Giustizia: 68.258 detenuti, un disastro; colpa del Governo… ma anche dell’opposizione di Riccardo Arena www.radiocarcere.com, 13 luglio 2010 È il numero delle persone detenute nelle vecchie, sovraffollate e assolate carceri italiane. Carceri che, a male pena, potrebbero contenere 42 mila persone. Un dato del sovraffollamento che tradotto significa stare in 6, in 8 o in 12 dentro celle sporche e degradate. Celle che con questo caldo diventano dei veri e propri forni, dove la gente rischia di impazzire. C’è chi dorme per terra, chi è presunto non colpevole e attente da mesi una sentenza, c’è chi è malato e non viene curato, c’è chi è straniero e non viene espulso e, infine, in quelle celle c’è chi non ce la fa più e si uccide. Il tutto avviene nell’indifferenza più assoluta della politica di Governo e di gran parte di quella parlamentare, Radicali esclusi. Vista questa pessima politica, il peggio è prevedibile e, purtroppo, è dietro l’angolo. Ma quando il peggio accadrà non si deve dimenticare chi poteva (e doveva) già da tempo intervenire: il Governo Berlusconi. Non si deve dimenticare chi nell’opposizione non ha fatto abbastanza, ed anzi, ha fatto di tutto per rendere inefficaci le poche norme che sarebbero servite quanto meno per arginare il disastro: Pd e Idv. Spesso gli accadimenti hanno una causa e, nel caso di specie, anche dei nomi e dei cognomi. Giustizia: Dap; una nuova Circolare, per garantire migliori condizioni di vita ai detenuti Agi, 13 luglio 2010 Adoperarsi "per ogni possibile e utile intervento a tutela della salute e della vita delle persone detenute e internate". E' quando raccomanda una circolare del Dap indirizzata ai provveditori regionali dell'amministrazione e avente per oggetto "ulteriori iniziative per fronteggiare il sovraffollamento e la stagione estiva". Due i punti chiave del testo, firmato dal direttore del'ufficio detenuti e trattamenti, Sebastiano Ardita: l'istituzione di nuove "sezioni dimittendi" e la continuita' dei colloqui con i familiari per i reclusi raggiunti da sentenza di condanna di primo grado. "Nell'intento di realizzare una migliore gestione degli spazi detentivi e di garantire un'adeguata collocazione dei detenuti ai quali rimane un breve periodo di tempo per il termine della pena", si chiede ai direttori di "individuare nell'ambito degli istituti del distretto di competenza una o piu' sezioni da destinare ai detenuti prossimi alla liberazione e comunque con un residuo pena non superiore ad un anno". Tali sezioni saranno caratterizzate da "un regime penitenziario che favorisca quanto piu' possibile la permanenza al di fuori delle camere detentive durante la giornata; "saranno incentivate le iniziative tese a promuovere un concreto reinserimento nella comunita'"; "saranno favoriti i momenti di incontro con i familiari, da svolgersi anche negli spazi aperti"; "saranno assicurati, per quanto possibile, periodi di attivita' lavorativa al fine di fornire agli interessati un minimo di disponibilita' economica utile al momento della dimissione". Per "ridurre il disagio derivante dallo stato di detenzione" e "prevenire i fenomeni autoaggressivi" la circolare evidenzia "la discordanza rilevata nelle procedure di autorizzazione ai colloqui con i familiari allorquando il detenuto in stadio di custodia cautelare sia raggiunto da sentenza di condanna di primo grado". Accade spesso che in tale fase i colloqui con i familiari gia' autorizzati si interrompano per un periodo piu' o meno lungo o, nella peggiore delle ipotesi, si interrompano del tutto in attesa che le direzioni tornino ad assumere le informazioni necessarie a verificare l'effettivo stato di parentela: "in considerazione dell'importante sostegno morale e psicologico che deriva dai contatti con i familiari - scrive Ardita - si ritiene che le persone gia' autorizzate ai colloqui nella fase precedente alla sentenza di condanna di primo grado possano continuare a fruirne nelle more degli accertamenti richiesti". Giustizia: dal Tg2 un’inchiesta sulle tragiche condizioni di vita delle carceri di Susanna Marietti www.linkontro.info, 13 luglio 2010 I nostri complimenti al Tg2, che ha avviato un’inchiesta sulle tragiche condizioni di vita nelle prigioni italiane. La prima tappa del tour carcerario estivo è stata l’istituto palermitano dell’Ucciardone. Qui il sovraffollamento è oltre il tollerabile, le persone sono buttate a dormire in celle che le Asl sarebbero tenute a chiudere al fine di evitare il diffondersi delle malattie. La struttura edilizia della casa circondariale è fatiscente. Per anni si è parlato di una sua chiusura, che avrebbe dovuto vedere il trasferimento dei detenuti nell’altro carcere di Palermo, il Pagliarelli, di ben più nuova costruzione. Dell’inchiesta si è accorto il Secolo d’Italia, che le ha dedicato un articolo di plauso. Aspettiamo di vedere dove verranno girate le prossime puntate. Da quando Mario Orfeo è alla guida del telegiornale della seconda rete Rai è senz’altro inferiore il senso di claustrofobia del Tg2. L’apertura a temi di confine dà qualità - una qualità profonda e sostanziale, che non si misura solamente in punta di tecnica giornalistica - al prodotto editoriale. Non è un caso che nei mesi scorsi si sia potuto assistere a una puntata del Tg2 Dossier dedicata al difficile lavoro di reinserimento sociale dei detenuti. Finalmente ci è consentito di vedere le nostre galere dal di dentro. Il quotidiano Il Manifesto e l’associazione Antigone avevano lo scorso inverno lanciato una campagna per la trasparenza negli istituti di pena, per assicurare l’ingresso in carcere ai giornalisti che avrebbero voluto - e dovuto - documentare senza filtri quel che vedevano durante le loro visite. Forse l’attuale inchiesta di Rai 2 è in parte il frutto di quella richiesta e di quella campagna pubblica. Giustizia: scoppia il “caso” detenuti stranieri, il ministro si accorge che i rimpatri non funzionano di Giulio Isola Avvenire, 13 luglio 2010 Scoppia il caso dei detenuti stranieri nelle nostre carceri. Per il sindacato di polizia gli immigrati in cella sono troppi e nei loro confronti è in vigore una normativa considerata troppo garantista. Per il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, “il fatto che occorra ancora il consenso del detenuto per il suo trasferimento per scontare la pena in patria significa che i trattati bilaterali non stanno funzionando”. L’intervento del Guardasigilli, avvenuto durante un convegno sull’attività internazionale del Csm, sancisce di fatto l’esistenza di un’emergenza carceri che va al di là dei confini nazionali e chiama in causa direttamente gli accordi firmati con gli altri Paesi. L’Europa “non conosceva ancora come tema comunitario la questione delle carceri”, ha ammesso Alfano. I numeri diffusi dal Sappe, il sindacato più rappresentativo della polizia penitenziaria, dicono che i detenuti stranieri sono arrivati a quota 25mila, pari al 37% del totale, con punte del 70-80% in alcune case circondariali, come quella di Padova. Tra i detenuti stranieri in Italia, i più numerosi sono i marocchini (5.295), seguiti da romeni (3.332), tunisini (3.235) e albanesi (2.955). Secondo il sindacato di polizia, la soluzione per una miglior gestione della popolazione carceraria, che tenga conto dei mutati equilibri tra italiani e stranieri dietro le sbarre, potrebbe essere quella di “incrementare le espulsioni dei detenuti stranieri”, avviando presto trattative con i Paesi d’origine. In particolare il Sappe suggerisce all’esecutivo di “recuperare il tempo perso” avviando trattative con Romania, Tunisia, Marocco, Algeria, Albania e Nigeria. Un’iniziativa che “oltre a mettere un freno ad una grave emergenza, potrebbe rivelarsi un buon affare anche per le casse dello Stato, con risparmi di centinaia di milioni di euro” segnala il segretario Donato Capece. Anche Alfano, su questo punto, ha voluto essere chiaro. “Quando posi il problema del trasferimento dei detenuti nei Paesi d’origine - ha ricordato il ministro - parte del mondo politico italiano mi ha attaccato”. Invece, il “ratto che in Italia ci siano tanti detenuti stranieri che si rifiutano di firmare, significa che nonostante i disagi delle nostre carceri, queste vengono considerate ancora un approdo sicuro”. Intanto prosegue la tensione nelle strutture penitenziarie, con proteste e mobilitazioni in diversi istituti, ormai provati dalla cronica situazione di sovraffollamento. Ieri a Modena è è stata la protesta degli internati alla Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano: i detenuti hanno iniziato a battere violentemente pentole e altri oggetti contro le inferriate delle celle, chiedendo la concessione delle licenze previste dall’ordinamento penitenziario, per poter trascorrere alcuni giorni fuori dalla struttura detentiva. Notevoli, ovviamente, i problemi di gestione per gli agenti della polizia penitenziaria. Nel carcere ai Enna, invece, è esplosa una bomboletta di gas: feriti tre detenuti, uno dei quali in modo serio. Giustizia: Carcere Possibile; moltissime adesioni a manifestazione contro l’emergenza carceri Comunicato stampa, 13 luglio 2010 L’iniziativa de “Il Carcere Possibile Onlus” della Camera Penale di Napoli condivisa dai penalisti delle Camere Penali di Milano, Palermo e dell’intero distretto della Corte di appello di Napoli. A Milano, Napoli, Palermo, Avellino, Benevento, Nola, S. Maria Capua Vetere e Torre Annunziata, i penalisti hanno indossato un nastrino nero sulla giacca, nel corso dell’attività professionale all’interno del Palazzo di Giustizia, per protestare contro l’inerzia del Governo e del Parlamento di fronte alle condizioni disumane in cui sono costretti a vivere la maggior parte dei detenuti. Nonostante gli appelli del Papa e del Capo dello Stato, nonostante lo “stato di emergenza” proclamato dal Consiglio dei Ministri, nulla è stato fatto e le carceri continuano a riempirsi, mentre il caldo aumenta. È trascorso quasi un anno - era il giorno di ferragosto 2009 - dalla visita di circa 200 parlamentari e consiglieri regionali negli istituti di pena, ma, superato l’effetto mediatico, solo pochi di loro si sono ricordati di quello che hanno visto. Quest’anno consigliamo loro di trascorrere il ferragosto in famiglia. L’Avvocatura, in questi ultimi mesi, ha proclamato giorni di astensione dalle udienze, ha depositato in tutte le Procure della Repubblica d’Italia esposti-denuncia per le allarmanti condizioni igienico-sanitarie delle carceri, ieri ha vestito il lutto per la morte dei diritti civili nel nostro paese. L’Avvocatura,le associazioni di volontariato, i radicali ed i Garanti dei diritti dei detenuti, rappresentano le uniche forze che realmente s’impegnano affinché, anche negli Istituti di pena, sia rispettata la Legge. Altre categorie dovrebbero interrogarsi sul mancato impegno in questa battaglia di civiltà. Napoli: Ordinanza del Tribunale di Sorveglianza; a Poggioreale violata la Costituzione Agi, 13 luglio 2010 Per la prima volta un tribunale di Sorveglianza, in base al ruolo che gli viene attribuito dall’ordinamento penitenziario, ordina a un carcere di rientrare nella legalità. A darne notizia, una nota dei Radicali nel gruppo del Pd. Il presidente del tribunale di Sorveglianza di Napoli Angelica Di Giovanni ha inviato, alle rispettive direzioni, l’ordine di disporre quanto necessario per eliminare l’evidente contrasto tra le condizioni di vita all’interno degli istituti di pena partenopei e le norme vigenti. “Con ordinanza del 20 aprile - si legge nella nota - il presidente Di Giovanni ha infatti disposto che la direzione della Casa Circondariale di Poggioreale si attivi con pronta sollecitudine per eliminare ogni possibile situazione di contrasto con l’articolo 27 della costituzione e con l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Su questo provvedimento giudiziario i deputati della delegazione Radicale nel gruppo di Pd hanno depositato un’interrogazione al ministro della Giustizia Angelino Alfano, per sapere quali provvedimenti urgenti intenda adottare, sollecitare e promuovere al fine di risolvere i problemi evidenziati nell’ordinanza adottata dal presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. L’interrogazione è a prima firma della deputata Rita Bernardini, membro della Commissione Giustizia, che nel corso di diverse visite ispettive al carcere di Poggioreale, ha potuto riscontrare condizioni di detenzione palesemente contrastanti con i principi costituzionali e con le norme dell’ordinamento penitenziario”. Nell’ordine del tribunale di sorveglianza si evidenzia che “attualmente il numero dei detenuti presenti nella casa circondariale di Napoli di Poggioreale è di 2.759 a fronte di una capienza di 1.400 unità, ormai quasi il doppio, per cui la situazione è tale da essere oggettivamente, di per sè, possibile fonte di violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Di tutta evidenza, peraltro, appare la compromissione del dettato costituzionale, articolo 27 della Costituzione, atteso che in tali condizioni, resta difficile assicurare la concreta realizzazione del principio per cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. La risposta all’interrogazione è attesa per questa settimana in Commissione Giustizia. “Notizia delle ultime ore - fa sapere Rita Bernardini - è che il magistrato di sorveglianza di Napoli, Di Giovanni, ha consegnato tutte le carte riguardanti il provvedimento del 20 aprile alla Procura della Repubblica di Napoli, evidentemente spinta dall’inottemperanza degli istituti di pena partenopei all’ordine impartito”. Reggio Emilia: camerieri e cuochi oltre le sbarre, con la cooperativa Cielo D’Irlanda La Gazzetta di Reggio, 13 luglio 2010 È stata una cena informale e dominata da amicizia e generosità, quella che si è tenuta sabato sera nei locali accanto alla sala Marmotti. Ai fornelli e in sala non semplici chef e camerieri, bensì giovani detenuti che, grazie alla cooperativa Cielo D’Irlanda e alle numerose iniziative che l’associazione sta mettendo in campo, stanno cercando di ricostruire la propria vita e di reinserirsi nella società e nel mondo del lavoro con la prospettiva di un futuro più sereno. “La cooperativa Cielo d’Irlanda - sottolinea uno dei soci fondatori, Fausto Guareschi - è nata dall’idea di ridare un futuro ai carcerati giunti a fine pena; capita molto spesso infatti che dopo tanti anni di detenzione, una volta usciti gli ex carcerati si ritrovino soli, spaesati e che non riescano più a ritagliare un proprio posto nel mondo. Con le nostre attività che vanno dal ricreativo, al giardinaggio a diversi progetti, cerchiamo di insegnare loro un mestiere, di rimetterli in contatto con la società e di dare loro la famosa seconda chance. L’evento di Albinea fa parte di un ciclo di cene cucinate ed organizzate dai ragazzi e i cui ricavati verranno utilizzati per pagare i detenuti che hanno prestato il loro lavoro e a sostenere le iniziative della coop”. Ma quali sono le voci e le storie dei veri protagonisti di questa iniziativa? Mario Peragine fa il suo ingresso in sala e con fare sicuro inizia a servire ai tavoli: “È la prima volta che partecipo ad un’iniziativa del genere - afferma - ma sono felice di dare una mano e di potere avere un contatto con la gente. La strada che mi separa dalla libertà è ancora lunga. ma non per questo smetto di sperare e di fare progetti. In carcere sto studiando per conseguire la laurea in Scienze della Comunicazione e spero che una volta uscito dalla prigione la mia vita possa essere migliore. Non dico uguale a quella delle altre persone in quanto il carcere ti cambia, ti segna, ma perlomeno serena”. Anche Massimiliano Ledda è uno degli “addetti ai lavori” oltre che cameriere ha anche avuto l’opportunità di partecipare all’organizzazione dell’evento: “Ho 41 anni e devo ancora scontare 8 dei 18 anni di pena previsti. Una volta libero non so che vorrò fare, i progetti sono tanti e in carcere non si smette mai di sognare. Certo è che ogni occasione di buon reinserimento è un’opportunità da non perdere, soprattutto per far conoscere alla gente di fuori la realtà del carcere e per parlare loro di quanto sia difficile andare avanti”. Le cene della cooperativa Cielo d’Irlanda avranno luogo circa una volta al mese per dare continuità e risonanza all’impegno dei detenuti e al loro reinserimento nel mondo libero. Cagliari: il “caso Scardella” 24 anni dopo, ancora nessuna verità sulla morte in carcere La Nuova Sardegna, 13 luglio 2010 “Noi non ci fermeremo anche se vi è la possibilità che si voglia tenere nascosta la verità su come è morto Aldo”. L’avvocato della famiglia Scardella, Rosa Federici promette di perseguire con tutti mezzi legali quella giustizia negata. Vicino a lei Cristiano, fratello di Aldo. La vicenda del ventiquattrenne, morto suicida da innocente il 2 luglio del 1986 dopo 185 giorni di segregazione in stato di isolamento a Buoncammino, continua a destare scalpore. Un errore giudiziario, si chiama così, costato la vita ad un giovane e che ha segnato per sempre quella di sua madre e di suo fratello. Dopo la sua morte, dopo la cattura dei tre uomini che il 23 dicembre del 1985 assassinarono il titolare di un market, nessuna scusa, nessun risarcimento. È dal ricordo di Aldo che prende il via il dibattito “Le urla dal di dentro Morte, Suicidio e Malagiustizia”, coordinato da Massimiliano Rais, avvenuto sabato nella sala Cosseddu della casa dello studente di Cagliari e organizzato dall’Associazione Studentesca “Antonio Gramsci e dall’Associazione 5 Novembre “Per i diritti Civili” con il patrocinio dell’Ersu Cagliari. È sempre dal ricordo del giovane che parte la richiesta da parte dell’avvocato di istituire una supercommissione, garante dei diritti dei detenuti e dei loro familiari. Un ricordo che riporta alla dura analisi della condizione carceraria attuale e dell’elevato numero di suicidi in concomitanza con la visita avvenuta la mattina al carcere di Buoncammino, del deputato dei radicali della Commissione Giustizia, Rita Bernardini, da Cristiano Scardella e Francesca Dragovinich, sorella di un detenuto morto. Il sovraffollamento nel carcere di Buoncammino è solo la punta di un iceberg: sono 33 i suicidi avvenuti solo nel 2010 in Italia, inoltre non c’è personale a sufficienza. Per ogni 80 detenuti è presente 1 solo agente. Una denuncia che parte dallo stesso comandante della Polizia Penitenziaria C.C. Buoncammino Michela Cangiano. Per chi finisce in carcere, inoltre, la percentuale di recidività è del 70%, dato che diminuisce sostanzialmente quando il detenuto viene inserito in comunità adeguate o svolge un lavoro all’interno del carcere. Con l’abbassamento della recidività vi sarebbe un risparmio di 5 milioni di euro per i cittadini ai quali ogni giorno di detenzione costa 300 euro. Verona: associazione La Fraternità; otto “maturi” a pieni voti al carcere di Montorio L’Arena, 13 luglio 2010 Come nelle scuole tradizionali, anche nella casa circondariale di Montorio è finito l’anno scolastico organizzato dall’associazione La Fraternità, da oltre 40 anni impegnata nel volontariato carcerario. I quindici insegnanti volontari sono riusciti a preparare dieci studenti durante l’anno appena trascorso; di questi, dopo l’esame dalla commissione del liceo Mondin, otto sono stati promossi a pieni voti. Molto presenti anche detenuti “uditori” che si limitavano a partecipare per pura passione. Gli studenti detenuti, tutti di una particolare sezione, grazie all’impegno dei volontari, sono stati preparati da privatisti sul programma del liceo linguistico. Non nasconde l’entusiasmo e la soddisfazione il coordinatore degli insegnanti, Mario Merlin, che ha avuto il compito di fare da cerniera tramite la direzione del carcere e i volontari: “Ormai sono passati quattro anni da quando per la prima volta siamo riusciti a far partire il “liceo nel carcere”“, dice il coordinatore. “Grazie all’impegno di insegnanti molto preparati - alcuni in attività, altri in pensione - siamo riusciti ad assicurare la scolarizzazione di molti detenuti”. Alla domanda sul perché proprio il Liceo Linguistico, Merlin spiega che è un tipo di scuola che si può fare senza frequentare quotidianamente, lavorando autonomamente in cella e i detenuti, in buona parte stranieri, sono facilitati per la pregressa conoscenza della lingua. Una scuola seria e di tutto rispetto dunque, e, a scanso di equivoci, Mario Merlin specifica che gli esami per l’idoneità sono molto duri e non sono niente affatto una formalità. Per motivi di sicurezza interna per il momento il liceo è riservato solo alla terza sezione, ma è già in cantiere l’ipotesi di ampliare il numero di studenti e aprire anche alla sezione femminile. Bilancio estremamente in attivo per il gruppetto di docenti: “Facendo del volontariato si riceve molto più di quanto si da. Ogni anno riusciamo a coinvolgere un numero sempre maggiore di insegnanti che prima non avevano mai avuto contatti con il carcere. Noi siamo già pronti per il prossimo anno” conclude Mario Merlin. A ringraziare i docenti è invece il presidente dell’associazione La Fraternità, Francesco Sollazzo: “Questi professori che sottraggono alle loro famiglie tempo prezioso per dedicarsi a persone che hanno sbagliato e che vogliono recuperare e quale mezzo se non la scuola e la cultura per aprire la mente ed essere veramente liberi?” si chiede il presidente. “Grazie a queste persone che stanno già pensando al prossimo anno scolastico, a come renderlo ancora più fruttuoso; a loro il grazie sincero mia e di tutti i volontari della Fraternità e delle famiglie dei ragazzi che hanno seguito” ha concluso Sollazzo. Il 26 luglio verranno consegnati, all’interno del carcere, i diplomi, alla presenza degli insegnanti, della Garante dei detenuti e delle autorità. Volterra: Armando Punzo; il teatro della Fortezza ha cambiato il carcere e la città www.scanner.it, 13 luglio 2010 Ormai Armando Punzo è il “sindaco” virtuale di Volterra. Da ventidue anni è il direttore artistico di Volterra Teatro (dal 19 luglio al primo agosto), regista della Compagnia della Fortezza con gli attori- detenuti della struttura penitenziaria toscana. La città è stata trasformata, travolta, stravolta in positivo: “Il carcere è cambiato con noi - spiega Punzo - è una cosa tangibile, non è un fatto astratto. Non è più il carcere di prima e questo grazie al carro dei teatranti. È successo davvero qualcosa di inspiegabile, è stato fatto, tutti insieme, attori, detenuti e guardie, qualcosa di straordinario, che potrebbe essere esportabile ad altre strutture”. Anche quest’anno la prima settimana è dedicata ai comuni nella provincia pisana, mentre dal 26 luglio ad inizio agosto il festival si sposta in pianta stabile tra le vie dell’alabastro. Piece trainante della kermesse è la nuova produzione della Fortezza, con il secondo studio su “Hamlice” (dal 26 al 29), a metà strada tra Amleto e Alice, già affrontato lo scorso anno in un labirinto tra celle e scritte alle pareti e sui soffitti, immersi in un imponente lavoro di calligrafia certosina e personaggi che non vogliono più sottostare al ruolo affidatogli dalla storia: “I personaggi si sono stufati di essere marchiati a vita, di essere e di dover fare soltanto quello che gli richiedono di essere. Così come i detenuti che sono bollati a vita”. Da seguire “Appassionatamente” con Maurizio Lupinelli (26), i Sacchi di Sabbia con il nuovo “Essedice” (27), Stefano Massini con “L’Italia s’è desta” (28), Ascanio Celestini con “La pecora nera” (30), Il Teatro delle Albe, e poi mostre, proiezioni di film e moltissimi spettacoli di teatro ragazzi. L’installazione interattiva delle Isole Comprese Teatro vedrà tanti nodi bianchi appesi ad una cancellata sui quali sarà possibile scrivere. Ed ancora il Teatrino Giullare con “La stanza” pinteriana, Caterina Sagna con “Basso Ostinato”, entrambi il 29. Qualità, perché a Volterra sono, come indica il sottotitolo dell’edizione, “animali da palcoscenico”. Info: 0588.80392; www.volterrateatro.it. Immigrazione: Polverini; Regione Lazio rinnova l’impegno per il Cie di Ponte Galeria Adnkronos, 13 luglio 2010 “Noi oggi abbiamo rinnovato il protocollo e siamo qui per vedere se e come la Regione può continuare a dare un contributo. Credo che la questione fondamentale sia quella del decoro degli ambienti, ma è importante anche trovare il modo di impegnare il tempo di queste persone, che non sono detenuti, sono solo persone in attesa di rimpatrio”. Lo ha detto il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini visitando il Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria, dove vivono attualmente novantanove donne e ottantacinque uomini. Nel centro, secondo quanto ha spiegato dal direttore, uomini e donne vivono senza mai incontrarsi, se non di rado, quando devono parlare col Giudice di pace. Arrivano qui sapendo che stanno per essere espulsi dall’Italia e per questo a volte compiono atti di autolesionismo o fingono malori per farsi ricoverare e tentare la fuga. Altri riuniti in gruppi organizzano atti dimostrativi danneggiando le strutture del centro. C’è quindi bisogno tanto della sicurezza garantita dalle forze dell’ordine, quanto della solidarietà portata dalla Cooperativa sociale. “Mi ha impressionato molto il fatto che qui lavorino molti giovani motivati - ha concluso la Polverini - questo significa che le nuove generazioni sono impegnate in qualcosa di concreto. Me ne vado mantenendo fermo l’impegno a sostenerli”. Immigrazione: Polverini… dillo che il Cie di Ponte Galeria va chiuso! Liberazione, 13 luglio 2010 Ieri pomeriggio la presidente della Regione Lazio Renata Polverini ha visitato il Cie di Ponte Coieria, dopo aver rinnovato il protocollo di intesa per garantirvi la necessaria assistenza sanitaria. Prima si è impegnata - via comunicato stampa - a migliorare le condizioni di vita dei reclusi - per la legge “ospiti”- con la prevenzione socio sanitaria e anche con un piccolo campo di calcio, da realizzare per garantire qualche momento di svago. In contemporanea, il Garante dei detenuti Angelo Marroni sintetizzava le sue opinioni in materia: “Se mi venisse chiesto vuoi stare in un carcere o al Cie, io risponderei... in carcere”. Quello che pensano tattici “ospiti” del centro, quello che ci si sente dire ogni volta che vi si mette piede dentro. Il fatto è che Ponte Galeria, come la legge che ne determina l’esistenza, è irriformabile. Sono invece iniziati i lavori nella sezione maschile per rendere più “sicure” le gabbie, ed evitare le rivolte che frequentemente scoppiano. Parliamo di una struttura che, anche secondo il prefetto Pecoraro, andrebbe chiusa tout court: la scelta del governo è quella di renderla più impermeabile. A lavori terminati - per ora non si accettano nuovi ingressi nel settore maschile, presto gli uomini saranno trasferiti - si vedranno i risultati. Forte è il timore di ritrovarsi in un istituto di massima sicurezza. Renata Polverini, più di una volta e pubblicamente ha dato segno di non gradire le scelte xenofobe del suo governo. In una cornice diversa, quando era segretaria dell’Ugl ha spesso rimproverato i colleghi di Cisl e Uil per un atteggiamento poco incisivo nei confronti della questione immigrazione, ha valutato farraginose le leggi in materia e ha respinto le logiche più repressive. Non si è lasciata, al contrario di una parte dei dirigenti politici della sinistra moderata, conquistare dal connubio immigrazione-sicurezza, è sembrata ragionare con puro buon senso. Era sincera la Renata Polverini sindacalista sarà coerente ora che è presidente di Regione? Se lo fosse avrebbe dovuto dire, uscendo da Ponte Galeria: “Questo posto va chiuso. Subito”. Invece ha detto che rispetto alle descrizioni lette sulla stampa si sentiva “confortata”. E ha aggiunto: “Vigileremo perché qui ci sia sempre il clima che abbiamo trovato oggi”. ì Renata, cosa ti hanno fatto vedere? Immigrazione: eritrei detenuti in Libia, Gheddafi ora ordina un’inchiesta Il Messaggero, 13 luglio 2010 Il leader libico, Muhammar Gheddafi. ha ordinato venerdì sera a Tripoli, un’ inchiesta sulla situazione degli emigrati eritrei che si trovano in Libia, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa libica, Jana. La stessa fonte indica anche che il colonnello Gheddafi ha sottolineato la necessità di aprire un’inchiesta relativa a ciò che è stato riportato, durante i due giorni precedenti, dai vari mezzi di informazione, sulla situazione degli eritrei residenti nei centri di detenzione in Libia. In un recente comunicato del ministero degli Esteri libico, anch’esso apparso sulla Jana, la Libia ha smentito con vigore le informazioni riportate dalla stampa straniera sul trattamento degli emigrati eritrei rinchiusi nei centri di detenzione. Questi eritrei, riporta il comunicato degli Esteri libico, sono 400 e soggiornano nei campi di detenzione per un periodo che va dai 6 mesi ai 2 anni durante i quali sono trattati, sempre secondo la nota, “in un’ottica umanitaria, come ospiti in attesa di ritornare nel loro Paese d’origine”. La Libia aveva nei giorni scorsi negato che gli eritrei fossero stati torturati e aveva anzi ribadito che nei “centri di accoglienza” libici tutti gli immigrati “sono trattati umanamente e considerati come ospiti”. Nonostante le forti pressioni migratorie cui è sottoposta la Libia, le autorità avrebbero “aperto questi centri alle organizzazioni umanitarie” per mostrare “il trattamento umano” che viene riservato agli immigrati, “il che smentisce le falsità pubblicate su alcuni mezzi d’informazione che mirano a danneggiare il nome della Grande Giamahiria”. Per quanto riguarda in particolare la vicenda degli eritrei, Tripoli, “nel rispetto della dignità umana”, “Ita preso alcune decisioni per l’inserimento degli immigrati, offrendo loro una vita dignitosa e un lavoro secondo le loro competenze”. Stati Uniti: Guantanamo, quel carcere-lager simbolo degli sprechi La Repubblica, 13 luglio 2010 L’ordine con cui Barack Obama prometteva la chiusura di quest’inferno - “Washington, 22 gennaio 2009” - è appeso nella bacheca di Camp IV, tra gli orari delle preghiere e il calendario dei mondiali. Sarà un caso ma è l’unico documento senza traduzione: come si dice in arabo “bugia”? Quel che resta di Guantanamo, otto anni dopo l’apertura del lager, fa gridare ancora allo scandalo. Nei giorni più cupi il supercarcere più famoso del mondo arrivò a ospitare 800 disgraziati. Una folla di detenuti senza prove che spinse a ingrandire a dismisura il mostro. Anno 2002: Camp 1, 2 e 3. Anno 2003: Camp 4. Anno 2004: Camp 5. Anno 2006: Camp 6 e 7. Anno 2008, l’ultimo di George W. Bush, Camp Iguana, destinato ai detenuti da rilasciare, e forse proprio per questo con la capacità più limitata: soltanto 20 posti. E adesso? Dei 240 prigionieri “presenti” quando Obama ordinò la chiusura molti sono stati rilasciati. Molti ospitati dai governi alleati. Ne restano 181. Altri 55 sono stati dichiarati trasferibili: e siamo a 116. Altri 30 aspettano di finire sotto processo militare. Ne restano ancora 86: gli ultimi di Guantanamo. Dieci sono già sotto processo. Cinque sotto la commissione militare a cui l’altro giorno si è arreso Al Qosi, l’autista di Bin Laden. Altri 5 sotto il tribunale civile che dovrà giudicare anche la mente dell’11 settembre Khaled Sheik Mohammed. Poi ce ne sono 48 in quella terra di nessuno che il ministero della Giustizia etichetta così: “Troppo pericolosi da essere rilasciati”. Pericolosi: ma senza nessuna prova che permetta di istruire un processo. Restano altri 38 prigionieri non solo senza processo: neppure così pericolosi.E allora perché tenere in piedi per poche decine di fantasmi questa baracca che costa ai contribuenti 180 milioni di dollari all’anno? La strada per Kittery Beach unisce la “piazza” di Guantanamo Bay (dove trovi Subwaye McDonald’s) all’inferno dei campi. Potresti uscirea Windmill Beach: è bellissima. Invece prosegui fino al posto di blocco. Il cartello giallo dice: “Valore della settimana: rispetto!”. Se superi un filo spinato alto mezzo metro, un filo spinato alto due metri e mezzo e un filo spinato alto due metri e mezzo, ecco, sei all’ingresso di Camp Delta. Un’altra barriera di filo spinato. Ancora un’altra. Sei dentro. E lì, sulla destra, la prima cosa che appare (prima della bandiera a stelle e strisce che intravedi) è la macchinetta che distribuisce Pepsi Cola. L’enciclopedia Sunset “Azalee, Rododentroe Camelie” spunta in bella vista nel primo scaffale della biblioteca all’ingresso di Camp 4. Il 4 è il cuore di Camp Delta: quell’agglomerato pensato per ospitare finoa 1212 detenuti. Sette volte l’attuale popolazione. La biblioteca è simbolo e specchio del campo. Funziona così. Al 4 ci mettono quelli che danno meno fastidio. Al 6 quelli cattivi. Al 5 quelli cattivissimi. Al 7 quelli così cattivi - dalla mente dell’11 settembre in giù - che nessuno ti dice neppure quanti e dove sono. Infatti chiedi: quanti saranno a Camp 4? Dai 50 ai 70. E a Camp 6? Una settantina. E al Camp 5? Una ventina. Se 181 sono in tutto i detenuti, e gli altri campi sono praticamente vuoti, vuol dire che i compagni di Sheik Mohammed nel fatidico 7 sono meno di venti. Mrs. Rosarioè la bibliotecaria meno indaffarata del mondo. Dice che sì, in effetti qualcuno ha chiesto Twilight, il bestseller sui vampiri. Ma chi ci crede? I 910 magazine di cui favoleggiano le statistiche sono archeologia: l’unico in mostra è un Paris Match del maggio 2009 che in copertina fa svettare Nicolas Sarkozy. Le foto della First lady Carla Bruni sono state scarabocchiate: già così sexy in Occidente figuriamoci agli occhi di questi fanatici. In compenso ecco le versioni in arabo di Superman, Asterixe TinTin: anche queste quasi intonse. Però il4è davvero il migliore dei mondi (qui) possibili. I prigionieri si muovono in libertà nel cortile guardato da quattro torrette e protetto da due doppi giri di filo spinato. Le celle sono aperte tutto il giorno tranne da mezzanotte alle quattro del mattino.I detenuti fanno il bucato come nel cortile di casa. C’è pure l’aria condizionata. Insomma dimenticate il Camp X-Ray dei tempi dell’orrore: dimenticate i prigionieri in catene vestiti di arancione. Gli unici “X-Ray” rimasti a Guantamano sono quelli della radiologia del centro medico. Il Senior Medical Officer ti spiega come ormai risolvano anche il dramma sciopero della fame: basta un tubicino “grande come uno spaghetto” che fa ingollare le lattine di Ensure multigusto. Il problema che in questi giorni attanaglia i medici è un altro: “Col boom dei mondiali tutti a giocare a calcio: e mezza prigione in infermeria”. Il carcere vero è quello dei campi 6 e 5. Altro che l’aria aperta di Camp 4: questo è un incubo di cemento senza scampo. Per carità: ci sono due sale tv. Ma spiare, non visti,i prigionieri dietro al vetro - che per loro è uno specchio - è il Grande Fratello più sadico che c’è. Ecco, questa è una classe di attività ricreativa. Lezione di “Life Skills”: impara a vivere. Cinque file di banchi di acciaio. Cinque studenti. Le caviglie inchiodate dalle catene al pavimento. Barbe lunghe. La vita qui scorre così. Però almeno al campo 6 hai diritto a sei ore fuori per giocare a calcio a pallacanestro: a Camp 5 neppure quello. Soltanto due. Ti spiegano anche che qui, è vero, stanno i più cattivi. Ma che tanti scelgono di soggiornarci “per scelta”. Spirito di sacrifico, si sa, fa rima con martirio. E con leadership. A scanso di equivoci il campo non si visita: troppo hard. Eppure il colonnello Andrew McManus, che di questo inferno in terra è il numero due, ha ancora la forza di sorridere. Dice che a conti fatti con Barack le cose sono comunque migliorate. Dice che i detenuti ora “almeno hanno una speranza”: che è puro slang obamiano. Sarà. L’altro giorno sei poveracci hanno preferito restare qui piuttosto che essere rimpatriati in Algeria: “Lì ci torturano davvero”. Guantanamo otto anni dopo è una contraddizione che nessuna promessa (o bugia)è riuscita ancora a sciogliere.