Giustizia: il ddl Alfano sui domiciliari torna in Commissione, avrà “corsia preferenziale” Dire, 7 luglio 2010 L’aula della Camera ha detto sì all’esame in sede legislativa per il ddl Alfano che concede i domiciliari a chi deve scontare un anno di carcere. La proposta, che vede d’accordo tutti i gruppi (tranne l’Idv), è stata approvata, con scrutinio senza registrazione dei nomi, per 409 voti di differenza. Prima del voto, Antonio Di Pietro è intervenuto per esprimere la contrarietà del suo gruppo alla corsia preferenziale, dicendo: “Di questo tema si deve parlare in aula”. Il leader Idv definisce il ddl “una legislazione vigliacca che manda fuori i delinquenti, è un indulto mascherato”. Il testo verrà quindi esaminato in commissione Giustizia senza passaggio in aula. Ieri il ddl era stato rinviato in commissione proprio per decidere sulla legislativa. A difendere la scelta sul tipo di iter da riservare al provvedimento, è stato Manlio Contento (Pdl), che a Di Pietro ha replicato: “Non è uno svuota-carceri è uno sconta-pena perché chi ne beneficerà sconterà la pena fino all’ultimo giorno. La maggioranza si assume la responsabilità e non si tira indietro sul tema dell’emergenza carceri”. Il dibattito e la votazione della Camera Presidente. L’ordine del giorno reca l’assegnazione di disegno di legge a Commissioni in sede legislativa. Propongo alla Camera l’assegnazione in sede legislativa del seguente disegno di legge, del quale la II Commissione (Giustizia) ha chiesto il trasferimento in sede legislativa, ai sensi dell’articolo 92, comma 6, del Regolamento: “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno” (testo risultante dallo stralcio degli articoli da 3 a 9 del disegno di legge n. 3291, deliberato dall’Assemblea il 12 maggio 2010) (3291-bis). La Commissione ha elaborato un nuovo testo. Ai sensi dell’articolo 41, comma 1, del Regolamento darò la parola ad un oratore contro e ad uno a favore per non più di cinque minuti ciascuno. Ha chiesto di parlare contro, l’onorevole di Pietro. Ne ha facoltà. Antonio Di Pietro. Signor Presidente, sarò brevissimo. Intendo solo esprimere la contrarietà dell’Italia dei Valori all’assegnazione di questo provvedimento in sede legislativa in Commissione. Vorremmo discuterne in Aula, perché riteniamo che il merito di questo provvedimento sia sbagliato. In pratica, si tratta di stabilire per legge che tutte le condanne non vengano eseguite per un anno. Stabilito che il giudice condanna, per esempio, a tre anni, se ne devono scontare solo due. Vorrei ricordare che ogni tipologia di reato prevede un precetto ed una sanzione. Se viene violato il precetto, è prevista una sanzione che prevede, a sua volta, un minimo ed un massimo di pena. Perché è prevista una forbice entro cui il giudice deve stabilire la pena equa? Perché, tenuto conto delle ragioni per cui si punisce chi viola il precetto, il giudice, nello stabilire tra un minimo e un massimo, tiene conto del reato commesso, della personalità, della recidiva, delle attenuanti e delle aggravanti. Insomma, una volta che il giudice stabilisce che, tra uno e sei anni, il condannato ne debba scontare tre e che per tre anni debba stare in galera, si intende che quello è il giudizio che si ritiene giusto, che quella è la pena che si ritiene giusto applicare e che il giudice ritiene che per quei tre anni il condannato debba stare nel carcere e non in altro luogo. Altrimenti, il giudice stesso avrebbe potuto stabilire una soluzione diversa ed una pena diversa. Bisogna lasciare al giudice, tenuto conto del caso concreto, dei fatti soggettivi, degli elementi oggettivi, dei precedenti e di un insieme di circostanze, l’individuazione dell’entità della pena e di dove e come deve essere scontata. Decidere che per legge, una volta che si è fatto tutto il processo, ci sia un quarto grado di giudizio e che, senza tener conto di alcunché, si debba ridurre di un anno la detenzione in carcere a noi pare che sia il solito abuso e il solito modo sbrigativo per risolvere un problema diverso, che non è quello di venire incontro alle persone carcerate, affinché si risocializzino, ma è quello di risolvere diversamente un problema, che deve essere sì risolto, ma non in questo modo: quello della penuria dei posti in carcere. È una vita che stiamo dicendo che se aumenta la popolazione carceraria devono aumentare le strutture carcerarie e i servizi per la risocializzazione dei carcerati. Invece, ogni volta, con un indulto, con un’amnistia, con una legge che fa il quarto grado di giudizio e riduce tout court, senza tener conto caso per caso di come stanno in realtà i fatti, si rimandano a casa persone che magari è bene che stiano in galera. Se è bene che stiano a casa o in galera lo ha valutato già il giudice con una valutazione a monte, quando ha pronunciato la sentenza e ha stabilito la condanna tra un minimo e un massimo di pena, individuando in quella pena quella ritenuta equa. Ecco perché riteniamo del tutto assurda questa normativa, una normativa vigliacca, che, non sapendo come risolvere il problema dei detenuti, ancora una volta, lo risolve all’italiana maniera: mandando fuori i delinquenti, dopo che il giudice ha già provveduto a decidere quale pena devono scontare (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Questa è la ragione di merito per cui riteniamo che questo disegno di legge non debba essere approvato e riteniamo, per una ragione di metodo, che non debba essa assegnato in sede legislativa in Commissione. Infatti, se ne deve discutere in Assemblea, perché il Paese deve sapere come ancora un volta si metta la coda in mezzo alle gambe, come ancora una volta ci si arrenda alla criminalità, come ancora una volta si dice che si vuole combattere la criminalità e poi si mettono fuori le persone soltanto perché non si sa come risolvere il problema di come tenerli in galera. Per queste ragioni, di metodo e di merito, riteniamo che questa assegnazione in Commissione in sede legislativa sia la solita furbata, che va contrastata. Per questa ragione, riteniamo e chiediamo che il provvedimento resti in Assemblea e se ne discuta concretamente, apertamente e pubblicamente, perché l’opinione pubblica e i cittadini possano sapere di questo ulteriore indulto mascherato, che il Parlamento si accinge a varare (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori). Presidente. Ha chiesto di parlare a favore l’onorevole Contento. Ne ha facoltà. Manlio contento. Signor Presidente, non posso che richiamare alla memoria dei precedenti specifici, che abbiamo affrontato nel corso della trascorsa legislatura. Vorrei anche dire ai colleghi dell’Italia dei Valori che, in materia di indulto, questo Parlamento ha già dato in quell’occasione, con un provvedimento, allora sì, come i colleghi ricorderanno, che cancellò tre anni di pena in carcere a molti cittadini purtroppo detenuti. Si parla di circa 30 mila cittadini che vennero naturalmente rimessi in libertà. In quell’occasione ci ritrovammo, molti di noi e molti colleghi dell’Italia dei Valori, sulla stessa posizione, nel dire che provvedimenti di indulto non erano la soluzione alla situazione carceraria. Infatti, il Governo di centrodestra, in questa legislatura, ha cambiato completamente prospettiva, come molti colleghi ricorderanno, proprio in quest’Aula, quando il Ministro della giustizia venne a riferire sulle linee della gestione della politica in tema di carceri e annunciò il piano straordinario, che è già stato avviato con la dichiarazione di emergenza, con lo stanziamento di circa 600 milioni di euro e con una doppia previsione: la prima, che dovrebbe partire entro l’anno, per l’ampliamento con nuovi padiglioni degli istituti esistenti, e la seconda, avviata dal 2011 in poi, che prevede la realizzazione di nuove strutture carcerarie. Ecco perché, caro collega Di Pietro, non possiamo accettare che lei dia esclusivamente un punto di vista parziale, dimenticando che questo provvedimento, che richiama la responsabilità di larga parte del Parlamento, si inserisce, non come fu con il condono, all’interno di una strategia precisa del Popolo della Libertà. Quest’ultimo ha una risposta molto chiara nei confronti dei reati commessi e dei loro protagonisti: se i posti negli istituti carcerari non sono sufficienti, vogliamo porre fine alle liberazioni anticipate, comunque si chiamino, per mantenere in galera chi rimane e chi ci deve rimanere, portando la capienza di quegli istituti a circa 80 mila posti. Ma oggi, caro collega Di Pietro - e mi avvio alla conclusione - dobbiamo dare una risposta anche di responsabilità. La capienza regolamentare è di 44 mila 592 posti; quella massima tollerata è di 66 mila 483 posti. Al 31 maggio 2010 erano presenti nei nostri istituti penitenziari 67 mila 601 detenuti. Allora qui vi è anche un aspetto di responsabilità, perché, quando a Strasburgo si aprono questioni nei confronti dello Stato italiano per quanto concerne la restrizione e il rispetto della dignità di chi si trova negli istituti carcerari, abbiamo un dovere di responsabilità. Il Popolo della Libertà si assumerà tale responsabilità insieme agli altri gruppi del Parlamento, che ringrazio per il lavoro pregevole che hanno svolto durante il passaggio in sede referente del disegno di legge, che verrà - sono convinto - confermato anche in sede legislativa. È troppo facile denunciare una situazione intollerabile, ma non avere il coraggio politico di assumersi la responsabilità! Noi lo abbiamo e ci assumeremo tale responsabilità in questa occasione. Discuteremo in sede legislativa di come migliorare il testo, evitando che i responsabili di gravi reati possano essere beneficiati; al contrario, con uno slogan molto semplice, dalla realizzazione di questo piano pagheranno tutti coloro che verranno condannati; non metteremo fuori nessuno, perché questo non è uno “svuota carceri” come un indulto, ma uno “sconta pena”, perché pagheranno tutti coloro che sono stati condannati anche in sede domiciliare, fino all’ultimo giorno di irrogazione della pena che è stata stabilita da un giudice di questa Repubblica. Per tali ragioni siamo pronti a votare favorevolmente per il trasferimento in Commissione in sede legislativa, perché abbiamo il coraggio, come sempre come Popolo della Libertà, di assumerci fino in fondo tale responsabilità, anche in un’occasione difficile come questa, per dare risposte concrete a chi le chiede e per dimostrare che il Popolo della Libertà sul piano politico non si tira indietro neanche di fronte a situazioni complesse e difficili quale quella carceraria (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Presidente. Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa del disegno di legge n. 3291-bis. La Camera approva per 409 voti di differenza. Giustizia: Idv; il ddl Alfano è un indulto mascherato, a rischio sicurezza degli italiani Apcom, 7 luglio 2010 “Il disegno di legge sullo svuota carceri è un nuovo indulto mascherato, ancora più ignobile perché la maggioranza vuole sottrarlo al confronto dell’Aula e approvarlo in silenzio, alla chetichella in commissione, in un’afosa giornata d’agosto, sperando che gli italiani in vacanza non se ne accorgano”. Lo affermano il leader di Idv Antonio Di Pietro e il presidente dei deputati Massimo Donadi, commentando il sì dell’Aula della Camera alla legislativa sul ddl svuota carceri, con il voto contrario di Italia dei Valori. “Questo provvedimento è un colossale imbroglio. Il Governo mente quando dice che con questo ddl si manda ai domiciliari chi ha pene inferiori ad un anno. In realtà si dà il via ad un colossale “tana libera tutti”, perché, come ha già detto il capo della polizia Manganelli ed il ministro Maroni, salvo poi quest’ultimo rimangiarsi la parola, neanche se tutti i corpi di polizia fossero impegnati a fare questo 24ore su 24 si riuscirebbe ad espletare tutti i controlli dovuti”, spiegano Di Pietro e Donadi. “Il ddl svuota carceri è il tradimento di quella sicurezza e di quella legalità, di cui la maggioranza, Lega in testa, si è riempita la bocca in campagna elettorale e che, da quando sono al governo, tradiscono puntualmente nei fatti”, sostengono Di Pietro e Donadi. “La verità - denunciano i due esponenti Idv - è che a questo governo e a questa maggioranza, Lega compresa, della sicurezza, della legalità e della giustizia, non gliene frega niente. L’unica giustizia che interessa alla maggioranza è quella che riguarda i processi del premier. Serve un nuovo piano carceri, servono fondi agli operatori della giustizia, servono riforme complessive dell’ordinamento della giustizia, come ha chiesto più volte Italia dei Valori. Loro, invece, sfornano un ddl delirante che stabilisce un anno di bonus a tutti i delinquenti e pretendono di approvarlo nelle segrete stanze del palazzo, complice il silenzio di media compiacenti. Italia dei Valori girerà tutte le piazze italiane per denunciare questa ennesimo provvedimento vergognoso i cui effetti ricadranno sui cittadini italiani”, concludono Di Pietro e Donadi. Giustizia: recupero dei detenuti, bufera su Alfano; 5 mln a un’associazione, ma nessuno la conosce di Maria Corbi La Stampa, 7 luglio 2010 È il ministro Angelino Alfano ad ufficializzare il finanziamento, quasi 5 milioni di euro dell’Agenzia nazionale Reinserimento detenuti ed ex detenuti. “Lotta alla recidiva”, è la parola d’ordine in questa conferenza stampa in grande stile con Gianni Letta come ospite eccellente e il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Toni trionfalistici che non sono smorzati dai malumori, montati appena si è saputa la notizia, del mondo del volontariato in carcere che non ci vede chiaro in questa pioggia di denaro su “soggetti” che di esperienza nel campo ne hanno poca. Difficile avere risposte visto che la scelta dei finanziamenti da fare con il denaro della Cassa Ammende non risponde ad alcun criterio. Non ci sono né bandi né gare. Così, nasce questa Agenzia (Anrel) grazie a una convenzione quadro siglata tra il Ministero della Giustizia e la Fondazione “Mons. Di Vincenzo”, ente morale con personalità giuridica di diritto civile ed ecclesiastico, nato nell’ambito del Rinnovamento dello spirito in collaborazione con il Comitato Nazionale per il Microcredito, l’Agenzia per i beni confiscati alla criminalità organizzata, la Caritas Italiana, le Acli Nazionali, la Coldiretti Italiana, la Prison Fellowship International, il Rinnovamento nello Spirito Santo. Le ambizioni nelle cinque regioni pilota (Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia e Veneto) sono notevoli: 1.800 ex-detenuti impiegati. Ma c’è chi si domanda su cosa si fondi tutto questo ottimismo visto che i soggetti coinvolti hanno tutti poca esperienza nel campo. Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, da anni nella trincea del volontariato, fa notare che il curriculum della fondazione prescelta vanta dal 2003 ad oggi solo 12 detenuti reinseriti nel mondo del lavoro. “Un curriculum che è valso quasi cinque milioni di euro”, dice. E poi il progetto presentato, almeno nella sua base, ovvero, l’incubatore di dati sui detenuti accessibili dalle aziende non è una cosa nuova. A Padova, per esempio è già stato sperimentato e senza grande successo perché, come spiega, la Favero, “gli automatismi in questo campo non funzionano”. Secondo Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia e presidente di “A Buon Diritto” la disponibilità di cinque milioni di euro “è ovviamente un fatto positivo ma lasciano dubbiosi e per certi versi addirittura interdetti i criteri che avrebbero indotto a una scelta totalmente discrezionale e non verificata attraverso criteri scientifici e parametri meritocratici di mercato delle imprese sociali. E questo costituisce una grave offesa nei confronti della grande area di volontariato religioso e laico che sul tema del carcere lavora in Italia da decenni”. Livio Ferrari, fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia, Presidente del Centro Francescano d’ascolto e Garante dei diritti dei detenuti di Rovigo, è anche lui perplesso: “È veramente difficile da capire come questo fiume di soldi sia stato dato a persone che del carcere sanno poco e siano stati ignorate invece realtà che lavorano da anni in questo settore e hanno fatto progetti di grande valore. Noto però che la Fondazione “Mons. Di Vincenzo” è di Agrigento, la città di Alfano”. E ancora: “Mi dispiace soprattutto vedere che la Caritas si sia prestata a questa operazione. Ma il punto è un altro: chi gestisce i soldi. E vedo il nome di Prison Fellowship, l’organizzazione fondata e diretta da Charles Colson, l’ex segretario di Richard Nixon, coinvolto nello scandalo Watergate, che all’uscita dal carcere ha deciso di dedicarsi al mondo della detenzione. La caratteristica di questa organizzazione è quella di creare grandi accordi con i Governi di tutto il mondo. Gestiscono fondi ma sappiamo ben poco di loro”. Giustizia: un’Agenzia di collocamento per i detenuti, ma il mondo dei volontari insorge di Ranieri Salvadorini La Repubblica, 7 luglio 2010 Il ministro Alfano e il capo del Dap lanciano l’Anrel. Quasi 5 milioni di euro di finanziamento, coinvolto “Rinnovamento nello Spirito Santo”. “Sono degli sconosciuti, il ministro non ha scelto secondo criteri di competenza”. Nasce “un’agenzia di collocamento” per i detenuti, con l’obiettivo di ridurre la recidiva in uscita dal carcere. Il progetto, varato su iniziativa del Ministro della Giustizia Angelino Alfano e del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), Franco Ionta, riceverà dalla Cassa delle Ammende del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria la somma di 4,8 milioni di euro e sarà gestito dalla Fondazione “Mons. Di Vincenzo”. Una scelta che ha scatenato la reazione di una larga fetta del mondo penitenziario, dai volontari ai Garanti dei diritti dei detenuti: “Sono degli sconosciuti, il ministro ha scelto secondo amicizie, non secondo criteri di competenza”. Si chiama Anrel (Agenzia Nazionale Reinserimento e Lavoro) ed è stata subito definita come il “più importante progetto di recupero dei detenuti ed ex detenuti”. Al via in cinque regioni pilota (Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia e Veneto) si propone di dare un’alternativa a circa 1.800 ex-detenuti: di questi avviati al lavoro, 1.100 dovrebbe essere collocati in cooperative sociali, 550 come dipendenti e 150 avvieranno nuove imprese o si aggregheranno a progetti esistenti. Cento in totale le imprese che - stimano i promotori - potranno essere costituite dai detenuti. Sarà creata una banca dati dove inserire i curriculum (circa seimila) dalla quale i datori di lavoro possano attingere informazioni e, eventualmente, risorse. Tra gli obiettivi, la presa in carico delle famiglie dei detenuti con la creazione di Cittadelle su territori confiscati alle mafie. Alla guida del progetto di recupero c’è il Movimento Ecclesiale “Rinnovamento nello Spirito Santo”, di cui è presidente Salvatore Martinez, in collaborazione con altre realtà, tra cui: Caritas Italiana, le Acli, Coldiretti e Prison Fellowship International. Buon proposito o spot? Livio Ferrari - già fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia e attualmente Presidente del Centro Francescano d’ascolto e Garante dei diritti dei detenuti di Rovigo - spiega: “Non è un buon segnale, perché purtroppo conosco bene i protagonisti: Fellowship Italia e la Fondazione “Mons. Di Vincenzo!. Le Acli, la Caritas o Coldiretti sono solo dei comprimari, il punto è chi gestisce i soldi”. Infatti, se l’esperienza capitalizzata dai promotori del progetto ha coinvolto, per ora, solo 12 detenuti, l’altro dato è la natura del partner: “Prison Fellowship Italia - spiega Ferrari - è una diramazione di Prison Fellowship International, un’organizzazione fondata e diretta da Charles Colson (ex segretario di Richard Nixon), coinvolto nello scandalo Watergate. Quel che emerge dalla loro attività è un’enorme gestione economica. Il punto è che non sappiamo altro”. Continua Ferrari: “L’altro grande attore, la Fondazione “Mons. Di Vincenzo” è di Enna. Quello che risulta incomprensibile è tramite quali criteri Dap-Cassa Ammende abbia dato così tanti soldi a gente che del mondo penitenziario non è esperta, sacrificando le competenze e la professionalità di chi lavora da anni in questo settore”. “Io stesso - prosegue il Garante di Rovigo - ho assistito spesso al rigetto, da parte del Governo, della richiesta di finanziamento di progetti eccellenti, e penso alla “Papa Giovanni XXIII” di Don Benzi, che non sono mai stati finanziati”. Sul tasto della trasparenza dei criteri si insiste da più parti. Patrizio Gonnella, dell’associazione Antigone, si augura “almeno un intervento della Corte dei Conti, perché una tale assegnazione di denaro pubblico deve essere monitorata: una tale modalità di assegnazione è sospetta e denuncia un uso spregiudicato del denaro pubblico”. I più spiazzati sono le migliaia di volontari, che i 200 mila fedeli di “Rinnovamento Nello Spirito Santo” non li hanno mai visti, tantomeno in carcere. Maurizio Mazzi, responsabile della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Veneto, riassume la situazione per la sua regione, una tra le più problematiche: “Da un lato il Ministero ci ha chiesto, tramite il Dap, di mettere mano a tutte le nostre risorse, in vista dell’escalation di suicidi e di tensioni che con l’estate sarà ancora più drammatica”. Infatti, spiega Mazzi, una recente circolare dell’amministrazione invita i Direttori delle carceri a ampliare l’orario d’accesso dei volontari al carcere, per l’ascolto dei casi di detenuti “a rischio”. “E dall’altro lato - prosegue il Responsabile giustizia per il Veneto - il Governatore ci ha fatto sapere che taglierà ogni finanziamento alle organizzazioni di volontariato”. Da questa posizione, continua Mazzi, assistere a una assegnazione di denaro così ingente e senza alcuna trasparenza lascia abbastanza perplessi. A spiazzare chi lavora sul campo da anni è stato, soprattutto, l’atteggiamento di chi ha voluto ignorare tutte quelle esperienze fatte sul territorio da migliaia di volontari, vera spina dorsale del mondo penitenziario. “Non è preoccupante soltanto che le realtà storiche del volontariato, in pratica, non abbiano idea di chi siano costoro - spiegano Centro Studi di Ristretti Orizzonti di Padova - lo è ancora di più che non si siano mai presentati: perché partire da zero quando c’è un così prezioso patrimonio di esperienze a disposizione?” Pensare un lavoro sul recupero dei detenuti senza chiedersi chi, già, ha fatto cosa, sembra una falsa partenza. Il progetto presentato, nelle sue fasi di avvio - la raccolta di dati da informatizzare e trasformare in CV accessibili alle aziende - è anche già stato sperimentato. Non sembra sia andato benissimo. “A Padova questa modalità è già stata sperimentata nel 2000 e non ha avuto alcuna ricaduta sui detenuti - spiega Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, una delle realtà di volontariato più significative in Italia. “In un mondo complesso come quello penitenziario - prosegue Favero - questi automatismi non funzionano, è noto da tempo che vanno pensati percorsi differenziati, è un lavoro molto lungo e faticoso, certe proiezioni sono irrealistiche”. Lettera del “Movimento ecclesiale Rinnovamento nello Spirito” Il progetto, approvato e finanziato da Cassa Ammende, prevede l’erogazione di somme per stati di avanzamento e sotto il controllo di organismi pubblici. Dette somme contribuiranno all’impianto e allo sviluppo triennale dell’Agenzia Nazionale Reinserimento e Lavoro per detenuti ed ex detenuti. Il progetto sarà gestito da un’ATS (Associazione Temporanea di Scopo) composta dai partner operativi e strategici del Progetto - Rinnovamento nello Spirito è solo uno di questi - i quali non solo non percepiranno alcun vantaggio economico dal finanziamento che sarà erogato, ma contribuiranno con proprie risorse al funzionamento dell’Agenzia, per completare, finalizzare e moltiplicare gli effetti dell’investimento e le prerogative del Progetto. Il finanziamento sarà subito destinato alla definizione di un’aggiornata Banca dati informatica, con l’assunzione di 30 detenuti impegnati allo scopo. Il sistema sarà subito reso disponibile a tutti gli operatori e ai soggetti datoriali già attivi in questo settore e che vorranno beneficiarne. Inoltre, il progetto a regime prevede l’orientamento e la formazione, nel triennio, di 1500 soggetti, avviati al lavoro in forma dipendente, di impresa e cooperativistica. La Fondazione “Istituto di promozione umana “Mons. F. Di Vincenzo” è un Ente morale eretto con decreto ministeriale del 1995 e ha sede ad Enna, città di origine del presidente Salvatore Martinez. La Fondazione Mons. F. Di Vincenzo non ha mai beneficiato di fondi dello Stato a sostegno della propria operatività. ANReL nasce dall’esperienza maturata a Caltagirone, sin dal 2004, in un progetto pilota, convenzionato con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e finalizzato al reinserimento sociale di detenuti ed ex detenuti nelle proprietà storiche di Mario e Luigi Sturzo. Infine, il Rinnovamento nello Spirito ha dato vita da due anni ad una Scuola di formazione per i volontari che operano nel sistema carcerario. Da diversi anni e a vario titolo, molti aderenti al Movimento hanno svolto e svolgono attività di accompagnamento e di animazione nelle carceri d’Italia e presso le famiglie dei detenuti. Giustizia: rieducare con il Vangelo, nasce un’Agenzia per il reinserimento e lavoro dei detenuti di Dina Galano Terra, 7 luglio 2010 Nasce l’Agenzia per il reinserimento e lavoro dei detenuti. Con un programma, finanziato per 5 milioni di euro, che sarà gestito dal Movimento per il rinnovamento dello Spirito santo. Che nessuno conosce. Recuperare il condannato, secondo la legge divina. Con l’intento di promuovere quella “rieducazione che punta al recupero umano, sociale e spirituale della persona”, è nata l’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro per detenuti ed ex detenuti. Il progetto, presentato ieri a Roma alla presenza del sottosegretario Gianni Letta, del capo dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta e del ministro Angelino Alfano, destina quasi 5 milioni di euro all’istituzione del nuovo ente. Una somma ingente, prelevata dalla Cassa ammende del Dap che raccoglie i fondi necessari al reinserimento sociale dei detenuti e che sarà gestita dalla Fondazione “Mons. Di Vincenzo”, costola del Movimento del rinnovamento nello Spirito santo. A collaborare anche la Caritas, le Acli nazionali, la Coldiretti e la Prison fellowship international. L’istituzione dell’Agenzia, che ha richiesto uno straordinario stanziamento di fondi in tempi di magra, è stata accolta con non poche perplessità dagli operatori penitenziari. “Mentre stanno chiudendo le cooperative di tipo B che fino a oggi hanno garantito l’assistenza e il lavoro dei detenuti, e mentre alcune di esse sono costrette allo sciopero della fame per la riduzione dei fondi, si offre a un ente ecclesiastico con poca esperienza una somma mai disposta prima”, argomenta Lillo Di Mauro, responsabile carcere dei Verdi e presidente della Consulta penitenziaria romana. Non si contesta, perciò, l’utilità del programma che in un triennio dovrebbe condurre alla formazione professionale di 1.800 detenuti in cinque regioni d’Italia e all’ampliamento a 6.000 unità della banca dati della popolazione carceraria, quanto la validità dei soggetti coinvolti. Anche perché, tra le attività previste nel progetto, compare la dicitura “formazione spirituale”. Secondo il coordinatore del Rinnovamento nello Spirito santo, Salvatore Martinez, si tratta della necessità di “rimuovere le cause del male, riconciliarsi con se stessi proprio quando i valori dello spirito sono stati traditi dall’atto criminale”. Formazione spirituale, insomma, “significa curare la dimensione interiore continuamente afflitta” del detenuto, maturare “sacrificio, responsabilità e gratitudine”. Martinez sottolinea che l’obiettivo è “umanizzare e non evangelizzare”, assicurando di coinvolgere presto altre associazioni del no profit come a diventare “un contenitore per iniziative già esistenti”. Quelle preesistenti realtà, tuttavia, nel migliore dei casi riferiscono di non conoscere il Rinnovamento. Nel peggiore, di non sapere di un suo intervento nell’area penitenziaria. “Il progetto è stato affidato a chi finora si è occupato soltanto di dodici detenuti inseriti in un programma di lavoro in Sicilia”, sottolinea Di Mauro. Date le tante incognite, “il mondo del sociale sarà ben attento a cosa si metterà in campo”, avverte Livio Ferrari, fondatore della Conferenza nazionale volontariato e giustizia, la sigla che riunisce le più autorevoli e collaudate associazioni penitenziarie. Se per Ferrari “è inverosimile che d’improvviso sia saltato fuori dal cilindro un piano sconosciuto” agli addetti ai lavori, in certi casi occorre avere fede. Giustizia: abuso di potere; i casi Cucchi, Uva, Gugliotta e Aldovrandi al vaglio della Magistratura Corriere della Sera, 7 luglio 2010 Stefano Gugliotta, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi: quattro casi di atti violenti compiuti da agenti di polizia. Storie note di cronaca al vaglio della Magistratura. Vicende, le più clamorose, al centro di “Abuso di Portere” titolo del sesto reportage della serie Vanguard Italia, realizzata dal network italiano di video-reporter indipendenti di Current, in onda mercoledì 7 luglio alle ore 21.10 sul canale 130 Sky. Le testimonianze e le ricostruzioni di amici e parenti delle vittime raccontano, davanti alle telecamere di Current, il dolore e lo strazio di una dura e controversa battaglia per conoscere la verità dei fatti, contro uno Stato che a volte si nasconde, mostrando una faccia diversa da quella a cui è abituato il cittadino. Versioni che stridono con le dichiarazioni pubbliche del capo della Polizia Antonio Manganelli: “Il nostro è un palazzo di cristallo, trasparente. Esistono, però, possibili smagliature fisiologiche”. Nicola Tanzi segretario generale del Sindacato Autonomo di Polizia raggiunto dai microfoni Vanguard parla di stress. “Lamentiamo la mancanza di psicologi. Questa è un’attività particolare, c’è necessità di avere controllo e di parlare con qualcuno quando succedono episodi drammatici”. Stress che secondo il segretario del Sap si aggiunge alla frustrazione di sentirsi non considerati dal Governo: “Oggi - dice Tanzi - il poliziotto si sente abbandonato. È entrato nell’ottica che per lavorare deve anticipare di tasca propria, anche i soldi per entrare in missione. Mancano una serie di risorse economiche necessarie e indispensabili per le attività di polizia. Vedersi tagliato lo stipendio o la liquidazione, come prevede la nuova manovra, farà aumentare questo stress”. “Effettivamente - commenta Luigi Manconi ex sottosegretario alla Giustiza, presidente dell’associazione per i diritti civili A Buon Diritto - i casi Cucchi, Uva, Gugliotta, Aldrovandi sebbene siano vicende assai diverse per dinamica e apparati coinvolti, sembrano segnalare una sorta di clima, di umore, che dominerebbe l’atteggiamento delle forze dell’ordine e che va verso un uso non controllato della forza. Il problema della trasparenza è fondamentale”. Eppure, se da un lato Nicola Tanzi assicura che “non c’è copertura da parte del dipartimento nei confronti del poliziotto che non sa fare il proprio lavoro o non sa rispettare la legge”, dall’altra ci sono i casi Cucchi, Uva, Aldrovandi (unico con una condanna in primo grado a carico di agenti di polizia) che provano il contrario. Sorelle e madri dei tre uomini morti in carcere o in ospedale dopo essere stati fermati dalle forze dell’ordine raccontano di depistaggi, di omissioni e coperture e continuano senza sosta a chiedere: “Che sia fatta luce su quello che è successo, perché non si verifichino più casi come questi”. Colpisce l’intervista del 25enne Stefano Gugliotta, pestato da 3 agenti il 5 maggio 2010 nei pressi dello stadio Olimpico durante serata della partita Roma-Inter. La scena viene ripresa da un videoamatore e le immagini rimbalzano dal web ai telegiornali. Gugliotta viene incarcerato per 6 giorni e liberato grazie a quel filmato, alla mobilitazione della società civile e di movimenti politici. Ne ricava lesioni su tutto il corpo, un dente rotto e l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. La sua vicenda ha ancora una dinamica e delle responsabilità tutte da chiarire. Da quel giorno Stefano non è mai più andato sul luogo del pestaggio, ci torna per la prima volta con Francesca Biagiotti, reporter Vanguard per Current. “Non ci sono ancora mai passato da quando sono uscito, perché io non esco più da solo. Mi sveglio ogni ora. Purtroppo, adesso fumo due pacchetti di sigarette al giorno” racconta il ragazzo durante il tragitto. Poi si ferma a qualche centinaio di metri. Non ce la fa. Non si vuole avvicinare e inizia a raccontare: “Ero in motorino. Giro l’angolo e il celerino mi ferma. Non avevo il casco. Ho pensato mi farà la multa. E poi un sacco di botte, non ho più ricordi lucidi. Mi sono ripreso ed ero in regime d’isolamento, ci sono rimasto sei giorni”. Stefano il giorno della scarcerazione disse in conferenza stampa “voglio solo dimenticare”, oggi a Current dice “non lo scorderò mai più”. Veneto: Ferrari; ultimo anno di pena ai domiciliari è boutade; intanto la regione ha tagliato i fondi Redattore Sociale, 7 luglio 2010 Il commento di Livio Ferrari, presidente del Centro Francescano d’ascolto e fondatore del Seac, (Rovigo) durante la presentazione de “Il carcere in piazza (per non dimenticare)” che si svolgerà venerdì 9 luglio “Una boutade di persone che si improvvisano e non sanno cosa dicono”. È duro il tono di Livio Ferrari, garante dei detenuti di Rovigo, presidente del Centro Francescano d’ascolto e fondatore del Seac, nel commentare la possibilità di far scontare ai detenuti l’ultimo anno di pena ai domiciliari, a discrezione del magistrato, così come previsto dal ddl Alfano. Nel presentare l’iniziativa rodigina “Il carcere in piazza (per non dimenticare)” che si svolgerà venerdì 9 luglio alle 21 in piazza Vittorio Emanuele II, Ferrari come da tradizione fa il punto sulla situazione carceraria locale e nazionale e non fa sconti a nessuno. “Le leggi che stanno presentando sono solo spot - incalza -: non vanno in fondo al problema, sono scritte da persone che non sono pratiche di questo ambiente ma che si improvvisano. La realtà è che nessuno sta facendo niente per risolvere la situazione dei detenuti”. In merito alla norma sull’ultimo anno di pena prevista dal ddl Alfano, Ferrari si dimostra estremamente critico: “I detenuti sono esseri umani, non pacchi da lasciare qua o là. Per queste persone vanno previsti progetti, non c’è bisogno di boutade che non sono credibili. Lasciare i detenuti a casa e non dare loro le risorse per rifarsi una vita significa spingerli a delinquere ancora. Non c’è l’onestà intellettuale di toccare i nervi scoperti di questi temi, in primis la questione delle misure alternative per abbattere la recidiva. Vengono proposte solo scorciatoie perché non ci sono realmente progetti”. E sul piano regionale, secondo Ferrari, non va meglio: “Accadono cose vergognose, come il taglio di 400.000 euro per i progetti in carcere a opera della regione Veneto. Inoltre, dai 2.700.000 euro previsti per il 2010 per carcere, vittime di tratta e senza dimora, è stato disposto il taglio di 1.700.000 euro. Ciò significa che la regione per tutti questi temi è disposta a investire solo un milione di euro”. Al di là delle leggi e delle risorse, torna come ogni anno il caldo a rendere la situazione intollerabile nelle celle: “Oggi vedo persone che non hanno nemmeno la forza di arrabbiarsi con qualcuno. Vedo tanta tristezza e rassegnazione”. In questo contesto, “Il carcere in piazza (per non dimenticare)” si propone come una serata di riflessione, musica, poesia e racconti sulla condizione detentiva, con l’obiettivo di gettare un ponte tra dentro e fuori il carcere. Per l’occasione usciranno in permesso dall’istituto penitenziario cittadino dei detenuti, che leggeranno anche un loro comunicato. L’iniziativa è organizzata dal Coordinamento dei volontari della Casa circondariale di Rovigo in collaborazione con gli assessorati alle Politiche sociali di comune e provincia, al carcere cittadino e con il contributo del Csv. Veneto: nelle celle letti a castello troppo alti, in aumento detenuti che si rompono gli arti Redattore Sociale, 7 luglio 2010 La denuncia arriva da Rovigo dove per il sovraffollamento i reclusi sono costretti a dormire su letti di tre o quattro piani con esiti da caduta anche gravi. Favero (Ristretti Orizzonti): “Si fanno male perché non hanno spazio per vivere”. Come a casa o al lavoro, anche in carcere si corre seriamente il rischio di infortunarsi. E se il sovraffollamento ci mette lo zampino il pericolo aumenta. È questa un’altra faccia, finora nascosta, del problema del numero eccessivo di detenuti nelle carceri venete, costretti a vivere e dormire in stanze con letti a castello di tre o quattro piani. Con la possibilità di movimento ridotta e la scomodità che la situazione comporta, non sono pochi i casi di persone ristrette che cadono rovinosamente al suolo rompendosi una volta un braccio, una volta una gamba. La notizia arriva da Rovigo, dal presidente del Centro Francescano d’Ascolto e garante dei detenuti cittadino Livio Ferrari, e trova conferma dalla direttrice di Ristretti Orizzonti Ornella Favero. Dati ufficiali a questo riguardo non sono disponibili, ma chi vive quotidianamente in carcere con i detenuti ha il problema ben chiaro. “Ora c’è un numero enorme di persone in stato di detenzione con gli arti rotti - riferisce infatti Ferrari -: da quando c’è il sovraffollamento ed è stata introdotta la terza e quarta branda nei letti a castello abbiamo registrato una serie di cadute. C’è insomma una marea di persone che si fanno male perché non hanno spazio per vivere”. Favero da Padova conferma che il problema esiste: “C’è stato sicuramente più di un caso di questo genere che mi è stato riferito - afferma -, non solo nella casa di reclusione ma anche al circondariale. Da quanto mi risulta c’è stata anche gente che si è fatta parecchio male: circa due mesi fa un detenuto è caduto ed era in condizioni abbastanza gravi”. Secondo i dati, nel carcere maschile di Rovigo attualmente ci sono 90 detenuti (qualche mese fa si è toccata la punta di 110), per una capienza di 42 posti. Nella casa di reclusione padovana, invece, a fronte di una capienza di circa 400 detenuti conta oggi oltre 800 ristretti. Il circondariale padovano, invece, non più tardi dello scorso maggio ha registrato 264 presenze, contro una capienza massima di 96 posti. Toscana: solo il 27% dei detenuti risulta essere sano, ovvero non affetto da alcuna patologia Redattore Sociale, 7 luglio 2010 Ricerca dell’Ars: oltre due terzi della popolazione carceraria regionale è affetta da almeno una patologia. Sono soprattutto malattie all’apparato dirigente, malattie infettive e disturbi psichici. Soltanto il 27% dei detenuti toscani risulta essere sano, ovvero non affetto da alcuna patologia. Infatti, oltre due terzi della popolazione carceraria toscana ha almeno una patologia in atto, di cui il 54,5% di tipo internistica, l’11% esclusivamente di tipo psichiatrico, il 34,5% con una patologia sia internistica che psichiatrica. Sono i risultati emersi dalla ricerca dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana che, da giugno 2009 a giugno 2010, ha analizzato lo stato di salute di un campione di oltre 2 mila detenuti toscani. Un quadro poco confortante, spiegano i responsabili della ricerca, dovuto principalmente a “condizioni ambientali caratterizzate da un forte stato di deprivazione socio-economica, condizione che non può che accentuarsi una volta inserita all’interno del circuito penitenziario”. Nello specifico, per quanto riguarda le patologie di tipo internistico, le principali malattie sono quelle all’apparato dirigente, seguite da malattie infettive e parassitarie, da malattie del sistema circolatorio e da malattie del sistema osteomuscolare e connettivo. Le malattie infettive più diffuse sono l’epatite C (9,1% dei detenuti), l’epatite B (2,2%), e l’Hiv (1,4%). Per quanto concerne i disturbi psichici, i dati della ricerca rilevano che il disturbo mentale da dipendenza da sostanze stupefacenti rappresenta la principale patologia psichica da cui risultano affetti i detenuti (12,7% dei detenuti), seguito dal disturbo nevrotico e reazioni di adattamento (10,9%), e dal disturbo mentale alcol correlato (5,7%). In tutti e tre i casi, i più colpiti dalla patologia risultano gli italiani, che rappresentano il 52,9% della popolazione carceraria toscana. Secondo la ricerca, il 10% dei detenuti ha messo in atto azione auto lesive almeno una volta e circa il 5% ha tentato il suicidio. Sardegna: Sdr; con nascita Anrel in cinque regioni a rischio equità nel trattamento dei detenuti Agi, 7 luglio 2010 “Il reinserimento sociale e lavorativo delle persone private della libertà e degli ex detenuti è un compito istituzionale che compete alle strutture del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria secondo precisi criteri. Non può diventare un servizio per promuovere e sostenere il federalismo detentivo. Così dalla certezza del diritto è facile passare alla discrezionalità del favore”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” con riferimento alla nascita dell’Agenzia Nazionale Reinserimento e Lavoro destinata nella prima fase alle regioni Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia e Veneto sottolineando “ancora una volta l’esclusione della Sardegna dalla possibilità di migliorare le condizioni di vita dei detenuti e dei loro familiari”. “Un’iniziativa, come l’agenzia Anrel, finalizzata a creare lavoro e a realizzare progetti innovativi per una parte seppure consistente di detenuti, determinerà inevitabilmente - sostiene Caligaris - dei problemi di equità nel trattamento delle persone private della libertà. Un progetto di questa natura presuppone per tre anni un blocco dei trasferimenti dei detenuti e del personale mentre si scatenerà da subito una guerra per ottenere la dislocazione nelle aree fortunate”. Non si comprende inoltre in base a quali criteri saranno prescelti coloro i quali potranno essere avviati alle cooperative sociali piuttosto che all’imprenditorialità. In che modo le “Cittadelle” da realizzare nei terreni confiscati alle mafie per le famiglie dei detenuti possano essere utilizzate dagli extracomunitari. Si impongono inoltre una serie di riflessioni sui risvolti sociali nei diversi territori. Il Ministro Angelino Alfano conosce sicuramente bene la realtà della Sicilia ma forse - sottolinea la presidente di Sdr - sarebbe stato opportuno prima di lanciare un così importante progetto con un finanziamento di 4 milioni e 800 mila euro, promuovere iniziative piccole ma significative per migliorare le condizioni di vita di tutti i detenuti. L’inadeguatezza del numero di psicologi, educatori, assistenti sociali negli Istituti di Pena; la scarsa presenza di operatori sanitari e l’insufficiente connessione tra i servizi del territorio e le famiglie dei detenuti; l’esiguo numero di Magistrati nei Tribunali di Sorveglianza e degli assistenti negli Uffici e la realtà degli Agenti di Polizia Penitenziaria sempre meno numerosi e sempre più demotivati (in attesa del famoso concorso per le 2mila nuove assunzioni) dovrebbero far riflettere sull’efficacia rieducativa del sistema. In realtà - conclude Caligaris - è improcrastinabile un provvedimento legislativo che alleggerisca il peso dei detenuti assiepati dentro le strutture, specialmente quando si parla di ammalati in gravi condizioni di salute fisica e psichica. È poi indispensabile promuovere norme che offrano davvero sicurezza ai cittadini. La legge Bossi-Fini per esempio deve essere modificata, altrimenti si continueranno a riempire le celle di disperati”. Massa: 12 milioni spesi in cinque anni, un’altra “cricca” per la gestione degli appalti sul carcere Il Manifesto, 7 luglio 2010 Dodici milioni di euro: a tanto ammonterebbe il giro di affari di un minicricca che avrebbe pilotato gli appalti per i lavori effettuati dal 2005 ad oggi nel carcere toscano di Massa. Nove le persone arrestate, fra cui il direttore del carcere Salvatore Iodice, funzionari pubblici e imprenditori. Le indagini erano partite lo scorso anno da una segnalazione interna al carcere, e si sono sviluppate grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali. Secondo le accuse i lavori venivano affidati a un gruppo ristretto di ditte, con la formula della “somma urgenza”. In cambio le ditte, oltre a mazzette, regali e cene, eseguivano anche lavori di ristrutturazione nelle case degli arrestati, oltre a fornire “utilità di vario genere”. Gli arrestati sono accusati a vario titolo di truffa ai danni dello Stato, falso, concussione e turbativa d’asta. Insieme a Iodice, accusato anche di peculato, sono finiti in manette i funzionari pubblici Salvatore Cantone, contabile del carcere; Carlo Bernardini, funzionario del ministero delle Infrastrutture in servizio a Marina di Carrara; Antonio Riccardi, anche lui funzionario del ministero ma in servizio a Livorno, e Stefano Tendola, geometra in servizio a Marina di Carrara. Arrestati anche gli imprenditori Prospero Santacroce, Morgana Martelli, Massimo Antonelli e Mario Cesare Rotella. “Era stata creata una sorta di piccola cricca”, ha spiegato il procuratore massese Federico Manotti nella conferenza stampa seguita all’operazione di polizia giudiziaria. Salvatore Iodice era diventato abbastanza famoso in Toscana per aver fatto nascere una squadra di calcio, la “Galeotta”, formata da detenuti e agenti di custodia insieme. Pordenone: carcere sovraffollato, il fascicolo torna sul tavolo del Procuratore della Repubblica Messaggero Veneto, 7 luglio 2010 Il fascicolo torna sul tavolo del procuratore della Repubblica, Luigi Delpino. Ricevuta la relazione del dipartimento di prevenzione dell’Azienda sanitaria sullo stato del carcere, il sindaco, Sergio Bolzonello, ha deciso di inoltrarla, insieme a una lettera accompagnatoria e alla comunicazione del direttore dell’istituto di prevenzione e pena, Alberto Quagliotto, al procuratore affinché assuma le determinazioni che ritiene. Nella relazione dell’Asl 6 si sottolineano le carenze infrastrutturali del carcere di piazza della Motta, come pure gli sforzi per garantire una adeguata vivibilità ai detenuti e al personale che lavora all’interno del castello. Una mediazione non facile vista la vetustà dell’immobile. Rispetto a due mesi e mezzo fa, quando erano stati segnalati 98 detenuti, quasi il doppio dei 53 ammissibili, situazione che aveva fatto scattare la relazione del magistrato di sorveglianza, inoltrata a Delpino e da questi al sindaco, un passo in avanti è stato compiuto con la riduzione delle presenze a 82, un numero comunque superiore rispetto a quello massimo stabilito. “Una contrazione delle presenze positiva - commenta il sindaco - fermo restando che la situazione all’interno del carcere rimane critica. In ogni caso ho provveduto a inviare l’incartamento al Procuratore della Repubblica affinché assuma le determinazioni del caso”. Da parte del Comune, per il momento, nessuna ordinanza di chiusura anche perché è stato recentemente confermato in sede ministeriale il piano carceri approvato a suo tempo dal Consiglio dei ministri che prevede la realizzazione a Pordenone di una struttura da 450 posti, con un costo di 50 milioni di euro, che verrebbe edificata in Comina, in via Castelfranco Veneto, nel sito individuato dal consiglio comunale. Il penitenziario dovrebbe godere di uno specifico contributo da parte della Regione, circa 15/20 milioni di euro che il presidente, Renzo Tondo, ha confermato, oltre al sostegno di Provincia e Comune capoluogo, a maggior ragione in presenza di una eventuale dismissione del castello che tornerebbe nel patrimonio disponibile della città. Il finanziamento della struttura pordenonese è previsto nel bilancio del prossimo anno e questa è l’incognita rispetto alla quale permane l’apprensione per il rischio che una ulteriore contrazione della spesa statale metta in discussione i fondi previsti. Ma fino al prossimo anno la conferma del finanziamento non potrà venire. Vibo Valentia: interrogazione della parlamentare Pdl Angela Napoli al ministro Alfano Il Velino, 7 luglio 2010 Premesso che nei giorni scorsi un’operazione della Polizia Penitenziaria di Vibo Valentia ha ritrovato due telefoni cellulari all’interno dell’Istituto penitenziario di quella Città; i due telefoni cellulari, completi di tre carica batterie, sono stati ritrovati nel reparto di media sicurezza, uno in un bagno e l’altro nella zona “aria”; i cellulari rinvenuti apparterrebbero a due detenuti napoletani; il ritrovamento dei due cellulari è avvenuto grazie al lavoro svolto dal personale di Polizia Penitenziaria, nonostante le difficoltà dovute alla notevole carenza di organico a fronte dell’elevato numero di detenuti; nell’Istituto penitenziario di Vibo Valentia rispetto a 210 posti disponibili, i detenuti sono 426, mentre gli Agenti penitenziari sono 175 (rispetto alle 201 unità previste in pianta organica) dei quali 40 distaccati a prestare servizio in altre sedi; nell’evidenziare la positività del lavoro della Polizia Penitenziaria, l’interrogante non può sottacere la preoccupazione sul rinvenimento dei due cellulari attraverso i quali i detenuti potevano tranquillamente scambiare notizie con l’esterno e probabilmente far utilizzare, con analogo scopo, gli stessi cellulari ad altri detenuti; tra l’altro sono di questi giorni le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Marino che hanno svelato la possibilità, anche nel carcere di Palmi (RC), di far arrivare messaggi all’esterno: quali urgenti iniziative intende attuare perchè vengano garantiti adeguati controlli in tutti gli Istituti penitenziari italiani; se non ritenga indispensabile ed urgente impinguare gli organici della Polizia Penitenziaria, al fine di garantire la totale efficienza del personale; quale la situazione del Piano Carceri. Ravenna: detenuto corruppe agente per passare lettere ai familiari, condannato a 1 anno e 5 mesi Ansa, 7 luglio 2010 Con poche centinaia di euro aveva corrotto un assistente capo della polizia penitenziaria per convincerlo a passare dal carcere di Ravenna, nel quale si trovava rinchiuso, bigliettini alla madre e alla fidanzata. È l’accusa che davanti al collegio penale del Tribunale della città romagnola è costata una condanna a un anno e cinque mesi di carcere ad Adam Chudio Przemyslaw, 25enne operaio polacco. La madre - Barbara Ewa Chudio, co-imputata per lo stesso reato in concorso - è stata invece assolta per non avere commesso il fatto. La Procura aveva chiesto per entrambi la condanna a un anno e otto mesi di carcere. Motivazioni entro novanta giorni. Per quanto riguarda l’assistente capo coinvolto nella vicenda - Vito Cosimo Miacola, 50 anni, originario di Erchie (Brindisi), arrestato a febbraio 2009 dalla squadra Mobile di Ravenna - nel dicembre scorso, per questo e altri episodi contestati nell’ambito di un’inchiesta della Procura ravennate sul carcere Port’Aurea della città romagnola, aveva patteggiato un anno e 11 mesi. Adam e Miacola si conoscevano di vista perché l’agente all’epoca era fidanzato con una polacca amica della madre del ragazzo; il giovane, ancora incensurato, era stato arrestato il 25 maggio 2008 assieme a tre connazionali per il pestaggio di un marocchino in stazione a Ravenna. L’incontro con Miacola “fu una manna per il giovane - ha detto il Pm Stefano Stargiotti nella requisitoria - il quale subito ne parlò alla madre”. E poi “in quel periodo Miacola aveva un bisogno estremo di danaro, che lo portò con estrema facilità a condotte illecite, prestandosi a consegnare messaggi sia in entrata che in uscita dal carcere. Ma per questo richiese una contropartita. Tuttavia in tali condizioni di sfacelo, si accontentò di poco: 350 euro”. Per la difesa (avv. Sandra Vannucci) si era invece trattato di un prestito, tanto che “nelle intercettazioni Miacola aveva più volte garantito che avrebbe restituito i soldi quanto prima”. Per questo il legale aveva chiesto l’assoluzione per entrambi gli imputati. Locri (Rc): domani concerto in carcere per i “Marvanza Reggae Sound” Ansa, 7 luglio 2010 Concerto in carcere per i Marvanza Reggae Sound, che domani alle 10.30 si esibiranno nell’istituto penitenziario di Locri. Insieme al gruppo di Monasterace, si esibiranno Peppe Voltarelli, cantautore e attore cosentino, e Marco Calliari, artista canadese di origini italiane, in Calabria per alcune date insieme a Voltarelli. Il concerto rientra in un progetto iniziato lo scorso anno e che ha riscosso numerosi consensi tra l’opinione pubblica. La presenza dei Marvanza Reggae Sound, è scritto in una nota, è stata voluta dall’assessore alla pubblica istruzione del comune di Caulonia, Francesco Cagliuso, che ha invitato il gruppo a partecipare all’evento; e dall’assessore alle politiche sociali della provincia di Reggio Calabria Attilio Tucci. “Quella dei concerti in carcere - ha sostenuto Tucci - è un’attività avviata lo scorso anno che consente a gruppi locali e non di portare un po’ di serenità ai detenuti e per far sentir loro il collegamento con il mondo esterno, che non li ha comunque abbandonati. Per i gruppi locali, inoltre, è un modo per far sentire la loro presenza, dando loro l’opportunità di mettersi in evidenza e di farlo in modo nobile, considerando che questi concerti sono assolutamente gratuiti”. Un gesto d’altruismo, dunque, prosegue la nota, “da parte di questi musicisti che mettono la loro arte al servizio della società, regalando le loro note e le loro parole a chi ne ha bisogno. Nei loro testi, sempre briosi ma anche riflessivi e mai banali, raccontano storie quotidiane con un’ironia che coinvolge inevitabilmente tutti coloro che assistono al loro spettacolo ma che lascia anche spazio alla rabbia nei confronti dei responsabili del malessere sociale. L’ironia - hanno spiegato i quattro Marvanza - è il modo con cui parliamo alla gente di argomenti che sono, invece, serissimi. È un modo per farci comprendere, divertire e per trasmettere, contemporaneamente, il nostro appello sociale”. Immigrazione: Libia; 90 detenuti in una cella senza bagno, ecco “l’inferno” di Brak Il Sole 24 Ore, 7 luglio 2010 In Libia lo chiamano il centro di Brak, dal nome della sperduta località desertica che lo ospita. Ma tra gli immigrati clandestini che vivono nascosti nei quartieri di Tripoli è conosciuto semplicemente come “l’inferno”. Il luogo dove nessuno vorrebbe essere trasferito, dove si sta anche in 90 persone in una cella, non ci sono bagni, e se non ci si ammala è già una fortuna. Dove a qualunque ora si può essere prelevati dai poliziotti, pestati e quando va male torturati. É qui nel mezzo del deserto libico, a 75 km da Sebha, una remota località del sud della Libia, che sono stati trasferiti - diverse Ong preferiscono usare il termine deportati - su due grandi container 250 immigrati eritrei prelevati dal centro di Misratah, sulla costa. È da Brak che alcuni prigionieri sono riusciti a denunciare per telefono la gravissima situazione in cui versano: senza acqua potabile, percossi e in alcuni casi torturati. Secondo informazioni raccolte da Amnesty International, all’alba del 30 giugno un centinaio di poliziotti libici ha fatto irruzione nel centro di Misratah prelevando oltre 200 eritrei. La loro colpa è stata ribellarsi alle autorità. O meglio, non voler firmare i protocolli per essere schedati e identificati, rendendo note così anche le generalità delle loro famiglie. Sapevano che se lo avessero fatto, avrebbero rischiato di essere rimpatriati in Eritrea, dove la sorte che li attende è ben peggiore. E anche se fossero rimasti in Libia, probabilmente il regime si sarebbe rivalso sulle famiglie. La tragedia degli immigrati eritrei deportati a Brakha riacceso i riflettori dei media internazionali sull’immigrazione clandestina in Libia sulla politica dei respingimenti in mare portata avanti dal Governo italiano, ma criticata dall’Onu perché contraria alla convenzione di Ginevra, firmata dall’Italia, che offre protezione ai rifugiati politici. Amnesty si è appellata a Tripoli affinché non rinvii forzatamente in Eritrea i rifugiati, “rispettando il principio internazionale del “non respingimento” verso paesi in cui una persona potrebbe essere a rischio di tortura o altre forme di maltrattamento”. Il commissario europeo per i diritti umani, Thomas Hammarberg, ha scritto al ministro degli Esteri, Franco Frattini, e al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, per chiedere chiarimenti sui presunti maltrattamenti subiti dal gruppo di migranti eritrei, tra i quali alcuni che avevano cercato di raggiungere l’Italia, prima di essere rinviati in Libia. Frattini e Maroni hanno risposto che l’Italia ha intrapreso una “delicata mediazione” per identificare gli eritrei detenuti nelle carceri libiche e offrire loro un’occupazione nel paese nordafricano. “Il contributo dell’Italia non è mai mancato e non mancherà” ha precisato Frattini. “Secondo il Ministero dell’Interno - spiega Ferruccio Pastore, direttore del Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’immigrazione (Fieri) - gli sbarchi in Italia nel 2008 sono stati circa 37mila, mentre nel 2009 solo 9.573. Ma solo 3.185 dal maggio, mese dei primi respingimenti, al dicembre del 2009. Credo che il calo sia in buona misura da legare ai respingimenti in mare da parte delle autorità italiane, e all’effetto deterrente che ne è conseguito. Ma sul fatto che l’Italia abbia violato i principi della Convenzione di Ginevra molti giuristi internazionali sono d’accordo”. Così, nel silenzio, continua la tragedia degli immigrati africani che attraversano il deserto e si gettano tra le braccia di spietati trafficati e poliziotti corrotti per attraversare il Mediterraneo. Quando vengono arrestati, il trattamento che riservano loro la autorità libiche spesso è disumano. È l’altra faccia della Libia, un paese che ha sì fatto grandi passi in avanti, convincendo, nel 2004, gli Stati Uniti a togliere le sanzioni e riuscendo, nel 2006, ad affrancarsi dal marchio di sponsor del terrorismo affibiatogli dalla Casa Bianca. Parlare di democrazia è tuttavia fuorviante. Guidata da presiedente più longevo d’Africa, Mùamar Gheddafi, al potere dal 1969, è la Libia è un partner irrinunciabile per l’Italia, e non solo. Merito, soprattutto delle sue riserve di petrolio, 43 miliardi di barili (quelle accertate), le più grandi d’Africa. Un potenziale enorme, visto che 3/4 del suo sottosuolo sono ancora inesplorati. Senza parlare del gas. Ma la Jamahiriyah, lo stato delle masse, proclamato nel1977 da Gheddafi, che idealizzava la perfetta società, combinando aspetti del socialismo, dell’Islam e del panarabismo è un democrazia solo sulla carta. E il rispetto dei diritti umani non è certo una priorità, anzi. Immigrazione: Frattini; la Libia è disponibile a non rimpatriare i detenuti eritrei Ansa, 7 luglio 2010 “È incredibile che da Bruxelles non sia venuto neanche un comunicato stampa su questa vicenda”. Lo ha detto il ministro degli Esteri riguardo alla questione dei 250 eritrei trasferiti alcuni giorni fa, con violenze e abusi, dal carcere di Misratah al centro di detenzione di Brak vicino Seba, nel sud della Libia. Frattini ha anche aggiunto che la Libia “ha compreso che se queste persone rischiano persecuzioni nel paese d’origine è bene che non siano rinviate”. Sulla posizione dell’Italia il ministro degli Esteri ha sottolineato che il nostro paese “incoraggia” le organizzazioni internazionali presenti in Libia, tra cui l’organizzazione internazionale delle migrazioni, “ad essere disponibile per i lavori socialmente utili” a cui potrebbero essere destinati i detenuti. Il Consiglio d’Europa aveva chiesto all’Italia collaborazione per fare chiarezza sulla sorte di 250 eritrei detenuti in Libia. Il commissario ai diritti umani Thomas Hammarberg ha infatti inviato due lettere, al ministro degli Esteri, Franco Frattini, e al ministro degli Interni, Roberto Maroni.