problemi sociali e sanitari, ma determina condizioni in cui anche gli elementari diritti di sopravvivenza sono di fatto calpestati”. Il documento, proposto da Pd, Idv, Udc e Pdci/Prc (prima firmataria Edgarda Degli Esposti-Pd), chiede al Governo “di provvedere affinché si applichi al più presto il Piano carceri già approvato, che prevede un potenziamento delle strutture, a cui deve corrispondere un organico sufficiente”, nell’odg viene inoltre chiesta “l’applicazione di tutte le misure alternative alla detenzione”. Infine, il Consiglio chiede alla Giunta provinciale “di mettere in campo tutte le iniziative possibili al fine di sostenere azioni positive tese a promuovere lavorazioni interne, (tipografia e altro) e posti di lavoro all’esterno” e, prosegue il testo, di adottare tutte le misure necessarie “affinché da un lato siano agevolati i percorsi per un superamento strutturale della condizione detentiva e dall’altro sia consentito il decoro e la vivibilità all’interno del carcere stesso”. Nel quadro della situazione della Dozza tracciato nell’odg si precisa che: nel 2009 sono passate dalla struttura 3500 persone, l’80% non rimane più di 10 mesi e il 10% viene scarcerato dopo le 96 ore; il 30% viene poi riconosciuto non colpevole e, su 1200 presenze medie giornaliere, il 64% circa sono immigrati. Milano: in questi giorni “emergenza caldo” senza precedenti nel carcere minorile Beccaria Ansa, 8 luglio 2010 L’emergenza caldo è davvero un’emergenza quasi senza precedenti in questi giorni nel carcere minorile Beccaria. Lavori in corso, che comportano una riduzione notevole degli spazi tra cui anche la chiusura della piscina, e sovraffollamento rendono il carcere un inferno rovente per i giovanissimi che vi sono rinchiusi. Considerando che sono iniziate anche le ferie degli operatori e che le attività si sono in parte ridotte, passare le giornate a 40 gradi è diventata un’odissea. Parola degli operatori, confermata dal cappellano del carcere don Gino Rigoldi. “I ragazzi sono una quindicina in più di quello che dovrebbero essere e ogni giorno ne arrivano altri. I lavori è vero tolgono spazi, si sta stretti. Diciamo che la situazione non è al limite, ma di grosso disagio”. In pratica i detenuti sono stipati tutti in un’ala del carcere, mentre la seconda è un cantiere. Don Rigoldi, i volontari, persino le guardie carcerarie fanno del loro meglio perché la pena inflitta a questi giovani non divenga una tortura. “Sono impiegate tutte le forze perché i giovani sono sul depresso, sì”, ammette il cappellano appena uscito dal penitenziario. Già lo scorso 23 aprile ci fu un principio di rivolta dei detenuti, che appiccarono un incendio. Secondo la direttrice del carcere, Daniela Giustiniani, non fu una protesta ma “solo dabbenaggine, cecità e imprudenza”. Rimase solo il sindacato delle guardie a parlare di rivolta per il disagio da sovraffollamento patito dai giovanissimi detenuti. E oggi il loro numero è ulteriormente salito, come la colonnina di mercurio. Più italiani meno stranieri. Dentro soprattutto per spaccio e reati contro il patrimonio. Negli ultimi tre anni si è assistito a un’inversione di tendenza nel carcere Beccaria e anche nel Centro di prima accoglienza, la struttura adiacente al penitenziario che ospita i minori in stato di fermo o arresto in attesa dell’udienza di convalida per un massimo di 4 giorni. Nel 2009, infatti, dei 324 minori accolti presso il Cpa di Milano il 39% è risultato italiano. Un dato sensibilmente in aumento se si considera che fino al 2006 la percentuale di minori italiani accolti era inferiore al 20%. Stesse percentuali al “Beccaria”. Dei 258 minori entrati nel 2009 nell’Istituto penale per under18, infatti, 132 sono italiani (il 33%), nel 2006 erano meno del 20%. Reggio Emilia: agenti in protesta e intanto Alfano annulla la visita alle carceri della città Ansa, 8 luglio 2010 Il ministro della Giustizia venerdì avrebbe dovuto essere in città per conoscere la situazione del Tribunale e del carcere. Oggi i sindacati degli agenti penitenziari dal Prefetto. Il ministro Angelino Alfano ha annunciato che impegni istituzionali non gli permetteranno di essere in città, venerdì. Nel programma reggiano del ministro della Giustizia c’era anche la visita al carcere e all’ospedale psichiatrico giudiziario. Proprio alla sua presenza si erano appellati i rappresentanti del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, in testa il segretario provinciale Michele Malorni: “Alfano venga a vedere in quale situazione siamo”. La situazione è questa: la casa circondariale ospita 346 detenuti, e 80 sono gli agenti effettivamente in servizio. L’Opg conta 288 internati, con 76 agenti in servizio. ‘Servirebbero almeno altre 10 persone al carcere e altrettante all’Opg - dice Malorni - Ma a questo punto giochiamo al ribasso, ne richiediamo 5 per struttura”. Invece, continuano i tagli; dei nuovi agenti usciti dagli ultimi corsi di formazione, a Reggio ne arriveranno due, per il carcere; zero per l’opg. Manca il carburante per i mezzi, la manutenzione degli edifici è a zero, con detenuti ammassati nelle celle. Nella notte, un carcerato si è sentito male: nulla di grave, ma le operazioni per trasportarlo fuori dal carcere, in ospedale, sono state troppo lunghe a causa della carenza di agenti. Mancano i requisiti minimi anche di assistenza sanitaria. Malorni, insieme ai colleghi Mario Tafuto e Francesco Verace, ha chiesto e ottenuto un incontro con il prefetto di Reggio, avvenuto in mattinata: Antonella De Miro ha promesso di farsi portavoce delle richieste del sindacato presso il Dipartimento e il ministero. Urgono rinforzi almeno per l’estate, quando il piano ferie degli agenti aggrava la situazione, e servono altri mezzi. Il prefetto ha detto che si impegnerà per far arrivare due nuove radiomobili per il trasporto detenuti e due auto. Roma: intitolata a Stefano Cucchi la “scuola del sociale” Redattore Sociale, 8 luglio 2010 Un “esperimento” sociale riuscito diventa “segno” per il rispetto della dignità e dei diritti della persona. Oggi la cerimonia per l’apposizione della targa alla presenza dei familiari. Smeriglio: “L’uscita dalle dipendenze o da altre fragilità vanno affrontate”. “Bisogna lavorare in termini preventivi e di cultura dell’accoglienza sulle fragilità e sulle diversità per evitare che quanto successo a Stefano Cucchi possa ripetersi”. È quanto ha affermato l’assessore alle Politiche del Lavoro e Formazione della Provincia di Roma, Massimiliano Smeriglio, in occasione della cerimonia per l’intitolazione della Scuola del Sociale della capitale a Stefano Cucchi. Alla presenza dei familiari, nella giornata di oggi è stata apposta una targa alla memoria, una decisione presa dal Consiglio provinciale a cui è seguita la scelta della realtà da dedicare. “Un luogo - ha aggiunto Smeriglio - che ha a che fare con le fragilità presenti nella nostra società dove passano gli assistenti sociali, i mediatori culturali, gli operatori sociali, personale sanitario o che lavora nel carcere. L’idea porta un piccolo grande messaggio, che quello che è successo a Stefano Cucchi non debba più accadere. Scoprendo oggi questa targa diamo un segnale importante, che le questioni legate alle dipendenze e all’uscita dalle dipendenze o ad altre fragilità, anche se Stefano le aveva superate da tempo, vanno affrontate in termini di cultura, di formazione e di progetti per l’integrazione”. Una scelta, quella di dedicare proprio la Scuola del sociale a Cucchi, che è anche un “segno” che possa mantenere alta l’attenzione sul rispetto della dignità e dei diritti della persona, ha spiegato Giulio Marcon, presidente del comitato scientifico della Scuola. “L’idea che la memoria di Cucchi possa essere ricordata attraverso un’attività che mette al primo posto la persona, la sua dignità, la vita umana i diritti delle persone è molto importante - ha affermato -. Un segno di attenzione verso una morte così drammatica è il ricordo che i diritti delle persone e la dignità vanno difese sempre, comunque e dovunque. Mi sembra un gesto importante che la Provincia abbia voluto sottolineare proprio attraverso l’azione degli operatori sociali, di chi lavora a contatto con i poveri, con gli emarginati e con le persone che soffrono”. Un “esperimento riuscito”, quello della Scuola del sociale, che a circa un anno dalla sua nascita ha visto la partecipazione alle proprie attività di circa 600 operatori del sociale. “Abbiamo già promosso circa una trentina di semirari dall’inizio dell’anno accademico dall’ottobre dell’anno scorso - ha spiegato Marcon -, e già 600 persone che hanno partecipato alle attività svolte e per la fine dell’anno chiuderemo intorno alle 900 persone sulla base della programmazione dei corsi”. Numerosi anche i temi trattati nelle varie iniziative. “Le attività sono state le più diverse - ha aggiunto Marcon - dai modelli gestionali delle cooperative sociali, la comunicazione sociale, ai temi della finanza etica e commercio etico e solidale. Nei prossimi mesi seminari sul bilancio sociale per le organizzazioni del terzo settore, su come leggere i bandi pubblici, a settembre un corso per gli operatori sociali che lavorano coi detenuti nelle carceri e poi per chi lavora con le persone affette dalla sindrome di Asperger. Faremo un seminario sugli effetti del federalismo fiscale sulle politiche sociali, un corso sulla formazione degli uffici stampa per il terzo settore e a fine anno raggiungeremo i 50 corsi”. Una “eccellenza” all’interno della provincia di Roma, spiega Smeriglio. “L’abbiamo inaugurata un anno fa - ha aggiunto l’assessore -. Grazie al lavoro fatto abbiamo raggiunto numeri elevati, ma anche qualità della formazione elevata”. Una sperimentazione importante, ha concluso Marcon, che ha visto Provincia e società civile mettere in piedi un modello che guarda anche fuori dai confini della provincia di Roma. “Si tratta dell’unico centro di formazione professionale della provincia di Roma che viene gestito dalla Provincia, ma ha attività didattiche individuate da un comitato scientifico non è fatto da funzionari della Provincia ma da persone della società civile - ha specificato Marcon -. È il primo esperimento in cui la formazione professionale si allarga alla società civile nella individuazione delle priorità formative, un segnale positivo di apertura del settore pubblico al settore del non profit. Un esperimento riuscito che nei prossimi mesi potrebbe avere non solo un ruolo locale ma addirittura nazionale”. Monza: Consiglieri regionali Pd e Pdl in visita al carcere; niente tagli, la situazione è delicata Agi, 8 luglio 2010 Stefano Carugo, Pippo Civati. È stata proprio una delegazione bipartisan quella che ieri luglio ha fatto visita a la Casa circondariale di Monza. I due consiglieri regionali lombardi (rispettivamente del Pdl e del Pd) hanno compiuto un sopraluogo di poco più di un’ora visitando celle, parti comuni e facendo il punto della situazione con il direttore Massimo Parisi. “Scopo del nostro sopraluogo è verificare la condizione di vita dei detenuti, che si sa in questo periodo dell’anno con il caldo estivo diventa più critica rispetto agli altri mesi - racconta Carugo - e capire meglio di cosa c’è bisogno e vedere cosa possiamo fare”. La situazione rilevata nel complesso dai due assessori è buona, a loro detta, se poi paragonata ad altre strutture carcerarie del nostro Paese. monza-carcere2Attualmente la casa circondariale di via Sanquirico ospita 840 detenuti, 140 in più rispetto alla capienza massima di 600 “La situazione è critica soprattutto nelle celle di 10 metri quadri dove ci sono 4 detenuti invece di 2 - spiega Civati - la struttura risale agli anni ‘80 ed era stata pensata in piccolo e quello che serve è un ampliamento, ma sarà difficile perché si scontra con il provvedimento svuota carceri”. Regione Lombardia sta intanto mappando la situazione delle carceri del territorio lombardo. I due consiglieri, visto il loro radicamento e legame con la terra brianzola, sono venuti direttamente sul campo per conoscere meglio questa realtà che conta fra i suoi detenuti un 55% di stranieri per lo più incriminati per spaccio, furto e prostituzione, di cui 120 sono donne e 720 uomini. Un appello alla fine è stato lanciato da entrambi i consiglieri: “Nonostante la crisi, non tagliamo sulle carceri”. La voce va diritta al Governo, ma anche all’assemblea dei sindaci brianzoli. Iniziative: il carcere tira fuori il meglio, parte il “Jail Tour 2010” www.linkontro.info, 8 luglio 2010 Dopo il successo della partecipazione a Terra Futura 2010, la mostra delle buone pratiche che si è svolta a Firenze nel mese di maggio e dove il progetto “recuperiamoci!” ha fatto il suo esordio in società (un “grazie” particolare a http://www.terre.it/), parte ora una nuova iniziativa, sempre destinata alla promozione dell’economia carceraria e delle attività produttive dei detenuti all’interno delle carceri d’Italia. Si tratta del Jail Tour 2010. La Jail Mobile (questo è il soprannome del camper) girerà l’Italia da luglio 2010 per “mettere in moto” le buone attività carcerarie. Prima tappa del Tour sarà il 12 luglio ad Alba e Fossano con vino e ferro battuto, si prosegue il 13 luglio a Torino, per incontrare le realtà carcerarie produttive Piemontesi davanti alle Vallette alle ore 15,30. La Jail Mobile imbarcherà i prodotti del carcere, come oggetti in ferro, biscotti, vino, miele, zafferano, magliette, computer recuperati, e molto altro che verrà esposto nelle tappe del Tour. Obiettivo del Jail Tour 2010, è creare una rete informativa per la promozione dell’economia carceraria facendo conoscere a un vasto pubblico tutto quello che c’è di buono (ed è veramente tanto), all’interno delle carceri italiane e con i detenuti in attività produttive. Tutto ciò partendo dall’idea che il lavoro all’interno del carcere è uno strumento fondamentale per il recupero della persona. Il tema del recupero è dunque al centro anche del Jail Tour 2010, in quanto molti degli oggetti prodotti in carcere provengono proprio da materiale considerato di scarto e a cui il lavoro dei detenuti dà nuova vita, filo conduttore del progetto è carcere-lavoro-recupero. Il Jail Tour, così come già realizzato a Terra Futura 2010 con lo stand “C’è del buono” si configura quindi anche come un emporio viaggiante delle produzioni delle carceri italiane oltre che di promozione dell’intero progetto http://www.recuperiamci.org/. Iniziative: carcerati contro rifugiati, fino all’11 luglio i Mondiali Antirazzisti di calcio La Repubblica, 8 luglio 2010 Un calcio al razzismo, un avversario duro da battere perché cambia maglia in continuazione. C’è quello somatico, etnico, di bandiera. E poi c’è la forma di razzismo più grande, l’esclusione sociale: è quella contro cui scendono in campo oltre duecento squadre che prendono parte a Casalecchio ai Mondiali Antirazzisti, da ieri e fino all’11 luglio, un appuntamento giunto all’edizione numero quattordici. Promossi dall’Uispe ospitati per il quarto anno consecutivo in terra bolognese, i mondiali accolgono anche una squadra dei detenuti dell’istituto minorile del Pratello. Domani e giovedì una selezione spagnola e una italiana faranno visita ai ragazzi: giocheranno dietro le sbarre. Venerdì e sabato il ritorno, al parco Salvador Allende. Casa e trasferta: non tutti, infatti, hanno il permesso di lasciare il Pratello. Duplice l’intento: mantenere il contatto con il mondo “esterno” e non vedere il detenuto come un diverso. Se poi gli “avversari” sono degli ultrà di Cadice impegnati da anni contro il razzismo negli stadi, il frutto ha ancor più polpa. A dimostrazione di come quest’anno si cerchi di arare terreni diversi dal mero razzismo, la partecipazione dello Zen, il quartiere più malfamato di Palermo. Col razzismo ha poco a che fare. Con l’emarginazione ci vive. Uno, nessuno, centomila. Come le anime d’un evento che somma 204 squadre e 52 nazionalità. Uno: il messaggio, “Uguali diritti per tutti”. Ogni giorno, dibattiti su carcere, omofobia, cittadinanza. La proposta dell’Uisp è “considerare cittadino chi risiede in un Paese. Abbandonare lo ius sanguinis in favore dello ius soli: lo sport deve essere il primo promotore”. Nessuno: il premio per chi vince, al massimo per chi ha beccato più gol (realizzati con palloni equo solidali) o più s’è battuto contro il razzismo. Come, storia dello scorso anno, i Liberi Nantes, compagine dilettantistica di soli rifugiati. Centomila: i colori e non solo della pelle. Dopo i tornei (ci sono pure basket, volley, rugby e, novità, cricket), ogni sera cucina multietnica, i corti della Der alle 21.30 (proiettati su uno schermo ricavato dalle porte), concerti in ogni salsa e ritmo. E, tra gli ospiti, l’ex pallavolista Andrea Zorzi ha scelto di chiudere qui il suo tour “Tracce di sport”. Tracce indelebili. Libia: i detenuti eritrei saranno liberati, ma in cambio dovranno svolgere “lavori sociali” di Emanuele Novazio La Stampa, 8 luglio 2010 L’Italia è disponibile ad accogliere alcuni dei 245 eritrei rinchiusi dal 30 giugno nel carcere duro di Brak, nel Sud della Libia - dove erano stati trasferiti per essersi rifiutati di dichiarare le generalità nel timore dì rappresaglie sulle famiglie, e dove sarebbero stati sottoposti a maltrattamenti e torture - e liberati ieri grazie alla mediazione italiana in cambio dell’impegno a “lavori socialmente utili”. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, 140 hanno già riempito i documenti con i quali accettano la proposta del governo libico. L’annuncio dell’accordo, dato dal sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, chiude soltanto in apparenza una vicenda che ha alimentato tensioni fra governo italiano e Ue da una parte, e fra Consiglio d’Europa e Italia dall’altra. Uno dei punti che più hanno provocato contrasti - fra maggioranza e opposizione ma anche fra organismi internazionali, ong e Roma - è la presunta presenza, fra i 245 eritrei, di uomini e donne respinti dall’Italia nel 2009 mentre erano diretti a Lampedusa. Il ministro dell’Interno Maroni, ieri, ha negato ogni responsabilità: “È assolutamente indimostrato” che queste persone facciano parte del gruppo di 850 clandestini non accolti in Italia, ha detto. E il ministro degli Esteri Frattini: “Bisognerebbe vedere se dicono la verità. È curioso che i rifugiati avessero telefoni satellitari con cui parlare a mezzo mondo”. Ma il presidente del Comitato italiano per i rifugiati, Savino Pezzotta, conferma: “Alcuni degli eritrei sono stati respinti dall’Italia nel 2009 e altri rimpatriati in Libia su richiesta italiana quest’anno”. Anche il segretario generale del Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli, Bjarte Vandvik, sostiene che “i rifugiati hanno subito le conseguenze della violazione degli obblighi legislativi di Roma e del silenzio assenso degli Stati membri dell’Unione europea”. Nei giorni scorsi il commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, aveva chiesto a Maroni e a Frattini di “collaborare per chiarire con urgenza la situazione con il governo libico”. Non tutti gli eritrei credono alla buona fede di Tripoli, che non riconosce lo status di rifugiato e potrebbe rimpatriarli in qualsiasi momento. Da più parti è stato sottolineato il rapporto particolare che unisce Roma e Tripoli dopo la firma del Trattato di amicizia italo-libico, e la conseguente responsabilità del nostro governo nella rapida soluzione della vicenda: tanto più che molte testimonianze, suffragate dai rapporti del Consiglio d’Europa, confermano i maltrattamenti. Frattini e Maroni assicurano che il governo italiano ha fatto la sua parte, avviando nei giorni scorsi “una delicata mediazione” con il governo libico, per evitare ai 245 cittadini eritrei un rimpatrio che ne avrebbe messo a rischio la vita. La soluzione annunciata ieri a Tripoli è anche il frutto di questo “lavoro fatto in silenzio”, commenta Frattini, certo che “la Libia rispetterà l’accordo”. Ma dov’era l’Europa, si domanda polemicamente il capo della nostra diplomazia? “È incredibile che da Bruxelles non sia venuto neanche un comunicato stampa su questa vicenda”. Pochi giorni fa, il ministro degli Esteri e il collega Maroni erano stati perfino più duri con i partner: sottolineando in un documento congiunto come “in questa vicenda si misuri ancora una volta la fragilità europea e la prospettiva del Nord, preoccupante e sconsiderata, che continua a considerare il Mediterraneo come un mondo a parte”. Detenuto eritreo: oltre 100 di noi respinti dall’Italia “Non vogliamo restare a lavorare in Libia perché questo Paese non ci riconosce lo status di rifugiati politici e in qualsiasi momento potremmo essere deportati in Eritrea”. È il commento di uno dei rifugiati nel campo di detenzione di Al Braq, raggiunto telefonicamente da CNRmedia dopo l’annuncio della liberazione. “Oltre cento di noi volevano raggiungere l’Italia e sono stati respinti dalle autorità italiane”, ha raccontato, “questo è bene che gli italiani lo sappiano. Non è vero quello che dice il vostro ministro (Roberto Maroni)”. “Noi chiediamo lo status di rifugiati politici. Siamo stati respinti dalla Guardia Costiera italiana senza che ci chiedessero i documenti”, ha proseguito il prigioniero, “più della metà di noi, durante lo scorso anno, ha cercato di venire in Italia ma è stata respinta dalla Guardia Costiera senza che neanche venissero chiesti i documenti”. “Poi abbiamo cominciato a girare di prigione in prigione e, alla fine, siamo arrivati ad Al Barq”, ha continuato. “Da quando siamo stati respinti dalle autorità italiane, abbiamo affrontato torture e percosse in ogni prigione dove siamo stati rinchiusi fino ad arrivare qui, nel deserto, in una condizione disumana. Fino ad ora le autorità carcerarie non ci hanno comunicato niente. Nessuno è venuto qui. Vengono da noi solamente per picchiarci e torturarci, nessuno è interessato alla nostra sorte. La Libia non riconosce i diritti dell’uomo e le Organizzazioni Internazionali. Non riceviamo cure mediche, non abbiamo cibo e acqua a sufficienza per tutti e la temperatura qui supera i 40 gradi. Nella mia cella siamo 95 e nell’altra in 105. Si stanno diffondendo molte malattie perché usiamo la stessa stanza per dormire, mangiare e andare in bagno. Quasi tutti hanno la dissenteria. In questo Paese ci torturano e ci vogliono morti. A questo punto, sarebbe meglio tornare in Eritrea piuttosto che morire qui nel deserto”, ha concluso il prigionieri. Cuba: la liberazione di 52 prigionieri politici, annunciata ieri da fonti della Chiesa cattolica Asca, 8 luglio 2010 La liberazione di 52 prigionieri politici cubani, annunciata ieri da fonti della Chiesa cattolica di Cuba, apre una “nuova tappa” per la risoluzione “definiva” della questione dei detenuti politici nell’isola. Lo ha dichiarato il ministro degli esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos dopo una visita a L’Avana. “Proviamo una soddisfazione enorme”, ha affermato Moratinos. La liberazione dei prigionieri - che nel marzo del 2003 erano stati condannati a pene fino a 28 anni di detenzione - è stata annunciata ieri dall’arcivescovo di L’Avana, poco dopo l’incontro del capo della diplomazia spagnola con tra il leader cubano Raul Castro e il cardinale Jaime Ortega. “Cinque saranno liberati nelle prossime ore”, ha annunciato ieri la Chiesa cattolica, spiegando che gli altri 47 saranno scarcerati in un periodo che va da tre a i quattro mesi. Secondo una stima della Commissione cubana per i Diritti dell’Uomo, una organizzazione illegale mal tollerata dal potere, l’isola comunista fino al 30 giugno contava 167 prigionieri politici. Cina: un condannato a morte vuole donare i suoi organi, ma la legge non glielo permette Ansa, 8 luglio 2010 Jiang Benhua, 22 anni, è rinchiuso nella prigione di Xìan, nella provincia nord occidentale dello Shanxi e dallo scorso dicembre è stato condannato a morte per rapimento. Anche se la sua condanna non dovesse essere ridotta, ha detto alla stampa Jiang, lui intende donare gli organi alla sua morte, per far si che la sua vita possa continuare in qualche modo in maniera migliore. Ma la legge cinese non lo permette, in quanto attualmente prevede che la donazione di organi possa avvenire solo tra membri della stessa famiglia. Circa un milione di persone attendono in Cina un trapianto di organi ma solo l’1% di questi riesce ad averlo, secondo le statistiche ufficiali. Anche se la legge non lo permette, in passato ci sono state molte deroghe e i trapianti da donatori giustiziati sono stati numerosi, tanto da fare diventare questa la prima fonte di donazione di organi in Cina. La richiesta di Benhua ha alimentato le polemiche, perché da un lato sono in molti quelli che chiedono una riforma della legge sulle donazioni in senso più ampio favorendole, dall’altro c’è che chiede che una legge più restrittiva che non permetta, neanche in deroga, la donazione da prigionieri nel braccio della morte. Questo perché, secondo il professore Jia Yu, che insegna legge alla Northwest University, i detenuti non sarebbero nelle condizioni mentali e fisiche per poter donare e sarebbero spinti solo da una volontà di chiedere riduzioni di pena o di ottenere una benevolenza seppur tardiva. Uruguay: 12 detenuti morti per incendio in carcere Ansa, 8 luglio 2010 Dodici prigionieri sono rimasti vittime oggi di un incendio esploso in un penitenziario in Uruguay, secondo la polizia. Altri otto detenuti sono stati trasferiti in ospedale in gravi condizioni a causa delle fiamme, divampate in una prigione della città di Rocha, a circa 210 km a est della capitale del paese Montevideo. Il vice capo della polizia Celso Sosa ha dichiarato a una radio locale: “Abbiamo praticamente escluso l’eventualità che si sia trattato di un incendio doloso. Dalle prime informazioni sembra che le fiamme possano essersi sviluppate da un corto circuito, o da un vestito che ha preso fuoco a contatto con i fornelli”. Sosa ha aggiunto che l’incendio è divampato alle 3:30 di notte (le 8.30 in Italia), in una cella con venti detenuti, di cui 12 hanno perso la vita. L’ufficiale ha detto che il carcere ordinario ospitava circa 120 detenuti, il doppio rispetto alla capienza prevista.