Giustizia: dal centro-destra un ddl per amnistia e indulto; i Radicali approvano, la Lega si dissocia Cnr Media, 19 luglio 2010 Un ddl di concessione di amnistia e di indulto è stato presentato dal senatore del Pdl, Luigi Compagna a Palazzo Madama. “Dopo l’audizione alla Camera del ministro Alfano al principio della legislatura - sottolinea Compagna - non si è riusciti finora a varare provvedimenti che rendessero meno disumane le condizioni delle nostre carceri. Esse vivono ormai un dramma che le pone al di fuori di ogni principio della Carta dei diritti dell’uomo”. Di qui l’esigenza, secondo il parlamentare del Pdl, di ricorrere a quella “potestà di clemenza”, che il Parlamento aveva a suo tempo pensato di limitare, fissando in una maggioranza di due terzi il quorum necessario alla deliberazione. “Ho assunto questa iniziativa - precisa - perché di fronte a tanta sofferenza il Parlamento deve essere sollecitato ad un uso ragionevole e non arbitrario della potestà di clemenza prevista nella nostra Costituzione. Mi auguro che, di maggioranza o di opposizione che siano, anche altri colleghi non siano insensibili a queste ragioni”. Ma i leghisti saranno contro il provvedimento? “Non c’è dubbio, anche io non sono entusiasta dell’iniziativa che ho preso, ma l’ho fatto per senso di responsabilità. Ho l’impressione che prima di attaccare la mia iniziativa - che è ovviamente attaccabile - ho l’impressione che a questo punto il Parlamento non possa abdicare le proprie responsabilità”. Bernardini (Pd): pieno appoggio alla proposta Dichiarazione di Rita Bernardini, membro della Commissione giustizia della Camera dei deputati: “Appoggio totalmente la proposta del Senatore Luigi Compagna per un provvedimento immediato di amnistia e indulto che consenta alla carceri italiane di rientrare nella legalità e ai magistrati di ridimensionare l’arretrato dei milioni di processi pendenti ai quali non riescono a far fronte. Lo faccio con cognizione di causa dopo aver visitato negli ultimi due week end le carceri sarde di Buoncammino e San Sebastiano e quelle siciliane di Messina e Ucciardone, dove vengono violati i più elementari diritti umani e dove i detenuti sono sottoposti a maltrattamenti e a trattamenti disumani e degradanti. Fino a questo momento Governo e Parlamento hanno dimostrato la loro totale incapacità a porre fine a questo sconcio indegno per un Paese che si fregia a sproposito di essere democratico. D’altra parte la mozione radicale approvata alla Camera a febbraio aveva una premessa che esprimeva un giudizio positivo su queste misure e che - non so se per errore da parte del Governo - è stata approvata dall’Aula di Montecitorio. Amnistia e indulto come premessa per la vera riforma della giustizia come da mozione radicale trasversale approvata nel gennaio del 2009, più di un anno e mezzo fa. Amnistia responsabile di governo della drammatica situazione che si contrapponga a quella - immonda - in corso ogni anno delle 200.000 prescrizioni, frutto del debito di Giustizia (parole di Alfano) che lo Stato ha nei confronti dei cittadini a causa degli oltre 5 milioni di processi pendenti”. Castelli (Lega): proposta inaccettabile, siamo il partito della fermezza Dure reazioni della Lega alla presentazione del ddl di amnistia e indulto del senatore Pdl Luigi Compagna. “Proposta inaccettabile” afferma Roberto Castelli, viceministro alle Infrastrutture ed ex ministro della Giustizia La Lega sosterrà il ddl di Compagna? “La Lega è il partito della fermezza, è il partito che combatte la delinquenza. Quindi una proposta di indulto o amnistia è inaccettabile. Penso invece che si debba risolvere il sovraffollamento per altre vie e credo che la strada maestra sia creare dei circuiti per i detenuti a bassa pericolosità sociale. La sinistra ha sempre avuto questa mania di aprire i cancelli delle carceri. Evidentemente qualcuno nel PDL si è lasciato contagiare”. I penitenziari però sono drammaticamente sovraffollati. Qual è la soluzione per svuotare i penitenziari? “Il problema del sovraffollamento delle carceri si risolve per altre vie. E io penso che la strada maestra sia dire addio al modello di carcere omnicomprensivo così come è oggi. Bisogna creare dei circuiti di detenzione per i detenuti a bassa pericolosità. Far sì che, per esempio, si possano affittare case o condomini dove poter mantenere questo tipo di detenuti. Non è possibile tenere in solo luogo detenuti in attesa di giudizio, detenuti con condanne definitive e magari anche detenuti con 41 bis. Bisogna definire meglio le varie tipologie di detenuti - conclude - e per quelli meno pericolosi, trovare degli immobili dove ospitarli immediatamente. Aspettare di costruire nuove carceri significa prevedere tempi lunghissimi”. Giustizia: detenuti verso quota 70mila, la legge sulla detenzione domiciliare servirà a sfollarle? di Andrea Maria Candidi Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2010 Istituti penitenziari colmi all’inverosimile. E mentre i detenuti hanno ormai superato la quota delle 68mila unità e si accingono presto a doppiare la boa delle 70mila, il parlamento è impegnato con un provvedimento che dovrebbe tamponare l’emergenza. All’esame della Camera, infatti, c’è il disegno di legge (atto C 3291-bis) presentato dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che consente di espiare a casa le pene fino a un anno di reclusione, anche se parte residua di un periodo di detenzione più lungo. Obiettivo principale è alleggerire gli istituti penitenziari dal carico di detenuti con pene lievi e dunque presumibilmente meno pericolosi: grosso modo un terzo del totale dei presenti, secondo le stime del Dap, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Ulteriore conseguenza dell’eventuale miglioramento delle condizioni di vivibilità è la riduzione del rischio di esposizione dell’Italia alle condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo per il trattamento degradante dei detenuti. A scattare la fotografia dell’emergenza è stato il Dap con il consueto rapporto mensile (aggiornato al 30 giugno): 68.258 detenuti presenti, 600 in più del mese precedente, 5mila in più rispetto a un anno fa. Per comprendere l’esatta portata questi numeri, che dicono già abbastanza, bisogna leggerli dietro la lente della capacità degli istituti di penitenziari di assorbire un tale carico di esseri umani. Al 30 giugno tale capacità, cioè la capienza regolamentare delle carceri italiane, è stimata, dalla stessa amministrazione penitenziaria, in 44.568 unità. A conti fatti, in media, 153 persone devono dividersi il posto previsto (“regolamentare”) per 100. Ciò equivale ad affermare che tre carcerati dormono in due letti. Oppure, se preferiamo, che il personale dell’amministrazione, in particolare i secondini, ha a che fare con un fenomeno pari a una volta e mezzo quello per cui è chiamato a prestare la propria opera. Con tutto quello che ne consegue in termini di sicurezza o comunque di efficienza del sistema per i detenuti e per gli addetti ai lavori. Non a caso aumentano le aggressioni e i suicidi all’interno delle carceri. L’ultima denuncia sulle pessime condizioni degli istituti di pena italiani, anche se in questo caso si tratta di una struttura sanitaria, è arrivata da Ignazio Marino, senatore del Pd e presidente della commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Ssn, che la settimana scorsa, dopo la visita all’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, ha parlato di “scene ottocentesche”. La delegazione parlamentare ha addirittura trovato un detenuto legato al letto. Naturalmente ci sono isole meno infelici di altre, ad esempio la Sardegna che vanta il rapporto presenze/capacità più basso della penisola (118). Mentre all’estremo opposto figura l’Emilia Romagna con un quoziente pari a 190. In pratica i posti a disposizione sono la metà di quelli necessari. Il rapporto del Dap offre l’occasione per leggere anche altri fenomeni che caratterizzano l’universo penitenziario nostrano. Ad esempio, la composizione della popolazione carceraria in base alla posizione giuridica. Rispetto a un anno fa, è sensibilmente diminuita la percentuale delle presenze non a titolo definitivo, in sostanza di detenuti in attesa dell’ultimo grado di giudizio: quasi in parità a giugno 2009 (49,2%) con i condannati in via definitiva, a giugno 2010 il rapporto è sceso al 43,5 per cento. Altro dato è la presenza di stranieri: contrariamente a quanto la cronaca lascia immaginare, la percentuale è scesa, seppure lievemente, dal 37,1 al 36,6%, sebbene in termini assoluti il numero complessivo di stranieri sia passato da 23.609 a 24.966. Quanto al Ddl, introduce, di fatto, una ulteriore possibilità di accedere all’esecuzione della pena detentiva presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza. L’ordinamento penitenziario già oggi prevede questa possibilità (per pene anche superiori), ma tendenzialmente su richiesta del detenuto. La nuova formula riguarda invece pene anche più lievi, ma con un’applicazione sostanzialmente d’ufficio. Non resta che sperare che il ddl sia in grado di rimediare al problema del sovraffollamento. Ma la sensazione è che le misure possano solo tamponare la falla. Giustizia: le pene alternative non devono essere una “concessione”, ma una regola da applicare di Francesco Drago*, Roberto Galbiati** e Pietro Vertova*** Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2010 Il disegno di legge proposto dal ministro Alfano prevede di eseguire presso un domicilio pubblico o privato, anziché in carcere, la pena detentiva non superiore ai dodici mesi (anche se costituente parte residua di una maggior pena). Si tratta di un provvedimento studiato per risolvere temporaneamente il problema del sovraffollamento delle carceri italiane (problema che in realtà accomuna molti paesi europei). Gli effetti attesi sono chiari. Da un lato, dovrebbe alleviare le sofferenze dei carcerati dando la possibilità a qualche migliaia di persone di scontare gli ultimissimi mesi di pena ai domiciliari e contemporaneamente rendendo gli spazi carcerari più vivibili per chi ci rimane. Circa la propensione alla recidiva, gli effetti sono sicuramente non negativi. Le statistiche mostrano che il tasso di recidiva delle persone che scontano la pena prevalentemente in misura alternativa è di gran lunga inferiore (di circa la metà) a quello delle persone che scontano la pena prevalentemente in carcere. Certamente questo è in parte legato al fatto che i giudici concedono le misure alternative ai detenuti potenzialmente meno recidivi. Tuttavia non è da escludere un effetto della tipologia di pena sul comportamento recidivo. Recenti studi suggeriscono che la commutazione del carcere in pene alternative tende a ridurre la propensione a ricommettere reati. Vi è però un aspetto culturale e simbolico del Ddl su cui è lecito nutrire delle perplessità. Questo provvedimento lancia infatti il messaggio che la pena alternativa al carcere sia una “concessione” ai detenuti, da prendere solo in condizioni di emergenza. E se, al contrario, considerassimo prassi l’uso delle pene alternative ed emergenziale quello del carcere? Era questa, del resto, la ratio della legge Gozzini, votata dal parlamento nel 1986 con un larghissimo consenso e il solo voto contrario del Movimento sociale italiano. Il problema centrale su cui soffermarci riguarda la crescita strutturale del numero di carcerati. L’Italia è in effetti il paese europeo con il maggior tasso di crescita della popolazione carceraria dal 2007 a oggi, senza che questo possa essere spiegato da una differenza significativa nei reati (in base ai dati degli istituti nazionali di statistica, il tasso di criminalità in Italia risulta il più basso tra i maggiori paesi europei). Il governo Berlusconi ha approvato a gennaio un piano di edilizia carceraria che prevede di aumentare di 21mila posti la capienza degli istituti di pena. Bisogna chiedersi se sia questo il modo migliore di affrontare il problema del sovraffollamento. I tempi di costruzione delle nuove carceri sono in effetti troppo lunghi per stare al passo con l’aumento della popolazione carceraria, mentre i crescenti vincoli al bilancio pubblico rendono poco auspicabili gli aumenti delle spese connesse all’allargamento del sistema penitenziario (stimabili in 600 milioni all’anno ogni 10mila persone in carcere). Alcuni paesi europei, come Germania, Portogallo e Austria, hanno preso direzioni più agili e meno costose, che hanno permesso di ridurre la popolazione carceraria attraverso semplici provvedimenti legislativi che hanno introdotto la depenalizzazione di reati minori e l’estensione delle pene alternative. La via italiana alla riduzione del numero dei carcerati, e quindi alla soluzione strutturale del problema del sovraffollamento carcerario e al contenimento dei costi, potrebbe andare in tre direzioni. La prima riguarda l’uso delle pene alternative al carcere. Circa i due terzi di coloro che hanno pene definitive, attualmente 20mila persone, hanno una pena residua da scontare inferiore a tre anni. Per questi detenuti varrebbe la discrezionalità dei giudici nel decidere misure alternative alla loro detenzione in carcere. La legge cosiddetta ex-Cirielli pone però una serie di limitazioni alla discrezionalità dei giudici, rendendo di fatto sempre meno praticate le misure alternative. Andrebbe quindi largamente rivista ridando piena discrezionalità ai giudici. La seconda riguarda l’uso della custodia cautelare. Quasi la metà dei detenuti nelle carceri è in attesa del giudizio di primo grado, con una percentuale doppia rispetto a quella della media europea. Questo denota un’anomalia italiana nell’uso della custodia cautelare. Su questo tema sia il governo che la magistratura dovrebbero fare una seria riflessione per capire i motivi dell’uso improprio ella custodia cautelare nel nostro paese. La terza riguarda la legge sull’immigrazione. Pare che circa 2.500 persone siano attualmente in carcere per violazione della normativa riguardante l’ingresso e il soggiorno in Italia dei “non cittadini italiani”. Su questo tema occorrerebbe riflettere doppiamente, sia sulla misura della pena carceraria, che appare del tutto sproporzionata, sia sul reato in sé: qual è la funzione sociale di considerare reato stare nel nostro paese? * Università di Napoli Parthenope ** Cnrs EconomiX, Paris *** Università di Bergamo Giustizia: pm Padalino; il ddl Alfano sulla detenzione domiciliare? sarà solo un problema in più di Riccardo Castagneri e Simone Bauducco Nuova Società, 19 luglio 2010 Vittorio Sgarbi se lo ricorda bene ancora adesso. Lo attaccò duramente in Parlamento “La Procura di Milano è presidiata da questo giovinetto. Io vorrei che fosse mandato il suo volto. Ditemi voi se uno con una faccia così possa rivedere quanto ha fatto un pubblico ministero”. Era il 1993, erano i tempi di Mani Pulite, l’obiettivo di turno dell’ineffabile onorevole Sgarbi si chiamava Andrea Padalino, giovane Gip presso il Tribunale di Milano, suo il volto da addurre al pubblico ludibrio. Ancora Sgarbi “Caro Pedalino e Padalino, come ti chiami, me ne frego delle tue denunce. Senza senso, come senza senso sono i tuoi arresti”. Se ne fregò tanto, il valoroso Sgarbi, da invocare l’immunità parlamentare. Quelle frasi calunniose e diffamatorie le avrebbe pronunciate esercitando il sacro ruolo delle sue funzioni istituzionali. Niente da fare, il magistrato “rosso malpelo” andò fino in fondo e Sgarbi venne condannato e risarcì. Dal 1997, Andrea Padalino è alla Procura della Repubblica di Torino, anni alla Direzione distrettuale antimafia, adesso nel pool reati contro la Pubblica Amministrazione. Fama di duro, dal carattere indubbiamente spigoloso, tagliato con l’accetta, Padalino è magistrato preparato e scrupoloso e persona di notevole spessore culturale. Esordisce ricordando appunto gli anni di Tangentopoli, non senza un pizzico di polemica. “Mani Pulite è stato un grande riscatto per la magistratura, ma allo stesso tempo la società ci ha investito di un compito non nostro. Compito che avrebbe dovuto svolgere la politica. Noi ci occupiamo dei fatti passati, dei reati commessi. La prospettiva sul futuro dovrebbe essere competenza della politica”. Concetti espressi da un certo Giovanni Falcone e da un certo Paolo Borsellino. Lei che ha vissuto Tangentopoli: quali sono le differenze con la situazione attuale? Alcuni provvedimenti di oggi hanno degli illustri precedenti proprio nella stagione di mani Pulite: basti pensare al decreto Biondi approvato nell’estate del 94 durante i mondiali di calcio, (con gli italiani in altre faccende affaccendati n.d.a.) autentico salvacondotto per tantissimi imputati. Ricordo che passavo le notti a firmare provvedimenti di scarcerazione. Mani Pulite fu vissuta come il riscatto della magistratura, ma nello stesso tempo ha innescato il gioco attuale. Mi spiego: la situazione odierna è frutto degli errori di allora. Errori che oggi consentono ad una certa parte politica di parlare di magistratura politicizzata. Intendiamoci, il magistrato ha il dovere di sottoporsi alle critiche, ci mancherebbe. Inaccettabile invece, l’attacco gratuito, il linciaggio generalizzato. Bisognerebbe anche uscire dalla logica corporativa e valutare l’operato del magistrato anche caso per caso, qualora occorra. Se si guarda ai reati nel campo della pubblica amministrazione, che situazione emerge? In questo periodo ci sono pochi processi per reati contro la pubblica amministrazione perché regna un silenzio assordante. Poche indagini arretrate e troppe cautele. Nessuno parla, nè ha interesse a denunciare. Se negli anni Novanta c’erano le file di fronte agli uffici dei magistrati, oggi vige una calma piatta. Più che sulla repressione in questo campo, servirebbe investire seriamente nell’elaborazione di sistemi agili e flessibili di prevenzione. Appunto l’assessorato Antifurbetti… Non intendo rispondere, né entrare nel merito di questa domanda. Detto questo, ribadisco che la Pubblica Amministrazione dovrebbe dotarsi di strumenti di prevenzione che dobbiamo immaginare diversi dal processo penale. Passiamo al campo dell’immigrazione. Quali sono gli ultimi dati? I dati raffigurano una situazione dove la percentuale di stranieri arrestati è maggiore rispetto a quella che compara la popolazione Italia. Nel 1998 gli stranieri arrestati a Torino erano il 57%. Il 31 dicembre 2008 i detenuti extracomunitari ospiti del Lorusso e Cutugno erano pari al 55% della popolazione carceraria. Torino e hinterland raggiungono i 2.500 mila abitanti. Gli stranieri regolari sono circa 115 mila, meno del 5%. Attenzione, nel 2009 su 5554 arresti il numero degli extracomunitari è di 4095 unità, di cui solo 1110 per violazione alla Bossi-Fini. Numeri significativi. Con l’85% degli arrestati iscritti al registro degli indagati per violazione alla normativa sugli stupefacenti. Come è cambiata la figura dello spacciatore nel corso degli anni? Il ritratto dello spacciatore di oggi è ben diverso da quello di quindici anni fa. Se in passato i pusher, parliamo di maghrebini e albanesi, portavano con sé anche la famiglia con l’obbiettivo di stabilirsi in Italia, oggi i nuovi pusher in particolare i senegalesi, che stanno crescendo nella gestione del traffico, oppure i gabonesi, arrivano da soli via Parigi per arricchirsi quanto più possibile e ritornare nel proprio paese d’origine. Un fenomeno che ha trovato riscontro nelle lettere che gli arrestati inviavano ai propri familiari nelle quali parlavano di acquistare casa nel loro paese di origine. Chi si cela dietro ai pusher? È chiaro che il fenomeno criminale è controllato da un livello superiore, dalle mafie nostrane. I pusher arrivano e trovano una logistica inappuntabile. Il problema che non esistono pentiti, questi non parlano assolutamente. L’omertà è assoluta. Poi è cambiata la strategia commerciale nel mercato degli stupefacenti: meno eroina e più droghe sintetiche e cocaina. Cocaina di massa, popolare, tagliata al 25%. C’è un’organizzazione ad un livello più alto che gestisce l’arrivo dei pusher e fornisce loro il necessario per sopravvivere nel nostro paese. Si veda il caso dei senegalesi che spacciavano a Tossic Park, parliamo di 2500 acquirenti al giorno. La turnazione sulle 24 ore era indispensabile. L’organizzazione prevedeva l’affitto di locali in corso Taranto dove i pusher potevano riposarsi qualche ora prima di tornare a lavorare. In un’irruzione abbiamo trovato un’ autentica sala relax con tanto di bibite, generi di conforto e playstation. Un’organizzazione che per poter lavorare deve interfacciarsi con la criminalità organizzata locale, in particolare ‘ndrangheta. Repressione o tolleranza? Una cultura del perdono genera solamente razzismo. Se ci si nasconde dietro al velo delle giustificazioni di tipo sociale rispetto ai reati commessi dagli stranieri nel nostro paese, si rischia di fomentare un sentimento diffuso di razzismo. Solamente con le condanne di chi sbaglia, possiamo far emergere quella parte di stranieri che vive e lavora onestamente. Così come il reato di immigrazione clandestina a prescindere, è un errore marchiano. Quali sono le maggiori difficoltà nel contrasto al traffico di stupefacenti? Le difficoltà sorgono nel controllo del livello più alto e nel monitoraggio dei flussi di denaro che partono dalla nostra città verso l’estero servendosi dei diversi money transfer. Ma anche altri insospettabili canali. Basta pensare che abbiamo scoperto che a Torino è presente una filiale di una banca marocchina all’interno del consolato, la Banca del Marocco. Qualsiasi tipo di operazione finanziaria avviene a nostra totale insaputa. Flussi di denaro che partono e arrivano a finanziare magari organizzazioni terroristiche; tutto non controllabile. Uno strumento importante nelle indagini sono le intercettazioni. Cosa ne pensa delle recenti limitazioni in questo campo? So di attirare critiche, ma secondo me il Ddl intercettazioni è un falso problema, o meglio è un problema in più. Che si va ad aggiungere alle difficoltà con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni. La mancanza di soldi per le fotocopie, per la manutenzione del parco autovetture, addirittura per la benzina delle auto. Mancano le risorse per pagare gli indispensabili straordinari al personale di polizia giudiziaria e a quello amministrativo. Dobbiamo sempre avere uno strumento in più nel nostro lavoro non in meno, altrimenti rischiamo di perdere. Ma una considerazione la voglio fare: noi magistrati, pur tra mille frustrazioni e difficoltà andiamo avanti ugualmente. Ad essere calpestati da decisioni prese da una politica scellerata, sono le migliaia di vittime dei reati che sempre più vedranno scemare la possibilità di essere tutelate dall’unico strumento in loro possesso: la giustizia. Giustizia: se 1.700 vi sembran pochi… in 10 anni 1.702 “morti di carcere”, di cui 593 per suicidio Ristretti Orizzonti, 19 luglio 2010 Nell’ultimo fine settimana altre 3 persone sono “morte di carcere”: due si sono impiccate, la terza è stata ritrovata senza vita in cella e le cause del decesso sono ancora da accertare. Con questi ultimi 3 casi salgono a 104 i detenuti morti da inizio anno: 32 si sono impiccati, 7 sono morti per avere inalato del gas (5 di loro si sono suicidati, per gli altri 2 probabilmente si è trattato di un “incidente” nel tentativo di sballarsi), mentre 65 detenuti sono morti per malattia, o per cause ancora da accertare. In 10 anni i “morti di carcere” sono stati 1.702, di cui 593 per suicidio. Sabato 17 luglio - Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova Sabi Tauzi, detenuto marocchino di 39 anni, viene ritrovato cadavere in cella. Ex tossicodipendente, era in carcere per droga e avrebbe finito di scontare la pena nel 2014. Il medico legale ha dichiarato che la morte è sopraggiunta per “cause naturali”, ma comunque è stata disposta l’autopsia. Le Associazioni di volontariato e la Fp-Cgil Penitenziari avevano segnalato da tempo le condizioni pesantissime del sovraffollamento, aggravate dal caldo torrido, chiedendo di intervenire con misure per alleviare il disagio insopportabile: sabato in città il termometro segnava 38 gradi e nelle celle del “Due Palazzi” la temperatura arrivava a 40 gradi. Fonti istituzionali dichiarano invece che la temperatura nelle celle era “assolutamente accettabile” e che Tauzi divideva la cella (progettata per 1 persona) “con un solo altro detenuto”. Comunque finalmente i blindi sono stati aperti anche la notte e pare che verrà autorizzato l’acquisto di piccoli ventilatori. Nella Casa di Reclusione di Padova dall’inizio dell’anno sono morti già 4 detenuti; prima della morte di Sabi Tauzi, infatti, sono avvenuti 3 suicidi: Santino Mantice, 25 anni, si è impiccato il 30 giugno scorso; Giuseppe Sorrentino, 35enne, si è ucciso il 7 marzo e Walid Aloui, 28 anni, il 23 febbraio. Domenica 18 luglio - Casa Circondariale “San Sebastiano” di Sassari Italo Saba, 53 anni, si impicca con i lacci delle scarpe nella sua cella del carcere di Sassari, dove era detenuto da una settimana. L’uomo è stato soccorso dagli agenti, che lo hanno staccato da quel cappio improvvisato, ed è stato portato in fin di vita all’ospedale, dove dopo circa un’ora è morto. Intorno alle 17 di ieri nella cella di San Sebastiano c’è stato un sopralluogo degli inquirenti. Presente anche il sostituto procuratore Maria Grazia Genoese. Sul cadavere nei prossimi giorni sarà effettuata l’autopsia. Domenica 18 luglio - Casa Circondariale “Malaspina” di Caltanissetta Rocco Manfrè, 65 anni, muore suicida nella notte. Si sarebbe strozzato stringendosi al collo il laccio in plastica della borsa termica che i detenuti possono tenere in cella. L’allarme è stato dato dal compagno di cella e, malgrado il tempestivo intervento dei sanitari e l’immediato ricovero presso il vicino ospedale, per Rocco Manfrè non c’è stato nulla da fare. L’uomo stato arrestato solo due giorni prima, accusato di un omicidio avvenuto 18 anni fa: vittima Agostino Reina, un operaio di 32 anni sparito da Gela e il cui corpo venne ritrovato semicarbonizzato solo alcuni mesi dopo la sua scomparsa. Giustizia: morire per disperazione e sovraffollamento, in carceri fatiscenti e con poche risorse di Pinella Leocata La Sicilia, 19 luglio 2010 “Morire di carcere”. Perché il carcere è diventato fabbrica di morte, di disperazione, di disagi. È diventato discarica sociale dove si gettano i malati psichiatrici e i tossicodipendenti, che invece avrebbero bisogno di essere curati, i poveri che non hanno alcun aiuto e sostegno per affrontare la vita, gli extracomunitari che non hanno commesso alcun reato se non quello di essere stati costretti a fuggire da paesi in cui si muore di fame, di torture, di guerra. Così le carceri, come le discariche, scoppiano. Ogni anno, in Italia, i nuovi reclusi sono 8.000. Una popolazione che cresce a dismisura tanto da costringere ad un sovraffollamento che è ulteriore fonte di sofferenza, di desiderio di fuga. E la fuga, tra le sbarre, assume spesso la forma di atti autolesionistici fino al suicidio. Nelle carceri italiane il numero dei suicidi è 20 volte superiore a quello che si registra all’esterno, e il numero dei tentati suicidi - scongiurati dagli agenti e dai compagni di cella - è addirittura 243 volte maggiore. E si tratta di persone tra i 25 e i 40, uomini e donne nel fiore degli anni. Dati sconvolgenti di cui si è discusso al convegno tenuto venerdì al carcere di Bicocca, in occasione della presentazione del libro di Laura Baccaro e Francesco Morelli “In carcere: del suicidio e delle altre fughe”, edizioni Ristretti Orizzonti. Dall’inizio dell’anno i morti in carcere, in Italia, sono 101, 34 dei quali suicidi, e gli agenti feriti in servizio sono 120. Dati che indicano con immediatezza una situazione di grave disagio: l’assistenza sanitaria difficile, le risorse per la rieducazione scarse, il sovraffollamento insostenibile. Basti pensare che, in Sicilia, le carceri ospitano quasi il doppio dei detenuti rispetto ai 4.500 posti ufficiali. E in Italia la percentuale in esubero rispetto alla capienza massima tollerabile è del 40%. Che fare? Il direttore della casa circondariale di Bicocca Giovanni Rizza spiega che i problemi strutturali sono gravissimi, come anche la drastica riduzione delle risorse, ma che l’impegno degli operatori per alleviare il disagio è massimo. Educatori, psicologi e psichiatri lavorano insieme per evidenziare situazioni problematiche, e in rete si muovono l’area educativa e quella sanitaria per interventi di sostegno di vario tipo, incluse le attività sportive e teatrali, quale quella che, con risultati sorprendenti, raccontiamo nella scheda a fianco. Sforzi enormi, basati sull’impegno e sulla buona volontà. Ma non bastano. Il senatore Salvo Fleres, garante regionale dei diritti dei detenuti, sostiene che bisogna intervenire su più fronti: sulle norme, sui regolamenti, sulle strutture, sul personale, sulle risorse. In piena sintonia con la radicale Rita Bernardini, deputata del Pd, dice che bisogna puntare sulle pene alternative al carcere che, in Italia, dopo la rivolta sociale contro l’indulto, sono crollate al punto che ne usufruiscono solo 20.000 persone, mentre prima erano oltre 60.000 (in Francia sono 250.000 e in Inghilterra 300.000). E poiché di sovraffollamento nelle carceri si muore, la Bernardini invita a percorrere la strada della denuncia: all’Onu, alla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla magistratura, come ha fatto la presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Per questo la deputata radicale continua a difendere il decreto Alfano - bloccato trasversalmente da varie forze politiche - che prevedeva la concessione automatica degli arresti domiciliari per coloro cui restavano da pochi giorni ad un massimo di un anno di pena da scontare. Avrebbe portato fuori dalle carceri 12 -13.000 detenuti. E va detto che, nel 2009, ha evaso gli arresti domiciliari solo lo 0,6% degli aventi diritti e, nell’anno in corso, appena lo 0,2%. Ma a fare notizia, a fini elettorali, sono solo i casi negativi. Così le carceri scoppiano e di carcere si muore, sempre più spesso, per le promesse non mantenute dai politici e da quando le risorse sono diminuite e con queste la possibilità di attenzione, di cura e di svolgere un lavoro che consenta di impegnare il tempo, di darsi un ruolo e un’identità, di mantenere un legame con la famiglia anche versando una piccola somma mensile. Quando tutto questo manca, quando non c’è speranza e il futuro è dietro le spalle, allora i detenuti si uccidono, espressione e segno, come dice la psicologa Laura Baccaro, che le relazioni affettive si sono interrotte e che si è interrotta anche la percezione del proprio ruolo sociale. Questo è il costo della nostra illusione di sicurezza, una sicurezza basata sulla paura del diverso, sullo stigma che marchia il detenuto anche dopo che ha scontato la sua pena. Ed è per questo che molti, per paura di rientrare nel mondo ostile di fuori, si suicidano al termine della pena. Che è un modo per dire che il nostro modo di intendere la sicurezza fa paura, uccide. Giustizia: Fleres (Garante detenuti della Sicilia); suicidio a Caltanissetta, ormai siamo alla strage Redattore Sociale, 19 luglio 2010 Il commento di Salvo Fleres dopo la morte di Rocco Manfrè, avvenuta nel carcere di Caltanissetta ieri mattina e ancora avvolta nel mistero. “Caldo, sovraffollamento e carenza di personale rendono gli istituti invivibili” “Si chiamava Rocco Manfrè e il suo ingresso in carcere era avvenuto soltanto 2 giorni prima - dice il garante dei detenuti della Sicilia. L’allarme è stato dato dal compagno di cella e, malgrado il tempestivo intervento dei sanitari e l’immediato ricovero presso il vicino ospedale, per il detenuto non c’è stato nulla da fare. Il caldo, il sovraffollamento, la carenza di personale e la inadeguatezza delle carceri sono alcune delle problematiche che rendono invivibili le strutture penitenziarie”. “A poco valgono le circolari del dipartimento contenenti indicazioni per affrontare questi mesi estivi quando le strutture non sono in grado di garantire neanche l’ordinaria amministrazione. Le poche iniziative intraprese dal governo devono immediatamente essere supportate da altre ormai divenute improcrastinabili. Il piano carceri, l’assunzione di psicologi ed educatori - continua Salvo Fleres -, il concorso per il personale di polizia penitenziaria, il ricorso a forme alternative al carcere, laddove possibili, sono delle misure da adottare con la massima sollecitudine”. Rocco Manfrè si è tolto la vita tre giorni dopo il suo arresto. L’uomo è stato trovato morto nella sua cella all’interno del carcere di Caltanissetta. La sua morte è avvenuta ieri mattina ed è ancora avvolta nel mistero. Se, come in effetti, si tratta di un suicidio o di un malore improvviso, lo stabilirà l’autopsia che verrà eseguita già da oggi. Rocco Manfrè, 61 anni, era stato arrestato venerdì scorso nell’ambito dell’operazione “Mantis religiosa” per l’omicidio e l’occultamento del cadavere di Agostino Reina, avvenuto nel giugno del 1992. Sono stati i compagni di cella a chiamare le guardie carcerarie. Ci si chiede come nessuno si sia accorto di quanto stava avvenendo. Manfrè infatti non era da solo in cella, visto che non era sottoposto al regime carcerario duro. Era in compagnia di altri detenuti. Oggi avrebbe dovuto essere interrogato dal Gip. “Le condizioni sommariamente descritte evidenziano palesi violazioni di legge del tutto ignorate dalla magistratura che interpreta l’obbligatorietà dell’azione penale con scandalose discriminazioni che non possono più essere taciute né ignorate dal ministero della Giustizia che - afferma il garante Fleres -, così stando le cose, rischia di diventare complice di quella che, ormai, può ben definirsi “la strage delle carceri”. Vorrei concludere riportando le parole di alcuni detenuti dell’Ucciardone sperando che questo possa fornire uno stimolo per quanti non hanno ancora ben compreso le condizioni di vita all’interno delle carceri del nostro Paese, mi è stato detto: “Questo è il Governo dei record: record di arresti; record di interventi legislativi in materia, adesso si vuole pure raggiungere il record di suicidi?”. Giustizia: Sappe; situazione dei penitenziari sempre più allarmante, urgente intervenire Ansa, 19 luglio 2010 “La situazione penitenziaria è sempre più incandescente. Lo confermano drammaticamente i gravi episodi accaduti nelle ultime ore in alcune carceri italiane: detenuti che evadono (Lecco), che si suicidano (Caltanissetta e Sassari) o che ci provano ma il più delle volte vengono salvati dai nostri Agenti (Piacenza, Enna e Cagliari). Lo confermano le manifestazioni e le proteste di detenuti sempre più violente ma soprattutto le gravi e inaccettabili aggressioni ai nostri Baschi Azzurri, unici rappresentanti dello Stati impegnati 24 ore al giorno nella prima linea delle sezioni detentive delle carceri. Ma le istituzioni e il mondo della politica non possono più restare inermi e devono agire concretamente. La frequenza di questi gravi episodi un po’ in tutta Italia e l’assenza di concreti provvedimenti per il sistema carcere da parte delle Istituzioni e della politica ci fanno fare una sola domanda. Dove succederà la prossima rivolta?” È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, la prima e più rappresentativa organizzazione di Categoria, che torna a sottolineare anche le gravi carenze di organico del Corpo. Capece rinnova alcune proposte del Sappe: “Oggi la Polizia Penitenziaria ha carenze organiche quantificate in 6mila unità: accelerare sulle previste assunzioni di 2mila nuovi Agenti è estremamente importante. Ma abbiamo bisogno di una nuova politica della pena. Bisogna ripensare il carcere e l’Istituzione penitenziaria, favorendo un maggiore ricorso alla misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva. Rendiamo concreta la possibilità che i detenuti stranieri scontino la pena nelle carceri del proprio Paese d’origine. Ancora: circa 20mila degli attuali detenuti sono condannati a pene inferiori a 3 anni. Questi detenuti con pena inferiore ai tre anni potrebbero essere affidati ai servizi sociali e impiegati in lavori socialmente utili.” Giustizia: Uil-Pa; suicidi e evasioni, chi dovrebbe amministrare il sistema penitenziario pensa ad altro Il Velino, 19 luglio 2010 “Il cupo pallottoliere della conta funebre fa segnare quota 37. Tanti sono, infatti, i detenuti che si sono suicidati all’interno delle carceri italiane dal 1 gennaio di questo funesto 2010. La conta si aggiorna con gli ultimi due suicidi di ieri. Uno a Sassari, un italiano 52enne. L’altro a Caltanissetta, un detenuto italiano 65enne. Come se non bastasse, a rendere ancora più convulsa la giornata ci si è messa anche la doppia evasione di Lecco”. La Uil Pa Penitenziari, che aggiorna quotidianamente sugli eventi critici in ambito carcerario attraverso la pagina web “Diario di Bordo”, pubblicata sul sito www.polpenuil.it, denuncia “lo stato di profonda crisi e di vera emergenza che attraversa l’universo penitenziario”. Solo negli ultimi otto giorni - ricorda Sarno - si sono verificati tre suicidi, due evasioni, cinque agenti feriti e ben sette sono i suicidi sventati in extremis dalla Polizia penitenziaria (due a Frosinone; uno a Siracusa, Locri, Piacenza, Genova Marassi e Rovereto). Senza dimenticare le proteste messe in atto, per ragioni diverse, dai detenuti a Lanciano, Frosinone e Saliceta San Giuliano. Insomma una settimana orribile. Purtroppo abbiamo fondati motivi di ritenere che non sarà l’ultima. I 37 suicidi in cella, i 66 tentati suicidi sventati dalla polizia penitenziaria, le sette evasioni, le otto tentate evasioni, i 121 agenti feriti (per aggressioni da parte dei detenuti) in qualsiasi Paese del mondo avrebbero generato allarme, attenzione, discussioni e soluzioni. In Italia, invece, chi dovrebbe guidare ed amministrare il sistema penitenziario è in tutt’altre cose indaffarato”. Giustizia: Movimento “Clemenza e dignità”; il sovraffollamento rende la pena ingiusta Il Velino, 19 luglio 2010 “La pena deve essere scontata sino all’ultimo giorno. Questa sarà la contestazione che sempre più frequentemente verrà mossa nei confronti di tutti coloro che si adopereranno per questa grande emergenza umanitaria”. È quanto afferma in una nota Giuseppe Maria Meloni, presidente del movimento Clemenza e Dignità. “In effetti - prosegue Meloni - ragionando su un piano formale, il nostro sistema sanzionatorio è generalmente fondato sulla pena detentiva, ed è prevalentemente attraverso il fattore tempo che si realizza la proporzionalità di quella stessa pena ai diversi fatti di reato, con la conseguenza che, al di là delle concrete condizioni in cui viene scontata, non rispettare i tempi della pena vuol dire rompere questa proporzionalità, vuol dire rinunciare all’esatto corrispettivo del male commesso”. Da un punto di vista formale, osserva Meloni se “consapevoli del fatto che il diritto nasce per la vita di tutti i giorni, guardassimo anche alla realtà, al sovraffollamento oltre ogni limite, alla circostanza che ogni detenuto possiede circa due metri quadrati a disposizione per sopravvivere stipato in una cella insieme a tanti altri, al caldo torrido di questi giorni estivi in penitenziari che scottano come forni, alle carenze igieniche e sanitarie, ai suicidi, ai tentati suicidi e a tanto altro, saremmo costretti a constatare che pur nell’osservanza dei termini temporali stabiliti, di quel tempo che dovrebbe garantire l’esatta proporzione, si sta diffusamente verificando una sproporzione della pena rispetto al fatto commesso. Su un piano fattuale e non formale, - prosegue il presidente di Clemenza e Dignità - si sta, quindi, profilando il fenomeno dell’ingiustizia della pena, perché è proprio nella proporzionalità al fatto commesso che, invece, risiede la giustizia della pena stessa, la sua forza etica”. Conclude Meloni, “si sta verificando un fenomeno assimilabile alla vendetta, che molto spesso nella sua emotività risulta essere sproporzionata all’entità del male subito”. Giustizia: Alfano e Ionta in carceri di Palermo Roma e Milano per commemorare Borsellino Asca, 19 luglio 2010 Il Ministro della Giustizia Angelino Alfano e il Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Franco Ionta commemoreranno oggi alle ore 19, nelle tre carceri di Palermo, Roma e Milano il sacrificio di Paolo Borsellino e della sua scorta. Nei tre istituti (Ucciardone, Rebibbia nuovo complesso e Opera) sarà proiettato il documentario “57 giorni a Palermo”, realizzato dalla redazione di “La Storia siamo noi” di Gianni Minoli che ripercorre le ultime tappe della vita e il sacrificio del giudice Paolo Borsellino. “Lasceremo - afferma il Guardasigilli - che sia proprio Paolo Borsellino a parlare al cuore dei detenuti. L’iniziativa di oggi rientra in un’ottica rieducativa più ampia in cui l’uomo è al centro, protagonista ed artefice unico della propria definitiva sconfitta o del proprio riscatto. Un documentario che mostri qual è il prezzo per la morte della legalità e il valore assoluto dell’estremo sacrificio perché questa trionfi, è, secondo noi, un modo per dire grazie al giudice Borsellino per il suo straordinario lavoro e grazie all’uomo Borsellino, perché, nel suo tempio interiore, ha voluto così celebrare l’importanza immortale di quei principi etici ai quali tutti dovrebbero ricondursi”. Sulla stessa linea si è espresso il Capo del Dap Franco Ionta: “Crediamo che proprio dal carcere debba arrivare chiaro il segnale che il sacrificio di uomini come Paolo Borsellino e Giovanni falcone non sia stato vano. Non esiste rieducazione se non vi è una sana e convinta adesione ai valori della legalità. Abbiamo il dovere di offrire ai detenuti occasioni di riflessione e opportunità di cambiamento che inducano a ripensare le scelte che hanno condotto sulla strada del delitto. Siamo convinti che la visione del documentario dedicato al sacrificio di Paolo Borsellino e della sua scorta, nei detenuti che vi assisteranno, possa toccare corde di riflessione in maniera più efficace di discorsi e convegni. Il rispetto per la legalità si ottiene anche attraverso la conoscenza e l’esempio di uomini come Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per gli ideali della democrazia che appartengono a tutti noi”. Lettere: Comitato educatori penitenziari; una “lettera aperta” al ministro Alfano e al Parlamento Lettera alla Redazione, 19 luglio 2010 Il Comitato vincitori idonei del concorso per educatori penitenziari, basito per l’irragionevole e indegno atteggiamento tenuto dal Governo rispetto all’emergenza scoppiata ormai da tempo nelle nostre carceri, causa di disagio e di morte di detenuti e di operatori penitenziari civili e militari, vuole segnalare altri due gravissimi fatti che stanno avvenendo in questo periodo e che continuano a perpetrare questo scempio sotto gli occhi di noi tutti. È oramai dall’inizio della vigente legislatura che si parla di un certo Piano Carceri - ancora tutto da scoprire! - e di un ricorso massiccio alle misure alternative alla detenzione, ciò di cui però il Governo evita accuratamente di dire e di fare è un serio programma volto all’assunzione di un adeguato numero di educatori penitenziari nelle carceri italiane, grazie solo ai quali si possono porre in essere le opportune relazioni che consentono l’accesso alle misure alternative alla detenzione, e allo stesso tempo, per coloro che non possono usufruire di dette misure, l’educatore è la figura professionale preposta all’organizzazione e alla realizzazione di tutti quei percorsi rieducativi previsti dalla nostra Costituzione affinché l’esperienza carceraria diventi un proficuo momento di passaggio verso il futuro reinserimento sociale. In realtà nell’ormai lontano 2003 veniva indetto un concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di Educatore, Area C, posizione economica C1, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 30 del 16 aprile 2004. Dopo ben quattro anni di procedura concorsuale, il 15 dicembre 2008 nel Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 23, veniva pubblicata la graduatoria ufficiale definitiva del suddetto concorso. Conseguentemente,nel Bollettino Ufficiale del Ministero della Giustizia n. 12 del 30 giugno 2009 veniva avviata la procedura di assunzione soltanto dei primi 86 vincitori del suddetto concorso a cui seguirono altre 16 vincitori a causa delle rinunce avutesi, come da Bollettino Ufficiale n. 16 del 31 agosto 2009. Infine, il 12 aprile del 2010 avveniva l’assunzione dell’ultima trance rimanente ovvero dei restanti 295 vincitori. In tale data, con qualche aggiunta successiva, sono emerse ben 45 rinunce tra i vincitori. Le 45 unità quindi rimaste scoperte immediatamente avrebbero potuto essere coperte tramite scorrimento della vigente graduatoria, ma, dopo la data del 24 maggio 2010,data in cui, tramite comunicazione scritta, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria invitava gli idonei utilmente collocati, a redigere in ordine di preferenza, un fax contenente le sedi rimaste vacanti dalle rinunce, non si hanno più notizie circa l’assunzione di questi 45 idonei per la quale gli uffici competenti al momento non danno una data né nessuna risposta in merito alle assunzioni. Stando così le cose, ci chiediamo per quale motivo non si procede con il completamento dell’assunzione visto che per i 45 idonei non deve essere stanziato neanche un Euro in più rispetto a quanto già fatto in occasione dell’assunzione dei 295 vincitori suddetti dato che questi 45 idonei subentrano per rinuncia? Inoltre, neanche la paventata riduzione delle piante organiche o il blocco delle assunzioni può sortire effetto sulla mancata assunzione dei 45 educatori in attesa da ben sette anni, stando al fatto che il procedimento che li riguarda è un refuso di un iter già avvito avulso da tali situazioni di tagli, riduzioni, blocchi e chi più ne ha più ne metta? Perché questa importantissima forza lavoro (praticamente già compresa nel budget delle recenti assunzioni) non viene assunta immediatamente e utilizzata in un momento così tragico per le nostre carceri? Non potendo, evidentemente, addurre motivazioni di ordine finanziario, qual è la spiegazione di cotanta vergognosa e indecorosa mancata assunzione dei 45 idonei? Quante altre morti, sofferenze, disagi, violenze, deprivazioni dovranno avvenire? Adesso basta con le chiacchiere, non si può più attendere, si assumano subito questi 45 educatori in attesa, soprattutto ora, momento in cui anche una sola unità di tale profilo professionale, visto il suo compito, rappresenta una preziosa risorsa, senza contare che secondo uno studio condotto di recente, nonostante queste ultime assunzioni, mancano ancora ben 609 educatori. Inoltre, in occasione del riesame del ddl 3290 bis sulla detenzione domiciliare alla Commissione Giustizia questo Comitato ritiene necessario svolgere alcune osservazione. Un provvedimento importante come il ddl Alfano che vede quale punto centrale per la risoluzione del sovraffollamento carcerario la misura alternativa alla detenzione concessa, per i soggetti già detenuti, sulla base della relazione comportamentale dell’istituto, richiede, necessariamente, un adeguamento del personale dell’area deputata al trattamento, in quanto a fronte di una popolazione detenuta che ha ormai raggiunto quota 68.021 detenuti, la carenza di personale educativo rischierebbe di provocare una vera e propria implosione del sistema penitenziario. L’elevatissimo numero di detenuti non ha un corrispondente aumento del numero degli educatori, cosicché il rapporto detenuti/educatori risulta sempre più alto, come emerso da uno studio condotto da Carcere Possibile Onlus, secondo cui, ad oggi il rapporto educatore/detenuto è di circa 1 a 1000 . Questa ormai insostenibile e inaccettabile discrasia comporta che ad ogni educatore spetta l’osservazione di un numero di reclusi troppo elevato con la conseguenza di poter dedicare una quantità di tempo ed attenzione via via inferiore ad ognuno di essi. Il risultato è che non sempre è possibile per il personale portare a termine le relazioni osservative che costituiscono parte integrante del percorso carcerario dei singoli individui e che sono necessarie per potere inoltrare istanze di affidamento o richieste di detenzione domiciliare. Perciò c’è chi rimane in carcere per “l’insufficienza della documentazione prodotta”. Orbene, se già ora le relazioni giungono in ritardo non si comprende come possa riuscire il ddl Alfano, senza l’incremento di personale educativo, fare i conti con la realtà penitenziaria. Con queste cifre non sarà possibile attuare il ddl Alfano perché non si potrà rispondere tempestivamente alle incombenze del personale pedagogico interessato alla produzione delle relazioni comportamentali ex art. 1 comma 3. L’incremento di unità di personale pedagogico è condizione imprescindibile per la concreta applicazione di quanto previsto nel ddl 3290bis. Pochi educatori significa: poche relazioni da inviare alla magistratura di sorveglianza, impossibilità di attuare il trattamento, inasprimento delle condizioni di detenzioni. L’affermazione dell’Onorevole Caliendo di utilizzare i fondi stanziati in finanziaria, esclusivamente, per l’assunzione di duemila agenti di polizia penitenziaria è certamente degna di rispetto ma, appare insufficiente per fronteggiare la situazioni di invivibilità in cui versano le carceri italiane, affinché l’esperienza carceraria non assuma solo carattere custodiale e punitivo, come avviene ormai da troppo tempo vista la cronica carenza di educatori. Il carcere non può solo “sorvegliare e punire” ma deve soprattutto rieducare. Valorizzando esclusivamente, l’aspetto custodiale della pena si rischia di violare il dettato dell’art. 27 della Costituzione e si rendere il carcere un momento di vita privo di qualsiasi carattere valoriale positivo e propositivo in vista del futuro ritorno nella società. In molti Istituti le attività trattamentali sono ridotte all’osso, i detenuti di conseguenza passano l’intera giornata nelle celle imprigionati in un tempo eterno. Questo stato di immobilità delle attività trattamentali si ripercuote sulla vivibilità dell’intero sistema penitenziario contribuendo ad aumentare lo stato di frustrazione ed aggressività generato dalle pratiche deresponsabilizzanti e infantilizzanti che riducono all’impotenza. Recenti studi sull’aggressività hanno evidenziato che la condizione psicologica di chi non fa niente si risolve nel puro e semplice aspettare con conseguente degrado psichico e aumento dello stato di frustrazione e la frustrazione genera aggressività. Infatti, numerosissime sono state negli ultimi anni aggressioni ad agenti penitenziari (vedi Carcere di Genova, Porto Azzurro, Napoli Poggioreale, Palermo Ucciardone) e l’incremento del personale deputato al trattamento sarebbe d’aiuto agli agenti penitenziari in quanto rappresenterebbe un canalizzatore dell’aggressività. Inoltre, questo Comitato ritiene che l’articolo aggiuntivo Schirru-Ferranti che esclude il Dap dalla riduzione della pianta organica e dal blocco delle assunzioni costituisce una vera e propria presa di coscienza dell’assunto secondo il quale non può esserci alcun miglioramento delle condizioni di detenzione senza l’incremento di personale educativo. Per un sistema in crisi per il quale il Governo ha ritenuto di dover dichiarare lo stato di emergenza occorre prendere impegni seri e concreti ed invece fino ad ora il ddl Alfano corre il rischio di rimanere senza braccia per l’eliminazione di quegli articoli che rappresentano il collegamento norma-realtà, in quanto manca la copertura finanziaria. Ed allora facciamo due conti e vediamo se quadra il bilancio: quanto costa un detenuto allo Stato? Ogni detenuto costa allo stato, giornalmente 112 euro. Le persone in carcere sono circa 70 mila, pertanto lo stato spende in media 8,5 milioni di euro al giorno. In un’analisi di costi e benefici una riduzione della popolazione carceraria porterebbe, matematicamente, ad un considerevole risparmio di spesa pubblica . Inoltre, un programma di trattamento individualizzato che si conclude con l’espiazione della pena in misura alternativa previene la recidiva. Infatti l’ultima ricerca sul Rapporto Misure Alternative e Recidiva presentato al convegno del 19 marzo 2010 tenutosi a Roma evidenzia che solo il 14,6% delle persone che scontano la parte conclusiva della condanna in misura alternativa commette un nuovo reato contro il 67% di chi espia tutta la pena in carcere. Ancora da studi effettuati emerge che il 75% dei detenuti che non hanno potuto effettuato un percorso riabilitativo o rieducativo torna a delinquere, la percentuale di recidiva si abbassa al 35% per chi ha potuto seguire un percorso formativo- riabilitativo. Ci e Vi domandiamo: Quanto risparmierebbe lo Stato nel medio e lungo termine se avesse il coraggio di investire sulla rieducazione? Per i motivi suesposti, riteniamo che il Dap debba predisporre immediatamente l’assunzione dei 45 idonei suddetti ed il Governo debba predisporre celermente un piano straordinario di assunzioni di educatori penitenziari da attingersi dalla vigente graduatoria del concorso pubblico per esami a 397 posti nel profilo professionale di educatore, area c, posizione economica c1, indetto con pdg 21 novembre 2003. Una scelta in tal senso rappresenterebbe la chiave di volta per un chiaro e ben preciso impegno di responsabilità affinché la drammatica situazione che affligge il pianeta carcere possa finalmente essere affrontata in maniera seria ed efficace. Anna Fasulo Comitato vincitori e idonei concorso educatori penitenziari Lettere: medici del reparto “Medicina protetta” a Viterbo sempre disponibili per parenti dei detenuti Lettera alla Redazione, 19 luglio 2010 Leggo sulla vs Rassegna stampa del 16.07.2010 (Redattore Sociale) che il Sen. Marino avrebbe affermato che il protocollo che consente il colloquio tra familiari di degenti e medici ospedalieri, firmato tra Prap Lazio e Asl RmB dovrebbe essere esteso anche all’Ospedale Belcolle di Viterbo. Mi è gradito informare tutti gli interessati che a Viterbo, dalla data di apertura del reparto di Medicina protetta - Malattie Infettive nel 2006, i dirigenti medici hanno da sempre ricevuto e colloquiato con i visitatori dei pazienti sia in reparto che negli attigui ambulatori per esterni, e questo anche con la collaborazione piena del pool di polizia penitenziaria che svolge servizio in reparto. Giulio Starnini Direttore U.O. Medicina protetta - Malattie Infettive Viterbo Padova: detenuto di 39 anni ritrovato morto in cella, forse il decesso è stato causato dal caldo Ristretti Orizzonti, 19 luglio 2010 Sabi Tauzi, detenuto marocchino di 39 anni, viene ritrovato cadavere in cella. Ex tossicodipendente, era in carcere per droga e avrebbe finito di scontare la pena nel 2014. Il medico legale ha dichiarato che la morte è sopraggiunta per “cause naturali”, ma comunque è stata disposta l’autopsia. Le Associazioni di volontariato e la Fp-Cgil Penitenziari avevano segnalato da tempo le condizioni pesantissime del sovraffollamento, aggravate dal caldo torrido, chiedendo di intervenire con misure per alleviare il disagio insopportabile: sabato in città il termometro segnava 38 gradi e nelle celle del “Due Palazzi” la temperatura arrivava a 40 gradi. Fonti istituzionali dichiarano invece che la temperatura nelle celle era “assolutamente accettabile” e che Tauzi divideva la cella (progettata per 1 persona) “con un solo altro detenuto”. Comunque finalmente i blindi sono stati aperti anche la notte e pare che verrà autorizzato l’acquisto di piccoli ventilatori. Nella Casa di Reclusione di Padova dall’inizio dell’anno sono morti già 4 detenuti; prima della morte di Sabi Tauzi, infatti, sono avvenuti 3 suicidi: Santino Mantice, 25 anni, si è impiccato il 30 giugno scorso; Giuseppe Sorrentino, 35enne, si è ucciso il 7 marzo e Walid Aloui, 28 anni, il 23 febbraio. Comunicato della Conferenza regionale volontariato giustizia del Veneto Un’ennesima morte in carcere. Nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova è stato trovato morto ieri notte un ragazzo marocchino di 39 anni. In attesa di conoscere le cause del decesso rimaniamo sbigottiti perché si tratta della quarta morte in pochi mesi nella casa di reclusione. Giusto Ieri avevamo chiesto al Magistrato di Sorveglianza di verificare la necessità di tenere chiuse le porte blindate la notte che, con questo caldo ed il sovraffollamento insostenibile, rendono la vita ancora più dura. Tutto il volontariato italiano, impegnato in ambito giustizia, da alcune settimane è in mobilitazione per chiedere maggior rispetto e attenzione alle condizioni di vita della popolazione ristretta. Chiediamo al Provveditore Regionale di verificare, in tutte le strutture penitenziarie che ricadono sotto la sua responsabilità, la corretta applicazione delle recenti circolari del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Giustizia che chiedono maggiori possibilità di usufruire di spazi aperti, di incontri con i familiari con possibilità di telefonare anche a cellulari e di incentivazione del volontariato perché aumenti la sua presenza nelle strutture, anche fino alle ore 18.00. Purtroppo per quasi tutte le carceri venete non ci risulta la corretta applicazione delle misure previste; nelle carceri di Belluno e Treviso il volontariato viene addirittura scoraggiato. Lo stillicidio continuo delle morti in carcere e lo stato di abbandono e inciviltà in cui versano, richiedono a tutti segni concreti di responsabilità. Per questo e per tutta l’estate il volontariato veneto sarà presente in carcere ma anche nelle piazze per far sentire il proprio disagio e le proposte alternative che da tempo sta praticando quotidianamente. Il responsabile della conferenza regionale volontariato giustizia del veneto Maurizio Mazzi Sabi frequentava da alcuni mesi il laboratorio di formazione della legatoria… Sabi frequentava da alcuni mesi il laboratorio di formazione della legatoria della cooperativa AltraCittà nella Casa di Reclusione. Aveva già una preparazione di base acquisita in un altro istituto, e la cooperativa stava valutando la possibilità di assumerlo e inserirlo nella produzione da settembre. I detenuti della legatoria (Anatolie, Antonio, Alberto, Giuseppe, Eduart, Ismail, Natale, Zemiro) sono sconvolti e addolorati. Gli operatori della cooperativa (Michele, Mistica, Sabrina) esprimono stupore e dolore; unanimi ricordano che Sabi è stato nel corso persona attenta, educata, desiderosa di apprendere e di mettersi alla prova nelle realizzazioni artigianali. Concordano anche nel definire il carattere di Sabi riservato, rispettoso delle regole, forse un po’ triste. Tutti gli oggetti creati nel laboratorio durante le lezioni saranno inviati come ricordo alla famiglia. Alleghiamo una testimonianza del nostro artigiano Michele Orlandi. Rossella Favero cooperativa AltraCittà Purtroppo non ho avuto modo di approfondire la conoscenza di Sabi in questi mesi di corso, vuoi per l’attività che ci ha impegnati nelle poche ore a disposizioni, ma anche per la riservatezza e la timidezza che penso fossero aspetti importanti del suo carattere. Immagino lui fosse un ragazzo che svela poco a poco la sua personalità, a differenza di altri più estroversi e loquaci. Ricordo che l’ultimo giorno di corso, a fine mattinata, un ragazzo suo amico è venuto a salutarlo e me l’ha descritto con entusiasmo come un abile intagliatore di legno; Sabi l’ha ammesso timidamente, con pudore, più con un sorriso che a parole. Sarebbe stato un piacere lavorare con lui anche per conoscerne un po’ alla volta le qualità. Come artigiano era preciso e diligente; nonostante fosse già a conoscenza delle tecniche della legatoria, e dunque certi insegnamenti fossero per lui superflui, si è sempre prestato di buon grado ad eseguire tutti i compiti che gli erano assegnati. Mi è capitato più volte di vedere lui ed Ismail prendere di loro iniziativa quelle misure e fare quei conti indispensabili per il proseguo del lavoro, dimostrando un approccio attivo e partecipe all’attività del laboratorio. Sono molto dispiaciuto nel leggere le circostanze della sua morte e nell’apprendere di una pena da scontare che l’avrebbe restituito alla sua famiglia in tempi non lunghi. Michele Cagliari: Caligaris (Sdr); nel carcere di Buoncammino detenuta nigeriana ha tentato il suicidio Adnkronos, 19 luglio 2010 Mercoledì scorso c’è stato un tentativo di suicidio da parte di una detenuta nigeriana nel carcere di Buoncammino di Cagliari. Ne da notizia Maria Grazia Caligaris, presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme (Sdr). “Le condizioni di sovraffollamento - afferma Caligaris - il numero inadeguato di Agenti di Polizia Penitenziaria nonché il diffuso malessere accentuato dal caldo soffocante e l’assenza di alternative sono le principali cause del disagio nelle carceri italiane. Il nuovo tentato suicidio a Buoncammino non è casuale rappresenta l’ennesimo documento umano di una realtà a tinte fosche”. La donna, che è stata salvata grazie al pronto intervento della compagna di cella e delle agenti in servizio, è attualmente ancora ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale Is Mirrionis di Cagliari. “Quando il numero dei detenuti cresce in maniera esponenziale - sottolinea Caligaris - è molto difficile tenere sotto controllo l’inevitabile disagio che peraltro aumenta a dismisura nel periodo estivo quando gli episodi di autolesionismo raggiungono percentuali elevatissime A Buoncammino sono stati superati abbondantemente i limiti di guardia e dentro le celle si moltiplicano le difficoltà con altissimi rischi di episodi incontrollabili. A fronte di oltre cinquecentotrenta detenuti si registra un numero di Agenti inadeguato. Mancano infatti 70/80 unità per garantire la sicurezza e prevenire episodi drammatici. Né si può ignorare che le condizioni di salute di molti detenuti sono gravi e che l’inattività moltiplica il senso di inutilità dell’esistenza”. Piacenza: rischio di chiusura per una classe della scuola secondaria superiore nel carcere Piacenza Sera, 19 luglio 2010 Nei giorni scorsi l’assessore regionale alle Politiche Sociali Maria Teresa Marzocchi, alla presenza del Prefetto Silvana Riccio, ha incontrato il Comitato esecuzioni adulti di Piacenza presso il carcere di via delle Novate. Ad accoglierla il direttore della casa circondariale Caterina Zurlo e gli assessori alle Politiche Sociali di Comune e Provincia Giovanna Palladini (che presiede il Comitato) e Pierpaolo Gallini. Durante l’incontro sono stati illustrati i problemi del carcere piacentino e le attività messe in atto sia dalle istituzioni che dal terzo settore. Ampio spazio è stato dato alla questione del sovraffollamento della casa circondariale, “un problema questo - è stato detto durante l’incontro - che l’emergenza caldo rende ancora più stringente”. I dati sono infatti allarmanti, “tant’è che nelle celle di 11 metri quadrati ciascuna, costruite per un solo ospite della struttura, sono presenti mediamente tre persone” e i detenuti sono oltre 400, “un numero eccessivo” hanno aggiunto i componenti del Comitato. L’assessore Marzocchi ha sottolineato infatti “l’urgenza di misure tese ad alleggerire la situazione e la volontà della Giunta regionale di mettere in atto tutte le azioni possibili sulla base delle proprie competenze”. All’assessore regionale è stato anche paventato il rischio di chiusura di una delle cinque classi della scuola secondaria superiore attivata all’interno del istituto penitenziario. Particolare attenzione l’assessore regionale ha riservato all’illustrazione da parte del Comitato, delle attività rieducative e finalizzate al reintegro nel mondo del lavoro messe in campo sia a livello istituzionale con l’Ufficio esecuzione penale esterna, sia grazie al supporto di associazioni quali Caritas, La Ricerca, il Centro servizi per il volontariato e cooperativa Futura. “Il Prefetto Silvana Riccio ha infine sottolineato la necessità di una stretta collaborazione e percorsi condivisi tra le varie realtà operanti a livello locali, riscontrando a Piacenza un buon livello di sinergie”. Lecco: Sappe; l’evasione di due detenuti riprova che servono circuiti penitenziari differenziati Ansa, 19 luglio 2010 “L’evasione di due detenuti dal carcere di Lecco è certamente motivo di preoccupazione ma ora l’interesse primario è coadiuvare attivamente le ricerche con le altre Forze di Polizia per catturare i fuggitivi. Certo questo grave episodio, soprattutto in relazione al profilo criminale di uno dei due evasi, impone l’esigenza di definire quanto prima i circuiti penitenziari differenziati. Non è possibile oggi avere in un carcere (e spesso anche nella stessa cella) delinquenti dai diversi gradi di pericolosità: dai criminali incalliti al tossicodipendente”. È quanto dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, in relazione all’evasione di due detenuti oggi dal carcere di Lecco. “Sarà la magistratura ad accertare eventuali responsabilità di quanto avvenuto. Ma certo questo grave episodio deve fare riflettere. Da tempo immemore il Sappe sostiene l’esigenza di definire i circuiti penitenziari differenziati in relazione alla gravità dei reati commessi, con particolare riferimento al bisogno di destinare, a soggetti di scarsa pericolosità, specifici circuiti di custodia attenuata e potenziando il ricorso alle misure alternative alla detenzione per la punibilità dei fatti che non manifestano pericolosità sociale”, conclude la nota. Lecco: Osapp; evasioni sono causate anche della confusione che regna nel sistema penitenziario Apcom, 19 luglio 2010 “Difficile comprendere le ragioni per le quali un detenuto di tale pericolosità e con pena residua di 9 anni in quanto accusato di omicidio potesse essere detenuto in un carcere quasi a “custodia attenuata” quale quello di Lecco”. A dichiararlo è Leo Beneduci segretario generale dell’Osapp, riferendosi all’evasione dalla casa circondariale di Lecco di Romeo Nicodemo, evaso insieme ad un altro detenuto. “Ben altre strutture penitenziarie in Lombardia - aggiunge i sindacalista - quali Milano-Opera o Monza si sarebbero potute considerare maggiormente idonee”. “Soprattutto a Lecco - prosegue il leader dell’Osapp - non c’è la sentinella sul muro di cinta e non è mai stato attivato in quell’istituto nemmeno il servizio di sorveglianza esterna auto-montato che più volte avevamo richiesto come sindacato”. “A parte le responsabilità specifiche che saranno le Autorità ad accertare, nell’attesa che i due evasi vengano ripresi - conclude Beneduci - come sindacato siamo convinti che certi eventi, speriamo isolati, derivino dalla confusione che oramai impera nelle carceri italiane a fronte degli oramai 69.000 detenuti presenti e dell’assenza di interventi diversi da quelli edilizi da parte del Ministro Alfano e del capo dell’Amministrazione Ionta”. Lecco: Uil-Pa Penitenziari; l’evasione è uno schiaffo alle politiche della sicurezza Ansa, 19 luglio 2010 “La doppia evasione dalla Casa Circondariale di Lecco è uno schiaffo in pieno viso ad Alfano e Ionta, incapaci di strutturare politiche di prevenzione e sicurezza”. Lo afferma Eugenio Sarno, segretario generale Uil-Pa Penitenziari. “Troppo impegnati nel redigere un piano carceri fantasma, che nulla risolve nell’immediato, hanno assistito, silenti ed immobili, al depauperamento degli organici e alla massiccia potatura dei fondi destinati al penitenziario. La massa di agenti mobilitati dagli istituti penitenziari verso i palazzi romani, di cui il Ministro e il Capo del Dap sono pienamente coscienti - è detto nella nota - hanno assottigliato oltremodo i presidi di sicurezza”. “Da tempo avevamo avvisato che i poliziotti penitenziari di prima linea non avrebbero potuto costituire un argine ad azioni organizzate, com’è certamente quella di Lecco. Così come con estrema nettezza e chiarezza non abbiamo remore nel ribadire che episodi così eclatanti potrebbero appartenere alla quotidianità penitenziaria. Ora il Capo del Dap Ionta convochi i sindacati e discuta con loro un piano di rientro delle unità impiegate fuori dall’ambito penitenziario. Analogamente invitiamo il ministro Alfano a smetterla con sterili annunci e comunichi modalità, data e numeri delle annunciate assunzioni”. Immigrazione: Ferrante (Pd); situazione nei Cie sta sfuggendo di mano al governo Il Velino, 19 luglio 2010 “Le fughe e i disordini scoppiati nei Centri di identificazione ed espulsione di Milano e Gradisca sono il risultato delle fallimentari politiche immigratorie del governo italiano che fa suoi provvedimenti degni di passate dittature sudamericane. Sospendere i diritti civili dei cittadini stranieri rinchiudendoli nei Cie per sei mesi, magari solo perché privi del permesso di soggiorno, è indegno di un paese civile e, come i cittadini hanno ben chiaro, non ha portato nessun beneficio in termini di sicurezza”. È quanto dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante. “È di tutta evidenza - continua Ferrante - che la situazione nei centri di identificazione e nelle carceri italiane sta sfuggendo di mano al governo che non riesce ad assicurare quelle condizioni minime e indispensabili a coloro che sono sottoposti a misure detentive: ben 36 persone si sono suicidate quest’anno nelle carceri italiane, un numero impressionante che, insieme al drammatico sovraffollamento e alle condizioni insostenibili causate dalla stagione estiva, determinano la situazione esplosiva delle carceri italiane. Situazione a rischio che viene denunciata in ugual misura dai sindacati degli agenti penitenziari e dalle associazioni, concordi nel chiedere migliori condizioni per i carcerati e per gli agenti in netta difficoltà. È stucchevole e offensivo ascoltare la richiesta di aprire nuovi Cie o di costruire nuove carceri, ritornello stanco della destra, quando non si affronta in maniera organica il problema - conclude l’esponente del Pd -, con provvedimenti mirati come la riduzione del numero di persone in custodia cautelare e rivedendo i meccanismi di obbligatorietà della carcerazione preventiva, estendendo l’applicazione degli arresti domiciliari”. IMMIGRAZIONE: MSF; CIE ESPLOSIVI,ATTIVITÀ VA RIVISTA 13 CIE IN ITALIA CON 1.920 POSTI.MARONI, ENTRO FINE ANNO ALTRI 4 Ansa, 19 luglio 2010 I tentativi di fuga dai Centri di identificazione di Milano e Gradisca d’Isonzo sono l’ennesimo campanello d’allarme: la situazione nei Cie, dopo l’entrata in vigore del pacchetto sicurezza che ha allungato da 2 a 6 mesi i tempi di trattenimento dei clandestini, “rischia di rivelarsi esplosiva”. Medici senza frontiere aveva dato l’allarme già a febbraio, pubblicando il rapporto “Al di là del muro”: un viaggio all’interno dei Centri per gli immigrati svolto tra l’inverno del 2008 e l’estate del 2009. E sono diversi i motivi per i quali i 13 Cie italiani, sottolinea Msf nel suo rapporto, rischiano di esplodere: la “mancanza di linee guida per la pianificazione e la gestione dei servizi, elevata presenza di stranieri ex detenuti (40%), promiscuità tra trattenuti con condizioni sociali, legali e psicofisiche eterogenee”. Ma soprattutto, segnalava Msf, “l’allungamento da 60 a 180 giorni del limite massimo di trattenimento sembra determinare uno stravolgimento definitivo della funzione originaria della detenzione amministrativa: non più una misura straordinaria e temporanea di limitazione della libertà per attuare l’allontanamento, ma una sanzione, estranea tuttavia alle garanzie e ai luoghi del sistema penale”. Una misura che “se attuata con rigore, rischia di rendere ancora più esplosivo il clima all’interno dei centri”. Proprio la “carenza di attività ricreative” per occupare gli immigrati, “obbligandoli ad un’inattività forzata” è, secondo Msf, il punto su cui bisognerebbe intervenire con la massima attenzione. Nel Cie di Gradisca d’Isonzo, ad esempio, spazi abitativi e bagni “sono molto spaziosi e in buone condizioni” ma “le condizioni di trattenimento appaiono seriamente compromesse dall’assenza di attività ricreative”. Al momento di stilare il rapporto, annotava però Msf, “nessun ente gestore ipotizza di modificare le modalità di erogazione dei servizi”. Un problema che si riscontra anche per quanto riguarda l’assistenza sanitaria degli immigrati. Se, infatti, nel complesso il servizio sembra essere reattivo a fornire “cure minime e a breve termine”, diverso è il discorso se si prende come punto di riferimento i 180 giorni di trattenimento: ci si trova di fronte ad un approccio “che rischia di non essere più sostenibile”. Attualmente in Italia, secondo quanto riporta il sito del ministero dell’Interno, ci sono 13 Centri di identificazione temporanea con una capacità complessiva di 1.920 posti, una capienza che è comunque soggetta a variazioni in caso di eventuali lavori di manutenzione. Si tratta di Bari-Palese (196 posti), Bologna (95), Caltanissetta (96), Lamezia Terme (75), Gradisca d’Isonzo (248), Milano (132), Modena (60), Roma (364), Torino (204), Trapani (43), Brindisi (83), Lampedusa (200) e Crotone (124). A questi, ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni lo scorso 5 luglio a Trieste, se ne aggiungeranno entro la fine dell’anno altri quattro: uno in Veneto, uno in Toscana, uno nelle Marche e uno in Campania. Grecia: sciopero della fame per 170 immigrati in attesa di espulsione nel Cie di Samos Ansa, 19 luglio 2010 Sciopero della fame di un gruppo di immigrati tra i detenuti del Cie di Samos per protestare contro la loro espulsione dalla Grecia. Un gruppo di 170 immigrati in attesa di espulsione dal centro di accoglienza dell’isola di Samos ha cominciato oggi uno sciopero della fame. La protesta dei detenuti è contro il loro probabile trasferimento verso i centri di detenzione alla frontiera con la Bulgaria e la Turchia, in vista della loro deportazione. La scorsa settimana sono stati 60 i migranti condotti al confine con la Bulgaria per essere espulsi e proprio questa notizia ha riacceso la protesta. Sempre più immigrati tentano di raggiungere l’Europa attraverso la frontiera marittima Turchia/Grecia tra Smirne e l’isola di Samos nel Mar Egeo. Il loro aumento è esponenziale: dai 225 del 2005 ai 5.300 del 2008. Provengono soprattutto da Somalia, Eritrea, Iraq, Afghanistan e Pakistan e si dirigono da Smirne alle isole greche di Lesbos, Chios e Samos. Le misure contro l’incremento degli sbarchi si traducono nell’attuazione di politiche repressive attraverso il respingimento o la detenzione da parte della guardia costiera operante in Grecia. Grecia: sciopero fame in carcere per Nikos Maziotis, leader di Lotta Rivoluzionaria Ansa, 19 luglio 2010 Nikos Maziotis, leader detenuto della principale organizzazione armata greca, Lotta Rivoluzionaria (EA), ha annunciato di avere intrapreso uno sciopero della fame per ottenere il permesso di visitare la compagna Pola Roupa, anche essa in prigione per appartenenza a EA e che sta per dare alla luce il loro figlio. Maziotis in una lettera fatta uscire di prigione, e diffusa su internet, accusa le autorità poliziesche e carcerarie greche di desiderio di “vendetta” nei suoi confronti e della sua compagna, nonché del figlio che sta per nascere e che egli definisce il futuro “più giovane prigioniero politico” greco. Maziotis, leader di un’organizzazione che ha compiuto decine di attentati e che si crede dietro quello che nelle scorse settimane provocò la morte dell’aiutante di campo del ministro dell’interno, invoca a suo favore i “diritti umani” che gli sarebbero negati per garantire “la sicurezza e il potere dello stato”. Maziotis, catturato nei mesi scorsi insieme alla sua compagna e altri quattro presunti membri di EA, ha ammesso l’appartenenza all’organizzazione anarco-insurrezionalista di cui il controterrorismo greco lo ritiene il capo. Maziotis conclude la sua lettera affermando che “dentro o fuori della prigione la lotta rivoluzionaria continua”.