Giustizia: arriva l’estate anche dietro le sbarre, tra suicidi e condizioni di salute precarie di Dina Galano Terra, 5 luglio 2010 La settima e la nona sezione dell’Ucciardone di Palermo da giovedì scorso non acquistano più i prodotti al soppravvitto. Per tre volte al giorno fino al 15 luglio tremano le sbarre delle finestre e delle celle della casa circondariale di Foggia, sotto i colpi di pentole, piatti e coperchi agitati dai detenuti. Già a giungo la protesta rumorosa aveva rovesciato l’ordine nel carcere di Bologna. E dal prossimo martedì anche gli agenti penitenziari, che per legge non conoscono lo sciopero, si asterranno dal consumare il pranzo nelle mense di servizio. Il caldo estivo sta rendendo il sovraffollamento delle celle penitenziarie insostenibile, per chiunque venga a contatto con il carcere. Il contraccolpo esiziale può atteggiarsi a protesta, ma nei suoi esiti più drammatici sa condurre il singolo a tentare il suicidio, il gruppo la rivolta. Sono ormai certificate le grandezze delle azioni autolesionistiche e dei tentati suicidi che si verificano nei penitenziari italiani. Alla metà dell’anno sono 32 le persone che si sono tolte la vita e 44 si sono fermate allo stato di tentativo non perfezionato. E sono solo i dati ufficiali forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ma questi sono i dati ufficiali forniti dall’amministrazione penitenziaria a cui, secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, vanno aggiunti almeno altri nove casi verificatisi, negli ultimi diciotto mesi, appena all’esterno del circuito penitenziario - e per questo esclusi dal conteggio del Dipartimento - come caserme, questure e centri di identificazione ed espulsione per stranieri irregolari. I numeri, però, sembrano già sufficienti a preoccupare almeno come è già avvenuto nel 2009, anno dal record negativo di 72 suicidi (sempre fonte Dap) nella storia della Repubblica. La recrudescenza del fenomeno, per le dimensioni raggiunte, è arrivata ad allarmare anche il Comitato nazionale di bioetica, un organismo tradizionalmente moderato che, spiega Grazia Zuffa, membro del Cnb e direttrice della rivista Fuoriluogo, “è attento soprattutto alle questioni cosiddette “di frontiera”, come le tecnologie mediche del fine vita o dei trapianti riproduttivi”. Lo scorso 25 giugno, tuttavia, il gruppo di lavoro coordinato dalla dottoressa Zuffa ha firmato un approfondito parere su “Suicidio in carcere. Orientamenti bioetici”, “approvato all’unanimità, e non era un risultato scontato”, secondo Zuffa. Se il suicidio del detenuto è diventato un problema bioetico, dunque, questo dipende “dal profilo istituzionale e individuale” che coesiste in questo genere di atti estremi che ha spinto il Cnb a soffermarsi, ammette il documento, “sul delicato equilibrio fra aspetti di responsabilità individuali e quelli ambientali/ sociali”. “Il carcere è un luogo che fa ammalare le persone”, scrivono i tecnici, e dal 2003 quando è stata prodotta la prima dichiarazione del Comitato sulle problematiche penitenziarie “non solo non si sono registrati miglioramenti, ma il quadro denunciato si è perfino aggravato”. “Occorre riconoscere”, avverte la coordinatrice del lavoro, “che la limitazione della libertà personale non deve sospendere gli altri diritti, in primo luogo quello alla salute”. Di questa cattiva interpretazione sono responsabili “anche le politiche penali che producono sovraffollamento e condizioni di invivibilità che possono far precipitare la decisione di togliersi la vita. Una prassi contraria al principio di umanità delle pene, che fa acuire il fenomeno”. Ma se ci sono delle carenze nel sistema di cura dei detenuti, bisogna soprattutto investire in prevenzione; proprio in questa direzione il Comitato indica l’istituzione di un piano d’azione nazionale per la prevenzione dei suicidi secondo le linee già tracciate dagli organismi europei. “È essenziale - conclude Zuffa - che siano coinvolti tutti gli operatori, anche non di custodia. Senza psichiatrizzare il problema del suicidio, infatti, vanno attivare tutte le risorse ambientali e generali del carcere, dando attenzione alla quotidianità e agli aspetti sociali di rischio”. E il richiamo vale anche per i medici del Servizio sanitario nazionale cui è passata da due anni la competenza a gestire la salute nei penitenziari, ma che, secondo l’esperta, “hanno il compito di garantire, oltre la clinica, anche la vivibilità e le condizioni ambientali di restrizione”. Giustizia: Clemenza e Dignità; errore negare diritti ai reclusi, significa “meno diritti per tutti” Ansa, 5 luglio 2010 “La mancanza nell’odierna società di una nitida percezione del detenuto, così come potrebbe essere anche dell’immigrato, quali persone ed esseri umani, sta ostacolando il riconoscimento di una autentica soggettività giuridica in capo a questi individui. A lanciare l’allarme è Giuseppe Maria Meloni, presidente di Clemenza e Dignità, che avverte: meno diritti per gli ultimi, significa “meno diritti per tutti”. “Una volta rotta l’equazione per cui ad ogni essere umano, chiunque esso sia, corrisponde un soggetto di diritto, tale frattura - spiega - non potrà mai arrestarsi esattamente a quelle categorie che noi soggettivamente riteniamo ininfluenti, quasi non persone, i detenuti e magari gli immigrati, ma continuerà ad aggredire, con una elisione dei diritti conseguente allo sgretolamento del principio, tutti gli altri soggetti, preferibilmente deboli, come la vita nei suoi momenti iniziali e finali, i poveri, i giovani, i disoccupati e tanti altri.” “Riconoscere sempre e comunque la persona umana - conclude - è veramente nell’interesse di tutti noi”. Giustizia: Sindacati di Polizia penitenziaria a Napolitano; basta tagli, Alfano ci ha lasciati soli Ansa, 5 luglio 2010 “Basta attacchi alla dignità, agli stipendi e alle indennità dei poliziotti penitenziari che operano negli istituti di pena e servizi penitenziari, a costante rischio per la loro stessa incolumità personale e ridotti di circa 6.000 unità dai propri organici ufficiali”. Contro l’inaccettabile e intollerabile colpo di scure, che colpisce il sistema di sicurezza del Paese e delle carceri e le retribuzioni della polizia penitenziaria, le organizzazioni sindacali del settore si rivolgono al capo dello Stato Giorgio Napolitano e al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, per chiedere di garantire il mantenimento degli investimenti economici essenziali al sistema penitenziario, il turnover dei poliziotti e il pagamento delle indennità contrattuali al personale della Polizia Penitenziaria. Un passo compiuto vista la totale disattenzione del ministro della Giustizia Alfano ai problemi che attanagliano il “suo” Corpo di Polizia penitenziaria, lasciato completamente solo e indifeso. Sinappe, Ugl, Cgil Fp puntano l’indice contro “gli attacchi reiterati portati dal Governo nei confronti dei circa 37.000 poliziotti e poliziotte”. E dicono basta a iniziative demagogiche e incostituzionali, ma anche alla propaganda sulla pelle dei poliziotti penitenziari, alle promesse sul piano carcere e sulle improbabili assunzioni senza copertura finanziaria. Invece che tagliare le bellissime e costosissime auto blu ai numerosi dirigenti dell’amministrazione penitenziaria, a prorogare di ulteriori due anni i contratti dei dirigenti generali dell’amministrazione penitenziaria che dovrebbero ormai essere collocati in quiescenza - lamentano - si cala un colpo di scure inaccettabile e intollerabile, che nei prossimi tre anni (dopo aver già ridotto di un miliardo di euro gli stanziamenti al comparto sicurezza con la legge 133/2008) sottrarrà al sistema di protezione sociale altri 600 milioni di euro e ridurrà gli stipendi e le indennità dei poliziotti penitenziari (senza contratto dal 2009) bloccandone le retribuzioni. Giustizia: “agenzia di collocamento” per detenuti; presentazione con Letta, Alfano, Mantovano e Ionta Adnkronos, 5 luglio 2010 Una vera e propria “agenzia di collocamento” per i detenuti e anche per chi è stato dietro le sbarre. L’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro, che vuole ridurre la percentuale di recidiva, attraverso percorsi personalizzati di orientamento, di formazione, di avviamento al lavoro, d’inserimento professionale, borse lavoro, partenariati con le principali organizzazioni sociali e datoriali, nasce da una speciale Convenzione quadro siglata tra il Ministero della Giustizia e la Fondazione “Mons. Di Vincenzo”, ente morale con personalità giuridica di diritto civile ed ecclesiastico. Il tutto, in collaborazione con altre istituzioni e associazioni. L’agenzia di collocamento verrà presentata martedì in una conferenza stampa dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, dal sottosegretario al Ministero dell’Interno Alfredo Mantovano, dal capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) Franco Ionta, dal presidente della Fondazione Istituto di Promozione Umana ‘Mons. Francesco Di Vincenzò e del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), Salvatore Martinez. Partirà in via sperimentale con un percorso triennale, che riguarderà i detenuti e gli ex detenuti delle Regioni Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia e Veneto, con il coinvolgimento attivo dei nuclei familiari dei soggetti coinvolti. Tra gli enti che collaborano al progetto,finanziato dal Dap-Cassa delle ammende, il Comitato Nazionale per il Microcredito, l’Agenzia per i beni confiscati alla criminalità organizzata, la Caritas Italiana, le Acli Nazionali, la Coldiretti Italiana, la Prison Fellowship International, il Rinnovamento nello Spirito Santo. Progetto ANREL - Agenzia Nazionale Reinserimento e Lavoro Importo del finanziamento Cassa Ammende € 4.804.000,00. In attuazione della Convenzione Quadro stipulata dal ministro Angelino Alfano con la Fondazione Istituto promozione Umana Mon. Francesco di Vincenzo, il progetto tende a favorire e sviluppare interventi finalizzati al reinserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti mediante la costituzione di una agenzia Nazionale di reinserimento e Lavoro. Il progetto, di durata triennale, è realizzato in via sperimentale in collaborazione con i provveditorati regionali dell’Amministrazione Penitenziaria di Sicilia, Lombardia, Veneto e Campania. Esso avrà inizio con la creazione di 5 centri di raccolta dati all’interno degli istituti delle 5 Regioni, per la realizzazione di una banca dati per l’inserimento del curriculum lavorativo dei detenuti ed ex detenuti con interventi sulle difficoltà di inserimento e reinserimento sia sociale che familiare degli stessi. Particolarità del progetto: presa in carico anche dei familiari con la creazione di cittadelle (sul modello di quelle già esistenti a Caltagirone), sui territori confiscati alle mafie e, ove non vi siano, messi a disposizione dalla Caritas. Risultati previsti: creazione banca dati con 6.000 soggetti inseriti; n. 1.500 soggetti orientati; avviati al lavoro in forma dipendente 4.550; in forma di impresa 150; in forma cooperativistica 1100; famiglie assistite n. 2.000. Bologna: detenuto ritrovato morto; cause naturali secondo i primi accertamenti Ansa, 5 luglio 2010 Un italiano di poco più di 30 anni, tossicodipendente, detenuto nel carcere di Bologna, è stato trovato morto questa mattina verso le 6,30. Ne dà notizia Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. Stando ai primi accertamenti, il giovane sarebbe morto per cause naturali, ma è stato comunque trasferito all’Istituto di Medicina legale dove verrà eseguita l’autopsia. L’uomo, condannato in via definitiva, era rinchiuso nel reparto giudiziario e non nel penale, a causa del sovraffollamento di quest’ultimo. “Non possiamo comunque non evidenziare - commenta Durante - che all’interno del carcere bolognese ci sono circa 1.150 detenuti, a fronte di una capienza di circa 500 posti. Di questi, circa 300 sono tossicodipendenti, la maggior parte dei quali, probabilmente, potrebbero scontare la pena all’esterno, in strutture di recupero, ma continuano a rimanere in carcere, contribuendo ad alimentare il sovraffollamento. La nostra legislazione, pur essendo all’avanguardia, incontra grosse difficoltà applicative. La legge sulla droga, infatti, prevede la sospensione della pena e l’affidamento terapeutico per i soggetti condannati fino a sei anni di reclusione (quattro per coloro che si sono resi responsabili di reati più gravi), i quali abbiano superato positivamente un programma di recupero, ovvero che ad esso intendano sottoporsi. Nelle carceri italiane la percentuale dei tossicodipendenti è di circa il 25 per cento”. La salma del detenuto, il cui decesso sarebbe avvenuto verso le 6.30 per arresto cardiaco, è stata trasferita all’Istituto di medicina legale, dove sarà eseguita l’autopsia. Lo ha fatto sapere Durante, aggiungendo che il detenuto era nato a Bologna ed era in carcere da settembre 2009. “Era stato condannato in via definitiva - ha precisato il segretario generale aggiunto del Sappe - e si trovava ancora al reparto giudiziario perché al penale non ci sono posti a causa del sovraffollamento. Infatti nel reparto penale, dove ci sono appunto i reclusi condannati con sentenza passata in giudicato, nell’ultimo periodo i detenuti sono passati da uno a due in ogni cella”. Andrea Defranceschi (Movimento 5 Stelle): Asl relazioni “A pochi giorni dalla nostra visita alla casa circondariale Dozza di Bologna, un altro detenuto ha perso la vita nel carcere più sovraffollato d’Italia”. È il Capogruppo in Regione del Movimento 5 Stelle Emilia-Romagna, Andrea Defranceschi, a lanciare l’ennesimo grido d’allarme sulle condizioni di salute degli ospiti forzati di via del Gomito. In occasione dell’ingresso in carcere, giovedì scorso, “esprimemmo forti perplessità sulla gestione della sanità in carcere, dopo l’effettivo passaggio di consegne della salute penitenziaria al Servizio sanitario nazionale”, ricorda Defranceschi. Ora, dice ancora il consigliere “il drammatico decesso nella sezione dei detenuti in attesa di giudizio pone una volta di più all’attenzione dell’amministrazione di viale Aldo Moro, competente per la situazione sanitaria delle carceri, la questione del sovraffollamento”. Il detenuto morto, tossicodipendente, “avrebbe infatti potuto godere dell’affidamento in comunità - sottolinea Defranceschi - Passaggio che non avviene, per gli oltre 300 detenuti in questa condizione, per mancanza di fondi”. Per questo, il Capogruppo in Regione del Movimento 5 Stelle chiede a viale Aldo Moro che “venga fissata un’audizione urgente con l’Ausl in Commissione Politiche per la salute, per conoscere la situazione sanitaria delle carceri di Bologna e di tutta l’Emilia-Romagna”. L’Aquila: delegazione dei Radicali visita supercarcere… sembra un cimitero per vivi Agi, 5 luglio 2010 Ieri al termine dei lavori del comitato nazionale dei radicali, svoltosi tra L’Aquila e Ovindoli, una delegazione composta da Marco Pannella, le onorevoli Rita Bernardini e Maria Antonietta Coscioni, l’on. Maurizio Turco, Giulio Petrilli responsabile provinciale Pd del dipartimento diritti e garanzie e Matteo Angioli del Comitato nazionale di radicali Italiani, ha visitato il carcere dell’Aquila, noto per essere il carcere con il maggior numero di detenuti in 41 bis in Italia, 103, dove ci sono - affermano i radicali in una nota - anche tre aree riservate, luoghi di detenzione ancora peggiori del 41 bis e l’unica sezione femminile sempre di 41 bis. La delegazione ha constatato il peggioramento delle condizioni di vita, dovute alle nuove norme restrittive del 41 bis, un’ora sola di aria al giorno, una sola ora di colloquio mensile con i parenti (vetro divisorio e citofono), non più possibilità di cucinarsi in cella. Le celle sono buie a causa delle cosiddette “gelosie” alle finestre, la luce elettrica accesa tutto il giorno. Praticamente il 41 bis è diventato l’istituzionalizzazione dell’isolamento totale. L’aria che si respira - proseguono i radicali - è quella del silenzio più totale, un cimitero per vivi. Da un lato abbiamo le carceri del sovraffollamento come Sulmona, simili all’inferno, dall’altro carceri come L’Aquila a 41 bis, carceri del silenzio, della tortura bianca che usa principalmente lo strumento del ricatto degli affetti, perché il 41 bis è oggettivamente questo, una soppressione delle garanzie e dei diritti delle persone recluse e dei loro familiari. Entrambi simbolo di una situazione nelle carceri drammatica, con attualmente oltre 68.000 detenuti a fronte di una capienza di 43.000 e senza provvedimenti legislativi adeguati ad intervenire per alleviare un minimo questa situazione, con l’estate che è arrivata e che accentuerà di più questa situazione. Oggi - ricordano i radicali - inizierà in aula a Montecitorio la discussione del “fu” ddl Alfano che nella sua forma originale sostenuta dai radicali, avrebbe consentito ad almeno diecimila condannati di scontare in detenzione domiciliare pene residue inferiori ad un anno, restituendo un minimo di legalità all’esecuzione della pena, oggi anticostituzionale e per di più totalmente inefficace ai fini del reinserimento sociale. Ieri al termine dei lavori del comitato nazionale dei radicali, svoltosi tra L’Aquila e Ovindoli, una delegazione composta da Marco Pannella, le onorevoli Rita Bernardini e Maria Antonietta Coscioni, l’on. Maurizio Turco, Giulio Petrilli responsabile provinciale Pd del dipartimento diritti e garanzie e Matteo Angioli del Comitato nazionale di radicali Italiani, ha visitato il carcere dell’Aquila, noto per essere il carcere con il maggior numero di detenuti in 41 bis in Italia, 103, dove ci sono - affermano i radicali in una nota - anche tre aree riservate, luoghi di detenzione ancora peggiori del 41 bis e l’unica sezione femminile sempre di 41 bis. La delegazione ha constatato il peggioramento delle condizioni di vita, dovute alle nuove norme restrittive del 41 bis, un’ora sola di aria al giorno, una sola ora di colloquio mensile con i parenti (vetro divisorio e citofono), non più possibilità di cucinarsi in cella. Le celle sono buie a causa delle cosiddette “gelosie” alle finestre, la luce elettrica accesa tutto il giorno. Praticamente il 41 bis è diventato l’istituzionalizzazione dell’isolamento totale. L’aria che si respira - proseguono i radicali - è quella del silenzio più totale, un cimitero per vivi. Da un lato abbiamo le carceri del sovraffollamento come Sulmona, simili all’inferno, dall’altro carceri come L’Aquila a 41 bis, carceri del silenzio, della tortura bianca che usa principalmente lo strumento del ricatto degli affetti, perché il 41 bis è oggettivamente questo, una soppressione delle garanzie e dei diritti delle persone recluse e dei loro familiari. Entrambi simbolo di una situazione nelle carceri drammatica, con attualmente oltre 68.000 detenuti a fronte di una capienza di 43.000 e senza provvedimenti legislativi adeguati ad intervenire per alleviare un minimo questa situazione, con l’estate che è arrivata e che accentuerà di più questa situazione. Oggi - ricordano i radicali - inizierà in aula a Montecitorio la discussione del “fu” ddl Alfano che nella sua forma originale sostenuta dai radicali, avrebbe consentito ad almeno diecimila condannati di scontare in detenzione domiciliare pene residue inferiori ad un anno, restituendo un minimo di legalità all’esecuzione della pena, oggi anticostituzionale e per di più totalmente inefficace ai fini del reinserimento sociale. Torino: delegazione del Pd visita la “cittadella giudiziaria” Adnkronos, 5 luglio 2010 Sovraffollamento delle carceri, lentezza dei processi civili e carenza di personale. Sono queste le tre emergenze per il responsabile giustizia del Pd, Andrea Orlando, che ha visitato oggi la cittadella giudiziaria di Torino, insieme alla deputata Anna Rossomando, membro della commissione giustizia della Camera. Torino, ha spiegato Orlando, “rappresenta la prima tappa di un viaggio attraverso le principali sedi giudiziarie italiane, che toccherà Caserta, Napoli, Milano e via via le altre, per verificare sul terreno le reali necessità della giustizia”. Mercoledì, ha annunciato, “convocheremo a Roma una conferenza stampa per presentare le nostre proposte sulla giustizia”. L’obiettivo, ha spiegato Rossomando, “è quello di spostare l’attenzione pubblica da legittimo impedimento e intercettazioni ai problemi reali della giustizia. Il vero danno provocato dal presidente del Consiglio - ha aggiunto - alla giustizia è quello di impedirci di parlarne, attirando l’attenzione sui problemi che riguardano solo lui”. La delegazione Pd ha incontrato i procuratori Giancarlo Caselli e Marcello Maddalena, il presidente della Corte d’appello, Mario Barbuto, e il presidente dell’ordine degli avvocati, Mario Napoli. “Il nostro giro - ha continuato Rossomando - è partito da qui per sottolineare cosa si può fare per far funzionare la giustizia. A Torino è in atto da tempo la cosiddetta targatura dei processi del civile, che è molto efficace e potrebbe essere estesa anche al resto d’Italia per fare emergere l’arretrato e trattarlo in tempi ragionevoli. Naturalmente poi anche a Torino - ha aggiunto - la carenza di risorse strutturali, in primo luogo di personale amministrativo, e di strutture materiali si fa sentire, in linea con la situazione nazionale generale”. Cagliari: Sdr; a Buoncammino convivenza “ad alto rischio” a causa del caldo Agi, 5 luglio 2010 “Sovraffollamento, inattività, turni perfino per camminare nell’ora d’aria, permessi spesso negati anche per la scarsità del numero di agenti di polizia penitenziaria e il caldo stanno mettendo a dura prova la convivenza nella casa circondariale di Buoncammino”. La denuncia è di Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che lancia l’allarme per “la difficile situazione venutasi a creare per le alte temperature registratesi nelle ultime 48 ore a Cagliari e in Sardegna”. “L’estate - sottolinea Caligaris - è uno dei periodi più difficili per i detenuti perché si abbassa il livello di tolleranza nella convivenza forzata. È anche la stagione in cui la ristrettezza degli spazi nelle celle sovraffollate rende ancor meno sopportabile l’inattività determinando delle vere e proprie crisi che spesso sfociano in episodi di autolesionismo o in aggressioni non solo verbali”. “La situazione diventa esplosiva - aggiunge la presidente di Sdr - laddove ci sono persone che hanno problemi di salute e disturbi psichici legati alle tossicodipendenze. In questi casi, nonostante la presenza del centro diagnostico terapeutico e dei medici, si possono verificare delle vere e proprie emergenze difficili da contenere. A Buocammino inoltre c’è un altissimo numero di detenuti anziani con problemi cardiovascolari e di arteriosclerosi, soggetti cioè particolarmente fragili e non sempre facilmente gestibili farmacologicamente per le complicanze correlate”. “L’unica strada, peraltro individuata anche dal ministro Angelino Alfano, consiste - conclude Caligaris - nella promozione delle misure alternative alla detenzione. Occorre quindi rafforzare e rendere più efficienti i tribunali di sorveglianza anche con una maggiore presenza di assistenti sociali. A Cagliari invece, per esempio, si è ridotto drasticamente il numero dei magistrati e l’operatività della struttura. Non bastano gli sforzi, pur apprezzabili, dei singoli responsabili. È necessario invece fare un investimento razionale per restituire dignità a chi lavora al servizio dei cittadini privati della libertà“. Pavia: la protesta dei detenuti di Torre del Gallo contro il sovraffollamento La Provincia Pavese, 5 luglio 2010 Un battere incessante di stoviglie contro le sbarre. È la protesta dei detenuti di Torre del Gallo contro il sovraffollamento del carcere: le condizioni all’interno delle celle, uno spazio di pochi metri quadrati dove da tre mesi è stata aggiunta una terza branda, sarebbero peggiorate in questi giorni di afa. La rivolta sonora, che è cominciata da tre giorni, va in scena cinque volte al giorno e ogni “concerto” dura mezz’ora. I reclusi tentano in questo modo di far conoscere anche all’esterno la loro situazione. Ai vertici della casa circondariale, invece, va la richiesta di condizioni di detenzione più dignitose. “La Cgil aveva segnalato il problema da tempo - dice il segretario provinciale Massimiliano Preti -. In tempi non sospetti avevamo previsto che con il caldo l’introduzione del terzo detenuto avrebbe fatto esplodere il disagio. Stiamo monitorando la situazione. Non si esclude che la protesta dei detenuti possa prendere anche altre forme nei prossimi giorni”. Il problema del sovraffollamento è documentato dai numeri. Torre del Gallo ha una capienza di 244 persone, ma ne ospita 450. Cifre che hanno obbligato i vertici ad aumentare il numero di detenuti per cella: oltre ai due letti, è stata inserita un’altra branda, che si apre alla sera e si chiude al mattino. Una restrizione degli spazi aggravata dal caldo insopportabile di questi giorni. Una boccata di ossigeno dovrebbe arrivare con l’ampliamento della struttura: entro il 2012 il carcere di Pavia raddoppierà, passando a una disponibilità di 550 posti. Le gru in via Vigentina sono al lavoro da qualche mese. “Ma anche questo intervento non è privo di conseguenze - spiega ancora Preti -. Il nuovo padiglione sorgerà sul campo da calcio, che fino a questo momento era stato una valvola di sfogo importante per i detenuti. Gli spazi di libertà vengono così ridotti, peggiorando ulteriormente le condizioni di vita delle persone”. Oltre che per i detenuti, la battaglia delle organizzazioni sindacali all’interno del carcere riguarda anche il personale di polizia penitenziaria, ridotto ai minimi termini: ci sono 190 agenti invece dei 215 previsti. Un numero considerato “gravemente insufficiente se paragonato alla popolazione carceraria”. In questo stato tenere sotto controllo le proteste, ad esempio, è un’impresa non facile. La Cgil-Funzione pubblica aveva chiesto, proprio su questo punto, un incontro con il provveditore agli istituti penitenziari della Lombardia. “Abbiamo ottenuto l’incontro - dice Preti. È fissato per il 7 luglio e ci saranno le organizzazioni regionali del comparto sicurezza. Valuteremo le proposte che usciranno”. Lavoro per gli ex reclusi: la Cooperativa fa 10 anni La cooperativa sociale “Il Convoglio”, che offre ai detenuti possibilità di lavoro e reinserimento, festeggia oggi 10 anni di attività. Per l’occasione il vescovo monsignor Giovanni Giudici celebrerà la Messa all’interno del carcere. “Il Convoglio” ha mosso i suoi primi passi grazie all’intuito dell’allora cappellano Don Stefano Penna e di Madre Carolina Magni. Lo scopo era rispondere all’esigenza di creare occupazione all’interno del carcere e favorire il reinserimento dei detenuti. Si concretizzò così l’idea di un “housing” in grado di accogliere detenuti ed ex detenuti privi dell’abitazione. La cooperativa è attiva oggi in città con la produzione del pane (sono impegnati tre detenuti) che viene distribuito in carcere. Alla sede di via Fossarmato, al numero 98, è presente anche un secondo forno per il pane, che viene commercializzato sia con un punto vendita in loco sia attraverso la fornitura a scuole, asili, mense aziendali e realtà pubbliche di Pavia. La cooperativa (che conta 6 dipendenti retribuiti, tutti ex detenuti, affiancati da un maestro di lavoro e dai volontaria) gestisce in stazione anche un servizio di deposito di biciclette, noleggio e piccole riparazioni Sanremo: sul carcere femminile interrogazione del Consigliere Pdl Alessio Saso Sanremo News, 5 luglio 2010 Il Consigliere Regionale Pdl Alessio Saso, sottoponendo la questione in Regione con una interrogazione, che ha inteso raccogliere la proposta del Sappe per l’apertura di una sezione detentiva femminile nel carcere di Sanremo, ha dichiarato: “Ho sottoposto la questione all’attenzione della Giunta Regionale affinché solleciti il Ministero, la proposta del Sappe mi sembra ragionevole e condivisibile, non solo può costituire una prima risposta di sicura efficacia al problema del sovraffollamento e della carenza di personale del sistema detentivo della nostra provincia, ma può portare anche delle ricadute positive sulle altre case circondariali della Liguria. Peraltro, nella casa circondariale di Sanremo c’è già la sezione detentiva per collaboratori che, con il cambio d’uso, potrebbe fin da subito essere adibita a sezione femminile. Più volte sono intervenuto nella passata legislatura sul problema del sovraffollamento dei nostri istituti di pena e sulla carenza di personale, spesso sottoposto ad orari massacranti per un lavoro, già di per sé particolarmente usurante, è una questione che riguarda tutto il territorio nazionale, con situazioni molto spesso “esplosive” che necessitano di interventi urgenti. Ci sono continue segnalazioni di insufficienza di personale, molto al di sotto delle reali necessità, con il rischio di compromissione delle condizioni di sicurezza, inoltre spesso si lamenta la carenza di strutture. In parte è verissimo, ma credo anche che, a volte, ed in alcune situazioni, il vero problema sia la mancanza di una razionalizzazione dell’esistente, che, specie in tempi di ristrettezze, occorre incentivare. La proposta del Sappe per l’apertura di una sezione femminile nel carcere di Sanremo ne costituisce un piccolo esempio e mi auguro che, con il sollecito della Regione, Roma risponda al più presto con un intervento risolutivo”. Sulmona: dal Papa ai detenuti l’augurio di trovare “i doni che Dio vi ha dato” Adnkronos, 5 luglio 2010 Si è concluso l’incontro tra il Papa e una delegazione del supercarcere di Sulmona guidata dal direttore dell’istituto Sergio Romice e composta dal cappellano della struttura, da una rappresentanza di agenti di polizia penitenziaria e da sei detenuti scelti dalla direzione del carcere tra quelli che già beneficiano di particolari permessi di uscita (articolo 21). L’incontro che si è svolto in forma strettamente privata ha avuto comunque vasta eco per l’attenzione che il pontefice ha voluto riservare a quanti lavorano in un ambiente difficile ed assolvono ad una funzione assai delicata. Rivolgendosi ai detenuti Benedetto XVI comunque ha rivolto l’augurio perchè possano tornare utili alla società “secondo le vostre capacità e i doni che Dio vi ha dato”. Poi il Pontefice si è spostato verso la cattedrale di San Panfilo dove incontrerà i giovani della diocesi per chiudere la sua lunga giornata a Sulmona e ripartire subito dopo in elicottero per Roma dal vicinissimo stadio Pallozzi, vicino alla cattedrale. Ascoli: detenuti a scuola d’informatica, consegna degli attestati ai 28 iscritti Corriere Adriatico, 5 luglio 2010 Sono terminati i corsi del centro territoriale di educazione per adulti alla scuola media Luciani. I corsi interessano diversi settori dell’educazione in età adulta: l’area dell’alfabetizzazione della lingua italiana per stranieri, l’area dell’approfondimento culturale sempre per stranieri, il corso per il conseguimento della terza media, per l’apprendimento delle lingue straniere, l’informatica ai diversi livelli, la storia dell’arte e tanti altri corsi svolti dalla scuola al suo interno e con collaborazione esterna di enti, associazioni ed altre entità sociali. Finale speciale del corso si è svolto al carcere di Marino del Tronto dove, a seguito di accordi tra scuola ed amministrazione carceraria, si è tenuto il secondo corso d’informatica. Pochi giorni fa c’è stata la consegna degli attestati ai detenuti della casa circondariale. La breve, semplice, cerimonia si è svolta in presenza della direttrice della casa circondariale Di Feliceantonio, la dirigente della scuola Luciani Latini, la professoressa Odoardi e Borzacchini che è stato per tutto l’anno l’insegnante d’informatica. Sono stati consegnati ben 28 attestati ad altrettanti frequentatori del corso, i quali, raccolti nella sala informatica della struttura di Marino del Tronto hanno avuto modo di intrattenersi con i docenti ed i dirigenti per riflettere sull’esperienza e proporre nuove iniziative per il prossimo anno, iniziative importanti come è stato sostenuto dai convenuti che daranno un grande contributo alla vita all’interno della casa circondariale ed a chi frequenterà l’attività migliorando i contenuti culturali e sociali di ciascuno. Dopo la consegna degli attestati, avvenuta in clima di grande familiarità, è seguito un momento di festa conviviale nel quale si è potuto approfondire la conoscenza. Una bella ed interessante esperienza svolta con grande serenità e collaborazione alla quale hanno partecipato non solo i dirigenti e docenti ma anche tutto il personale. Lecce: carcere sovraffollato, agente colto da malore per lo stress Asca, 5 luglio 2010 Il sindacato di polizia penitenziaria Osapp denuncia un nuovo caso di agente colto da malore e ricoverato per effetto di “stress da attività lavorativa nei reparti detentivi del supercarcere di Borgo San Nicola a Lecce”. Situazione grave. Per i sindacato è il “terzo caso in poco tempo”. “È sempre più grave, giorno dopo giorno - afferma in una nota il vicesegretario generale, Mimmo Mastrulli - la situazione nelle carceri pugliesi a quota 4.520 detenuti di cui solo a Lecce 1.400 utenti contro una forza di 600 persone”. “Ieri un appartenente al Corpo, per grave stress psico-fisico mentre si trovava in servizio nelle affollate sezioni detentive - afferma ancora -, è stato colto da malore e ricoverato d’urgenza presso i neurologia all’ospedale Vito Fazzi di Lecce”. Il caso Lecce. Il senatore Alberto Maritati ha presentato una interrogazione al ministro della giustizia sul grave affollamento del penitenziario leccese, sui gravi disagi e condizioni inumane nella vita quotidiana all’interno della struttura sia per le persone ristrette che per il personale della Polizia Penitenziaria”. “Sarà difficile per il Ministro della Giustizia - afferma Mastrulli - poter spiegare ai membri del Parlamento la difficile situazione penitenziaria pugliese tra le tredici Regioni a rischio, così come della grave carenza di polizia penitenziaria che solo a Lecce si può definire pari a 300 unità rispetto all’utenza detentiva da vigilare e nei Nuclei Traduzioni e Scorte”. Quindi Mastrulli chiede di interrompere “i privilegi con l’utilizzo di circa 100 unità di personale di polizia destinato in ambito della regione nei Tribunali, nelle Procure per le scorte a magistrati e politici o uffici esecuzione penale esterna, serve l’aiuto di tutti e per tutti se vogliamo insieme quantomeno bloccare l’emorragia dei disagi a discapito dei poliziotti e delle Istituzioni”. Udine: dibattito al Rototom Free “Carceri e inferni: il sistema penitenziario italiano” di Ivan Vadori Affari Italiani, 5 luglio 2010 La drammatica scomparsa di Stefano Cucchi, ha riacceso la polemica sulla gestione delle carceri italiane. Le case circondariali si dipingono come luoghi infernali e non certo di recupero sociale. Questo Paese ha dunque smarrito il senso di Diritto? Sono sempre i soggetti più deboli a scontare la pena detentiva, il tasso di suicidi in carcere è in continuo aumento. Affari ha voluto rendere omaggio al Rototom Free di Udine -con la presenza del direttore Angelo Maria Perrino - che ha moderato l’incontro dedicato all’approfondimento sulla sconvolgente vicenda della famiglia Cucchi. Sono intervenuti al dibattito: Ilaria Cucchi (sorella di Stefano), l’Avv. Guido Calvi (difensore di Filippo Giunta, Presidente del Rototom Sunsplash - iscritto nel registro degli indagati per agevolazione all’uso di sostanze stupefacenti), Franco Corleone (garante dei diritti dei carcerati di Firenze) , Furio Honsell (Sindaco di Udine), Don Gallo (sacerdote e fondatore della comunità di San Benedetto al Porto di Genova). Ad aprire la conferenza ci pensa Honsell. Il primo cittadino udinese esamina in dettaglio i progetti, di cui si è fatta carico la sua amministrazione, per quanto concerne la casa circondariale di Udine. “Il nostro carcere è dichiarato idoneo ad ospitare 100 detenuti, attualmente ne contiene 240. Metà di essi sono stranieri, di cui l’8% di origine Rom. Se andiamo ad cercare le cause della loro detenzione notiamo che un terzo è in prigione per reati legati a stupefacenti e un 10% legati all’alcool.” Che cosa poter fare e cosa si è fatto per questi soggetti, il sindaco Honsell se lo chiede. Se la quasi totalità di essi è stata almeno due volte in prigione, i carcerati udinesi hanno passato più della metà della loro vita tra le sbarre. Il dato che spaventa è la reiterazione dei reati commessi che evidenzia una chiara recidività dei reclusi. L’amministrazione udinese sta sostenendo due grandi progetti: “Librarsi” e “Lacio Drom”. Un investimento di 100.000 € l’anno per le finanze comunali, al fine di contrastare questo fenomeno. Il sindaco Honsell ha aperto una tavola rotonda con Caritas e la direzione del carcere per favorire l’inclusione sociale che viene a mancare in tale struttura. Inoltre nella casa circondariale è stato mantenuto il garante dei diritti dei minori. Contrastando il volere del governo regionale, di sottrarlo da tale incarico. Seguendo il possibile percorso sociale nelle carceri, intrapreso dal sindaco udinese, interviene Franco Corleone; già Sottosegretario alla Giustizia nel primo governo Prodi. “Il carcere è il luogo delle persone più fragili. Questa struttura è diventata luogo della giustizia di classe, dove vi è la detenzione etnica. In prigione ci devono andare i soggetti che abbiano compiuto gravi reati contro la persona, ambiente, animali, economia. Oltre all’alto tasso di suicidi, il dato spaventoso riguarda l’autolesionismo. Di notte nelle prigioni italiane scorre molto sangue. I detenuti per essere ascoltati usano le lamette sul proprio corpo. Sono persone che non hanno la capacità di ribellarsi, subiscono tutto. Non hanno neppure la capacità della parola. Ogni giorno viene violato l’Art. 27 della Costituzione”. Corleone parla di inscatolamento dei corpi quando descrive lo stato di detenzione dei carcerati italiani. Ci sono attualmente 68.000 detenuti in Italia, il Ministro Alfano vuole costruire nuove strutture per ospitarne 80.000. Queste cifre, Corleone le definisce inaccettabili per un Paese democratico: “il carcere deve essere un luogo dentro la città, non fuori. Bisogna recuperare l’umanità di questi soggetti. I tossicodipendenti non devono entrare in carcere, ma devono essere assegnati ad un affidamento terapeutico. Facendo così non avremo più il 30% dei detenuti e potremmo contrastare il sovraffollamento. Sul personale ci si riferisce sempre alla polizia penitenziaria, ma mancano gli educatori, assistenti, psicologi. Tutte le persone che possano preparare all’uscita i detenuti. Dobbiamo lanciare un progetto di autogestione pubblica e collettiva. In Spagna nelle carceri non c’è un corpo di polizia, gli agenti vengono impiegati solo per le rivolte. Dovremmo imparare dal paese iberico per servirci delle forze dell’ordine solo per il 41 bis, i trasferimenti,le emergenze. È necessario un corpo civile all’interno delle case circondariali per il reinserimento sociale”. Discutendo della trattazione dei detenuti le parole di Ilaria Cucchi commuovono la platea: “Come famiglia abbiamo avuto il coraggio di mostrare le foto di mio fratello, non avremmo mai voluto compiere questo gesto. Ci è stato consigliato dal nostro Avv. Anselmo per rompere il muro di omertà e silenzi, per scuotere l’opinione pubblica. Si sono mossi i media nazionali, se siamo ad un passo dalla verità è grazie a quelle foto. Oggi si parla molto della questione sulle intercettazioni, senza di esse non avremmo mai avuto i 13 soggetti nel registro degli indagati. Su di loro pesano accuse per lesioni, abbandono di incapaci, violenza. Uno di loro mentre parla di mio fratello lo indica come “tossico di merda”. Esigo giustizia per Stefano. Voglio che nessuna famiglia possa subire l’oltraggio che stiamo vivendo noi ora. È impossibile che mio fratello sia morto per una caduta dalle scale, come vogliono farci credere. Nella nostra vicenda l’operato dei mezzi di informazione è stato fondamentale, ora attendiamo la prima udienza del processo che sarà il 15 luglio”. Per quanto riguarda processi e giustizia il Rototom ne è direttamente coinvolto poiché la decisione di emigrare in Spagna deriva dall’inchiesta processuale sul Presidente Filippo Giunta, indagato per favoreggiamento al traffico di stupefacenti. L’Avv. Guido Calvi con la massima tranquillità e pacatezza delucida al numeroso pubblico l’istruttoria del fascicolo Giunta: “Non esiste alcun processo, se non formalmente. Esso è privo di qualsiasi consistenza processuale. Non vedo l’ora di presentarmi in un’aula di tribunale per dibattere. Sono convinto di riuscirne indenne e vincere. È stata fatta questa opera di repressione verso il festival del Rototom. Un popolo di pacifisti etichettato come un pericoloso manipolo di sovversivi. In Italia non tutti i cittadini sono eguali alla legge, è risaputo che chi utilizza i mezzi di informazione per i propri comizi è come se non riconoscesse l’autorità della magistratura. Basta leggere sui giornali come il consigliere romano Zaccai (Pdl), ha reagito all’intervento della polizia. Dopo averlo trovato in stato comatoso al droga party è stato rincasato dalle forze dell’ordine. Voi sarete finiti dritti in questura. Sbaglia il Ministro Giovanardi nel sostenere che l’uso di stupefacenti è calato per la crisi economica, è risaputo che la cocaina è passata dai 200€ al grammo a soli 80€. La lotta ai trafficanti la si fa con gli organi competenti. Una manifestazione per la pace, quale è il Rototom, non deve essere scambiata come un’associazione a delinquere. È l’ ndrangheta che deve essere colpita se si vuole fare la guerra al traffico di droga. Non il Rototom. L’Italia è ancora un Paese che è uno Stato di Diritto, lo vogliono trasformare in uno Stato di Polizia come era negli anni ‘50. Un Paese repressivo verso tutti, garantista per sé. Lo diceva Cesare Beccaria “il carcere non è una controspinta, alla spinta dei reati”. I nostri costituenti Moro, Togliatti, Gonnella hanno sempre identificato il carcere come un luogo di rieducazione. Questo non lo stanno facendo i nostri Ministri Scajola, Alfano, Giovanardi, Brancher. In chiusura dell’acceso dibattito, giunge - in collegamento telefonico - il saluto di Don Gallo. “Vorrei essere lì con voi, ma la vecchiaia che avanza me lo impedisce. Vi abbraccio uno per uno, il Rototom ha tutta la mia solidarietà. Bisogna liberarsi dalla necessità del carcere. Bisogna riformarne l’utilizzo, anziché emendare amnistie, indulti e salvacondotti giudiziari per gli uomini politici di potere e soggetti a cui è stato riconosciuto una collaborazione mafiosa. Bisogna osare la speranza di un mondo migliore,d’ ascolto, di dialogo,di coesione sociale. Vi dedico la strofa della “Canzone del Maggio” di De Andrè poiché vi possa incoraggiare a non mollare le vostre battaglie per la libertà e per una giustizia unanime: e se credente ora che tutto sia come prima perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina,convinti di allontanare la paura di cambiare verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”. India: Tommaso ed Elisabetta, storie di italiani detenuti all’estero…non lasciamoli soli di Susanna Marietti www.linkontro.info, 5 luglio 2010 I prigionieri italiani all’estero sono dimenticati dalla stampa italiana e spesso, dopo una prima fase di attenzione, dalle istituzioni. Tommaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni furono arrestati in India lo scorso 7 febbraio con l’accusa di omicidio nei confronti di Francesco Montis. Sono detenuti nel carcere di Varanasi in attesa di giudizio. Ad Alberga sono convinti della loro innocenza e per loro hanno organizzato la serata “Alziamo la voce - Uniti per Tommaso ed Elisabetta”. All’udienza non si sono presentati i testimoni dell’accusa. Il giudice ha fissato il nuovo dibattimento alla data ravvicinata del 6 luglio. Il ministro degli esteri Frattini afferma che il nostro ambasciatore a New Delhi ha chiesto ed ottenuto di essere immediatamente ricevuto, nella stessa giornata dell’altro ieri, dal ministro della Giustizia indiano Moily, al quale ha espresso tutta la preoccupazione con cui, in Italia, si segue questo processo. Gli addetti consolari dell’ambasciata italiana pare abbiano più volte visitato Bruno ed Elisabetta presso il carcere dove sono reclusi. I genitori dei ragazzi arrestati si dedicano solo a dimostrare la innocenza dei loro figli. I poliziotti indiani hanno costruito una ipotesi accusatoria di delitto passionale. Noi seguiremo questa vicenda. Aldilà della innocenza o della colpevolezza c’è la necessità di non lasciarli soli, comunque. Ai detenuti all’estero è dedicato il sito www.prigionieridelsilenzio.it. Libia: profughi eritrei, in sms un disperato appello da carcere Ansa, 5 luglio 2010 Disperato appello di 250 profughi eritrei e somali detenuti nelle carceri di Saba e Brak: qui stiamo morendo, tra torture e malattie infettive, hanno fatto sapere attraverso un Sms con il quale ancora riescono a comunicare con alcune organizzazioni umanitarie in loco. “Cominciamo ad essere colpiti da malattie infettive, la tortura - si legge nel Sms - è praticata e il peggio è che siamo chiusi in celle sotterranee dove la temperatura è oltre i 40 gradi. Stiamo soffrendo e morendo. Stiamo perdendo le speranze. Qui moriremo nel deserto. E a casa ci aspetta la tortura o la morte”. I profughi chiedono di far sapere al mondo la loro condizione e di informare le organizzazioni internazionali. Il messaggio è riuscito ad uscire dalle celle del centro di detenzione di Braq, 80 chilometri da Seba, nel Sud della Libia, dove dal 30 giugno scorso si trovano circa 250 eritrei deportati dal centro di detenzione per migranti di Misurata. Il gruppo era stato deportato su tre camion container come punizione a seguito di una rivolta scoppiata il giorno prima fra i detenuti che non hanno voluto dare le proprie generalità a diplomatici del loro Paese per paura di essere soggetti a un rimpatrio forzato. A gestire le sorti dei circa 250 eritrei nel Centro di detenzione di Braq, che dipende da quello di Seba, secondo quanto riferiscono fonti non governative locali, sono in questo momento i militari e non il normale circuito della polizia penitenziaria. Mentre nel carcere l’emergenza umanitaria si fa sempre più pressante sono in corso a Tripoli ‘incontri fra diplomatici eritrei e ufficiali governativi libici, riferiscono fonti dell’Iom (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) di Tripoli, “per arrivare a una soluzione che permetta ai reclusi di lasciare al più presto il carcere di Braq”.