Giustizia: carceri che esplodono e disegni di legge che languono in parlamento Articolo 21, 24 luglio 2010 Oggi il contatore delle morti in carcere segna quota 38. A togliersi la vita un detenuto 38enne, recluso presso il carcere di Catania. Da tempo minacciava di tagliarsi la carotide con una lametta e oggi lo ha fatto. Arrestato il 16 aprile del 2008 assieme a altre sette persone, nel Ragusano, nell’ambito di un’operazione antiracket coordinata dalla Dda di Catania era in attesa di giudizio. Sul suicidio la procura etnea ha aperto un’inchiesta, ma ombre sempre più scure si affollano sulle carceri siciliane. Stando al bollettino dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere, che fornisce nel dettaglio anche le modalità scelte per togliersi la vita (32 impiccati, 5 asfissiati col gas e 1 sgozzato). “Un trend negativo che, a meno di clamorose inversioni, - fa notare l’Osservatorio - a fine anno produrrà un numero di decessi in carcere mai visto, né immaginabile fino a pochi anni fa: a titolo di esempio nel 2007 i suicidi furono 45, l’anno successivo 46, ma oggi i numeri sono quasi raddoppiati”. C’è un malessere che affligge tutto il sistema penitenziario italiano, non solo i detenuti ma lo stesso personale, difficilmente sanabile in mancanza di soluzioni. Mentre di contro aumentano le denunce e gli scandali, come il caso emerso in seguito alla denuncia apparsa su Radiocarcere e confermata dalla visita effettuata dai Radicali e da Ristretti orizzonti presso il carcere dell’Ucciardone a Palermo, dove i detenuti vengono rinchiusi in una gabbietta tipo “canile”. Dura la presa di posizione del Garante dei detenuti della Sicilia, il senatore PdL Slavo Fleres, che nel denunciare i ritardi e le inadempienze afferma in una nota: “L’ufficio del Garante dei diritti dei detenuti, da questo momento in poi - conclude Fleres - valuterà la possibilità di costituirsi parte civile, contro gli eventuali responsabili di questi tragici fatti e degli altri episodi di violenza che, quotidianamente, si verificano in tutte le carceri”. È infatti fermo in Commissione giustizia il cosiddetto Ddl svuota-carceri, mentre i comuni attendono ancora le specifiche sul nuovo Piano Carceri di cui si parla ormai da più di un anno. In ultimo è approdato al Senato un nuovo disegno di legge, presentato dal senatore PdL Luigi Compagna per la concessione dell’amnistia per “i reati commessi fino a tutto il giorno 16 maggio 2010” e per quei reati per i quali “è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena” e l’indulto “nella misura non superiore a 4 anni per le pene detentive e non superiore ad euro 10.329,13 per le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive”. Giustizia: ancora suicidi in cella, intanto il Piano carceri è fermo perché non ci sono soldi di Livia Ermini Il Messaggero, 24 luglio 2010 Si è ucciso recidendosi la carotide con una lametta mentre si faceva la barba. Andrea Corallo aveva 39 anni ed era detenuto nella casa circondariale Catania Bicocca. Ieri mattina ha iniziato a protestare con veemenza minacciando proprio di tagliarsi la gola, a nulla è valso l’intervento degli agenti di polizia per cercare di fermarlo. La Procura della Repubblica di Catania ha aperto un’inchiesta e sono già stati ascoltati i due compagni di cella mentre, per chiarire meglio la vicenda, il procuratore Angelo Busacca ha disposto l’autopsia. Corallo era stato arrestato nell’ambito di un’operazione antiracket coordinata dalla Dda di Catania ed era in attesa di giudizio. Prima di lui: Italo Saba e Rocco Manfrè, anch’essi morti di carcere a metà luglio rispettivamente a Sassari e Caltanissetta. Dall’inizio del 2010 sono 38 i detenuti che si sono tolti la vita in Italia. Una vera e propria strage che torna puntuale con le temperature torride dell’estate. A questi occorre sommare i 46 tentativi di suicidio non portati a termine esclusivamente per l’intervento in extremis dei poliziotti. La situazione è ormai al collasso: 9 agenti feriti di recente, un’evasione e un sindacato di polizia penitenziaria che annuncia azioni di lotta. All’interno le condizioni di vita sono spaventose: endemica carenza di personale, contesto igienico e sanitario ai limiti e l’eterno nemico: il sovraffollamento. Secondo i dati del Ministero dell’Interno nelle patrie galere i detenuti sono 68mila per una capienza di 44mila, di cui la metà (37 mila) in attesa di condanna definitiva. 12 mila 500 sono gli stranieri. “Abbiamo la sensazione - ha detto il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno - che nemmeno questa strage silenziosa scuota dal torpore una classe politica che ha, evidentemente, accantonato la questione penitenziaria. Dall’1 gennaio 38 detenuti, 4 agenti penitenziari e un dirigente generale si sono suicidati. Si continuano ad ammassare persone in spazi che non ci sono. Il personale deve rinunciare ai diritti elementari e sottoporsi a turni massacranti per reggere la baracca. La questione penitenziaria è anche una questione morale. Per i tanti sprechi. Per l’incapacità di risolvere”. Facile dunque che la situazione degeneri. A Vibo Valentia la protesta è scoppiata per la mancanza di acqua corrente per due giorni. A Foggia sono stati gli agenti a “scioperare” non ritirando il cibo per una settimana dalla mensa di servizio. In Puglia, secondo il Sappe, la popolazione detenuta ha superato di quasi il 100 per cento i posti disponibili. Il caso limite: l’Ucciardone di Palermo. 700 detenuti a fronte di 430 posti. Solo 8mila euro l’anno per le spese di ordinaria amministrazione. Un solo infermiere e un medico h 24. Malattie infettive e patologie psichiatriche di ogni genere. Anche 13 mesi per un colloquio con la famiglia, 7 con un educatore. E poi topi e scarafaggi. E una struttura che si chiama “il canile” - ha detto la deputata radicale Rita Bernardini - dove vengono portati i detenuti dopo l’arresto. Sono celle senza arredamento e sporchissime. A Roma la struttura del Regina Coeli è vecchia. Da anni si parla di chiuderla, ma non esiste nessun progetto in tal senso. 1.100 detenuti contro i 700 previsti. Celle anguste con letti a castello a tre piani. Alle finestre, le famose “gelosie”, paratie in legno che impediscono di guardare dentro ai “vicini” di Trastevere. In una sezione ci sono ancora i portoni delle celle in legno, infiltrazioni di umidità e giornali a terra per tamponare perdite d’acqua. A pallone si gioca in un cortile triangolare di cemento. Qualcosa però è stato fatto. Le sezioni sono state ristrutturate e le celle dotate di bagno. C’è una biblioteca che eroga circa 300 prestiti al mese. “Le criticità per noi - segnala il direttore Mauro Mariani - sono l’alta percentuale (50%) di stranieri e di tossicodipendenze (30%)”. Intanto il Piano carceri è fermo. Il programma per la costruzione di nuove strutture rimane sulla carta. Non ci sono i soldi. “Non vedo una via d’uscita ma solo l’aggravarsi continuo di una situazione - dice il Garante del Lazio Angiolo Marroni. I detenuti aumentano sempre di più, mentre le guardie sono sempre lo stesso numero”. Giustizia: Ferrante (Pd); ennesimo suicidio mostra condizioni disperate delle carceri Adnkronos, 24 luglio 2010 “La modalità drammatica e cruenta del suicidio del detenuto nel carcere di Catania pone all’attenzione dell’opinione pubblica, per l’ennesima volta, le condizioni di disperazione e assoluta precarietà in cui versano le carceri italiane. Attendiamo che il governo, più volte sollecitato a rispondere della situazione carceraria italiana, si degni di venire in Parlamento a esporre, se ne è in possesso, le proposte e i piani per contenere una situazione ormai di fatto esplosiva”. Lo dichiara Francesco Ferrante, senatore del Pd. “La drammatica cifra di 38 suicidi - continua Ferrante - dà la misura del fallimento di questo governo sulle politiche carcerarie e detentive, che sono state abbandonate a favore di un demagogia che propone semplicemente più strutture carcerarie, mentre nulla in termini di provvedimenti mirati come la riduzione del numero di persone in custodia cautelare o di revisione dei meccanismi di obbligatorietà della carcerazione preventiva, estendendo l’applicazione degli arresti domiciliari, è stato avanzato”. “Sarà una lunga estate calda nelle carceri italiane sovraffollate, ma il governo - conclude il senatore Pd - assiste inerte a questa strage silenziosa, abbandonando i detenuti al loro destino e dimenticandosi delle logoranti condizioni di lavoro in cui versano le guardie penitenziarie”. Giustizia: Detenuto Ignoto; “canile” Ucciardone e l’ennesimo suicidio, nuove infamie quotidiane Ristretti Orizzonti, 24 luglio 2010 Dichiarazione di Irene Testa Segretario dell’Associazione Radicale Il Detenuto Ignoto: “L’esistenza del “canile” nel carcere dell’Ucciardone, denunciato dalla parlamentare Rita Bernardini, è una vergogna immensa per il nostro Paese e per le Istituzioni, alle quali chiediamo che vadano urgentemente e senza alcun tipo di preavviso a visitare queste strutture. Ci rivolgiamo al Ministro Alfano, al Comitato contro la tortura e ai Parlamentari e Consiglieri regionali di ogni schieramento, che hanno poteri di sindacato ispettivo, perché verifichino e rivolgano interrogazioni e denuncie verso chi è responsabile di tale vergogna. Il suicidio avvenuto ieri non è che l’ennesimo capitolo della stessa strage che in simili condizioni va avanti ormai da troppo tempo, a cui un Governo e un parlamento inerti non riescono a porre un argine. È ora di dire basta a questa strage di legalità e di diritto. Il Ministro Alfano intervenga urgentissimamente sulla questione carceraria, prima che ci sia bisogno anziché di costruire nuove carceri, di esser costretti a costruire nuovi cimiteri. Le giurisdizioni internazionali e l’UE verifichino e spronino l’Italia alle doverose azioni a tutela dei diritti e delle esistenze dei cittadini detenuti. Giustizia: Sappe; tra suicidi e aggressioni siamo davanti a pagina nera per sistema penitenziario Adnkronos, 24 luglio 2010 “Anche quella di oggi è una pagina nera per le carceri italiane. Detenuti suicidi o salvati giusto in tempo, agenti aggrediti, tensioni continue. E a margine di tutto ciò, addirittura il dramma umano di un dirigente generale dello Stato, provveditore penitenziario per la Calabria, che si toglie la vita. Si continua a voler ignorare, a più di sei mesi dalla dichiarazione dello stato d’emergenza per la questione penitenziaria, che le carceri stanno per esplodere, con oggi presenti 68.333 detenuti, dei quali 29.229 imputati, 37.111 condannati e 1.805 internati”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, in relazione agli eventi critici avvenuti nelle ultime ore in alcuni penitenziari del Paese. “Si continua a voler ignorare - rileva Capece - che 172 istituti penitenziari italiani su 204, pari all’84,31%, superano la capienza regolamentare. E che 103 istituti su 204, pari al 50,49%, superano la capienza tollerabile. La mancata previsione ed approvazione di interventi strutturali sull’esecuzione della pena e sul sistema penitenziario nazionale hanno nuovamente portato gli istituti di pena del Paese in piena emergenza, lasciando soli a loro stessi gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria che conta carenze quantificabili in 6mila unità. E intanto il più volte annunciato piano carceri non vede luce e le annunciate assunzioni di 2mila nuovi agenti restano solamente una dichiarazione d’intenti”. Alla vigilia dell’indulto del 2006 - aggiunge Capece - dicemmo che quell’iniziativa sarebbe stata un autentico suicidio politico se alla stessa non si fosse aggiunta una profonda rivisitazione delle politiche della Giustizia e dell’assetto dell’Amministrazione penitenziaria. Da allora abbiamo assistito alla caduta di un Governo, al tracollo di un largo settore della classe politica italiana che stenta ancora a riprendersi, mentre decine di migliaia di Poliziotti Penitenziari per quelle parole non ascoltate, sono costretti a mettere a rischio la propria salute e quella dei propri cari, esponendoli a malattie infettive che si ritenevano debellate in Italia, ma che sono largamente diffuse in carcere”. “Fin qui il Personale ha mostrato di mantenere fede alla propria promessa rinnovata ad ogni Festa del Corpo al servizio del Paese, ma è giunto il momento - conclude il sindacalista - che i rappresentanti dello stesso Paese dimostrino che le periodiche visite in carcere non si sono limitate e non si limitano ad una passerella mediatica”. Lettere: no al carcere automatico per sospettati di violenza sessuale, la notizia più bella dell’anno di Filippo Facci Libero, 24 luglio 2010 Ritengo che la notizia più bella dell’anno - dopodiché potete anche impiccarmi - sia che la Corte Costituzionale ha bocciato la norma che prevedeva il carcere automatico per tutti i sospettati (solo sospettati) di violenza sessuale e pedofilia, si parla cioè di quella norma popolar-forcaiola che il governo varò frettolosamente quando sembrava, l’anno scorso, che in giro ci fossero solo romeni che stupravano donne. E invece, parentesi, era la classica bufera mediatica: sia perché molti accusati erano innocenti, sia perché gli stupri risultavano inferiori agli anni precedenti. La galera obbligatoria, senza che un giudice possa valutare da caso a caso, deve esserci solo per i colpevoli accertati da un giudizio: questo ha detto la Consulta così come lo dice il Codice, la Costituzione e tutto il diritto d’Occidente. Si chiama presunzione di non colpevolezza. Il principio è di un’ovvietà tale - il carcere deve essere obbligatorio per i colpevoli accertati, non per gli innocenti ancora da processare - che le proteste rivolte contro la Consulta paiono fatte davvero per dividere, in Parlamento, gli ignoranti populisti da chi abbia almeno un’istruzione di base. È il destino di un governo e di un Paese: la giusta oscillazione tra la cultura della legalità e il rispetto delle garanzie, d’un canto, diviene l’oscillazione tra il peggior forcaiolismo e il garantismo più peloso. Lettere: nel carcere di Lecce “non c’è alcuna emergenza”? venite a vedere di persona… Comunicato stampa, 24 luglio 2010 Riguardo all’articolo apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 23.7.2010 “Disagi in carcere? Certo, ma non c’è alcuna emergenza”. In merito all’articolo sopra detto, la Segreteria Nazionale del Sappe sindacato autonomo Polizia Penitenziaria poiché chiamata in causa dalle parole del Procuratore della Repubblica di Lecce dottor Cataldo Motta che, fanno trasparire una certa superficialità nonché un ingiustificato all’allarmismo posto in essere proprio dal Sindacato, chiede di poter rispondere a delle accuse tanto gravi quanto ingiuste. Prima di tutto il Sappe ribadisce tutta la propria stima ed il profondo rispetto per il lavoro e la professionalità del Procuratore Cataldo Motta, ma nello stesso tempo questa O.S. vuole sottolineare i diversi ambiti di azione nonché la responsabilità del più importante sindacato presente a Lecce, a tutela di diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e leggi dello Stato. Il Procuratore si occupa dei reati quando vengono questi compiuti, ma il fatto che nel carcere di Lecce non siano accaduti episodi degni della Sua competenza, non vuol dire che situazione non sia preoccupante. Prima di parlare del penitenziario di borgo san Nicola, l’importante magistrato avrebbe fatto meglio a fare una visita di persona nelle celle superaffollate; nelle sezioni detentive dove i poliziotti penitenziari sono lasciati da soli a “combattere” si proprio combattere, con oltre 70 detenuti in molti dei casi ad alta sicurezza(provare per credere). Peraltro non capiamo da dove abbia attinto tali notizie il dottor Motta, considerato che proprio la Direzione della Casa Circondariale di Lecce, con più note trasmesse alle organizzazioni sindacali ed all’Ufficio del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, ha posto l’accento sulla grave carenza di Poliziotti Penitenziari presenti presso l’Istituto, nonché sulla situazione drammatica dovuta proprio al sovraffollamento di detenuti. Vorremmo capire perciò con chiarezza con chi il dottor Motta ha avuto queste riunioni, poiché non vorremmo che all’interno del carcere ci sia qualcuno che fa il doppio gioco. Vogliamo ricordare che quasi un anno fa la Corte di Giustizia europea ha condannato per tortura lo Stato Italiano poiché non concedeva uno spazio di 7 mq per ogni detenuto. Ha idea il dottor Motta quanti metri hanno a disposizione i detenuti nelle celle del carcere di Lecce con i letti a castello che arrivano fin sotto la parete? Non crede il dottor Motta che il superlavoro a cui è sottoposto la Polizia Penitenziaria in questo periodo non possa essere considerato un preoccupante indicatore per tanti invii presso l’ospedale militare (oltre 50) per patologie psicologiche? Oppure i Poliziotti Penitenziari che giornalmente effettuano la loro attività lavorativa a contatto con detenuti, sottoposti a minacce, carichi di lavoro massacranti, fingono! Per non parlare poi della drammatica situazione dell’assistenza sanitaria, anche questa confermata in più missive a questa O.S. e al Prefetto di Lecce dalla Direzione del carcere. Il Sappe tutte queste domande le vorrebbe rivolgere non tanto al dottor Motta, ma soprattutto a chi ha passato tali fuorvianti notizie che tendono a ridimensionare un problema vero e serio, pronto ad esplodere in qualsiasi momento di questa torrida estate. È singolare che tutti i principali attori di questa drammatica vicenda (detenuti, avvocati, familiari, poliziotti penitenziari, operatori sanitari, direzione dell’Istituto) lamentino una situazione preoccupante e poi si debbano leggere notizie diramate da estranei, di tutt’altro genere. Ci sarebbe tanto altro da aggiungere, perciò il Sappe ribadisce l’invito al Procuratore della Repubblica di Lecce dottor Cataldo Motta a farsi un giro all’interno dell’inferno di borgo san Nicola (e non solo per la calura di questi giorni) in nostra compagnia, per fargli rendere conto di persona e non per interposte persone, quale sia l’effettiva situazione nel carcere, nonché fargli vedere qualcosa che forse meriterebbe l’attenzione del suo Ufficio, e cioè le condizioni della struttura che benché sia di recente costruzione, è allo sfascio completo. Il Segretario Nazionale Federico Pilagatti Campania: sature, sovraffollate, invivibili… sono tanti gli aggettivi con i quali definire le patrie galere Il Velino, 24 luglio 2010 Sature. Sovraffollate. Invivibili. Sono tanti gli aggettivi con i quali definire le patrie galere. Stando agli ultimi dati disponibili inviati direttamente dagli istituti al Dipartimenti dell’Amministrazione Penitenziaria e riferiti al 27 giugno 2010, la situazione anche in Campania è a dir poco esplosiva. Complessivamente un surplus di 2.333 detenuti. Il casermone di Poggioreale è l’enorme macchia nera della mappa carceraria. 1.658 sono i posti disponibili, ma dietro le sbarre del più grande istituto di pena campano, i detenuti sono quasi il doppio: 2.679. È proprio qui che ogni settimana va in scena il triste spettacolo delle lunghe file per entrare a salutare i parenti. Dalle prime ore dell’alba, pioggia o sole, pacchi alla mano, donne giovani e anziane, con tanto di bambini al seguito, attendono di varcare i cancelli per il colloquio con i parenti detenuti. Mamme e mogli di incensurati al loro primo appuntamento con le sbarre, miste a veterane del carcere. Non mancano spesso scenette surreali dal sapore amaro. Situazione meno difficile ma comunque complicata, quella del carcere di Secondigliano, che i parenti dei detenuti definiscono “meglio di Poggioreale”. I posti disponibili sono 1.053, ma la stima reale è assestata su 1.326. Difficili condizioni di vita reclusa anche per le donne del carcere di Pozzuoli dove il totale è di 173 detenuti quando la struttura potrebbe ospitarne 91. Anche in questo caso è quasi il doppio. Non va meglio a Santa Maria Capua Vetere nel casertano, dove a fronte di una capienza di 547 detenuti tra uomini e donne, popolano le celle 914 persone. A Sant’Angelo dei Lombardi 117 posti disponibili, ma vivono dietro le sbarre 174 persone. Difficile anche la situazione di Salerno. Le patrie galere potrebbero ospitare 430 persone ma i detenuti oggi sono 484. Nell’avellinese. Ad Ariano Irpino, a fronte di una capienza regolamentare di 125 persone, ce ne sono 177. Le celle di Arienzo potrebbero ospitare 52 detenuti ma ce ne sono 98. A Bellizzi, la situazione complessiva carceraria si basa su un surplus notevole di detenuti. La disponibilità sarebbe di 306 ma la realtà è di 463. Nel casertano, nell’istituto di pena “F. Saporito” a fronte di 259 posti disponibili i detenuti sono 301. Nel carcere di Benevento, che ospita uomini e donne, le celle potrebbero accogliere 233 detenuti, ma sono attualmente popolate da 381 persone. Al “G.B. Novelli” di Carinola, la capienza effettiva è di 370 detenuti a fronte di quella regolamentare che sarebbe di 332. In controtendenza, si fa per dire, gli istituti di pena di Eboli, Lauro e Valle della Lucania. Nel primo ci sono ancora due “posti disponibili”, addirittura 7 nel secondo e 5 nell’ultimo. Vere e proprie “oasi” per i detenuti. E intanto aumentano i suicidi… Sono i giovani in particolare ad essere vittime del carcere. Stando agli ultimi dati disponibili dei sindacati di Polizia Penitenziaria sono ben 22 i morti dietro le sbarre campane. In 18 mesi dal 2009 al 2010, 13 persone si sono suicidate, 105 ci hanno provato. Tutti sotto i 39 anni, come l’ultimo caso denunciato oggi dalla Uil Penitenziaria, ma non in Campania. Non è importante certo l’area geografica ma un contesto molto più ampio che spinge i detenuti a scegliere di farla finita, perché non reggono più le condizioni di vita in carcere. Anche 9 persone in pochi metri quadri. Bagni (alla turca) e cucinini nello stesso ambiente. Aria irrespirabile, assistenza superficiale, assoluta mancanza dei requisiti minimi. Soltanto per fare la doccia bisogna attendere due giorni la settimana. Tutto questo unito al peso della condanna, nel migliore dei casi porta all’autolesionismo. In meno di due anni, soltanto in Campania, ben 461 episodi. Si muore di più a Poggioreale, dove le celle esplodono di detenuti. Negli altri istituti non mancano disagi quotidiani, dalle celle all’ora d’aria fino alle attività per il recupero dell’individuo. Il tutto nel più totale silenzio della politica. Campania: Polidoro (Carcere Possibile Onlus); carceri sono una vergogna, l’Anm non fa nulla Il Velino, 24 luglio 2010 “La situazione è delle più gravi ma oramai sembra uno stanco ritornello che quasi più nessuno ascolta. La verità è che ci muoviamo solo noi, per il sovraffollamento carceri l’Associazione Nazionale Magistrati non fa assolutamente nulla” lo dice al Velino Riccardo Polidoro, presidente dell’associazione “Il Carcere Possibile Onlus”. Nella classifica nera del sovraffollamento carceri a che posto è la Campania? Credo sia seconda soltanto al Lazio. Una vergogna che denunciamo quotidianamente ma che oramai non attecchisce più, tanto meno sulla politica che se ne infischia. Sono annunciati provvedimenti però? A parte il fatto che annunciare è un’usanza tipica della politica e comunque se si riferisce alle nuove carceri, quelle servono soltanto a sostituire le fatiscenti. Serve un nuovo indulto? Per carità, già all’epoca, pur consapevoli della necessità di quel provvedimento, lo definimmo la resa dello Stato. Vedere i parlamentari che festeggiavano l’approvazione fu una tristezza più unica che rara. Ma la cosa peggiore è un’altra. Quale? L’Anm, l’Associazione Nazionale dei Magistrati non fa nulla. Totalmente assente dal dibattito, non una denuncia, non un’iniziativa comune. Interessamento pari a zero. E ricordo che sono i magistrati a infliggere le pene. Voi cosa fate invece? Astensioni dal lavoro, proteste eclatanti come il lutto al braccio, addirittura siamo stati i primi in Italia a presentare denuncia alla Procura della Repubblica facendo poi scuola. Di più che possiamo fare? Glielo chiedo io. Senta, certo non possiamo andare a manifestare sotto le carceri e sobillare i detenuti. Volevo chiedere pubblicamente una cosa. Prego. A chi? Ai parlamentari. Ogni anno circa 200 di loro fanno passerella a ferragosto nelle carceri sfruttando il dolore dei detenuti. Stavolta stessero a casa con le famiglie e lavorino di più al problema carceri in Parlamento. Di sfilate certo non ne abbiamo bisogno. Puglia: Cisl; troppi detenuti, pochi agenti e, in due anni, un taglio delle risorse pari al 60% Ansa, 24 luglio 2010 La Puglia ha la popolazione carceraria più alta d’Italia nel rapporto tra numero di detenuti e guardie carcerarie: 4.500 a fronte di 2.400 poliziotti penitenziari effettivi in servizio, poco più di “mezza” guardia per detenuto. Lo sostiene il sindacato Cisl. “Questo dato - sostiene il segretario confederale generale della Puglia, Crescenzo Lumieri - è ancora più allarmante se si considera che fra i tagli della Finanziaria dello scorso anno e quelli di quest’anno, arrivano al sistema penitenziario il 60% in meno dei fondi. L’altra forte criticità - conclude Lumieri - è dettata dal passaggio dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al Sistema sanitario nazionale, (la valutazione, ndr) sulla salute dei detenuti il che comporta frequenti ospedalizzazioni e visite in ambulatori, con lo spostamento del già ridotto personale al quale, peraltro, bisogna garantire ferie e tutti gli altri diritti”. Il benessere dei detenuti - spiega la segretaria pugliese della Cisl-Fns, Maddalena Gissi - è un nostro grande interesse perché da esso dipende la serenità dei lavoratori e delle comunità, perché delle condizioni delle carceri non si deve parlare solo quando è troppo tardi e si verificano gravi incidenti. Bologna: scaduto il mandato di Desi Bruno, i detenuti rischiano di restare senza un Garante Redattore Sociale, 24 luglio 2010 Rischiano di restare senza garante i 1.200 detenuti del carcere della Dozza di Bologna, il più sovraffollato d’Italia. Desi Bruno: “Nonostante i passi avanti che sono stati fatti, la condizione carceraria è peggiorata”. Rischiano di restare senza garante i 1.200 detenuti del carcere della Dozza di Bologna, il più sovraffollato d’Italia. Regione, provincia e mondo carcerario si appellano al commissario Cancellieri: “Interveniamo subito, prorogando l’incarico della garante Desi Bruno fino alle prossime elezioni”. È la stessa Desi Bruno, garante dei diritti delle persona private di libertà personale, a parlare di un grosso rischio per la comunità carceraria: con 1.200 detenuti e una capienza di 400 il carcere della Dozza è in un vero stato d’emergenza, una situazione al limite dell’esplosività che nemmeno il lavoro del Garante è riuscito a intaccare: “Nonostante i passi avanti che sono stati fatti, la condizione carceraria è peggiorata, e questo è un dato da cui non si può prescindere - commenta Bruno -. Con 700 stranieri provenienti da 54 paesi diversi, la Dozza è un paese a sé, che conta 3.000 persone compresi i lavoratori. Le risorse calano, il lavoro cala, e le attività culturali calano”. Senza contare il dramma dei 300 tossicodipendenti, con una recidività del 100% e la situazione tragica dei Cie, i centri di identificazione ed espulsione. Un lavoro definito “straordinario” dalle molte figure istituzionali del mondo del carcere presenti all’incontro con la stampa per illustrare i 5 anni di lavoro dell’Ufficio. Un lavoro che rischia di essere interrotto a causa del commissariamento: il mandato quinquennale del garante è infatti scaduto il 16 luglio, e con una proroga fino al 31 agosto, non si sa cosa accadrà poi al Garante, e ai progetti che riguardano la comunità carceraria. “Oggi avrei voluto poter mettere l’ufficio nelle mani di un altro garante - ha continuato l’avvocato Bruno - . Capisco la fase politica difficile che sta attraversando Bologna, ma il consiglio comunale aveva chiesto di mantenere una continuità”. Il mondo delle istituzioni carcerarie sostiene a gran voce il lavoro del Garante, da Elisabetta D’Errico, presidente della Camera penale di Bologna, a Daniele Lugli, difensore civico della regione Emilia-Romagna, da Edgarda Degli Esposti presidente della quinta commissione del consiglio provinciale alla direttrice del carcere minorile del Pratello Paola Ziccone, a Maria Longo, magistrato di sorveglianza a Bologna fino all’anno scorso, assieme al Provveditore regionale all’amministrazione penitenziaria Nello Cesari. Tutti concordi sul fatto che l’unica soluzione possibile sia prorogare la funzione del garante fino alle prossime elezioni comunali. A rispondere all’appello per il momento è il capo gabinetto del Commissario, Berardino Cocchianella: “Il problema è la durata di 5 anni del mandato del Garante. Il Commissario impegnerebbe una persona ben oltre la durata commissariale. Non è prevista la possibilità di prorogare il mandato del garante pro-tempore”. Cioè di un altro anno. Del lavoro della Bruno restano intanto i passi avanti compiuti in questi anni. Dalla situazione interna al Cie: “Luogo di disperazione assoluta, ma è il meno peggio d’Italia, e il più visitato da giornalisti, parlamentari e consiglieri”. Il rapporto con i detenuti del carcere: “Ora tutti firmano col proprio nome e cognome le proprie doglianze, impensabile fino a pochi anni fa. Hanno acquistato un maggior senso della cittadinanza”; la chiusura della sezione di Alta sicurezza femminile: “Uno sconcio dove le donne venivano isolate, senza alcuna attività e in condizioni igienico-sanitarie pesanti”. E il trasferimento dell’Istituto Penale minorile in una struttura dignitosa: “Non più l’obbrobrio che era in passato, ora ci sono prospettive formative e lavorative migliori”. Ora non resta che aspettare la decisione del commissario Cancellieri. Milano: il Garante dei detenuti continuerà l’attività, grazie a proroga del mandato di sei mesi Redattore Sociale, 24 luglio 2010 Nonostante il mandato ormai scaduto, la provincia ha confermato all’unanimità Giorgio Bertazzini, in attesa di capire l’entità definitiva dei tagli previsti dalla manovra finanziaria straordinaria del governo. Nonostante il mandato ormai scaduto, il Consiglio della provincia di Milano ha confermato all’unanimità Giorgio Bertazzini come Garante per i diritti dei carcerati per altri sei mesi. La decisione è stata comunicata oggi dal presidente, Bruno Dapei, in attesa di capire l’entità definitiva dei tagli previsti dalla manovra finanziaria straordinaria del Governo. “Abbiamo tutta l’intenzione di mantenere vivo l’istituto del Garante, nato da un voto unanime del nostro Consiglio solo pochi anni fa, di cui andiamo tutti orgogliosi - ha detto Dapei, ricordando che su 107 province italiane solo quattro hanno un Garante in carica”. “Non possiamo nasconderci - ha proseguito Dapei - che tutti i servizi sociali e gli investimenti locali per i cittadini risentono della crisi economica, che ridurrà di decine di milioni di euro le nostre entrate”. Anche il Garante dei detenuti, che aveva un ufficio distaccato ed era affiancato da due persone con un costo complessivo di oltre 100mila euro l’anno, dovrà ridimensionarsi: “Si sistemerà presso gli uffici dei Servizi sociali della Provincia, in viale Piceno - dice Dapei -. In attesa di capire cosa succederà, dobbiamo razionalizzare le uscite perché abbiamo difficoltà anche a garantire i servizi obbligatori che ci competono, tra qui quelli per le persone con disabilità sensoriali”. Napoli: la Garante denuncia; detenuto di Poggioreale attende da mesi un’operazione chirurgica Il Velino, 24 luglio 2010 “Da mesi un giovane detenuto di Poggioreale attende un’operazione chirurgica per occlusione delle vie urinarie. Cammina con una sacca addosso e non può fare nulla. È l’ennesimo caso. Adesso basta. Lunedì vado in Procura” lo annuncia Adriana Tocco Garante dei detenuti della Regione Campania citando un caso, l’ennesimo, di gravi disagi in carcere. In Procura lunedì denuncia alla mano? Si, non ho altra soluzione. Siamo ad un livello di diniego dei diritti civili, anche i più elementari, che non può essere sopportato. Ci dica. Voi parlate del sovraffollamento delle carceri ed è un dato oggettivo, è invece difficile sancire la qualità di vita infima nelle celle. Ed episodi di ingiustizia senza precedenti come i detenuti che da mesi attendono operazioni chirurgiche, alcune molto gravi e urgenti, altre meno. È un diritto che gli viene calpestato. Un esempio eclatante? Un giovane che da mesi attende per un’occlusione delle vie urinarie. Ripeto da mesi, vive con una “borsa”: non può lavorare, non può fare niente. È in carcere per una lieve pena, sono andata a trovarlo qualche giorno fa. Sta malissimo. Perché non viene operato? Gli ospedali vengono sollecitati dal direttore del carcere, il prof. Pempinello del Cotugno ha dichiarato recentemente che in ospedale dei detenuti non ne vogliono sapere. È un’affermazione molto grave…. Mica l’ho fatta io. Credo che nei nosocomi mal sopportino scorte e sorveglianze. Intanto nelle piccole celle si sta in nove con questo caldo con il bagno alla turca. Un’invivibilità senza precedenti che tutti denunciamo, ma ora vanno fatte denunce specifiche. Ripeto, lunedì vado in Procura. Pesaro: delegazione regionale in vista a Villa Fastiggi; sovraffollamento e poco personale Asca, 24 luglio 2010 Una delegazione composta da consiglieri regionali (Roberto Zaffini, Lega Nord; Elisabetta Foschi, Pdl; Massimo Binci, Sel) e dall’onorevole Oriano Giovanelli, accompagnati dall’avvocato Samuele Animali, Garante regionale dei diritti dei detenuti, ha visitato la Casa circondariale di Pesaro, dopo un incontro con la direttrice e con gli operatori dell’istituto penitenziario. Carenza di personale, insufficienza dei fondi anche per acquistare beni di prima necessità e sovraffollamento sono alcune delle emergenze che la direttrice del carcere Claudia Clementi ha segnalato all’attenzione della delegazione istituzionale. A fronte di una popolazione carceraria di 296 detenuti (dati al 28 giugno scorso) risulta una carenza di 30 unità nell’organico della Polizia penitenziaria. Si è arrivati quest’anno a punte di quasi 340 detenuti in una struttura progettata e costruita per 176 detenuti: il doppio del previsto. Gli stranieri (comunitari e non) rappresentano il 52% della popolazione detenuta (+ 11% rispetto al dato regionale, + 16% rispetto al dato nazionale). Nei giorni scorsi il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Casellati, in visita al penitenziario di Fossombrone, ha espressamente lodato il progetto di aiuto alle relazioni familiari in atto in quell’istituto. Si tratta di un’iniziativa realizzata grazie al sostegno del Garante regionale dei detenuti e della Commissione pari opportunità presso l’Assemblea legislativa regionale. Nei prossimi giorni la delegazione visiterà la Casa di reclusione di Fossombrone. Messina: 29enne agli arresti domiciliari da due giorni si impicca in casa Agi, 24 luglio 2010 Questa volta non è avvenuto in carcere. Da quasi due giorni un 29enne era agli arresti domiciliari e si è tolto la vita ieri sera impiccandosi con una corda agganciata a un asse del soffitto di casa. È accaduto a Piraino, nel messinese. Vittima Ignazio Murasia, ai domiciliari dopo una lite familiare. Non avrebbe retto a una esistenza precaria, turbolenta e fatta di liti, violenze e divisioni familiari. E forse neppure alla negazione della remissione in libertà, a differenza di quanto deciso dal giudice per il padre e il fratello. A scoprire il cadavere i carabinieri dopo i controlli di routine. Ieri la notizia di un altro suicidio, ma in carcere: il detenuto di Bicocca, a Catania, il 39enne Andrea Corallo, in attesa di giudizio si era sgozzato con una lametta. Torino: detenuto, portato in ospedale, aggredisce un agente della scorta Ansa, 24 luglio 2010 Ancora un’aggressione di un detenuto del carcere Lorusso e Cotugno di Torino ai danni di un agente di polizia penitenziaria. È avvenuto la notte scorsa notte non tra le mura carcerarie, ma all’ospedale Maria Vittoria dove un uomo di 28 anni, imputato per detenzione di armi, ha colpito con calci e pugni un poliziotto di scorta per futili motivi. Il detenuto era stato condotto in ospedale per un controllo. Ora in ospedale c’è invece l’agente per le cure del caso. “Adesso basta con questo stillicidio - afferma il segretario regionale dell’Osapp, sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Gerardo Romano. È ora che il governo, nella persona del ministro Alfano, introduca un reato ad hoc contro queste continue aggressioni. D’altra parte è da tempo che lo chiediamo e siamo inascoltati, mentre questi episodi continuano quotidianamente senza che nessuno riesca a fermarli”. Ferrara: il Garante dei diritti dei detenuti apre uno spazio web nel sito del Comune Dire, 24 luglio 2010 Vuole essere un tramite, un collegamento ulteriore tra la realtà carceraria presente sul territorio e la cittadinanza il nuovo sito consultabile on-line dell’Ufficio del “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale” istituito a Ferrara. Inserite nella sezione “partecipazione e pari opportunità” della homepage del Comune di Ferrara le pagine si propongono un costante aggiornamento anche grazie alle segnalazioni e alle migliorie che saranno indicate dai visitatori. Il nuovo sito apre con le informazioni dedicate alla normativa (Federica Berti, attuale Garante, è stata eletta dal Consiglio Comunale il 21 gennaio 2008 con compiti di “tutela dei diritti inviolabili della persona, segnatamente ai soggetti privati o limitati nella libertà personale”), prosegue poi con le relazioni annuali dell’attività svolta nel 2008 e nel 2009 presentate al Consiglio comunale, con una rassegna stampa e con riferimenti alle iniziative all’interno del carcere. Altre pagine contengono poi richiami e recapiti di centri, enti e servizi collegati alla realtà carceraria anche allo scopo di offrire un semplice punto di partenza a chi è appena uscito dal carcere. Belluno: gli ex detenuti tornano “in società” con la Cooperativa Lavoro Associato Il Corriere delle Alpi, 24 luglio 2010 Gli addetti ai lavori le chiamano “persone cadute in devianza”, in realtà sono quei soggetti - che dopo aver pagato il conto con la giustizia - si ritrovano a dover ricostruire un’esistenza, possibilmente senza ricadere in tentazione. Sono numeri importanti quelli della Cooperativa Lavoro Associato, realtà che da anni - tra le altre finalità - si occupa del reinserimento di ex detenuti o persone in semilibertà. Negli ultimi due anni sono stati aiutati 62 individui, soltanto due le donne. Quasi tutti - questo il dato da sottolineare - sono cittadini italiani, in particolar modo bellunesi finiti in cella per reati connessi al mondo della tossicodipendenza. Per loro il processo di redenzione è sempre in salita e quasi mai può prescindere dal lavoro, da quella che - scomodando la sociologia - viene definita “inclusione sociale”. A complicare le cose c’è, guarda caso, l’attuale periodo di crisi: “Già è difficile trovare lavoro per una persona normale, figuriamoci per un soggetto che ha avuto problemi con la giustizia”, ha affermato il presidente della cooperativa Franco Rui, che ieri ha illustrato i dati di due anni di sperimentazione nella sala affreschi di palazzo Piloni. Altra variabile, tutt’altro che secondaria, la dimensione dei comuni e delle vallate bellunesi: “È più difficile l’inserimento lavorativo nei comuni di residenza, spesso piccoli, che nei centri più popolosi”, ha proseguito Rui. Nonostante questo, la mappa degli enti e delle aziende private, che hanno messo a disposizione le loro strutture, è lunga: dalla casa di riposo di Lamon all’Hotel Al Pelmo di Pieve di Cadore, passando per l’ente Provincia, i comuni di San Pietro, San Gregorio e Santo Stefano. Tra i dati più significativi c’è quello sulla recidiva: nessuno tra i soggetti “re-inseriti” è ritornato a delinquere, per lo meno nel corso del periodo lavorativo. A confermarlo è la responsabile del progetto, Erica Moret: “La recidiva è molto bassa. Questo ci deve fare riflettere sul valore rieducativo della pena”. Sempre la cooperativa ha portato avanti altri progetti, anche se stavolta all’interno del carcere: su tutti, i corsi di musica e quelli di pasticceria o l’impiego alla lavanderia. Ora Lavoro Associato pensa a ripetere l’esperienza con il sostegno della Fondazione Cariverona che ieri ha rinnovato l’impegno. A farlo il referente Gioacchino Bratti: “È un’esperienza di valore. Riafferma il ruolo cruciale della persona in quanto persona”. Perugia: Sinappe; ennesimo grido di aiuto della Polizia penitenziaria www.spoletonline.com, 24 luglio 2010 Il personale è stanco dei sovraumani carichi di lavoro, dei turni massacranti, del grave rischio a livello di sicurezza personale cui è esposto. Questa O.S. si rivolge agli organi di stampa e alle autorità politiche e istituzionali locali e nazionali, per denunciare l’immobilismo e l’assurda politica dell’Amministrazione Penitenziaria in tema di sovraffollamento detentivo e mancanza di risorse umane a scapito degli istituti penitenziari del distretto umbro e in particolar modo per quello di Perugia. Da ormai troppo tempo denunciamo a quest’ultima la grave carenza di personale per l’istituto perugino, carenza acuitasi in questo periodo a causa del piano ferie. Il personale, oramai ridotto all’osso, paradossalmente deve far fronte a un’istituto sovraffollato all’inverosimile, arrivato in quest’ultimi giorni alla cifra record di quasi seicento detenuti a fronte dei 480 tollerabili. Paradosso dei paradossi, l’istituto di Capanne è stato oggetto in recente passato, di vari trasferimenti di detenuti da altri istituti penitenziari d’ Italia, usato quindi come valvola di sfogo da altre realtà penitenziarie “sovraffollate”. Oggi, gli stessi, sono costretti a convivere in spazi ristrettissimi, addirittura a dormire a terra a causa di mancanza spazio per posti branda. Inutile dire che l’enorme caldo di questo periodo non facilità certo la permanenza dei ristretti. Questo mix negativo di elementi ha fatto si che le tensioni, già esistenti, siano aumentate esponenzialmente. Difatti in quest’ultimo periodo, gli episodi di malessere e intolleranza al regime detentivo sono sfociate spesso in aggressioni nei confronti del personale di polizia. Aumentati, difatti, a dismisura gli episodi gravi di minaccia e lesioni nei confronti del personale, episodi per i quali questo personale ha dovuto ricorrere a cure mediche e ospedaliere, ma che comunque ha evitato e fronteggiato il peggio con i pochissimi uomini a disposizione, forti solo della loro professionalità. È oramai da più di un anno che ribadiamo la nostra ferma contrarietà ai provvedimenti di incremento dei detenuti in Umbria e spiegato che questa non sia pregiudizievole o frutto di una volontà di voler “lavorare poco”, bensì di una sacrosanta, documentata e umana preoccupazione per la sorte di tutti gli operatori del sistema penitenziario umbro e, non per ultimo, della dignità dei detenuti. Il personale, è oramai stanchissimo. Stanco dei sovraumani carichi di lavoro, dei turni massacranti, del grave rischio a livello di sicurezza personale cui è esposto, ma soprattutto stanco delle vane promesse giunte a vario titolo dall’ Amministrazione Penitenziaria. Non per ultimo era stato assicurato uno “sfollamento” ossia un trasferimento di detenuti in altre strutture di almeno 100 unità, rassicurazione giunta dopo varie richieste di trasferimento da parte della Direzione della struttura perugina. Ad oggi solo 16 unità sono state trasferite! Di contro ci sono state decine e decine di arresti che ben hanno compensato quest’ esiguo trasferimento. A questo noi diciamo Basta con tutta la forza possibile e ci appelliamo a tutte le forze politiche e istituzionali affinché facciano proprio il problema e rappresentino le nostre istanze a quest’Amministrazione che finora sorda è stata alle nostre numerose grida di allarme. Massimo Ceppi Segretario Provinciale Sinappe Perugia Sanremo: Sappe; rissa tra detenuti, sfollare il carcere e punire severamente i responsabili Asca, 24 luglio 2010 Una scazzottata tra detenuti, è esplosa nella giornata di ieri presso il carcere di Valle Armea a Sanremo. Il Sappe, Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria è intervenuto sul caso: "Dopo l'inferno assordante della battitura alle inferriate arrivano le risse ai passeggi. Ieri pomeriggio un gruppo di detenuti composto da fazioni di romeni e magrebini, hanno dato vita ad una violenta rissa innescata prima all'interno delle sezioni ordinarie e poi quando sembrava tutto ristabilito, solo un'ora dopo, appena raggiunti i cortili dei passeggi per l'ora d'aria, hanno preso a darsele di santa ragione per questioni ancora in via di accertamento. Il Sappe ha più volte denunciato il grave sovraffollamento, appare inutile avviare altri commenti su di una questione troppo lampante e sotto gli occhi di tutti". Il direttore dell'istituto di pena, Francesco Frontirrè, ha confermato l'accaduto, minimizzandolo: "Si è vero non posso che confermare la scazzottata tra una decina di detenuti, divisi in due fazioni. Ma non dobbiamo esagerare parlando di rissa. Purtroppo sono tanti ed anche il caldo contribuisce a generare accadimenti di questo genere". Il carcere sanremese potrebbe contenere 209 detenuti ed oggi si registra invece una portata pari a quasi il doppio. "Il personale è veramente stremato - termina il Sappe - nell'affrontare tutti i giorni emergenze che hanno dello straordinario, di fatto ieri a sostenere i pochi colleghi in servizio di vigilanza all'interno dei reparti ci ha dovuto pensare anche quello addetto ai vari uffici per dar manforte e cercare di contrastare l'evento per cui ci si congratula vivamente per la forte dedizione al dovere". Alcuni detenuti hanno riportato ferite da taglio di tipo lieve e superficiale ma questo, secondo il sindacato Sappe, è solamente il primo campanello d'allarme per una situazione oramai fin troppo degenerata. "Serve subito decongestionare il carcere sanremese - termina il Sappe - ed è questo il nostro grido d'allarme. Occorre portare fuori dall'attuale numero (360 circa) almeno 40 ristretti per permettere di far funzionare la cosiddetta e tanto decantata sicurezza. In questo marasma ci auspichiamo che non ci rimetta qualche poliziotto padre di famiglia, se non fosse così ci appelleremo a tutte le procedure penali e civili nelle opportune sedi per stabilire eventuali colpe dell'amministrazione penitenziaria, secondo il sappe vanno individuati quei soggetti più esagitati e puniti severamente mediante l'uso del regolamento penitenziario e di quello previsto dal codice penale dello stato italiano". Ragusa: l’Associazione Nazionale Dentisti Italiani incontra i detenuti del carcere di Modica La Sicilia, 24 luglio 2010 Promuovere la salute orale anche negli istituti penitenziari. Con questo obiettivo la sezione provinciale dell’Andi (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) ha organizzato, nei giorni scorsi, un’incontro con i detenuti della casa circondariale di Piano del Gesù di Modica. L’iniziativa rientra nell’ambito del “Progetto Carceri Educare a Prevenire” un programma di educazione all’igiene orale inserito nelle attività di educazione alla salute e alla prevenzione dell’istituto penitenziario. Il progetto, che coinvolge dentisti volontari, è realizzato dall’Andi, dalla Fondazione Andi-Onlus e dal Centro di Collaborazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’Epidemiologia e l’Odontoiatria di Comunità (Università degli studi di Milano) con il patrocinio del Ministero della Giustizia ed ha l’obiettivo di sensibilizzare i detenuti sull’importanza di una corretta igiene orale per prevenire gravi patologie infettive. Nel corso di una partecipata conferenza, alla presenza della direttrice della casa circondariale di Piano del Gesù Giovanna Maltese, sono interventi il dott. Luciano Susino, presidente Andi Ragusa, il dott. Giuseppe Tumino, socio Andi e Presidente dell’Albo degli Odontoiatri, e il dott. Luigi Burruano, responsabile del progetto, che hanno parlato di prevenzione, patologie, alimentazione e dell’importanza di una corretta igiene orale. A conclusione dell’incontro un kit composto da dentifricio e spazzolino è stato consegnato a ognuno dei 50 detenuti attualmente presenti nell’Istituto che hanno manifestato grande interesse per le tematiche trattate e hanno chiesto informazioni e chiarimenti ai relatori. “Siamo felici di poter contribuire ad un progetto che ribadisce il diritto alla salute per tutti i cittadini - ha detto il dott. Luciano Susino - anche per coloro che si trovano in condizioni di detenzione”. Nelle prossime settimane un incontro analogo sarà organizzato per gli ospiti della casa circondariale di Ragusa. Lodi: ruba un etto di prosciutto cotto; arrestato per rapina impropria rischia da 3 a 10 anni Agi, 24 luglio 2010 I carabinieri hanno preso un rapinatore da Guinness dei primati: il bottino totalizzato con il suo colpo è di 1,09 euro, cioè il valore dei 50 grammi di prosciutto cotto che ha preso in un supermercato di Codogno (Lodi) senza pagare. L’uomo, pluripregiudicato, è stato fermato ma non ha riconsegnato la busta di salume e nemmeno ha cercato di pagarla. Invece ha spintonato e schiaffeggiato due addetti alla sicurezza prima di scappare. I carabinieri lo hanno trovato in viale Manzoni, dove stava tranquillamente mangiando il prosciutto, e lo hanno arrestato con l’accusa di rapina impropria. Il ventinovenne ha trascorso la notte in camera di sicurezza, poi è stato rilasciato in attesa del processo dopo la convalida dell’arresto: ora rischia una pena da tre a dieci anni. Immigrazione: nuove rotte per gli sbarchi e nei Cie proseguono le rivolte e i tentativi di fuga di Stefano Galieni Liberazione, 24 luglio 2010 Samir ieri era sul tetto del Cie romano di Ponte Galeria. Trasferito da quello di Torino dopo una rivolta, ieri erano scaduti i tempi per cui era valido il suo trattenimento. Non lo hanno liberato, gli chiedevano di scendere e tentavano di rassicurarlo dicendo che non sarebbe stato rimpatriato ma non si fidava: ha già tentato altre forme di autolesionismo ed era disposto a tutto pur di non essere né rinchiuso né rimpatriato. Poi gli hanno consegnato il foglio di via: lascerà per sempre il nostro paese. La sezione maschile del Cie romano sta per essere svuotata e chi governa il centro vorrebbe che questo accadesse senza incidenti. Resterà chiuso per almeno 2 mesi, il tempo necessario per interventi strutturali che dovranno rendere più difficili i tentativi di fuga, le rivolte, la possibilità di protestare dai tetti. Ma in quasi tutti i Cie continuano a serpeggiare rivolte, tentativi di fuga, tensioni e violenze, da Trapani a Gradisca di Isonzo, da Torino a Milano, bollettini che parlano di feriti, di trattenuti portati in galera, di scontri. Un clima non pacificato che raramente riesce ad uscire dalle pagine locali dei quotidiani, come se la stampa e i media in generale, soprattutto quelli più filo governativi, avessero messo la sordina ad un tema invece cavalcato nelle stagioni passate. Una sordina che non riguarda solo i Cie. Sembra quasi che il “pericolo clandestinità”, gli sbarchi estivi, siano cessati grazie alle fantomatiche prodezze del ministero dell’Interno. Vero? Cercando di sfondare il muro di gomma arrivano informazioni diverse. Dopo lo sbarcò a Porto Palo della settimana scorsa - 246 profughi in gran parte svaniti nel nulla - oltre 40 persone sono sbarcate l’altro ieri a Lampedusa mentre, quasi in contemporanea, veniva effettuata una operazione di respingimento in acque internazionali nei pressi di Malta. Altra storia assurda, un gommone con 55 cittadini somali, molte donne e bambini. I maltesi hanno intercettato il natante, selezionato 28 persone, a detta delle autorità de La Valletta, quelle in condizioni peggiori, mentre gli altri 27 sono stati portati a bordo di una motovedetta libica con equipaggio misto - italiani e libici - e rimandati a Tripoli dove li aspetta la deportazione certa. Nella cattiveria che contraddistingue queste operazioni sono stati capaci anche di separare una famiglia. Una donna in avanzato stato di gravidanza è stata rimandata in Libia, il marito è rinchiuso in un centro di detenzione a Malta. Del resto, proprio nei primi giorni di luglio il ministro Frattini si era incontrato a Roma con il suo omologo maltese per definire strategie comuni. Malta e Italia chiedono più risorse per Frontex, l’agenzia europea di contrasto all’immigrazione clandestina; di fatto vorrebbero una copertura politica europea più forte, sia in termini di mezzi a disposizione sia per attuare maggiori pressioni verso Gheddafi affinché rispetti gli accordi. Il timore che, all’annuncio dato dalle autorità di Tripoli della chiusura dei centri di detenzione possa seguire una ripresa delle partenze verso le coste soprattutto italiane è molto forte. Intanto le piccole imbarcazioni riescono ad entrare ma, se non respinte e riconsegnate in mani libiche, vengono dirottate verso la Sicilia meridionale per evitare di veder riaccesi i riflettori su Lampedusa. Allora chi fugge da guerre e persecuzioni sceglie altre strade, forse più lunghe, costose o rischiose. Sono ripresi, anche se in numero limitato, gli sbarchi nel Canale di Otranto; nei container dei tir che si imbarcano dalla Grecia per i porti dell’Adriatico - Venezia, Ancona, Bari e Brindisi - si nascondono sempre più numerosi ragazzi kurdi o afgani; anche le stive delle navi commerciali sono divenute un mezzo con cui provare a sfondare la fortezza Europa. Altri, quelli che hanno i mezzi per corrompere i funzionari delle ambasciate, ottengono di poter viaggiare anche in aereo entrando con un regolare visto turistico. In pratica, visto che a Lampedusa non ci sono migliaia di persone rinchiuse si riesce a dare l’idea che il governo “cattivo” con gli “irregolari” abbia risolto il problema. Si è solo disperso sul territorio nazionale e reso più rischioso l’ingresso. Un risultato innegabilmente è stato ottenuto: si è quasi riusciti a distruggere il numero dei richiedenti asilo. Chi entra ha paura a dichiararsi profugo, sa che difficilmente le sue parole verranno ascoltate. Bel risultato per un paese che ha fra gli articoli fondanti della sua Costituzione la garanzia di accogliere chi fugge da guerre e persecuzioni. Immigrazione: Consulta boccia ricorso Governo; in Toscana sanità gratuita anche ai clandestini di Michele Bocci La Repubblica, 24 luglio 2010 La Consulta boccia il ricorso. Rossi: fatta giustizia. La Lega: vergogna. Il governatore rilancia: ora al lavoro per i diritti di cittadinanza e quelli politici. Berlusconi lo annunciò in Tv da Vespa: il Governo farà ricorso contro la legge toscana sull’immigrazione. Era il 3 giugno e il testo che prevede uguali diritti per immigrati regolari e cittadini italiani oltre all’assistenza sociale e sanitaria urgente e indifferibile per i clandestini stava per essere approvato dal consiglio regionale. Poco più di un anno dopo la Corte Costituzionale boccia su tutta la linea la presa di posizione dell’esecutivo, dichiarando inammissibile e non fondato il ricorso. “La nostra è una legge all’avanguardia - esulta il presidente toscano Enrico Rossi - La sentenza è una vittoria della ragione e della civiltà, giustizia è fatta”. Attorno al testo, fortemente voluto dall’allora governatore Claudio Martini, si sono consumati violenti scontri tra centrodestra e centrosinistra in Toscana e non solo, con prese di posizione a tutti i livelli politici e istituzionali. La parte più criticata è quella che assicura trattamento sanitario e in certi casi sociale dei clandestini. “Cureremo e soccorreremo tutti gli stranieri - spiegano dalla Regione - anche se privi del permesso di soggiorno”. Per gli irregolari sono previsti anche, in caso di estrema gravità e di emergenza, l’accesso a dormitori e mense in via temporanea: “Non garantiamo diritti aggiuntivi, ma quelli previsti, e troppo spesso disattesi, dalle Convenzioni e dai principi del diritto internazionale e dalla nostra Costituzione”. Il tutto, viene assicurato, senza maggior costi per i cittadini. Nella legge si parla molto di immigrati regolari, dei loro diritti in fatto di accesso ai servizi come asili nido e alloggi di edilizia pubblica. Si vogliono promuovere tra l’altro lo sviluppo di associazioni di stranieri, l’avvio di attività di formazione professionale degli immigrati e la creazione di una rete regionale di sportelli informativi. Mentre un pezzo del Pdl toscano minaccia una legge di iniziativa popolare per contrastare il testo su cui si è espressa la Consulta, la Lega attacca: “Non sarà certo la sentenza della Corte Costituzionale a legittimare una norma ingiusta e razzista verso i cittadini toscani. Questa legge è vergognosa”. Incassata la vittoria, il governatore Rossi rilancia, vuole il voto per gli immigrati regolari. “Il Governo farebbe bene, anziché ricorrere su una legge così saldamente ancorata ai diritti costituzionali, ad operarsi per garantire i diritti di cittadinanza e i diritti politici degli immigrati. Non è possibile che chi nasce nel nostro paese debba aspettare 18 anni prima di iniziare la procedura per diventare italiano, non è possibile che all’immigrato residente da tanti anni qui, che lavora regolarmente, non sia garantito anche l’esercizio del diritto politico di voto, in particolare a quello amministrativo. Sul primo punto ci auguriamo che il Parlamento approvi quanto prima un disegno di legge perché i figli di immigrati nati da noi, un quinto di tutti i nostri bambini, possano sentirsi presto fratelli d’Italia, cittadini a pieno titolo del nostro paese. Sul secondo punto promuoveremo un disegno di legge regionale che consenta intanto la partecipazione al voto amministrativo a chi è regolare”. Cile: la Chiesa chiede l’indulto per responsabili di crimini commessi sotto la dittatura di Pinochet La Repubblica, 24 luglio 2010 Forse non credevano, il cardinale di Santiago, Francisco Errazuriz, e il presidente della Conferenza episcopale cilena, Alejandro Goic, di sollevare tante proteste proponendo l’indulto per i militari accusati di violazione dei diritti umani. Con l’occasione del Bicentenario dell’indipendenza i vescovi cileni hanno presentato un documento di 5 pagine al presidente Sebastian Piñera nel quale “per migliorare la convivenza e il bene comune” chiedono un provvedimento di indulto “per persone attualmente private della loro libertà”, compresi quei militari in prigione per crimini commessi sotto la dittatura di Pinochet. I presuli non chiedono l’indulto i militari per tutti ma - scrivono - “serve una riflessione che deve saper distinguere - ad esempio - il grado di responsabilità che ciascuno a veramente avuto, il grado di autonomia con cui ha potuto agire all’epoca dei fatti e i gesti di umanità avuti, nonché il pentimento dimostrato per i delitti commessi”. L’iniziativa della Chiesa ha scatenato una pioggia di critiche e non solo nelle organizzazioni dei familiari delle persone assassinate o fatte sparire sotto la dittatura ma perfino nell’Udi, uno dei due partiti della destra. “La richiesta di indulto non è la strada corretta - ha detto un deputato conservatore - Se la Chiesa vuole aiutare detenuti malati o anziani esistono i benefici carcerari”. Molto più secca la reazione nei partiti della Concertacion, la coalizione di centro-sinistra che dopo l’elezione di Piñera, 8 mesi fa, sta all’opposizione. Per la Democrazia Cristiana il tema non può neppure essere messo in discussione anche per i Trattati internazionali sottoscritti dal Cile. “Sfortunatamente per i vescovi ha detto il capo del gruppo parlamentare Dc - la questione nel nostro paese è già risolta: i crimini di violazione dei diritti umani non possono essere prescritti e non possono neppure essere oggetto di indulto, dunque in questo caso non c’è proprio nulla da discutere”. Nettamente contraria alla proposta dei vescovi anche l’associazione dei familiari dei desaparecidos. Alicia Lira, la presidente, ha partecipato ad una manifestazione di protesta davanti al Palazzo della Moneda, la residenza del presidente. I familiari delle vittime contestano anche il regime di detenzione dei militari sotto accusa. “Quei criminali - ha commentato Alicia Lira - non stanno neppure compiendo le condanne come dovrebbero, sembra che stanno in un albergo piuttosto che in un carcere”. Alicia Lira, come tanti altri, perse il marito, Felipe Rivera, durante la dittatura. Una notte del 1986 i militari lo trascinarono via dalla loro casa. Il cadavere comparve il giorno successivo buttato per terra nella piazza di un quartiere periferico della capitale. Mentre in Cile cresce la polemica sui militari a Roma prosegue il processo contro Alfonso Podlech, ex procuratore militare di Temuco, accusato della scomparsa di un di origine italiana, Roberto Venturelli. Ieri Podlech è stato ascoltato in aula ed ha negato le accuse dei testimonia suo carico ma il giudice ha respinto la richiesta di concedergli gli arresti domiciliari. Il dibattimento è stato aggiornato al 6 ottobre. Canada: rissa in prigione, i detenuti danno fuoco ai materassi provicando due morti e sei feriti Ansa, 24 luglio 2010 Sono 14 i prigionieri che avrebbero scatenato la rivolta in un’ala del penitenziario di Orsainville, in Québec. È quasi un bollettino di guerra il bilancio della violenta rissa che si è scatenata mercoledì sera nel carcere di Orsainville, a circa mezz’ora di macchina da Québec City. Sono due, infatti, i detenuti rimasti uccisi nella rivolta e sei quelli feriti. Le autorità del penitenziario, però, non hanno fornito molti dettagli sulla dinamica dell’accaduto. Stando a una prima ricostruzione pare che la rissa sia scoppiata in un’ala della prigione intorno alle 9.30 di mercoledì sera fra 14 detenuti, fra i 20 e i 50 anni, tutti in attesa della fine del processo e quindi ancora senza una condanna. Forse il motivo scatenante è stato un litigio o forse i detenuti si sono ribellati a qualcosa. Quale sia stata la causa, è certo che la colluttazione è subito sfociata in una maxi rissa durante la quale sono stati dati alle fiamme materassi e vestiti. Le guardie carcerarie hanno cercato di far evacuare l’area dov’è scoppiato l’incendio, ma otto carcerati si sono rifiutati di uscire. “Non sappiamo ancora quale sia stata la causa alla base della rivolta - ha detto una portavoce del penitenziario Johanne Beausolei - In ogni caso si tratta di un fatto tragico e deprecabile al tempo stesso”. Beausolei ha escluso che i carcerati protestassero contro le condizioni di detenzione o il sovraffollamento della struttura, che in questo momento ospita 631 detenuti, cioè meno della sua capienza che è di 700 posti letto. Le autorità carcerarie non hanno rilasciato l’identità dei due detenuti morti nella rissa né hanno specificato le cause del decesso, che saranno stabilite dall’esame autoptico. I loro corpi sono stati trovati dopo che le guardie avevano sedato la rissa e riportato la situazione alla normalità. I detenuti rimasti feriti, invece, sono stati portati in infermeria per intossicazione per aver respirato troppo fumo durante l’incendio. Nessuna guardia carceraria è rimasta ferita. Sull’accaduto sono già scattate due inchieste: una della polizia provinciale del Québec e un’altra interna. Non è la prima volta che scoppia una rissa di grandi proporzioni all’interno del carcere di Orsainville. Il precedente più eclatante è la rivolta scoppiata a febbraio del 2008, che sembra fosse stata scatenata dal divieto di fumare all’interno del carcere. L’imposizione inaspettata del bando provocò una violenta reazione da parte dei detenuti. Canada: la Corte Federale; quelle ottenute con la tortura non sono prove Ansa, 24 luglio 2010 La Corte federale ha dato ragione ieri a Mohamed Mahjoub, detenuto arrestato nel 2000 con l’accusa di essere legato a un’organizzazione legata al terrorismo egiziano di matrice islamica. L’uomo sostiene che alcune delle accuse che hanno portato alla sua incriminazione gli sono state estorte con la tortura. Ieri la Corte federale gli ha dato ragione, affermando che effettivamente i servizi segreti canadesi non dispongono di un “meccanismo certo” in grado di valutare se le dichiarazioni dei prigionieri siano state o meno estorte con la tortura. Per questo, in una sentenza emessa ieri, il giudice Edmond Blanchard della corte federale ha ordinato al governo di ripassare in rassegna tutte le informazioni accumulate sul prigioniero Mahjoub, dal 2000 ad oggi, e di verificarne con maggior accuratezza le fonti. “È chiaro che la Canadian National Security Agency - ha etto Blanchard - non ha gli strumenti per verificare in modo indipendente se le informazioni siano state estorte sotto tortura. Se c’è di mezzo l’uso della violenza quelle informazioni non possono essere considerate prove”. Iraq: 4 detenuti scappati da prigione, sono sospetti membri Al-Qaeda Asca, 24 luglio 2010 Quattro detenuti sono scappati da una prigione alle porte di Baghdad. I quattro, secondo quanto riferito dalla polizia, sarebbero membri di Al-Qaeda e due di loro sarebbero leader del fronte iracheno del gruppo estremista. I sospetti, arrestati dalle forze americane a Mosul nel 2008, sono riusciti a fuggire due giorni fa dalla struttura di detenzione chiamata Cropper. La polizia ha aperto un’indagine per comprendere se siano stati compiuti degli errori che hanno facilitato la loro fuga.