Giustizia: i detenuti di Padova scrivono al ministro Alfano; più docce e ventilatori nelle celle di Erminia Della Frattina Il Fatto Quotidiano, 22 luglio 2010 Dopo l’ultima morte in carcere qualche giorno fa, un tunisino deceduto nel sonno, ucciso forse dal caldo, i detenuti di Padova hanno preso carta e penna. Non chiedono sconti di pena (“abbiamo sbagliato e dobbiamo pagare per i reati commessi” ripetono quando li vai a trovare). Chiedono condizioni più umane, regole minime per uscire vivi dalle carceri italiane, dove la popolazione ha superato i 68mila detenuti mentre i posti letto regolamentari del nostro sistema penitenziario si fermano a 43mila. La lettera è scritta da persone che spesso hanno visitato strutture carcerarie (e sono in grado quindi di fare confronti) e le richieste, un vademecum preciso scritto per punti, riguarda tutte le strutture penitenziarie non solo quella di Padova, che stipa 830 detenuti in un edificio costruito per 300, e dove comunque le condizioni sono considerate “decenti” e “migliori rispetto ad altri istituti” dagli stessi carcerati. L’orizzonte della lettera è chiaro fin dal titolo, talmente asciutto da sembrare una circolare del ministero: “Proposte minime di riduzione del danno da sovraffollamento carcerario”. Le proposte dei detenuti, inviate al Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria, ai direttori delle carceri italiane e ai magistrati di sorveglianza, escono dalla redazione di Ristretti Orizzonti, il bimestrale che ha la redazione dentro al carcere di Padova. Redattori “ristretti”, una trentina di detenuti italiani e stranieri sotto la guida di Ornella Favero, giornalista e da 14 anni volontaria in carcere. “Si può fare qualcosa perché le persone detenute escano vive dalla galera e non finiscano a marcire nell’indifferenza di tutti?” si legge nel sottotitolo della lettera, che senza perdersi in troppe parole elenca le condizioni - base per la sopravvivenza. Al primo posto c’è l’apertura dei blindi, le porte blindate che chiudono le celle (oltre al blindo un cancello in ogni cella viene chiuso di notte a doppia mandata). Con il caldo e il sovraffollamento ci sono stati malori di detenuti e agenti penitenziari in quasi tutte le strutture italiane. Quindi, al punto uno si legge: “Apertura notturna dei blindi da giugno a settembre per favorire la ventilazione e il ricambio di aria nelle celle, come già accade nel carcere di Torino, Verona, più di recente a Padova e in diversi altri istituti”. La seconda richiesta tocca una questione delicata, che nel carcere “modello” di Bollate è già in vigore: l’apertura delle celle durante tutta la giornata, con libero accesso alle docce. A Padova sono aperte con queste modalità due sezioni su cinque, la prima degli studenti e la quinta dei lavoranti. Il terzo punto tocca la quotidianità della vita carceraria: si chiede l’autorizzazione all’acquisto di piccoli frigoriferi per conservare i generi alimentari, da installare all’interno delle celle “come già avviene nella Casa di reclusione di Padova e nella Casa circondariale di Trieste” precisano, come dire che la chiedono per gli altri perché loro, quelli di Padova, ce l’hanno già. Poi arriva il punto dolente di questa estate calda, la richiesta non di dotare le strutture carcerarie di aria condizionata come ha chiesto il Sappe, il sindacato di polizia penitenziaria, ma più semplicemente l’autorizzazione all’acquisto di piccoli ventilatori elettrici da tenere in cella. Infine si chiede l’allestimento delle sale colloqui con ventilatori in numero sufficiente per rendere sopportabile alle famiglie, e soprattutto ai bambini, la permanenza in queste stanze. In questo stesso ambito si chiede l’utilizzo più ampio possibile dell’area verde per i colloqui, e la concessione dell’aria estiva: significa un’ora aggiuntiva di passeggi dalle 17 alle 18. Infine un aumento delle ore di attività sportiva, ad esempio campo e palestra. Giustizia: carenza di risorse e di personale, presenze record di detenuti e strutture fatiscenti www.liberoreporter.it, 22 luglio 2010 Carenza di risorse economiche e di personale che insieme a presenze record e strutture fatiscenti sono la spiegazione a cui più si ricorre per spiegare il fenomeno dell’emergenza nelle carceri italiane. Secondo gli ultimi dati resi noti in questi giorni in Italia i detenuti sono 68.367, di cui 3.018 donne. Di questi poi, 24.889 sono stranieri. La sempre più difficile situazione del sovraffollamento nelle carceri e particolarmente sentita in alcune regioni italiane. Capofila di questa situazione drammatica sono Lombardia con 9.045 detenuti, nel carcere di Milano - San Vittore, capienza 712 detenuti ve ne sono 900, Sicilia con 8.133 e Campania con 7.930, dove nel carcere di Poggioreale a Napoli ci sono 2.710 detenuti anziché i regolamentari 1.347. Immediatamente dopo si colloca il Lazio. L’odierno allarme lanciato riguarda proprio questa regione. Secondo i dati diffusi dal Dap, i detenuti rinchiusi nei 14 istituti del Lazio sono 6.253. Un dato che rivela che sono oltre 1.600 in più rispetto alla capienza regolamentare. Un dato questo, dovuto al fatto che dall’inizio dell’anno, le presenze dei reclusi nelle carceri della regione sono in aumento esponenziale. Nelle celle attualmente sono reclusi 5811 uomini e 442 donne. La situazioni più critiche, dove in alcuni casi si arriva a un minimo di 200 detenuti in più ad un massimo di 500, si registra a Latina, Viterbo, Frosinone, a Rebibbia e Regina Coeli. In tutto questo poi, si rasenta il paradosso a Rieti, dove il carcere di recente costruzione con una capienza di 306 posti ospita solo 98 reclusi. Il problema qui risiede nel fatto che sono aperte solo 2 sezioni. Mentre le altre, come gli spazi ricreativi e quelli destinati all’infermeria, sono chiuse. La spiegazione? Carenza di risorse economiche e di personale che insieme a presenze record e strutture fatiscenti sono la spiegazione a cui più si ricorre per spiegare il fenomeno dell’emergenza nelle carceri italiane. Anche nel Lazio è confermata la media nazionale. La metà della sua popolazione carceraria, 2.922, è in attesa di giudizio. Quelli che stanno scontando una pena definitiva sono solo 3.334. Ad appena un anno dalla sentenza della Corte europea dei Diritti umani che ha condannato l’Italia per aver detenuto persone in meno di tre metri quadri. Ancora si riscontrano casi in cui in alcuni istituti di pena italiani in cella un detenuto arriva ad avere a disposizione appena due metri quadrati. Uno spazio per persona molto inferiore a quello che in Europa viene considerato il limite minimo per la condizione detentiva, una situazione che può configurarsi come tortura. Nel frattempo poi, emergono anche altri dati sconcertanti. Sono 104 i detenuti deceduti dall’inizio dell’anno e 1.702 quelli morti negli ultimi 10 anni, 593 dei quali si sono suicidati, di cui 37 nei primi sei mesi del 2010. Sono 66 i tentati suicidi sventati dalla polizia penitenziaria, 7 le evasioni, 8 le tentate evasioni, 121 gli agenti aggrediti e feriti da detenuti dall’inizio dell’anno a oggi. La Uil Pa Penitenziari aggiorna quotidianamente sugli eventi critici in ambito carcerario la pagina web “Diario di Bordo”, pubblicata sul sito www.polpenuil.it. Giustizia: le pene trasformate in barbarie; carceri italiane sempre più verso il baratro di Antonio Piazza www.caffenews.it, 22 luglio 2010 Oramai l’estate è giunta nel suo pieno, con il suo carico di calore, con temperature sahariane, afa opprimente e torride giornate che si susseguono in maniera inesorabile. Tutti noi cerchiamo refrigerio nelle spiagge, nei fiumi, nelle piscine, ricorriamo all’uso massiccio di condizionatori per lenire un poco il senso di soffocamento che il clima ci procura. E nonostante tutto ciò lamentiamo comunque il disagio che queste temperature ci arrecano. Proviamo per cinque minuti a chiudere porte e finestre, spegnere il condizionatore e a chiuderci nella stanza più piccola che abbiamo in casa nostra. Ed immaginiamo di doverci rimanere per tutto il giorno e per tutta la notte. E così nelle giornate successive. Questa è la situazione che stanno vivendo le oltre 68.000 persone recluse nelle nostre carceri. Avete letto bene, 68.000. Nonostante il pluriannunciato Piano Carceri, le numerose denunce delle associazioni di volontariato, gli esposti presentati da parlamentari di diversi schieramenti, gli articoli pubblicati da vari quotidiani, i servizi mandati in onda da differenti trasmissioni televisive o telegiornali, e perché no, in ultimo anche la nostra flebile voce, l’emergenza carceraria continua ad avanzare in maniera inesorabile. Sono stati sforati tutti i limiti di tollerabilità, di decenza, di rispetto della dignità della persona. Ormai le nostre carceri sono una “discarica di persone”, innocenti o colpevoli, questo poco importa, il tempo (forse) lo stabilirà. Ma intanto questi individui sono costretti a vivere in maniera che, definire indecorosa, sarebbe uno sciocco eufemismo. Ecco gli ultimi dati forniti dall’Associazione Antigone nelle più recenti visite fatte presso alcuni penitenziari italiani. Pistoia - capienza tollerabile 74 persone, numero di detenuti 140 persone; Padova - capienza tollerabile 98 persone, numero di detenuti 250 persone; Rebibbia - capienza tollerabile 281 persone, numero di detenuti 390 persone; Sulmona - capienza tollerabile 270 persone, numero di detenuti 444 persone; Regina Coeli - capienza tollerabile 670 persone, numero di detenuti 1073 persone; Fermo - capienza tollerabile 45 persone, numero di detenuti: 80 persone; Perugia “Capanne” - capienza tollerabile 352 persone, numero di detenuti 569 persone; Como - capienza tollerabile 421 persone, numero di detenuti 529 persone; Firenze - Sollicciano - capienza tollerabile 521 persone, numero di detenuti 989 persone; Milano San Vittore - capienza tollerabile 712 persone, numero di detenuti 1600 persone; Napoli Poggio Reale - capienza tollerabile 1347 persone, numero di detenuti 2710 persone; Novara - capienza tollerabile 182 persone, numero di detenuti 222 persone; Bologna - capienza tollerabile 452 persone, numero di detenuti 1158 persone; Gorizia - capienza tollerabile 30 persone, numero di detenuti 39 persone (50 fino al 29 giugno 2010); Trieste - capienza tollerabile 155 persone, numero di detenuti 232 persone. Dietro a questi numeri ci sono veri e propri drammi: celle nate per ospitare 2 detenuti che ne contengono fino a 5, persone costrette a convivere con 2 - 3 metri quadrati a testa all’interno di torridi loculi per 20 - 22 ore al giorno, impossibilitati a respirare un po’ d’aria dall’esterno. Senza contare le scarsissime condizioni igieniche nella quali versano la maggior parte degli istituti, soprattutto per quanto riguarda gli spazi comuni (docce e gabinetti), pieni di umidità e sporcizia, ambienti ideali per la proliferazione di germi e batteri che possono diffondere malattie ed infezioni. Ma questa è la giustizia, perlomeno quella italiana. La giustizia che dovrebbe rispettare i dettami costituzionali, che dovrebbe mirare alla rieducazione del reo, che dovrebbe certo punire ma anche recuperare. No, tutto questo è barbarie, è ipocrisia, è mancanza di rispetto dei più elementari diritti umani; tutto questo fomenta rabbia ed odio in coloro i quali si trovano a vivere tali situazioni. E chi non ha la forza di odiare, chi non riesce a farsi sostenere dalla rabbia, cede. Ed in questa sua discesa nel baratro, passa semplicemente da una statistica all’altra: dal numero dei detenuti ristretti, al numero dei detenuti suicidi. Ma per la società rimane pur sempre un numero in un fredda statistica. Giustizia: Luigi Compagna (Pdl); se il partito me lo chiede, ritiro la legge sull’amnistia e l’indulto di Annamaria Gravino Secolo d’Italia, 22 luglio 2010 Lo sapeva il senatore Luigi Compagna che la sua iniziativa non avrebbe suscitato particolari entusiasmi? Certamente sì, visti i precedenti. Ma l’ha portata avanti lo stesso, presentando un disegno di legge per la concessione di amnistia e indulto. La proposta punta a sensibilizzare sulla “drammatica situazione in cui versano le carceri italiane” e arriva nei giorni in cui si moltiplicano le notizie di suicidi e aggressioni agli agenti in diversi istituti. Ma è anche “un modo - chiarisce l’esponente del Pdl - per non lasciare certi temi solo ai radicali”. Puntuali sono arrivati l’applauso di Rita Bernardini e lo stop della Lega e del capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri, a cui Compagna ribadisce lealtà: “Un tema come questo non è sottoponibile alla disciplina di maggioranza o di partito. Se poi si rivelasse che la mia proposta è così forte che tutta l’opposizione vuole firmarla e Gasparri mi chiedesse di ritirarla, forse ci penserei”. La proposta è certamente forte... Ma mi è sembrato opportuno avanzarla come stimolo intellettuale e per la sensibilità che ho nei confronti del pianeta carcere, che versa in condizioni di particolare sofferenza. Non mi riferisco solo ai detenuti, ma anche al personale e ricordo che anche le audizioni programmatiche del ministro Alfano l’hanno rilevata. A proposito, che fine ha fatto il ddl “svuota carceri”? Le rispondo con una battuta del direttore di Radio Radicale, Massimo Bordin: è andato svuotando se stesso. È all’attenzione della Camera. Semplificando molto, prevedeva di convertire l’ultimo anno di detenzione in arresti domiciliari ma, sebbene sia stato annunciato con molta determinazione sia dal ministro Alfano sia dal presidente del Consiglio, ha incontrato la feroce opposizione del Pd in commissione Giustizia ed è finito in una condizione di offside, per dirla con un termine calcistico. Veramente si ricordano le dure prese di posizione della Lega... La Lega si è inserita sulla scia del Pd. Il governo ha le proprie sfaccettature interne, ma è un’istituzione non un salotto. Se l’avevano avuto è perché il governo l’aveva chiesto, anche con qualche eccesso di ottimismo, visto che si era parlato perfino di decreto legge. Che reazione si aspettava? Non è che pretendessi di avere la Lega dalla parte del disegno di legge, ma Castelli ha fatto delle obiezioni civilissime e ha dato un contributo serio (superare il modello di carcere omnicomprensivo e creare circuiti di detenzione alternativi per i detenuti a bassa pericolosità, ndr.). Perché poi, se posso essere molto sincero, è evidente che la mia proposta è un modo per buttare il pallone sul campo di gioco. Io non sono in commissione Giustizia, non sono un penalista, non faccio lobbismi. Sono solo un parlamentare non insensibile alle condizioni del carcere e noto che la custodia cautelare è di nuovo di gran moda. Da inguaribile, impenitente liberale, faccio anche appello ai valori cristiani. Gli unici a sembrare davvero contenti di questa iniziativa sono stati i radicali... Sono grato di questa considerazione, su questo tema non ci può essere un monopolio di sensibilità. Anche questa intervista denota che è stata colta la sensibilità della proposta. L’argomento potrebbe essere tema di iniziative bipartisan? Di iniziative trasversali ne ho fatte tante, addirittura una con la senatrice Chiaromonte sull’immunità parlamentare. Poi, quando c’è la disciplina di partito... Maurizio Gasparri ha detto di “escludere che si possano approvare amnistie o indulti”... E cosa si aspettava che dicesse? Comunque mi è parso abbastanza rispettoso, non gli ho sottoposto il provvedimento, non penso che una cosa del genere incrini i rapporti. Sarebbe stato scorretto se avessi chiesto le firme di altri colleghi, ma l’ho presentato in solitudine proprio perché non viene meno la mia lealtà al governo, alla maggioranza, a Gasparri. Nel Pdl ha riscontrato sensibilità simili alla sua? Mi scusi ma, se posso dirlo, ritengo sguaiata la domanda. Che c’entra il Pdl? È una domanda che non accetto. Lo spirito è che come parlamentare mi rivolgo a tutti i colleghi parlamentari. Giustizia: Consulta boccia custodia cautelare obbligatoria agli stupratori; la Carfagna attacca i giudici La Stampa, 22 luglio 2010 Niente carcere preventivo automatico per gli accusati di stupro. La Corte Costituzionale ha cancellato la norma che imponeva al pubblico ministero di applicare la custodia cautelare in prigione anche per coloro sospettati di reati di sfruttamento della prostituzione minorile. A sollevare il caso erano stati i Gip di Belluno e Venezia e il tribunale del riesame di Torino. La decisione della consulta ha scatenato polemiche nel mondo delle associazioni è ha suscitato l’energica reazione di Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità che ha accusato la corte di “giustificazionismo”. Il decreto nacque nel 2009 in seguito alle polemiche causate dalla concessione degli arresti domiciliari a Dario Franceschini, ventiduenne accusato di aver violentato una ragazza durante il concerto di Capodanno alla Fiera di Roma. Arrestato dopo qualche giorno, il ragazzo in 48 ore fu mandato ai domiciliari, visto che, secondo il Gip Guglielmo Muntoni, non sussistevano le tre condizioni per il carcere preventivo: pericolo di fuga, reiterazione del reato e inquinamento delle prove. La decisione del giudice scatenò le reazioni della politica: il ministro della Giustizia Alfano mandò gli ispettori, manifestando “lo sconcerto perché si tengono in modesto conto la gravità del fatto e il rispetto della dignità della vittima di un così odioso e devastante reato, dalle gravissime conseguenze psicologiche per la personalità di una giovane donna”. Anche il sindaco di Roma intervenne parlando di “segnale sbagliato dalla magistratura”. In questo clima, il governo decise di intervenire con un provvedimento che non lasciasse scelta ai giudici, in presenza dei gravi indizi di reato, le manette scattano automatiche. Gli accusati di stupro messi ai domiciliari, tornarono in prigione. Secondo la Consulta, però, questa norma viola l’articolo 3 della Costituzione, ovvero il principio di uguaglianza. Non si può equiparare questi reati a quelli di mafia (l’altra fattispecie per cui è previsto l’automatismo. Inoltre, scrive il relatore Giuseppe Frigo, già presidente delle Camere Penali, il tratto principale della custodia cautelare è quello di “non prevedere automatismi, né presunzioni”. Insomma, il giudice deve decidere caso per caso, perché “per quanto odiosi e riprovevoli, i fatti che integrano i delitti in questione possono essere meramente individuali e tali da non postulare esigenze cautelari affrontabili solo e rigidamente con la massima misura”. Motivazioni che non bastano a convincere Mara Carafagna: “L’intervento della Corte è giustificazio nista, lontano dal sentire dei cittadini, e, purtroppo, ci allontana, dalla strada verso la tolleranza zero contro i crimini sessuali che questa maggioranza ha intrapreso”. A parziale consolazione, il ministro per le Pari Opportunità sottolinea che non tutta la legge è stata bocciata: “Restano in vigore la difesa gratuita per le vittime e le aggravanti grazie alle quali ora chi stupra una donna rischia fino a 14 anni di carcere”. Protesta anche Telefono Rosa: “Mi chiedo - afferma la presidente Gabriella Carnieri Moscatelli - se in un momento in cui scorre sangue a fiotti per le donne, oggetto di violenza, se persone che si macchiano di questi reati debbano essere rimessi in giro”. Giustizia: Bernardini (Radicali); bene Consulta, presunzione di innocenza degli accusati Apcom, 22 luglio 2010 “Trovo ineccepibile la sentenza con la quale la Consulta ha dichiarato incompatibile con i nostri principi costituzionali la norma che prevede il carcere preventivo obbligatorio per chi è accusato di violenza sessuale”: lo afferma la radicale Rita Bernardini (Pd). “Ricordo infatti - prosegue in una nota - che già durante l’approvazione del decreto legge contenente misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, intervenni in Aula manifestando la mia netta contrarietà a qualsiasi forma di custodia cautelare obbligatoria la cui imposizione fosse dettata dalla legge sulla base del solo titolo di reato. Definii quella scelta palesemente illegittima in quanto toglieva al giudice il potere di valutare, caso per caso, se la custodia cautelare in carcere fosse necessaria ed in quale misura, e ciò sulla base di una valutazione a priori fatta dal legislatore, secondo la quale chiunque è accusato di aver commesso un determinato reato debba essere, per ciò stesso, al massimo grado di pericolosità sociale. La sentenza della Corte Costituzionale conferma il mio giudizio di ieri. Al Ministro Carfagna, che ha duramente criticato la decisione adottata dai giudici costituzionali, ricordo - prosegue l’esponente radicale - che anche la persona accusata di un reato di violenza sessuale è presunto innocente fino a sentenza definitiva, proprio come qualsiasi altro cittadino, e che legiferare in reazione a pur comprensibili reazioni dell’opinione pubblica, ovvero sulla base di episodi di piazza, rappresenta sempre una grave regressione della democrazia. Peraltro, come scritto nella mozione sulle carceri approvata dalla Camera dei Deputati, l’abuso della carcerazione preventiva rappresenta una delle principali distorsioni della nostra giustizia penale e dell’attuale sovraffollamento carcerario, per cui il legislatore farebbe bene ad intervenire limitandone l’applicazione solo ove assolutamente necessario, proprio come previsto in ogni Stato di Diritto degno di questo nome, e non certo - conclude Bernardini - per saziare quella sete di giustizialismo e di vendetta spesso alimentati da vere e proprie forme di gogna mediatica”. Giustizia: l’Osapp si rivolge al Governo, intervenire subito per far fronte al gran caldo Adnkronos, 22 luglio 2010 In vista dell’arrivo di temperature ancora più alte per i prossimi giorni annunciate dal ministero della Salute e dalla protezione Civile in molte Regioni d’Italia tra cui Puglia e Basilicata l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria, chiede “interventi urgenti da parte del governo nelle carceri sovraffollate. A causa del sovraffollamento - denuncia l’Osapp - si verificano nelle carceri aggressioni tra detenuti, fibrillazioni tra clan nei reparti di ubicazione, tentativi di suicidio, suicidi ed evasioni, e ora si deve anche fare i conti con l’afa, il caldo a 35/45 gradi”. Di qui la necessità “di interventi urgenti per far fronte alla difficile situazione”. Giustizia: Sappe; agenti aggrediti e celle date alle fiamme, cosa si aspetta per intervenire? Ansa, 22 luglio 2010 “È del tutto evidente, a quattro anni dall’indulto del 2006 che fece uscire dalle carceri italiane più di 23mila detenuti, come la mancata previsione ed approvazione di interventi strutturali sull’esecuzione della pena e sul sistema penitenziario nazionale abbiano portato ancora una volta gli istituti di pena del Paese in piena emergenza, con quasi 69mila detenuti presenti e un Corpo di Polizia Penitenziaria carente di 6mila unità. In questo contesto, c’è il fondato rischio che il colpo di grazia alle carceri italiane lo daranno una manovra finanziaria che prevede pesanti tagli ai bilanci dell’Amministrazione penitenziaria, un piano carceri che non vede luce e annunciate assunzioni di 2mila nuovi agenti che però restano solo sulla carta. I politici perdono tempo e intanto le carceri sono sul punto di esplodere, come dimostra il fatto che in poche ore abbiamo registrato un ispettore della Polizia penitenziaria aggredito nel carcere genovese di Pontedecimo ed un agente in quello minorile di Catanzaro, una cella data alle fiamme da detenuti violenti a Modena, una rumorosa protesta notturna nel carcere di Sanremo. È fantascienza chiedere una svolta condivisa di Governo e Parlamento per una nuova politica della pena, necessaria e non più differibile, che ‘ripensi’ organicamente il carcere e l’Istituzione penitenziaria, anche alla luce della sostanziale inefficacia degli effetti dell’indulto?”. È quanto scrive in una nota Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione dei Baschi Azzurri, in relazione ai gravi episodi accaduti negli ultimi giorni nelle carceri del Paese. Giustizia: Osapp; la convocazione del Dap? Noi non ci saremo Agi, 22 luglio 2010 “Con 67.795 detenuti complessivi, dato riferito al 19 luglio scorso, e un’affluenza che supera con punte del 130% la tollerabilità in quasi tutti gli istituti di pena, non possiamo certo sperare che questa amministrazione compia dei miracoli nel giro di poche settimane”. Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, annuncia che il suo sindacato non raccoglierà la convocazione del capo del Dap, Franco Ionta, per discutere “della attuale situazione” e di “interventi a medio e lungo periodo”. “Noi non ci saremo oggi - spiega Beneduci - e non ci saremo fin quando il capo del Dap non si metta nell’ordine di idee che questa situazione, quella del sovraffollamento, non può essere risolta che attraverso la partecipazione di tutte le forze in campo. Non ci ha mai chiesto consulto quando c’era da varare il piano carceri, e sembra che di nastri per i nuovi penitenziari non se ne siano stati tagliati di recente, e nemmeno si vedranno a medio termine”. “In due anni di permanenza al Dipartimento - aggiunge il segretario generale - Ionta non si è preoccupato di discutere delle problematiche della nostra categoria; del ruolo e delle funzioni future della polizia penitenziaria; di adeguamento degli organici in ragione delle accresciute esigenze e professionalità del Corpo; di riallineamento delle qualifiche; di dirigenza di polizia penitenziaria e direzione degli istituti e dei servizi penitenziari. Adesso corre ai ripari con una convocazione che ha il sapore dell’amaro. Che ha il sapore di una disfatta, che sembra sempre più concreta sotto il caldo asfissiante di quest’estate da dimenticare”. Giustizia: bozza di trattato Italia-India per trasferimento dei detenuti condannati Il Velino, 22 luglio 2010 Si sono felicemente concluse oggi, presso la sede di via Arenula, le trattative in corso fra le delegazioni di esperti ministeriali di Italia e India per la redazione di una bozza definitiva di trattato bilaterale in materia di trasferimento nel Paese di origine delle persone condannate e detenute. È quanto si legge in un comunicato del ministero della Giustizia. Prossimamente, il ministro Angelino Alfano e il suo collega indiano si incontreranno per la firma dell’importante trattato. La definizione della bozza segue le recenti sottoscrizioni delle bozze di due trattati con la Cina in materia di assistenza giudiziaria penale ed estradizione. Analogamente, anche le negoziazioni con la parte Indiana proseguiranno per la conclusione di accordi di cooperazione su tali materie. La delegazione italiana, che per tre giorni ha lavorato insieme alla delegazione indiana, era composta da rappresentanti della Direzione Generale Giustizia Penale del Ministero della Giustizia e da rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri. Giustizia: Mentoring Usa-Italia Onlus; al via il progetto di reinserimento sociale dei minori detenuti La Città di Salerno, 22 luglio 2010 Si è tenuto nei giorni scorsi, presso il Consolato italiano a New York, un incontro, tra la signora Matilda Raffa Cuomo e la senatrice Maria Elisabetta Alberti Casellati, sottosegretario di Stato alla Giustizia per l’applicazione del metodo one to one nei centri di rieducazione minorili. Un progetto che è volto a favorire l’inclusione dei minori in procinto di uscire dal sistema carcerario. Questa expertise, che si è avvalsa anche del monitoraggio scientifico dell’Università La Sapienza di Roma, potrà rappresentare un efficace contributo per favorire il reinserimento sociale di ragazzi con problemi giudiziari. Il Mentoring nelle carceri offre l’opportunità di aiutare il minore non ancora uscito dal sistema giudiziario ad avere una prospettiva sociale, relazionale e di facilitare la costruzione di un progetto di vita a connotazione positiva. L’esperienza di Mentoring Usa-Italia Onlus, fortemente voluta da Mario e Matilda Cuomo, sarà occasione di condivisione anche con il personale che opera con i minori nelle carceri. L’attività formativa prevederà la valorizzazione della comunicazione e dei rapporti interpersonali come momento fondante la crescita del ragazzo da recuperare alla vita sociale. A tal proposito, saranno individuati dei percorsi lavorativi ed esperienziali con il supporto di corporazioni presenti sul territorio e si formerà il personale delle carceri alla comunicazione e rapporti interpersonali. Nella creazione di un ponte tra realtà carceraria e società lavorativa, si ritiene importante coinvolgere i dipendenti aziendali, con una duplice funzione: essere abbinati nel rapporto di uno a uno con i ragazzi e, in un grande gruppo, portare la loro testimonianza su come hanno costruito un percorso lavorativo e di crescita personale. Prossimamente, un incontro tra Sergio Cuomo, presidente nazionale di “Mentoring Usa-Italia Onlus” e il sottosegretario Casellati. Giustizia: “Jail Mobile”, giro d’Italia in camper per promuovere il lavoro in carcere Redattore Sociale, 22 luglio 2010 Fa tappa domani in Emilia Romagna il “Jail tour”, l’iniziativa che mira a promuovere e far incontrare le migliori esperienze di lavoro per i detenuti. Si parte da Forlì, dove i detenuti riciclano i rifiuti Raee, per arrivare alle attività di ristorazione Arriva domani in Emilia Romagna il “Jail Mobile”, il camper che gira l’Italia per “mettere in moto” le migliori esperienze di lavoro per i detenuti. Parte del progetto “Recuperiamoci!”, “il Jail Tour 2010 è nato per promuovere le attività produttive dei detenuti - spiega l’organizzatore Paolo Massenzi - e per far incontrare le cooperative che lavorano all’interno delle carceri. L’ambizione è quella di creare una rete informativa e uno scambio reciproco”. Il camper è partito il 12 luglio dal Piemonte (Alba e Fossano) e ha già attraversato Torino, Milano, Bergamo, Padova e Venezia. La tappa emiliano-romagnola si svolge domani: alle 9 il camper sarà a Forlì per incontrare la cooperativa Gulliver che da anni gestisce un laboratorio di lavorazione dei Raee, rifiuti da materiali elettrico ed elettronico, con tre detenuti della casa circondariale. Il viaggio continua a Bologna: alle 13.30 al ristorante “Le torri” (in via della Liberazione 6) con l’incontro della cooperativa sociale it2 e dell’associazione “Angolo B - Bologna al contrario”, entrambe operanti nel settore della ristorazione solidale con l’obbiettivo di inserire nel mondo del lavoro persone con disagi sociali. Si replica alle 18 a Monterenzio, località Villa di Cassino. “La Jail Mobile - continua Massenzi - è carica di prodotti di ogni genere: dal miele ai biscotti, da oggetti in ferro battuto a borse e vestiti, a testimonianza dell’ottima attività di recupero dei detenuti che le cooperative svolgono nelle carceri italiane”. Le prossime tappe del tour sono Roma (il 31 luglio), Terni (4 agosto), Palermo (28 agosto) e Catania (30 agosto). L’iniziativa “Recuperiamoci!”, presentata a Terra Futura 2010, la mostra delle buone pratiche che si è tenuta a Firenze nel mese di maggio, proseguirà anche in autunno. “In cantiere - spiega Massenzi - c’è l’apertura di un emporio permanente con tutti i prodotti che provengono dalle realtà carcerarie”. Per info sull’iniziativa basta collegarsi su http://www.recuperiamoci.org/ o visitare la pagina facebook del gruppo Recuperiamoci!. Puglia: i Radicali rivolgono un appello al governatore Vendola perché nomini il Garante dei detenuti Gazzetta del Mezzogiorno, 22 luglio 2010 I detenuti sono ormai stabilmente venticinquemila di più dei posti regolamentari. Viceversa, gli agenti sono ottomila in meno rispetto alla pianta organica, peraltro concepita in tempi e situazioni di “normalità”. Tradotto in pratica, il sovraffollamento significa stare per oltre venti ore al giorno in sei, in otto o in dodici in celle sporche e degradate concepite per due, quattro o sei detenuti. Celle che d’estate diventano dei veri e propri forni, dove la gente rischia di impazzire. Siamo arrivati al punto che in alcune prigioni non bastano più neanche i letti a castello che arrivano a un palmo dal soffitto e i direttori sono costretti a tenere un “registro dei materassi” per stabilire a chi tocca dormire sul pavimento e a usare anche i corridoi delle sezioni e gli spazi dedicati alla “socialità”, alla scuola e ai corsi di formazione per dare posti - letto a persone della più varia umanità e pericolosità. Nella promiscuità più scriteriata, ci sono detenuti condannati assieme a detenuti in attesa di giudizio, colpevoli in via definitiva e innocenti fino a prova contraria, prossimi al fine pena o coi “fine pena: mai”. C’è chi è malato e non viene curato, c’è chi è straniero e non viene nemmeno considerato, c’è chi non ce la fa più e si toglie la vita. In base a una calcolo fatto da “Ristretti Orizzonti”, negli ultimi dieci anni nelle carceri italiane sono morti 1.702 detenuti, di cui 593 per suicidio. Il 2009 aveva fatto registrare 72 suicidi in carcere, il numero più alto della storia italiana, ma anche i primi sei mesi e mezzo di quest’anno sono trascorsi all’insegna della medesima “emergenza”: 32 detenuti si sono impiccati e altri 5 si sono suicidati con il gas delle bombolette, mentre 67 detenuti sono morti per malattia, asfissia da gas o per cause ancora da accertare. Non c’è nulla di “naturale” in queste morti, che sono solo frutto di malagiustizia e malaprigione italiane, ragion per cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo continua a condannare l’Italia per denegata giustizia e violazione dell’articolo 3 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” che vieta la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti. Nell’Italia di oggi vige quindi la tortura e anche un tipo di pena di morte che non è comminata “di diritto” dai tribunali ma è praticata “di fatto” nelle carceri. Non solo perché l’esecuzione della pena può accadere che si risolva in “esecuzione” tout court tramite suicidio o presunto tale, vero e proprio omicidio o cosiddetta malattia, ma anche perché in Italia vige ancora il “fine pena: mai” dei detenuti in 41 bis condannati a un ergastolo senza via di uscita e il “carcere a tempo indeterminato”, l’ergastolo bianco” che rischia di essere il destino degli “internati” sottoposti alle misure di sicurezza. Il tutto avviene nell’indifferenza più assoluta della politica, della maggioranza e della opposizione parlamentare, Radicali esclusi. Se il nostro fosse uno Stato di Diritto, si cercherebbero soluzioni all’insegna della legalità e del rispetto dei principi costituzionali. Per far fronte al sovraffollamento nelle carceri, basterebbe ad esempio applicare la legge Gozzini sulle misure alternative alla detenzione, una legge vilipesa, criminalizzata e ormai caduta in disuso nel nostro Paese, nonostante le statistiche dicano che le misure alternative sono lo strumento più efficace contro la recidiva e per una maggiore sicurezza sociale. Invece no, e in molte carceri i detenuti continuano a essere - è il caso di dire - “ristretti” in spazi di tre metri quadrati a testa e gli agenti costretti a un lavoro massacrante che nulla ha a che vedere con la rieducazione. Nella classifica nazionale del “sovraffollamento”, termine tecnico e impersonale che non rende minimamente la proporzione di quella che è una vera e propria catastrofe umanitaria, la Puglia figura al secondo posto. Alla fine di giugno, i detenuti presenti nelle carceri della regione erano 4.601, oltre 2.000 rispetto alla “capienza regolamentare” e 600 in più anche di quella “tollerabile”... tollerabile per chi non si sa: forse per il ministero, non certo per gli agenti di polizia penitenziaria e tantomeno per i detenuti, come quei tre detenuti del carcere di Lecce che si sono tolti la vita negli ultimi mesi! La Regione Puglia non merita questo infelice primato, anche perché nella scorsa legislatura il Presidente Vendola ha voluto che venisse istituito con una legge ad hoc il Garante Regionale dei Diritti delle persone private della libertà. La Puglia è stata una delle poche regioni italiane a dotarsi di questo strumento, ma sono passati quattro anni e alla legge scritta non hanno fatto seguito gli atti conseguenti: il decreto attuativo della legge e la nomina del Garante. Ci appelliamo al Presidente Vendola perché voglia marcare subito il suo secondo mandato con il completamento di un’opera che è di estrema attualità, necessità e urgenza. Secondo la nostra impostazione, l’ufficio del garante sarebbe, uno strumento democratico di conoscenza, di controllo e di proposta relativo alla condizione non solo dei detenuti - detenuti, ma anche dei semi - detenuti che alla fin fine sono gli “agenti di custodia”, i direttori e gli altri componenti la comunità penitenziaria, vittime anche loro della stessa catastrofe umanitaria e della ordinaria illegalità, carceraria e non, che vige nel nostro Paese. Sergio D’Elia (Segretario di Nessuno tocchi Caino), Rita Bernardini (Deputata radicale presentatrice della proposta di legge istitutiva del Garante Nazionale dei Diritti delle persone private della libertà), Giuseppe Napoli (Segretario dell’Associazione radicale “Diritto e Libertà”), Mario Staderini (Segretario di Radicali Italiani), Maurizio Turco, (Deputato radicale, presidente vicario del Senato del Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito), Elisabetta Zamparutti (Deputata Radicale, tesoriera di Nessuno tocchi Caino) Sicilia: Bernardini (Radicali); ho visitato le carceri della regione… tra le peggiori che abbia mai visto di Eleonora Martini Il Manifesto, 22 luglio 2010 “Le carceri siciliane? Tra le peggiori che abbia mai visto”. Eppure di celle la radicale Rita Bernardini ne ha viste molte. Insieme ad una delegazione di volontari di “Ristretti Orizzonti” e ad altri esponenti radicali, la deputata Pd ha trascorso l’intero fine settimana a visitare i penitenziari siciliani, arrivando senza preavviso e andando a curiosare ovunque, cella per cella, come è permesso solo ai parlamentari e non certo ai giornalisti che dipendono invece dal permesso del Dap. Racconta di sovraffollamento oltre i limiti della sopportabilità umana che con il caldo di questi giorni si trasforma in una forma nemmeno troppo velata di tortura di Stato, come ha denunciato ieri anche il sindacato di polizia penitenziaria Osapp in una lettera indirizzata al governo per chiedere di intervenire immediatamente. Cessi, dove ci sono, a vista nelle celle, che sono prive di sufficiente ventilazione; docce a disposizione solo un paio di volte a settimana; centri diagnostici e terapeutici dove scorrazzano scarafaggi e topi, e i detenuti affetti anche da patologie gravissime o contagiose vengono abbandonati a loro stessi senza cure e assistenza adeguate. E l’elenco delle illegalità potrebbe continuare a lungo. Bernardini presenterà in questi giorni un’interrogazione parlamentare per chiedere al governo di ritornare nella legalità. I Radicali italiani e l’associazione Luca Coscioni, invece, hanno visitato il carcere di Varese, formalmente dismesso nel 2001 in quanto “non idoneo alla funzione”. “Nel 2004 - spiegano - il ministro Castelli annunciava la costruzione, nel tempo record di 5 anni, di una nuova struttura con la formula del leasing ma ad oggi non è ancora stato individuato nemmeno il sito dove dovrebbe sorgere il nuovo carcere. Liguria: “tour” nelle sette carceri regionali, un inferno senza ritorno di Massimo Calandri La Repubblica, 22 luglio 2010 Un passo e mezzo, dietrofront. Un passo e mezzo, dietrofront. C’è poco da scegliere, i metri a disposizione sono solo due. E anche oggi fa un caldo bestiale, roba da impazzire. D’accordo, chiedere l’aria condizionata qui in prigione sarebbe un sacrilegio. Ma almeno una finestrella, una di quelle classiche che si vedono nelle barzellette: con le sbarre di ferro. Invece niente. Neanche una finestra. E per la doccia bisogna fare una domanda scritta. Non puoi nemmeno metterti a dormire, perché le brande del letto a castello sono tre e quando ti sdrai sembra di soffocare. Anche oggi per l’ora d’aria libera - aria libera? - non c’è niente da fare: mancano le guardie per sorvegliare, e allora tutti dentro. Dentro. Non resta che la televisione, per rincoglionirsi un po’. Un passo e mezzo, dietrofront. I detenuti liguri - che costano 150 euro al giorno alla comunità - sono quasi duemila. E tutti nelle stesse condizioni. Dice l’articolo 27 della Costituzione Italiana che dovrebbero essere trattati con umanità e rieducati. Ma dentro quelle celle sovraffollate, costretti come animali, possono solo peggiorare: e quando escono sono più pericolosi di prima. Lo racconta un emozionante e dettagliato rapporto scritto in questi giorni da un consigliere regionale, Matteo Rossi, e da un avvocato specializzato nell’occuparsi dei diritti degli ultimi, Alessandra Ballerini. I due in un paio di settimane hanno visitato a sorpresa le sette carceri della regione: Genova (Marassi e Pontedecimo, compresa la sezione femminile), Sanremo, Imperia, Savona, Chiavari, La Spezia. Hanno parlato con i direttori delle strutture, con il comandante della polizia penitenziaria. E con i reclusi. Hanno ascoltato, visto. E preso appunti. Ne è uscito un libro bianco fitto di cifre impressionanti. Disumane. Non deve quindi sorprendere l’ultima giornata nera delle Case Rosse, l’altro ieri: a Marassi in meno di ventiquattro ore un detenuto ha tentato di impiccarsi ma è stato salvato appena in tempo dalle guardie; poi è scoppiata una gigantesca rissa tra dieci persone nella zona ad “alta sicurezza”; in serata un altro recluso con problemi psichici ha dato fuoco alla propria cella. Vale la pena di leggere a proposito di quest’ultima storia il commento di un sindacalista della polizia penitenziaria, Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa: “Alle ore 17 a Marassi erano ristretti 780 detenuti. A fronte di una capienza massima di 450. Questo ammasso di persone, cui sono sottratti spazi fisici vitali, non può non alimentare tensioni ed aggressività, che si manifestano con atti violenti, in ogni caso ingiustificabili. Ma anche la forte carenza di personale impedisce una concreta azione preventiva alle violenza”. E questo è il pensiero delle guardie. I detenuti da parte loro avrebbero tante cose da raccontare. Ma non possono. E allora provano a farlo Alessandra Ballerini e Matteo Rossi, che in questo loro viaggio all’inferno sono stati accompagnati a volte anche da Simone Leoncini. Lo sapevate che nella prigione di Pontedecimo c’è con la sua mamma (detenuta) un bimbo di due anni e mezzo che non ha mai parlato? Prima pensavano che fosse sordo, e invece no. Ci sente, ma non riesce a parlare. Non è mai uscito dalla prigione, non ha mai incontrato una logopedista. Ha problemi di deambulazione, i piedi convergenti. È rachitico, perché non ha mai preso un raggio di sole. Anche il suo papà è recluso, ma a Marassi. Un’altra storia. A Marassi nell’ex centro clinico ci sono almeno cinquanta malati psichiatrici, tutti a rischio suicidio: “Sembra di entrare all’inferno”, scrivono i due autori della relazione. Storia numero tre. Nel carcere di Imperia i metri quadri a disposizione per ciascun “ospite” sono due. Hanno diritto a 4 ore d’aria al giorno, in un cortile “piccolissimo, totalmente a cielo aperto, esposto al sole o alla pioggia”. Spesso restano comunque in cella “perché non c’è personale per sorvegliarli”. Quarta storia, anche questa presa a caso. A Savona la struttura viene definita “inquietante”: “Umidissima, cade letteralmente a pezzi. Ci sono bacinelle ovunque perché piove dentro, muffa dappertutto e impianti non a norma. In spazi ristretti per un carcere che ospita il doppio delle persone che potrebbe contenere. Anche le aree comuni sono state adibite a celle perché non sapevano più dove metterei detenuti: che si ritrovano in celle senza finestre”. Per fortuna, “la polizia penitenziaria è disponibile ed empatica coi detenuti e si fa portavoce delle loro lamentele”. Il caso peggiore è naturalmente quello di Marassi. Il numero dei detenuti è praticamente doppio rispetto a quello massimo previsto. Gli agenti sono un terzo in meno di quelli che sono stati ufficialmente assegnati. Ogni mese ci sono almeno dieci tentativi di autolesionismo, l’ultimo suicidio è quello di un giovane che ha annusato il gas del fornelletto da cucina. Circa trecento reclusi sono tossicodipendenti, le patologie più ricorrenti sono Hiv, epatite, tubercolosi. Di quei 150 euro al giorno per carcerato, 3 sono per il cibo: colazione, pranzo e cena, vedete un po’ voi quale può essere la qualità. Con ottocento ospiti, è praticamente impossibile avere un pasto caldo: i fornelletti in cella servono proprio a quello, a riscaldare. Ma qualcuno poi finisce regolarmente per provare ad uccidersi. Sanremo è l’altro inferno: quasi quattrocento detenuti, il doppio di quelli previsti. Trecento tossicodipendenti, la metà in cura psichiatrica. “A dire del direttore, i rapporti sono ottimi e non ci sono tensioni né sono mai state registrate aggressioni”. Ballerini e Rossi ci sono andati subito, a Sanremo, anticipando di qualche settimana il loro progetto: “Perché un detenuto è morto in circostanze misteriose. Forse per un infarto, forse perché è caduto dalla terza branda del letto a castello. La verità non la si conosce ancora. Ma vi pare possibile?”. Le relazioni finiranno sul tavolo del presidente della Regione Liguria. “Non possiamo continuare a fare finta di nulla”, dice Rossi, eletto nelle liste di Sinistra Ecologia e Libertà. “Ho visto disponibilità in molti direttori delle strutture, e anche nella polizia. Però mancano i mezzi. E allora queste persone sono condannate due volte: c’era sfiducia e rassegnazione nei loro volti, continuando così - e dopo avere speso comunque tanto - restituiremo alla società delle persone, malate, sconfitte. Pericolose. Va rivista la legge, bisogna creare delle vere misure alternative. E dobbiamo dare delle opportunità a questa gente, per quando uscirà: la Regione deve investire. Cominciando ad istituire la figura di un garante per le carceri”. Alessandra Ballerini scuote la testa: “C’è una sola cosa che in prigione non manca mai: la tivù. Il narcotico perfetto”. La tivù. Oppure un passo e mezzo. Dietrofront. Lazio: il Garante; 1.600 detenuti in più rispetto a capienza, grave sovraffollamento in istituti regione Adnkronos, 22 luglio 2010 Il Garante dei detenuti Angiolo Marroni denuncia “il grave sovraffollamento nelle carceri del Lazio”, sottolineando come a luglio si registri una media di oltre 1.600 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare. “È una situazione - sottolinea Marroni - ormai al limite soprattutto in questo periodo quando il caldo e le ferie del personale rendono difficili le attività di socializzazione”. Secondo i dati del Dap, aggiornati al 20 luglio, i detenuti reclusi nelle carceri del Lazio sono 6.253, “oltre 1.600 in più rispetto alla capienza regolamentare dei 14 istituti regionali”, spiega il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, sottolineando che dall’inizio dell’anno, le presenze dei reclusi nelle carceri della regione sono sempre in aumento: in cinque mesi, infatti, i detenuti censiti sono aumentati di 372 unità. Nelle celle del Lazio sono attualmente reclusi 5811 uomini e 442 donne per un totale di 6.253, a fronte di una capienza regolamentare totale di 4.608 posti (4.275 uomini e 333 donne). Il 20 giugno erano 5795 uomini e 459 donne, il 24 maggio erano 5784 gli uomini e 445 le donne, e ancora, il 21 aprile i detenuti erano 6.138 (5.704 uomini e 434 donne), l’11 marzo 6.082 (5648 uomini e 434 donne), a febbraio 5.882 (5.470 uomini e 412 donne). Il Garante fa notare che “scorrendo i dati emerge immediatamente il problema del sovraffollamento, con 1.646 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare”. Dal punto di vista numerico “le situazioni più critiche si registrano a Latina (dove i detenuti dovrebbero essere 86 e sono invece 146), Viterbo (681 contro i 433 previsti), Frosinone (quasi 200 in più), a Rebibbia N.C. (quasi 500 detenuti in più) e Regina Coeli (oltre trecento in più). A Rebibbia Femminile le donne dovrebbero essere 274, sono invece quasi cento in più“. Inoltre, ricorda Marroni, non è stato ancora risolto il caso “paradossale” di Rieti, dove il nuovo carcere da 306 posti ospita solo 98 reclusi: due sole le sezioni aperte, tutte le altre, come gli spazi ricreativi e quelli destinati all’infermeria, sono chiuse per carenza di risorse economiche e di agenti di polizia penitenziaria. Resta confermata la media nazionale secondo cui quasi la metà dei detenuti sono in attesa di giudizio: nel Lazio, infatti, i detenuti che stanno scontando una pena definitiva sono solo 3.334; coloro che sono in attesa di giudizio 2.922 (I° grado, appellanti, ricorrenti). Secondo gli ultimi dati disponibili, in tutta Italia i detenuti sono 68.244, di cui 3.018 donne. Gli stranieri sono 24.889. Il Lazio è la quarta regione d’Italia come presenza di reclusi dopo Lombardia (9045), Sicilia (8133) e Campania (7930). “I numeri diffusi dal Dap ci preoccupano, così come il fatto che, purtroppo sta accadendo quando ormai da mesi paventiamo - ha detto ancora il Garante - La mancanza di misure efficaci contro il sovraffollamento ha infatti portato, con l’arrivo del caldo estivo, a un progressivo peggioramento delle condizioni di vita in tutte le carceri della Regione”. Presenze record, strutture fatiscenti e carenze di fondi e di personale sono le cause di una situazione “sempre più difficile - ha concluso Marroni - resa oggi ancor più grave dalle problematiche tipiche del periodo estivo che portano ad un incremento degli atti di autolesionismo e del rischio suicidi. In queste ore stiamo contattando le direzioni delle carceri per suggerire alcune semplici misure per migliorare la vita di tutti i giorni: aumentare l’accesso alle docce, mantenere le celle aperte la notte, garantire la distribuzione di acqua potabile”. Sardegna: Commissione diritti civili favorevole a schema attuazione sanità penitenziaria Agi, 22 luglio 2010 La commissione Diritti civili del Consiglio regionale ha espresso parere favorevole, con osservazioni, sullo schema di attuazione in materia di sanità penitenziaria. L’organismo consiliare, presieduto da Silvestro Ladu, ha sentito sul documento prima di esprimere il parere, l’assessore regionale alla sanità Antonello Liori che ha illustrato la situazione dei detenuti che hanno necessità di cure. Una situazione non facile e spesso ad alto rischio. Eppure - ha aggiunto l’esponente della giunta - la sanità penitenziaria dovrebbe funzionare meglio di quella al servizio del normale cittadino. La Sardegna sta tentando di recuperare il tempo perduto approvando, prima tra le regioni a Statuto speciale, le “Norme di attuazione in materia di energia penitenziaria”. Questo schema di attuazione disciplina le modalità, i criteri e le procedure per il trasferimento al Servizio Sanitario della Regione, dal Ministero della giustizia, delle funzioni sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali relativi alla sanità penitenziaria. Questo trasferimento - ha detto stamattina il presidente della commissione Silvestro Ladu - è complicato perché bisogna garantire il livello di assistenza dei detenuti e la continuità occupazionale delle persone che operano nel settore. L’assessore Liori ha dato ampie assicurazioni e ha sottolineato che per quanto riguarda l’inquadramento del personale non si lascerà l’iniziativa ad ogni singola Asl ma si organizzerà a livello regionale. L’esponente della giunta ha auspicato che venga istituito, al più presto, l’Osservatorio regionale per la sanità penitenziaria. Inoltre, sono stati già ottenuti 3 milioni di euro per la costruzione di un ospedale giudiziario psichiatrico che ancora manca in Sardegna dove saranno trasferiti i 50 detenuti sardi che attualmente sono reclusi a Montelupo Fiorentino. Il resto dei fondi per costruire la nuova struttura - ha detto l’assessore - si potrebbe reperire dalla “cassa delle ammende”, un ente con personalità giuridica istituito presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che finanzia programmi di reinserimento in favore di detenuti e internati, programmi di assistenza e progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie. La commissione ha anche espresso parere favorevole, con osservazioni, sul testo che riguarda l’editoria libraria. A maggioranza è stato, inoltre, approvato il documento n. 10 sulla Consulta per l’emigrazione. Sicilia: in Assemblea regionale ampio consenso a Odg su trasferimento competenze sanità penitenziaria La Sicilia, 22 luglio 2010 Arriva il consenso multipartisan per l’Odg presentato all’Assemblea della Regione siciliana dal deputato Bruno Marziano sul mancato passaggio alla Regione delle funzioni relative alla sanità penitenziaria. L’iniziativa di Marziano, inoltre, è affiancata dall’intervento del senatore Ignazio Marino che ha definito “indecenti” le condizioni dei detenuti dopo la visita all’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto. Il senatore ha parlato anche di “scuse burocratiche” della Regione non essendosi fatta carico della sanità penitenziaria come voluto dalla legge. L’Odg di Marziano è stato sottoscritto da tutte le forze politiche: Gianni per l’Udc, Cracolici, De Benedicts, Apprendi, Oddo, Di Giacomo e Faraone per il Pd, Adamo per il Pdl Sicilia e Musotto per l’Mpa. Il capogruppo del Pdl nazionale dovrebbe firmare oggi. L’odg, tra l’altro, sarà oggi in aula, almeno secondo le assicurazioni a Marziano del presidente dell’Ars Cascio. “Nell’attesa del trasferimento delle competenze alla Regione - commenta Marziano - le funzioni della sanità penitenziaria continuano a essere svolte dal dipartimento regionale dell’Amministrazione penitenziaria e dal dipartimento della Giustizia minorile del ministero della Giustizia. Questo sta determinando il deterioramento della qualità dell’assistenza ai detenuti. Il passaggio alla Regione, invece, dovrebbe portare velocemente a un miglioramento”. La questione ha inizio perché non è mai stata convocata la commissione paritetica Stato - Regione che avrebbe dovuto valutare il testo contenente le norme di attuazione del passaggio. Testo, dunque, mai predisposto e mai sottoposto alla Commissione. “La Sicilia - continua il deputato - è una delle ultime regioni, se non l’ultima, che non ha ancora provveduto ad acquisire la sanità penitenziaria. Una questione delicata rappresentata da alcuni dati sulla situazione carceraria che presenta il sovraffollamento nella carceri con la forzata convivenza in pochi metri quadrati. Una situazione, inoltre, che costringe alla convivenza detenuti di diverse religioni, soggetti sani con altri che soffrono di problemi di tossicodipendenza o psichiatrici. Una promiscuità allarmante che si nota anche dove il sovraffollamento non è particolarmente rilevante”. Marziano, infine, evidenzia l’inosservanza degli standard europei. Basilicata: approvato piano regionale per la formazione e l’avvio al lavoro dei detenuti Adnkronos, 22 luglio 2010 In Basilicata si è insediata la cabina di regia per l’inclusione sociale e lavorativa dei soggetti, adulti e minori, che sono detenuti per provvedimento dell’autorità giudiziaria. Si tratta di misure che prevedono interventi di orientamento, istruzione, formazione e lavoro. Hanno partecipato ai lavori l’assessore alla formazione, Rosa Mastrosimone, la dirigente generale alla formazione, Liliana Santoro, rappresentanti della Commissione permanente per l’impiego, del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria e del Centro per la Giustizia minorile per la Calabria e la Basilicata. “I lavori sono stati molto proficui - dichiara Rosa Mastrosimone - e si sono conclusi con l’approvazione del Documento di Programmazione per il 2010. Un atto importante che prevede il trasferimento alle Province di Potenza e di Matera di 1.730.000 euro destinati all’istituzione di un Servizio di Case - Management e alla realizzazione di attività di formazione professionale di base”. “Nell’attuazione del programma - ha spiegato l’assessore - la Regione ha assunto il ruolo centrale di indirizzo, programmazione e di coordinamento delle politiche sociali, mentre allo Stato spetta la titolarità dell’amministrazione della giustizia e dell’esecuzione penale, con la gestione di quei servizi intra moenia rivolti ai soggetti, adulti e minori, sottoposti a provvedimento dell’Autorità Giudiziaria. Alle altre amministrazioni locali spetta, infine, il compito di portare ad attuazione queste politiche, trasferendo sul territorio la capacità delle istituzioni pubbliche di dare risposte efficaci ai bisogni di questi di cittadini e delle loro famiglie”. Lazio: lotta ai writer e ai vandali dell’arte, i monumenti saranno ripuliti dai detenuti di Rory Cappelli La Repubblica, 22 luglio 2010 Tra i lavori socialmente utili per i detenuti ce n’è uno nuovissimo: ripulire i muri dalle scritte dei writer. Il neo assessore agli Enti locali e sicurezza della Regione, Giuseppe Cangemi, ci prova. E annuncia, insieme a Marco Daniele Clarke e Franco Panzironi, presidente e all’amministratore delegato di Ama, un progetto che dovrebbe vedere in un prossimo futuro “e cioè settembre - ottobre” l’impiego di ex detenuti oggi detenuti in regime di semi - libertà per “la pulitura di aree monumentali d’interesse storico artistico colpite da atti di vandalismo”. Il tutto in collaborazione con l’amministrazione penitenziaria del Lazio. “Un’iniziativa”, spiega Cangemi, “di forte valore simbolico”. Nata da “una visita” racconta l’assessore “a Casal del Marmo, il carcere minorile: un luogo che mi ha stretto il cuore. Così come il sovraffollamento di tutte le strutture. Per non parlare del problema delle donne, spesso in carcere per reati minori, con figli piccoli o incinte, costrette a crescerli dietro le sbarre”. E così ecco il progetto. “Queste persone magari hanno tolto qualcosa alla città e ripulendola la restituiscono”. Cangemi annuncia anche che l’Osservatorio per la sicurezza adesso aggiungerà al suo organico “un esperto contro i vandali dell’arte, dopo l’escalation di danneggiamenti che si sono registrati nel 2009”. Rita Bernardini, deputata radicale Pd, promotrice di “Ferragosto in carcere” che anche quest’anno il 13,14 e 15 agosto vedrà senatori e deputati in visita nelle case circondariali italiane, appena rientrata da “un viaggio allucinante nelle carceri di Messina e Palermo”, trova l’iniziativa “positiva. Tra l’altro il ricorso alle pene alternative è molto efficace sulla recidiva”. Per Angiolo Marroni, garante per i detenuti del Lazio, “tutto quello che si fa è utile. Si tratta di vedere concretamente chi avrà la possibilità di usufruirne perché i detenuti ammessi alle misure alternative sono pochissimi: basta pensare che per avere il regime di semilibertà bisogna aver avuto una condanna definitiva: sui 6253 detenuti del Lazio, solo il 50% è in questa situazione. Tantissimi hanno poi commesso reati che non consentono questo regime”. Modena: Sappe, due detenuti tunisini incendiano la loro cella nel reparto Nuovi giunti Ansa, 22 luglio 2010 Nel carcere di Modena due detenuti tunisini ieri hanno incendiato la cella del reparto Nuovi giunti utilizzando lenzuola ed altro materiale. Lo ha riferito Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del sindacato Sappe, spiegando che si tratta i tratta di persone in carcere da circa tre mesi, ma con precedenti periodi di detenzione e già allontanati da Modena per motivi disciplinari. Per spegnere l’incendio e riportare l’ordine sono stati impiegati 10 agenti del reparto di Modena, gaia carente, ha sottolineato Durante, di circa 60 unità: “Gli agenti previsti sono circa 200, mentre ce ne sono circa 140. I detenuti sono 472, dei quali il 70% stranieri, a fronte di una capienza di 222 posti. La presenza dei detenuti stranieri in Italia continua a determinare il sovraffollamento - ha commentato il dirigente sindacale. Sono circa 25.000, la maggior parte dei quali extracomunitari, provenienti soprattutto da Marocco, Tunisia, Algeria. Sarebbe opportuno aumentare gli accordi bilaterali con i paesi di provenienza per favorire le espulsioni, modificando anche l’attuale legislazione che prevede il consenso delle persone interessate”. Livorno: due detenuti tentano il suicidio ingerendo varechina e pile Il Tirreno, 22 luglio 2010 Sono due i detenuti che lunedì sera hanno tentato il suicidio. Si tratta di due giovani sui 27 anni, un algerino e un tunisino, entrambi ricoverato in Medicina d’urgenza per aver ingerito varechina. Sono stati portati in ospedale dopo le prime cure alle Sughere. Il tunisino inoltre ha anche inghiottito delle pile e pare dei bulloni. Una triste forma di protesta quella messa in atto dai due detenuti. Il tunisino - che ha quasi finito di scontare la pena - ha raccontato agli agenti penitenziari e ai soccorritori di avere una figlia malata di diabete e per questo di volere ottenere l’espulsione anticipata, per poterla raggiungere e starle vicino. Le sue condizioni sono piuttosto gravi, anche perché il giovane ha rifiutato le cure. Protesta invece per motivi di giustizia l’algerino, secondo il quale la sua pena sarebbe iniqua. Entrambi sono detenuti alle Sughere in celle sovraffollate: sono in tre in stanze ideate per una sola persona. Per questo la loro forma di protesta sarebbe anche il risultare una forma di stress, viste le loro condizioni precarie. Monza: Uil-Pa; manca l’acqua nelle celle, i detenuti protestano rumorosamente Agi, 22 luglio 2010 “In tarda serata di ieri i detenuti ristretti nella Casa Circondariale di Monza hanno dato vita alla, oramai classica, rumorosissima protesta con la battitura delle stoviglie sulle grate e sui blindi delle celle. La protesta trae origine da un inadeguato approvvigionamento delle risorse idriche”. Lo comunica il Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che sottolinea: “Quello dell’approvvigionamento idrico rischia di essere un ulteriore momento di innesco per manifestazioni di proteste. Purtroppo uno degli effetti del sovrappopolamento è anche quello di rendere insufficienti le risorse idriche di cui possono disporre gli Istituti Penitenziari. In molte, troppe, strutture questo problema incide, aggravandole, sulle condizione detentive. È il caso di Lecce, Frosinone, Genova Marassi, S. Maria Capua Vetere, tanto per fare alcuni esempi. È evidente che la scarsità d’acqua rappresenta anche un rischio igienico sanitario e pertanto va attentamente monitorato. È da tempo - chiude Sarno - che oltre a denunciare il rischio di inadeguati rifornimenti idrici denunciamo anche il rischio di non poter garantire pasti adeguati. Non solo perché con 3,70 euro è difficile immaginare di poter garantire il confezionamento di colazione pranzo e cena, quant’anche perché le strutture non riescono a garantire il confezionamento dei pasti causa l’enorme sovrappopolamento. Non escluso, quindi, che tra qualche giorno oltre a commentare la mancanza d’acqua dobbiamo riferire del mancato approvvigionamento dei pasti. E pensare che fino a qualche tempo fa, per riferirsi alla galera si diceva: pane ed acqua!” La Uilpa Penitenziari rende noto che con il ferimento di un Ispettore che ieri ha impedito l’evasione di un detenuto dall’ospedale di Ravenna, sale a 127 il numero degli agenti penitenziari feriti dall’inizio di quest’anno. Mentre con il salvataggio di un detenuto che ha tentato di suicidarsi, ieri sera, a Venezia S.M.M., è di 68 il totale dei suicidi sventati dalla Polizia Penitenziaria dal 1° gennaio 2010 ad oggi. Santa Maria C. Vetere (Ce): disagi per la scarsità di acqua nel carcere, i detenuti protestano Ansa, 22 luglio 2010 Disagi per la scarsità di acqua nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). L’altra sera alcuni detenuti comuni (ovvero non quelli sottoposti al regime dell’alta vigilanza) hanno battuto per qualche minuto le stoviglie sui ferri in segno di protesta. Nell’istituto, che al momento ospita circa 870 detenuti, manca l’acqua perché non è mai stato ultimato l’allacciamento alla rete idrica comunale. Al momento, l’approvvigionamento viene garantito attingendo ad alcuni pozzi della zona. I disagi maggiori sarebbero avvertiti soprattutto nei piani alti dei reparti nonostante che sia la direzione che la polizia penitenziaria - da quanto si apprende - si siano adoperati per garantire ai reclusi l’acqua necessaria, soprattutto in questi giorni di gran caldo. Per l’allacciamento alla rete comunale di Santa Maria Capua Vetere (l’istituto è posto alla periferia della città) bisognerà realizzare una condotta di circa 4 chilometri e a quanto pare vi sono anche i fondi a disposizione. Catanzaro: Sappe; agente aggredito da un detenuto nell’istituto penale minorile Agi, 22 luglio 2010 Un agente della polizia penitenziaria è stato aggredito da un detenuto nel carcere minorile di Catanzaro. Il fatto - riferito dal sindacato di categoria Sappe è avvenuto due giorni fa nell’ufficio del comandante di reparto. L’agente, peraltro segretario locale del Sappe, aveva portato il detenuto dal comandante per riferire di un comportamento scorretto dello stesso detenuto che, per tutta risposta, in presenza dello stesso comandante, ha sferrato due pugni al volto dell’agente che è finito a terra. Non poteva essere altrimenti, - si evidenzia - visto che il detenuto è ben allenato. Infatti, nel carcere minorile di Catanzaro, l’Amministrazione ha pensato bene di organizzare un corso di boxe per i detenuti, in modo che gli stessi possano essere preparati adeguatamente per malmenare il personale di polizia penitenziaria. È assurdo e deplorevole che in un carcere si organizzino addirittura corsi di boxe - ha affermato il segretario generale aggiunto del Sappe Giovanni Battista Durante - soprattutto in considerazione del fatto che, spesso, gli agenti di polizia penitenziaria sono vittime delle aggressioni dei detenuti. Riteniamo che ci siano sport migliori e meno violenti da insegnare e far praticare ai detenuti. Chiediamo l’immediata sospensione del corso e l’esemplare punizione di colui che si è reso responsabile della violenza nei confronti del nostro agente, fermo restando il procedimento penale che dovrà evidentemente essere instaurato a seguito dell’aggressione. L’agente è stato portato in ospedale, dove gli sono state riscontrate ferite guaribili in sei giorni. Imperia: detenuto magrebino ingoia la pila del cellulare per evitare l’espulsione dall’Italia Ansa, 22 luglio 2010 L’uomo, un immigrato marocchino di 34 anni, H.D., si trova ora sorvegliato all’ospedale di Imperia, per impedire che possa ripetere gesti analoghi. Ieri è stato di nuovo sottoposto ai raggi per verificarne le condizioni. Voleva evitare l’espulsione e per complicare la vita agli agenti che lo dovevano accompagnare fino in frontiera, appena dopo la scarcerazione ha ingoiato la pila del cellulare. L’uomo, un immigrato marocchino di 34 anni, H.D., si trova ora sorvegliato all’ospedale di Imperia, per impedire che possa ripetere gesti analoghi. Ieri è stato di nuovo sottoposto ai raggi per verificarne le condizioni. Difficilmente riuscirà a evitare il accompagnamento coatto. Ravenna: Uil-Pa; un detenuto aggredisce gli agenti che l’avevano scortato in ospedale Dire, 22 luglio 2010 Oggi pomeriggio un detenuto di origini rumene, dopo essere stato trasferito dal carcere di Ravenna all’ospedale della stessa città, ha aggredito il personale di scorta che lo aveva portato in visita urgente presso l’ospedale dopo che si era procurato delle profonde ferite al capo con una lametta del tipo consentito. A rendere noto l’episodio è Pasquale Giacomo, segretario provinciale della Uil Pa Penitenziari di Ravenna, che aggiunge altri particolari sull’accaduto: “Appena giunti in ospedale, il detenuto ha iniziato ad inveire contro la scorta iniziando ad offendere, sputare ed a sferrare calci. L’immediata reazione e la grande professionalità degli Agenti di Polizia Penitenziaria è servita a bloccare il detenuto che tra l’altro era pieno di ferite da taglio con conseguente riversamento di sangue. Nella colluttazione, scaturita per impedire che il detenuto riuscisse a compiere anche il gesto estremo dell’evasione, l’ispettore di Polizia penitenziaria, componente della scorta, ha riportato ferite giudicabili in otto giorni”. “Anche a Ravenna - spiega il sindacalista - il sovraffollamento ha originato diversi eventi critici e la carenza d’organico non aiuta a gestire le emergenze. A Ravenna l’istituto potrebbe ospitare non più di 59 detenuti, invece, ve ne sono ristretti quasi 135, A questo quadro di assoluta criticità va aggiunta la grave deficienza organica del personale di Polizia Penitenziaria. Il contingente dovrebbe essere pari a 78 unità, mentre ve ne sono in servizio poco più 50”. Lecco: detenuti evasi, continua la caccia al secondo fuggitivo Agi, 22 luglio 2010 È ancora latitante Nicodemo Romeo, il pregiudicato 27enne nativo di Polistena (Reggio Calabria) evaso dal carcere di Lecco. Sulla scorta delle dichiarazioni fatte dall’altro evaso, l’egiziano 29enne Aly Amr El Fadly, catturato ieri pomeriggio a Pompiano (Brescia) sembra prendere corpo che l’idea della fuga sia maturata proprio in Nicodemo Romeo che al carcere di lecco - Pescarenico era stato trasferito recentemente. Fra i due è ritenuto il più pericoloso. L’egiziano, invece, che in carcere avrebbe dovuto restarci fino al 2012 per una rapina a Calolziocorte (Lecco) dopo essere stato bloccato dai carabinieri di Orzinuovi in strada mentre stava per raggiungere l’abitazione di una sorella, titolare con il marito di una pizzeria, sarebbe stato tradito da alcuni importanti indizi raccolti dalla Polizia penitenziaria lecchese, compresi alcuni biglietti trovati nella sua cella. Aly Amr El Fadly avrebbe raggiunto Pompiano (Brescia) percorrendo oltre 100 chilometri a piedi. Quando ha visto pararsi davanti a lui la gazzella dei carabinieri di Orzinuovi, coordinati dal Capitano Livio Propato, non ha opposto alcuna resistenza, anche perché affamato e allo stremo delle forze. Ora è rinchiuso nel carcere di Brescia, lo stesso dove fra l’altro è detenuto il padre dell’altro evaso. I carabinieri già poche ore dopo la fuga si erano appostati con discrezione nei pressi dell’abitazione della donna e della pizzeria. Attorno alle 16.00 di ieri pomeriggio l’hanno visto arrivare a piedi con un passo certamente stanco e con indosso abiti sporchi e strappati. Sulle braccia e sul volto alcuni graffi che si è procurato durante il suo lungo peregrinare nei canneti, lungo il Fiume Adda e nascosto tra i rovi per sfuggire alla cattura. Lui stesso avrebbe spiegato di aver percorso a piedi tutto il tragitto che separa Lecco da Pompiano seguendo la linea ferroviaria. I carabinieri hanno spiegato che una volta portato in caserma faceva fatica a stare sveglio. In questi due giorni non avrebbe neppure avuto modo di mangiare. Reggio Calabria: agente di polizia penitenziaria arrestato per corruzione Adnkronos, 22 luglio 2010 Gli uomini del Commissariato di Palmi, della squadra mobile di Reggio Calabria e del Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria hanno arrestato un agente della Polizia penitenziaria con l’accusa di corruzione. L’assistente capo Vincenzo Zuccarello ha prestato servizio fino al dicembre 2009 presso la Casa Circondariale di Palmi e ora lavora a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Le indagini sono partite dal tentativo di evasione dei fratelli Pasquale e Giuseppe Zagari, ergastolani, esponenti di spicco consorteria mafiosa Fazzalari - Zagari operante nel comprensorio di Taurianova, avvenuto il 24 novembre 2009, sull’autostrada A3 nel tratto compreso tra gli svincoli di Palmi e Sant’Elia. L’episodio è avvenuto nel corso di una traduzione a Reggio Calabria, dove i fratelli Zagari dovevano partecipare a un’udienza in Corte d’Appello. In quell’occasione sono rimasti feriti da colpi d’arma da fuoco, esplosi dagli ergastolani, due degli agenti della Polizia Penitenziaria di Palmi. Zuccarello è accusato di una serie di episodi di calunnia e di numerosi episodi di corruzione. Le indagini svolte hanno permesso di provare che l’assistente in numerose occasioni ha consentito a detenuti della Casa circondariale di Palmi di fare dal suo cellulare telefonate non autorizzate ai propri familiari in cambio di somme di denaro. Inoltre, è stato accertato che decine di volte ha denunciato lo smarrimento di assegni, con la conseguente denuncia per ricettazione di coloro che li avevano posti all’incasso, ma in realtà quegli assegni erano stati consegnati a queste persone dallo stesso Zuccarello. Ferrara: emozioni con il laboratorio teatrale del Teatro Nucleo di Horacio Czertok La Nuova Ferrara, 22 luglio 2010 C’è del marcio in Danimarca. Senz’altro. E non solo là. C’è del buono nella Casa Circondariale di via Arginone. E questo buono lo si è visto ieri mattina nella palestra per il Progetto Carcere, un laboratorio teatrale del Teatro Nucleo di Horacio Czertok, che vede sulla scena un gruppo di detenuti. La platea era formata da numerose autorità con in testa il prefetto, poi gli amministratori comunali, chi lavora e opera nel carcere e, naturalmente, un folto gruppo di detenuti. È stato il direttore della Casa Francesco Cacciola a presentare l’iniziativa, “una giornata che abbiamo voluto dedicare al teatro, un progetto in cui crediamo, nato nel 2005 grazie al Comune. Un’attività condotta da Czertok, che ormai fa parte dell’organico”. Ed a Czertok è toccato il compito di fare da narratore della rappresentazione. “Un laboratorio - ha detto - che vogliamo oggi dividere con voi. Si tratta di una prova aperta. Le prove sono a volte più ricche dello spettacolo stesso. Il teatro in carcere ha un valore particolare, gli attori si confrontano con il testo, fanno un’esperienza culturale”. Il titolo della prova si chiama “Cantiere Woyzeck” ed è una produzione teatrale che parte dal “Woyzeck” di Georg Buchner, autore dell’ottocento. L’adattamento e la regia sono di Czertok, la collaborazione e la messa in scena e la musica sono di Andrea Amaducci, la collaborazione produzione e video di Marinella Rescigno, scene e costumi di Remi Boinot, collaborazione ai costumi di Maria Ziosi. E poi ci sono loro gli attori: Pepè Diano, Lorenzo Madonna, Silvan Squerzanti, Gianni Lasagni, Puja Luan e Alberto Finessi. “Sulla porta d’ingresso - ha detto Czertok - c’è una scritta invisibile che dice che qui si soffre, sofferenza vera, lontano dagli affetti, questa sofferenza fa di queste persone degli esseri speciali. Noi non siamo dei giudici. Qui a teatro loro sono delle persone. Non c’è una scuola dove si impara, s’impara sul teatro. Il teatro è un lavoro. Noi vi chiediamo di portare il nostro lavoro ai cittadini”. I sei attori (ma anche altri hanno partecipato al laboratorio) questo lavoro lo hanno imparato. Non è facile recitare davanti ad un pubblico che ti giudica (è, comunque, il destino dell’attore), soprattutto davanti ai tuoi compagni di detenzione, gente abituata a non fare sconti a nessuno. Pepè Diano ha cominciato lo spettacolo cantando “Stai luntana da stu core...” ed ha chiuso con un “Ave Maria”. L’emozione era palpabile. Così come di alta tensione era la scena tra il soldato Woyzeck e il prepotente Tamburo maggiore; nessuna parola, solo gli altri attori a cantare El gayo rojo, una canzone spagnola, ripetuta poi a fine scena quasi in modo liberatorio. L’augurio è quello di vedere questo lavoro in scena al Teatro Comunale, come avvenne per un’identica iniziativa alcuni anni fa. Se lo meritano. Udine: alcuni detenuti potranno assistere agli spettacoli di UdinEstate Messaggero Veneto, 22 luglio 2010 UdinEstate entra negli istituti penitenziari. Domani l’ex pm, Gherardo Colombo, incontrerà assieme al sindaco, Furio Honsell, e al direttore della Casa circondariale, Francesco Macrì, alcuni detenuti in via Spalato. Altri avranno la possibilità di assistere allo spettacolo di stasera e ad altri compresi nel programma di UdinEstate. Domani, invece, nel corso dell’incontro sarà affrontato il tema della legalità. L’iniziativa prende le mosse da un protocollo d’intesa stilato tra palazzo D’Aronco e il carcere di via Spalato, “perché riteniamo fondamentale - ha spiegato Honsell - la definizione di percorsi di reinserimento nella convinta inclusione sociale degli ex detenuti o di quelli in esecuzione penale esterna”. Un’idea che sta alla base anche dei percorsi messi in atto dalla Casa circondariale. “L’amministrazione penitenziaria - ha commentato Macrì - ha sempre incentivato iniziative che potessero distrarre gli ospiti della casa circondariale, approfittando della detenzione per ricominciare a ragionare sulla legalità. Quando abbiamo avuto conferma dal Comune che Colombo aveva accettato l’invito a venire a parlare con una ventina dei nostri detenuti - ha proseguito - siamo rimasti molto colpiti”. Il protocollo d’intesa tra Comune, in qualità di ente gestore del servizio sociale dei comuni dell’Ambito, Ass.4, ministero di Giustizia con il carcere udinese, la Provincia, l’Uepe (ufficio di esecuzione penale esterna) e le associazioni del territorio, si propone di attivare sinergie e collaborazioni, ridefinendo ambiti di intervento congiunto nonché metodologie e modalità attuative, nel rispetto dei diversi ruoli e competenze, per il perseguimento degli obiettivi della rieducazione e del reinserimento sociale dei detenuti, delle persone in esecuzione delle misure alternative, delle sanzioni sostitutive e delle misure di sicurezza o in regime post - penitenziario. Un altro progetto è “Lib(e)rarsi, quello che prevede l’attivazione di borse lavoro intra ed extra murarie. A questo va aggiunto il progetto “Lacio Drom - Buon cammino”, destinato a minori con problemi di disadattamento e di devianza all’attenzione dell’autorità giudiziaria minorile, maggiorenni under 21 dell’area penale a disposizione dell’Autorità giudiziaria minorile, appartenenti alla comunità Rom/Sinti. (m.z.) Immigrazione: Torino; detenuto tunisino scende dal tetto del Cie dopo 60 ore di protesta La Stampa, 22 luglio 2010 Secondo la questura l’uomo sarebbe sceso spontaneamente. I detenuti: decine di poliziotti e carabinieri con caschi e manganelli, portato via con la forza. È sceso dal tetto del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Torino Ben Asri Sabri, il tunisino di 32 anni che lunedì intorno alle 12 si era arrampicato sulla tettoia della sezione viola, per protesta contro l’espulsione. Intorno alle 7 di questa mattina è intervenuta la polizia e lo ha fatto scendere, prendendolo in custodia per avviare la procedura di espulsione. L’uomo si trovava nei Cie, prima in quello di Crotone e poi in quello di Torino, da sei mesi e questa sera a mezzanotte sarebbe scaduto il termine di trattenimento. Dentro la struttura, poco prima dell’operazione, sono entrati tre mezzi dei vigili del fuoco. Davanti al Cie i militanti della rete “10 luglio antirazzista”, in presidio di solidarietà da lunedì scorso, hanno bloccato la strada per qualche minuto, tentando di impedire l’uscita dei mezzi delle forze dell’ordine. Per questa sera i militanti hanno indetto una manifestazione alle 21 nei pressi del centro contro le espulsioni. Secondo la questura l’uomo sarebbe sceso spontaneamente alla vista della polizia. Per gli immigrati detenuti nel centro, invece, “sono entrati decine di poliziotti e carabinieri con i caschi e i manganelli per portarlo via con la forza”. “Noi - racconta Ahmed Nuar, un tunisino di 25 anni che si trova anche lui nella sezione viola - urlavamo “vergogna” e loro ci hanno picchiato col manganello. È intervenuta la Croce rossa a fermarli, mettendosi in mezzo. Sono saliti su per prendere il nostro compagno, e lui per scappare è caduto dal tetto e si è rotto un braccio. Poi l’hanno preso e l’hanno portato via, non so se sia ancora qui dentro”. Stamattina, subito dopo l’operazione, dalla struttura sono uscite due auto con i vetri oscurati allontanandosi rapidamente. Ben Asri Sabri, però, fa sapere la questura, si trova ancora dentro il Cie, in attesa dell’espulsione. Anche Nuar è in attesa di espulsione. È arrivato in Italia quando aveva 15 anni, in Sicilia, a bordo di un barcone, dopo una traversata di 5 giorni. “Facevo il muratore”, racconta. “La mia ragazza è italiana, sto con lei da sei anni. Non voglio tornare in Tunisia, non ho più nessuno là, prima di farmi espellere mi impicco nella doccia”. Un uomo libero solo sul tetto (Il Manifesto) Ben Asri Sabri, 32enne tunisino, da tre giorni è salito in cima al Cie di Torino per denunciare la detenzione in quei buchi neri del diritto dimenticati da tutti. Vuole resistere fino a stanotte, quando scadrà il termine del suo trattenimento. Intorno a lui, altri reclusi impediscono alla polizia di intervenire e di portare a termine l’espulsione. Il sole che picchia. Una coperta per farsi un po’ d’ombra. E una disperazione rassegnata, più preoccupante che se si mettesse a gridare. “Vedo i poliziotti qui sotto - dice Ben Asri Sabri al cellulare - se salgono mi butto di sotto. Sono qui dentro da sei mesi, non posso dire che mi trattano male ma non c’è niente da fare, non si può rimanere così per tutto questo tempo. Io non voglio tornare in Tunisia, è un paese povero e io non ho niente, ho speso 2 mila euro per tornare in Italia e ci voglio restare”. Ben Asri Sabri è arrivato nel 2003, ha fatto il pescatore ad Ancona, poi è tornato in Tunisia a trovare la famiglia ed è stato “beccato” al largo di Lampedusa. Dopo quello di Crotone, è finito nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Torino. E poi? “Se trovo un lavoro bene, altrimenti voglio andare in Belgio”. Un uomo disperato sale sul tetto perché non ha alternative e minaccia di buttarsi giù. Un altro. Niente di nuovo, vero? E però, anche se non è carino stilare classifiche in casi come questo, si potrebbe aggiungere che sono stati proprio loro, gli stranieri, i primi ad aver inaugurato questa originale forma di protesta che nell’ultimo anno ha segnato il malaugurato ritorno della classe lavoratrice arrampicata da qualche parte per rivendicare diritti che nessuno più tutela. Non è una bella soddisfazione, anzi, è un primato piuttosto triste, considerando che da anni (dodici) gli stranieri si arrampicano sui tetti delle carceri dove sono reclusi senza aver commesso alcun reato (prima Cpt, oggi Cie) in attesa di essere espulsi come pericolosi criminali; anni trascorsi inutilmente senza ottenere il minimo riscontro, se non altro di tipo mediatico. Anche se là dentro la quotidianità è fatta di noia, frustrazione, rivolte, pestaggi e cariche della polizia, omissioni della Croce Rossa che con poche altre associazione gestisce quelle prigioni, drammatici casi di autolesionismo, psicofarmaci somministrati a forza, violenze e non solo di tipo psicologico - di un clamoroso tentativo di stupro si è occupato anche il Tribunale di Milano - e poi scioperi della fame... e chissà cos’altro ancora. Esattamente quello che è successo in questi giorni tra Trapani, Gradisca (Friuli), Torino e Milano (si veda l’articolo accanto). Normale disperazione di sempre. Se possibile, esasperata ancora di più dopo dall’entrata in vigore del “pacchetto sicurezza” che ha allungato da 2 a 6 mesi i tempi di trattenimento delle persone arrestate perché prive del permesso di soggiorno. “Situazione che rischia di diventare esplosiva”, ribadiscono i volontari di Medici senza frontiere (Msf). Ben Asri Sabri, un tunisino di 32 anni, è solo l’ultimo di una lunga serie. La sua è una protesta simbolica, e lui potrebbe diventare un simbolo per tutti i “clandestini” reclusi d’Italia. Da lunedì è sul tetto del Cie di Torino, in corso Brunelleschi. Prima aveva fatto lo sciopero della fame e aveva cercato di inghiottire dei pezzi di ferro. Sono con lui i compagni di detenzione - una quindicina di persone che lo assistono con acqua e cibo e fino ad ora hanno tenuto lontana la polizia - e alcuni antirazzisti in presidio fuori dalle mura del Cie in segno di solidarietà (questa sera organizzano una fiaccolata). Quella di Ben Asri Sabri è una sorta di lotta contro il tempo. Venerdì scadono i termini della sua permanenza nel Cie, e se riuscirà a resistere, per legge, dovrà essere allontanato con un foglio di via e l’intimazione di lasciare il paese nel giro di cinque giorni. Insomma, sarà libero. Da sei mesi stava aspettando questo momento, la situazione è cambiata in peggio solo dopo l’accordo per il rimpatrio di massa degli immmigrati tunisini e algerini firmato lo scorso 12 luglio tra il Viminale e i governi di Tunisi e Algeri. Proprio in questi giorni, sotto i suoi occhi, altri due tunisini sono stati espulsi in tutta fretta. In Italia ci sono 13 inutili e crudeli Centri di identificazione ed espulsione (per una capienza complessiva di 1920 posti (stime attendibili parlano di circa 500 - 750 mila cittadini stranieri irregolari presenti in Italia). Entro la fine dell’anno, secondo quanto dichiarato dal ministro degli interni Roberto Maroni, ne verranno costruiti altri quattro: in Veneto, Toscana, Marche e Campania. Immigrazione: rivolte e fughe, Cie in ebollizione contro i rimpatri coatti di Stefano Liberti Il Manifesto, 22 luglio 2010 La rivolta di Ben Asri Sabri, salito sul tetto per evitare l’espulsione, non è un caso isolato. È solo la punta estrema di un universo in ebollizione, quello dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie). Da poco più di una settimana, i Cie di mezza Italia sono in preda a rivolte (spesso represse duramente), tentativi di fuga, incendi e vari atti di autolesionismo da parte dei reclusi. Da Via Corelli a Milano al Serraino Vulpitta di Trapani, da Corso Brunelleschi a Torino a Gradisca in Friuli, non passa giorno senza la notizia di una rivolta o di un tentativo di fuga dei cittadini stranieri chiusi all’interno dei centri, il cui tempo massimo di reclusione è stato aumentato da 60 a 180 giorni con l’approvazione del “pacchetto sicurezza”. Cosa ha portato all’accelerazione di questi giorni? Tutto ha avuto con un “telegramma urgentissimo” inviato dalla direzione generale per l’immigrazione al Dipartimento di pubblica sicurezza. “Da lunedì 12 luglio si procederà ai rimpatri di massa di immigrati clandestini tunisini e algerini. I rimpatri avranno cadenza giornaliera fino a esaurimento delle persone raggiunte da espulsione che si trovano nei Cie”. La notizia del telegramma, frutto dell’accordo raggiunto tra il ministro degli interni Roberto Maroni e le autorità di Algeria e Tunisia, si è diffusa alla velocità della luce tra i vari Cie. Molti immigrati che vedevano arrivare a scadenza il loro periodo di trattenimento, hanno deciso di tentare il tutto per tutto. Il primo episodio a Trapani la sera del 13 luglio: un gruppo di una cinquantina di reclusi - tutti nordafricani - si sono scagliati sui cancelli e sono fuggiti. Secondo la questura, in 15 sarebbero riusciti a far perdere le tracce, anche se secondo informazioni del movimento antirazzista della cittadina siciliana sarebbero fuggiti in 40. Tre nordafricani sono stati arrestati e sono in carcere in attesa di giudizio. Il giorno successivo nel centro di Torino si è scatenata una rivolta. Sono saliti sul tetto per fuggire dalla polizia. Il bilancio della giornata di scontri, secondo informazioni riportate dal sito di informazione Macerie, è importante: “Una delle sezioni maschili è inagibile per i danneggiamenti, e i prigionieri saranno spostati nell’area delle donne”. Di lì a poco, Sabri deciderà di salire sul tetto. È poi il turno del Cie di Gradisca, nel Friuli. Stesso scenario: una rivolta dei tunisini, che vogliono evitare il rimpatrio e protestano contro le condizioni di reclusione. All’interno del centro si scatena una battaglia: la polizia usa i lacrimogeni, un recluso è colpito alla faccia e riporta ustioni gravi. Altri due sono feriti gravemente. Infine, via Corelli. Dopo un’assemblea sulle notizie che arrivano da Gradisca, fuggono in 10. Tre riescono a far perdere le tracce. Sette sono riacciuffati. Uno di loro si rompe una gamba nel tentativo di fuga. Il giorno dopo viene lasciato di fronte al Cie con un foglio di via che gli intima di lasciare l’Italia entro 5 giorni. Immigrazione: rimpatriata in Nigeria, ora Faith rischia l’impiccagione di Giulia Pacifici Il Manifesto, 22 luglio 2010 La giovane, residente a Bologna, è accusata di aver ucciso nel suo paese l’uomo che voleva violentarla Espulsa martedì perché priva del permesso di soggiorno, Faith Aymoro è rinchiusa da ieri in un carcere di Abuja, la capitale della Nigeria, dove adesso rischia una condanna alla pena di morte. La sua colpa è quella di aver ucciso, tre anni fa, con un colpo alla testa il suo datore di lavoro che cercava di violentarla. “L’uomo apparteneva a una famiglia molto facoltosa, che ha tentato di tutto per farla condannare all’impiccagione” spiega l’avvocato Alessandro Vitale, che ha seguito il caso di Faith in Italia. Una vicenda che ha spinto la ragazza ventitreenne, incoraggiata dai genitori, a fuggire nel 2006 dalla Nigeria per raggiungere l’Italia. A Bologna conosce Egosa, anche lui straniero, i due si incontrano alla stazione e lui le offre ospitalità a casa sua. “Sono stato in Nigeria due volte, ho conosciuto la famiglia di Faith che mi ha raccontato tutta la sua storia” racconta il ragazzo. È stato Egosa a telefonare alle autorità di Abuja e a scoprire che la ragazza è imprigionata lì in attesa del processo. La situazione di Faith precipita due settimane fa, quando subisce un secondo tentativo di violenza da parte di un connazionale nella casa in cui vive a Bologna. Faith ferisce l’aggressore in maniera lieve ma i vicini, allarmati dalle urla, chiamano la polizia. Le forze dell’ordine conducono l’uomo in carcere e lei nel Cie di via Mattei, il centro di identificazione ed espulsione di Bologna, perché senza documenti e con due decreti di espulsione non eseguiti. Faith aveva avviato da un anno la pratica di regolarizzazione con la sanatoria per colf e badanti, aveva pagato 500 euro ed era in attesa di essere convocata della questura. Inutilmente. “Credo che l’Italia abbia commesso un crimine internazionale ad averla espulsa in Nigeria dove all’arrivo l’attende l’impiccagione”, commenta l’avvocato Vitale. D legale ha tentato tutto il possibile per evitare il rimpatrio, compresa una richiesta di soggiorno temporaneo per motivi di giustizia, affinché Faith potesse testimoniare contro il suo violentatore. Per questo ha anche inoltrato una richiesta di sospensiva al giudice di pace. L’ultimo tentativo è la richiesta di asilo presentata all’ufficio immigrazione di Bologna la mattina stessa del rimpatrio. Troppo tardi. Stati Uniti: in carcere sperimentazione “bracciali elettronici”, controllano movimenti dei detenuti Galileo, 22 luglio 2010 Il carcere di Hardin County di Eldora, nell’Iowa, ha avviato un progetto di reingegnerizzazione del sistema Rfid utilizzato per monitorare l’interazione quotidiana tra le guardie e i prigionieri. I tag applicati ai badge e implementati nel 2005, infatti, non erano molto funzionali: non solo venivano perduti o rubati dagli altri prigionieri ma i rilevamenti funzionavano solo quando il detenuto passava vicino ai rader. Nel corso degli ultimi anni le tecnologie si sono evolute e questo ha spinto la direzione del carcere a rivisitare il sistema e a migrare, nel dicembre del 2009, a soluzioni di nuova generazione, confermando come partner tecnologico lo specialista californiano Pdc (Precision Dynamics Corporation). La soluzione entrata rapidamente in produzione, sfrutta un meccanismo di localizzazione più avanzato e si compone di un braccialetto dotato di tag, modello Clincher, che utilizza un codice di identificazione univoco che viene letto da un sistema in radiofrequenza, serve a tracciare e a documentare tutte le attività dei carcerati, nel corso della loro giornata. Il software di riferimento è Guardian Mobile,a cui si interfacciano computer mobili utilizzati dalla sorveglianza per leggere i braccialetti taggati. I dati registrati, vengono archiviati e servono a tenere lo storico delle attività svolte dai prigionieri all’interno della prigione. I transponder Rfid Clincher si collegano infatti al Grcs (Guardian Rfid Corrections System), mantenendo il database aggiornato in tempo reale e consentendo ai responsabili di avere una reportistica completa che permette di pianificare servizi e attività. Il tag Rfid apposto sui braccialetti memorizza nome e cognome del prigionieri, l’ufficio in cui presta lavoro, la locazione, la data e il tempo di permanenza. I braccialetti servono anche per controllare e presidiare i trasferimenti dei carcerati e le trasferte dalla prigione alla corte e viceversa. Il sistema è usato anche per tracciare tutti i materiali di fornitura potenzialmente pericolosi come, ad esempio, forbici, coltelli e rasoi. “Nel caso si possa verificare un suicidio o uno scontro tra i detenuti - ha spiegato Nick Whitmore, amministratore della prigione - siamo in grado di fornire alla corte tutte le prove di quanto è avvenuto, chi è entrato in contatto con la vittima e le guardie che erano presenti nelle vicinanze. Il sistema ci aiuta a garantire la salvaguardia del personale e dei detenuti, permettendoci di prevenire suicidi o eventuali abusi di droghe così come di gestire meglio le cure mediche erogate”. In America, quello di Hardin County non è il primo progetto che usa l’Rfid. Già cinque anni fa il Los Angeles County Sheriff’s department (Lasd) aveva avviato un progetto che prevedeva una tracciabilità dei prigionieri attraverso l’uso delle tecnologie di identificazione a radiofrequenza che coinvolgeva 1800 detenuti del carcere californiano East Facility of the Pitchess Detention Center. Il costo era stato di 1,5 milioni di dollari e il successo dell’iniziativa aveva fatto estendere l’uso dei tag Rfid ad altre realtà carcerarie, con una previsione di ampliare il sistema di tracciabilità ad almeno 18mila detenuti. Santo Domingo: dall’inferno delle carceri le voci di alcuni detenuti italiani Secondo Protocollo, 22 luglio 2010 Mentre in Italia, giustamente, si discute delle drammatiche condizioni in cui versano i profughi eritrei o di altri Paesi in Libia, in pochissimi sanno che ci sono cittadini italiani che stanno vivendo una situazione altrettanto drammatica, che vivono in un contesto dove non esistono Diritti, il tutto completamente dimenticati dalle autorità italiane che pure sono perfettamente al corrente della situazione i cui vivono questi cittadini italiani. Per dare una idea di quello di cui stiamo parlando vogliamo pubblicare una serie di sms provenienti da un cittadino italiano detenuto in attesa di giudizio da oltre sei mesi in un carcere di Santo Domingo, che ci descrive una situazione davvero al di fuori di qualsiasi concetto di Diritto Umano. Con lui ci sono altri italiani detenuti per vari reati. Ma veniamo agli sms che sono stati inviati dal detenuto in oggetto ad un amico in Italia il quale ce li ha fatti avere. I messaggi sono in sequenza quindi abbiamo preferito mettere tutto in un unico testo: Messaggi inviati il 26 aprile 2010: solo perché tu sappia, in un carcere da 800 - 1.000 posti siamo 3.200! Ci sono 10 bagni ogni 200 inquilini. I bagni sono delle turche, c’è poca acqua, tre quattro ore al giorno per pulirsi e bagnarsi. L’acqua è contaminata da animali morti e quanto altro e non esistono depuratori. Il menu, per chi ha lo stomaco per mangiarlo, è sempre lo stesso: riso, pasta, platani lessi, pollo liofilizzato per il sapore e accenno di pollo vero, morto non si sa come, riempiono praticamente dei secchi. L’igiene è ridicola come è ridicola la clinica del carcere. Per vivere, qui, ammesso che sia vita, si paga tutto! Il posto per dormire, i contenitori dell’acqua, scarpe e vestiario, prodotti igienici, carta per il bagno, saponi per il bucato, qualunque cosa mangi o bevi al di fuori della mensa, che dà niente da bere; costa molto più che fuori! Le medicine devi pagarle, devi portare pure guanti, siringhe ed altro che possa servire per l’eventuale visita, devi pagare la pulizia, devi pagare eventuali tinteggi delle celle, devi comprarti materassini e cuscini e lenzuola, devi pagare i poliziotti per avere protezione, devi pagare i carcerati che fanno lo stesso lavoro in assenza della polizia. Se hai bisogno del bagno e se lo trovi in una cella che non è tua devi pagare, sei a rischio di coinvolgimenti in risse con coltelli e altro pressoché quotidiane, se ti salvi in qualche maniera dai coltelli non ti salvi dalle malattie. Dal contenuto di questi messaggi si evince facilmente che le condizioni in cui sono detenuti i nostri connazionali sono completamente al di fuori di qualsiasi contesto di Diritto Umano e Internazionale. La cosa assume particolare gravità se si considera il fatto che il detenuto che ha inviato quei messaggi si trova in attesa di giudizio e lo è da diversi mesi. L’ultima udienza farsa si è svolta lunedì mattina ed è stato di nuovo (è la sesta volta) rinviata al 27 agosto perché le autorità si erano per l’ennesima volta dimenticate di convocare l’interprete. Di queste situazioni le autorità italiane in loco (Ambasciata, Consolato e Comitex) ne sono perfettamente al corrente ma nessuno pensa minimamente di intervenire sulle autorità domenicane per il vecchio sunto per cui “non si interferisce con le legislazioni altrui”. Ora, se questo sunto - come abbiamo più volte detto - è corretto nel momento in cui ai nostri connazionali vengono garantiti tutti i Diritti, non lo è più nell’esatto istante in cui quei Diritti vengono violati. Il fatto che chi scrive quei messaggi sia in attesa di giudizio è una ulteriore aggravante, ma ciò non toglie che qualsiasi detenuto accusato e giudicato per qualsiasi reato debba avere garantiti i propri Diritti. Per questo motivo chiediamo un immediato intervento del Governo italiano attraverso l’Ambasciata e i Consolati presenti nella Repubblica Domenicana, per accertarsi al più presto se e quando i Diritti dei nostri connazionali detenuti nelle prigioni domenicane sono stati violati e comunque chiediamo un maggiore e più costante interessamento sia per le persone condannate che, soprattutto, per quelle in attesa di giudizio. Non è più possibile accettare passivamente una situazione del genere, per di più in un Paese dove la presenza italiana è molto forte e con un Governo con cui l’Italia ha importanti impegni di sostegno allo sviluppo. Non sarebbe affatto male che qualche volta anche l’Italia - come fanno anche altri Paesi - facesse sentire la sua voce, il tutto fermo restando il fatto di fornire ai nostri connazionali almeno un minimo di assistenza, cosa che al momento non viene fatta. Cile: Chiesa apre dibattito su indulto per reati legati a dittatura Il Velino, 22 luglio 2010 La possibilità che un indulto possa liberare anche detenuti legati alla dittatura e responsabili di violazioni dei diritti umani sta dividendo opinione pubblica e politica in Cile. La proposta è contenuta in un documento presentato dalla Chiesa cattolica al presidente Sebastian Piñera, nel quale si chiede di non escludere a priori dal provvedimento i militari che abbiamo commesso violazioni dei diritti umani nel corso della dittatura di Augusto Pinochet. Il testo è stato consegnato al capo di Stato dall’arcivescovo di Santiago Francisco Javier Errázuriz e dal presidente della Conferenza episcopale Alejandro Goic nel corso di un incontro alla Moneda. Nel testo, intitolato “Cile, un tavolo per tutti nel Bicentenario”, la Conferenza episcopale cilena chiede di porre al centro la “clemenza” e di concedere i benefici del provvedimento a chi non ha commesso delitti di sangue, ha dimostrato di avere una buona condotta e di non rappresentare un pericolo per la società. Argentina: sul muro di cinta manichini al posto degli agenti... e i detenuti fuggono dal carcere Corriere della Sera, 22 luglio 2010 Pochi fondi, personale all’osso. Non funziona l’espediente adottato dalle guardie di un penitenziario argentino. Un taglio estremo dei fondi nelle carceri argentine ha permesso a due criminali una facile fuga: nessuno si è accorto, infatti, quando i prigionieri hanno scavalcato un muro di cinta del penitenziario e indisturbati sono fuggiti verso la libertà. Solo pochissime torri di guardia della prigione erano controllate da sorveglianti in carne ed ossa. Nelle altre c’erano dei pupazzi le cui sagome avrebbero dovuto trarre in inganno i malintenzionati. L’evasione è avvenuta sabato scorso. I due detenuti, Walter Pozo e Cesar Andres, che dovevano scontare una pena per rapina a mano armata, sono fuggiti senza problemi da un carcere situato nella parte occidentale dell’Argentina: si sono arrampicati su un muro, in tutta tranquillità hanno tagliato il filo spinato e si sono infine calati dall’altra parte riuscendo così a scappare. Anche perché la torre di guardia più vicina era occupata, appunto, da un bambolotto che avrebbe dovuto fungere da guardia. La circostanza è stata confermata con non poco imbarazzo dalle autorità della provincia di Neuquén. “Abbiamo fabbricato il manichino usando semplicemente un pallone da calcio. Ci abbiamo dipinto una faccia e gli abbiamo messo un berretto da ufficiale del carcere. I detenuti vedevano l’ombra del bambolotto e dovevano credere di essere sorvegliati”, ha spiegato uno dei veri agenti di polizia penitenziaria al quotidiano Rio Negro. Il secondino ha poi aggiunto: “Lo abbiamo chiamato Wilson, come il compagno di Tom Hanks nel film Cast Away”. Insomma, un espediente degno del migliore blockbuster hollywoodiano. Solo due delle 15 torri di guardia erano piantonate da personale in carne ed ossa. “In realtà ci sono anche una quarantina di telecamere di sorveglianza nel carcere, alcune per monitorare il muro. Ma il più delle volte non funzionano”, ha sottolineato il capo della polizia locale, Juan Carlos Lepen. Già perché molte telecamere e monitor di sicurezza sono difettosi e non possono essere riparati per mancanza di fondi. Drasticamente tagliato negli anni è stato pure il personale di sicurezza. Solo nella tarda serata di sabato è scattato l’allarme nell’Unità penale numero 11 della provincia di Neuquén, ma le ricerche si sono dimostrate vane: i detenuti evasi avevano oramai un largo vantaggio sui loro inseguitori.