Giustizia: in Aula ddl Alfano su detenzione domiciliare, ma non verrà approvato in tempi brevi Dire, 1 luglio 2010 Tramonta definitivamente l’ipotesi della sede legislativa, (ossia senza passaggio in Aula) per il ddl del ministro Alfano che concede i domiciliari a chi deve scontare un anno di pena. La Conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso per la calendarizzazione in assemblea lunedì 5 luglio. L’ipotesi di una corsia privilegiata del cosiddetto “svuota carceri” è stata accantonata perché il governo, a quanto riferiscono alcuni membri della commissione Giustizia, non ha fatto pervenire il suo orientamento sulla legislativa. Il motivo sarebbe, la mancanza di copertura economica per l’assunzione di 3.000 unità tra forze di polizia e carabinieri per i controlli di chi andrebbe ai domiciliari. La norma sulle assunzioni, voluta dalla Lega, è stata infatti abrogata in commissione a causa del parere negativo della commissione Bilancio di Montecitorio. Un’altra norma “cassata” è stata la deroga al taglio del 10 per cento del personale amministrativo del ministero della Giustizia. Nonostante il parere favorevole di tutti i gruppi in commissione alla legislativa (fatta eccezione per l’Idv), il testo proseguirà il suo iter in Aula dove però non è escluso che qualcuno possa chiedere un rinvio in commissione per approfondimenti. In ogni caso, anche se il ddl rimanesse nel calendario dell’assemblea, pur essendo stato varato per fronteggiare l’emergenza sovraffollamento nelle carceri, è assai improbabile che possa essere approvato prima dell’estate, vista la concomitanza dell’esame di provvedimenti più urgenti come la manovra economica e l’inserimento all’ordine del giorno dell’Aula del ddl intercettazioni per fine luglio. Ferranti (PD): Governo incoerente dice no alla sede legislativa Un atteggiamento “incoerente, schizofrenico e incongruente del governo”, così la capogruppo Pd in Commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, definisce la decisione di calendarizzare in aula per lunedì prossimo il disegno di legge sulla sospensione dell’ultimo anno di pena, invece che approvare il provvedimento in sede legislativa direttamente in Commissione. “In maniera schizofrenica e incongruente - ha detto Ferranti al termine delle audizioni in Commissioni sulla legge sulle intercettazioni - nonostante la disponibilità del sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, a varare in sede legislativa quello che era stato definito un provvedimento d’urgenza per affrontare il sovraffollamento delle carceri, il governo ha dato parere contrario” all’iter abbreviato, “solo così si giustifica la decisione presa dalla capigruppo. “Vogliamo ora - ha concluso Ferranti - che in Aula un rappresentante del governo spieghi i motivi di un’evidente contraddizione”. Giustizia: un Piano carceri da 661 mln; risulterà inutile se il numero dei detenuti continua ad aumentare di Patrizio Gonnella Italia Oggi, 1 luglio 2010 Undici nuovi penitenziari e venti padiglioni per complessivi 661 milioni di euro. Il Comitato di sorveglianza composto dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, dal ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli e dal capo della Protezione civile Guido Bertolaso ha dato il via libera al Piano carceri presentato dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta, nella sua veste di commissario straordinario all’edilizia penitenziaria. Sono trascorsi sei mesi da quando il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza. Era il gennaio 2010. Da allora i detenuti sono cresciuti di altre tremila unità raggiungendo le attuali 68.130. Si tratta di un numero record dal dopoguerra a oggi. Mai, dai tempi dell’amnistia concessa dal Guardasigilli Palmiro Togliatti oramai più di sessant’anni fa, i numeri sono stati così alti. La capienza regolamentare del nostro sistema penitenziario è di 44.218 posti. Pertanto vi sono circa 24 mila detenuti in esubero rispetto ai posti letto disponibili. A ci va aggiunto che i detenuti crescono a un ritmo di ben sei-sette mila unità l’anno. Il Piano approvato dal Comitato di sorveglianza consentirebbe il recupero di circa 10 mila posti entro il 2012. Pertanto se anche i tempi di progettazione, costruzione, collaudo, inaugurazione fossero rispettati, alla fine del 2012, qualora il tasso di crescita della popolazione reclusa dovesse rimanere uguale, avremmo oltre 30 mila detenuti privi di collocazione regolamentare. Nel dettaglio le nuove undici carceri (ciascuna con circa 450 posti) saranno costruite a Bolzano, Pordenone, Venezia, Torino, Camerino, Nola, Bari, Sciacca, Catania, Marsala e Mistretta. La Sicilia farebbe la parte del leone. È preventivato che ognuna di esse dovrebbe costare 40,5 milioni di euro, tranne quella di Bolzano che invece costerebbe 25 milioni di euro. Sarebbero 20 i padiglioni costruiti all’interno di carceri già esistenti. Ciascuno dei venti padiglioni potrà ospitare circa 250 detenuti. Le strutture, per un costo complessivo di 231 milioni, saranno realizzate negli spazi disponibili interni alle strutture penitenziarie di Alessandria, Milano, Bergamo, Reggio Emilia, Ferrara, Bologna, Piacenza, Parma, Vicenza, Sulmona, Roma, Napoli, Salerno, Trani, Taranto, Lecce, Trapani, Siracusa e Caltagirone. Ancora, però, il Piano manca delle decisioni relative alle modalità di assegnazione degli appalti. Il capo del Dap ed ex pm Franco Ionta ha ricevuto per legge poteri paragonabili a quelli del Capo della Protezione Civile Guido Bertolaso in materia di velocizzazione delle procedure di appalto e della loro eventuale secretazione. Le inchieste giudiziarie che hanno visto quale protagonista Bertolaso probabilmente però condizioneranno le decisioni di Franco Ionta, il quale dovrà trovare soluzioni trasparenti e rapide al contempo. L’Ance ha già manifestato le proprie preoccupazioni. In ogni caso gli assegnatari degli appalti dovranno necessariamente tenere conto degli standard interni e internazionali in materia di architettura delle prigioni. Per esempio dovranno essere rispettate le norme presenti all’interno del Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario la cui approvazione è avvenuta il 20 settembre del 2000 con decreto del presidente della Repubblica. Esso tra l’altro prevedeva: una cucina ogni duecento detenuti, doccia in cella, bidet per le donne, asili nido nelle sezioni femminili, aree verdi, luce naturale nelle celle. La spesa complessiva stimata per le undici carceri e i venti padiglioni è di 661 milioni di euro, di cui circa 500 milioni provenienti da uno stanziamento ad hoc presente nella finanziaria e i rimanenti 161 milioni dai capitoli di bilancio ordinario del Dap e dalla Cassa delle ammende. Quest’ultima, originariamente prevista per finanziare progetti di recupero sociale, dal 2009 - a seguito di norma approvata nella legge milleproroghe - è utilizzabile anche per l’edilizia penitenziaria, di fatto modificando un oggetto sociale che aveva una storia ben più lunga dell’attuale legge penitenziaria. Giustizia: parte Agenzia per reinserimento e lavoro detenuti, finanziata dalla Cassa delle Ammende Ansa, 1 luglio 2010 Vuole essere una vera e propria “agenzia di collocamento” per i detenuti e anche per coloro che hanno già lasciato il carcere, l’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro. Obiettivo è ridurre la recidività, attraverso percorsi personalizzati di orientamento, di formazione, di avviamento al lavoro, d’inserimento professionale, borse lavoro, partenariati con le principali organizzazioni sociali e datoriali. L’iniziativa, che nasce da una speciale Convenzione quadro siglata tra il Ministero della Giustizia e la Fondazione “Mons. Di Vincenzo”, un Ente morale con personalità giuridica di diritto civile ed ecclesiastico, e in collaborazione con altre istituzioni e associazioni, sarà presentata martedì prossimo in una conferenza stampa dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, dal sottosegretario al Ministero dell’Interno Alfredo Mantovano, dal capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) Franco Ionta, dal presidente della Fondazione Istituto di Promozione Umana “Mons. Francesco Di Vincenzo” e del Rinnovamento nello Spirito Santo (RnS), Salvatore Martinez. E riguarderà in via sperimentale e per un percorso triennale, i detenuti e gli ex detenuti delle Regioni Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia e Veneto, con il coinvolgimento attivo dei nuclei familiari dei soggetti coinvolti. Tra gli enti che collaborano al progetto, finanziato dal Dap - Cassa delle Ammende, il Comitato Nazionale per il Microcredito, l’Agenzia per i beni confiscati alla criminalità organizzata, la Caritas Italiana, le Acli Nazionali, la Coldiretti Italiana, la Prison Fellowship International, il Rinnovamento nello Spirito Santo. Giustizia: le nostre carceri non sono da Paese civile, l’Italia dovrebbe emulare la Svezia di Ruggiero Capone L’Opinione delle Libertà, 1 luglio 2010 Il motto del sistema carcerario scandinavo è da quasi mezzo secolo “non gestiamo delle punizioni”: concetto difficilmente importabile da noi, dove ancora regna l’amministrazione penitenziaria. Così la Svezia ha pian pianino smesso di sprecare soldi nell’edilizia carceraria, certa che un paese civile debba destinare le risorse al progresso sanitario, sociale, infrastrutturale. Nelle pieghe di questi investimenti i governi scandinavi hanno inserito (con fini educativi) tanta gente che ha sbagliato: più educativo l’inserimento nel mondo del lavoro che la reclusione. Del resto che senso riparatorio può mai avere per la società la reclusione d’uno spacciatore di droga o d’un rapinatore? Ogni individuo cela una parte oscura, chi rivela la propria parte peggiore lo fa perché la società ha impedito che ne venisse manifestata la migliore. Per compiere una rapina o spacciare necessita più coraggio ed astuzie rispetto al bivaccare in un pubblico ufficio: davvero uno spreco la reclusione (l’inutilizzo sociale) di chi purtroppo è costretto a delinquere. Certo si è consci che certi suggerimenti difficilmente verrebbero accolti dalla nostra classe politica che, da anni, si veste di seriosità parlando di sicurezza. Il sistema penitenziario italiano (e la stessa idea di reclusione) non si caratterizzano per una concezione della pena aderente al rispetto dei diritti della persona. Anzi, nell’ultimo decennio il sistema giudiziario italiano sta facendo enormi passi indietro. E più i politici cavalcano il tema della sicurezza, maggiore è la richiesta di sanzioni sempre più severe. Nell’ultimo decennio italiano s’è accentuato il ricorso alla sola pena detentiva, spacciata come unica via per garantire la sicurezza delle comunità. Così il sistema carcerario chiede ulteriori risorse per costruire più carceri, quasi che il ricorso massivo alla detenzione garantisca l’incolumità per la gente e l’estinzione dei reati. Quasi che le pene non detentive siano figlie illegittime del sistema sanzionatorio. La maggiore resistenza alla realizzazione d’un sistema carcerario innovativo, d’impronta scandinava, viene proprio dalla classe politica che, dall’aria ex An passando per Lega ed Idv, predica “meno carcere uguale meno sicurezza per i cittadini”. Il fallimento di qualsiasi politica di decarcerizzazione è addebitabile alla speculazione politica. Ed anche edilizia, visto molte società di costruzioni ansimerebbero per ottenere continui appalti d’opere carcerarie (evidenti passività, visti i costi d’esercizio). Oppure mantenerne aperte solo un paio. Ma veniamo ad un esempio scandinavo tangibile, come il carcere Högsbo (fa parte del Servizio carceri svedesi di Goteborg): è situato sulla costa occidentale della Svezia. L’autorità carceraria consta di una prigione di rinvio con una capacità di 210 detenuti, e un servizio di prova caratterizzato da circa 700 utenti. 700 utenti liberi di dimostrare con il proprio lavoro l’importanza di non stare tra le sbarre. Così il carcere Högsbo ha una capacità di 90 detenuti, e circa un centinaio di dipendenti. La struttura svedese attua una politica di contatto attivo tra personale e detenuti, nonché una programmazione individuale di scarcerazione per ciascun detenuto. Il detenuto si dichiara disponibile ad uscire, a lavorare, e nemmeno una passata rapina o un omicidio possono impedire il suo reinserimento lavorativo. Il lavoro è obbligatorio, e quello istituzionale mira ad offrire al detenuto dei programmi speciali per lo sviluppo di competenze personali. Poi conoscenza e atteggiamento positivo dei controllori scoraggiano la recidiva. Atteggiamento positivo vuol dire dimostrarsi amici (quasi fratelli maggiori) dei detenuti. Il rilascio dal carcere è sulla parola e in seguito alla libertà condizionata: ed anche il reato più grave non può frenare la libertà sulla parola. Il personale del carcere Högsbo ha ricevuto una formazione in merito al colloquio motivazionale. Istruzione scolastica, arti, carpenteria, cucina, ditte di montaggio... ogni comparto produttivo svedese collabora a reinserire i detenuti: in Italia per le stesse fattispecie di reato marciscono in cella centinaia di migliaia di persone. Ma nel Servizio carcerario svedese di Goteborg non avverrebbe mai un caso Cucchi: la polizia, i pubblici ministeri e i tribunali collaborano al recupero. Mentre in Italia sembra non sia mai tramontato l’uso di picchiare l’arrestato. Per i politici italiani Högsbo non un vero carcere, perché dotato di personale ben istruito e professionale. L’uso di bravacci tra le forze dell’ordine e nel sistema carcerario è ancora in Italia garanzia di sicurezza. Giustizia: Uil Penitenziari; per risolvere i problemi delle carceri bisogna riformare il Dap di Alfonso Palumbo Prisma News, 1 luglio 2010 Lo scorso 22 giugno il conto delle morti in carcere tra i reclusi si era fermato a quota 32. Purtroppo è un dato parziale: perché omette i 51 suicidi sventati in extremis dal personale di polizia penitenziaria e i 109 agenti che hanno dovuto ricorrere alle cure dei sanitari con prognosi superiori ai cinque giorni a causa di aggressioni da parte dei detenuti. E tutto questo dal 1 gennaio 2010 ad oggi. Il bollettino, diffuso dalle associazioni che operano nel settore e dai sindacati di categoria, è aggiornato giorno per giorno: perché di suicidi, di morti sospette e di altri tragici fatti la galere italiane sono teatro da tempo. Scrivere dunque di “emergenza” non è il solito titolo che serve a fare scalpore su un evento come il terremoto, l’immondizia, la casa, ecc. E visto che si tratta di emergenza, abbiamo dato la parola a Eugenio Sarno, segretario generale di Uil-Pa Penitenziari, che dell’argomento è uno dei maggiori conoscitori. La Uil-Pa di recente ha diramato un comunicato abbastanza duro nei confronti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. “Sarebbe necessario cambiare i vertici”, diceva più o meno così. “Venti anni fa coniammo uno slogan: Per abbattere le mura dei misteri, bisogna abbattere i misteri di quelle mura. Non era altro che un messaggio per far capire che comunicazione e trasparenza sono esigenze civiche e servono anche a calmierare le leggende e le polemiche sul personale della Polizia penitenziaria. Nel 1992 a Nicolò Amato, l’allora Capo del Dap, chiedemmo di poter attrezzare delle sala?stampa nelle carceri proprio perché non avevamo nulla da nascondere e nulla da cui nasconderci. Sono passati anni da quella richiesta. Dal maggio 2009, invece, abbiamo una circolare bavaglio con la quale l’attuale capo del Dap, Franco Ionta, avverte che nessuna dichiarazione può essere resa alla stampa se non preventivamente concordata. Ebbene, per noi questo è oscurantismo! E io mi chiedo perché l’Ordine dei giornalisti non se ne occupi, perché le varie sigle sindacali non ne parlino. Come UilPa?Penitenziari siamo contro questa circolare a tal punto che ci siamo inventati, sul nostri sito web www.polpenuil.it, la rubrica “Diario di bordo” dove diamo conto di quello che accade nei penitenziari del Paese”. Perché non provate a fare un’azione comune? Mi riferisco a tutte i sindacati di categoria. “Il nostro mondo sindacale è molto frastagliato, all’interno della Polizia penitenziaria c’è pluralismo ed è giusto che sia così. Con ciò non voglio sottintendere che vi siano divisioni al nostro interno, dico solo che rivendicazioni ed obiettivi ci vedono piuttosto compatti, anche se con differenziazioni dovute soprattutto ai percorsi da seguire. Da parte nostra rivendichiamo il ruolo di essere petulanti su alcuni punti che riteniamo centrali: soprattutto quello relativo al recupero del personale spesso dirottato nei Palazzi del Potere: a fare che? Forse è una domanda troppo cattiva e scomoda che talvolta ci porta a essere isolati. Ma non si deve aver paura dell’isolamento se esso è frutto della coerenza che ci distingue”. Abbiamo provato a chiedere due volte un’intervista al Dap. Non ci è stato risposto. Sarà anche per interesse di parte, ma noi riteniamo che chi non risponda sia sempre in torto. “Quel che sto per dire forse solleverà un vespaio ma corrisponde alla verità. C’è un concetto che è caro alle rivendicazioni della Uil: e cioè che un capo è tale in quanto ? come si dice ? interna corporis. Vale a dire conosce tutto di tutti, sa com’è organizzata e come funziona la propria struttura. Che il Dap rimanga in silenzio potrebbe significare anche l’assenza di una linea di gestione. Capisco che ci possono essere tagli di risorse, ma una linea di fondo non può mancare. E occorre essere più presenti anche nelle carceri: ma non accade, e non è accaduto nemmeno quando a Porto Azzurro ci fu la rivolta che vide il sequestro di alcuni nostri colleghi da parte dei rivoltosi. Dall’1 gennaio, ci sono stati 109 agenti spediti in ospedale a causa di scontri con detenuti”. Non per fare pettegolezzo, ma i collaboratori di Ionta? “Accomuno tutti nel mio giudizio. Purtroppo è il tornaconto personale a decidere sui comportamenti delle persone. Se ci sono nomine da fare, ecco che sono tutti solleciti e pronti e nei confronti dei papabili si alzano le voci, partono i commenti, si cannibalizzano tra loro. È una degenerazione frutto del mancato riconoscimenti ai meriti. O frutto della raccomandazione, se vuole chiamarla così!”. Torniamo al problema. L’evidenza ci dice che ogni problema diventa tale nel tempo. Per essere risolto, necessita poi di altrettanto tempo. “Come negarlo? Abbiamo avuto cinquant’anni di politica scellerata e poca attenta alla questione penitenziaria. L’attuale governo sta sciorinando un campionario di annunci che si traducono in zero iniziative. Certo, ci sono il piano?carceri e le parole del ministro della Giustizia Angelino Alfano: tuttavia credo che una vera soluzione sia quella che proverrà da un’intesa fra maggioranza e opposizione, perché la realtà è che ci sono 67.800 detenuti in istituti che ne possono ospitare 43.800. Eppure…”. Eppure? “Eppure fino a dieci anni fa la situazione era sotto controllo, poi abbiamo assistito all’esplosione della popolazione carceraria: si è deciso di cavalcare l’emotività invocando maggiore sicurezza. Si sono perciò emanate norme che producono detenzione, pensiamo ad esempio alla Bossi? Fini sull’immigrazione o alla norma sulle recidive. Da parte nostra sappiamo bene che non dobbiamo fare politica e che il nostro compito è analizzare, studiare, valutare, proporre; capita però di predicare al vento. Il depotenziamento del Ddl Alfano ha vanificato la prospettiva di poter fruire di spazi vitali: oggi ogni centimetro quadrato utile è stato occupato, anche sacrificando spazi in origine destinati alla socializzazione e all’aggregazione. Questo significa costringere all’ozio perenne i detenuti, a volte costretti a letto per più di venti ore al giorno, e aggravare il lavoro della polizia penitenziaria”. Diciamo la verità: di carcere e carcerati non importa nulla a nessuno. “Peccato però che non si rifletta su quest’aspetto, e cioè che il carcere non sia luogo solo per i detenuti ma possieda una dimensione sociale che va oltre le sbarre e che interessa l’intera collettività”. La scorsa settimana l’avv. Marazzita ci disse che la carceri sono “Accademie del crimine”. Non solo non rieducano ma incattiviscono. “Ha ragione da vendere, purtroppo. Ed è per questo che noi della Uil-Pa diciamo che servono tre cose: recuperare spazi, ridare dignità, garantire tempismo giudiziario. Esempio? In Campania ci sono 15mila detenuti ma la regione ne può accogliere solo 6mila. Gli altri sono distribuiti altrove; a volte capita che i processi saltino perché mancano gli agenti di Polizia penitenziaria che curano i trasferimenti. Ecco allora che se occorre costruire nuove galere, occorre farle nelle zone che producono più detenzione e non altrove”. Chiudiamo con un’altra riflessione: in carcere si tolgono la vita anche agenti, non solo reclusi. “La sindrome da burnout è la più alta fra i dipendenti pubblici. Vuole qualche dato? 23 suicidi in tre anni, il 180% in più degli altri Corpi. E non per il troppo lavoro ma per il contenuto e la scarsa qualità del lavoro stesso. La Polizia penitenziaria è quella che conta il maggior numero , tra il pubblico impiego, di dipendenti in quiescenza per patologie contratte in ambito lavorativo e riconosciute da organi collegiali. Abbiamo chiesto un incontro a Ionta per parlare pure di questo. Silenzio assoluto”. Giustizia: Papa Benedetto XVI; dialogando i Cappellani delle carceri possono fare molto Agi, 1 luglio 2010 La presenza dei cappellani nelle carceri è stata esaltata ieri da Benedetto XVI all’Udienza Generale, quando ha presentato ai 20 mila fedeli presenti la figura di San Giuseppe Cafasso che volle condividere le sofferenze dei carcerati che “nella Torino ottocentesca vivevano in luoghi disumani e disumanizzanti”, tanto che “il venerabile Pio XII, il 9 aprile 1948, lo proclamò patrono delle carceri italiane”. “In questo delicato servizio, svolto per più di vent’anni, Cafasso fu sempre - ha detto Papa Ratzinger - il buon pastore, comprensivo e compassionevole: qualità percepita dai detenuti, che finivano per essere conquistati da quell’amore sincero, la cui origine era Dio stesso. La semplice presenza del sacerdote faceva del bene: rasserenava, toccava i cuori induriti dalle vicende della vita e soprattutto illuminava e scuoteva le coscienze indifferenti”. “Nei primi tempi del suo ministero in mezzo ai carcerati, Cafasso - ha continuato il Pontefice - ricorreva spesso alle grandi predicazioni che arrivavano a coinvolgere quasi tutta la popolazione carceraria. Con il passare del tempo, privilegiò la catechesi spicciola, fatta nei colloqui e negli incontri personali: rispettoso delle vicende di ciascuno, affrontava i grandi temi della vita cristiana, parlando della confidenza in Dio, dell’adesione alla Sua volontà, dell’utilità della preghiera e dei sacramenti, il cui punto di arrivo è la Confessione, l’incontro con Dio fattosi per noi misericordia infinita”. “I condannati a morte - ha rievocato ancora Papa Ratzinger - furono oggetto di specialissime cure umane e spirituali da parte di San Giuseppe Cafasso che accompagnò al patibolo, dopo averli confessati ed aver amministrato loro l’Eucaristia, 57 condannati a morte: li accompagnava con profondo amore fino all’ultimo respiro della loro esistenza terrena”. Giustizia: mons. Giorgio Caniato (Cei); le carceri non educano, meglio distruggerle tutte Asca, 1 luglio 2010 A mio avviso, tutte le carceri andrebbero distrutte: il carcere, di per sé, è antiumano e anticristiano, e spesso la rieducazione avviene solo sulla carta”. A lanciare la provocazione è mons. Giorgio Caniato, ispettore generale dei Cappellani delle carceri italiane, in un’intervista al Servizio di informazione religiosa della Cei. Secondo mons. Caniato, “il carcere non educa: i detenuti diventano davvero capaci di cambiare vita solo se trovano persone che siano in grado di condurli a rivedere la propria esistenza. È questo anche il ruolo dei cappellani”. “In una società come la nostra, in cui non si riconosce più alcuna oggettività ai valori morali e nella quale qualsiasi comportamento viene giustificato in nome del primato della soggettività dell’individuo - denuncia mons. Caniato - il reinserimento degli ex detenuti nel tessuto sociale rischia di essere sempre più un’utopia. Perfino i regimi di semilibertà, o l’affido, sono strumenti che vengono utilizzati quasi sempre solo dal punto di vista formale”. “Se non ci fosse il volontariato cattolico che si incarica di predisporre percorsi che aiutino gli ex carcerati ad uscire dal circuito dell’illegalità, l’alternativa sarebbe il nulla”, conclude mons. Caniato, che auspica “un reale cambiamento di mentalità: altrimenti, lo stigma nei confronti delle persone che affollano gli istituti di pena è destinato a rimanere”. I cappellani delle 205 carceri in Italia sono 240 per oltre 68.000 persone detenute. Giustizia: Ilaria Cucchi a Fini; grazie per quanto ha fatto per noi e per la libertà d’informazione Ansa, 1 luglio 2010 “Caro Presidente Fini, non ho parole per ringraziarla per quanto ha fatto finora per noi e per la libertà d’informazione. Per tutti quelli che come noi sono costretti a dover dimostrare le proprie ragioni con l’unico mezzo che hanno: parlarne. Oggi so che se non lo avessimo fatto quella di mio fratello Stefano sarebbe rimasta la morte di un detenuto, per di più tossicodipendente, avvenuta per cause naturali”. È quanto scrive in una lettera Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, il geometra di 31 anni deceduto il 22 ottobre scorso nell’ospedale Sandro Pertini, una settimana dopo il suo arresto per possesso di droga. “Sa cosa ho scoperto grazie - scrive - a quelle intercettazioni che ora vorrebbero limitare? Uno degli indagati, cioè una delle persone per le quali si profila il reato di aver avuto in qualche modo a che fare con la morte di mio fratello, si è riferito a lui definendolo “tossico di merda”. Questo dopo che le circostanze della sua morte erano state rese pubbliche e quindi anche la persona in questione aveva potuto vedere le condizioni atroci in cui Stefano ha smesso di vivere. Senza alcun rispetto per la vita umana e per il dolore di una famiglia. E sa qual è la cosa ancora più grave? Patrizia Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi, è stata querelata dal suo primo pm per aver pubblicato nel suo blog il racconto di quando mi sfogai con lei dicendole quello che avevo appena appreso. Lo trovo assurdo, ma d’altra parte quando vedo che un pm indaga contro il legale di Lucia Uva anziché per scoprire la verità sulla morte terribile di suo fratello Giuseppe, non mi meraviglio più di niente. Io continuo ad andare avanti nella mia difficile ricerca di verità, consapevole di essere nel giusto, e non posso non pensare che se il mio avvocato non mi avesse suggerito di far scattare le foto che dimostrano come era ridotto il corpo di mio fratello oggi piangerei non solo per la sua morte - conclude Ilaria Cucchi - ma anche per non aver potuto far nulla per restituirgli dignità”. Lombardia: Uil; troppi detenuti e poco personale, istituire un Comitato di vigilanza sulle carceri Ansa, 1 luglio 2010 In Lombardia ci sono 9.057 detenuti, quasi il doppio della capienza regolamentare di 5.540 mentre agenti di polizia penitenziaria sono quasi un terzo in meno del previsto e il personale amministrativo è la metà. Il segretario regionale della Uil, Walter Galbusera, ha inserito questi dati in una lettera indirizzata al presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per chiedergli di creare un Comitato di vigilanza sulle carceri di cui facciano parte sindacati, istituzioni, il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria e tutte le realtà che operano nel carcere, inclusi i rappresentanti della polizia penitenziaria. “Al progressivo aumento della popolazione detenuta - ha spiegato Galbusera, si contrappone la situazione degli organici: la Polizia Penitenziaria, nel servizio operativo, è carente complessivamente di circa 1.500 unità rispetto a una pianta organica stimata nel 2001 (5.353 unità) e il personale amministrativo registra una carenza pari al 50%”. E secondo la Uil, “queste gravi condizioni provocano non solo una progressiva regressione della vivibilità interna dei detenuti e delle condizioni di lavoro del personale, ma anche un decadimento del livello di sicurezza”. Padova: suicida detenuto italiano di 25 anni, avrebbe terminato la pena tra soli tre mesi Ansa, 1 luglio 2010 Santino Mantice, classe 1985, si è ucciso impiccandosi nella sua cella della casa di reclusione di Padova. Avrebbe terminato la pena tra soli tre mesi. A darne notizia l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere che rileva che nel solo mese di giugno nelle carceri italiane si sono impiccati sei detenuti, inoltre un detenuto semilibero si è suicidato, impiccandosi a un albero in provincia di Bolzano, quando ha saputo di dover tornare in carcere, e un giovane immigrato si è impiccato nella “cella di sicurezza” della questura di Agrigento. Dall’inizio dell’anno sono già 29 i detenuti suicidi per impiccagione, mentre sei sono morti asfissiandosi con il gas delle bombolette. Il suicidio di Santino Mantice è il 590esimo avvenuto nelle carceri italiane dal 2000 a oggi. Dap: detenuto suicida è il 33/mo da inizio anno Secondo le rilevazioni ufficiali del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, con il suicidio di Santino Mantice nella casa circondariale di Padova, sono 33 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere dall’inizio dell’anno. L’apparente difformità della cifra rispetto a quella dell’Osservatorio permanente sulle morti in carcere è spiegato da fonti dello stesso Osservatorio: “le statistiche ufficiali prendono in considerazione soltanto coloro che muoiono all’interno degli istituti di pena, escludendo addirittura i detenuti che vengono ritrovati ancora in vita e poi muoiono durante il trasporto all’ospedale”. Secondo l’Osservatorio, invece, tra le “morti di carcere” vanno ricompresi tutti quei casi in cui una persona privata della libertà, affidata in “custodia” a rappresentanti dello Stato, si toglie la vita. A Padova si impicca un ragazzo di 25 anni… ma l’on Casellati lo sa? di Riccardo Arena (www.radiocarcere.com) Santino Mantice, di soli 25 anni, si è suicidato ieri nel carcere di Padova. Santono Mantice si è impiccato nella sua cella, avrebbe terminato la pena tra 3 mesi. Pare che Santino fosse detenuto nel reparto dell’infermeria. Reparto dove i detenuti sono imbottiti di psicofarmaci e dove vivono in 3 dentro celle grandi appena 9 mq. Santino come tanti altri spesso si auto lesionava ed era disperato. Lascia una moglie e una bambina di 2 anni. Salgono così a 29 le persone detenute che si sono impiccate dall’inizio dell’anno. Un dato che non preoccupa l’on Alberti Casellati che recentemente ha affermato: 1. che n Italia ci sono meno suicidi che nelle altre carceri europee (affermazione smentita a Radio Carcere su Radio Radicale da Mauro Palma , Presidente del Comitato di prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa). 2. che i suicidi non sono legati al sovraffollamento (affermazione che si smentisce da sola). Pubblichiamo una lettera scritta dai detenuti di Padova dove si parla anche si Santino Carissimo Arena, siamo un gruppo di detenuti del reparto di infermeria del carcere di Padova. Un luogo dove dovremo essere curati e dove invece siamo portati verso l’esasperazione. Devi sapere infatti che qui i medici se ne fregano di noi che soffriamo ed anche gli operatori del carcere ci ignorano. Insomma un trattamento che porta molti verso la disperazione. Non a caso l’altro giorno un ragazzo che si chiama Camel ha cercato di uccidersi tagliandosi la gola e siamo stati noi a dare l’allarme, perché altrimenti sarebbe morto. Oppure un altro ragazzo, che si chiama Santino, l’altro giorno, sempre per la disperazione si è tagliato le vene. Caro Arena, qui siamo davvero in un inferno. Ovvero in un luogo dove la pena di morte è di fatto autorizzata. 200 persone in un corteo notturno di solidarietà ai detenuti (Il Mattino di Padova) Oltre duecento persone hanno sfilato in corteo lunedì notte dal festival di Radio Sherwood al carcere Due Palazzi. L’iniziativa di solidarietà ai detenuti, “Illuminiamo la realtà del carcere”, è stata promossa in occasione del dibattito “Pratiche di autotutela per il diritto alla libertà” svoltosi negli spazi del parcheggio nord allo stadio Euganeo. Ad animare la discussione don Andrea Gallo, fondatore nel 1975 della comunità San Benedetto al Porto di Genova, da sempre a fianco degli emarginati con particolare attenzione al mondo della tossicodipendenza da sostanze illegali, da alcool e del disagio psichico; e Alessandro Metz, rappresentante di Carta di Trieste. Tra i temi toccati dal sacerdote ottantenne, anche il taglio alle comunità assistenziali e il sovraffollamento delle carceri italiane, secondo don Gallo riconducibile anche agli effetti delle leggi Fini-Giovanardi e Bossi-Fini. Verso le 23 dal festival è partito un corteo che ha raggiunto prima la casa penale e quindi il circondariale del complesso carcerario Due Palazzi, preceduto da un camion che trasmetteva musica - tra cui “Liberi tutti” dei Subsonica - e gli interventi degli organizzatori. A esprimere la solidarietà ai detenuti all’esterno delle strutture carcerarie sono stati Luca Casarini, Alessandro Metz e Sebastian Kohlscheen. Non sono mancate le proteste dei residenti, disturbati dalla musica che usciva dalle casse montate sul camion che apriva il corteo. Proteste che hanno indotto la polizia ad intervenire per far abbassare il volume degli altoparlanti. Bologna: Consiglieri regionali in visita; detenuti a quota 1.156, la sanità non funziona Dire, 1 luglio 2010 Salute carente e ora pure l’afa. Sono 1.156, dormono in tre, talvolta anche in quattro, per cella e ora devono anche affrontare il caldo, visto che di condizionatori non ce ne sono. Intanto, la condizione sanitaria dei detenuti del carcere della Dozza di Bologna non migliora. Da circa un anno, spiegano oggi i consiglieri regionali in visita alla Casa circondariale e accompagnati dalla garante per i diritti dei detenuti Desi Bruno, vivono anche la riforma della sanità con il personale che arriva direttamente dall’Ausl. Ma l’azienda sanitaria, racconta Bruno, “non ha ancora interiorizzato il fatto che qui c’è più bisogno che fuori”. I detenuti sono tanti, troppi, vivono accalcati e stanno in cella anche per 18/20 ore. Al di là delle condizioni strutturali del carcere “che ha 30 anni e andrebbe ristrutturato”, interviene il consigliere Idv Franco Grillini, c’è la questione della tossicodipendenza. Un problema che hanno in 300, seguiti dal Sert, “ma che a mio parere dovrebbero stare in comunità”. E poi, il 67% dei carcerati è straniero, in alcuni casi portatore anche di patologie scomparse in Italia, e molti di loro hanno vissuto in strada, in condizioni precarie e hanno problemi respiratori, cardiologici e di denti. Senza contare, sottolinea Bruno, che “tanti hanno problemi psicologici pregressi o anche causati dalla privazione della libertà”. Insomma, aggiunge poi la consigliera del Prc, Monica Donini, “questo non è una propaggine del quartiere, quindi a livello sanitario ha esigenze diverse, maggiori, che vanno contemplate”. I consiglieri regionali, all’uscita della visita di questa mattina, assieme ai rappresentanti dell’associazione Antigone, aggiornano poi i numeri sulla Dozza: sui 1.156 detenuti (per una capienza di 420 e una tollerabile di 800), solo 400 sono già stati condannati. Altri 800 sono infatti in regime di custodia cautelare “e statisticamente il 30% è innocente”, ricorda Donini. Il 67% è dunque straniero, in particolare algerini, tunisini e rumeni, e le lingue parlate sono 52. La maggioranza è dentro per spaccio o per reati contro il patrimonio, un fatto che fa dire a Grillini che “il centro destra ha creato una politica criminogena, che colpisce anche i comportamenti privati delle persone”. E poi, attacca il consigliere “non ci sono miliardari, qui dentro ci sono solo persone povere”. Nella delegazione c’è anche Gianguido Naldi di Sel che invece fa i conti sul personale. Al momento sono 370, e ne mancano 200, mentre gli educatori che erano stati decimati, sono tornati a essere nove. Mario Marcuz e Elia Decaro dell’associazione Antigone, che ogni anno redigono i report sulle singole carceri italiane, parlano della Dozza non come la peggiore, ma della più sovraffollata tra quelle emiliano-romagnole. Oltre che con un alto numero di tossicodipendenti. Milano: la Provincia rimane senza Garante dei detenuti Redattore Sociale, 1 luglio 2010 Dopo oltre un anno dalla scadenza del mandato di Giorgio Bertazzini e due proroghe, il Consiglio provinciale non ha ancora approvato il bando per la nomina di quello nuovo. Da oggi la provincia di Milano è senza il Garante per i diritti dei detenuti. Dopo oltre un anno dalla scadenza del mandato di Giorgio Bertazzini e due proroghe, il Consiglio provinciale non ha ancora approvato il bando per la nomina di quello nuovo. “Le proroghe non posso essere eterne - sottolinea Giorgio Bertazzini -. Fra l’altro ieri è scaduto non solo il mio mandato, ma anche il contratto a termine dell’unica segretaria. Ora quindi non c’è più nessuno”. Lo statuto della provincia di Milano prevede che il mandato del Garante coincida con la durate della legislatura. Quindi, dopo le elezioni amministrative del 2009, il Consiglio provinciale avrebbe dovuto provvedere alla nomina. In provincia di Milano i detenuti sono 4.500 circa, la metà di quelli in Lombardia: il Garante è stato in questi anni part-time, dato che percepiva un’indennità di circa 800 euro nette al mese. “Ho dovuto mantenere il mio lavoro di insegnante di scuola media superiore -racconta-. Ci sono province con un solo carcere ma con un ufficio del Garante che può contare su uno staff di più persone a tempo pieno. La Provincia di Milano vuole o no continuare ad avere il Garante dei detenuti?”. Modena: le carceri scoppiano… i detenuti anche La Gazzetta di Modena, 1 luglio 2010 Una cella di pochi metri quadrati, pensata e costruita per ospitare al massimo due persone, oggi da alloggio ad almeno 4 detenuti. Una convivenza forzata che sfocia in tentativi ripetuti di autolesionismo e aggressione. Nella casa circondariale di Modena questa situazione, già abbastanza complicata, è aggravata ulteriormente da un numero sempre minore di agenti della polizia penitenziaria, che da mesi lamentano invano la scarsa sicurezza riservata ai detenuti e al personale carcerario. La denuncia arriva direttamente dalle parole di Eugenio Sarno, segretario generale della Uil Pa Penitenziari. All’interno della Casa circondariale di Modena c’è un sovraffollamento di detenuti, rispetto alla capacità massima prevista, del 123%. L’istituto, che può ospitare 221 soggetti, attualmente ne conta 493. Questo dato non è sostenuto da un adeguato numero di agenti di polizia penitenziaria che, anche nell’ultimo anno, ha subito un taglio di oltre 50 unità. Se poi si contano gli agenti destinati alle strutture non operative e agli uffici per l’esecuzione penale esterna, e gli agenti impiegati nei trasferimenti, è facile capire come la situazione della casa circondariale sia vicina all’implosione. Diversa è la realtà delle case di lavoro di Saliceta San Giuliano e Castelfranco Emilia. La prima conta un sovraffollamento del 18%, al di sotto degli standard nazionali, mentre nella seconda ci sono 43 posti vacanti. La situazione della provincia modenese rispecchia esattamente i problemi degli istituti penitenziari regionali che, in questo periodo, ospitano le realtà più complesse e pericolose d’Italia. Alle 17.00 di ieri, all’interno dei carceri emiliani, infatti, erano presenti 4.508 detenuti, a fronte di una ricettività massima di 2.393 persone, per un indice di sovraffollamento pari all’88%. La situazione peggiore è quella della Dozza in cui l’elevato numero di detenuti e la gravissima deficienza organica del personale ne fa una vera e propria emergenza nazionale. A soffrire maggiormente questa situazione sono, ovviamente, i detenuti e il personale carcerario. Dall’inizio dell’anno fino ad oggi, in Emilia Romagna ci sono stati tra i reclusi due casi di suicidio e sette casi di autolesionismo. Alcuni degli episodi di autolesionismo sono avvenuti nella casa circondariale di Modena. Solo un intervento tempestivo del personale ha permesso di scongiurare il peggio. Dieci agenti, invece, sono rimasti feriti con prognosi superiori ai cinque giorni. “Questa è una realtà comune a tutti gli istituti penitenziari italiani”, ha dichiarato il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. “Ormai registriamo i record di presenze a ritmo quotidiano. Alle 8.00 di ieri mattina, infatti, nelle strutture penitenziarie italiane erano ristretti 60.058 detenuti. Questo significa che in tutte le regioni si è superata la quota massima di ricettività e che il 99% delle strutture presenta una sovradotazione rispetto al consentito”. Consiglieri provinciali in ispezione alla Casa di Lavoro di Castelfranco Un sopralluogo per verificare il trattamento e le condizioni dei detenuti, lo stato dei fabbricati e l’organizzazione del lavoro. È l’obiettivo della visita al carcere di Castelfranco, in provincia di Modena. che i componenti della commissione “Politiche sociali” del Consiglio provinciale, presieduta da Patrizia Cuzzani, effettueranno domani e che sarà la prima di analoghe visite, entro il mese, al carcere di Sant’Anna e alla casa di lavoro di Saliceta San Giuliano. “Le istituzioni carcerarie sono parte integrante della città - commenta Cuzzani - e vorrei che anche da iniziative come questa nascesse una volontà comune di ripensare gli interventi di recupero delle persone sottoposte a procedimento penale coinvolgendo, sia nella fase progettuale che attuativa, una pluralità di soggetti che operino in rete per favorire il graduale reinserimento dei detenuti nella realtà sociale”. La visita dei consiglieri provinciali agli istituti di detenzione modenesi viene effettuata a seguito dell’approvazione, nel gennaio scorso, di un ordine del giorno proposto dal Pd e votato anche dall’Idv. “Un’iniziativa che ci permetterà di acquisire una consapevolezza condivisa tra tutte le forze politiche - spiega Cuzzani - per arrivare a elaborare proposte sulla sicurezza di luoghi e persone. Sicurezza intesa come certezza della pena ma anche certezza di un rispetto totale sia per i detenuti che per il personale di custodia”. San Gimignano (Si): Pd; Governo intervenga, pericoloso continuare a sottovalutare problema Asca, 1 luglio 2010 “Continuare a non affrontare con efficacia le problematiche inerenti la casa di reclusione e sottovalutare i conseguenti e ripetuti episodi di violenza fra detenuti potrebbe portare a situazioni ancora più gravi, che ci auguriamo di poter evitare”. È quanto si legge in una lettera inviata al ministro Alfano dalla deputata Pd Susanna Cenni sulla casa di reclusione di Ranza, nel comune di San Gimignano. Una lettera, sottoscritta anche dal deputato Franco Ceccuzzi, per denunciare ancora una volta la ormai cronica carenza di personale di polizia penitenziaria, il sovraffollamento di detenuti - circa 300 rispetto ad una capienza regolamentare di 237 - oltre ai ben noti problemi strutturali, soprattutto di carattere ambientale ed igienico. Una lettera inviata “dopo aver presentato numerose interrogazioni che ad oggi restano in gran parte senza alcuna risposta”, per richiamare l’attenzione del ministro su problemi che rendono “insostenibile la corretta direzione della casa di reclusione”, come ribadito nei giorni scorsi dalla direttrice della struttura Rita Barbera, e dopo le numerose occasione di incontro tra i parlamentari, le istituzioni e le organizzazioni sindacali. “Negli ultimi mesi - si legge nella lettera - si sono verificati gravi episodi (l’ultimo dei quali lo scorso 3 giugno) che mettono a repentaglio la sicurezza, oltre che degli stessi reclusi, anche del personale di polizia penitenziaria che, a causa della carenza di organico, non è più in grado di garantire adeguatamente la sicurezza e la disciplina all’interno dei reparti. Un clima incandescente e un contesto divenuto molto pesante, più volte denunciato dalle istituzioni locali e dalle organizzazioni sindacali e oggetto di interrogazioni parlamentari presentate nei mesi scorsi da me e dal collega Franco Ceccuzzi”. “Nei mesi scorsi - si legge ancora nella lettera - Massimo De Pascalis del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria si era impegnato per l’assunzione anticipata di 21 agenti. Numeri di per sé non sufficienti, e comunque quasi annullati da trasferimenti e pensionamenti. Le istituzioni locali sono attente e stanno facendo tutto quanto nelle loro possibilità, ma risulta evidente come, sui temi della dotazione di personale, solo il ministero e la direzione dell’amministrazione penitenziaria possano fornire fattive e concrete risposte”. Ravenna: il Sindaco ha visitato il carcere; situazione di sovraffollamento inaccettabile Adnkronos, 1 luglio 2010 “Una situazione di sovraffollamento inaccettabile”. A lanciare l’allarme per le condizioni dei detenuti rinchiusi all’interno del carcere di Ravenna è il sindaco della città, Fabrizio Matteucci, che stamattina ha visitato il penitenziario per circa due ore. “Il carcere dovrebbe ospitare 59 detenuti e dovrebbe avere 73 guardie carcerarie. Attualmente i detenuti sono 148, di cui 94 stranieri, e gli agenti di polizia penitenziaria sono 54” ha spiegato il primo cittadino che ha voluto ringraziare “la direttrice, gli agenti e le volontarie che stanno facendo uno sforzo enorme per gestire una situazione davvero drammatica”. “C’è una soglia di tolleranza in situazioni di emergenza -ha proseguito il sindaco -ma questa soglia che è attorno al centinaio di detenuti, è stata ampiamente superata”. Soprattutto d’estate, essere in quattro in una cella in cui ci dovrebbe stare una persona sola è ancora più insostenibile” ha rimarcato ancora Matteucci, che non ha risparmiato mezzi termini: “si ha l’impressione - ha detto - di essere seduti su una bomba che rischia di esplodere da un momento all’altro”. Infine, dal sindaco giunge un appello al ministro della Giustizia Angelino Alfano, “perché ci sia uno sfoltimento immediato della popolazione carceraria”, ma anche “un invito all’opposizione perché si faccia sentire e per avviare insieme un’azione comune. Sul tema del nuovo carcere non c’è alcuna novità. Come è noto, abbiamo già individuato un’area e la disponibilità dell’amministrazione comunale a questo proposito - ha concluso Matteucci - rimane intatta”. Cagliari: Caligaris (Sdr); a Buoncammino carenze di organico e sovraffollamento Agi, 1 luglio 2010 “Le forti carenze di organico, il sovraffollamento e la necessità di garantire i servizi interni ed esterni nel carcere cagliaritano hanno impedito a numerosi agenti della polizia penitenziaria di assistere alla cerimonia religiosa per la festa di San Basilide Martire patrono del corpo”. Lo precisa Maria Grazia Caligaris, presidente dell’Associazione “Socialismo Diritti Riforme” lamentando che “l’impegno assunto dal Ministro Alfano per l’assunzione di 2000 agenti nell’ambito del piano carceri è stato disatteso” e nonostante le richieste non sono stati assegnati altri agenti all’Istituto di Buoncammino. Questa mattina alla santa messa, celebrata da Giuseppe Mani, arcivescovo di Cagliari, nella chiesa del Convento dei Cappuccini, erano presenti con la vice direttrice Elisa Milanesi e la comandante Michela Cangiano, appena 15 Agenti. Al rito religioso, concelebrato da Padre Massimiliano Sira, hanno assistito, tra gli altri, il presidente del Tribunale di Sorveglianza Francesco Sette, il giudice Carlo Renoldi, i responsabili e gli operatori dell’area educativa, sanitaria ed amministrativa di Buoncammino. In rappresentanza del Provveditorato regionale il vice commissario Marco Piras. Nuoro: Caligaris (Sdr); negato diritto allo studio, detenuto non può dare esami universitari Agi, 1 luglio 2010 “Il sovraffollamento rischia di far perdere la bussola anche ai funzionari del Dap che talvolta contraddicono ciò che hanno deciso in precedenza. Ne derivano atteggiamenti schizofrenici come quello che ha prima autorizzato un giovane detenuto di iscriversi all’Università di Bologna e sostenere alcuni esami e poi gli è stato negato di proseguire l’impegno di studio, peraltro proficuo. Così un giovane di Santo Domingo ristretto a Badu ‘e Carros ha dovuto rinunciare all’esame di inglese, previsto per il 22 giugno e a quello di Diritto costituzionale italiano e comparato, fissato dall’Ateneo emiliano per il 29 giugno. Rischia infine di non poter sostenere quello di Diritto Pubblico del 13 luglio prossimo”. Lo afferma Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione “Socialismo Diritti Riforme” che ha segnalato il caso di Alejo Perez Luis Alexander al direttore generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta. “Il giovane, che è stato trasferito a Nuoro nel mese di ottobre del 2009, si trovava recluso precedentemente - ha precisato nella lettera Caligaris a cui si è rivolto il detenuto - a Bologna dove, anche grazie ad una convenzione tra l’Ateneo e il Dap, si era iscritto nel 2008 al corso di Scienze dell’amministrazione e dell’organizzazione, una specializzazione non presente negli Atenei sardi. Avendo sostenuto con profitto i primi esami, a settembre 2009 aveva confermato l’iscrizione nella Facoltà per il secondo anno. Avendo subito nel frattempo il trasferimento, non richiesto e di cui non ha mai saputo la ragione, il 22 febbraio 2010 è stato tradotto a Bologna per sostenere due esami entrambi superati brillantemente ed è rimasto nel capoluogo emiliano fino al 10 aprile. Benché avesse richiesto a quel punto di permanere nel carcere di Bologna è stato trasferito di nuovo a Nuoro. Non ha potuto quindi sostenere gli esami del 22 e del 29 giugno perché gli è stata negata la traduzione nel capoluogo emiliano”. “La Costituzione sancisce all’articolo 34 il diritto allo studio, riconoscendolo a tutti e impegnando le istituzioni a renderlo effettivo. Ciò vale anche per le persone private della libertà personale. In questo specifico caso, la convenzione tra il Dap e l’Ateneo prevede la permanenza del detenuto-studente nel carcere di Bologna fino al completamento del corso universitario. Occorre quindi rimediare - conclude Caligaris - a questo incredibile disguido”. “Lo studio, in questa fase della mia vita ha rappresentato e rappresenta - ha scritto Alejio Alexander - il principale progetto di riscatto su cui stavo investendo tantissime energie. Si tratta, come potrà immaginare, di un percorso molto arduo, sia per il contesto in cui mi trovo, sia per le difficoltà di linguaggio che ancora ho nell’affrontare un testo universitario. A parte il trasferimento definitivo, adesso per me è urgentissimo poter sostenere questi esami nel mese di luglio. Desidero tanto poter proseguire il corso di studi rimanendo iscritto all’Università di Bologna ed essendo nuovamente trasferito lì o in altra sede vicina”. Immigrazione: lettera “aperta” della scrittrice albanese Elvira Dones a Silvio Berlusconi Articolo 21, 1 luglio 2010 La scrittrice albanese Elvira Dones ha scritto questa lettera aperta al premier Silvio Berlusconi in merito alla battuta del Cavaliere sulle “belle ragazze albanesi”. In visita a Tirana, durante l’incontro con Berisha, il premier ha attaccato gli scafisti e ha chiesto più vigilanza all’Albania. Poi ha aggiunto: “Faremo eccezioni solo per chi porta belle ragazze”. “Egregio Signor Presidente del Consiglio, le scrivo su un giornale che lei non legge, eppure qualche parola gliela devo, perché venerdì il suo disinvolto senso dello humour ha toccato persone a me molto care: “le belle ragazze albanesi”. Mentre il premier del mio paese d’origine, Sali Berisha, confermava l’impegno del suo esecutivo nella lotta agli scafisti, lei ha puntualizzato che “per chi porta belle ragazze possiamo fare un’eccezione.” Io quelle “belle ragazze” le ho incontrate, ne ho incontrate a decine, di notte e di giorno, di nascosto dai loro magnaccia, le ho seguite da Garbagnate Milanese fino in Sicilia. Mi hanno raccontato sprazzi delle loro vite violate, strozzate, devastate. A “Stella” i suoi padroni avevano inciso sullo stomaco una parola: puttana. Era una bella ragazza con un difetto: rapita in Albania e trasportata in Italia, si rifiutava di andare sul marciapiede. Dopo un mese di stupri collettivi ad opera di magnaccia albanesi e soci italiani, le toccò piegarsi. Conobbe i marciapiedi del Piemonte, del Lazio, della Liguria, e chissà quanti altri. È solo allora - tre anni più tardi - che le incisero la sua professione sulla pancia: così, per gioco o per sfizio. Ai tempi era una bella ragazza, sì. Oggi è solo un rifiuto della società, non si innamorerà mai più, non diventerà mai madre e nonna. Quel puttana sulla pancia le ha cancellato ogni barlume di speranza e di fiducia nell’uomo, il massacro dei clienti e dei protettori le ha distrutto l’utero. Sulle “belle ragazze” scrissi un romanzo, pubblicato in Italia con il titolo “Sole bruciato”. Anni più tardi girai un documentario per la tivù svizzera: andai in cerca di un’altra bella ragazza, si chiamava Brunilda, suo padre mi aveva pregato in lacrime di indagare su di lei. Era un padre come tanti altri padri albanesi ai quali erano scomparse le figlie, rapite, mutilate, appese a testa in giù in macellerie dismesse se osavano ribellarsi. Era un padre come lei, Presidente, solo meno fortunato. E ancora oggi il padre di Brunilda non accetta che sua figlia sia morta per sempre, affogata in mare o giustiziata in qualche angolo di periferia. Lui continua a sperare, sogna il miracolo. È una storia lunga, Presidente.. Ma se sapessi di poter contare sulla sua attenzione, le invierei una copia del mio libro, o le spedirei il documentario, o farei volentieri due chiacchiere con lei. Ma l’avviso, signor Presidente: alle battute rispondo, non le ingoio. In nome di ogni Stella, Bianca, Brunilda e delle loro famiglie queste poche righe gliele dovevo. In questi vent’anni di difficile transizione l’Albania s’è inflitta molte sofferenze e molte ferite con le sue stesse mani, ma nel popolo albanese cresce anche la voglia di poter finalmente camminare a spalle dritte e testa alta. L’Albania non ha più pazienza né comprensione per le umiliazioni gratuite. Credo che se lei la smettesse di considerare i drammi umani come materiale per battutacce da bar a tarda ora, non avrebbe che da guadagnarci. Questa “battuta” mi sembra sia passata sottotono in questi giorni in cui infuria la polemica Bertolaso, ma si lega profondamente al pensiero e alle azioni di uomini come Berlusconi e company, pensieri e azioni in cui il rispetto per le donne é messo sotto i piedi ogni giorno, azioni che non sono meno criminali di quelli che sfruttano le ragazze albanesi, sono solo camuffate sotto gesti galanti o regali costosi mi vergogno profondamente e chiedo scusa anch’io a tutte le donne albanesi. Merid Elvira Dones Gran Bretagna: il Governo punta sul reinserimento dei detenuti, con l’aiuto di volontariato e imprese Ansa, 1 luglio 2010 Ken Clarke, ministro della Giustizia britannico, ha annunciato oggi un radicale piano di riforma del sistema penitenziario del Regno Unito studiato per bloccare “la porta girevole dei reati e la successiva reiterazione dei reati stessi”. Il piano, tra le altre cose, prevede anche il coinvolgimento di ong e aziende private nel procedimento di riabilitazione del condannato. Al centro del progetto c’è l’esigenza di ridurre l’esorbitante numero della popolazione carceraria di Inghilterra e Galles - che a maggio di quest’anno ha toccato le 85mila unità. “Nel nostro Paese - ha detto il ministro - più della metà dei crimini viene commessa da persone che sono passate attraverso il sistema penitenziario”. “Quello di cui c’è bisogno - ha proseguito - è una approccio frontale più costruttivo. Ovvero una strategia intelligente e trasparente delle sentenze che colpisca la causa della reiterazione del reato, così da rendere le nostre comunità più sicure: noi lo descriviamo come rivoluzione della riabilitazione”. L’idea allora è quella di usare il volontariato e il settore privato per ospitare, riabilitare e inserire nel mondo del lavoro i carcerati - e corrispondere i finanziamenti solo se gli sforzi condurranno a un’effettiva diminuzione nelle percentuali di reiterazione del reato. Secondo il ministro, i finanziamenti necessari per rendere operativo il piano verrebbero dalla riduzione stessa della popolazione carceraria. Gran Bretagna: 80mila detenuti, 5 miliardi € l’anno, recidiva alle stelle; ora il Governo cambia strategia www.giornalettismo.com, 1 luglio 2010 Ufficialmente si tratta di politica per la riduzione della recidività e del sovraffollamento. In realtà si provvede semplicemente a ridurre la spesa delle carceri più costose d’Europa. Oltremanica sulla sicurezza i conservatori rompono col passato e abbandonano una linea dura fatta propria anche dai progressisti. La notizia che giunge da oltremanica, riportata dalla testata francese Rue89, lascia esterrefatti. Il ministro della Giustizia britannico, il conservatore Ken Clarke, vuole svuotare le carceri e favorire pene alternative. Una inversione di politica per il partito di David Cameron. “Il governo britannico di centro-destra metterà in pratica una politica giudiziaria di sinistra?”, ci si chiede ora esterrefatti. I conservatori svuotano le celle (sono queste le motivazioni ufficiali) potrebbero provocare una piccola rivoluzione. Inevitabile, dati alla mano. Con 85.000 detenuti, Inghilterra e Galles hanno uno dei più alti tassi di incarcerazione d’Europa. È doppio rispetto a quello del 1992, quando Ken Clarke era ministro degli Interni. Questo raddoppio è “sconcertante”, ha detto il veterano conservatore, presso il Centro Studi sul Crimine e la Giustizia di Londra. Che poi spiega: “Questo approccio è costoso e inefficiente ed è riuscito a trasformare in criminali cittadini rispettosi della legge. La mia priorità è la sicurezza degli inglesi. Bisogna cercare di cambiare quelle persone rinchiuse e non impegnate attivamente”. Ken Clarke si prepara a cancellare la costruzione di cinque nuove carceri approvato dal precedente governo laburista. Vuole anche di rivedere la politica penale per frasi brevi, dando impulso alla riabilitazione dei detenuti attraverso pene alternative, fornendo dei servizi alla comunità. I numeri sono preoccupanti. Tantissimi i recidivi. Il 60% dei condannati ritorna dietro le sbarre entro dodici mesi. Per lottare contro questo tasso particolarmente elevato, sono stati previsti incentivi per le aziende private e le organizzazioni a scopo benefico che riescono a reinserire gli ex detenuti. Per i conservatori, insomma, si tratta di una svolta a 180 gradi, soprattutto in virtù del fatto che dal 1993, hanno sostenuto una severa politica di “impunità zero”, che può essere riassunta dal famoso slogan del ministro degli Interni del tempo, Michael Howard: “La prigione funziona. Ci protegge dagli assassini, stupratori e abusanti”. Ansioso di non mostrare alcuna debolezza su questioni di sicurezza, a suo tempo, il New Labour di Tony Blair non si era affatto tirato indietro nella costruzione su vasta scala di nuove carceri. Ora paradossalmente sono proprio loro i più rumorosi contro i piani del governo conservatore. Straw, il predecessore di Ken Clarke alla giustizia, ha, attraverso il Daily Mail, provveduto a difendere il suo record: “Kenneth Clark dimostra di non aver imparato niente dagli ultimi diciassette anni. Qualcuno può seriamente credere che i crimini possono essere ridotti senza che le nuove prigioni?”, ha chiesto. Il partito laburista non è il solo a protestare. Anche la base conservatrice, già scossa da una riduzione delle dotazioni della polizia, esprime rimpiange la vecchia politica sulla sicurezza dei Tories, ora sacrificata all’altare della coalizione: “Duri col crimine, duri contro la criminalità”, ripetono. Le proposte di Ken Clarke, infatti appaiono influenzate in maniera determinante dal programma dei democratici liberali, oggi partner di governo. La promessa elettorale dei conservatori di portare a 100.000 il numero dei posti prigione, infatti, è stata gettata nel cestino. David Cameron in campagna aveva cavalcato il lassismo della politica penitenziaria di Gordon Brown. Salvo poi, diventato ilschwarzenegger1 Gb: La prigione non funziona!. I conservatori svuotano le celle primo ministro di un governo di coalizione, essere sedotto da una molto più progressista. Qualcuno fa una analisi più pungente. Si fa spazio l’ipotesi che le manovre del nuovo governo siano mosse esclusivamente dalle ristrettezze finanziarie che la crisi economica ha generato. In Gran Bretagna il Ministro delle Finanze, George Osborne, ha presentato un drastico piano di riduzione della spesa pubblica. Ad eccezione della Sanità e degli aiuti internazionali ha previsto un calo dei costi dei ministeri del 25%. E in tempi di magra tagliare gli enormi costi delle carceri britanniche può far gola per davvero. Al ministero della Giustizia, c’è bisogno di trovare 2,5 miliardi di euro di risparmio. Le carceri, con un bilancio di quasi 5 miliardi di euro, sono le prime ad andare nel mirino dell’esecutivo. Per illustrare l’onere finanziario del sistema carcerario, Ken Clark ha anche osato paragonare rischioso: “Ha un costo più alto mettere qualcuno in prigione piuttosto che mandare un ragazzo a Eton (una scuola secondaria molto prestigiosa che frequentare costa circa 38.000 l’anno in media). Il contribuente fornisce cibo e riparo a 85.000 persone come se si trattasse di un hotel costoso, ma si trova in spaventose condizioni di sovraffollamento”. Qualora venisse messa in atto la politica dello sfollamento, non si tratterebbe certamente del primo caso. La soluzione è testata. Arnold Schwarzenegger in California, per motivi di cassa, sta provvedendo a rilasciare, avverrà entro l’anno, circa 6.500 detenuti. Libia: scoppia la rivolta nel campo di detenzione per immigrati di Misratah Redattore Sociale, 1 luglio 2010 Due container sono partiti carichi di 300 persone lasciandosi alle spalle i cancelli del campo di detenzione di Misratah. Da ieri si sono perse le tracce. Si parla di trenta feriti e tentativi di suicidio. Dall’alba di ieri si sono perse le tracce degli eritrei respinti in Libia e rinchiusi in carcere. Ora si tratta di capire che fine faranno, dopo la rivolta che li ha visti protagonisti alla quale è seguito l’intervento dell’esercito e l’arrivo dei container per portarli via. La denuncia arriva da Gabriele del Grande, fondatore di Fortress Europe, l’Osservatorio sulle vittime del Mediterraneo. “Due container - si legge nel sito - sono partiti carichi di 300 persone lasciandosi alle spalle i cancelli del campo di detenzione di Misratah. Un reparto dell’esercito ha fatto irruzione nelle celle in piena notte. Le ultime telefonate d’allarme sono giunte alle cinque del mattino. Poi il silenzio: tutti i telefonini sono stati sequestrati. I detenuti portati via sono tutti eritrei, uomini e donne, compresi una cinquantina di minorenni e diversi bambini. Tutti arrestati sulla rotta per Lampedusa, chi respinto in mare nell’ultimo anno e chi fermato nelle retate della polizia libica a Tripoli. La diaspora eritrea, da Roma e da Tripoli, ci ha chiesto di dare la massima diffusione alla notizia, perché il rischio di un’espulsione di massa a questo punto è molto alto”. “Che a Misratah tirasse una brutta aria lo si era capito da un pezzo - commenta Fortress Europe. Da quando, tre settimane fa, il governo libico aveva espulso l’Alto Commissariato dei Rifugiati delle Nazioni Unite, che proprio a Misratah aveva regolare accesso da ormai tre anni. Ma i guai sono arrivati nella giornata di ieri (l’altro ieri per chi legge ndr). I militari libici hanno consegnato ai detenuti i moduli dell’ambasciata eritrea per l’identificazione. Tutti si sono rifiutati categoricamente di fornire la propria identità all’ambasciata, temendo che fosse il primo passo per un’espulsione collettiva. Al loro rifiuto la tensione è salita, fino a sfociare in una rivolta, con un durissimo scontro con le forze di sicurezza. Qualcuno ha tentato di scavalcare il muro di cinta e fuggire, ma l’evasione è stata presto sventata e la protesta duramente repressa a colpi di manganellate. Secondo l’agenzia Habesha, che da Roma ha potuto raggiungere telefonicamente alcuni detenuti di Misratah, ci sarebbero una trentina di feriti gravi, che sarebbero stati portati via nei container insieme a tutti gli altri. Habesha riferisce anche di tentati suicidi per evitare la compilazione dei moduli di identificazione. L’ultimo contatto telefonico che Fortress Europe ha avuto con i deportati è stato alle 18,00 del 30 giugno: “I due camion si trovavano nel piazzale del centro di detenzione di Sebha, dopo 12 estenuanti ore di viaggio rinchiusi dentro i container. Donne e bambini sono svenuti per la mancanza d’aria e l’elevata temperatura. Ancora non si capisce se scatterà il rimpatrio o se è soltanto un trasferimento punitivo per la rivolta di ieri. La Libia ha sospeso le espulsioni verso Asmara negli ultimi tre anni, ma la chiusura dell’ufficio dell’Unhcr a Tripoli non lascia ben sperare. Una fonte informata e presente in Libia sostiene più verosimile che si tratti di una deportazione da Misratah Sebha per punire i rivoltosi e dividerli in gruppi più piccoli in altri centri. Tuttavia l’allarme per il rischio espulsione di massa rimane altissimo. La diaspora eritrea da anni passa attraverso Lampedusa per chiedere asilo politico in Europa. La situazione ad Asmara è sempre più preoccupante”. Dell’accaduto sono informati le Nazioni Unite, l’Oim, il Cir, Amnesty International, Human Rights Watch. Gli eritrei deportati chiedono a tutti di fare il massimo sforzo per impedirne la deportazione in Eritrea. Iran: due condannati a morte per l’omicidio in carcere di tre oppositori politici Agi, 1 luglio 2010 Condanna a morte in Iran per due uomini giudicati colpevoli di aver ucciso tre manifestanti anti-governativi nel carcere di Kahrizak, nella zona sud di Teheran. Lo ha riferito l’agenzia di stampa Irna. Il tribunale militare iraniano ha condannato altre nove persone alla pena del carcere e alle frustate. Un altro imputato è stato assolto. I due condannati a morte, che hanno ora 20 giorni per presentare appello, sono stati giudicati colpevoli di “aver inflitto intenzionalmente abusi che hanno portato alla morte di Mohammad Kamrai, Amir Javadi-far e Mohsen Ruholamini”. La prigione di Kahrizak fu chiusa nel luglio dell’anno scorso su ordine della Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, dopo le notizie di abusi sui detenuti. Decine di manifestanti furono uccisi negli scontri con le forze di sicurezza iraniane dopo la rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad nel giugno dell’anno scorso. “Due imputati sono stati condannati alla pena di morte, altri nove sono stati condannati a pene detentive o corporali (frustate), mentre uno è stato assolto”, ha scritto Irna, citando un comunicato del tribunale, che non precisa ruoli e incarichi delle persone condannate. I decessi nella prigione di Kahrizak sono avvenuti durante la dura repressione delle manifestazioni seguite alla rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad, il 12 giugno scorso. Mohammad Kamrani, Mohsen Ruholamini e Amir Javadifar sono morti durante i giorni di prigionia a Kahrizak. Un quarto manifestante sarebbe morto in circostanze analoghe, ma il suo decesso non è mai stato confermato ufficialmente. La repressione delle manifestazioni post-elettorali sarebbe costata la vita a decine di persone, mentre alcune centinaia di manifestanti sono stati arrestati. La divulgazione degli abusi e delle violenze avvenute nel carcere iraniano indussero la Guida suprema, Ali Khamenei, ad ordinare la chiusura di questo centro di detenzione nel luglio scorso. India: Frattini; seguiamo vicenda italiani in carcere con accusa omicidio di un connazionale Apcom, 1 luglio 2010 La Farnesina segue, “passo dopo passo”, la vicenda di Tommaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni, i due cittadini italiani arrestati in India lo scorso 7 febbraio con l’accusa di omicidio nei confronti di Francesco Montis, e, ad oggi, detenuti nel carcere Distric Jail di Varanasi in attesa di giudizio. Lo ha confermato il ministro degli Esteri Franco Frattini, inviando un messaggio personale all’assessore ai Servizi Sociali del comune di Albenga, Eraldo Ciangherotti, in occasione della serata “Alziamo la voce - Uniti per Tommaso ed Elisabetta” organizzata in favore dei due connazionali. “L’altro ieri il tribunale indiano di Varanasi ha tenuto la prevista udienza sul caso, alla quale, tuttavia, non si sono presentati i testimoni dell’accusa”, ha scritto Frattini. “Il giudice ha fissato il nuovo dibattimento alla data ravvicinata del 6 luglio. Il nostro ambasciatore a New Delhi ha, quindi, chiesto ed ottenuto di essere immediatamente ricevuto, nella stessa giornata dell’altro ieri, dal ministro della Giustizia indiano Moily, al quale ha espresso tutta la preoccupazione con cui, in Italia, si segue questo processo, che pretendiamo sia svolto in modo equo ed imparziale”, ha aggiunto il ministro. “Questo ulteriore intervento”, ha insistito Frattini, “fa seguito alle ripetute azioni degli addetti consolari dell’ambasciata italiana, che hanno più volte visitato Bruno ed Elisabetta presso il carcere dove sono reclusi”. Sin dal giorno dell’arresto, “l’ambasciata ha suggerito il nominativo di uno studio legale fra i più professionalmente qualificati dell’India, che li difende davanti al Tribunale locale”. “Con queste misure concrete il ministero degli Esteri e io personalmente intendiamo manifestare la nostra vicinanza a Tommaso ed Elisabetta e alle loro famiglie, che stanno vivendo questa situazione di particolare difficoltà. Vi assicuro che continueremo a farlo, sino alla conclusione del processo e anche oltre, se necessario. Dimostrazioni di solidarietà come questa, di stasera, ad Albenga, ci spronano a proseguire in questa direzione”, ha concluso Frattini.