Giustizia: nelle carceri “un tranquillo week end di paura”, adesso i morti suicidi sono trentatre di Dimitri Buffa L’Opinione, 2 luglio 2010 Il 30 giugno nel carcere di Padova si è ucciso Santino, di 25 anni. Il 28 giugno Marcello M., detenuto comune di 37 anni, si è tolto la vita nella casa circondariale di Giarre (Catania). L’uomo è stato trovato impiccato con un cappio al collo alle sbarre della finestra del bagno della cella. Il 27 giugno nella camera di sicurezza della questura di Agrigento si era impiccato un giovane marocchino Y.A., di 22 anni, arrestato per rissa. Dall’inizio dell’anno i suicidi certi in Italia sono 33 (3 casi sono dubbi), mentre altri 60 sono morti per malattia o per “cause da accertare”. Il totale dei detenuti morti nel 2010 sale a 96. Negli ultimi 10 anni i suicidi avvenuti nelle carceri italiane sono stati 589, mentre 1.694 è il numero dei detenuti morti. Su queste statistiche, se non trattassero cose tristi e macabre, ci sarebbe persino da sorridere per come la burocrazia del ministero di via Arenula e il Dap si arrampicano sugli specchi. Sapete perché tre casi di suicidio sarebbero dubbi? Perché chi si è tolto la vita in carcere in realtà è poi deceduto in ambulanza o in ospedale, non nella cella, e questo basta a lavare la coscienza dei burocrati. E proprio ieri la cronaca registrava due fatti molto significativi di quell’universo che solo i Radicali italiani, Pannella e la Bernardini, ma anche il sociologo Luigi Manconi, conoscono molto bene: da una parte una mezza rivolta delle guardie di custodia di Avezzano e dall’altra un parere molto negativo del comitato di bioetica sui penitenziari italiani. Cosa accomuna i due eventi? Sia la protesta sia il giudizio negativo sono dovuti all’eccessivo sovraffollamento. Che, per colpa della feroce demagogia dell’Italia dei Valori e della Lega Nord, quest’anno non sarà affrontato con alcun provvedimento svuota carceri lasciando la situazione estiva sostanzialmente alla misericordia divina. Se esiste. Gli agenti di custodia di Avezzano chiedono la riapertura del proprio istituto. L’azione di protesta è motivata “dall’atteggiamento dilatorio dell’amministrazione penitenziaria che, rispetto alla data di riapertura dell’istituto avezzanese - si legge in una nota - non da certezze al quel personale che da quattro anni, con enormi sacrifici personali, è costretto a percorrere centinaia di chilometri al giorno a proprie spese”. “Lo stato di agitazione e l’astensione della mensa di servizio proseguirà ad oltranza fino a quando l’amministrazione non darà certezze sulla data di riapertura della casa circondariale di Avezzano”. Nella seduta del 25 giugno, infine, il Comitato Nazionale per la Bioetica (Cnb) ha approvato il parere dal titolo “Il suicidio in carcere Orientamenti bioetici”, nato da un gruppo di lavoro coordinato dalla professoressa Grazia Zuffa. Il responso all’osso è questo: “Il Cnb ritiene che l’alto tasso di suicidi della popolazione carceraria, di gran lunga superiore a quello della popolazione generale, sia un problema di considerevole rilevanza etica e sociale, aggravato dalle presenti condizioni di marcato sovraffollamento degli istituti e di elevato ricorso alla incarcerazione”. Qualcuno adesso glielo spieghi anche a Bossi e a Di Pietro. Giustizia: Casellati; siamo valutando costruzione carceri “leggere” per chi è in attesa di giudizio Agi, 2 luglio 2010 “Il piano carceri si sta per varare. Noi abbiamo intrapreso la strada più difficile che è quella della riforma strutturale. Un piano dell’edilizia richiede la valutazione dell’aeree, la verifica sulla disponibilità delle aree e tutta una serie di approfondimenti che purtroppo richiedono tempo”. Così il sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati commenta l’emergenza nei penitenziari italiani. “Stiamo anche valutando l’ipotesi di costruire carceri per così dire “leggere” per i detenuti in attesa di giudizio e carceri più “pesanti” per i definitivi. Stiamo facendo un’indagine a tutto campo per verificare la fattibilità, ma anche il regime di sorveglianza - conclude Alberti Casellati - magari risparmiando con la videosorveglianza l’uso di agenti che oggi purtroppo sono in grande sofferenza perché fanno un’opera straordinaria con grandi sacrifici”. Giustizia: Osapp; il Governo non sta realizzando alcun cambiamento significativo per le carceri Ansa, 2 luglio 2010 “Il Governo, per mano del Ministro Alfano, non sta realizzando alcun cambiamento significativo per le carceri, gli unici intenti che saranno condotti a termine sono quelli di carattere infrastrutturale da 611 milioni di euro e non strutturale”. L’Osapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, replica così al sottosegretario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, giudicando le sue dichiarazioni “una difesa preventiva contro l’immancabile disastro, quando le criticità del sistema penitenziario si mostreranno in tutta la loro forza. I maggiori punti di caduta del sistema penitenziario italiano, da anni, riguardano la promiscuità della detenzione rispetto alla gravità dei reati commessi e il numero eccessivo di detenuti (oggi circa il 50%) in attesa di giudizio definitivo”, afferma ancora il sindacato secondo cui “la mancata differenziazione dei detenuti e gli abusi nella custodia preventiva in carcere, dovrebbero costituire da subito momento di seria riflessione politica”. Osapp scrive ad Alfano: stop agli accompagnamenti La polizia penitenziaria non è più in grado di far fronte ai servizi di accompagnamento dei detenuti alle udienze di convalida e alle direttissime. Lo sostiene il sindacato dell’Osapp, che denuncia il gravissimo sovraffollamento delle carceri e l’altrettanto grave carenza di personale. La polizia penitenziaria - si legge in una lettera del sindacato al ministro della Giustizia, Angelino Alfano - non debbono e non possono in alcun modo sostenere l’onere anche degli arrestati in flagranza di reato o da accompagnare alle udienze di convalida. Incombenze che, sostiene il sindacato, non dovrebbero ricadere sulla polizia penitenziaria, che continua di fatto a ottemperarle per colpa di una eccessiva disponibilità dell’amministrazione. Gli impegni che sono stati assunti di volta in volta per una congrua soluzione del problema - rincara la dose l’Osapp, che da tempo vede impegnata sulla questione anche la segreteria piemontese - non sono mai stati mantenuti. Giustizia: Sappe; bene i circuiti penitenziari differenziati e le “carceri leggere” Il Velino, 2 luglio 2010 “Può essere valutata positivamente la proposta della Sottosegretaria di Stato alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati di percorrere la tanto da noi auspicata strada dei circuiti penitenziari differenziati e, in questo contesto, costruire carceri per così dire ‘leggerè per i detenuti in attesa di giudizio destinando le carceri tradizionali a quelli definitivi. In questa direzione, c’è una soluzione alternativa per l’edilizia penitenziaria ed è un progetto, molto usato negli Stati Uniti, che riguarda un “sistema modulare”, vale a dire un edificio con grandi capacità di resistenza agli agenti atmosferici, agli attacchi chimici o ad altri processi deteriorativi, che può essere sopraelevato senza particolari misure strutturali e con costi competitivi e tempi di esecuzione estremamente rapidi. Si tratta di edifici con 600 posti letto costruibili in quattro mesi, con un costo inferiore ai 20 milioni di euro e posti in opera in soli 7 mesi. Questa potrebbe essere una prima rapida soluzione per deflazionare le affollate carceri italiane”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, in relazione alle dichiarazioni del Sottosegretario alla Giustizia Alberti Casellati. “È ovvio che per attivare nuove strutture penitenziarie è necessario avere le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria, che oggi non ci sono. Tutti sanno che gli organici del Corpo patiscono carenze quantificate in ben più di 6mila agenti. Vero è che da tempo immemore il Sappe, il primo Sindacato del Corpo di Polizia, sostiene l’esigenza di definire i circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità, specifici circuiti di custodia attenuata e potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale. Oggi ci sono in carcere oltre 68mila detenuti a fronte di una circa 42mila posti letto, il numero più alto mai registrato nella storia dell’Italia. Giusto dunque percorrere la strada dei circuiti penitenziari differenziati, ma è altrettanto necessaria una concreta riforma del sistema penale - sostanziale e processuale - che renda più veloci i tempi della giustizia.” Lettere: cronache da Rebibbia, dove in custodia cautelare ci sono detenuti… e detenuti di Stefano Anastasia e Fiorentina Barbieri Terra, 2 luglio 2010 Gli ex-dirigenti di Telecom Sparkle Mazzitelli, Comito e Catanzariti lasceranno probabilmente Rebibbia nelle prossime settimane. Questo è il risultato della decisione con cui la Cassazione ha contestato le motivazioni della misura cautelare cui sono sottoposti da più di quattro mesi. Antonio, invece - affetto da una patologia che gli impedisce una postura normale, deforma i movimenti del viso e del corpo e dà dolori diffusi; ma che soprattutto lo inchioda su una sedia a rotelle e lo fa dipendere da un compagno di cella per qualsiasi bisogno - è ancora lì, in un reparto inidoneo alla sua sofferenza, attaccato da mesi al suo catetere. La condizione di Antonio ci appariva abnorme, ma nello stesso reparto abbiamo incontrato Luigi, 42 anni, anche lui in custodia cautelare (ricorre in Cassazione contro una condanna per droga a pochi anni di carcere), anche lui sulla sedia a rotelle per un incidente che gli ha aggravato una naturale forma di prognatismo e gli ha formato delle placche che dovrebbero essere rimosse prima possibile, dal momento che può assumere solo liquidi e ha riportato un pesante e grave calo ponderale e della vista. L’intervento è quindi urgente e Luigi sarebbe in grado di sostenerlo economicamente presso una struttura idonea, impegnando i soldi che otterrà dall’assicurazione per l’incidente. L’anno scorso era, giustamente, al Centro clinico di Regina Coeli, dove era più accudito da un punto di vista sanitario. In quell’istituto ha però vissuto un momento particolare, nelle settimane dell’arresto, della morte e dello scandalo di Stefano Cucchi. Luigi parla di un’atmosfera assai tesa e di battibecchi con il personale di polizia, da cui gli sarebbe arrivata una denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale. Inizia così il suo girovagare “cautelar-punitivo”. È stato trasferito prima in un reparto dello stesso istituto con barriere architettoniche, poi (fumatore) in un reparto di non fumatori. Dopo uno sciopero della fame di protesta, viene mandato a Sulmona, uno degli istituti meno adatti per lui, con barriere architettoniche proibitive. Grazie alle proteste del suo avvocato, da lì viene poi trasferito un attimo ad Opera, Milano (ma quanto ci costano questi trasferimenti dei detenuti in giro per l’Italia?), per poi tornare a Roma, questa volta al Nuovo Complesso di Rebibbia. Qui scopre nuove vischiosità burocratico-penitenziarie, che gli impediscono di vedere il figlio e la compagna non riconosciuti legalmente. E poi ancora la fatica di un reparto ordinario e di un’attesa chissà quanto lunga per l’intervento sanitario di cui ha bisogno. Il tempo passa e le amministrazioni dello Stato perdono un’altra occasione per dimostrare che il principio di legalità vale per tutti, “buoni” o “cattivi” che siano. Sicilia: l’estate calda nelle carceri; detenuti stipati nelle celle, reparti di polizia all’osso La Repubblica, 2 luglio 2010 Detenuti stipati a decine nelle celle, reparti di polizia penitenziaria all’osso, il record di suicidi dall’inizio dell’anno. È la drammatica fotografia delle carceri in Sicilia che, con i suoi 8.318 detenuti, è la seconda regione d’Italia per sovraffollamento dopo la Lombardia. Oggi il provveditore alle carceri dell’Isola, Orazio Faramo, incontrerà a Roma il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. “Mi lamenterò - spiega - di questa situazione. I vuoti di organico dovrebbero essere riempiti dai concorsi. L’ultima sentenza della Corte europea ha un po’ migliorato la situazione, dal momento che per ogni detenuto sono previsti tre metri quadrati di spazio. Cerchiamo di privilegiare le attività volte alla socialità”. I dati ufficiali forniti dal provveditorato alle carceri siciliane parlano chiaro. Rispetto all’anno scorso nelle celle ci sono 800 detenuti in più, mentre i poliziotti penitenziari in servizio sono diminuiti di un centinaio. Su un campione di otto penitenziari siciliani, la situazione più drammatica è quella del carcere Piazza Lanza di Catania: qui, a fronte di una capienza di 457 detenuti, nelle celle si trovano 654 reclusi. Rispetto alla capienza prevista di 1.100 posti, anche i detenuti del Pagliarelli di Palermo non godono di spazi maggiori. Sono 1.353, infatti, i carcerati rinchiusi nelle celle. La storia non è diversa all’Ucciardone, dove i detenuti sono 706, mentre il penitenziario ne potrebbe ospitare 560. La musica non cambia quando si arriva al capitolo che riguarda i dati relativi alla polizia penitenziaria: nelle otto carceri prese a campione le carenze di organico vanno da 50 a 90 uomini. I dati ufficiali stridono con i numeri forniti dai sindacati e dal Garante per i detenuti della Sicilia, Salvo Fleres. “Quello della capienza massima di un carcere - dice Fleres, senatore del Pdl - è un concetto vago, bisogna guardare alla capienza effettiva dei penitenziari. Per non parlare dei numeri che riguardano la polizia penitenziaria: almeno il dieci per cento delle forze disponibili ogni giorno sono impegnate in traduzioni, scorte e altri incarichi”. Anche secondo i dati diffusi dal sindacato Uilpa penitenziari, dei 1.100 posti sulla carta a Pagliarelli, quelli effettivi sono 800. E sui 708 poliziotti in servizio ogni giorno nello stesso penitenziario, ce ne sono in campo 500. Ma c’è dell’altro. “Perché della mancanza di educatori psicologici non parla nessuno? - incalza Fleres - Sono ventiquattro le interrogazioni parlamentari che ho inoltrato al ministro della Giustizia e tutte sono in attesa di risposta”. Intanto, crescono i disagi dei detenuti che hanno avviato diverse proteste: da quella a oltranza, che inizierà oggi all’Ucciardone a quella di Piazza Lanza a Catania. I detenuti dell’Ucciardone non acquisteranno più prodotti dal “modello 72”, la lista di alimenti forniti nelle celle. “I prezzi - hanno fatto sapere i detenuti in una lettera a Repubblica - sono troppo cari”. Alle proteste pacifiche, purtroppo, si aggiungono i numerosi suicidi. L’anno scorso erano stati una sessantina. I 32 di quest’anno, in meno di sei mesi, arrivano come un grido d’aiuto. L’ultimo caso, due giorni fa, nel carcere di Giarre. Qui “la capienza massima è di 71 detenuti - dice Gioacchino Veneziano, segretario regionale della Uilpa - mentre sono presenti 111 carcerati”. Emilia Romagna: lettera aperta del Volontariato Giustizia; nelle carceri situazione disastrosa Ristretti Orizzonti, 2 luglio 2010 Il Volontariato Giustizia dell’Emilia Romagna segnala alla Vostra attenzione la disastrosa situazione di sovraffollamento delle carceri della nostra regione con la presenza di 4.508 detenuti (4.345 uomini e 163 donne) a fronte di una ricettività massima consentita pari a 2.393 (2.273 uomini e 120 donne), per un indice di sovraffollamento pari all’88%, il più alto in Italia che vanifica ogni tentativo di pena utile e viola in modo pesante i diritti delle persone recluse, rendendo molto complicato anche il lavoro degli operatori. Chiede a tutti voi un gesto di responsabile attenzione a un problema che cresce di giorno in giorno e non lascia intravedere né possibili sbocchi immediati e né ragionevoli prospettive future. Siamo molto preoccupati della situazione ci sentiamo impotenti come cittadini e come esseri umani. Abbiamo letto con attenzione il recentissimo intervento del Comitato Nazionale per la Bioetica nel cui contenuto ci riconosciamo integralmente e che riproduciamo di seguito. Nell’immediato proponiamo di sollecitare il Governo affinché recuperi in tempi brevi la proposta del Ministro Alfano che apriva qualche possibilità di uscita per chi è molto vicino al fine pena e di promuovere una maggiore applicazione delle misure alternative che sembrano essere troppo dimenticate. Poniamo infine alla riflessione Vostra e di tutti i liberi cittadini le recenti leggi che hanno originato la follia del sovraffollamento. Contiamo sulla Vostra attenzione e sul Vostro impegno. Veneto: Ruzzante (Pd) ; dalla Regione assenza di interventi per le carcere Ansa, 2 luglio 2010 Dopo il suicidio di Santino Mantica avvenuto ieri all’interno del carcere Due Palazzi di Padova, il consigliere regionale del Partito Democratico, Piero Ruzzante, accusa “l’assenza di interventi” da parte della Giunta regionale del Veneto presieduta da Luca Zaia. “La cartina tornasole della scarsissima attenzione che Zaia e gli assessori competenti dedicano all’emergenza carceraria - afferma l’esponente democratico padovano - viene dalla totale mancanza di risposte ad un’interrogazione che ho presentato un mese e mezzo fa chiedendo in particolare se ci sia l’intenzione di ripristinare presso l’ospedale di Padova uno specifico reparto riservato alla degenza di persone in stato di detenzione e se non si ritenga opportuno fare pressing sul ministro di Grazia e Giustizia per sollecitare il potenziamento degli organici e dei mezzi del personale penitenziario”. “Per quanto riguarda il circondariale - precisa il consigliere - la struttura, inaugurata solo due anni fa, è già inadeguata: i detenuti sono 262 a fronte di una capienza ottimale di circa 80 posti e una capienza tollerabile di circa 130, il personale penitenziario è sotto organico di 40 unità e gli operatori sanitari sono in servizio per sole diciotto ore. Nella sezione penale del carcere - prosegue il consigliere - i detenuti sono oltre 800, mentre la capienza ottimale è di 400. Esistono celle dove sono rinchiusi 6-7 detenuti e addirittura, nelle sezioni ad alta sicurezza che ospitano persone condannate per reati gravi e dove si prescrive che ogni cella possa accogliere un solo detenuto, in realtà ci sono casi in cui 2 o 3 detenuti vivono nella medesima cella. Siamo di fronte ad una situazione - conclude Ruzzante - che rende vano il principio costituzionale secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Padova: Cgil; ennesimo suicidio, basta con i “buoni propositi”, chiediamo risposte concrete Ristretti Orizzonti, 2 luglio 2010 Ieri notte si è consumato l’ennesimo, già il terzo dall’inizio dell’anno, suicidio presso le strutture carcerarie di Padova. Questa volta il teatro della tragedia è stata la Casa di Reclusione. Un giovane, con pochi mesi da scontare, si è tolto la vita. Non conosciamo la dinamica del fatto, ma ci attendiamo l’ennesimo carosello di dichiarazioni, da parte di ministri e sottosegretari, a cui farà seguito il nulla. Da tempo denunciamo la situazione insostenibile: strutture al collasso, detenuti ammassati come carne da macello, operatori del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria costretti a lavorare in condizioni indecenti. Ora col caldo tutto peggiora e la situazione può divenire insopportabile ed in gestibile. Ciò è frutto delle scellerate scelte del governo: si parla di sicurezza, ma in realtà in galera spesso finiscono solo i pesci piccoli, si annunciano nuove strutture, ma poi il governo, con la manovra, taglia i finanziamenti, non si applicano misure di depenalizzazione o le misure alternative che costerebbero meno alla collettività e, soprattutto, favorirebbero il recupero, mentre chi va in carcere, purtroppo, spesso ci ritorna e qualche volta non ne esce più. Sono temi su cui è insopportabile la demagogia spesa a piene mani mentre perdura una condizione indegna di un paese che vorremmo ancora civile. Non più tardi di un mese fa ci siamo recati in delegazione presso le strutture penitenziarie padovane e da tempo avanziamo proposte. Chiediamo ad i soggetti che hanno responsabilità istituzionale l’apertura immediata di un confronto senza doverci trovare, tra qualche tempo a piangere un nuovo morto! Per la Segreteria Fp Cgil Salvatore Livorno per la Segreteria Cgil Alessandro Chieregato Verona: Giuseppe Ongaro; ho licenziato ottocento lavoratori, ora offro un impiego ai carcerati” Corriere Veneto, 2 luglio 2010 Con un socio gestisce l’azienda di assemblaggio che opera all’interno di Montorio. Fino a sei anni fa faceva il “tagliatore di teste” per le società in crisi e guadagnava 7.500 euro al mese. Ha mollato tutto per i detenuti. “Non mi descriva come un santo: non lo sono mai stato”. Questo lo precisa subito. Perché i santi non hanno conti in sospeso con la vita. “E invece io sono in debito, e lo sarò sempre”, assicura. Giuseppe Ongaro ha vissuto due volte. Fino a sei anni fa lavorava come consulente per grandi aziende in Italia e all’estero. Era ricco e aveva una villa di 250 metri quadrati. Oggi aiuta i carcerati, guadagna 1.500 euro al mese e abita in un appartamento. “Ma sono felice, è ciò che mi sono scelto”, dice sorridendo. Chi conosce bene questo veronese di 54 anni se lo ricorda al volante di auto costose. “La mia era una vita godereccia “, ammette. “Mi pagavano per riqualificare le società e ristrutturarle”. Parole eleganti per dire che uno dei suoi compiti era di licenziare. Quelli come lui, li chiamano “tagliatori di teste “. “Era solo il mio lavoro. Altrimenti, se non ottimizzavo le risorse, le ditte rischiavano di chiudere”, assicura. E lui, il suo lavoro, lo faceva bene. “Nella mia carriera ho licenziato circa 800 persone”, ricorda. “Una volta mi spedirono in un’azienda friulana che aveva 640 dipendenti. Ne licenziai 480. Era necessario: l’alternativa era il fallimento. Però feci il possibile per aiutarli a trovare un’altra occupazione”. Guadagnava 7.500 euro al mese. “L’accordo con le società era chiaro: mi versavano una percentuale dei profitti. E le cose, devo ammetterlo, andavano piuttosto bene”. Quella vita “godereccia” è finita nel 2004, quando Ongaro ha deciso che era ora di piantarla. “Ho mollato tutto - ricorda - per aprire la “Lavoro e Futuro srl”. Era un’idea che avevo da tempo. Nel 1991 avevo collaborato alla fondazione di una cooperativa per persone disabili, ma questo era un progetto completamente diverso”. Assieme al suo socio Edgardo Somma ha creato l’azienda che, dal novembre 2005, realizza prodotti all’interno della prigione di Montorio. Lui che era specializzato nel licenziare, oggi offre lavoro a 48 carcerati, tutti assunti a tempo indeterminato con regolare contratto. Hanno commesse di assemblaggio per cartotecniche, produttori di profumi, dvd, gadget e pannelli solari e gestiscono, sempre all’interno della casa circondariale, due serre dove si coltivano seimila piante. Giuseppe Ongaro ieri raccontava la sua storia davanti a una bottiglietta d’acqua, al bancone del bar frequentato dalle guardie carcerarie. È stata una buona giornata per lui: per un paio d’ore ha fatto da guida al presidente della Provincia in visita al carcere di Montorio. Gli ha mostrato i reparti produttivi e Giovanni Miozzi ha assicurato che l’ente farà il possibile per aiutare gli ex detenuti a trovare una occupazione. “Ho deciso di mollare tutto e aiutare i carcerati - conclude - perché sentivo il bisogno di restituire un po’ di quello che la vita mi ha dato. In fondo sono sempre stato un uomo fortunato”. Milano: Progetto “Re Turn”, i detenuti assemblano computer donati da tutta Italia Redattore Sociale, 2 luglio 2010 Salvaguardare l’ambiente e reinserire persone svantaggiate nel mondo del lavoro. È questo l’obiettivo del progetto promosso da Casa della Carità e Re-Tech life. “Re Turn”, ovvero solidarietà e rispetto ambientale: un progetto ambizioso, nato dalla collaborazione tra la cooperativa Lavoriamo, la Casa della carità e la onlus Re Tech Life. Un gruppo di detenuti ed ex detenuti provenienti dalle carceri di Opera, Bollate Monza e presto anche Lecco, si occuperà di rimettere in sesto vecchie macchine utensili e computer per consegnarle a scuole o altri enti a cui possono servire. Così, oltre a dare lavoro a una categoria di persone ai margini della società, verrà favorito il recupero e il riciclaggio di materiale informatico. La base di Re Tech Life si trova a Usmate Velate, in Brianza. “Oggi lavorano insieme a noi circa una ventina di detenuti - spiega Alberto Biella, responsabile della cooperativa -. All’inizio il loro compito è quello di pulire i Pc e di gestire il magazzino. Poi man mano che si inseriscono svolgono mansioni sempre più complesse”. Per il prossimo 6 luglio è previsto un corso di 68 ore destinato a una decina di detenuti del carcere di Lecco che presto entreranno nella cooperativa. Fino ad oggi la maggior parte dell’attività di Re Tech Life consisteva nel destinare macchine ancora funzionanti a chi non le possiede. Grazie all’intervento della cooperativa Lavoriamo, però, si occuperà anche di rifiuti elettronici. “Così potremo fare qualcosa anche per salvaguardare l’ambiente - dice Alberto Biella. Il ritiro del materiale verrà effettuato dalla cooperativa”. “Coniugare un lavoro a forte impatto ambientale con la possibilità di creare occupazione per soggetti svantaggiati significa fare impresa in modo responsabile e intelligente - dichiara don Virginio Colmegna, presidente della fondazione Casa della carità. Auspichiamo che alleanze di questo tipo possano diventare un punto di riferimento anche per altre realtà non solo del privato sociale”. Foggia: detenuti in protesta; pentole e coperchi contro le inferriate delle finestre Asca, 2 luglio 2010 Pentole, piatti e coperchi contro le inferriate delle finestre delle loro celle. Questa la forma di protesta dei detenuti del carcere di Foggia che stanno manifestando contro il sovraffollamento della struttura. Alzano la voce per denunciare le condizioni di vivibilità nel penitenziario dauno, già di per sé difficili e che con le alte temperature diventano insostenibili. La struttura, concepita per poter ospitare al massimo 400 detenuti, attualmente ne contiene oltre 700 ma, in alcuni periodi si è sfiorata la soglia di 850 detenuti e i reclusi sono stipati quasi uno sull’altro. Numeri che tradotti in termini di vivibilità fanno accapponare la pelle. Significa, infatti, che in una cella di sei metri per tre, realizzata per ospitare non più di due persone, vengono ammassati cinque o sei detenuti. Ad aggravare la situazione anche le elevate temperature di questi giorni. Caldo insopportabile che, di sicuro, non facilita la sopravvivenza. I detenuti sono costretti a trascorrere gran parte della giornata distesi sul letto, per cercare, almeno in parte, di ottimizzare lo spazio a loro disposizione. La cosiddetta “spadellata” che sarà ripetuta tre volte al giorno fino al 15 luglio; Foggia, inoltre, è l’unico penitenziario in tutta la Puglia ad attuare questa forma di protesta. Un disagio, quello del sovraffollamento, vissuto anche dagli agenti di polizia penitenziaria: ad oggi circa 400 unità troppo poche per far fronte alle esigenze di sicurezza. Secondo i sindacati di categoria, inoltre, per i mesi estivi difficilmente si potranno garantire ferie e riposi al personale, se non aggravando la situazione di chi resta al lavoro. Roma: murales realizzato dai detenuti a Rebibbia sarà l’immagine stampata sulle tessere Uisp Redattore Sociale, 2 luglio 2010 Sarà l’immagine della prossima stagione sportiva 2010-2011: il progetto, che si chiama “Rebibbia on the wall”, è nato per riqualificare e migliorare la zona dei passeggi del reparto. Il murales realizzato da alcuni detenuti a Rebibbia sarà l’immagine stampata sulle tessere Uisp della prossima stagione sportiva 2010-2011. Inaugurato oggi pomeriggio a Roma nella sezione “G12 alta sicurezza” del nuovo complesso di Rebibbia, il murales è stato voluto, ideato e realizzato da dieci detenuti (tutti italiani tranne uno) del Circolo “La rondine”, affiliato alla Uisp e costituitosi all’interno del carcere romano. Il progetto, che si chiama “Rebibbia on the wall”, è nato per riqualificare e migliorare la zona dei passeggi del reparto G12 ed è stato realizzato grazie al contributo del Garante dei diritti dei detenuti della regione Lazio, della Casa circondariale, della Uisp, dell’Associazione culturale Walls e di Rubiklab studio, due realtà esperte in interventi di decorazione pubblica. Sul muro grigio che delimita l’angolo di giardino e la zona dei passeggi della sezione G12 ora c’è quindi un’opera astratta: una specie di tentacolo geometrico, o di lembo di terra visto dall’alto e tirato con un filo da n bambino con al centro due piccole figure scure stilizzate che tengono “a mo” di aquilone quelli che sembrano essere piccoli banchi di nuvole bianche. Cento metro quadrati di muro decorato con la predominanza di tutte le tonalità del giallo e dell’azzurro, dai colori più carichi alle sfumature più pastello. “Si tratta di una proposta venuta dal basso, dall’interno. Questo è molto importante perchè non è stata una imposizione calata dall’alto”, spiega Carmelo Cantone, direttore dell’Istituto penitenziario. “Non per niente ci chiamiamo Unione italiana sport per tutti - dice Filippo Fossati, presidente della Uisp -. Questa esperienza ci dimostra che potrebbe essere allargata anche ad altre carceri italiane; basta la volontà”. Anche perchè “ci sono molti altri muri da abbellire”, commenta Angiolo Marroni, Garante dei detenuti del Lazio. Da settembre quindi il murales di Rebibbia uscirà all’esterno per essere sulle tessere di oltre 1 milione e 200 mila associati Uisp. Avezzano (Aq): carcere chiuso da oltre tre anni, protestano gli agenti Il Centro, 2 luglio 2010 Doveva riaprire nel 2009. Poi, dopo le proteste, il Provveditorato alle opere pubbliche assicurò l’apertura a giugno 2010. E invece il carcere di San Nicola è ancora chiuso e la polizia penitenziaria convoca lo stato di agitazione e inizia lo “sciopero della mensa”. È una storia senza fine quella del carcere di Avezzano, chiuso ormai da oltre tre anni. La struttura è pronta ad accogliere più di 100 detenuti, oltre ai 42 agenti di polizia penitenziaria previsti, ma solo sulla carta. Infatti i trasferimenti non sono ancora iniziati. Ad aprile scorso il Provveditorato regionale alle opere pubbliche, dopo una richiesta al Ministero della Giustizia e alla direzione del carcere inoltrata dal sindaco di Avezzano Antonio Floris, aveva assicurato che i lavori sarebbero stati “ultimati il 21 giugno ed entro la fine dello stesso mese sarebbero state eseguite le operazioni di collaudo”. Il carcere però è ancora chiuso e il personale di polizia penitenziaria - attualmente distaccato a Sulmona, a L’Aquila e nella Scuola di formazione amministrazione penitenziaria di Sulmona - ha annunciato che “rifiuterà a oltranza la mensa di servizio e proclamerà lo stato di agitazione”. Un modo per protestare “contro l’atteggiamento dilatorio dell’Amministrazione penitenziaria che, rispetto alla data di riapertura non da certezze al quel personale che da quasi 4 anni, con enormi sacrifici personali, è costretto a percorrere centinaia di chilometri al giorno a proprie spese”. “Il personale”, sottolinea il segretario generale Fns della Cisl Abruzzo Lanfranco D’Agostino “è stanco dei continui annunci dell’Amministrazione che prima annuncia la riapertura nei primi giorni di aprile, poi la differisce ai primi di luglio e infine annuncia che non vi sono elementi oggettivi che permettono di individuare una data certa”. Lo stato di agitazione e l’astensione della mensa di servizio proseguirà ad oltranza, almeno fino a quando non sarà resa nota una data certa di riapertura della casa circondariale di Avezzano. In caso contrario, il sindacato annuncia un “sit-in” davanti al carcere entro i primi dieci giorni di luglio con il coinvolgimento delle autorità politiche e istituzionali. Vibo Valentia: la polizia penitenziaria trova un cellulare in carcere Il Velino, 2 luglio 2010 Un’operazione della Polizia penitenziaria del carcere di Vibo Valentia ha portato al ritrovamento di un telefono cellulare all’interno della struttura detentiva della città calabrese. L’operazione, iniziata nella mattina di ieri, è terminata solo a notte fonda e ha richiesto anche l’impiego di uomini in servizio al Provveditorato regionale della Calabria. “Gli uomini e le donne della polizia penitenziaria - dichiara Francesco Ciccone, segretario provinciale del Sappe di Vibo Valentia - coordinati dal comandante del reparto di Vibo, alla fine hanno ripristinato la legalità, sequestrando il telefono cellulare che poteva essere usato per comunicare con l’esterno. Nonostante le gravi carenze di personale - dichiara Damiano Bellucci, segretario regionale della Calabria, la continua riduzione del lavoro straordinario che dovrebbe servire per sopperire alle carenze di uomini e donne (proprio quest’anno lo straordinario è stato ridotto di 100.000 ore rispetto a quello consumato lo scorso anno) la polizia penitenziaria continua a garantire la legalità all’interno ed all’esterno delle carceri calabresi”. “La Calabria si conferma regione dove la criminalità tenta sempre, in tutti i modi ed in ogni luogo, di compiere attività illecite - afferma Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe. Massa: detenuto tenta il suicidio bevendo il detersivo, situazione a rischio Il Tirreno, 2 luglio 2010 Era stato portato pochi giorni prima in carcere perché doveva scontare un residuo di pena di un mese. In cella c’era già stato e non ci voleva tornare, neppure per quattro settimane. Magrissimo, con problemi di tossicodipendenza. Nemmeno trentenne. L’altra sera era particolarmente scosso e ha aspettato il buio per prendere un flacone di detersivo che si trovava sotto il lavandino e se lo è scolato. Forse sarebbe morto se un agente penitenziario non si fosse accorto quello che era avvenuto. Così è stato portato in infermeria e i medici gli hanno fatto una lavanda gastrica. Adesso sta bene, anche d’ora in poi verrà tenuto in infermeria per controllarlo ventiquattro ore su ventiquattro. A raccontare l’episodio è il direttore della casa circondariale di via Pellegrini, Salvatore Iodice. E lo fa per sottolineare come le condizioni in carcere - non solo in quello di Massa - sia sempre più insopportabili. Iodice ne ha fatto un dovere professionale quello di ribadire ogni volta che così la detenzione crea più danni che altro. E lo dice quando alle sue dimissioni potrebbero mancare pochi mesi (ha fatto domanda dopo la manovra, ma non è detto che non ci ripensi): “La nostra struttura dal punto di vista architettonico va bene, il problema è che in una cella da due persone ce ne stanno sei. È chiaro che poi si rischiano episodi come quello capitato a quel povero ragazzo. Uno che in carcere per un residuo di pena di un mese forse sarebbe stato meglio mandarlo in comunità”. Ma il tentato omicidio è soltanto la punta dell’iceberg: “Nella sezione C gli agenti fanno una fatica enorme a tenere la situazione sotto controllo. Ci sono elementi particolarmente violenti. E il problema è che si trovano persone in attesa di giudizio, arrestati in flagranza. Difficile da gestire”. E Iodice non si sorprende neppure della lettera che il tossicodipendente ha inviato al Tirreno (vedi box): “Purtroppo è tutto il sistema carcerario a dover essere rifondato, ma sembra non importare a nessuno”, conclude il direttore. Como: detenuto armato di lametta si ferisce davanti al giudice Ansa, 2 luglio 2010 Mattinata tesa, quella di ieri, al palazzo di giustizia di Como. Dove nel bel mezzo di un’udienza preliminare un detenuto cubano, chiamato a rispondere davanti al giudice di un banalissimo reato di resistenza nei confronti degli agenti della polizia penitenziaria del Bassone, ha iniziato a ferirsi al collo e alle braccia con una lametta che era riuscito a nascondere dai controlli compiuti all’uscita della prigione dov’è attualmente detenuto, ovvero Voghera. Campos Pazos, in cella per scontare una pesante condanna, ha atteso una pausa dell’udienza per dare vita al suo macabro show all’interno dell’aula al primo piano del tribunale: pur ammanettato, con la lametta ha iniziato a ferirsi al collo e alle braccia, causando un importante sanguinamento, non tale da metterlo in pericolo di vita. L’uomo è stato immediatamente bloccato dagli agenti della polizia penitenziaria. Quindi è stato soccorso dai volontari della Croce Rossa e portato - a fatica - fuori dal tribunale per essere caricato in ambulanza e trasportato in pronto soccorso. Da quanto è stato possibile ricostruire il detenuto cubano aveva nascosto la lametta in bocca, consapevole che sarebbe stato accuratamente perquisito all’uscita dal carcere di Voghera. Non è la prima volta che l’uomo è protagonista di atti di autolesionismo, tutte le volte terminati - come ieri - con ferite fortunatamente superficiali e lievi. Medio Oriente: Netanyahu apre; mille detenuti liberi in cambio di Shalit Ansa, 2 luglio 2010 Il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è detto pronto a liberare mille detenuti palestinesi per ottenere la liberazione di Gilad Shalit, il soldato prigioniero di Hamas da 4 anni. Il premier ha detto di aver accettato la proposta “del mediatore tedesco”. Questo è il prezzo che sono disposto a pagare per riportare Shalit a casa. L’accordo è pronto per l’immediata esecuzione”. Netanyahu ha sottolineato di essere disposto “a pagare un caro prezzo, ma non qualunque prezzo”, visto che in passato i palestinesi liberati erano tornati ad attaccare Israele. I limiti posti dal premier sono due: “Il primo principio è che terroristi pericolosi non torneranno nelle aree di Giudea e Samaria (la Cisgiordania) da dove continuare ad attaccare Israele”. Potranno andare in Tunisia o nella Striscia di Gaza o in qualsiasi parte ma non in Cisgiordania. Il secondo punto è che non saranno liberati “terroristi di importante livello”. Per Hamas non ci sono novità nel discorso di Benyamin Netanyahu in merito alla vicenda del soldato Gilad Shalit e il primo ministro israeliano “sta cercando di manipolare l’opinione pubblica israeliana”. “Non c’è niente di nuovo nel discorso di Netanyahu - ha detto il portavoce di Hamas, Ismail Radwan, citato dal sito israeliano Ynetnews - se Israele vuole un accordo deve accettare le richieste delle organizzazioni palestinesi”. Secondo fonti vicine al negoziato per un eventuale scambio fra Shalit e detenuti palestinesi, sempre citate sul sito, non vi sono stati progressi nella trattativa.