Giustizia: intervista ad Adriano Sofri; nelle carceri una tortura di Stato di Tommaso Cerno L’Espresso, 21 luglio 2010 Immaginate di passare ogni giorno in una cella di due metri a quaranta gradi. In piedi o sdraiati su una gommapiuma impregnata dal sudore altrui. Questa è tortura vera, non metaforica. La denuncia di Adriano Sofri. Carceri sovraffollate. Celle anguste. Caldo. Niente acqua. Niente aria. Un’estate torrida che spinge a violenze e autolesionismo. Fino al suicidio in cella di chi è così disperato da non voler più vivere. L’allarme che “L’espresso” aveva lanciato qualche mese fa, denunciando il limite di capienza ormai sforato degli istituti penitenziari italiani, diventa cronaca quotidiana di morte nelle galere. E la ragione è un sistema detentivo ai limiti dell’umano, che Adriano Sofri equipara a “una tortura di Stato”. Cosa significa davvero trascorrere in carcere un’estate come questa? “Per capirlo basta pensare a cosa significhi questo caldo torrido per una persona libera. Chiunque soffre a queste temperature la mancanza d’aria fresca, ha difficoltà a muoversi, a spostarsi e a dormire. Se trasferiamo queste sofferenze in una cella dove lo spazio è di due metri quadrati è facile immaginare cosa succede dentro le prigioni. È come passare l’estate su un autobus nell’ora di punta. Puoi al massimo sederti, ma non sempre è possibile, perché non c’è lo spazio. Puoi stare in piedi per ore, oppure sdraiato su una squallida branda, a giacere su materassi vecchi, impropriamente chiamati di gommapiuma e imbevuti del sudore di generazioni di detenuti che ci marciscono sopra. Ogni ora, ogni giorno”. E la notte? “Le celle vengono chiuse il più delle volte alle 18, oppure alle 20, e restano chiuse da quell’ora fino al mattino successivo. Le finestre hanno normalmente tre file di ferro: una grata, una fila di sbarre e una seconda di sbarre meno fitte. A certe ore il sole batte dritto su quell’ammasso di ferro che fa da coperchio e trasforma la cella in una triplice graticola che agisce come uno strumento di tortura sui detenuti stipati all’interno. È lo strumento che rese celebre San Lorenzo. Sono dei forni veri e propri e all’interno ci sono persone che non possono fare nulla, se non stare immobili, giacere ed attendere che prima o poi l’agonia finisca”. È per questo che violenze e suicidi aumentano? “Sì. Le violenze e anche l’autolesionismo grave. Ci sono detenuti che si riducono a brandelli perché sperano di essere portati in infermeria, di poter prendere degli antidolorifici o dei farmaci, o anche solo sperano di poter fumare una sigaretta”. Nei primi sei mesi di quest’anno 37 detenuti si sono tolti la vita in cella. “Secondo me la domanda che dovremo farci, in queste condizioni, non è perché ci si suicidi così tanto, ma piuttosto perché ci si suicidi ancora così poco, visto che le carceri sono strutture che non portano affatto alla rieducazione, ma piuttosto istigano a farla finita, all’incubo ottocentesco di essere sepolti vivi. Spesso manca anche l’acqua per lavarsi la faccia e quella dei rubinetti non è potabile. Dovrebbero essere distribuite bottiglie d’acqua a basso costo, che il carcere spesso invece non distribuisce”. Perché lo Stato non interviene? “La realtà è che nelle carceri italiane c’è la tortura. Non in senso generico o metaforico, proprio in senso tecnico. Queste condizioni, anche senza botte o provocazioni volontarie, si configura come una tortura di Stato. Per cui, se esiste un torturato esiste anche un torturatore. Non parlo degli agenti penitenziari che sono a loro volta, in senso lato, dei semi-detenuti, ma delle autorità che hanno a che fare con questo sistema. Gente che per cattiveria, imbecillità o peggio fa leggi che spediscono in carcere persone che non ci dovrebbero andare. E che non prende alcuna misura per evitare la situazione tragica a cui le condanna”. I magistrati potrebbero fare qualcosa? “I magistrati, quando non hanno una vocazione almeno iniziale a occuparsi delle carceri credendoci davvero (e sono la minoranza, molti più fra le donne), sono persone che cercano di smaltire con il minimo danno la gestione di una discarica, a loro affidata, con istruzioni che dicono di fare il meno possibile e di girarsi dall’altra parte. Spesso quello che sentenziano è un voto a fine scrutinio: 10, oppure 18. Ma nessuno pensa che quel 10 significa 10 anni moltiplicati per 365 giorni e ancora per 24 ore, per due metri quadrati e per tre file di sbarre. Su questo i magistrati sembrano non porsi nemmeno il problema”. Giustizia: sovraffollamento e caldo, l’emergenza carceri in Italia Radio Vaticana, 21 luglio 2010 È di nuovo emergenza carceri in Italia. Sovraffollamento e ondata di caldo stanno rendendo sempre più drammatica la situazione di migliaia di detenuti negli istituti di pena del Paese. Luca Collodi ne ha parlato con l’avvocato Riccardo Polidoro, penalista, presidente dell’Associazione “Il carcere possibile Onlus”: R. - Il problema è che ci sono 70 mila detenuti a fronte di 44 mila posti tollerabili. Quindi, la situazione è sicuramente gravissima e bisogna intervenire immediatamente, soprattutto con l’estate. Vorrei ricordare che la cifra è ben superiore a quella che costrinse il Parlamento qualche anno fa ad emanare l’indulto. Tenga presente che la nostra associazione è contraria a provvedimenti di clemenza, perché crediamo che la pena vada scontata e vada scontata per intero. Però, dev’essere scontata in maniera legale. Le soluzioni, a mio avviso, non sono l’indulto; sono incidere immediatamente su una depenalizzazione per consentire ai giudici di occuparsi di processi seri e non di fattispecie che di penalmente rilevante non hanno assolutamente nulla! Vorrei ricordare che il 50 per cento dei detenuti sono in custodia cautelare, cioè sono presunti innocenti. Quindi bisogna intervenire sul processo, bisogna dare più spazio alle misure alternative al carcere che statisticamente danno una recidiva minore: cioè, è statisticamente provato che chi sconta la pena in carcere torna a delinquere il 70 per cento delle volte, mentre per chi la sconta in misura alternativa c’è una percentuale di recidiva molto più bassa, addirittura intorno al 2-3 per cento. D. - Voi sicuramente avete ascoltato tante storie di carcerati. Io le faccio una domanda che potrà essere banale: come si vive con 35° all’ombra in un carcere? R. - Eh, io inviterei tutte le persone che oggi soffrono, dicendo “Che caldo, oggi! Non ce l’ho fatta! Si soffriva, in ufficio …” e nello stesso tribunale, a pensare, invece, con questo caldo, 12-13 persone nella stessa cella, in spazi angusti, dove c’è una sola finestra, dove bisogna fare i propri bisogni corporali e si cucina nello stesso posto … È una situazione che definirla da Terzo Mondo è un’offesa per il Terzo Mondo! Ma quali sono i diritti dei detenuti? Luca Collodi lo ha chiesto a don Francesco Esposito, direttore della pastorale carceraria dell’arcidiocesi di Napoli e cappellano del carcere di Poggioreale: R. - Chiaramente, i diritti dei detenuti sono soprattutto quelli della rieducazione e del reinserimento. Per la realtà in cui oggi sono la gran parte delle carceri - non solo quello di Poggioreale - purtroppo più che “rieducati” e “reinseriti” si esce arrabbiati, si esce con un problema serio: quello di essere entrati colpevoli di reati commessi, per poi uscirne arrabbiati, vittime purtroppo di situazioni che si è costretti a subire! Perché non è tanto la mancanza della libertà, quello che pesa, quanto proprio l’impossibilità di compiere qualsiasi tipo di cammino. D’estate, ad esempio, chiusi nelle celle per 22 ore insieme a 10, 12, 15 persone, in situazioni come quelle di oggi, significa realmente subire più che una pena, un reato contro la dignità umana. Le nostre carceri sono carceri anti-umane e di conseguenza carceri anti-cristiane. D. - La Chiesa cosa può fare in questa difficile realtà carceraria italiana? R. - Credo che l’impegno che noi, come Chiesa, come comunità cristiana, possiamo assumere è quello di incominciare a pensare a queste realtà di carcere che oggi ci sono, anzitutto non come isole - anche se, per esempio, il carcere di Poggioreale si trova proprio nel cuore della città, a stretto contatto con tutta la realtà del territorio, ma chiaramente ha tutta una vita a sé e la città ne ignora totalmente tutto quello che accade al suo interno, se non per quanto riguarda i familiari che sono costretti, a loro volta, a pagare delle pene insieme con i detenuti. Questa realtà di pena, in realtà, è una realtà che pagano anche tanti altri innocenti, che sono i figli, le mogli, costretti a fare lunghe file già dalla notte per avere un colloquio di un’ora con un proprio familiare, oltretutto in condizioni veramente disumane. D. - Don Francesco, la società chiede la certezza della pena: come si può coniugare questo con il rispetto dei diritti del carcerato? R. - Io credo che sia proprio il rispetto di questa esigenza della società, che non è tanto la certezza della pena quanto la certezza della sicurezza: è questo che bisogna che chi governa deve chiedersi! Cioè: questo carcere risponde alla domanda di sicurezza della società? E la risposta è chiaramente “no!”. “Ero carcerato e mi avete visitato”, questo il monito di Gesù. Ma come rapportarsi con i detenuti? Sempre al microfono di Luca Collodi, ascoltiamo il cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze, sempre attento alla situazione dei carcerati: R. - Una capacità di collocarsi di fronte a queste persone non come di fronte a dei numeri, ma come ad esseri umani, quali sono. A me sembra che risvegliare anche in loro, nei carcerati, e anche nei carcerati più duri, una speranza perché c’è qualcuno che vuol loro bene, perché c’è qualcuno che ha un po’ di fiducia in loro, questo mi sembra fondamentale. E questo lo può fare la Chiesa, appunto, perché lo fa nel nome del Signore, lo fa con il Codice del Vangelo. Quando c’è questo, il resto viene di conseguenza … D. - C’è la possibilità di ripensare, anche secondo la sua esperienza pastorale, il carcere? R. - Io penso di sì! Accentuando maggiormente quell’aspetto necessario per il carcere, da un punto di vista umano e cristiano, che è il recupero. In carcere si sta, sì, perché in questa maniera si difende la società dalla violenza, ma in carcere si sta anche perché la persona deve essere recuperata. E io credo che questo impegno dovrebbe essere maggiormente accentuato affinché il carcere sia proprio un luogo di recupero: quindi lavoro, scuola, sport … quante cose ci possono essere perché la situazione in carcere possa andare meglio! Giustizia: hiv e carcere: il diritto alla salute è un diritto umano… e vale per tutti. www.imgpress.it, 21 luglio 2010 La mancata disponibilità di aghi sterili e condom in carcere è una violazione dei Diritti umani, oltre che un problema di salute pubblica. Lo hanno spiegato chiaramente i redattori di Lancet, presentando a Vienna il numero monografico della rivista (“Hiv in people who use drugs”). Lo ha ribadito Julio Montaner, chair della Conferenza e direttore della International Aids Society (IAS), oltre che primo firmatario della Dichiarazione di Vienna. E ancora una volta l’Unodc, l’Ufficio Onu su Droga e Crimine, ha ripetuto la necessità per le carceri di misure di prevenzione basate sull’evidenza, ovvero disponibilità di condom e siringhe sterili. E consegnato un “toolkit” con informazioni e indicazioni in merito, con l’obiettivo, ha spiegato Christian Kroll, coordinatore globale per l’Hiv/Aids, di fare pressione sui governi nazionali perché si decidano ad affrontare un problema sanitario e sociale solitamente occultato per motivi di opportunità politica. In Italia la prevalenza in carcere delle persone sieropositive è stimata, dall’Istituto superiore di Sanità, al 7,5 per cento È una percentuale enormemente superiore a quella riferita alla popolazione generale (in Italia le persone sieropositive sono circa 180mila) e a quelle di altri Paesi (negli Usa è dell’1,5%, dati del dipartimento di Giustizia). E tra i tanti morti nelle patrie galere, negli ultimi sei mesi si contano almeno 6 detenuti sieropositivi. La prevenzione in carcere di Hiv e altre patologie trasmissibili (tubercolosi, epatiti) tramite condom e aghi sterili non è fantascienza: si fa da anni in tutte le carceri della Spagna, in Svizzera si sta espandendo a tutti gli Istituti penitenziari, programmi specifici ci sono in Scozia, e sono circa 60 i Paesi nel mondo che hanno tali programmi. L’evidenza della loro efficacia è ampiamente documentata. Anche l’Italia, dove la maggioranza delle persone detenute è tossicodipendente, deve prendere atto di tale evidenza, procedendo almeno con una valutazione della reale dimensione del problema sanitario in carcere, in riferimento all’Hiv/Aids e non solo. Anche in Italia le persone detenute devono avere accesso alla medesima assistenza sanitaria cui hanno diritto tutti gli altri cittadini. Solo procedendo su questa strada, la distanza dell’Italia con la Vienna, e con lo slogan della Conferenza “Rights here, right now”, potrà essere accorciata. Giustizia: “amnistia e indulto”; parole impronunciabili in politica… ora la richiesta viene dal Pdl di Dimitri Buffa L’Opinione, 21 luglio 2010 Amnistia e indulto. A forza di prenderci in giro con i vari piani carceri e con la politica degli annunci, sono venute fuori le parole “impronunciabili” in un parlamento in cui tanto a destra (Lega e parte del Pdl), quanto a sinistra (Di Pietro) si è fatto della deriva securitaria una vera e propria bandiera acchiappa voti. Amnistia e indulto per reati fino a quattro anni. Allo scopo di levare dalle patrie galere quel materiale umano che qualcuno crede essere assimilabile alle eco balle di Bassolino e quindi ammassabile anche in spazi molto limitati. L’iniziativa, o se volete la provocazione, parte dal senatore Luigi Compagna del Pdl, un liberale vero che non ha alcuna paura a misurarsi con la demagogia dei vari Gasparri, Castelli, Di Pietro e compagnia propagandante. D’altronde le carceri nuove non solo non si costruiscono in tempo, ma non si costruiscono e basta. E quelle nuove già ultimate negli ultimi dieci anni stanno li come cattedrali nel deserto con dentro le ortiche che ci crescono e con nessuno che può e vuole aprirle perché non ci sono i soldi per mantenerle né per assumere personale di custodia. E negli ultimi dieci anni oltre 1.700 detenuti sono morti in carcere, il 30% dei quali per suicidio. Ovviamente l’iniziativa di Compagna ha avuto il plauso di Rita Bernardini, deputata della lista Pannella, anzi di Radicali italiani, eletta nelle file del Pd, che, insieme a tutti gli altri esponenti della galassia radicale non si stancano di perorare la causa degli ultimi della terra e anzi si recano a trovarli in tutte le feste comandate del cristianesimo, loro che sono laici, compresa la prossima in programma a Ferragosto. “Dopo l’audizione alla Camera del ministro Alfano al principio della legislatura - sottolinea Compagna - non si è riusciti finora a varare provvedimenti che rendessero meno disumane le condizioni delle nostre carceri. Esse vivono ormai un dramma che le pone al di fuori di ogni principio della Carta dei diritti dell’uomo”. Di qui l’esigenza, secondo il parlamentare del Pdl, di ricorrere a quella “potestà di clemenza”, che il Parlamento aveva a suo tempo pensato di limitare, fissando in una maggioranza di due terzi il quorum necessario alla deliberazione. “Ho assunto questa iniziativa - ha precisato Compagna - perché di fronte a tanta sofferenza il Parlamento deve essere sollecitato ad un uso ragionevole e non arbitrario della potestà di clemenza prevista nella nostra Costituzione”. Giustizia: le carceri “esplodono” e arriva il nuovo ddl per amnistia e indulto di 4 anni di Filippo Benedetti Valentini L’Occidentale, 21 luglio 2010 Negli ultimi dieci anni nelle carceri italiane sono morte 1.702 persone. Di queste, 593 per suicidio. Un flusso costante che non accenna alcuna battuta d’arresto. Un dato allarmante che solleva una domanda: quali sono le condizioni dei detenuti negli istituti di pena? Qualche numero e la risposta è presto detta: in Italia ci sono circa duecento strutture carcerarie e il numero totale dei posti sui quali si può contare è di 37.742. I detenuti, però, sono 67.601. A mancare quindi, non sono soltanto i posti in cella, ma anche i tempi per l’attuazione di un provvedimento che risolva la situazione. È per questo che il senatore Luigi Compagna (Pdl) ha presentato alla Commissione Giustizia di Palazzo Madama un ddl sulla concessione di amnistia e d’indulto. “Non si è riusciti finora a varare provvedimenti che rendessero meno disumane le condizioni delle nostre carceri. Esse vivono un dramma che le pone al di fuori di ogni principio della Carta dei diritti dell’uomo”, è l’allarme lanciato dall’esponente della maggioranza. Dunque, senatore Compagna, le carceri italiane stanno per “esplodere”? Nel corso di questa legislatura il ministro della Giustizia Alfano aveva informato il Parlamento della condizione drammatica dei nostri istituti carcerari, provando anche a intraprendere la strada di un provvedimento alla Camera: il cosiddetto “svuota-carceri”. Però la rigida opposizione in Commissione Giustizia, da parte soprattutto della capogruppo del Pd Donatella Ferranti, aveva portato anche questo provvedimento ad un binario morto. Da qui la necessità di richiamare l’attenzione dei colleghi al nostro diritto-dovere di occuparci della questione. Ma il capogruppo Maurizio Gasparri e il viceministro alle infrastrutture Roberto Castelli hanno subito gridato “no all’amnistia”. Guardi, mi rendo conto di tutte le obiezioni. E credo che quelle di Castelli e Gasparri non siano del tutto improprie. Però la condizione delle carceri, di quelli che ci lavorano e dei detenuti è diventata talmente drammatica che è difficile rimanere insensibili a quello che ormai è un vero e proprio grido di dolore e disperazione. Ma le dirò di più. Credo che le obiezioni dei colleghi e amici restituiscano vigore ad un tema sempre più critico che deve essere risollevato. In cosa consiste la sua proposta di legge? È un disegno di legge di concessione di amnistia e indulto d’ “impianto tradizionale”: lo definisco come tale perché quella dell’amnistia è una tradizione che si è interrotta ormai da una ventina d’anni. Da quando cioè, in seguito ad un appello dell’allora capo dello Stato Francesco Cossiga, il Parlamento decise di intervenire in questa materia fissando il quorum necessario alla deliberazione dell’amnistia in una maggioranza di due terzi. Cosa è successo da allora? Quella dei due terzi è una maggioranza molto difficile da raggiungere. Perciò siamo passati dall’abuso degli “istituti di clemenza”, che prevedevano almeno un’amnistia per ogni legislatura, ad un altro di circa vent’anni nel quale non ce n’è stata neppure una. Ricordo solo, nel 2003, le sollecitazioni di Papa Wojtyla, alle quali seguì poi l’indulto durante il governo Prodi: un provvedimento però molto contraddittorio. Quali sono le esigenze più urgenti? La questione più drammatica è senza dubbio il sovraffollamento delle strutture. Lo stesso Castelli, che muove obiezioni nei miei confronti, riconosce tutti i dati che fornisco nella mia relazione: e cioè che il carcere non serve solo per la pena detentiva, bensì anche per la custodia cautelare, che le strutture non sono adeguate e che in alcuni casi in una sola cella ci sono otto detenuti. C’è chi sostiene che bisogna costruire più carceri, ma il famoso “piano carceri” presentato da Matteoli e da Alfano non sembra attuabile. Qual è il problema del “piano carceri”? Non voglio certo drammatizzare. Ma i tempi di realizzazione di strutture adeguate non vanno d’accordo con quelli estremamente più rapidi con cui apprendiamo di suicidi dovuti a casi di mala detenzione. Quali sono le strutture più problematiche? I casi peggiori si ravvisano soprattutto nel Mezzogiorno. Comunque anche il carcere romano di Rebibbia riversa in una situazione drammatica. Il mese scorso ad esempio, visitai il carcere, e il personale manifestava grande preoccupazione per l’arrivo del caldo: dicevano che la tensione all’interno della struttura era latente. A chi deve essere data per prima l’amnistia tra le tipologie di detenuti? Secondo me ci sono ricorsi alla custodia cautelare del tutto voluttuari. Da questo punto di vista il disegno di legge Alfano, che prevedeva di non scontare in carcere l’ultimo anno di detenzione, qualche respiro lo offriva. Purtroppo si è arenato alla Camera. In Italia ci sono circa 68 mila detenuti. Di questi, oltre 14 mila sono in attesa di giudizio… Ho l’impressione che ci sia il ritorno ad un uso-abuso del ricorso alla custodia cautelare degno dei tempi del peggior Borrelli-D’Ambrosio a Milano. Facciamo un esempio: si può mettere in carcere gente di oltre settant’anni? Credo che da questo punto di vista una discussione debba ripartire. Chi esce dal carcere però, dovrà essere “reinserito” in qualche modo. Non crede? Esistono una serie di organismi meritori che favoriscono il reinserimento: tanto per citarne uno, la Croce Rossa. Sicuramente non è ancora sufficiente, ma il Parlamento serve a porre problemi e a confrontare opinioni diverse cercando di trovare le priorità e soprattutto la compatibilità fra gli aspetti delle varie questioni. Intanto, ho provveduto a gettare la palla in campo, come si dice, per risollevare una questione urgente. La mia non è una proposta ultimativa: appartengo ad una classe politica e a un costume che prevede il ragionamento. Io stesso, in passato, mi sono opposto a provvedimenti di amnistie annunciate, ma stavolta l’incalzare delle cifre ci pone di fronte un problema più serio: oggi nelle nostre carceri c’è almeno il doppio dei detenuti previsti. Giustizia: la mia proposta nasce dalla disperazione, non si può tollerare una situazione del genere Corriere della Sera, 21 luglio 2010 “La mia proposta nasce dalla disperazione perché non si può tollerare una situazione del genere nelle carceri italiane...”. Il senatore Luigi Compagna (Pdl), che ha alle spalle una solida tradizione liberale, ha spiazzato molti nella maggioranza quando ha presentato a Palazzo Madama un disegno di legge per la concessione dell’indulto e l’amnistia. Compagna non ha nascosto il fallimento della politica carceraria del governo: “Dopo l’audizione del ministro Alfano al principio della legislatura non si è riusciti finora a varare provvedimenti che rendessero meno disumane le condizioni nelle nostre carceri. Esse ormai vivono un dramma che le pone al di fuori di ogni principio della Carta dei diritti dell’uomo”. Questo sostiene Compagna - mentre la Uil penitenziari ricorda che nella carceri italiane sono morte negli ultimi io anni 1.702 persone, tre solo nell’ultimo fine settimana - ma dal capogruppo Maurizio Gasparri (Pdl) arrivato subito l’altolà: “E ovvio che ogni parlamentare può presentare le proposte che ritiene. Ma escludo che in questa legislatura si possano approvare amnistie o indulti. Le nostre leggi hanno sancito punizioni severe per il crimine. Non c’è spazio per provvedimenti di presunta clemenza”. Anche Roberto Castelli (Lega) ha detto subito no e pure Massimo Donadi (Idv) ha parlato di “indulto sconfitta per lo Stato”. Solo la radicale Rita Bernardini appoggia “totalmente” la proposta Compagna: “Serve per il ritorno alla legalità”. Giustizia: su proposta amnistia e indulto, attacchi da destra e da sinistra al senatore Compagna Libero, 21 luglio 2010 Neanche il tempo di presentare la sua proposta di legge su indulto e amnistia, che il senatore dei PdL Luigi Compagna si è visto investire da una raffica di fischi bipartisan. Il più sonoro è quello del suo capogruppo, Maurizio Gasparri: “Escludo che in questa legislatura si possano approvare amnistie o indulti. Le nostre leggi hanno sancito punizioni più severe per il crimine, non c’è spazio per provvedimenti di presunta clemenza”. Per una volta Gasparri torna a parlare all’unisono con i finiani. Italo Bocchino si dichiara “contrario a qualunque forma di amnistia. Se combattiamo la criminalità non possiamo poi lasciare liberi i criminali. Dobbiamo garantire la certezza della pena. Se non c’è spazio nelle carceri costruiamone delle altre”. Stroncatura secca anche da Carmelo Briguglio: “Prendere una simile iniziativa proprio in un momento come questo significa essere fuori dalla realtà”. Più moderata ma non meno decisa la bocciatura di Andrea Augello: “Un provvedimento di clemenza non è deprecabile di per sé, ma non ne vedo l’urgenza in questo momento. Proporre l’amnistia adesso significa consegnare al dibattito estivo il fantasma di una proposta di legge in cui ciascuno può mettere dentro quello che si vuole”. Si associano, non a caso, i dipietristi: “Nessuna amnistia”, taglia corto il capogruppo dell’Idv al Senato, Massimo Donadi, “sarebbe l’ennesima sconfitta dello Stato di diritto”. Unica voce a favore, ovvio, quella dei radicali, per bocca di Rita Bernardini, membro della commissione Giustizia della Camera: “Pieno appoggio alla proposta di Compagna”. Giustizia: vite da galera… sia per chi è “dentro”, sia per i famigliari che stanno “fuori” Avvenire, 21 luglio 2010 Una storia come tante, forse. Un dramma comune a tante mamme e papà, genitori di figli che hanno sbagliato e sono in carcere. E in carcere però non troveranno il modo di pagare il male fatto e riabilitarsi, ma solo di abbruttirsi, e aumentare la rabbia che hanno dentro, mentre fuori possibilità per loro non ce ne sono e non ce ne saranno. Risale a più di un mese fa l’appello della Caritas Ambrosiana che denunciava la “situazione esplosiva delle carceri”, per sovraffollamento e le condizioni precarie di vita. A giugno il caldo non era ancora arrivato, oggi le città soffocano e chissà cosa succede in cella, dove - almeno in alcune - ai detenuti non è permesso tenere nemmeno un piccolo ventilatore. La situazione insomma è rovente e una storia tra le tante, ma raccontata di persona, vicina, qui nel nostro territorio, non può certo lasciare indifferenti. Anzi, rende “più reali” i numeri (67 mila presenze carcerarie, oltre una volta e mezza il numero degli ospiti consentiti dalle norme; 32 suicidi dall’inizio dell’anno), più vere le denunce... L.V. è una mamma, ha tre figli e il più grande è in carcere per detenzione di armi: “Fine pena 2019”, racconta la signora. “Mio figlio ha sbagliato ed è giusto che paghi, ma non certo nel modo in cui lo sta facendo”, sostiene. Perché il figlio è detenuto a Lecce. C’è un dramma nel dramma, quindi, che colpisce proprio la mamma che, come è normale e giusto, nonostante gli errori del figlio non smette di occuparsi di lui e volergli stare vicino. “Sino al mese di gennaio era detenuto a Pavia”, racconta la signora, “il giorno del suo compleanno, però, quando sono andata a trovarlo gli agenti, gentilissimi, mi hanno detto che era stato trasferito a Como”. Quel giorno non c’era più tempo per fargli gli auguri, la mamma ha quindi visto il figlio solo cinque giorni più tardi. La settimana dopo il colloquio successivo: “Signora, suo figlio non è più qui, è a Lecce”. La motivazione non è mai stata chiarita, la signora si è sentita dire “per il tipo di reato”, oppure per il “sovraffollamento”: “Ma che senso ha?”, si chiede la mamma, che ha limitate disponibilità economiche, lavora e ha anche altri figli minorenni. “Il sovraffollamento è un fatto reale”, commenta, “ma motivare con questo o altre scuse una detenzione a mille chilometri di distanza dal comune di residenza, è assurdo, anche perché anche il carcere di Lecce è sovraffollato”. Il figlio, infatti, vive in una cella singola, ma non da solo, vi dormono in tre, in un letto a castello che arriva a cinquanta centimetri dal soffitto. “In Lombardia ci sono detenuti pugliesi e viceversa”, continua il racconto della signora, “per noi parenti diventa un vero problema sia di praticità che economico andarli a trovare: io personalmente faccio 20 ore di treno, per vedere mio figlio per un’ora e mezza, con il costo del viaggio, ogni volta, di 150 euro”. Capita inoltre che per un colloquio l’attesa sia anche di ore e ore, tanto che gli incontri diventino necessariamente più brevi (c’è il treno del ritorno da prendere). Eppure i detenuti hanno diritto a sei ore di colloqui al mese: “Noi dovremmo essere messi nelle condizioni di poterle fare”. Perché colpevolizzare anche parenti che già soffrono e vorrebbero solo rendere un pò più dignitosa la vita senza dignità dei propri cari in carcere? Figli e mariti privati della libertà e costretti a vivere in condizioni ai limiti dell’umanità tra violenze e soprusi da parte di agenti penitenziari (non tutti) che certamente non vivono tanto meglio di loro. E c’è anche l’aspetto economico: “In televisione ho sentito dire che un detenuto costa allo stato tra i 600 e gli 800 euro”, continua L.V., “vorrei tanto sapere su quali basi si facciano questi conti, visto che tranne chi non ha veramente nessuno, ogni detenuto ha la sua biancheria personale che ovviamente portiamo e laviamo noi parenti, anche perché se lo facessero loro, visto l’ambiente umido in cui sopravvivono, puzzerebbe”. “Anche al cibo pensiamo noi: ogni parente porta al detenuto il pranzo per tutte le persone che vivono con lui in cella e per il resto, olio, pasta, piatti di carta, carne, verdura e generi per l’igiene personale e della cella, gli stessi detenuti li acquistano nello spaccio interno, ovviamente con i soldi che portiamo noi”. La vita in carcere non è facile per nessuno, la pena colpisce non solo chi commette il reato ma anche chi gli è vicino. “Ma perché rendere tutto ancora più difficile?”, si domanda questa mamma , una tra le tante che subiscono le scelte di figli e mariti senza esserne responsabili. Giustizia: tunisino passa tre anni in carcere da innocente, per una traduzione sbagliata Il Messaggero, 21 luglio 2010 Aveva chiesto ai parenti alcune bottiglie di una bevanda “Vergina” una nota marca in Tunisia, ma per un errore del traduttore si è fatto due anni e 8 mesi in carcere con l’accusa di terrorismo internazionale e di far parte di un gruppo che inviava martiri e attentatori in Iraq e Afghanistan. Contro di lui un’intercettazione nella quale secondo gli inquirenti si parlava di una carta d’identità “vergine”, ossia “in bianco”, per falsificarla, mentre la richiesta riguardava una nota bevanda. L’uomo, Hadel Ben S., tunisino di 34 anni, è stato assolto nei giorni scorsi dalla prima Corte d’Assise di Milano, per non aver commesso il fatto, e scarcerato. A raccontare la sua vicenda “tragica e paradossale” è il suo legale, l’avvocato Pasquale Cutolo, il quale sottolinea che ora nei confronti dell’uomo c’è anche un provvedimento di espulsione verso la Tunisia, al momento bloccato dalla Corte di Giustizia Europea. Il tunisino era finito in carcere il 6 novembre 2007 ed è rimasto recluso fino all’8 luglio scorso, quando è arrivata la sentenza della Corte che ha condannato 15 presunti terroristi e ha assolto 10 persone. “L’elemento più rilevante a suo carico- ha spiegato l’avvocato - come aveva stabilito anche la Cassazione, che gli aveva negato la scarcerazione, era una telefonata”. Nell’intercettazione l’uomo, a un certo punto, usava la parola “Vergina”, che secondo il perito-traduttore significava “vergine”, un’espressione che per gli inquirenti indicava una richiesta di carte di identità in bianco. Nel dibattimento è emerso che il tunisino stava chiedendo ai suoi familiari di spedirgli bottiglie di una nota bevanda. Anche il pm Nicola Piacente aveva chiesto per lui l’assoluzione. Dopo la scarcerazione per l’uomo, clandestino, è arrivato un provvedimento di espulsione del Prefetto di Asti. Ora il tunisino si trova nel Cie di Torino e la Corte di Giustizia Europea, su ricorso dell’avvocato, ha sospeso in via cautelare l’espulsione, per il rischio di torture che imputati o condannati per terrorismo possono subire in Tunisia. “La vicenda umana di questo ragazzo - ha concluso l’avvocato - non ha ancora avuto fine. Nonostante la decisione della Corte di Assise, infatti, quasi tre anni di ingiusta detenzione non sono bastati a scongiurare un’espulsione”. Campania: carceri oltre il tollerabile; 8mila detenuti e capienza di poco più di 5mila posti Il Denaro, 21 luglio 2010 Mai come in questo periodo il carcere attraversa una fase di crisi. Una crisi riconosciuta dallo stesso governo con la proclamazione a gennaio di quest’anno dello stato di emergenza e da larga parte delle forze politiche. Nel carcere sono oggi presenti quasi 70mila detenuti e la situazione è certo peggiore di quella che quattro anni fa convinse a ricorrere ad un provvedimento di indulto. La Campania conta oggi oltre 8mila detenuti, (per una capienza di poco più di 5mila posti), larga parte dei quali è in attesa di giudizio e ha una età inferiore a trentanove anni. Per testimoniare la rapida espansione del sistema penitenziario campano è sufficiente una rapida carrellata di cifre. Nel dicembre 2005 i detenuti presenti erano 7.310, con l’indulto sono scesi a circa 5mila. A marzo 2010 è stata superata per la prima volta la quota di 8.000 presenze (8.063). Negli ultimi diciotto mesi (2009 -2010) si sono registrati dieci suicidi, centocinque tentati suicidi e quattrocentosessantuno episodi di autolesionismo. Si registrano in alcuni dei nostri istituti situazioni che vanno ben al di là del tollerabile. Si pensi al carcere di Poggioreale, dove nelle celle si arriva sino a dodici persone, che ha un numero di detenuti pari al doppio della sua capienza. Uno scenario gravissimo se si pensa che il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli è arrivato a chiedere per iscritto alla amministrazione penitenziaria che la direzione della Casa Circondariale di Poggioreale si attivi con pronta sollecitudine per eliminare ogni possibile situazione di contrasto con l’articolo 27 della costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, informandone tempestivamente questo magistrato di sorveglianza”. Preoccupa soprattutto l’incapacità di offrire risposte convincenti nel breve periodo. Il cosìddetto Piano carceri del Governo prevede l’ampliamento del carcere di Poggioreale con un aumento di 220 unità nel padiglione Firenze, laddove vi sono 1.300 in più rispetto la capienza. Il numero di figure sociali impegnate negli istituti di pena appare a dir poco insufficiente. Secondo i nostri calcoli, il rapporto tra educatori e detenuti nel carcere di Poggioreale è di circa 1 a 200. Lo scenario è complicato dal fatto che la realtà penitenziaria campana è attraversato dalla riforma della sanità penitenziaria. Una riforma, del 2008, che ha sancito il passaggio delle competenze della sanità al sistema sanitario nazionale e che doveva rappresentare un miglioramento delle condizioni della popolazione detenuta. Una popolazione, vale la pena ricordarlo, in cui circa il 33 per cento è tossicodipendente e il 65 per cento è affetto da patologie croniche. Questa riforma procede a rilento, nonostante non si possa dire che questa volta il sistema sanitario regionale non si sia attivato. Anzi. Ma si è dovuto fare i conti con due criticità, l’obsolescenza del sistema della sanità penitenziaria e l’ambiguità dei rapporti di lavoro al suo interno e dall’altro il ritardo con cui il governo ha trasferito le risorse necessarie. Solo a fine 2009 sono stati trasferiti in Campania i circa 6milioni di euro già anticipati dalla Regione, mentre per le risorse future lo scenario è ancora incerto. In una regione dove sono presenti tra l’altro due Cdt (a Poggioreale e Secondigliano), con detenuti affetti da Hiv, un reparto di osservazione psichiatrica e due Ospedali psichiatrici giudiziari, Aversa e Napoli. E a proposito di questi ultimi, dobbiamo ricordare che a novembre 2009 una nostra delegazione accompagnata da un consigliere regionale segnalava il caso di un internato nudo nella propria cella, piena di escrementi, e il caso di un malato a letto di coercizione dopo aver tentato il suicidio. E l’11 giugno scorso la Commissione di inchiesta sull’efficacia del sistema sanitario, presieduta dal presidente Marino, ha effettuato una visita nell’Opg di Aversa, in compagnia dei Nas, e ha espresso un giudizio fortemente negativo sull’intera struttura. A nostro avviso, ferma restando la necessità di interventi deflattivi di tipo normativo, è possibile aumentare il numero di figure sociali attraverso un potenziamento dell’intervento del terzo settore, promuovere il ricorso alle misure alternative alla detenzione e consolidare il passaggio della riforma della sanità penitenziaria, intervenendo in particolare nell’area del contrasto alle dipendenze e della salute mentale. Se qualcuno ha poi altre proposte, ben vengano, perché tutto ci si può permettere in questa fase, tranne che l’immobilismo. Campania: la senatrice Carloni (Pd) presenta un’interrogazione al Ministro della Giustizia Il Denaro, 21 luglio 2010 La senatrice del Pd Anna Maria Carloni, dopo aver letto sulla stampa campana i dati del rapporto presentato ieri dalle associazioni Antigone e La Mansarda e dal consigliere regionale Petrone, ha presentato questa mattina un’interrogazione urgente al Ministro della Giustizia Alfano e al Governo per “sapere quali provvedimenti intenda adottare il Ministro in Campania per fronteggiare l’emergenza sovraffollamento delle carceri e garantire il diritto alla dignità e alla salute dei detenuti”. In particolare la senatrice Carloni sottolinea “la gravità del dato del sovraffollamento con oltre 8 mila detenuti rinchiusi a fronte di una capienza regolamentare stimata in poco più di 5.500 posti”, rilancia l’allarme sulla casa circondariale di Poggioreale, dove in una cella ci sono anche 14 detenuti e le ore d’aria si riducono solo a due. Il problema del sovraffollamento - spiega la senatrice Carloni - è però strettamente collegato al problema assistenza sociale e medica. Come è noto, nel 2008, la competenza in materia con la riforma della sanità penitenziaria è passata dal Ministero della Giustizia alle Regioni, ma nessuna determinazione è stata adottata finora dal Governo per il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle risorse del Fondo sanitario nazionale afferenti alla medicina penitenziaria per il 2009 e il 2010. Anche da questo deriva la difficoltà delle Asl ad assicurare la giusta assistenza medico-sanitaria ai detenuti”. “È una condizione inaccettabile - dichiara la senatrice del Pd - che calpesta l’art. 72 della Costituzione e l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Dov’è finito il Piano carceri del Governo? E poi, è possibile che nella nostra Regione, il Piano si traduca soltanto con l’ampliamento del carcere di Poggioreale con un aumento di 220 unità nel padiglione Firenze che ha già 1300 persone in più rispetto alla capienza? Non basta la risposta emergenziale, è finito il tempo degli annunci. Occorrono - conclude Carloni - interventi strutturali, occorre promuovere il ricorso alle misure alternative alla detenzione, potenziare il ricorso alle figure sociali, attuare la riforma della sanità penitenziaria per garantire il diritto alla dignità. Anche per questo ho presentato l’interrogazione al Ministro della Giustizia, ho firmato nei giorni scorsi insieme al collega del Pdl Compagna una proposta di legge sull’indulto e l’amnistia” e, in particolare, sosterrò la proposta del Pd del “Patto per il reinserimento e la sicurezza sociale” con la quale un detenuto, che abbia espiato la metà della pena, ha l’opportunità di presa in carico dai servizi sociali. Sicilia: Marziano (Pd); situazione drammatica, regione si faccia carico della sanità penitenziaria www.siracusanews.it, 21 luglio 2010 “Condivido l’intervento, dai toni drammatici, del senatore Ignazio Marino sulle condizioni indecenti, così dice, che vivono i detenuti e sulla necessità che la Regione si faccia carico della sanità penitenziaria. Una questione che ho sollevato proprio un mese fa con un ordine del giorno che ho presentato”. Un ordine del giorno, quello presentato dal deputato regionale del Pd Bruno Marziano, per impegnare il Governo regionale a predisporre e sottoporre in tempi rapidi alla Commissione paritetica Stato-Regione - Ministero Affari Regionali il testo contenente le norme di attuazione per il trasferimento al Servizio Sanitario della Regione delle funzioni sanitarie, delle risorse finanziarie, dei rapporti di lavoro, delle attrezzature, arredi e beni strumentali relativi alla sanità penitenziaria, “perché - aggiunge Marziano - è necessario affrontare la questione che ha aspetti di grande delicatezza e numeri recenti che dimostrano come non sia più rinviabile. In applicazione della Legge 244/2007 si è proceduto al trasferimento alle Regioni delle funzioni sanitarie relativamente agli istituti penitenziari”. Il deputato spiega inoltre che le norme di attuazione nelle regioni a statuto speciale sono subordinate all’approvazione di un testo da parte della Commissione paritetica Stato-Regione. Ma nell’attesa del trasferimento continuano a svolgere le funzioni il Dipartimento regionale dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Dipartimento della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia. “Da anni si registra un drammatico incremento del numero di suicidi e di fenomeni di autolesionismo fra i detenuti ma anche fra il personale impegnato nell’amministrazione penitenziaria - prosegue Marziano - e ciò va ricondotto ad aspetti quali il sovraffollamento delle carceri e la condizione socio-sanitari in cui versano. E intanto le carceri sono sempre più piene. L’analisi e i dati forniti dai diversi osservatori istituzionali e non circa la situazione carceraria registrano una presenza di circa 68.000 detenuti a fronte di una capienza di 43.000 distribuiti nei 206 istituti penitenziari in Italia. Con un incremento di circa 1.000 detenuti al mese. “Alla assoluta inosservanza degli standard europei sulla dimensione e gli spazi delle celle si registrano deficienze delle condizioni igienico-sanitarie, nell’illuminazione, nel decoro e nel clima delle celle (riscaldamento e refrigerazione), nonché, la carenza dei presidi sanitari (infermerie, centri clinici, numero di medici) - conclude l’esponente del Pd - che aggrava le patologie più frequenti ed infine l’insufficienza degli spazi destinati alla socialità e all’attività di studio e di lavoro dei detenuti. In Sicilia esiste una struttura e un Garante regionale dei diritti dei detenuti, mentre nazionalmente si sollecita la richiesta di approvazione di una legge che istituisca a livello nazionale il Garante dei diritti dei detenuti ossia di un soggetto che possa lavorare in coordinamento con i garanti regionali e comunali e con la magistratura di sorveglianza”. Puglia: allarme nelle carceri; temperature insopportabili, sovraffollamento, mancanza d’acqua Trani Informa, 21 luglio 2010 Nelle carceri italiane c’è un vero e proprio allarme afa. “In nessun dei 206 istituti c’è l’aria condizionata. Le temperature sono insopportabili, sia per i detenuti che per le guardie carcerarie, e molti malori registrati in questi giorni all’interno delle carceri si devono appunto al caldo”. Parola di Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria. Sul problema del caldo eccessivo nelle carceri della Puglia è intervenuto anche Domenico Mastrulli, segretario nazionale Osapp, che in una lettera indirizzata al dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria della Puglia ha evidenziato tutti i disagi dell’utenza carceraria e le possibili emergenze legate al clima. “Nei giorni appena trascorsi - scrive Mastrulli - nonostante le annunciate “alte temperature climatiche” molti istituti penitenziari da Lei diretti, per la grave carenza di personale di polizia nei reparti sovraffollati detentivi, avrebbero disposto la chiusura dei Bar Spaccio, di conseguenza il personale operante in prima linea a diretto contatto con la popolazione detenuta, oltre alla temperatura altissima che si registra nelle Sezioni detentive a causa del citato sovraffollamento che sembra aver raggiunto quota 69.000 circa, aggressioni tra utenza, fibrillazioni tra clan nei reparti di ubicazione, tentativi di suicidio, suicidio ed evasioni, ha dovuto anche fare i conti con l’afa, il caldo a 35/45° in alcune Regioni e la mancanza di acqua fresca. I distributori automatici dove installati, sembrano siano stati lasciati all’asciutto e nessuna precauzione è stata adottata dalle singole Autorità Dirigenti per far fronte a tale emergenza acqua. Stessa situazione sarebbe stata già prevista ed anticipata dai meteorologici internazionali così come si ricava dalla lettura dei massimi quotati quotidiani. In questi Casi, Croce Rossa Italiana, Protezione Civile, Ministero della Salute e della solidarietà, distribuiscono, attraverso le proprie risorse gratuitamente acqua fresca o minerale sulle Autostrade o nelle Zone a rischio. Vi si invita come Sindacato maggiormente rappresentativo del Corpo di Polizia Penitenziaria di valutare la possibilità di dare le opportuni disposizioni sull’intero Territorio nazionale affinché chi gestisce o appalta le Mense di Servizio distribuiscano, gratuitamente ed in diverse fasce orarie della giornata e per l’intero periodo delle accennate temperature,acqua fresca ai Baschi Azzurri in attività Operativa di Sicurezza e Vigilanza nei reparti e nelle Strutture dell’Amministrazione Penitenziarie sprovviste di adeguati distributori o con Bar Spaccio chiusi”. Lazio: incontro tra Regione, Prap e Ama per convenzione su reinserimento ex detenuti Dire, 21 luglio 2010 “Stiamo predisponendo una proficua collaborazione attraverso una convenzione tra Ama, l’Amministrazione penitenziaria del Lazio ed il nostro assessorato per mettere a punto un progetto che possa prevedere l’impiego di ex detenuti e detenuti in regime di semi-libertà per la pulitura di aree monumentali d’interesse storico artistico colpite da atti di vandalismo, e di recupero di aree urbane fortemente degradate”. Lo ha detto, come si legge in una nota, l’assessore agli Enti Locali e Sicurezza della Regione Lazio, Giuseppe Cangemi, a margine dell’incontro con Marco Daniele Clarke e Franco Panzironi, rispettivamente presidente ed amministratore delegato di Ama Spa. “Ritengo questa iniziativa di alto valore simbolico - prosegue Cangemi. Proprio da una situazione fragile come quella di un ex detenuto, nasce una grande possibilità di riscatto, partendo dal lavoro di ripulire siti di alto valore storico-culturale nasce una occasione dal profondo valore morale ovvero quella del reinserimento nella società”. “Questo progetto rientra nella politica dove anche l’Osservatorio per la sicurezza dovrà essere impegnato a promuovere un programma di educazione alla legalità capillare e continuo. Proprio nella composizione dell’Osservatorio abbiamo previsto anche la presenza di un esperto contro i vandali dell’arte, dopo l’escalation di danneggiamenti che si sono registrati nell’ultimo anno - conclude Cangemi. Nell’azione volta a rivalutare il grande patrimonio artistico della nostra regione, come ha più volte dichiarato il presidente Renata Polverini, ci impegneremo a trovare delle valide azioni di supporto per la tutela e per il contrasto agli episodi di vandalismo che minacciano i beni artistici”. Napoli: viaggio nell’inferno di Poggioreale, quattordici detenuti in celle di 20 metri quadrati di Beniamino Daniele La Repubblica, 21 luglio 2010 Allungano le braccia fuori dalle sbarre. Quasi a voler afferrare un alito di vento con le mani. Ma tutto è fermo, l’aria non si muove e il sole batte impietoso sulle facciate del carcere di Poggioreale. Dentro è l’inferno. Secondo i dati presentati ieri dalle associazioni “Antigone” e “La Mansarda”, si tratta infatti del carcere più affollato della Campania. Tremila anime costipate in una struttura che dovrebbe contenere al massimo 1.347 persone. E di record in record i numeri sono da capogiro anche nelle altre carceri della regione. Nei 17 penitenziari è concentrato quasi il 12 per cento dei detenuti d’Italia. Oltre 8.000 persone, a fronte di una capienza massima di poco più di 5.500, che fanno della Campania la terza regione per numero di detenuti. Sembrano ormai lontani gli effetti dell’indulto. Nel 2006 i reclusi erano scesi a 5.000, ma nel 2008 erano già quasi 7.000. E proprio caldo e sovraffollamento sono due delle cause che portano i detenuti a togliersi la vita. Solo negli ultimi 18 mesi ci sono stati 12 suicidi, 105 i tentati suicidi e 461 gli episodi di autolesionismo. È a Poggioreale la situazione più critica, spiega Dario Stefano Dell’Aquila di “Antigone”. Celle dai 18 ai 24 metri quadrati dove ci vivono anche 14 persone. Letti e armadietti a incastro e dietro una tendina il water, troppo spesso guasto. Alle finestre i detenuti appendono asciugamani bagnati per cercare di proteggersi dal sole. Ma è tutto inutile. Nelle celle è un inferno. Alle 21.30 poi si chiude la porta blindata e a quel punto non passa più un filo d’aria. Dormire nei letti a castello toglie l’ossigeno e nulla può dare sollievo. C’è solo un piccolo lavabo, niente docce nelle stanze della maggior parte dei reparti. A Poggioreale, anche in estate ci si lava solo due volte alla settimana. E nessun sollievo neanche nelle ore d’aria: dalle 11 alle 13 e dalle 14 alle 16, quando il sole brucia e i cortili interni in cemento si trasformano in conche di fuoco. L’unico riparo sono delle pensiline in alluminio che disegnano piccoli angoli d’ombra. Poche anche le fontanine. E proprio la carenza d’acqua sembra il problema principale del carcere di Santa Maria Capua Vetere: 900 detenuti per una capienza massima di 500. Tante le segnalazioni arrivate al presidente di “Antigone”. Dai rubinetti escono solo sottili fili d’acqua, mai fresca a causa del riscaldamento delle tubature. Tante le denunce anche per rubinetti che spesso restano completamente all’asciutto. L’anno scorso sono dovute intervenire le autobotti dei vigili del fuoco per rifornire i padiglioni. Situazioni al limite anche a Pozzuoli, dove in stanze di circa 20 metri quadrati vivono sette donne, o a Secondigliano dove si sta in due, ma in celle più piccole. “È una situazione esplosiva - dice il presidente dell’associazione “La Mansarda” Samuele Ciambriello - Avendo visitato gli istituti di pena posso dire che è alto il rischio di rivolte”. Caldo asfissiante e sovraffollamento. Un dramma nel dramma per i detenuti che soffrono di patologie croniche, circa il 65 per cento del totale, o per chi è schiavo delle tossicodipendenze, il 33 per cento. Per loro, spiega Dell’Aquila, presidi sanitari fatiscenti e macchinari obsoleti. Un presente invivibile quindi e un orizzonte oscuro che in determinati soggetti porta a scelte drammatiche. Gli psichiatri la definiscono una vera e propria sindrome del detenuto. “Togliersi la vita diventa un lucido atto di rivolta - spiega il direttore sanitario dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, Adolfo Ferraro - Un gesto per sfuggire a una situazione di disperazione e a un luogo spesso di solitudine e privo di speranze”. Lecce: Stafanizzi (Cisl); un carcere da Terzo mondo, sono scosso da quello che ho visto di Flavia Serravezza La Gazzetta del Mezzogiorno, 21 luglio 2010 “È il Terzo mondo”. Piero Stefanizzi, segretario generale di Cisl Lecce, è appena uscito dalla casa circondariale di Borgo San Nicola quando lo raggiungiamo al telefono. “Sono scosso - dice - era la mia prima volta in questo carcere e ho trovato condizioni disumane”. La visita, ieri mattina, è durata appena un’ora. Con Stefanizzi, c’erano Antonio Pellegrino, segretario territoriale della Cisl Fns (Federazione nazionale sicurezza) e Crescenzo Lumieri, segretario regionale Fns. Dopo le numerose denunce delle ultime settimane, hanno deciso di andare a vedere con i loro occhi le condizioni in cui vivono i 1.420 detenuti del carcere di Lecce, e l’esiguo personale di Polizia penitenziaria. A spingerli sono state le drammatiche lettere dei carcerati pubblicate su queste pagine, e la notizia di altri duecento ospiti in arrivo entro l’estate presso l’istituto. “Sono rimasto impressionato - racconta Stefanizzi - perché ho trovato un’atmosfera opprimente nelle celle dove sono ammucchiati in tre in appena dieci metri quadrati. Il sovraffollamento è lampante, la situazione è diventata ingestibile per gli agenti di polizia penitenziaria che tra tagli e ferie sono davvero ridotti all’osso in questo periodo”. Quello che descrive è un inquietante viaggio tra i corridoi del carcere e le difficili storie di vita che le sue mura trattengono. “Non c’è solo il problema degli spazi, ma anche di condizioni igienico-sanitarie davvero precarie: l’istituto sta vivendo un periodo di massima sofferenza e di massimo abbandono”. L’acqua scarseggia e le celle con il caldo si trasformano in forni. Chi non ce la fa più, si ferisce per trovare sollievo in infermeria. “Qui la situazione è allucinante - riferisce il segretario provinciale della Cisl - perché è una vera e propria zona di parcheggio del disagio psichico e mentale, dove finisce chiunque ha difficoltà a stare in cella. Non a caso è superaffollata, un guaio serio per il personale medico sanitario che è ridotto a pochissime unità costrette a turni di otto ore anziché di sei”. I detenuti arrivano a ferirsi anche in modo grave pur di uscire dalle piccole e soffocanti gabbie in cui sono rinchiusi tutto il giorno. “Al momento della visita in infermeria - racconta ancora Stefanizzi - abbiamo incontrato un marocchino che addosso aveva più di cento punti per le ferite che si era procurato da solo con una lametta. Se le nascondono in bocca, e quando arrivano al limite della sopportazione nelle celle iniziano a farsi male o, ancora peggio, tentano di uccidersi”. Dall’inizio dell’anno a oggi, si sono verificati già tre suicidi nel penitenziario di Lecce. Una spia del disagio che vivono i detenuti alla ricerca di un sponda al di là delle sbarre. “La situazione è insostenibile per i detenuti e per il personale penitenziario - conclude Stefanizzi - inaccettabile per tutti coloro che credono in una società basata sul diritto, dove chi ha infranto la legge va punito, anche severamente, ma mai costretto a subire una detenzione in condizioni di degrado tali da trasformarla in tortura. Non voglio immaginare cosa succederà nell’istituto se quest’estate arriveranno altri duecento ospiti”. Per i sindacalisti della Fns Cisl, Antonio Pellegrino e Crescenzo Lumieri, è “gravissimo” il disagio della polizia penitenziaria. “Le ore lavorative giornaliere degli agenti - spiegano - superano i presupposti contrattuali, determinando stress che, aggiunto alle continue aggressioni subìte, sta decimando il personale. Basta verificare le assenze per malattia e convalescenza, pari a 136 unità, percentuale in media più elevata se paragonata ad altri istituti della Regione. Le ragioni di questa situazione sono da ricercarsi nella gestione e nel mancato rispetto dei presupposti contrattuali legati all’accordo locale. I disagi dovuti ai tagli dei fondi creano invivibilità nella dimensione carceraria. Tale carenza si ripercuote sui poliziotti, che subiscono in prima persona lo stato di malessere prodotto dalla carenza di fondi e dal grave affollamento esistente”. Riguardo invece alle condizioni generali del carcere, dicono: “Il sopralluogo ha riscontrato una situazione igienico-sanitaria precaria, con l’aggravio che alcune segnalazioni effettuate nelle precedenti visite della Fns Cisl non hanno trovato alcuna soluzione”. Caltanissetta: oggi l’autopsia sul corpo del detenuto morto suicida La Sicilia, 21 luglio 2010 Sarà eseguita oggi l’autopsia sul corpo di Rocco Manfrè, il presunto esponente della “famiglia” gelese di Cosa Nostra degli Emmanuello, morto suicida l’altra mattina nel bagno del carcere Malaspina di Caltanissetta dove era stato rinchiuso 48 ore prima. La Polizia lo aveva arrestato nell’ambito dell’operazione “Mantis religiosa” con l’accusa di essere stato tra gli artefici di una lupara bianca che, nel giugno di 18 anni fa, aveva visto vittima Agostino Reina, alias Pino “buttigghiuni”, un presunto esponente della Stidda di 32 anni. L’altra mattina, dopo avere consumato la colazione con i suoi 5 compagni di cella, Manfrè era andato a fare la doccia. E nella stanza da bagno avrebbe maturato il proposito di farla finita. Utilizzando i manici di una borsa termica, l’uomo si è impiccato al braccio della doccia. A rendere noto il particolare è stato il senatore Salvo Fleres, in qualità di garante dei detenuti in Sicilia. Sulla fine di Manfrè, i magistrati della Dda di Caltanissetta hanno aperto un’inchiesta. Come primo atto, il sostituto della Dda Onelio Dodero, titolare delle indagini, ha disposto l’esame autoptico che sarà eseguito nella giornata di oggi. Con il suicidio di Manfrè, sale a quota 37 il numero dei detenuti che dal 1° gennaio ad oggi l’hanno fatta finita all’interno delle carceri italiane. Un numero elevato di suicidi che sta suscitando una levata di scudi. “La palesi violazioni di legge del tutto ignorate dalla magistratura che interpreta l’obbligatorietà dell’azione penale con scandalose discriminazioni che non possono più essere taciute nè ignorate dal Ministero della Giustizia che - così stando le cose - rischia di diventare complice di quella che, ormai, può definirsi la strage delle carceri”. Lo afferma il senatore Fleres alla luce del suicidio di Rocco Manfrè. Per il senatore del Pdl sono diverse le problematiche che rendono invivibili le strutture penitenziarie: dal caldo, al sovraffollamento, alla carenza di personale. Per cui propone l’assunzione di psicologi ed educatori, oltre che il concorso per il personale di polizia penitenziaria. Sulla vicenda interviene anche il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece. “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente” dice Capece che caldeggia azioni concrete alle Istituzioni e alla Politica. Nel sottolineare le pesanti carenze d’organico di cui soffre la Polizia penitenziaria (la “scopertura” è di 6 mila unità) il sindacalista reitera la proposta di accelerare i tempi di assunzione di 2 mila nuovi agenti. Tra le proposte anche quelle di favorire un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione, adottare procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi come il braccialetto elettronico, far sì che i detenuti stranieri scontino le pene nei loro paesi d’origine ed affidare ai servizi sociali i detenuti condannati a pene inferiori ai 3 anni. Messina: direttore dell’Opg; mi trattano da kapò, ma sono anni che denuncio questa situazione di Saverio Vasta Gazzetta del Sud, 21 luglio 2010 Non ci sta a finire “nel tritacarne mediatico come il kapò di un lager”, Nunziante Rosania, direttore dell’Opg “Madia”, dopo il clamore suscitato dalla relazione seguita all’ispezione della Commissione parlamentare d’inchiesta. Proprio lui, che, insieme al cappellano Pippo Insana e a pochi altri, da decenni sostiene la necessità di andare oltre l’attuale configurazione degli Opg e denuncia le condizioni, divenute indecorose, in cui versano gli internati, per carenza di fondi, di personale, di spazi, di strategie territoriali alternative alla detenzione, e soprattutto per i ritardi della politica. “Spero che l’interessamento della Commissione dia uno slancio decisivo verso la risoluzione della complessa problematica, iniziando con l’esercitare il pressing sulla Regione per accelerare il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale e proseguendo con le necessarie modifiche del codice penale. Ma voglio ricordare che quanto è emerso dalla relazione della Commissione è ciò che da anni andiamo predicando in convegni, conferenze, incontri con assessori e deputati. In quelle occasioni siamo stati regolarmente respinti così come nelle interlocuzioni con i servizi territoriali che si sono sistematicamente negati non solo in Sicilia e in Calabria ma anche e soprattutto nelle regioni del Nord”. In un rapido bilancio della sua attività al “Madia” Rosania distingue due fasi: “Una prima, che definirei “espansiva”, va dal 1997 al 2006. Il numero di ricoverati oscillava tra i 175 e i 190, e grazie a una presenza sufficiente di personale e al contributo del mondo del volontariato riuscimmo ad attuare delle prassi in grado di cambiare la storia della degenza di molti ricoverati. Tutto è divenuto più difficile con l’enorme incremento di ricoverati, e la natura più grave e complessa delle patologie rilevate, in concomitanza con i tagli di risorse professionali e finanziarie”. In queste condizioni, anche il ricorso al “trattamento sanitario obbligatorio” rischia di divenire più frequente. “Voglio precisare che i letti di contenzione si sono ridotti da 26 a 2 nel corso della mia direzione. Aggiungo però che il Tso è un atto medico, sebbene di “extrema ratio”, previsto dalla legge a finalità terapeutiche. In condizioni di promiscuità e sovraffollamento come quelle attuali, con il rischio sempre presente di suicidi, si presentano situazioni in cui è necessario farvi ricorso”. Ma cosa cambierà nell’immediato all’Opg “Madia”? “Saranno presto ristrutturati tre reparti con i fondi messi a disposizione dalla Cassa delle ammende - annuncia Rosania - In conferenza Stato Regione si è inoltre deciso di applicare entro fine settembre il criterio dei bacini d’utenza, mentre entro gennaio prossimo le Regioni si sono impegnate a costruire percorsi di reinserimento sociale all’interno delle Asp. Sempre da gennaio partirà il progetto “Luce e Libertà” che prevede l’istituzione di 56 posti di lavoro per i nostri ricoverati nel settore del fotovoltaico con impianti che saranno realizzati su terreni confiscati alla mafia. Se tutto ciò andrà in porto potremmo dimezzare nel giro di pochi mesi il numero di internati”. L’obiettivo finale resta comunque il superamento dell’Opg, che “per Barcellona potrà significare la creazione di una struttura polifunzionale di natura penitenziaria per soggetti a media pericolosità e con problematiche di ordine psicologico e personologico”. Parma: Sappe; un detenuto ha aggredito due agenti e ha cercato di evadere Gazzetta di Parma, 21 luglio 2010 Ancora eventi critici nelle carceri dell’Emilia-Romagna. La denuncia arriva dal Sappe, il Sindacato della polizia penitenziaria. Ieri alle 22,30 - ha riferito il segretario generale Giovanni Battista Durante - un detenuto extracomunitario, dopo essere stato trasferito dal carcere di Parma all’ospedale, ha aggredito due agenti (che hanno riportato ferite guarite in otto e dieci giorni) e ha tentato di evadere. Il detenuto, in carcere da pochi giorni perché arrestato per droga, è stato rincorso e bloccato. Sempre ieri, ma nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, un internato ha aggredito prima il medico poi i due agenti intervenuti, rimasti entrambi feriti. Hanno riportato una prognosi di cinque e dieci giorni. L’internato, ha sottolineato Durante, si è già reso responsabile in passato di decine di aggressioni al personale, in tutti gli istituti di pena in cui è stato. “Si tratta di un ex atleta dotato di straordinaria forza fisica e quindi difficile anche da neutralizzare”, ha aggiunto il sindacalista. Durante è tornato a chiedere “un intervento deflattivo dei detenuti e un adeguato incremento di organico della polizia penitenziaria”. A Parma per 530 detenuti (la capienza è di circa 400 posti) ci sono 370 agenti, ma 90 sono distaccati in altri istituti. L’ organico previsto è di 471; tre reparti sono chiusi per ristrutturazione e “non potranno essere aperti per mancanza di personale”. Anche a Reggio Emilia secondo Durante la situazione “è drammatica. Stiamo chiedendo da tempo di accorpare la gestione delle due strutture, casa circondariale ed ospedale psichiatrico giudiziario, ma tutto tace. Questo progetto consentirebbe di razionalizzare l’impiego delle risorse, umane e materiali”. Il consigliere regionale della Lega Nord Roberto Corradi esprime la propria solidarietà ai due agenti della Polizia penitenziaria aggrediti da un detenuto extracomunitario autore di un tentativo di evasione. Per il Consigliere leghista: “A pochi giorni dalla mia denuncia sulla situazione delle carceri di Parma, registro con rammarico il grave episodio ai danni di due Agenti della Polizia Penitenziaria, feriti da un detenuto extracomunitario. Esprimo la mia solidarietà agli agenti aggrediti, complimentandomi con loro per l’essere riusciti ad impedire la fuga del detenuto, malgrado la reazione violenta di quest’ultimo. Per evitare in futuro il ripetersi di questi episodi, purtroppo frequenti, oltre ad un potenziamento dell’organico, occorrerebbe fornire agli agenti impegnati nei servizi di accompagnamento di detenuti all’esterno del carcere, strumenti quali “spray urticanti”, tali da consentire di prevenire e contenere le iniziative violente dei detenuti facinorosi”. La protesta “bianca” e mediatica dei detenuti del carcere di Sanremo contro il sovraffollamento Sanremo - “...versiamo in un inesorabile e continuo crescendo del sovraffollamento, penalizzando seriamente la carcerazione, non solo psico-fisicamente ma anche per il solo espletamento delle più elementari azioni...”. Varese: Radicali; carcere ufficialmente “dismesso” nel 2001, oggi con più di 100 detenuti Varese News, 21 luglio 2010 Federico (Radicali) e Besi (Ass. Coscioni): “Il carcere fantasma da 9 anni attende di conoscere il suo destino, agenti penitenziari e detenuti ne pagano le conseguenze”. Valerio Federico (Comitato Nazionale Radicali Italiani) e Sergio Besi hanno visitato la struttura varesina martedì 20 luglio dalle ore 9.30. I Radicali stanno promuovendo in Lombardia visite ispettive nelle carceri per monitorare le condizioni di vita dei detenuti e il rispetto della legalità. Dichiarazione di Federico e Besi: “La visita al carcere di Varese è stata caratterizzata dalla peculiarità di trovarsi di fronte ad un carcere fantasma, formalmente “dismesso”. Risale infatti al 2001 la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’atto di dismissione della struttura penitenziaria varesina, ma da allora della nuova struttura che avrebbe dovuto essere realizzata al suo posto non vi è traccia, se non in fiumi di articoli di giornale e dichiarazioni di politici (nel 2004 il ministro Castelli annunciava la costruzione, nel tempo record di 5 anni, di una nuova struttura con la formula del leasing). Nel D.M. 30 gennaio 2001, in attuazione del comma 34 dell’art. 145 della legge finanziaria 2001, si legge che la casa circondariale di Varese e altri 20 istituti penitenziari sono stati “dismessi” in quanto “strutturalmente non idonei alla funzione”. Ad oggi, come confermato dal direttore Mongelli, non pare essere stato individuato nemmeno il sito del nuovo carcere, e nel vecchio, ufficialmente “dismesso”, non si può che operare in condizioni di illegalità a scapito di agenti, operatori e detenuti. Il paradosso di questa empasse burocratica tipicamente italiana è ben rappresentato dalla prima immagine che il visitatore si trova di fronte all’ingresso, un muro di cinta decrepito e dichiarato formalmente inagibile (e quindi messo in sicurezza con tanto di ponteggi) ma che è destinato a restare tale in quanto alle carceri dismesse non vengono assegnati fondi per l’effettuazione di lavori straordinari e/o di adeguamento alle nuove prescrizioni vigenti in materia di edilizia penitenziaria. Le torrette di controllo sono a loro volta inagibili e quindi non utilizzate dagli agenti. A questo riguardo ci chiediamo se sono mai state necessarie nel garantire la sicurezza visto che da tempo se ne fa tranquillamente a meno. Il carcere versa nel complesso in condizioni leggermente migliori rispetto ad altri Istituti della Lombardia ma questo non può consolare, l’illegalità è patente. Le celle, di 8/10 metri quadri, escluso il bagno e compreso lo spazio occupato dai letti a castello, non garantiscono, nei numerosi casi di presenza di 3 detenuti, i 3 metri quadrati (calpestabili) fissati dalla Corte europea per i diritti dell'Uomo, figuriamoci i 7mq per ogni detenuto stabiliti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Il bagno è correttamente separato dal resto della cella da parete e porta, ha un wc alla turca e un lavandino. Le celle sono disposte in un unico corpo con struttura a ballatoio: il piano terra ha 14 celle, il primo e il secondo piano 15 celle ciascuno. I due piani superiori sono serviti da stretti ballatoi (basta il carrello del cibo per ostruirli interamente). Il problema del sovraffollamento pur costituendo un ulteriore elemento di illegalità è meno drammatico che in passato: la capienza regolamentare corrisponde a 53 posti, quella massima tollerata è di 90, quella effettiva registrata oggi è di 107 detenuti, un valore tra i più bassi registrati negli ultimi 10 anni ma comunque doppio rispetto a quello regolamentare. L’unico spazio fruibile per il passeggio è un piccolo campo di calcetto completamente asfaltato e in gran parte esposto al sole (attrezzato anche per basket e ping-pong). Il rapporto tra agenti effettivi e detenuti (60/107) è quindi oggi accettabile se raffrontato a quello degli altri Istituti di detenzione regionali e nazionali. Il periodo che i detenuti possono trascorrere fuori dalle celle è in linea con gli standard indicati dal Comitato Europeo per la prevenzione della tortura (che prevedono un minimo di 8 ore al giorno) e buona è anche l’offerta di corsi di formazione offerti ai detenuti. Si segnala a tal proposito anche un qualificante corso di saldatura, al termine del quale i detenuti hanno realizzato la griglia di protezione della rampa interna delle scale. Un dato estremamente negativo è invece quello relativo al numero di detenuti che lavorano all’interno del carcere (solo una decina) che dimostra come la rieducazione del detenuto prevista dal nostro ordinamento non è perseguita. Lo strumento principale a questo scopo, il lavoro, non è utilizzato. La vetusta struttura (risale al 1886) è il principale ostacolo all’opportunità lavorativa per il detenuto. Desta forte preoccupazione l’elevato numero di detenuti tossicodipendenti o alcoldipendenti, ben 43 su 107, risultato di leggi criminogene che equiparano di fatto dei tossicodipendenti a pericolosi spacciatori. Come era lecito attendersi vista l’impossibilità di apportare ampliamenti o modifiche agli edifici, come rilevato in passato, gli spazi dedicati alla socialità sono insufficienti (e vengono utilizzati all’occorrenza anche per altri scopi, es. per i colloqui), anche se è da segnalare l’assegnazione e l’allestimento di un piccolissimo locale ad uso palestra. Novità in chiaroscuro a livello sanitario: certamente positiva l’introduzione di una assistenza odontoiatrica nel carcere, apparentemente invece insufficiente la possibilità per i detenuti di accedere a cure specialistiche in tempi ragionevoli (fatta eccezione per quelle garantite ai detenuti tossicodipendenti e psichiatrici). È stato consegnato al direttore della struttura un questionario predisposto dai Radicali del Gruppo Carceri e Giustizia di Milano Brindisi: detenuto tenta il suicidio ingoiando il rasoio, salvato da agenti e medici Gazzetta del Sud, 21 luglio 2010 Un detenuto di circa trent’anni, algerino, rinchiuso nel carcere di Brindisi nel pomeriggio di ieri ha tentato di togliersi la vita tagliandosi i polsi e poi ingoiando la lametta. L’estremo gesto dell’uomo non è finito in tragedia solo grazie all’intervento degli agenti penitenziari di turno. Importate anche la visita medica effettuata all’interno del carcere a cura del medico penitenziario Dino Furioso che ha individuato sin da subito la gravità del suo quadro clinico e ha richiesto l’intervento del 118. L’algerino è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Perrino di Brindisi ed è stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico. La lametta si era bloccata tra il pirolo e l’intestino. Erano circa le sedici. Gli agenti penitenziari stavano effettuando il consueto giro di controllo tra le celle. Quando sono arrivati sulla soglia di quella dove è detenuto l’algerino si sono accorti che il ragazzo non stava bene. Aveva il corpo pieno di tagli dai quali sgorgava sangue. Immediatamente si sono portati all’interno della cella per cercare di capire che cosa gli era accaduto. Il suo compagno, anche lui extracomunitario, ha spiegato quello che si era verificato poco prima. Il 30enne aveva preso una lametta e si era praticato diversi tagli sul corpo. È stato trasportato in infermeria. Il medico di turno lo ha visitato e si è subito reso conto della gravità della situazione. Il ragazzo aveva il viso pallido. Respirava appena. Era pieno di sangue. La sua cella è stata messa a soqquadro, i poliziotti si sono messi a cercare la lametta utilizzata per i tagli. Non è stata trovata. In quel momento è sorto un dubbio confermato quasi contemporaneamente dal suo compagno di cella: la lametta l’aveva ingerita. Voleva proprio togliersi la vita. Il medico penitenziario lo ha visitato e, attraverso la palpazione del torace ha “sentito” la presenza della lametta sotto la pelle. Si era fermata al centro dello stomaco tra il pirolo e l’intestino. Immediatamente è stato chiamato il 118. Non c’era tempo da perdere. Era un codice rosso. A sirene spiegate l’algerino è stato trasportato all’ospedale Perrino di Brindisi dove ad attenderlo c’era già pronta l’equipe medica che lo doveva sottoporre a un delicato intervento chirurgico teso a salvargli la vita. L’operazione è durata diverse ore. I medici non hanno sciolto la prognosi e fino alla tarda serata di ieri si è temuto per la sua vita. Lecco: catturato a Brescia uno dei due detenuti evasi scavalcando il muro di cinta Ansa, 21 luglio 2010 È stato catturato nel pomeriggio a Brescia il detenuto egiziano El Fadly Aly Amr, evaso due giorni fa insieme con un italiano scavalcando il muro di cinta del carcere di Lecco. L’egiziano, di 29 anni, è stato preso dalla squadra mobile anche sulla base delle indicazioni fornite dalla polizia penitenziaria. Perquisendo la cella del detenuto gli agenti avevano trovato biglietti e messaggi che hanno messo gli investigatori sulle sue tracce. “Sono io l’evaso”: così El Fadly Aly Amr, l’egiziano evaso domenica scorsa dal carcere di Lecco, ha detto ai carabinieri che lo avevano notato, nei pressi della pizzeria della sorella a Pompiano (Brescia). Aveva un’aria molto strana, secondo i carabinieri della compagnia di Veronanuova e della stazione di Orzinuovi che intorno alle 15 lo hanno arrestato. A quanto si è appreso, l’uomo avrebbe trascorso questi tre giorni senza mangiare e senza bere. Durante l’evasione avrebbe aiutato il complice, un italiano, a fuggire, consentendogli di scavalcare il muro di cinta del carcere e poi seguendolo. Osapp: disattenzione, ma non solo Quella di ieri non è stata una giornata tranquilla per le 44 guardie carcerarie della Polizia Penitenziaria di Lecco. Perché il giorno precedente si sono fatti sfuggire da sotto il naso due pericolosi malviventi. Dalle indagini avviate dalla stessa Polizia Penitenziaria e dalla Questura di Lecco potrebbe emergere che la causa di questa fuga sia la disattenzione. Perché effettivamente il carcere circondariale di Pescarenico non soffre dei tipici sintomi lamentati dalle altre carceri italiane. Cioè non si tratta di una casa penitenziale sovraffollata e non c’è un problema di sotto organico. Inizialmente Leo Beneduci, segretario dell’Osapp, una delle 24 sigle autonome, si era lanciato in un’invettiva contro l’indisponibilità del direttore della struttura a mettere una sentinella sul muro di cinta e un servizio di sorveglianza esterna auto montato. Secondo Beneduci da tempo il sindacato avrebbe fatto queste richieste, ma a tal proposito non tutte le sigle sindacali la pensano allo stesso modo. Marco Paleari, segretario della Funzione Pubblica della Cgil di Lecco, spiega infatti che: “Il carcere è posizionato in modo tale da non permettere ad alcuna vettura della Polizia Penitenziaria di effettuare la ronda”. La struttura, che ha 65 detenuti, e quindi una sorveglianza di quasi un poliziotto ogni due carcerati, ospita persone che devono scontare pene non superiori ai cinque anni e che sono state incriminate per reati relativamente non gravi. Infatti Nicodemo Romeo e Amr Aly El Fadly si trovavano a Lecco solo di passaggio e a breve sarebbero stati trasferiti in un penitenziario con misure di sicurezza più restrittive. “Spiace dirlo, ma forse si è trattato di distrazione - continua Paleari - e quindi potrebbero esserci delle responsabilità personali. Tuttavia questo caso è anche frutto della difficile situazione che le carceri italiane stanno vivendo. Se ci fossero stati gli stanziamenti promessi dal governo, allora sarebbe stato possibile dotare la struttura di Lecco di telecamere e mezzi di sicurezza elettronici per rendere più sicura la casa penitenziale. Il Piano Carceri del governo è politicamente sul campo, ma non lo è praticamente, visto che mancano i soldi. Ora a pagarne le conseguenze saranno le guardie che spesso si trovano a fare i conti con chiamate d’urgenza e con l’inconveniente di non possedere il dono dell’ubiquità”. Genova: presentato ieri l’Osservatorio su Comunicazione e Giustizia Minorile Ristretti Orizzonti, 21 luglio 2010 Sensibilizzare i media ad un corretta informazione sul tema dei minori coinvolti in procedimenti penali. Con questo obiettivo è stato istituito nella giornata di ieri, 20 luglio, a Genova “l’Osservatorio su Comunicazione e Giustizia Minorile”. L’iniziativa è stata presentata nel corso di una Tavola rotonda presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Genova alla quale hanno partecipato il Direttore Generale della D.G. per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento per la Giustizia Minorile, dott.ssa Serenella Pesarin, il Segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, dott. Franco Siddi, il Segretario Generale aggiunto A.I.C.C.R.E., dott. Emilio Verrengia, il Direttore dell’Istituto don Calabria, dott. Alessandro Padovani, il Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile di Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, dott. Antonio Pappalardo, il Presidente del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Liguria, dott. Attilio Lugli e il Segretario dell’Associazione dei Giornalisti Liguri, dott. Marcello Zinola. L’incontro è stato moderato dalla dott.ssa Carla Olivieri dell’A.I.C.C.R.E. L’iniziativa si pone in continuità con il progetto di comunicazione sociale “Oltre la discriminazione” promosso dal Dipartimento per la Giustizia Minorile; attuato da A.I.C.C.R.E., Istituto Don Calabria e IPRS e co-finanziato dall’Unione Europea e dal Ministero dell’Interno. Gli interventi dei relatori e del folto pubblico intervenuto hanno convenuto sull’importanza di attivare concretamente reti per promuovere campagne di comunicazione sociale sul tema dei minori coinvolti in procedimenti penali e sensibilizzare gli organi di stampa ad una corretta informazione. La Liguria diverrà quindi la regione ‘pilotà per la sperimentazione dell’Osservatorio che il Dipartimento per la Giustizia Minorile prevede di allargare a tutto il territorio nazionale. Il protocollo è stato per ora sottoscritto da ventidue enti. Nel pomeriggio si è tenuta la prima Assemblea dei sottoscrittori nel corso della quale è stato approvato il Regolamento di funzionamento dell’Osservatorio e delineati i primi ambiti di intervento. Fossombrone (Pu): il difensore civico; a proposito delle dichiarazioni della Casellati… www.ombudsman.marche.it, 21 luglio 2010 Nei giorni scorsi il sottosegretaria alla Giustizia Elisabetta Casellati, in visita al penitenziario di Fossombrone, ha espresso apprezzamento per il progetto di aiuto alle relazioni familiari in atto in quell’Istituto. Per la precisione si tratta di un’iniziativa realizzata grazie al sostegno di Garante regionale dei detenuti e Commissione pari opportunità presso l’Assemblea legislativa regionale, che hanno individuato la valenza fondamentale dei rapporti affettivi e investito su questo progetto pilota. Un esempio di come la collaborazione tra istituzioni (Ministero, Università, Regione) e la collaborazione tra carcere e società civile possa dare buoni frutti; ma anche l’ennesimo segno della precarietà della situazione generale a fronte del progressivo assottigliarsi delle risorse. La Casa di reclusione di Fossombrone sarà nei prossimi giorni la meta di uno degli accessi “ispettivi” che stanno toccando ormai con una certa regolarità i principali istituti penitenziari marchigiani; un’attività che fa parte delle funzioni dell’ufficio del Garante regionale ma è stata accolta con molto interesse dai rappresentanti delle istituzioni, come nel caso della visita di lunedì scorso nel carcere di Pesaro da parte di una delegazione di consiglieri Regionali (Roberto Zaffini - Lega Nord; Elisabetta Foschi - Pdl; Massimo Binci - Sel) e l’On. Oriano Giovanelli, accompagnati dall’avv. Samuele Animali, titolare dell’Autorità di garanzia. La visita è stata preceduta da un incontro con la Direttrice e con gli operatori dell’istituto penitenziario. Carenza di personale, insufficienza dei fondi anche per acquistare beni di prima necessità e sovraffollamento sono alcune delle emergenze che la Direttrice del carcere dott.ssa Claudia Clementi ha segnalato all’attenzione della delegazione istituzionale; ne risentono anche le iniziative volte a garantire maggiore vivibilità al carcere e l’opera di recupero delle persone condannate. A fronte di una popolazione carceraria di 296 detenuti (dati aggiornati al 28 giugno scorso) risulta una carenza di 30 unità nell’organico della polizia penitenziaria assegnato a Pesaro. Si è arrivati quest’anno a punte di quasi 340 detenuti in una struttura progettata e costruita per 176 detenuti: il doppio del previsto, sottolinea la Direttrice. Gli stranieri (comunitari e non) rappresentano il 52% della popolazione detenuta (+ 11% rispetto al dato regionale, + 16% rispetto al dato nazionale). La Spezia: musica per ricominciare; corso teorico e pratico da disc jockey dedicato ai detenuti La Nazione, 21 luglio 2010 L’hip hop come banco di prova della voglia di ricominciare, i ritmi house mischiati alle sonorità commerciali come cifra di un percorso di apertura al mondo e di socializzazione. Per chi a vent’anni si ritrova in carcere, a maggior ragione se la cella è soltanto l’ultimo approdo di un passato fatto di abbandono, emarginazione e lunghi mesi di riformatorio, anche la possibilità di frequentare un corso di mixaggio audio diventa l’occasione per assaporare un assaggio di normalità. Favorire l’aggregazione e il reinserimento sociale dei detenuti non a caso è la finalità che sta dietro il Progetto Ponte, un’iniziativa realizzata da Arci, Uisp e Acli attingendo a finanziamenti della Regione Liguria. Nella nostra provincia la rete ha già cominciato a dare i suoi frutti. Nelle scorse settimane il comitato Arci della Spezia, presieduto da Antonella Franciosi, ha infatti portato dentro alle mura di Villa Andreino un’occasione di formazione e divertimento. Si tratta di un corso teorico e pratico per disc jockey dedicato ai detenuti di età compresa tra i 18 e i 25 anni: una fascia, quella dei giovani adulti, in costante crescita, segno della tendenza a delinquere sempre più precocemente. Il corso, che ha coinvolto una decina di ragazzi italiani e stranieri, è stato coordinato da Valentina Marchetti e seguito da Cristian Pepe e Hervé Peroncini in qualità di operatori. Nell’arco di 10 lezioni è stato illustrato l’utilizzo dell’attrezzatura necessaria e si sono approfondite le tipologie musicali riproducibili. “È stata un’esperienza umana molto toccante - hanno commentato i due animatori - e i giovani detenuti, molto educati e per niente intimiditi dalla strumentazione, hanno mostrato interesse e grande partecipazione”. “La bontà di questo progetto - ha aggiunto il direttore della struttura carceraria, Maria Cristina Bigi - consiste nell’utilizzo della musica come modalità di comunicazione particolarmente vicina al linguaggio giovanile. I ragazzi che hanno frequentato il corso hanno avuto modo di socializzare e di stabilire un rapporto di fiducia con i loro educatori”. Il risultato è stato a tal punto incoraggiante che si sta pensando di organizzare per settembre un concerto all’interno della casa circondariale, dove i ragazzi che hanno seguito il corso potranno esibirsi insieme agli operatori davanti a un pubblico di detenuti e visitatori esterni. Lodi: oggi “Lezione di legalità” nel cortile del carcere, con il magistrato Caterina Interlandi Il Cittadino, 21 luglio 2010 Una “Lezione di legalità” per tutti: oggi alle 21,15 nel cortile del carcere di Lodi si svolgerà l’evento culturale intitolato “Lezioni di legalità”. Durante la serata il giornalista Mario Portanova intervisterà il magistrato donna Caterina Interlandi. L’evento è particolarmente importante per la città di Lodi in quanto vede protagonisti due personalità di spicco del mondo della magistratura e del giornalismo. Nel luglio del 2008 Caterina Interlandi si è occupata, in qualità di giudice dell’udienza preliminare, del procedimento penale a carico dei 26 agenti della Cia e di alcuni agenti Sismi accusati di aver partecipato al sequestro di Abu Omar. Per il caso della presunta corruzione di David Mills, Caterina Interlandi è stata nominata, insieme a Francesca Vitale e Antonella Lai, parte del collegio incaricato di giudicare il premier Silvio Berlusconi. Mario Portanova invece, è un giornalista professionista dal 1990. Ha condotto numerose inchieste di fondamentale importanza per la storia dello Stato italiano. Tra queste sono da ricordare le inchieste sulla Milano di Tangentopoli, sulle mafie trapiantate nel Nord Italia e sul G8 di Genova. Portanova è attualmente animatore del sito “Omnicroweb”, osservatorio sulla criminalità organizzata nelle regioni del Nord Italia. Collabora inoltre alla cura delle puntate della trasmissione televisiva “Blunotte. Misteri italiani”. “Lezioni di legalità” rappresenta un momento fondamentale per aiutare i detenuti del carcere di Lodi a riflettere sui temi della legalità. L’evento vuole essere un vero e proprio strumento di rieducazione dei detenuti, ma non solo. “Lezioni di legalità” è aperto a tutti: è necessario presentarsi almeno mezz’ora prima all’ingresso del carcere con un documento d’identità. Sarà inoltre chiesto agli spettatori di lasciare il telefono cellulare al posto di guardia. Catanzaro: in mostra opere d’arte realizzate dai detenuti Gazzetta del Sud, 21 luglio 2010 Freud accostava la prigione a quell’immenso spazio inconscio in cui vengono ingabbiati i nostri pensieri più segreti. La dolce culla dei sogni. Un pensiero distante dal freddo e dalla tristezza delle celle vere. Quei luoghi, in fondo sconosciuti, dove in realtà di sogni ce ne sono tanti: sogni di libertà, di vita, d’amore. Sogni di uomini che vogliono ricominciare dai loro errori, che vogliono poter toccare con mano la propria esistenza e riuscire a migliorarla, a riscriverla daccapo. Persone che si sentono estranee dalla società, gente che non ha voce, che non ha più la forza di gridare al mondo la sua presenza. Ad aiutarli nel tirar fuori il coraggio ci hanno pensato i volontari dell’associazione di promozione sociale “Il Confronto”, con il supporto dell’Istituto tecnico commerciale Grimaldi, attraverso la realizzazione di una serie di progetti che ha visto coinvolti i detenuti del regime alta sicurezza della casa circondariale di Siano. A circa trenta detenuti è stata data la possibilità di partecipare a corsi di formazione professionale che hanno spaziato dall’idraulica al giornalismo. “La nostra idea - ha affermato Giuseppe Amato, presidente dell’associazione “Il Confronto” - si è sviluppata dal desiderio dei detenuti di creare un ponte con il mondo esterno, un qualcosa che li facesse sentire parte attiva della città”. Ecco che nasce così la mostra “Oltre le sbarre”. Inaugurata ieri nelle gallerie del San Giovanni alla presenza del sindaco Rosario Olivo, rimarrà aperta al pubblico fino al 27 luglio. L’evento, patrocinato dall’assessorato comunale alla cultura, prevede l’esposizione e la vendita di coloratissimi manufatti realizzati personalmente dai reclusi; il ricavato sarà destinato alla realizzazione di ulteriori progetti. Ventiquattro le ore a disposizione scandite nell’arco di un anno che ha reso i detenuti vivi protagonisti nel mondo del decoupage. A supportarli le loro instancabili docenti Rosa Anna Montagna, Giusy Scavuzzo, Rosa Stella e Loredana Scarpino. “I nostri ragazzi - ha spiegato la professoressa Montagna - hanno risposto bene all’iniziativa dimostrando una forte passione per i lavori manuali”. Il carcere, realtà difficile e a volte incomprensibile, apre così le porte alla fantasia e alla creatività. Uno stimolo importante, un sorso di libertà e di rinascita. “I detenuti - ribadisce Annamaria Fedele, dirigente scolastico dell’Istituto Grimaldi - sono persone speciali che hanno davvero bisogno di costruire qualcosa di bello”. “Un plauso va indirizzato agli organizzatori - ha poi commentato l’assessore comunale alla cultura Tonino Argirò - a cui vogliamo, come amministrazione comunale, esprimere la nostra solidarietà e partecipazione. Questa mostra - ha continuato Argirò - rappresenta un antidoto efficace a quella che è la loro condizione di disagio”. Un messaggio di speranza, quindi, trasmesso attraverso la potenza dei colori e delle emozioni. Sentimenti veri che vogliono arrivare nel cuore di tanti per provare, almeno questa volta, a far conoscere le cose da una diversa angolazione. Immigrazione: in fuga dai Cie… un’estate calda da clandestini di Dina Galano Terra, 21 luglio 2010 Habib è salito sul tetto del Centro di identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi a Torino. Una protesta per evitare l’espulsione verso il suo Paese d’origine, la Tunisia; l’ultimo disperato tentativo di difendere il diritto alla libertà. Dopo quasi sei mesi di trattenimento in condizioni disperate, durante le quali gli sono stati somministrati medicinali scaduti e negate cure primarie come testimoniano gli stessi reclusi, lo aspetta soltanto il rimpatrio. Abbandono e reclusione forzata, per il solo fatto di essere “irregolari” per la legge italiana, intensificano l’insofferenza, scaldano gli animi e inducono molti ad atti di autolesionismo e scioperi della fame. Qualche volta si tenta la fuga, come è accaduto nel fine settimana nel Cie di via Corelli a Milano e in quello di Gradisca d’Isonzo. Ma, date le condizioni, sarebbe improprio definirle rivolte. Secondo fonti locali e la rete antirazzista che è in contatto con i reclusi, dopo l’insurrezione al Cie di Gradisca d’Isonzo i migranti avrebbero raccontato di essere stati rinchiusi nei cameroni, senza possibilità di movimento nelle aree comuni, con il cibo fatto passare attraverso le grate senza che la polizia apra nemmeno i cancelli. La denuncia delle condizioni di trattenimento degradante è notoria, convalidata da rapporti di istituzioni europee come il Comitato contro la tortura (Cpt) e di ong autorevoli come Medici senza frontiere. La diffusione di malattie come la scabbia, ma anche la situazione di sovraffollamento e di inidoneità delle strutture sono state più volte certificate. Al punto che perfino i governatori di quelle quattro Regioni che dovrebbero ospitare i nuovi centri voluti dal ministro Maroni sembrano volersi sottrarre alla decisione. Dopo il diniego della Giunta toscana, ieri anche il presidente delle Marche, Gian Mario Spacca, ha chiarito “l’indisponibilità a condividere la scelta di realizzare un Cie nel territorio”. Spiegandone lucidamente i motivi, in una lettera inviata al ministero dell’Interno. “Il trattenimento dei cittadini immigrati in attesa di identificazione si è rivelato ai limiti della legalità, causa di dispersioni di famiglie e fenomeni di autolesionismo e suicidio”, si ribadisce ricordando come la Regione si fosse espressa similmente già in passato. I centri, per Spacca, sono articolati in modo da “essere considerati lesivi dei diritti umani e fuorviante negli scopi che perseguono”. Ciononostante il piano di contrasto alla “clandestinità” a firma leghista prevede la costruzione in tempi brevi di quattro istituti (oltre nei due luoghi citati, uno in Veneto e uno in Calabria) fino a realizzare almeno un centro in ogni territorio regionale. Mentre si moltiplicano i tentativi di fuga dai tredici attualmente esistenti, Medici senza frontiere avverte che, complice il caldo estivo, la situazione “rischia di rivelarsi esplosiva”. Milano e Gradisca sono, insomma, ennesimi campanelli d’allarme. Ma i tentativi di evasione, poi, portano a processo con accuse di danneggiamento, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale che comportano pene che, nel massimo, possono arrivare a dieci anni di carcere. In questi casi, spiega l’avvocato Liliana Marcantonio che cura la difesa di nove migranti coinvolti nella rivolta del 3 giugno scorso al Cie di Ponte Galeria a Roma, “l’unica possibilità è far valere lo stato di necessità. Per le condizioni pietose in cui sono ristretti per la sola colpa di essere regolari, per la pesante pressione fisica e psicologica, confidiamo che sia riconosciuta dal giudice”. L’udienza sui fatti di Ponte Galeria, prevista per domani, con ogni probabilità slitterà anche perché gli avvocati di parte non sanno nemmeno con esattezza dove siano stati trasferiti i loro assistiti. L’ennesima prova che “il diritto di difesa per i migranti è fortemente limitato”, aggiunge Marcantonio auspicando “che siano aboliti perché la nostra Costituzione prevede il contrario”. Cuba: il governo si dichiara pronto a liberare altri prigionieri politici Apcom, 21 luglio 2010 Il governo cubano è pronto a liberare ancora altri detenuti politici oltre ai 52 il cui rilascio è già stato annunciato dalle autorità: lo ha reso noto il presidente del Parlamento dell’Avana, Ricardo Alarcon, precisando che tutti gli ex prigionieri potranno rimanere sull’isola se così lo desiderano. “La chiara volontà del governo è quella di liberare tutti i detenuti, a condizione che non siano stati condannati per omicidio”, ha spiegato Alarcon, in visita a Ginevra dove è in corso la conferenza mondiale dei Presidenti dei parlamenti. Il governo di Raul Castro, con la mediazione della Chiesa cattolica cubana e della diplomazia spagnola, ha accettato di liberare 52 dei circa 75 prigionieri politici condannati nel 2003 nell’arco dei prossimi tre o quattro mesi: otto di loro - accompagnati dai familiari - sono giunti nei giorni scorsi a Madrid e altri undici dovrebbero arrivare entro la fine della settimana. Secondo le cifre diffuse dalle organizzazioni di dissidenti cubani, sull’isola sarebbero tuttora detenuti 115 prigionieri politici, dopo le 52 liberazioni annunciate. L’ultima amnistia risale al 1998 quando Fidel castro aveva liberato circa cento persone poco dopo la visita del papa Giovanni Paolo II. La Spagna - che si è detta disposta ad accogliere tutti gli ex detenuti, qualora questi lo desiderassero - conta di fornire loro una prima assistenza logistica attraverso la Commissione per gli aiuti ai rifugiati e la Croce Rossa; il governo di Madrid ha tuttavia sottolineato che una volta in territorio spagnolo i cubani sono liberi di recarsi in qualsiasi Paese vogliano.