Giustizia: le nostre carceri costano 2,5 miliardi di € ogni anno… e non rieducano nessuno di Dimitri Buffa L’Opinione, 30 luglio 2010 La vendetta sociale e l’indifferenza alla vita dei carcerati ci costa 2 miliardi e mezzo di euro l’anno come media degli ultimi dieci. Insomma come tutte le discariche abusive anche quella della società del perbenismo e dell’ipocrisia ha un costo ambientale elevatissimo. Oltre ad essere criminale e crimonogena di per sé. Una ricerca del Centro Studi di Ristretti Orizzonti ha realizzato recentemente dei calcoli in base ai dati forniti dalla Ragioneria Generale dello Stato, dalla Corte dei Conti e dal Ministero della Giustizia. Ebbene, non rieducare la gente o comportarsi di fatto come quell’onorevole leghista che, quando interviene in aula alla Camera Rita Bernardini dei radicali italiani per snocciolare le macabre statistiche dei suicidi, si lascia sfuggire frasi come “un delinquente di meno”, sta diventando uno spreco economico che specie di questi tempi non possiamo più permetterci. Dal 2000 ad oggi il costo medio annuo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è stato di 2 miliardi e mezzo di euro. Come un ministero di non piccole proporzioni. Nel 2008 la spesa, pari a quasi 3 miliardi , ha segnato il massimo storico. Nel 2010, per effetto dei tagli imposti dalle finanziarie del 2008 e del 2009, e della sottrazione di 80 milioni , relativi all’assistenza sanitaria dei detenuti divenuta di competenza del ministero della Salute, la spesa è scesa al minimo storico, con 2 miliardi e 204 milioni di euro. Che comunque è sempre troppo visti i risultati. Più dell’80% dei costi sono relativi al personale (polizia penitenziaria, amministrativi, dirigenti, educatori), il 13% al mantenimento dei detenuti (corredo, vitto, cure sanitarie, istruzione, assistenza sociale), il 4% è stato speso per la manutenzione delle carceri e il 3% per il loro funzionamento (energia elettrica, acqua). A quanto ammonta quindi il costo medio giornaliero di ogni detenuto? Dal 2000 ad oggi è stato di 138 euro. Il costo giornaliero di ogni singolo detenuto è determinato da due elementi: la somma a disposizione dell’amministrazione penitenziaria e il numero medio dei detenuti presenti in un dato anno. Dal 2007 ad oggi i detenuti sono aumentati del 50% e le risorse del Dap sono diminuite del 25%, quindi più persone ci sono in carcere e teoricamente, e apparentemente, meno costerà il “mantenimento” di ciascuno di loro. Ma si tratta in questo ultimo caso delle statistiche alla Totò: “io mangio un pollo, tu niente, quindi ne mangiamo mezzo a testa”. Negli ultimi 30 mesi i detenuti sono aumentati di quasi 30 mila unità: dai 39.005 dell’1 gennaio 2007 ai 68.258 del 30 giugno 2010, ma la spesa media giornaliera procapite è scesa a 113 euro (nel 2007 era di 198,4 euro, nel 2008 di 152,1 euro e nel 2009 di 121,3 euro). Vediamo ora come si scompongono questi attuali 113 euro: 95,34 (pari all’85% del totale) servono per pagare il personale; 7,36 (6% del totale) sono spesi per il cibo, l’igiene, l’assistenza e l’istruzione dei detenuti; 5,60 (5% del totale) per la manutenzione delle carceri; 4,74 (4% del totale) per il funzionamento delle carceri elettricità, acqua). Escludendo i costi per il personale penitenziario e per l’assistenza sanitaria, che è diventata di competenza del ministero della Salute, nel 2010 la spesa complessiva per il “mantenimento” dei detenuti è risultata pari a 321 milioni e 691 e 037 euro: quindi ogni detenuto ha avuto a disposizione beni e servizi per un ammontare di 13 euro al giorno. Tra le “voci di spesa” i pasti rappresentano la maggiore (3,95 euro al giorno), seguita dai costi di funzionamento delle carceri (acqua, luce, energia elettrica, gas e telefoni, pulizia locali, riscaldamento), pari a 3,6 euro al giorno, e dalle “mercedi dei lavoranti” (cioè i compensi per i detenuti addetti alle pulizie, alle cucine, alla manutenzione ordinaria), che concorrono per 2,24 euro al giorno. Il fabbisogno stimato per il funzionamento dei cosiddetti “servizi domestici” sarebbe di 85 milioni e l’anno, ma per il 2010 ne sono stati stanziati soltanto 54: i pochi detenuti che lavorano si sono visti ridurre gli orari e, di conseguenza, nelle carceri domina la sporcizia e l’incuria. Per quanto riguarda la “rieducazione” la spesa è a livelli irrisori: nel “trattamento della personalità ed assistenza psicologica” vengono investiti 8 centesimi al giorno. Appena maggiore il costo sostenuto per le “attività scolastiche, culturali, ricreative, sportive”, pari a 11 centesimi al giorno per ogni detenuto. Ciò premesso, la ricaduta sociale di questi sprechi è calcolabile nel doppio di questi 2 e miliardi e mezzo annui spesi per tenere questa gente in queste condizioni. Il carcere così concepito è un ente inutile. Il surplus di spesa è quello dei danni provocati da una recidiva che per chi non usufruisce di misure alternative è pari al 68% laddove per chi, fortunato, invece ne usufruisca si ferma ben prima del 20% (confronta lo studio dell’onorevole Luigi Manconi). Insomma la cosa è semplice: se invece di essere forcaioli alla Di Pietro o qualunquisti-menefreghisti come molti all’interno della Lega Nord, fossimo un paese civile come quelli europei, specie del Nord Europa, dove la filosofia carceraria è che “dentro ci stanno solo quelli pericolosi” (mettiamo i condannati definitivi del 41 bis per mafia, gli omicidi, i grandi trafficanti di droga e armi e i politici corrotti di un certo livello) e che tutti gli altri invece possono, anzi devono, essere affidati al lavoro esterno, ai servizi sociali o al limite, come i tossicodipendenti, a comunità di recupero dove imparare un lavoro e con parte del guadagno risarcire eventualmente le vittime del reato, si potrebbe risparmiare da subito oltre un miliardo di euro l’anno. E si potrebbe creare un circolo virtuoso in cui, invece che costruire inutili nuove carceri che poi non si aprono fondamentalmente per mancanza di personale e di soldi per pagarlo, senza parlare degli scandali che stanno dietro a questi lavori (“carceri d’oro” docet), sarebbe possibile “ricostruire” cinque o diecimila nuovi individui sociali l’anno. Un recupero che conviene alla società. Visto che il paragone con la “monnezza” va forte si potrebbe dire che è meglio un recupero differenziato dei detenuti che ammassarli tutti nelle stesse discariche. Così come si è capito ormai da tempo che la raccolta differenziata dei rifiuti è meglio delle discariche della camorra. Giustizia: con 4 anni di amnistia e indulto la popolazione carceraria verrebbe dimezzata di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 30 luglio 2010 Quattro anni di indulto e quattro di amnistia che valgono complessivamente ben più del dimezzamento della popolazione carceraria nonché l’azzeramento delle pendenze processuali nei tribunali. L’estate sta finendo ed è arrivata la proposta di amnistia. A presentarla il senatore del Pdl Luigi Compagna. I cofirmatari della proposta sono tutti di centrosinistra, tra cui Franca Chiaromonte del Pd e Emma Bonino dei radicali. Non è facile che il disegno di legge trovi spazio nell’agenda parlamentare. Esso però rende possibile l’avvio della discussione pubblica sulla necessità di un provvedimento di clemenza. I contenuti sono ben più ampi rispetto a quelli presenti nella legge sull’indulto del luglio 2006. In primo luogo la proposta comprende anche l’amnistia, in secondo luogo l’indulto sarebbe di quattro anziché di tre anni come invece era ai tempi del Guardasigilli Clemente Mastella. Nel 1992, con legge costituzionale, fu elevato il quorum necessario per approvare una legge di clemenza. Da allora il Parlamento non ha mai varato un provvedimento di amnistia. L’ultimo in ordine cronologico risale a vent’anni fa. Nel disegno di legge Compagna vi è un lungo elenco di reati estinguibili. L’amnistia non si applicherebbe invece, tra gli altri, ai seguenti reati: delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, peculato, corruzione, evasione, delitti colposi contro la salute pubblica, omicidio colposo e lesioni personali colpose limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro, corruzione di minorenne, usura. I contenuti della proposta ricalcano sostanzialmente quelli della legge n. 73 del 1990. L’esclusione di taluni reati finanziari toglie spazio alle critiche provenienti da chi a sinistra potrebbe paventare il classico colpo di spugna per i crimini dei colletti bianchi. L’amnistia che si andrebbe a concedere non sarebbe una amnistia condizionata: essa non verrebbe revocata nel caso di nuovo reato commesso negli anni successivi alla concessione del provvedimento. Si legge testualmente nella relazione introduttiva del disegno di legge che: “non si concorda con le varie ipotesi di amnistia condizionata avanzate in passato; il controllo sulla buona condotta dell’amnistiato sarebbe incombenza non meno gravosa per gli uffici competenti, che andrebbero anche individuati e forniti delle risorse economiche necessarie; l’amnistia condizionata in sé si presta, poi, all’obiezione che essa mantiene in vita (in certi casi anche dopo il termine di prescrizione del reato) procedimenti che si accumulano negli uffici giudiziari per un altro quinquennio”. Per la parte relativa all’indulto, nel disegno di legge vengono condonati sino a quattro anni di pena, che diverrebbero cinque nel caso di persone affette da determinate patologie gravissime (aids, tumori ed epatiti). Sono esclusi coloro che si sono macchiati di delitti gravissimi, come strage, associazione di tipo mafioso, sequestro di persona, usura. L’indulto, a differenza dell’amnistia, verrebbe revocato se chi ne ha usufruito dovesse commettere, entro cinque anni, un delitto non colposo per il quale riporti condanna a pena detentiva non inferiore a due anni. Infine nei confronti dello straniero si prevede che all’indulto si accompagni l’espulsione. È quasi impossibile che si trovi in Parlamento l’accordo necessario per approvare la legge di clemenza. Nel frattempo i detenuti hanno superato la soglia delle 68 mila unità mentre i posti letto regolamentari sono 43 mila circa. Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, in una lettera rivolta al personale, ha però affermato che l’emergenza è frutto di eccessive campagne mediatiche. Giustizia: celle sovraffollate, temperature insopportabili, condizioni igieniche allarmanti di Roberto Zichittella Famiglia Cristiana, 30 luglio 2010 E un’estate calda per tutti, ma caldissima per i carcerati. Che sono tanti, troppi, quasi sempre costretti a vivere in condizioni indegne. “Siamo al collasso”, denuncia Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto. “La situazione delle carceri italiane”, aggiunge, “è intollerabile ed esige subito interventi e capacità di mobilitazione”. La denuncia parte da un dato: oggi le carceri italiane ospitano una popolazione di oltre 68 mila detenuti. Una cifra ben superiore alla capienza prevista dalle strutture carcerarie presenti sul nostro territorio. Il sovraffollamento delle prigioni è un fenomeno diffuso da Nord a Sud, nelle grandi città, così come in provincia, nelle carceri grandi e in quelle piccole. Nelle settimane fra il 21 giugno e il 2 luglio una delegazione di A buon diritto e di Antigone, accompagnata da rappresentanti istituzionali, ha visitato alcuni degli istituti penitenziari più affollati d’Italia. La delegazione ha cominciato il suo giro a Pistoia e lo ha concluso a Trieste. Il rapporto finale è una galleria degli orrori, un viaggio allucinante fra diritti negati e condizioni al limite del tollerabile. A Pistoia, per citare qualche esempio, ci sono 140 detenuti invece dei 74 previsti. Le celle di sei metri quadrati ospitano tre detenuti, quelle di 18 metri quadri ne accolgono sei. A Sulmona, carcere tristemente noto per i diversi suicidi avvenuti ai suo interno, ci sono 444 detenuti per una capienza prevista di soli 270. “Le condizioni igieniche e di manutenzione”, si legge nel rapporto, “sono pessime, e si attende la ristrutturazione di quel- le del reparto visitato”. Nel carcere Capanne di Perugia (569 detenuti al posto dei 352 previsti) ci sono carenze e scarsa igiene nelle docce. Nella Casa circondariale di Como (529 detenuti per una capienza che ne prevede 421) “i muri dei vani docce subiscono pesanti infiltrazioni d’acqua, sulle pareti erano presenti strati di muffa e muschio, alcune manopole per la regolazione della temperatura erano staccate”. Anche il carcere fiorentino di Sollicciano (989 detenuti) “versa in pessime condizioni igieniche e di manutenzione”. Questi problemi si acuiscono nelle grandi strutture penitenziarie come San Vittore a Milano, Regina Coeli a Roma e Poggioreale a Napoli. Dovunque si sono riscontrati sovraffollamento, scarsa igiene, docce insufficienti o mal funzionanti, temperature altissime (a Poggioreale i detenuti coprono le finestre con asciugamani bagnati). La delegazione non ha visitato il carcere di Viterbo, ma Sara Bauli, che frequenta regolarmente la prigione come volontaria di Arci solidarietà, spiega: “Nell’istituto viterbese, pensato per contenere circa 300 persone, sono oggi detenute 680 persone. Le celle, molto piccole e progettate come singole, sono di fatto occupate da due detenuti. Alle carenze strutturali e al sovraffollamento si aggiunge urta costante insufficienza dei personale di custodia e degli operatori dell’area educativa. La conseguenza più immediata è che le attività formative e di socializzazione previste e necessarie per l’inserimento dei detenuti sono del tutto insufficienti e soffrono di forti difficoltà organizzative. Un’ulteriore criticità è legata al ruolo che informalmente riveste il carcere di Viterbo: è un cosiddetto “carcere punitivo”, dove vengono trasferiti i detenuti che hanno ricevuto un rapporto disciplinare in altri istituti o rappresentano soggetti a rischio”. Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo della Polizia penitenziaria, sottolinea i rischi per la sicurezza: “All’interno delle carceri fa più caldo che fuori. Un disagio che alimenta le tensioni fra i detenuti, già alle prese con il problema del sovraffollamento. Qualsiasi screzio, pure un banalissimo scontro verbale, con questo caldo può degenerare”. La gestione degli incidenti è ulteriormente complicata, osserva ancora il sindacalista, dalia cronica carenza di agenti di custodia presenti nella prigioni. Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, parla di “paradosso giudiziario”: “Quello per cui”, spiega, “il luogo del controllo delle persone che hanno compiuto atti illegali diventa il luogo dell’illegalità. Perciò chiediamo che nelle carceri ci siano ispezioni delle Asl come quelle che i Nas fanno nei ristoranti”. La situazione è ancora più grave negli ospedali psichiatrici giudiziari, visitati in queste settimane dal senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare sul Servizio sanitario nazionale. “Abbiamo visto”, racconta, “nove detenuti nella stessa cella che per rinfrescare l’acqua tenevano le bottiglie di plastica immerse nel bagno alla turca”. “In questo contesto”, aggiunge Luigi Manconi, “oggi nelle carceri italiane più che un’esplosione si verifica una implosione, cioè un autolesionismo sempre più diffuso, con punte di suicidi tentati o portati a termine mai sfiorate in passato”. Non si esclude che l’indagine presentata possa dare vita, in autunno, alla nascita di una Commissione parlamentare d’inchiesta. Il Cappellano di San Vittore: troppa gente in galera… è un gioco politico Salesiano, per trent’anni (1978-2008) cappellano nel carcere di San Vittore a Milano, don Luigi Melesi accoglie con perplessità gli ultimi allarmi sulla crisi del sistema carcerario. “E non perché la crisi non sia reale”, dice, “ma perché è di cosi lunga data che non ha senso definirla, oggi, “emergenza”. Un esempio: San Vittore era già sovraffollato quando ci entrai io, a fine anni Settanta. In più, non si riesce a capire perché ci siano carceri che scoppiano e altre semivuote, carceri dove ci sono tante guardie e pochi detenuti e altre dove ci sono tanti detenuti e poche guardie. C’è un problema organizzativo. Ma la questione più importante è che in Italia tutte le persone che vengono arrestate finiscono in carcere. E sono tante: stando all’Istat, in certi anni si è arrivati al 50 per cento di detenuti che, al processo, sono poi stati giudicati innocenti. Pare impossibile, da noi, avere ciò che altri Paesi, per esempio la Svizzera, hanno da molto tempo: un pre-carcere, riservato a coloro che attendono di essere giudicati. E quindi distinguere tra coloro che sono sospettati di aver commesso un reato e coloro dei quali si sa che l’hanno davvero commesso. Se c’è un’emergenza, in Italia, è questa: troppa gente finisce dietro le sbarre”. E secondo lei perché questo succede? “È un gioco politico. Sa che il numero delle guardie è legato a quello dei detenuti? Più detenuti, più guardie, più posti di lavoro. Sa che per le forze dell’ordine vale il numero delle persone portate in carcere e non quello degli arresti convalidati dal magistrato?”. Giustizia: la Commissione Marino visita gli Opg, perfino il Pdl si scandalizza di Checchino Antonini Liberazione, 30 luglio 2010 Da quando c’è la legge Basaglia si chiamano ospedali psichiatrici giudiziari ma sono sempre gli stessi manicomi criminali di una volta. Sono sei, ci sono rinchiusi in 1.500 e il 40% di loro non ci dovrebbe stare ma, finita la pena, gli viene prorogato il soggiorno. All’infinito. Spesso senza un processo. Le famiglie non ci sono o li rifiutano e i territori non li accolgono. Così vivono in nove in una cella, lenzuola luride come i bagni, l’acqua tenuta in fresco nella tazza del cesso, legati se sgarrano, con lo psichiatra a disposizione per meno di un’ora al mese. Almeno tre strutture (Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa e Montelupo Fiorentino) andrebbero chiuse subito. Dice il senatore Pd Ignazio Marino: “È la logica del codice Rocco, ereditato dai tempi del fascismo”. E ora che gli eredi di Rocco stanno al governo stanno per mettere mano alla 180 che aveva abolito i manicomi. Forse è anche per arginare quest’attacco che la commissione d’inchiesta del Senato sul servizio sanitario nazionale, di cui Marino è presidente, ha voluto presentare ieri alla stampa, prima che all’Aula, i dati di una serie di ispezioni a sorpresa, svolte tra giugno e luglio, tra gli Opg. È così uno schifo che perfino il capogruppo in commissione del Pdl (il partito che vuole riaprire i manicomi) era sinceramente sconcertato. Ha trovato perfino i camici degli addetti ai lavori dello stesso grigiume delle lenzuola. La cella dell’unica trans rinchiusa non si apre nemmeno per l’ora d’aria. Liberazione pubblica on line una galleria fotografica ma i commissari hanno spiegato che per quanto orribili non rendono il quadro. Ecco il taccuino di viaggio della delegazione di senatori e carabinieri dei Nas: a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) 329 degenti stipati in celle costruite nel 1914. Non ci sono psicologi e psichiatri né qualsiasi attività educativa. Ovunque sporcizia, muffe, intonaci scrostati, porte rotte, vetri incrinati, ruggine, pavimenti rotti, esalazioni di urina. Un paziente era nudo e legato al letto con le garze. Aveva un ematoma sulla testa ma il diario clinico non faceva menzione del trattamento. Ad Aversa (Caserta), costruita nel 1898, si vive in 320 in celle da sei tutte in condizioni “disumane”. Gli infermieri si cambiano nella tromba delle scale ma due padiglioni ristrutturati restano inutilizzati. I farmaci stupefacenti somministrati sono registrati una volta l’anno. I Nas hanno preso nota e hanno denunciato tutto alla procure ma sono le stesse procure che condannano molti pazienti a una sorta di “ergastolo bianco”. Ecco Secondigliano, dove l’Opg è dentro il carcere: il 40% dei rinchiusi è in deroga. Qui sta da 25 anni un paziente che doveva scontare due anni. Un altro da tre anni attende il trasferimento in comunità. Ustioni e occhi neri mai annotati nei diari clinici. Oppure piedi e mani che vanno inesorabilmente in cancrena. A Montelupo Fiorentino sono in 170 in uno stabile degradatissimo. A Reggio Emilia stanno in 274 dove ne dovrebbero stare 132. In un piano tre docce dovrebbero lavare 58 pazienti. Uno di loro era legato da cinque giorni per motivi disciplinari in una stanza dove non c’è nemmeno un campanello d’allarme. Ci sono spazi vuoti ma la gente sta in tre in 9 metri quadri. Un po’ meglio solo a Castiglione delle Stiviere dove anche il personale è sembrato più motivato. Anche nelle carceri “normali” ci sono internati - e sono 1.800, secondo fonti del partito radicale - che, scontata la pena, restano dentro per una presunta pericolosità sociale. In attesa di modifiche al codice penale e di superare il sistema degli ospedali giudiziari, la commissione attende nel giro di pochi giorni le liste di pazienti dimissibili (il 40%) da ciascun Opg ed entro agosto “spera” di trovare soluzioni con le Asl competenti. “Gli Opg sono una delle “zone del silenzio” - spiega Alberto, attivo a Pisa nel collettivo antipsichiatrico dedicato ad Antonin Artaud - e mostrano l’uso politico della psichiatria. Si spinge sempre di più il consumo di farmaci, torna in voga l’elettrochoc, magari per curare la depressione post parto. Ed è in agguato una legge per portare il trattamento sanitario obbligatorio da 7 giorni a un mese”. Giustizia: il Dap commissiona un sondaggio d’opinione; ma Ionta non ha di meglio da fare? Stefano Anastasia Terra, 30 luglio 2010 Piemonte, il Provveditore: “I fondi assegnati sono esauriti, non possiamo garantire la manutenzione”. Siracusa: detenuto 44enne in attesa di giudizio si impicca; è il 39esimo dall’inizio dell’anno. Taranto: crolla cornicione nella sezione dei semiliberi, tragedia sfiorata. Avellino: rubinetti a secco per i detenuti dell’ultimo piano, l’acqua portata con le bacinelle. Reggio Emilia, Sappe: detenuto extracomunitario di 22 anni tenta di impiccarsi; salvato. Pisa: due albanesi evadono usando lenzuola annodate; insorgono gli agenti, “siamo troppo pochi”. Ecco un piccolo florilegio delle notizie dal carcere raccolte da “Ristretti Orizzonti” in un giorno qualsiasi di fine luglio: cronache della bancarotta del sistema penitenziario italiano, incapace ormai di provvedere a se stesso e ai suoi obblighi istituzionali. E cosa fa, di fronte a questo sfacelo il Capo dell’Amministrazione penitenziaria, nonché Commissario straordinario di Governo per l’emergenza carceri? Scrive ai dipendenti dell’Amministrazione, avendo scoperto che “le attuali difficili condizioni in cui vi trovate ad operare, dovute principalmente al sovraffollamento, con la stagione estiva si gravano di ulteriori problemi”. E via di nuovo con il “piano-carceri”: “La prima metà del 2010 è stata caratterizzata da una fase di transizione che ha approntato la strategia di interventi e che ha avuto il suo definitivo assetto nel “Piano carceri”. ...Stiamo lavorando con la consapevolezza che il sistema carcere deve essere condotto fuori dall’emergenza”. Peccato che ancora una volta non dica come e quando, con quali risorse finanziarie e umane il sistema penitenziario potrà uscire dall’emergenza. Per fortuna il personale si arrangia da sé: “Di recente ho parlato con i comandanti di reparto, dopo avere incontrato i Provveditori ... e i direttori, incontri durante i quali ... ho avuto la possibilità di ascoltare interventi responsabili che, pur esponendo le criticità ..., hanno confermato ... la capacità di confrontarsi con l’emergenza individuando soluzioni”. Che fa allora il Superman dell’Amministrazione penitenziaria? “Al fine di “misurare” la percezione nei cittadini dell’operato dell’Amministrazione ..., ho commissionato un sondaggio ... i cui risultati ... ci consentiranno di intervenire con maggiore incisività nella comunicazione istituzionale”. E già, perché il problema è che “l’amplificazione mediatica, talvolta ingiustificata, degli eventi carcerari determina l’effetto della diffusione, nell’opinione pubblica, di un senso di sfiducia nel sistema penitenziario nel suo complesso”. Ma il dottor Ionta non ha di meglio da fare che pontificare e spendere soldi inutilmente, mentre il sistema penitenziario italiano crolla letteralmente a pezzi sulle teste dei detenuti e del personale? Giustizia: Circolare Dap; prepararsi a applicazione ddl Alfano sulla detenzione domiciliare Ansa, 30 luglio 2010 Rivolgere “un’attenzione privilegiata all’attività di osservazione e trattamento dei detenuti, in particolare per il sostegno nelle situazioni di crisi ed il supporto per il ristabilimento dei rapporti familiari”; e insieme compiere “tutti gli adempimenti preliminari necessari a consentire la più celere attuazione della legge sull’ammissione alla detenzione domiciliare per le pene non superiori ad un anno, nel momento in cui sarà approvata dal Parlamento”. Sono le raccomandazioni per gestire al meglio la situazione di sovraffollamento nelle carceri che il capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria Franco Ionta rivolge in una circolare ai provveditori e ai direttori degli istituti e degli uffici di esecuzione penale. Nel documento - diffuso da Ristretti Orizzonti - Ionta sollecita dunque un’attenzione prioritaria alle situazioni di particolare crisi o interruzione dei rapporti familiari, chiedendo che siano effettuati con tempestività i colloqui necessari ed attivati gli interventi per attenuare lo stato di disagio e di ansia che, con ogni evidenza, può generare o accentuare un clima di tensione negli istituti. E per consentire la rapida applicazione del ddl Alfano, una volta che sarà approvato, invita le direzioni degli istituti a preparare sin da ora l’elenco dei detenuti che potrebbero beneficiare del provvedimento e dunque accedere alla detenzione domiciliare, disponendo le relazioni necessarie per la valutazione del magistrato di sorveglianza anche sull’effettività di un’abitazione dove scontare la pena residua. Per non escludere dal provvedimento i detenuti senza fissa dimora, Ionta invita le direzioni ad avviare sin da ora immediati contatti con Enti locali, associazioni di volontariato e del privato sociale, proprio allo scopo di trovare una sistemazione abitativa anche per loro. Giustizia: Bernardini (Ri); il Parlamento non riesce nemmeno ad approvare il ddl Alfano Dire, 30 luglio 2010 “È molto probabile che il Parlamento non riesca ad approvare nemmeno la versione svuotata - e priva di ogni efficacia rispetto al dramma carcerario - del ddl Alfano sull’esecuzione presso il domicilio delle pene inferiori ad un anno. La commissione Giustizia della Camera, seppure in sede legislativa, dopo mesi e mesi di discussione e di saccheggio del testo originario, a stamattina ancora non ha licenziato il testo che comunque dovrà poi passare al Senato per la definitiva approvazione. Il Parlamento riuscirà a far ciò prima della pausa estiva? Ho i miei fondati dubbi. Nemmeno l’aspirina riusciranno a dare alla comunità penitenziaria ridotta allo stremo”. È quanto ha dichiarato stamane Rita Bernardini, deputata dei Radicali e membro della commissione Giustizia. “Continuo ad augurarmi che il Governo - ha detto la Bernardini - dimostri un minimo di senso di responsabilità, varando con un decreto legge la versione originaria del Ddl Alfano che, almeno, potrebbe restituire, con la detenzione domiciliare di circa 12.000 persone, un minimo di legalità alle carceri italiane ridotte in uno stato di totale abbandono umano e civile, mai verificatosi in passato in proporzioni così sconvolgenti”. “Tutto ciò accade mentre - ha spiegato l’onorevole radicale - i direttori degli istituti penitenziari fanno i conti quei pochi reclusi che finiranno di scontare gli ultimi mesi in detenzione domiciliare lasciando qualche metro quadrato libero nelle celle affollate all’inverosimile. Mentre il Dap solo ieri ha diramato una circolare attuativa di una legge che ancora non c’è”. Giustizia: il Pd aderisce a campagna visite degli istituti penitenziari il 14, 15 e 16 agosto Comunicato stampa, 30 luglio 2010 “Il Pd aderisce con convinzione alla campagna di visite degli istituti penitenziari su tutto il territorio nazionale che si terrà nei giorni 13, 14 e 15 agosto 2010 promossa da Rita Bernardini. Lo scorso anno l’iniziativa “Ferragosto in carcere” ha avuto giusta risonanza grazie ai 165 parlamentari di tutti gli schieramenti politici, che hanno visitato le oltre 200 strutture penitenziarie, realizzando così la più massiccia e importante visita di sindacato ispettivo mai effettuata in Italia. Fin da allora i parlamentari del Pd sono stati protagonisti dello straordinario impegno a promuovere una verifica sul campo ed un dibattito politico sulle condizioni della detenzione in Italia. Ancora pochi giorni fa, la Commissione d’inchiesta del Senato sull’efficacia ed efficienza del Servizio sanitario - presieduta dal sen. Ignazio Marino - ha presentato l’esito delle proprie visite negli Ospedali psichiatrici giudiziari riscontrando gravi condizioni di degrado in cinque di queste. La stessa Assemblea nazionale del Pd dello scorso maggio, ha individuato nel “carcere” una delle emergenze che richiedono alla politica una chiara assunzione di responsabilità. Il Forum giustizia del Pd, a questo fine, ha già avviato, nell’ambito del proprio “viaggio nella giustizia” un programma di visite e di confronto con la realtà penitenziaria. Crediamo che per far fronte in modo strutturale ed organico al problema del sovraffollamento penitenziario sia necessario rivedere le norme sulla custodia pre-cautelare e sulla custodia cautelare in carcere (limitandola con criteri più stringenti per il suo utilizzo, anche al fine di eliminare quei meccanismi distorsivi che maggiormente concorrono al fenomeno); la legge ex-Cirielli sulla recidiva, la legge sull’immigrazione e quella sui tossicodipendenti (che producono tassi di incarcerazione elevati e non rispondenti alle reali esigenze di sicurezza dei cittadini). Il Pd ha anche proposto l’ampliamento delle opportunità di accesso alla misure alternative al carcere con l’introduzione nell’ordinamento del “Patto per il reinserimento e la sicurezza sociale”. Ogni intervento non può prescindere però dall’adeguare le piante organiche del personale di Polizia penitenziaria e delle figure degli educatori, degli assistenti sociali e degli psicologi, che garantiscano le risorse umane e professionali necessarie all’attivazione delle nuove strutture penitenziarie. Infine, vanno ripristinati i fondi tagliati all’Amministrazione penitenziaria dalle ultime manovre economiche che ammontano a 100 milioni di euro, di cui 50 milioni riferiti alle sole spese di mantenimento, assistenza e rieducazione dei detenuti”. Andrea Orlando, Presidente Forum Giustizia Pd Sandro Favi, Responsabile Carceri del Pd Giustizia: Uil-Pa; la questione carceraria rischia di diventare questione di ordine pubblico Ansa, 30 luglio 2010 Allarmanti le notizie e i dati sulle carceri che si succedono oramai da settimane: in luglio 6 suicidi, 15 tentati suicidi, 5 pericolosi detenuti evasi, 4 tentate evasioni sventate dagli agenti penitenziari, risse e proteste in molte carceri nonché 22 poliziotti penitenziari feriti a seguito di aggressioni da parte di detenuti. È questo il bilancio di un solo mese, quello di luglio nelle patrie galere che il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno denuncia con forza. Insomma la questione penitenziaria rischia di diventare una questione di ordine pubblico oltreché sociale visto ed i numeri che si registrano in un anno ne sono la triste prova. Dall’inizio dell’anno ad oggi si sono consumati 39 suicidi, 73 tentati suicidi, 10 detenuti evasi, 11 tentate evasioni sventate, 139 agenti penitenziari feriti. Tante le risse, incalcolabili gli episodi di autolesionismo. È davvero inimmaginabile dunque pensare che il personale penitenziario possa convivere con una situazione simile anche in considerazione dell’arcinoto sovraffollamento delle strutture carcerarie. E il carcere di Brindisi? Ce ne siamo occupati più volte. Ciclicamente si succedono le ispezioni, le visite, i sopralluoghi ora di questo ora di quel politico. Ognuno di loro raccoglie le classiche criticità che dicono di portare a Roma nelle sedi che contano ed evidentemente lì rimangono e sono sempre rimaste. Il carcere di via Appia ospita detenuti in attesa di giudizio e non quelli che devono scontare una pena frutto di sentenza. Non per questo, secondo una recente denuncia del parroco che segue i carcerati, non deve offrire una ospitalità quanto meno dignitosa. Tra le varie lacune della struttura locale infatti, il prelato denuncia la mancanza di spazi comuni in cui i detenuti non solo possano intrattenersi nelle cosiddette ore d’aria, ma possano altresì svolgere attività di varia natura. Denuncie che fino ad ora sono rimaste inevase a Brindisi come nel resto del Paese. Giustizia: Osapp; tra evasioni e proteste nelle carceri ci attende agosto di “passione” Adnkronos, 30 luglio 2010 Ci attende un agosto di “passione” quale mai si è verificato nella storia del sistema penitenziario italiano. Parole del segretario generale dell’Osapp Leo Beneduci, commentando la notizia dell’ennesima tentata evasione di un detenuto sventata nel carcere di Firenze Sollicciano. L’Osapp, tra le decine di “eventi critici” che quotidianamente si verificano nelle sovraffollate carceri, mette in evidenza la situazione di Asti, dove i centoventi detenuti dell’alta sicurezza, perché appartenenti ad associazioni criminali, sono ammassati in tre in celle che ne potrebbero ospitare uno solo ed hanno iniziato ad inveire contro gli agenti. E ancora, Torino, dove un detenuto extracomunitario arrestato lo scorso 23 luglio è stato ricoverato al reparto detentivo delle Molinette per sospetta Tbc, e infine Ragusa, dove è in corso da giorni la battitura delle inferiate o Teramo dove da giorni prosegue la protesta dei detenuti per la mancanza di acqua nell’istituto. Purtroppo, per questi e per gli altri gravi eventi che si stanno verificano - fa notare Beneduci - il Dap da tempo provvede solo al monitoraggio a fini statistici, avendo il capo dell’Amministrazione Ionta esplicitamente affermato che la periferia penitenziaria deve gestire e risolvere i propri problemi di detenuti e di personale mente il ‘centrò è deputato esclusivamente ai grandi temi. Inoltre viene espressa preoccupazione per il silenzio e l’assenza del Ministro Alfano e del Governo nel suo complessò soprattutto perché, conclude la nota dell’Osapp, quelli che il sistema penitenziario italiano sta vivendo non sono più problemi da risolvere con un piano carceri da 9.900 posti in più e 671 milioni di spesa o con 2.000 fantomatici poliziotti penitenziari aggiuntivi. Lettere: la buona battaglia di Paolo Quattrone di Mario Nasone (Direttore dell’Uepe di Reggio Calabria) Quotidiano della Calabria, 30 luglio 2010 “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”. Come l’apostolo Paolo di Tarso anche per Paolo Quattrone, il provveditore regionale delle carceri la cui vita si è interrotta tragicamente una settimana fa, si può parlare di una battaglia combattuta, di una corsa terminata. La buona battaglia di una persona che aveva fatto del servizio dello Stato la sua principale ragione di vita, al cui altare ha sacrificato persino la famiglia e gli affetti degli amici, un servitore dello Stato che da calabrese si era messo in testa di realizzare in Calabria qualcosa d’importante e d’innovativo in un settore particolarmente difficile come quello penitenziario. Ci aveva già tentato alla fine degli anni 80, quando dirigeva il carcere di Reggio Calabria. Erano gli anni della guerra di mafia, dello strapotere della ‘ndrangheta che imperava anche dentro le carceri, grazie alle tante collusioni e complicità che aveva con pezzi dello Stato. Un potere che cercò di contrastare con tutti i mezzi senza riuscirci. Con una bomba collocata della camera della sua abitazione di Reggio, la ‘ndrangheta gli diede il foglio di via costringendo l’allora capo del Rap Nicolò Amato, per la sua tutela, a trasferirlo a Firenze, affidandogli l’incarico della Direzione del carcere di Sollicciano. Da allora ha ricoperto incarichi di grande responsabilità in diverse regioni del Nord, dove si è distinto per la realizzazione di iniziative di avanguardia nel campo del trattamento e del recupero dei detenuti. Un’azione che aveva coinvolto Regioni ed esponenti politici di diverso colore politico che apprezzavano e sostenevano il suo lavoro. I numerosi messaggi di cordoglio e di stima che stanno pervenendo in questi giorni alla famiglia, da tutt’Italia, sono una testimonianza del lavoro egregio e del ricordo ancora vivo del servizio svolto in quelle regioni. Nel 2002 gli è stata data la possibilità di ritornare in Calabria come provveditore regionale. Un incarico da lui accettato come una vera e propria sfida, cosciente che il suo impegno si calava in una regione difficile, dove è arduo per tutti rinnovare e costruire azioni di cambiamento. In particolare il sistema penitenziario era ingessato. Lo scetticismo era imperante. Per anni il ritornello che si ascoltava era che non si poteva fare nulla nelle carceri calabresi perché c’era la ‘ndrangheta, perché gli enti locali erano insensibili, perché la società civile e il volontariato non erano maturi per occuparsi del carcere e del reinserimento sociale dei detenuti. Quattrone lanciò la sua sfida che era innanzitutto culturale. Diceva spesso agli operatori penitenziari: se riusciremo a rinnovare e modernizzare un settore così difficile come quello penitenziario dimostreremo che in Calabria è possibile anche cambiare la sanità, la scuola, le politiche sociali e così via. Riuscì a coinvolgere Regioni, enti locali, le chiese di Calabria, il volontariato, le università e persino le associazioni delle vittime della mafia nei progetti di giustizia riparativa. Aprì le porte del carcere ai mass media e alla comunità esterna. Puntò sul lavoro penitenziario, sull’istruzione e la cultura come elementi fondamentali per il riscatto del detenuto e per il suo rientro nella comunità libera. Con il progetto Athena è riuscito a innovare il sistema penitenziario calabrese, rendendo le carceri più vivibili, attuando il dettato costituzionale sul valore rieducativo della pena, scommettendo sull’inclusione sociale e le misure alternative alla detenzione. Non lo fermarono nemmeno le altre intimidazioni mafiose ricevute. Una sfida vinta, se si guardano gli obiettivi previsti e ampiamente raggiunti, con una punta d’eccellenza nell’istituto sperimentale per giovani di Laureana di Borrello, inserito al secondo posto in Italia, dopo il carcere di Bollate, tra i penitenziari di eccellenza. Aveva un carattere spigoloso e intransigente. Ma lo era, innanzitutto, verso se stesso e poi verso le persone cui aveva affidato fiducia e incarichi. Sempre mosso esclusivamente dall’interesse per lo Stato e per l’amministrazione penitenziaria che era la sua ragione di vita. Forse una maggiore disponibilità alla mediazione gli avrebbe evitato tanti contrasti e ritorsioni che l’hanno fatto soffrire, ma era questo il suo modo di vivere e di interpretare il suo ruolo pubblico. Non era un burocrate, credeva fortemente che leggi e circolari dovessero essere rispettate ma chiedeva a tutti di puntare al conseguimento dei risultati, di assumersi responsabilità nelle scelte. Come ha scritto Giulio Starnini della Società italiana di medicina penitenziaria era “un uomo di Stato, di giustizia, di cultura. Un uomo che era riuscito in Calabria (la regione italiana con il più basso Pil del Paese) a gareggiare per efficienza con il Provveditorato della Regione più ricca di Italia, la Lombardia. Un uomo guidato dalla dignità e dal rispetto verso gli altri, stimato al tempo stesso da detenuti e agenti di polizia. Un uomo che suscitava nei tanti burocrati inetti che popolano l’amministrazione pubblica ai vari livelli, sentimenti di astio perché dimostrazione vivente che le cose debbono e possono cambiare. Dietro la scorza di persona determinata e allenata alle avversità si nascondeva in realtà una persona di grande sensibilità e fragilità che di fronte alle ennesime e ingiuste accuse ha scelto, con un atto di disperato coraggio, di gettare la spugna, di sciogliere le vele. Un gesto che nulla toglie a quanto di buono ha realizzato da “appassionato dell’uomo” come l’ha definito monsignor Iachino, vicario generale, nell’omelia funebre. Continuare nel solco da lui tracciato, non disperdere quanto ha seminato, è un modo per continuare a sentirlo vivo e presente come figlio prediletto di questa nostra Calabria che certamente ha meritato e ricevuto la corona della giustizia. Sicilia: Fleres; l’Assessore alla Sanità spieghi perché medicina penitenziaria non è passata al SSN Comunicato stampa, 30 luglio 2010 Fleres, Garante dei diritti dei detenuti su mancato recepimento in Sicilia del Dpcm 1.4.2008 riguardante la medicina penitenziaria: “L’assessore Russo dovrà spiegare al Presidente del Consiglio ed ai Ministri competenti i motivi del mancato passaggio della medicina penitenziaria al servizio sanitario nazionale”. “Considerato che l’assessore Russo non ha mai dato seguito alle numerose richieste che nella mia qualità di Garante dei diritti dei detenuti ho inoltrato al suo ufficio, adesso dovrà rispondere direttamente al Presidente del Consiglio circa il mancato passaggio della medicina penitenziaria al SSN, in virtù di un’interrogazione che ho appena presentato. Forse l’assessore, ha proseguito il Sen. Fleres, non sa che, a breve, all’interno delle strutture penitenziarie siciliane non sarà più possibile garantire l’assistenza medica e le terapie di cui necessitano i reclusi. Così come avrà dimenticato che nel momento in cui si verifica un decesso in carcere, immediatamente scattano le indagini e, qualora fosse dimostrato che il decesso sia avvenuto per mancata assistenza sanitaria certamente bisognerà ricercare i responsabili di tali episodi. Mi auguro, ha concluso in Sen. Fleres, che l’assessore alla Sanità nella sua risposta non citi ulteriormente lo Statuto speciale, ma invece spieghi, soprattutto ai reclusi bisognevoli di cure, come intende agire per risolvere urgentemente la questione considerato che la Sicilia è rimasta l’unica Regione a non aver ancora attivato alcuna procedura”. Il Garante dei diritti del Detenuti Sen. Salvo Fleres Toscana: Assessore Sanità: l’Opg di Montelupo Fiorentino sarà chiuso entro un anno Ansa, 30 luglio 2010 “Gli ospedali psichiatrici giudiziari vanno chiusi. Figuriamoci se in Toscana non consideriamo questa una cosa doverosa, anche se va riconosciuto l’impegno profuso nel corso degli anni sia dal direttore e sia da tutto il personale di Montelupo e dagli operatori che vi hanno lavorato. Stiamo lavorando per il superamento e contiamo di poter dismettere l’Opg di Montelupo al più presto”. Lo afferma l’assessore regionale toscano Salvatore Allocca, dopo la visita del senatore Ignazio Marino alla struttura di Montelupo. “Ci sono voluti oltre 20 anni per portare a regime la legge Basaglia per la chiusura degli ospedali psichiatrici - ricorda Allocca - e per gli ospedali psichiatrici giudiziari il percorso è stato ancora più lungo. In Toscana siamo sempre stati più che convinti sulla necessità del superamento di queste strutture e abbiamo sempre lavorato per questo ma, a causa del ritardo nelle normative nazionali e delle diverse competenze che si sono intrecciate, anche l’ospedale di Montelupo non è stato ancora possibile chiuderlo. Pensiamo, ragionevolmente, di poterlo fare nel giro di un anno”. “In Toscana - precisa l’assessore - abbiamo già due strutture intermedie che potrebbero accogliere le persone che hanno terminato la misura di sicurezza (per la quale erano state internate) ma che non sono ancora in grado di essere dimesse. Una è in provincia di Firenze, un’altra è ad Aulla, una terza si sta costituendo ad Arezzo. Per quanto riguarda invece le persone che debbono terminare il percorso della misura di sicurezza si sta approntando la struttura di Solliccianino a Firenze, che diventerà una struttura di carattere sanitario con una sorveglianza, ma soltanto esterna. Toscana: sovraffollamento non incide solo su sicurezza, ma anche su pericolo di contagi Il Tirreno, 30 luglio 2010 Il sovraffollamento nelle carceri non incide soltanto sulla sicurezza, ma anche sul pericolo di contagio dovuto alle condizioni igienico-sanitarie in cui sono costretti i 4.357 detenuti nelle strutture toscane. Nei mesi scorsi, il direttore del Centro regionale per la salute in Carcere, professor Francesco Ceraudo, aveva lanciato, invano, diversi appelli per evitare situazioni incontrollabili, tenendo conto anche dell’arrivo del caldo. “In queste condizioni - dice Ceraudo - la tutela della salute diventa un’impresa. Alte temperature associate ad elevati valori di umidità favoriscono la crescita delle muffe e degli acari. Il sovraffollamento favorisce la diffusione delle malattie infettive, rendendo insufficienti i già precari servizi igienici”. Una situazione da “girone infernale”, la definisce Ceraudo, dove in celle allestite per due trovano posto, in letti a castello, fino a cinque persone. In alcuni casi si arriva a mettere i materassi per terra. A Pisa (al momento sono presenti 402 detenuti, mentre i posti letto disponibili sono 220) sono state requisite le aule scolastiche. Rimane libero qualche corridoio. Milano: Marcora (Udc) in visita a San Vittore; un pollo in batteria ha più spazio di un uomo in cella Asca, 30 luglio 2010 Il Consigliere regionale Enrico Marcora (Udc) visita il carcere di San Vittore. La denuncia: "è una pentola a pressione con la valvola bloccata e il fuoco sempre acceso". Un mese fa l'appello dei radicali del "Detenuto ignoto", per far visitare alle istituzioni le carceri lombarde e rendersi conto della situazione critica in cui versano. Così oggi, il consigliere regionale dell'Udc, Enrico Marcora, ha varcato i cancelli del penitenziario. Si tratta del quarto rappresentante politico ad aver aderito all'invito dei radicali, dopo Giulio Cavalli (IdV) in visita al penitenziario di Opera; Pippo Civati (Pd) al carcere di Monza; Giangiacomo Longoni (Ln) al carcere di Varese. Un carcere sovraffollato e in precarie condizioni, quello milanese. Sono ospitati 1600 detenuti, il doppio di quelli consentiti e per l'80% si tratta di extracomunitari, molti dei quali senza casa e senza denaro. Per loro è pressochè impossibile chiedere gli arresti domiciliari. è la prima fotografia della visita-lampo di Marcora. Appena un'ora che però è sembrata sufficiente per fare un quadro "disastroso" della situazione. Se il reparto femminile è il fiore all'occhiello, con tutte le mamme con figli piccoli sistemate in strutture protette (meno una), il IV reparto maschile, quello in regime di sicurezza, presenta tutte le criticità. Qui il sovraffollamento raggiunge limiti disumani: le celle, previste come singole, ospitano 5-6 detenuti e sono chiuse per 21 ore al giorno. La superficie è di 8-9 mq nella parte "soggiorno" con una fitta rete alla finestra, oltre le sbarre. Annesso un vano di circa 4 mq per wc alla turca, cucina, lavabo/lavanderia, senza porta e con relativi cattivi odori. Ci sono 6 letti a castello (3 + 3, in linea) e di fronte due tavolini rettangolari di circa cm. 45 x 70 ciascuno e 4 sgabelli. "Di fatto - spiega la nota dei radicali - ciascuna persona, in piedi, usufruisce (si fa per dire) di un quadrato di 50 cm. di lato. In proporzione, meno di quanto si riserva, con le giuste rimostranze degli animalisti, a un pollo in batteria".Condizioni di vita improponibili e già più volte denunciate sia dall'Uilpa un anno fa che dagli avvocati penalisti in protesta quest'anno. La maggior parte dei detenuti manifestano il loro malessere con atti nonviolenti, ma con la disperazione aumentano anche i gesti di autolesionismo cruento. In questa situazione un fattore fondamentale di sopravvivenza (e di aiuto agli agenti, sempre gravemente sotto organico) è la presenza dei volontari che quotidianamente frequentano il carcere e forniscono una serie di generi di prima necessità, svolgono pratiche, tengono contatti con le famiglie e con i legali, sostengono umanamente. "Resta una pentola a pressione - conclude la nota - alla quale il Governo è responsabile di tenere irresponsabilmente bloccata la valvola lasciando alto il fuoco". Roma: Pdl; più formazione a Casal Del Marmo, nell’Ipm non solo pena, ma rieducazione Dire, 30 luglio 2010 Nell’ambito di un percorso di conoscenza diretta della realtà carceraria già avviato, si è svolta questa mattina la visita delle consigliere regionali del Pdl, Isabella Rauti e Chiara Colosimo, presso l’Istituto per Minorenni di Casal del Marmo. L’istituto di Casal del Marmo ospita trentasette ragazzi e undici ragazze, di cui dieci italiani e trentasette stranieri ed ho dotato di laboratori di falegnameria e di sartoria e di spazi sportivi e teatrali. È quanto si legge in una nota. “Si tratta di una struttura - come ha ricordato nella sua recente visita la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini - che può essere definita ‘istituto di pena modellò; il carcere non soffre del problema del sovraffollamento presente in molte strutture carcerarie, mentre anche in questa struttura pesa la carenza di organico di personale, un problema al quale risponderà al più presto il Piano Carceri del Governo che prevede tra l’altro l’assunzione di agenti di Polizia Penitenziaria - dicono le due consigliere Pdl - Per l’età dei detenuti, l’aspetto del reinserimento sociale risulta in questa struttura particolarmente importante”. “Il carcere - spiegano - non può essere solo pena ma anche rieducazione ed inclusione sociale ed in questa direzione va l’impegno dell’ Ente Regione, teso a potenziare soprattutto le attività di formazione, che risultano fondamentali per il recupero della persona nel contesto sociale”. “Per l’alto numero di detenuti stranieri - continuano Rauti e Colosimo - all’interno del carcere si riscontrano inoltre notevoli diversità di carattere culturale, religioso e sociale, che comportano un forte impegno rivolto all’integrazione dei detenuti”. Potenziare la formazione ed il recupero dei minori detenuti a Casal del Marmo, spiega la nota, è un nuovo impegno che si aggiunge oggi a quello già assunto dall’assessore agli Enti locali e Sicurezza della Regione Lazio, Pino Cangemi, per la creazione di un istituto di custodia attenuta per madri detenute presso il carcere di Rebibbia. “La struttura di Casal del Marmo - concludono - costituisce un modello di organizzazione, con la suddivisione dei detenuti non solo per sesso ma anche per fasce di età, un aspetto importante nell’età evolutiva all’interno del carcere sono reclusi infatti ventisei minorenni e ventuno maggiorenni. È fondamentale che le strutture carcerarie moderne siano orientate alla tutela dei diritti soggettivi e della dignità della persona, con migliori condizioni di vita dei detenuti minori e del personale di custodia; i minori ristretti nella struttura penale devono essere inclusi in programmi educativi e formativi e seguiti, dopo l’uscita dal carcere, negli aspetti trattamentali e di reinserimento anche attraverso la formazione in comunità terapeutiche e socio educative che la Regione può supportare”. Modena: carcere di Sant’Anna è il più sovraffollato tra i 13 istituti dell’Emilia-Romagna Dire, 30 luglio 2010 Il carcere di Sant’Anna è il più sovraffollato tra i 13 istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna quindi uno dei più sovraffollati d’Italia. L’Emilia-Romagna è in assoluto la regione con il più alto indice di sovraffollamento a livello nazionale. Al suo interno vivono circa 500 detenuti, il doppio della capienza, mentre il numero degli agenti penitenziari è molto al di sotto di quanto previsto dalla pianta organica. La denuncia arriva dal Pd di Modena che sulla situazione esplosiva del Sant’Anna ha già presentato un’interrogazione in Comune e ne presenterà una analoga in Provincia. Altre interrogazioni, a firma di consiglieri regionali e parlamentari modenesi, sono state presentate in Regione e al ministro della Giustizia, Angelino Alfano. Oggi la pianta organica del carcere di Sant’Anna prevede 226 agenti. Gli agenti in servizio sono 170, 20 dei quali impiegati in funzioni amministrative. Tenendo conto dei turni, delle ferie, dei permessi e del personale distaccato in altre sedi gli agenti effettivi che si occupano della custodia dei detenuti sono meno di 130. E devono provvedere a 500 detenuti, circa uno ogni quattro, mentre il rapporto dovrebbe essere, sulla carta, di un agente per ogni detenuto. “La prima cosa da fare sarebbe quella di assegnare finalmente al carcere di Sant’Anna i 21 agenti in più promessi a più riprese da esponenti del governo e del centrodestra locale - spiega Sergio Rusticali, coordinatore del Forum cittadino del Pd sulla sicurezza - sarebbe la misura minima da prendere di fronte a una situazione divenuta ormai ad altissimo rischio”. Una situazione nella quale, secondo la parlamentare Manuela Ghizzoni, che ha presentato un’interrogazione al ministro Alfano, diventa “praticamente impossibile svolgere quella funzione di recupero dei detenuti che la Costituzione assegna agli istituti di pena. E questo nonostante l’abnegazione e lo spirito di sacrificio dimostrato dagli agenti di custodia e dalle associazioni di volontariato”. Il Piano carceri messo a punto dal governo prevede di aumentare i posti disponibili negli istituti penitenziari attraverso lavori di ristrutturazione e ampliamento delle strutture esistenti. In particolare è prevista la costruzione di un terzo padiglione al Sant’Anna in grado di ospitare altri 150 detenuti. “Ma abbiamo il fondato timore che la nuova struttura serva soltanto ad alleggerire altre carceri in Regione e fuori regione, ad esempio la Dozza di Bologna, e quindi non comporterebbe alcun miglioramento per la casa circondariale di Modena - avverte il consigliere regionale Luciano Vecchi - a maggior ragione va rafforzato l’organico degli agenti di custodia in servizio effettivo al carcere di Sant’Anna”. In generale nelle carceri della regione “sono presenti oltre 4.500 detenuti (di cui solo il 59% risiede in regione), mentre la capienza degli istituti ne prevede non più di 2.400”, spiega ancora Vecchi. Gli agenti di custodia previsti per legge sono dunque 2.400, ma in servizio attualmente se ne registrano solo 1.710. Vecchi elenca anche i tagli al sistema regionale: senza contare il pagamento degli stipendi, nel 2005 dal ministero arrivavano 46 milioni di euro di risorse, mentre nel 2010 meno di 18 milioni. Il sistema delle carceri regionale è inoltre gravato da pesanti debiti: solo a Hera, deve nove milioni di euro. Caltanissetta: immobile confiscato a criminalità in comodato d’uso al cappellano del carcere La Sicilia, 30 luglio 2010 San Cataldo. La Giunta comunale di San Cataldo ha deliberato la concessione in comodato di una unità immobiliare confiscata alla criminalità locale, sita al civico 28 di via Orologio, all’ispettore regionale dei cappellani delle carceri, il mercedario Padre Enrico Schirru. Il provvedimento è stato deliberato martedì, a Palazzo delle Spighe, alla presenza del sindaco Giuseppe Di Forti e degli assessori comunali Roberto Riggi, Fabio Favata Rosario Sorce, Filippo Vullo, Bartolo Mangione, Thierry Ilardo. L’immobile era stato destinato al Comune da parte dell’Area Beni e Veicoli Confiscati dell’Agenzia del Demanio Filiale Sicilia ed è stato, così, concesso a Padre Schirru in modo da poterlo utilizzare quale Ufficio Centrale per la Pastorale Penitenziaria e per ospitare, all’occorrenza, i familiari dei ristretti che provengono da lontano per i colloqui o gli stessi detenuti, che escono dalla locale Casa di Reclusione per usufruire dei benefici premiali. La cessione in favore dell’ispettore regionale dei cappellani delle carceri avrà la durata di 3 anni, che potranno essere rinnovati. Padre Enrico Schirru, in qualità di ispettore regionale dei cappellani delle carceri, aveva richiesto l’abitazione in concessione nel giugno di quest’anno. L’unità immobiliare è composta da un ingresso-soggiorno con angolo cucina, una camera da letto ed un servizio igienico di circa 30 metri quadri, un vano sottotetto di circa 20 metri quadri ed una grotta sottostante di circa 15 metri quadri. Quello di via Orologio non è il primo esempio di bene confiscato alla malavita, gestito e poi concesso dal Comune di San Cataldo: nel maggio del 2008, infatti, l’Agenzia del Demanio affidò all’amministrazione comunale cinque locali box raccolti in uno spazio complessivo di 282 metri quadrati, presenti in via Donatori di Sangue e sequestrati al capomafia Cataldo Terminio, nell’ambito dell’operazione denominata “Leopardo”, portata avanti dalla Polizia di Stato nel 1992. Nel gennaio del 2009, invece, un altro immobile confiscato alla mafia, in via Babbaurra 23, è stato inaugurato quale prima sede distaccata della nostra provincia del Parlamento della Legalità, intitolata ai magistrati Gaetano Costa e Rocco Chinnici, uccisi dalla mafia, a Palermo. Da alcuni mesi, l’immobile ospita anche la sede della Consulta Giovanile. Così il primo cittadino Di Forti commenta la concessione dell’immobile a Padre Schirru: “Questa è l’affermazione dello Stato. Dedicarsi ad attività illecita non paga mai e questa cessione alla Pastorale Penitenziaria rappresenta un indennizzo alla collettività. Abbiamo scelto l’ente guidato da Padre Enrico in modo da accogliere i detenuti in permesso premio, una finalità coerente di utilizzo sociale e rivolto a chi intraprende un percorso di recupero. Presto vi sarà la cerimonia di consegna ufficiale dell’immobile dinanzi alle istituzioni, in particolare il Prefetto di Caltanissetta, dott. Umberto Guidato, cui rivolgo un particolare ringraziamento”. Asti: protesta dei detenuti dura da quattro giorni, oltre a battere contro sbarre rifiutano vitto Apcom, 30 luglio 2010 Continua da quattro giorni la protesta dei detenuti del carcere di Asti, che, a causa del sovraffollamento, battono a fasi alterne le gavette contro le sbarre delle celle. Hanno iniziato, i primi giorni, quelli sottoposti al regime di alta sicurezza, circa 120. Oggi, si sono uniti anche i detenuti delle altre sezioni. Battono mattina e pomeriggio, con “turni” da mezz’ora fino a un’ora. Lo denuncia l’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, segreteria provinciale di Asti. Da ieri inoltre, i carcerati rifiutano il vitto, lasciandolo nei corridoi, e la doccia. I detenuti sottoposti a regime ordinario protestano anche perché, sempre da oggi, quelli addetti alla ditribuzione del sopravvitto (le derrate alimentari acquistabili), si rifiutano di consegnare la spesa per protestare a loro volta contro la riduzione - per mancanza di fondi - delle ore lavorative quotidiane. “Il rumore è assordante - dichiara Domenico Favale, segretario Osapp di Asti - in alcune celle da uno sono stipati in tre, le condizioni igieniche sono pietose, quelle di lavoro del personale di polizia penitenziaria devastanti. I nostri agenti sono costretti a turni massacranti anche da 20 ore al giorno consecutive, senza straordinari pagati. Il personale è allo sbando e abbandonato a se stesso”. “Lo stesso dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e il provveditore regionale - denuncia Favale - sanno benissimo quali sono le condizioni dell’organico astigiano, ma, nonostante sia assente ad Asti la sezione femminile, hanno assegnato al carcere circa 30 agenti donne. Che, ovviamente, non possono essere utilizzate se non in pochi posti e per poche mansioni. Anche garantire le traduzioni è diventato impossibile, proprio perché mancano uomini. Noi abbiamo denunciato più volte questa situazione, ma regna l’immobilismo più assoluto”. Firenze: detenuto tenta evasione camuffandosi tra familiari in visita, fermato dagli agenti Adnkronos, 30 luglio 2010 Oggi alle 14,30 circa un detenuto italiano dopo il colloquio con i familiari (al giardino degli Incontri) ha tentato di evadere dal carcere fiorentino di Sollicciano, camuffandosi tra circa 40 familiari in uscita; è arrivato fino al cancello di ingresso dell’istituto fiorentino dove è stato fermato da uno degli addetti al rilascio colloqui. A darne notizia è Eleuterio Grieco, Segretario Provinciale Uil Pa Penitenziari di Firenze che aggiunge il particolare che a sorvegliare detenuti e parenti vi era un solo agente per circa 90 persone. “Pur apprezzando l’iniziativa” del giardino degli Incontri, “il coordinamento Uil ha più volte denunciato le carenze di sistemi di sorveglianza e di comunicazioni, atteso che manca anche il telefono e la postazione di lavoro per la polizia penitenziaria - prosegue Grieco - Abbiamo suggerito l’istituzione di una sala regia che potesse monitorare tutta l’area, considerato che presso tale area tra detenuti e parenti è possibile anche il contatto fisico. In alternativa almeno la collocazione di un braccialetto elettronico ai detenuti cui è concesso l’accesso al giardino. Come al solito - conclude - è inutile parlare al sordo. E se non fosse stato per l’arguzia del collega ora conteremmo il quinto evaso in quindici giorni”. Nuoro: a Badù e Carros le messe sono proibite, pochi agenti per sorvegliare i detenuti L’Unione Sarda, 30 luglio 2010 “Carenze temporanee”, assicura la direttrice, fiduciosa di assicurare il servizio di sorveglianza e la ripresa della messa già nella prossima domenica. All’origine della vicenda le ferie degli agenti e i servizi di sorveglianza esterni al penitenziario. Messa impossibile per i detenuti dell’alta sicurezza, ospiti del carcere di Badu ‘e Carros. Una trentina di reclusi ha atteso invano l’appuntamento domenicale con il cappellano don Giamapolo Muresu. Nelle tre domeniche di luglio, all’ora della messa, sono rimasti nelle celle anziché raggiungere come facevano abitualmente la cappella del penitenziario. Non c’erano agenti sufficienti a garantire un’adeguata sorveglianza. Anche nelle altre sezioni i problemi non sono mancati, sebbene con minore gravità: la messa è saltata, ma due volte non tre. Nella terza domenica per i detenuti della sezione ordinaria e di quella femminile è tornata regolarmente. Segno di buon auspicio in vista della prossima domenica, la prima di agosto che detenuti dell’alta sicurezza e familiari vorrebbero meno mortificante delle precedenti. Tutto per colpa alle carenze d’organico nella polizia penitenziaria che si trascinano da tempo. Ma nelle ultime settimane il problema è stato acuito dalle ferie e dalla necessità di garantire servizi di sorveglianza esterni al carcere, dovuti ai ricoveri di alcuni detenuti in ospedale. Così l’esiguità degli agenti presenti a Badu ‘e Carros ha impedito che nell’ala dell’alta sicurezza fosse garantita la sorveglianza adeguata, richiesta in occasione della messa. Perciò la celebrazione eucaristica è stata cancellata con l’inevitabile disappunto dei detenuti più assidui: una trentina in tutto. I familiari hanno fatto sentire la voce della protesta affidandola a Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo diritti riforme”, che ha denunciato con durezza la vicenda. “Partecipare alla funzione ha un particolare significato per i detenuti, soprattutto per quelli dell’alta sicurezza. Rappresenta un’occasione spirituale ma anche di socialità importante e insostituibile. Un modo alternativo, sicuramente meno opprimente, di permanenza all’interno della struttura penitenziaria. Contribuisce inoltre alla rieducazione del detenuto che in quei momenti riesce a trovare conforto, a riflettere sulla condizione umana, a vivere per qualche attimo lo stato di libertà nella comunione con altri”, sottolinea la Caligaris. E aggiunge: “Privare i detenuti di questa opportunità è un atto incivile che contraddice la volontà espressa dai dirigenti del Dap che raccomandano, proprio in questi mesi in cui il caldo e il sovraffollamento generano stati d’animo depressivi, di seguire con maggiore attenzione i ristretti garantendo loro momenti di socialità anche alternativi”. “Si tratta di una situazione temporanea”, assicura la direttrice di Badu ‘e Carros Patrizia Incollu. “Speriamo di poter riprendere regolarmente già questa domenica con la celebrazione della messa. Per tutto l’inverno, nonostante abbiamo numeri limitati nella polizia penitenziaria e metà carcere chiuso per lavori, la messa è stata garantita regolarmente. Negli ultimi tempi abbiamo avuto diversi ricoveri in ospedale che hanno richiesto il piantonamento esterno da parte degli agenti”. Immigrazione: Cie di Ponte Galeria; una giornata tra chi sta in galera senza essere detenuto di Ahmad Gianpiero Vincenzo Famiglia Cristiana, 30 luglio 2010 paradossi del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galena partono da lontano. Il Galena è un fiume antico che lambisce Roma per 35 chilometri. Prende vita dalle alture del Trionfale e si getta nel Tevere poco prima di Fiumicino. Nell’antichità gli Etruschi lo usavano per portare il sale fin sotto le mura dell’antica Veio. Oggi il Galeria nessuno lo vede più, perché scorre chiuso tra argini poderosi. In compenso è il fiume più inquinato e velenoso d’Italia. Anche gli immigrati che finiscono dietro le mura del Cie non li vede più nessuno. Sono chiusi da argini di cemento. Scompaiono alla vista e in un certo senso anche alla vita. In compenso trascorrono il tempo in uno dei posti peggiori d’Italia. Tecnicamente non sono detenuti. La loro colpa è quella di non essere in possesso di documenti. E di dover quindi essere identificati. Una procedura che, con i mezzi moderni, può richiedere qualche settimana, un mese al massimo. Prima del recente “pacchetto sicurezza” potevano essere trattenuti per 60 giorni. Un periodo difficile, visto che il regime detentivo è più duro di quello di un carcere. Ma con il senno di poi, un periodo ancora accettabile. Con il “pacchetto sicurezza”, invece, i Cie si sono trasformati in un incubo lungo 6 mesi. Doloroso e inutile. Davanti al cancello c’è un maghrebino che discute con il poliziotto. Ha un amico dentro e gli vuole portare dei soldi. “Per comprare qualcosa”, dice. Sono pochi euro, ma immagino che possano valere un tesoro. La guardia spiega che non può entrare. Solo madre, padre e fratelli. Sorrido amaro pensando a quanto devono essere lontani i genitori e i parenti della maggior parte di quelli che vivono dietro le sbarre di Ponte Galeria. Faccio parte di una delegazione parlamentare, che nel frattempo è arrivata. Quindi è un giorno speciale. Dove tutto deve filare liscio. La guardia parla al telefono e salta fuori un assistente sociale. Prende i soldi e li porta con sé. All’ingresso tutto è in perfetto ordine. La parte antistante è riservata alle Forze dell’ordine. La gestione interna del centro, invece, è di una cooperativa privata. Le stanze per gli incontri con i magistrati e gli avvocati sono squallide e linde. Così come l’infermeria e il refettorio. Sembrano verniciate di fresco. Nulla lascia pensare che negli ultimi tre mesi ci sono state almeno quattro rivolte. L’ultima il 4 giugno. Incendi, pestaggi e arresti. Più di 200 mila euro di danni. Il direttore, quando parla dei reclusi li chiama “ospiti”. In effetti, ammette, gli ospiti preferirebbero essere portati in carcere. Perché la galera è meglio: si possono ricevere visite, libri, assistenza spirituale. Addirittura un’istruzione. Nel Cie, invece, ci sono solo le mura di cemento macchiate dall’umidità che arriva dalle acque del Galeria. Un nulla dilatato sei interi mesi. Per fortuna il viceprefetto mandato dal Viminale a farci da guardia e da guida decide che è arrivato il momento di visitare gli “ospiti”. I reclusi per prima cosa mostrano i loro luoghi di culto. La fede è proprio l’ultima cosa a morire. Si trovano vicino all’entrata. In un locale c’è una moschea. I fedeli chiedono un aiuto. Vorrebbero una scopa per pulire. E un battitappeto. Non di quelli che servono per le stanze e le latrine, ma solo per la moschea, per pulire quei quattro stracci messi per terra. Il direttore promette di provvedere immediatamente. Vorrebbero anche un imam della Grande Moschea. Poi vediamo la cappella. Una stanza vuota. Le sedie e l’altare li portano solo quando arriva il sacerdote, altrimenti marcirebbe tutto. L’umidità segna le pareti con lunghe strisce nere. Spiegano che il Centro è costruito su uno stagno. Un pezzo è ancora visibile, in un angolo lasciato scoperto. Ci sono resti romani. E le rane. Di quelle che gracidano tutta la notte e non possono essere eliminate. Sono una specie protetta. Arrivano altre richieste. Un uomo vorrebbe vedere la sua compagna. E suo figlio. Non sono sposati e quindi non li fanno entrare. Faceva il panettiere. Poi lo hanno preso perché senza permesso di soggiorno. Per identificarlo. Vallo a spiegare a suo figlio. In una delle stanze c’è un veterano. Ha scontato 26 anni di carcere. Quando è stato rilasciato, lo hanno portato al Cie per l’identificazione. Tutti quelli che escono dal carcere devono essere identificati. Una piccola disfunzione del nostro sistema penale, che condanna senza identificare. Penso ai lunghi anni di carcere. Il tempo ci sarebbe tutto, spiegano, ma non viene fatto. Quindi, dopo la pena, altri sei mesi. Qualcuno mi si avvicina alle spalle. “Il mio compagno di stanza”, dice, “ha tentato tre volte il suicidio negli ultimi giorni. Lo sorvegliamo giorno e notte, ma abbiamo paura”. Andiamo anche dalle donne. Sono in maggioranza nigeriane, portate in Italia perché vendessero i loro corpi. Anche dentro al Centro cercano di apparire carine. Forse non hanno ancora capito la differenza tra la strada e il posto dove si trovano. Una cinese sta parlando con un’assistente sociale. Forse è incinta. Le portano un vocabolario per spiegarsi. Lei chiude il libro e continua a parlare. Vedo che una componente della delegazione parlamentare vorrebbe intervenire, ma non la fanno avvicinare. Lei il cinese lo parla. “Cerca di spiegare che è analfabeta”, mi dice, “non sa leggere. Che se ne fa di un vocabolario!”. Le donne incinte non possono essere detenute nei Cie. Così ci spiegano. Se quella donna è incinta verrà immediatamente rilasciata. Potrei giurare di aver visto anche un’altra donna con un pancione. Una donna dell’Est. Poteva essere vicina al sesto mese. Quando mi volto per avere spiegazioni, non la vedo più. È solo malata, dicono. Se non era incinta - penso - doveva avere una cirrosi epatica all’ultimo stadio, una di quelle che ti lasciano poco tempo da vivere. Ma in fondo Ponte Galeria non è un posto per vivere. Con i 42 euro al giorno che lo Stato paga ai gestori, c’è solo da sopravvivere. E cominciamo a star male anche noi. Non vediamo l’ora di uscire. Alla fine ci portano a vedere la mensa. Faccio in tempo a notare che le razioni sono veramente striminzite. In quel posto non c’è nemmeno bisogno di fare lo sciopero della fame, è compreso nel vitto. A quel punto, però, abbiamo una nausea tale che anche quelle due cucchiaiate di spezzatino sarebbero troppe. Vorremmo solo uscire. Ma non dal Cie. Dall’Italia. Germania: da Garavini (Pd) interrogazione su italiani detenuti nelle carceri tedesche 9Colonne, 30 luglio 2010 "Sono persone troppo spesso ignorate dall'opinione pubblica e che rischiano ora di essere penalizzate dalla riduzione delle risorse finanziarie: i nostri connazionali detenuti nelle carceri tedesche". È quanto ha dichiarato Laura Garavini, deputata del Partito democratico eletta nella circoscrizione Europa, presentando un'interrogazione parlamentare tesa a fare chiarezza sulle motivazioni che negli ultimi tempi hanno portato al diradamento degli interventi di assistenza e tutela nei confronti dei detenuti italiani in istituti penitenziari all'estero. "I fenomeni di devianza - ha spiegato la Garavini - sono spesso legati alle difficoltà di integrazione che i nostri connazionali in Germania vivono tuttora anche a causa del sistema scolastico, eccessivamente rigido e selettivo. Da qui la necessità di un percorso di recupero che aiuti i giovani d'origine italiana a rafforzare il sentimento della dignità personale e ad impostare un cambiamento di vita e di comportamento. È invece preoccupante - ha continuato - apprendere che per ragioni di costo si stiano facendo sempre più rade le visite e i corsi che gli operatori dei centri di recupero in cooperazione con i nostri consolati. Negando a questi connazionali che vivono un'esperienza di estremo disagio il conforto di una presenza qualificata e la possibilità di un diverso percorso di vita, si rischia di suscitare in loro una sensazione di disinteresse e di abbandono da parte dello Stato italiano". "È opportuno - ha concluso la deputata del Pd - che da parte del ministero degli Esteri ci sia una maggiore attenzione per i connazionali detenuti fuori dall'Italia, che possa favorire l'avvio di un percorso di recupero vero ed evitare che la detenzione nelle case di pena oltreconfine diventi un binario morto per chi non viene più considerato di valore per la società". Marocco: 980 detenuti sono stati graziati per la Festa del trono di Mohammed VI Adnkronos, 30 luglio 2010 Ben 980 carcerati sono stati graziati in parte o del tutto in Marocco dal re Mohammed VI in occasione dell’undicesimo anniversario del suo insediamento al trono, che sarà celebrato domani a Tangeri. Lo rende noto un comunicato del ministro di Giustizia. Solo cinque detenuti hanno però potuto lasciare il carcere, per gli altri si tratta di alleggerimenti delle pene.