Giustizia: carceri fuorilegge, gli standard minimi fissati dall’Ue restano un miraggio di Giovanna Dall’Ongaro Galileo, 16 luglio 2010 Tre persone in sei metri quadrati, un bagno che non concede alcuna intimità, la luce elettrica accesa anche di giorno per combattere una penombra perenne, l’aria che ristagna, calda e maleodorante. Non c’è dubbio: un locale così è fuori legge e andrebbe chiuso. Eppure alla Casa Circondariale di Pistoia, il primo dei 15 istituti penitenziari visitati dal 21 giugno al 2 luglio scorso da Patrizio Gonnella, presidente di Associazione Antigone, e Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto, a vivere in quelle condizioni sono 140 detenuti, il doppio della capienza regolamentare. Alla luce di questo “paradosso penitenziario” nel quale i luoghi designati a ospitare chi delinque trasudano illegalità da ogni angolo, i due presidenti si sono incontrati in uno studio legale di Roma e hanno compilato 15 esposti indirizzati ai sindaci, ai dirigenti delle Asl e agli assessori regionali alla sanità competenti per ciascuna delle carceri visitate. Le violazioni riscontrate e raccolte in un rapporto, presentato ieri a Roma in collaborazione con il settimanale Carta e alla presenza di alcuni parlamentari tra cui Ignazio Marino, Rita Bernardini, Guido Melis, promotore dell’idea di un’inchiesta parlamentare sulle carceri, sono moltissime. Dalle precarie condizioni igieniche di San Vittore a Milano, dove girano indisturbati topi e scarafaggi e dove la penuria di acqua calda respinge anche le migliori intenzioni di cura personale, si passa al mancato rispetto degli spazi minimi della sezione femminile di Rebibbia a Roma, dove in 25 metri quadrati stanno 12 persone, di cui molti bambini figli di detenute. Dalla ventilazione inesistente del carcere di Padova stroncata dalla porta blindata delle celle, che viene inesorabilmente chiusa a mezzanotte lasciando fuori l’ultimo filo d’aria, si arriva alla pioggia che entra dal tetto di Sollicciano a Firenze, alla luce naturale che invece fatica a infiltrarsi un po’ ovunque, alle pochissime occasioni di uscire dalla cella. Tutto ciò in contraddizione con quanto previsto dal Regolamento Penitenziario che in dieci anni di vita non è ancora mai stato applicato veramente. Non sarà una lettura piacevole quella che aspetta i destinatari delle denunce, soprattutto i responsabili delle Asl che, con il passaggio della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale, si devono occupare della salute dei carcerati come fanno per qualunque altro cittadino. “Verranno costretti a prendere provvedimenti di qualche natura entro trenta giorni dal ricevimento dell’esposto”, spiega Arturo Salerni, l’avvocato che ha curato l’azione legale, “altrimenti rischiano di venire denunciati per omissione di atti d’ufficio”. Ma cosa può fare un dirigente Asl una volta venuto a conoscenza del degrado di un carcere? Far chiudere il reparto incriminato, per esempio, e imporre finalmente una ristrutturazione dei locali. “L’occasione dell’indulto è stata sprecata, la possibilità di mettere a norma i luoghi di detenzione adeguandoli al regolamento penitenziario quando il numero di detenuti era accettabile non è stata colta, e ora ci si ritrova con una popolazione carceraria numerosa come mai (68.200 detenuti) e un sistema al collasso” dice Gonnella. A Padova, per esempio, i detenuti sono in 250, centocinquanta in più rispetto ai posti disponibili, a Sulmona sono 444 in un edificio pensato per 270, a Regina Coeli un migliaio quando sarebbero dovuti essere non più di seicento e dove esiste un’unica cucina per tutti quando il regolamento penitenziario ne impone una ogni duecento persone, a San Vittore 1.600 invece di 712, e a Poggio Reale 2.710 a fronte di una capienza di 1.347. Questo sovraffollamento che miniaturizza gli spazi vitali, che favorisce la diffusione di malattie, che minaccia l’equilibrio psichico di chi lo subisce fino a spingerlo troppo spesso al suicidio è lo stesso che convinse esattamente un anno fa i giudici della Corte Europea dei diritti dell’Uomo a condannare l’Italia per avere costretto una persona a scontare la sua pena in meno di tre metri quadri. Gli standard minimi fissati dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europeo parlano di sette metri quadrati per ogni detenuto in cella singola. Ancora un miraggio per le nostre carceri. Giustizia: legati ai letti e sedati; il lager dei detenuti psichiatrici, 1.535 nei sei Opg italiani di Fabio Albanese La Stampa, 16 luglio 2010 A vederlo da fuori, con la sua struttura liberty di inizio Novecento, non sembra quella specie di lager che invece descrive la Commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale. Eppure, l’ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Barcellona Pozzo di Gotto, provincia di Messina, uno dei sei presenti in Italia, ha conosciuto momenti migliori e anzi per molti anni è stato punto di riferimento tra quelli che una volta si chiamavano manicomi giudiziari. Ieri il senatore Ignazio Marino, presidente della Commissione parlamentare, in una conferezna stampa tenuta a Roma ha detto che a Barcellona c’è la situazione peggiore: “Lì i detenuti vengono tenuti legati ai letti, con un buco per la caduta degli escrementi, le celle sono luride e affollate, gli internati sono seminudi e sudati a causa della temperatura torrida, sotto effetto di psicofarmaci, i servizi igienici sono indescrivibili, ci sono contenzioni in atto adottate con metodiche inaccettabili e non refertate”. Un lungo elenco di “scene ottocentesche”, come le ha definite Marino, che il direttore della struttura, Nunziante Rosanìa, conosce bene e che lui stesso si era premurato di mostrare alla commissione, l’11 giugno scorso: “Ci hanno chiesto di vedere la sezione peggiore, quella che aveva più problemi e quella, la numero 2, abbiamo loro mostrato - dice - ma tutta la struttura è ormai al collasso, abbiamo 340-350 ricoverati contro i 180 che può contenere, nelle stanze stanno in otto, nove, quando dovrebbero essere solo in quattro, il personale non è sufficiente, come i budget a disposizione per le terapie, dimezzato negli ultimi sette anni”. La struttura di Barcellona, che risale al 1925, la prima in Italia, ospita detenuti con problemi psichici che arrivano da tutta la Sicilia e dalla Calabria. “Ma a differenza delle altre strutture, noi siamo rimasti in mezzo al guado - dice Rosanìa - perché non è stato ancora recepito dalla Regione Siciliana il decreto della Presidenza del Consiglio del 2008 con cui la gestione di queste strutture deve passare dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. Dunque, apparteniamo ancora al pianeta carceri e soffriamo di tutte le carenze e le difficoltà che ci sono oggi nelle carceri italiane, con in più la particolarità di essere una struttura che deve seguire i reclusi anche e soprattutto dal punto di vista sanitario. Purtroppo non abbiamo ancora un’organizzazione ospedaliera ma penitenziaria”. La sezione 2, quella visitata dal senatore Marino e dagli altri commissari, secondo quanto ha rivelato lo stesso direttore Rosanìa, sta per essere chiusa: “D’intesa con l’amministrazione penitenziaria abbiamo avviato già da mesi il piano per la completa ristrutturazione - chiarisce - al suo posto utilizzeremo una sezione che era destinata alla donne ma che non è mai entrata in funzione. D’altronde, la vicenda di Barcellona è contemplata all’interno del piano carceri varato dal governo e speriamo che nei prossimi mesi la situazione migliori”. Restano quei letti di contenzione che fanno pensare ai manicomi pre riforma Basaglia. A Barcellona la commissione presieduta da Marino ha trovato un detenuto legato ad uno di questi letti, peraltro arrugginito: “Era scarsamente sedato - ha raccontato il senatore Michele Saccomanno agli altri commissari, dopo l’ispezione compiuta assieme ai carabinieri del Nas - perché in grado di rispondere, coperto da un lenzuolo ma completamente nudo, con polsi e caviglie strettamente legati agli assi metallici del letto”. “Quei letti ci sono in tutte le strutture psichiatriche - spiega Rosanìa - e non solo negli opg; qui quando arrivai, alla fine degli anni ‘80, ce n’erano ventiquattro, ora ce ne sono soltanto due. Ma bisogna rendersi conto che si tratta comunque di atti medici che rientrano nei cosiddetti trattamenti sanitari obbligatori. Solo che per gestirli al meglio occorrerebbero strutture piccole affidate a personale altamente qualificato”. Il problema del sovraffollamento si è aggravato da quando a Barcellona Pozzo di Gotto sono arrivati detenuti di altri ospedali psichiatrici giudiziari, trasferiti perché lì si stanno facendo lavori di ristrutturazione. “Il problema è strettamente di natura politica - avverte il direttore dell’opg di Barcellona - altre commissioni sono venute in passato, abbiamo più volte denunciato problemi e carenze. E questa è oggi la situazione”. Giustizia: Chiamparino (Anci) ad Alfano; dare seguito al piano carceri, servono specifiche Il Velino, 16 luglio 2010 In merito al cosiddetto “Piano carceri”, il presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) Sergio Chiamparino ha scritto oggi una lettera al ministro della Giustizia Angelino Alfano. Lo rende noto un comunicato dell’Anci. “Al fine di dare seguito a quanto da lei proposto, e condiviso, durante l’incontro del 5 maggio u.s., circa il cosiddetto Piano carceri, ovvero le opere di ampliamento e adeguamento delle case circondariali - scrive Chiamparino - nel ribadire la disponibilità a partecipare ai due tavoli di lavoro, di cui uno dedicato alle nuove città individuate ad ospitare ulteriori infrastrutture penitenziarie, si rimane ancora in attesa di avere le specifiche al fine di poter coinvolgere attivamente gli interessati e fissare al più presto un primo incontro operativo”. Giustizia: dal Pd interrogazione all’Ue; interventi per garantire rispetto diritti nelle carceri Il Velino, 16 luglio 2010 “Vista la grave situazione in cui versa il sistema carcerario italiano, dove - come riportato dal rapporto dell’Associazione Antigone - il sovraffollamento delle carceri ha raggiunto ormai la percentuale record del 157%, contro una media europea del 97%, con una popolazione carceraria di 67.593 detenuti, di cui il 44% in custodia cautelare e di cui il 37,4% è costituito da detenuti stranieri”. Questo l’inizio di una interrogazione presentata oggi dall’on. Gualtieri (Pd) sulle “Condizioni di detenzione delle carceri italiane e europee” alla Commissione Europea. “Viste le conseguenze - prosegue Gualtieri nell’interrogazione - della situazione descritta sulle condizioni di vita e di sicurezza nelle carceri italiane e sul rispetto dei diritti dei detenuti e dato l’elevato numero di suicidi e morti in carcere registrato nel corso dell’ultimo anno; Visto che l’aumento dei detenuti nelle carceri italiane risulta inversamente proporzionale al numero dei reati commessi - in calo del 9%, come riportato dal rapporto della Comunità di Sant’Egidio per il 2009, mentre l’applicazione di misure alternative resta limitata; Visto che il sovraffollamento delle carceri, le condizioni di vita al loro interno, il rispetto dei diritti dei detenuti sono una questione democratica che investe tutti i Paesi membri; Visti gli articoli 1, 4, 47, 48, 49 della Carta dei diritti fondamentali, gli articoli 2 e 3 TUE e gli articoli 67, 68, 74 TFUE; visto il Programma di Stoccolma, in particolare il punto 3.2.6, e le European Prison Rules adottate dal Consiglio d’Europa”. L’interrogazione dell’on. Gualtieri prosegue con la richiesta rivolta alla Commissione di “di agire per assicurare il rispetto uniforme dei diritti delle persone detenute e di condizioni dignitose di vita nelle carceri italiane ed europee”, e “se non ritenga, conformemente al programma di Stoccolma, di dover con urgenza definire e promuovere l’applicazione di principi fondamentali e la diffusione di politiche e pratiche comuni rispettose dei diritti fondamentali, fondate sulle European Prison Rules del Consiglio d’Europa, in particolare riguardo alle pene alternative e alle condizioni di detenzione”. Giustizia: Saccomanno (Pdl); detenuti psichiatrici, un’umanità violata e forse dimenticata Il Velino, 16 luglio 2010 “Quella dei detenuti psichiatrici è una umanità violata e forse dimenticata. Purtroppo, le convenzioni in materia di sanità e giustizia sono rimaste al di qua della porta delle carceri. Di fronte a questa situazione non si può che provare sconcerto e umiliazione. È un mondo dove la sanità non è ancora entrata e, dunque, non assolve al suo auspicabile ruolo di recupero”. Lo ha affermato il senatore Michele Saccomanno, capogruppo del Pdl in commissione di Inchiesta sul Servizio sanitario nazionale, che ha aggiunto: “Come commissione d’inchiesta abbiamo raccolto l’umiliazione di carcerati nudi legati in isolamento per giorni, o ammassati in stanze sovraffollate per essere meno che numeri di dati statistici su psichiatria e reclusione. Ho parlato - ha continuato - con il sottosegretario alla Giustizia, la senatrice Casellati, e ho colto la sua disponibilità per aiutarci a migliorare il funzionamento delle carceri e cambiare il volto dello Stato in questi luoghi, abitati da circa 1.500 anonimi emarginati. È una vergogna. Dal Senato, senza distinzione di parte, siamo impegnati - ha concluso - a cancellare questa oscura pagina della nostra storia”. Giustizia: Uil-Pa; già 62 detenuti salvati dal suicidio, simbolo del buon lavoro polizia Il Velino, 16 luglio 2010 “Con una puntualità cronometrica, laddove l’amministrazione ha dato prova della assoluta incapacità di gestire e risolvere, si susseguono proteste ed eventi critici. È il caso della casa circondariale di Frosinone dove ieri due detenuti hanno tentato il suicidio e l’intera popolazione detenuta ha messo in atto, dalle 20 alle 22.30, la classica rumorosissima protesta contro la mancata erogazione dell’acqua”. Lo ha detto il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che aggiunge altri particolari: “Ieri mattina un detenuto ha tentato di suicidarsi mediante impiccagione così come un altro detenuto, di origine africana ieri sera ha tentato con analoghe modalità di togliersi la vita. In entrambe le circostanze il tempestivo intervento dei poliziotti penitenziari ha scongiurato il peggio. Formuliamo, quindi, ai colleghi di Frosinone i nostri più fervidi apprezzamenti ancor più nella consapevolezza delle condizioni critiche in cui sono costretti ad operare. Nonostante - ha sottolineato Sarno - che a maggio il personale abbia messo in piedi una dura protesta con lo sciopero della fame (con due agenti ricoverati in ospedale) il dipartimento non ha saputo, forse voluto, risolvere le ataviche criticità rispetto alla penuria degli organici e al grave sovraffollamento (presenti 513 detenuti su una capienza di 315). A questo punto sto seriamente valutando la possibilità di ripetere una visita ispettiva come ho già fatto nell’agosto dello scorso anno, nella quasi certezza di trovare inalterate e irrisolte le negatività che puntualmente ebbi a segnalare”. Con i due tentati suicidi di ieri, si attestano a 62 le vite salvate in carcere dai caschi blu dall’inizio del 2010: “Queste 62 vite salvate - ha spiegato Sarno - rappresentano l’essenza e la sintesi dell’oscuro lavoro che svolge la polizia penitenziaria che deve fare di necessità virtù. Essendo impraticabile, a queste condizioni, qualsiasi percorso rieducativo e risocializzante ai poliziotti penitenziari non resta altro che sorvegliare (quando possibile) e salvare le vite (quando possibile)”. Il segretario ha, infine, ricordato che “con l’aumento del caldo gli episodi di violenza e di auto soppressione saranno destinati ad aumentare, mentre chi dovrebbe e potrebbe agire continua a connotarsi per staticità o, nella migliore delle ipotesi, a volgere lo sguardo altrove”. Giustizia: Rizzoli (Pdl) rilancia appello per detenuta Rebibbia malata di sclerosi multipla Redattore Sociale, 16 luglio 2010 Domani nuova perizia di parte, seguita dal Gip Aldo Morgini, per chiedere gli arresti domiciliari o in ospedale di Giorgia Ricci Mokbel. Per la deputata “la patologia è incompatibile con il regime penitenziario”. E torna il Ferragosto nelle carceri. La deputata Melania Rizzoli (Pdl) rilancia l’appello per Giorgia Ricci Mokbel, la detenuta malata di sclerosi multipla che si trova nella sezione femminile del carcere di Rebibbia. “La sua patologia è incompatibile con il regime carcerario; inoltre la donna manifesta disturbi visivi e motori”, ha detto oggi durante la presentazione del monitoraggio sulla situazione degli istituti penitenziari italiani realizzato dalle associazioni Antigone e A Buon Diritto. “Faccio un appello alle istituzioni e alla magistratura sia come medico sia come parlamentare”, ha sentenziato. L’onorevole ha poi annunciato che domani ci sarà una nuova perizia degli avvocati difensori, seguita dal Gip Aldo Morgini, per chiedere gli arresti domiciliari oppure in un reparto protetto d’ospedale della donna. Giorgia Ricci Mokbel, “in carcere per reati finanziari, ora si trova in infermeria, in isolamento in una cella singola dal 22 febbraio di quest’anno, perché la terapia che segue la espone fortemente al rischio di contrarre infezioni, contagi o altre malattie”, ha spiegato Melania Rizzoli. E il 13, 14 e 15 agosto torna il Ferragosto nelle carceri, un’iniziativa lanciata l’anno scorso che porta parlamentari, consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici e garanti dei diritti dei detenuti “dietro le sbarre” per una ricognizione degli istituti penitenziari italiani. Lo ha anticipato sempre oggi Rita Bernardini, deputata del Pd, anche lei alla presentazione del monitoraggio sulla situazione delle carceri fatta da Luigi Manconi, presidente dell’associazione A Buon Diritto, e Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. All’illustrazione del rapporto hanno partecipato anche i parlamentari Lionello Casentino (senatore Pd), Doris Lo Moro, Guido Melis e Jean Leonard Touadi (tutti tre deputati del Pd) e i consiglieri regionali Maurizio Acerbo per l’Abruzzo e Luigi Nieri per il Lazio. Giustizia: caso Cucchi; ora al “Pertini” incontro medici e familiari dei detenuti tutti i giorni Redattore Sociale, 16 luglio 2010 Firmato un protocollo tra il provveditorato laziale del Dap e l’Asl Roma B. Marino (presidente commissione d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale) ha chiesto al ministro della Giustizia di “estendere il provvedimento in tutta Italia”. Dopo il caso Cucchi, i familiari dei pazienti dell’unità di medicina penitenziaria dell’ospedale “Sandro Pertini” di Roma potranno incontrare i medici tutti i giorni e, se il malato si aggrava o viene trasferito, saranno immediatamente avvisati per telefono. Lo ha stabilito il nuovo protocollo firmato tra il provveditorato laziale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e l’Asl Roma B in seguito alle osservazioni fatte dalla relazione conclusiva sull’efficacia delle cure prestate a Stefano Cucchi realizzata dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale. Peccato, però, che il nuovo regolamento non valga “né per l’ospedale Belcolle né per nessun’altra struttura di medicina protetta italiana”. A darne notizia è il senatore Ignazio Marino (presidente della commissione d’inchiesta) durante la presentazione del monitoraggio sulla situazione delle carceri italiane realizzata dalle associazioni Antigone e A Buon Diritto e illustrata oggi in conferenza stampa alla Camera. “Abbiamo chiesto quindi al ministro della Giustizia di estendere il provvedimento in tutto il territorio della Repubblica”, ha annunciato il senatore Marino. Il vecchio accordo tra l’Asl di Roma e l’amministrazione della giustizia prevedeva infatti che i medici non fornissero alcuna informazione alla famiglia senza esplicita autorizzazione della magistratura, che richiedeva un paio di giorni, o l’autorizzazione del detenuto a farlo. Tra le proposte fatte dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio sanitario nazionale in relazione al caso Cucchi c’era appunto “la necessità di rivedere i protocolli organizzativi che regolano i rapporti tra l’amministrazione penitenziaria e quella sanitaria al fine di garantire l’indipendenza delle funzioni mediche rispetto alle funzioni cautelari”, si legge nella relazione conclusiva. Così è stato fatto, ma solo per l’ospedale “Pertini” di Roma. “È una buona notizia - ha commentato il senatore Marino -, che ora però va estesa a tutta Italia”. Emilia Romagna: nel 2009 aumentata del 10% la popolazione carceraria Il Velino, 16 luglio 2010 Emilia Romagna: Cresce del 10% la popolazione carceraria Seduta congiunta, mercoledì pomeriggio, delle commissioni “Politiche per la Salute e Politiche sociali” e “Statuto e Regolamento” dell’assemblea regionale per discutere della “Relazione sulla situazione penitenziaria in Emilia Romagna nell’anno 2009”, come previsto dall’art. 9 della legge regionale 3/2008 (“clausola valutativa”). All’incontro erano presenti gli assessori Teresa Marzocchi e Carlo Lusenti, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Nello Cesari, e Anna Maria Santoli, del Centro per la giustizia minorile di Bologna. La relazione della giunta fa il quadro della situazione penitenziaria a livello nazionale e regionale. Sovraffollamento e scarsità del personale, i problemi più evidenti; vengono poi illustrati i principali interventi in campo sanitario, per la reinclusione sociale, il ricorso alle “misure alternative”. Ecco alcuni dati, fra i più significativi, aggiornati al 31 dicembre scorso: nei 13 istituti penitenziari sul territorio emiliano-romagnolo i detenuti erano 4.488 (+ 10 per cento rispetto al 2008, + 24 per cento rispetto al 2007), con un indice di sovraffollamento del 186,4 per cento; in 5 carceri, i detenuti sono più del doppio di quelli previsti. In generale, nelle carceri italiane sono detenute 64.791 persone (erano 58.127 un anno prima, + 11,5 per cento) con un indice di sovraffollamento del 149,5 per cento. In Emilia Romagna i detenuti stranieri sono 2.361, il 53 per cento dell’intera popolazione carceraria; a livello nazionale, queste presenze rappresentano il 37 per cento (24.067) della popolazione detenuta, la media italiana è più alta di quella di altri Paesi europei (Germania 26 per cento, Olanda 30,5 per cento, Francia 19,2 per cento, Spagna 35,5 per cento);. Le donne detenute sono 159 (3,5 per cento del totale), recluse negli istituti di Bologna, Modena, Piacenza e Forlì. Per i detenuti italiani, le tipologie di reato più frequente sono i reati contro il patrimonio e contro la persona, mentre per i detenuti stranieri, le tipologie di reato più frequente sono i reati contro la pubblica amministrazione e reati legati alla droga. Negli istituti penitenziari della Regione operano 1.710 agenti; in pianta organica ne erano previsti 2.401, l’organico assegnato era di 1.990 quindi si presenta una carenza del 28,8 per cento rispetto all’organico previsto. Il rapporto Eurispes 2010 evidenzia come “la lentezza dei tempi della giustizia italiana” sia una delle cause del sovraffollamento delle carceri”. Fra gli effetti, “le scarse opportunità trattamentali per una grande parte della popolazione carceraria hanno spesso conseguenze tragiche, che si traducono nell’elevato numero di suicidi fra i detenuti”. In questa regione, la situazione più drammatica è quella del carcere della Dozza (Bo): rispetto a una capienza regolamentare di 494 persone, ne ospita 1147 (84 donne). Nel caso dell’Emilia Romagna, il Piano carceri non prevede nuove sedi, ma lavori di ristrutturazione e ampliamento delle strutture esistenti. Le prime realtà che dovrebbero diventare concrete sono quelle di Modena (150 posti) fra circa 18 mesi, e Piacenza (200 posti) fra 24-30 mesi. Sono in fase di progettazione, dunque destinati a compiersi in tempi più dilatati, il completamento delle carceri di Forlì e Rimini, e interventi di ampliamento a Parma (200), Ferrara (200), Bologna (200). Spetta al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, istituito dall’art. 30 della Legge 395/1990 nell’ambito del ministero della Giustizia, la decisione sulla destinazione dei detenuti: la Regione non ha alcun ruolo. Lo Stato detiene la titolarità dell’amministrazione della giustizia e, nell’ambito di questa, dell’esecuzione penale; le attività e gli interventi di politica sociale della Regione sono regolati da Protocolli d’intesa con il ministero della Giustizia. Tale strumento trova conferma nella Legge regionale citata, che consolida l’intervento della Regione su questo tema. Gli interventi in ambito sociale sono previsti nel “Programma finalizzato a contrasto della povertà e dell’inclusione sociale”, che rientra nella programmazione dei Piani sociali di Zona. Sicilia: un weekend da galera, perché le carceri siano un po’ meno abbandonate Ristretti Orizzonti, 16 luglio 2010 Rappresentati politici e istituzionali e volontariato, impegnati per due giorni a fare da ponte tra il carcere e gli operatori dell’informazione. Partecipano: il Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia, Salvo Fleres, con i suoi Collaboratori; i Radicali Italiani, rappresentati da Rita Bernardini; Ristretti Orizzonti, con la presenza di Laura Baccaro, ed il Volontariato penitenziario della Sicilia, con Maurizio Artale (Centro Padre Nostro) e Michele Recupero (CRIVOP Onlus). Fine settimana di luglio, momento di massima sofferenza e di massimo abbandono per le carceri. Le celle con il caldo si trasformano in forni, dove la gente rischia di impazzire. Fuori non lo sa nessuno (e comunque a nessuno sembra importare nulla), ma dentro c’è chi dorme per terra, chi da mesi aspetta la sentenza di primo grado e magari è innocente, c’è chi è malato e non viene curato. In quelle celle c’è anche chi non ce la fa più e si uccide. Da inizio anno 34 detenuti si sono tolti la vita, negli ultimi 10 anni i suicidi in cella sono stati 591. Il sistema penitenziario italiano è “tarato” su una popolazione detenuta di 43mila persone, ma ve ne sono ammassate quasi 70mila; solo in Sicilia ci sono 3mila detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare delle carceri (8.256 a fronte di 5.202 posti). Una situazione insostenibile per i detenuti e per il personale penitenziario, inaccettabile per tutti coloro che credono in una società basata sul diritto, dove chi ha infranto la legge va punito, anche severamente, ma mai costretto a subire una detenzione in condizioni di degrado tali da trasformarla in tortura. Verificare e denunciare l’attuale condizione di inciviltà delle prigioni è un dovere, sia per chi ha responsabilità politiche, sia per chi si occupa di informazione; il messaggio per l’opinione pubblica è molto semplice: il carcere, com’è oggi, rappresenta una vergogna per il Paese, non rieduca nessuno, ha costi economici e sociali elevatissimi, che poi ricadono inevitabilmente sui cittadini. Sabato 17 luglio, ore 11.00, carcere “Bicocca” di Catania: “Morire di carcere”: conferenza stampa di presentazione del libro “In carcere: del suicidio ed altre fughe”, di Laura Baccaro e Francesco Morelli (Edizioni Ristretti). Sabato 17 luglio, ore 16.00, carcere “Gazzi” di Messina: Visita ispettiva all’istituto penitenziario, al termine (ore 18.00) incontro con i giornalisti. Domenica 18 luglio, ore 10.00, carcere “Ucciardone” di Palermo: Visita ispettiva all’istituto penitenziario, al termine (ore 12.00) incontro con i giornalisti. Per info: Ufficio del Garante dei diritti dei detenuti: 091.7075422; Centro Studi di Ristretti Orizzonti: 049.8712059. Bologna: Lega; il 64% dei detenuti è straniero, prova del legame crimine-immigrati Dire, 16 luglio 2010 Un filo rosso lega immigrazione e criminalità. È la sentenza di Manes Bernardini, consigliere regionale della Lega Nord. Che non si spiega altrimenti i dati della Relazione per li 2009 sulla situazione penitenziaria in Emilia-Romagna, presentata ieri in viale Aldo Moro. Il report, infatti, assegna alle 13 carceri della regione un tasso di presenza di detenuti stranieri del 53% (2.361 in tutto), con picchi del 74% a Modena e del 64,34% a Bologna. Cifre ben al di là della media italiana, ferma al 37% di stranieri sul totale della popolazione carceraria. Ad aggravare la situazione bolognese, poi, i dati della realtà penale minorile dove, nel 2009, “il 71% degli ingressi - calcola Bernardini - nell’Istituto penitenziario di Bologna è riferito a soggetti di cittadinanza straniera”. Per l’esponente del Carroccio, la sintesi è semplice: “I dati diffusi ieri dalla Regione dimostrano che esiste un nesso di casualità forte e reale tra immigrazione e aumento dei fenomeni criminosi”. Quanto alle cause, “sono quelle che da sempre la Lega nord denuncia - sostiene Bernardini - massiccia presenza di immigrati, spesso in condizione di clandestinità, che non avendo un lavoro ed una residenza certa, troppo spesso scorrazzano liberamente sul nostro territorio, costituendo così l’humus ideale per le condizioni di criminalità più o meno diffuse con varie tipologie di pericolosità”. Dati che “devono far riflettere in primis i nostri amministratori locali- conclude il leghista- troppo spesso impegnati a demonizzare e ad accusare di falsità chi si preoccupa di una maggiore tutela e controllo del territorio con politiche non solo di pubblica sicurezza ma anche di controllo delle residenze effettive e delle ipotesi di lavoro nero, con particolare riferimento al fenomeno della immigrazione”. Più in generale, il report sulle carceri emiliano-romagnole, presentato ieri alle commissioni Sanità e Statuto in seduta congiunta, ha animato un energico dibattito. Franco Grillini, (Idv) ha motivato lo spaventoso 186,4% di tasso di sovraffollamento degli istituti regionali con le responsabilità di un Parlamento che negli anni ha ripristinato “una giustizia classista, che mette in galera- ha detto- solo i poveri”. Senza tralasciare “la follia ideologica della recidiva, applicata al consumo di stupefacenti”. Infine, Grillini ha chiesto alla Regione “di porre particolare attenzione alla situazione dei detenuti sieropositivi”. Andrea Pollastri (Pdl) ha invece imputato le cause del sovraffollamento “ai tempi della giustizia e a decenni di errori nella strategia edificatoria degli istituti penitenziari”. La casiniana Silvia Noè ha posto l’accento sul fatto che il 65% della popolazione carceraria a Bologna proviene da 52 Paesi diversi. Alle difficoltà di natura quantitativa, se ne aggiungono altre, come quelle legate alle situazioni di cura ospedaliera, fino a comporre “un’autentica bomba a orologeria”. Perentorio il commento di Andrea Defranceschi, capogruppo del Movimento 5 stelle: “Siamo al limite del rispetto della Convenzione di Ginevra sui diritti umani”. Il “grillino” ha poi chiesto alla Giunta di fare il possibile “perché siano estesi i progetti in corso sui detenuti condannati in via definitiva. Nuovi settori di iniziativa - ha spiegato - potrebbero essere l’organizzazione della raccolta differenziata dei rifiuti e l’obiettivo dell’autosufficienza energetica dei singoli istituti penitenziari, attraverso convenzioni con Hera”. Lecce: Uil-Pa Penitenziari; 650 posti e 1.400 detenuti, il carcere è prossimo all’esplosione Il Velino, 16 luglio 2010 “Credo di poter affermare, senza tema di smentita, che nel magmatico mondo penitenziario la casa circondariale di Lecce rappresenti uno dei vulcani più prossimi all’esplosione di tipo piroclastica. Insomma è il Vesuvio delle carceri”. Così il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno, che questa mattina ha inoltrato ai vertici del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) una missiva, dopo aver presieduto (martedì scorso) il direttivo provinciale della Uil Pa Penitenziari di Lecce. “Non è solo il pur notevole tasso di affollamento a preoccuparci quanto - spiega - le condizioni strutturali e insalubri di tanti ambienti. Già nel 2008 dopo una visita ebbi a denunciare alcune criticità che a distanza di circa 18 mesi - osserva Sarno - non sono state ancora interamente risolte”. A destare preoccupazioni nel sindacato dei caschi azzurri sono anche aspetti di tipo sanitario: “Le docce sono insufficienti e non del tutto efficienti. In quasi tutte le celle, originariamente previste per contenere un solo detenuto, sono allocati letti a castello a tre piani. Ciò non solo è causa di traumi da caduta, quanto impedisce una ottimale visuale agli addetti alla sorveglianza”. In base a quanto rilevato da Sarno: le fogne non assorbono più il surplus di reflui e spesso si intasano; l’erogazione d’acqua subisce ogni giorno molteplici interruzioni; la mancanza di spazi e d’aria esaspera le condizioni afflittive della detenzione, ingenerando proteste e alimentando l’aggressività dei detenuti che non mancano di far giungere segnali circa una possibile manifestazione di protesta con modalità eclatanti. “D’altro canto - continua Sarno - i due suicidi e i due tentati suicidi verificatisi dall’inizio di quest’anno sono la cifra di un disagio e di una sofferenza reale. Intendiamo pertanto, ancora una volta, sollecitare in tempo e per tempo chi ha responsabilità gestionali e amministrative a intervenire perché si eviti una deriva violenta della protesta, che oramai pare essere dietro l’angolo”. Sarno assicura che questo “non è gratuito allarmismo ma responsabile esercizio delle prerogative di tutela e informazione. Siamo preoccupati. Molto preoccupati. Non vorremmo che a pagare dazio siano unicamente le incolpevoli spalle dei poliziotti penitenziari impegnati in prima linea”. I numeri sembrano dare corpo e ragione all’allarme lanciato dalla Uil Penitenziari: “Alle 8 di ieri la struttura salentina, a fronte di una capienza regolamentare pari a 659 detenuti, ne ospitava 1.420 (1.335 uomini ed 85 donne) di cui 271 in custodia cautelare. I detenuti di nazionalità non italiana assommavano 368. I detenuti classificati alta sicurezza risultavano essere 280; 5 i collaboratori di giustizia. In questo variegato quadro della popolazione detenuta, la forte commistione di varie appartenenze a organizzazioni criminali organizzate è fonte ulteriore di preoccupazione. Le affiliazioni che avvengono in carcere a Lecce sono molto più che una razionale probabilità”. L’opportunità di “esternalizzare” i servizi alle varie unità operative e “la necessità - conclude Sarno nella nota indirizzata all’amministrazione - di revisionare i contingenti di poliziotti penitenziari assegnati ai vari Uffici e/o servizi non operativi (circa 200) non sono da ascrivere nel campo delle mere richieste sindacali ma rappresentano, a nostro avviso, concrete soluzioni alle criticità di gestione che si appalesano con tutta evidenza”. Padova: sopralluogo dei Gip alla Casa Circondariale; ci sono 254 detenuti in posti per 98 Il Gazzettino, 16 luglio 2010 Dopo la mobilitazione delle Camere penali di Padova che nelle scorse settimane hanno presentato un esposto al Procuratore generale per denunciare le condizioni di sovraffollamento delle nostre carceri, ieri a verificare la situazione dei detenuti nella casa circondariale di via Due Palazzi si è recato l’intero ufficio dei Gip padovani. La delegazione, guidata dalla coordinatrice Paola Cameran, ha verificato la drammaticità della situazione in cui i detenuti in attesa di giudizio, quasi tutti extracomunitari, devono attendere l’esito del procedimento penale a loro carico. Secondo i dati forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, all’interno della Casa circondariale sono ospitati 254 detenuti quando invece la capienza regolamentare è di 98 persone. Spesso quindi in celle da due persone si trovano a vivere anche quattro-cinque carcerati. Ma una situazione di sofferenza è anche quella vissuta nella Casa di reclusione. A fronte dei 400 posti previsti, i detenuti sono infatti circa 812. Da qui dunque l’esposto presentato dalle Camere penali, e ieri la visita di tutto l’ufficio dei Giudici per le indagini preliminari. Fossombrone: Casellati; bene progetto per aiutare i detenuti a mantenere le relazioni affettive Il Velino, 16 luglio 2010 “Il progetto messo in atto nel carcere di Fossombrone, volto ad aiutare i detenuti a mantenere le relazioni affettive, affonda le sue radici nei principi cardine della nostra Costituzione, relativi al ruolo rieducativo della pena”. Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia Elisabetta Casellati a margine della visita del carcere di Fossombrone, come riporta una nota stampa. “È apprezzabile - prosegue la senatrice - anche il progetto inerente all’attività motoria. Il carcere è di per sé il luogo dello scarso movimento. Introdurre la ginnastica è utile per ridurre le malattie e per migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Tra l’altro, è ritenuto da alcuni studi che l’esercizio fisico riduca nei detenuti l’instabilità emotiva e lo stato di apprensione nella misura del 20/25 per cento. Nella casa circondariale di Fossombrone sono presenti attualmente 39 tossicodipendenti, costantemente supportati da medici ed esperti del Sert. La struttura presenta buone caratteristiche di vivibilità, è dotata di celle singole e si rileva un buon rapporto tra la polizia penitenziaria e i detenuti. I problemi del sistema carcerario italiano sono senz’altro ingenti - conclude il sottosegretario - ma da Fossombrone, come da alcune strutture che ho visitato, ci giungono positive indicazioni”. Napoli: 25enne muore appena uscito dal carcere, i parenti furiosi devastano l’ospedale Asca, 16 luglio 2010 Muore a poco più di 25 anni, un giorno dopo la sua uscita dal carcere. I familiari accusano: “Colpa della terapia che gli hanno cambiato durante i giorni di detenzione”. E la scorsa notte, in preda alla rabbia, hanno distrutto porte e suppellettili al pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini di Napoli. Secondo quanto raccontato dalla famiglia, l’uomo era stato arrestato una decina di giorni fa accusato di scippo. Sposato con due figli, venditore ambulante di gelati, soffriva di ipertensione. Martedì scorso esce dal carcere, “pallido, provato, sofferente”, racconta la famiglia che aggiunge: “Era innocente, è stato arrestato ingiustamente”. La scorsa notte, mentre era a casa, l’uomo si sente male. Due suoi parenti si recano all’ospedale Pellegrini per chiedere l’intervento dell’ambulanza che però, raccontano, in quel momento non era disponibile. Decidono, così, di portare a piedi il ragazzo, in braccio. Ma all’arrivo in ospedale, i sanitari decretano già il decesso. È stato allora che un folto gruppo di parenti, tutti dei Quartieri spagnoli, ha fatto irruzione nel pronto soccorso dell’ospedale: distrutte scrivanie, porte, finestre. Il tutto con un”accusa: “È morto perché in carcere faceva troppo caldo e gli hanno cambiato terapia”. Piacenza: Sappe; agente sventa suicidio di un detenuto che si era tagliato le vene del collo Adnkronos, 16 luglio 2010 Un altro tentativo di suicidio dietro le sbarre. La notte scorsa, nel carcere di Piacenza, un detenuto italiano di 40 anni si è reciso una vena del collo con una lametta. A renderlo noto è Giovanni Battista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe, che racconta come il recluso sia stato “salvato grazie al pronto intervento di un agente della polizia penitenziaria in servizio nella sezione detentiva, il quale, rischiando anche di poter eventualmente contrarre malattie infettive, ha tamponato la profonda ferita con le lenzuola. Subito dopo il detenuto, che si trovava a Piacenza da una settimana, è stato portato in ospedale, dove è stato operato questa mattina”. Durante spiega che in cella c’era un altro detenuto che “dormiva nel momento in cui si è verificato il fatto”. “I tentativi di suicidio nelle carceri Emiliane - sottolinea il sindacalista - salgono a 5 nell’ultimo mese. A Piacenza, come nella maggior parte delle carceri italiane, c’è poco personale di polizia penitenziaria e il sovraffollamento ha raggiunto limiti ormai intollerabili. I detenuti sono circa 420, mentre gli agenti in servizio, in questo momento, sono poco più di 90. Infatti, oltre alla carenza cronica di circa 30 unità - fa notare - attualmente ne mancano altri 45, assenti a vario titolo. Bisogna ricordare che da giugnoè in atto anche il piano ferie e, quindi, l’organico è ulteriormente ridotto. Questa, in servizio, c’erano circa dieci agenti”. “Chiediamo alla politica - conclude Durante - di fare presto con il piano carceri e, soprattutto, con l’assunzione degli agenti di polizia penitenziaria e l’approvazione del disegno di legge Alfano, riguardante le pene detentive brevi da scontare agli arresti domiciliari. Ci auguriamo che la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati che dovrà approvarlo in sede legislativa lo faccia prima della pausa estiva”. Enna: detenuto cade dal terzo piano del letto a castello e si ferisce alla testa Vivi Enna, 16 luglio 2010 Ancora un incidente al carcere di Enna. Dopo l’esplosione della bombola di gas in una cella con tre detenuti ustionati, un altro incidente è avvenuto in una cella. Infatti, un detenuto, mentre stava riposando, è caduto dal letto al castello (necessario per consentire l’ospitalità di un maggior numero di detenuti), a terra, riportando delle ferite alla testa. I medici gli hanno dovuto dare tre punti di sutura al cuoio capelluto per chiudere la ferita lacero contusa. L’incidente è avvenuto nell’area “Indiano”, dove si trovano i detenuti protetti per crimini a sfondo sessuale. In una cella di pochi metri quadrati si trovano ospitati tre detenuti e per dormire utilizzano un letto a castello. L’incidente è avvenuto alle 2,30 di ieri notte e gli altri due detenuti hanno subito allertato gli agenti di polizia penitenziarie che a loro volta hanno allertato i medici. A riferire sull’incidente è stato il segretario provinciale del Sappe, Filippo Bellavia, che lo ha comunicato assieme a Giuseppe Bellomo e Giuseppe Balsamo. “È stato necessario l’intervento della guardia medica ennese e il successivo ricovero al Pronto soccorso dell’ospedale - ha dichiarato Filippo Bellavia - ma ormai in questo carcere ogni giorno si segnalano incidenti, sembra di trovarsi davanti ad un bollettino di guerra. Sicuramente è stato un incidente che si poteva evitare sempre che i detenuti fossero nelle condizioni di dormire in brande, mentre invece sono costretti a dormire in letti a castello che arrivano sino a pochi centimetri da un tetto alto 4 metri”. “L’organizzazione sindacale Sappe, che è la più rappresentativa tra gli agenti della polizia penitenziaria - rilancia le sue proteste. Se ci fosse stato un presidio medico attivo 24 ore al giorno, non sarebbe servito portare il detenuto all’ospedale, “e si sarebbe potuto evitare così - dicono i sindacalisti - un ulteriore carico di lavoro e stress psicofisico per gli agenti”. I rappresentanti delle organizzazioni sindacali continuano a ricordare che il carcere di Enna, che potrebbe contenere fino a 140 detenuti, ne contiene allo stato attuale 205, quindi nell’impossibilità di poter offrire servizi efficienti e immediati, mentre di contro le guardie penitenziarie sono costrette ad effettuare turni di lavoro stressanti e di conseguenza pericolosi non potendo fornire ai detenuti una presenza costante. Di questo ne dovranno tenere conto i dirigenti regionali, tenendo conto anche che il carcere di Enna è antico, ha bisogno di interventi modernizzanti. Roma: dal Coni attrezzatura sportiva per i detenuti di Rebibbia Dire, 16 luglio 2010 Questa mattina “doppia festa” alla sezione penale del carcere di Rebibbia. “Come promesso qualche mese fa, il presidente del Coni Roma, Riccardo Viola, è arrivato con un grande pacco regalo per i detenuti. Dentro tanti palloni da calcio e tante racchette da tennis corredate da centinaia di palline da tennis. Calorosa come al solito l’accoglienza dei ragazzi nel cortile del penitenziario, ancor di più per i tanti tennisti che stavano premiando i vincitori del torneo interno di doppio, vinto a sorpresa da due giovani ragazzi (uno italiano e uno migrante) che hanno iniziato a giocare proprio grazie alle lezioni dei maestri Uisp”. È quanto si legge in una nota Uisp Roma. “Alla presenza dell’educatore factotum Antonio Turco, la consegna ha portato “un’altra gradita promessa” da parte del presidente Viola: “A settembre qua a Rebibbia penale riusciremo finalmente a organizzare un triangolare di calcio fra una squadra di vecchie glorie di Roma e Lazio, la nazionale degli avvocati e la vostra squadra degli Internati”. “Molto soddisfatto” anche il presidente dell’Uisp Roma, Andrea Novelli: “In un momento in cui i fondi per le carceri sono al lumicino, l’intervento del Coni Roma è ancora più importante. Abituati ad associare il Coni e la famiglia Viola a manifestazioni di altissimo livello come il penultimo scudetto della Roma, dobbiamo riconoscere invece che l’impegno di Riccardo per lo sport di base e per tutti che noi propagandiamo è continuativo, duraturo e sempre più convinto. Uisp Roma e Coni Roma - conclude - sono ormai alleati strategici in questo impegno”. Firenze: quattro azzurri della nazionale di basket in visita ai detenuti di Sollicciano Ansa, 16 luglio 2010 Un’ora di visita al carcere di Sollicciano, per dialogare con i detenuti e per regalare loro qualche sorriso. Stamattina quattro azzurri della nazionale di basket, a Firenze per giocare un quadrangolare di preparazione alle qualificazioni agli Europei, hanno varcato i cancelli del penitenziario fiorentino per un incontro con un centinaio di detenuti, svoltosi nel cinema dell’istituto. Luca Vitali, Daniele Cavaliero, Gigi Datome e Marco Cusin, insieme al team manager della nazionale Riccardo Pittis, hanno risposto per circa un’ora alle domande dei reclusi, da quelle più tecniche (“Il basket non è più uno sport per giganti?”) a quelle più storiche (“Cosa ha vinto la nazionale italiana?”), fino a quelle più curiose (“Come sono i rapporti fra voi giocatori?”). Dalla platea sono arrivati applausi e incitamenti dopo ogni intervento, e l’incontro si è concluso con una promessa da parte dei giocatori della nazionale: “Se arriveremo nelle prime tre posizioni agli Europei - hanno detto - torneremo sicuramente a trovarvi e a festeggiare con voi”. I giocatori hanno poi regalato al carcere un pallone da basket da loro autografato, mentre i detenuti hanno consegnato alla nazionale i loro libri, prima di “assalire” i quattro azzurri per gli autografi e le foto. “È stata un’esperienza molto forte a livello emotivo - ha detto il team manager Riccardo Pittis - che ci fa riflettere sulla sfortunata situazione che vivono i detenuti. È bello però vedere delle persone che comunque hanno entusiasmo e voglia di sapere: hanno un fuoco dentro che non si è spento”. “È sempre importante cercare di aprire il carcere al mondo esterno - ha sottolineato il direttore del carcere di Sollicciano Oreste Cacurri - a maggior ragione quando c’è di mezzo lo sport, che è un’attività necessaria all’interno del penitenziario. E poi da parte dei detenuti ho visto un grande trasporto emotivo”. Cuba: parlano i dissidenti liberati; in carcere condizioni disumane Ansa, 16 luglio 2010 Gli undici dissidenti cubani scarcerati dal regime castrista giunti recentemente a Madrid hanno raccontato alla stampa le condizioni disumane in cui hanno trascorso gli ultimi sette anni di prigionia in carceri mai visitate dagli osservatori internazionali, in compagnia di ratti e scorpioni, e si interrogano sul loro status in Spagna. “Sono strutture disumane, te lo dico da giornalista, non da carcerato” racconta Ricardo Gonzalez, 60 anni e corrispondente di Reporter senza frontiere a El Pais. Nelle carceri c’è “sovraffollamento, perdite dalle fogne, celle dove i prigionieri devono defecare in un buco nello stesso luogo dove dormono”, continua il dissidente. “Si convive con ratti, scarafaggi, scorpioni e, detto chiaramente, con gli escrementi”, conferma Julio Cesar Galvez, giornalista ex incarcerato di 63 anni, durante una affollata conferenza oggi all’Associazione della stampa di Madrid. Oltre alle condizioni generali i dissidenti politici hanno anche sofferto le dure pressioni dell’isolamento: Gonzalez ha raccontato di essere stato rinchiuso per tre mesi con la luce accesa 24 ore su 24, mentre Lester Gonzalez, di 33 anni, è stato confinato in un cubicolo di 1,80 metri senza luce. “Dal lunedì al venerdì mi portavano fuori solo un momento al giorno perché vedessi la luce”, ha ricordato il dissidente. Le visite dei familiari erano scarsissime: “due ore ogni tre mesi, e le visite coniugali due volte all’anno”, continua Gonzalez, che era rinchiuso in un carcere a 533 chilometri da casa sua, a l’Avana. Le situazioni disumane nelle carceri, hanno denunciato Pablo Pacheco e Normando Hernando, generano spesso apatia tra i carcerati che “si feriscono da soli o si tolgono la vita”. Gonzalez ha infine raccontato che prima di liberarli il regime ha inviato i dissidenti in “un ospedale dell’Avana con aria condizionata dove abbiamo mangiato pollo e ci sono stati dati pantaloni, camicia e cravatta (che nessuno porta a Cuba), come se in tre giorni si potessero eliminare i sette anni durante i quali non eravamo persone”. Dopo un primo momento di ambientamento, i dissidenti iniziano ora a interrogarsi sul loro status in Spagna: il ministro degli Esteri Miguel Angel Moratinos ha detto al Congresso che i dissidenti sono “liberi e non sono stati deportati”, ma i primi sei dissidenti arrivati a Madrid assicurano di essere in “un limbo giuridico”, perché non hanno un documento che garantisca che non torneranno in prigione e dovranno comunque chiedere un permesso per rientrare a Cuba. Dal ministero degli Esteri spagnolo spiegano che i dissidenti possono entrare in Spagna come immigrati e che sarà fornito loro un permesso di soggiorno e lavoro. Almeno tre dissidenti arrivati negli ultimi giorni stanno però pensando di chiedere asilo politico. In questo caso però, dicono i diplomatici, non potranno tornare in patria. Julio Cesar Galvez ha chiesto che i dissidenti possano rimanere assieme a Madrid o in un altro luogo per “scambiare opinioni e stringere relazioni”.