Giustizia: oggi la “giornata di lutto” per le carceri promossa dalle Camere Penali Apcom, 12 luglio 2010 Una trentina di Camere Penali italiane hanno indetto per oggi una “giornata di lutto” “per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica” sulle drammatiche condizioni dei detenuti e sul disagio degli agenti e degli operatori all’interno delle fatiscenti carceri del nostro Paese. Ai tribunali di Napoli e Palermo diversi penalisti si sono presentati in aula con la fascia nera al braccio in segno di lutto, mentre i loro colleghi di Milano sono in attesa di sapere che cosa sarà dell’esposto relativo alla situazione del carcere meneghino di San Vittore, presentato circa tre settimane fa e assegnato al Procuratore Aggiunto Nobili, che ha aperto un fascicolo di indagine a carico di ignoti. “L’esposto non ha come obbiettivo né il direttore di San Vittore né il sovrintendente Luigi Pagano, ma le autorità nazionali che non si attivano a sufficienza per far fronte alle drammatiche condizioni igienico-sanitarie in cui sono costretti a vivere i detenuti, e sulla complessiva situazione di illegalità dell’esecuzione della pena” ha spiegato nel corso di una conferenza stampa, indetta insieme con la Onlus “Il carcere possibile”, il presidente della Camera Penale di Milano Vinicio Nardo, ricordando la necessità di procedere al più presto a una ristrutturazione della struttura di piazza Filangeri, dicendosi contrario ad un’ipotesi di trasferimento in una zona periferica, proprio perché il carcere deve rimanere “in centro, ben visibile, all’interno della coscienza della città”. L’esposto, spiega sempre l’avvocato, è stato presentato anche alla Magistratura di Sorveglianza e al sindaco di Milano “in quanto a capo di una popolazione di cui i detenuti fanno parte”. “Dopo l’esposto - continua il presidente - la commissione comunale sul carcere si è attivata e il 23 luglio prossimo ha organizzato una visita a San Vittore a cui dovrebbe partecipare anche il sindaco Letizia Moratti”. “Tra le diverse iniziative che abbiamo messo in campo in questi mesi - spiega l’avvocato Mirko Mazzali - c’è ne è anche una che vedrà gli avvocati praticanti entrare in alcuni raggi del penitenziario milanese per spiegare ai detenuti il funzionamento generale della giustizia, senza mai entrare nel merito delle loro linee difensive”. Giustizia: Alfano; troppi detenuti stranieri, i trattati per il loro rimpatrio non funzionano Apcom, 12 luglio 2010 Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, interviene a un convegno organizzato dal Csm sulla giustizia internazionale ed europea e subito punta il dito sul fatto che, in materia di detenzione, i trattati bilaterali sottoscritti negli anni “non funzionano”. Prova ne sia, spiega il Guardasigilli, il fatto che “serve ancora il consenso dei detenuti stranieri per il loro trasferimento”, mentre nei documenti è previsto che questa procedura sia automatica. Ma questa non è l’unica deficienza del sistema: “il fatto che in Italia ci siano tanti detenuti stranieri e che molti rifiutino di firmare per tornare in patria a scontare la pena - sostiene il ministro - significa che nonostante i disagi delle nostre carceri sono preferibili rispetto alle loro, vengono viste come un approdo sicuro”. Quindi, Alfano ribadisce l’intervento europeo a sostegno della politica carceraria italiano e della costruzione di nuovi istituti di pena con fondi provenienti da Bruxelles. “Quando posi il problema del trasferimento dei detenuti nei Paesi di origine per scontare la pena - spiega Alfano - una parte del mondo politico italiano mi ha attaccato. L’Europa non conosceva, come tematica comune, il problema delle carceri. Abbiamo infine ottenuto che nel bilancio Ue le carceri fossero realizzate a compensazione della mancata attuazione dei trattati. Questo perché - conclude il ministro - il problema delle carceri, ormai, è un problema europeo”. Giustizia: Sappe; su espulsione stranieri rivedere norme garantiste Il Velino, 12 luglio 2010 “L’amara constatazione fatta oggi dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, intervenendo ad un incontro al Csm, sulla sostanziale inefficacia dei trattati bilaterali in materia di trasferimento dei detenuti stranieri nelle carceri dei Paesi di provenienza dovrebbe, ad avviso del Sappe, indurre a rivedere certe norme eccessivamente garantiste, che alla fine non consentono di risolvere criticità e problematiche importanti, come quella legata appunto alla eccessiva presenza di stranieri nelle carceri italiane”. Così Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) commenta le dichiarazioni odierne del ministro Guardasigilli sul boom di detenuti stranieri nelle carceri italiane. “Non è possibile che chi si è reso responsabile di reati in Italia, più o meno gravi, abbia la facoltà di decidere come e dove scontare la propria pena. Oggi abbiamo in Italia 68.258 detenuti: ben 24.966 (il 36,58 per cento del totale) sono stranieri, che nella Casa di Reclusione di Mamone Lodè sono l’84 per cento dei presenti, in quella di Isili e nella Casa circondariale di Padova il 75 per cento. Questa tipologia di detenuti - prosegue - determina una palese accentuazione delle criticità con cui quotidianamente devono confrontarsi le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria. Si pensi, ad esempio, agli atti di autolesionismo in carcere, che hanno spesso la forma di gesti plateali, distinguibili dai tentativi di suicidio in quanto le modalità di esecuzione permettono ragionevolmente di escludere la reale determinazione di porre fine alla propria vita. Le motivazioni messe in evidenza sono varie: esasperazione, disagio (che si acuisce in condizioni di sovraffollamento), impatto con la natura dura e spesso violenta del carcere, insofferenza per le lentezze burocratiche, convinzione che i propri diritti non siano rispettati, voglia di uscire anche per pochi giorni, anche solo per ricevere delle cure mediche. Ecco queste situazioni di disagio si accentuano per gli immigrati, che per diversi problemi legati alla lingua e all’adattamento pongono in essere gesti dimostrativi. Nel solo 2009 - conclude Capece -, ben 3.688 dei 5.714 atti di autolesionismo che si sono verificati nelle carceri italiane sono stati posti in essere da detenuti stranieri”. Il Sappe sottolinea che tra i detenuti stranieri in Italia i più numerosi sono i marocchini (5.295), seguiti da rumeni (3.332), tunisini (3.235) e albanesi (2.955). Giustizia: intervista a Pietro Buffa, un direttore di carcere… che crede a quello che fa di Riccardo Castagneri Nuova Società, 12 luglio 2010 Appena superato il corpo di guardia del carcere Lorusso e Cutugno, il cronista viene avvicinato da un agente di Polizia penitenziaria “Lei è il giornalista che deve incontrare il direttore? Lo scriva che qui la situazione è come altrove, mancanza di personale, carenza di risorse finanziarie e sovraffollamento. Però il direttore è in gamba, lui crede in quello che fa”. Lui, il direttore, è Pietro Buffa, due lauree, Scienze Politiche e Criminologia Clinica, padronanza impeccabile di quattro lingue. Dirige dal 1997 il carcere delle Vallette, quasi 1.600 detenuti, oltre al personale amministrativo e penitenziario: una piccola città. Convinto assertore della teoria che la situazione carceraria debba avere la massima visibilità, in quanto l’esclusione comporta l’alienazione non solo delle persone ristrette, ma anche di coloro che ci lavorano. Informare, diffondersi, raccontare, può essere di grande aiuto. Il carcere non come entità lontana e cupa, ma come individui. Direttore, l’esubero dei detenuti, oltre la cosiddetta soglia della tollerabilità, la costrizione a vivere in spazi angusti mina la dignità dell’uomo e ne compromette l’equilibrio psicofisico, magari scatenandone l’aggressività o favorendo tentativi di suicidio? Oggi sono presenti 1.594 detenuti. È vero che, stando ai numeri, siamo oltre la soglia della tollerabilità, però rispettiamo le normative europee. Ogni ospite ha un letto e le celle offrono spazi sufficienti, mai più di due per cella. L’emergenza l’abbiamo vissuta quando la popolazione carceraria superò le 1.700 unità, non sapevamo letteralmente dove metterli. Trasformammo la palestra in un’enorme cella-dormitorio. Adesso, razionalizzando, abbiamo recuperato 200 posti. Per quanto riguarda i suicidi, io andrei cauto a ragionare su queste percentuali, che si basano su coloro che si trovano in stato detentivo nelle carceri italiane: 68 mila. Il carcere è un posto dal quale si esce, non dimentichiamolo, quindi si verifica un flusso, ciclico, almeno quattro volte l’anno. Bene, moltiplichi 68 mila per quattro e si renderà conto di quanto diminuisca in percentuale il numero dei suicidi. Attenzione all’ideologia spicciola. Voglio dire, non nego aprioristicamente nulla, ma la mia è una cautela basata sul raziocinio. È profondamente sbagliato ricondurre tutto il malessere alla situazione carceraria. Però il carcere amplifica il malessere, la restrizione non è certamente un aiuto... Certo, all’interno della struttura carceraria tutto si comprime, anche le relazioni umane. L’impatto provoca lo scatenarsi di elementi e sentimenti quali l’abbandono, la solitudine e la rabbia. Ma le assicuro che il monitoraggio è costante, ci vuole tanta attenzione, che stiamo, da sempre, cercando di avere. Mi lasci dire che sono incuriosito dal modo con il quale vengono date le notizie sul sistema carcerario. Fotocopie. Molti detenuti uguale sovraffollamento, pochi operatori penitenziari, condizioni di lavoro disumane. Sostenere questo, pur essendo in parte vero, significa minimizzare i problemi. Non se ne cercano le ragioni, non si ascoltano le spiegazioni. È inutile farla più nera di quanto non sia. Detto questo, nego la colpevolizzazione del carcere, che non è carcerogeno, anche se l’esperienza detentiva non aiuta nella vita. Stranieri e sovraffollamento, questo sarà un problema? Che andiamo a sfatare subito. Come le ho detto poco fa, il carcere è una struttura dove si entra, si soggiorna e si esce. Nel 2007, ci furono 7915 nuovi giunti extracomunitari, i numeri dicono che il 52% di loro, parliamo di 4000, furono scarcerate entro due giorni. Bisognerebbe che tutti capissero che il carcere non deve accogliere chi viola la Bossi-Fini, che dovrebbe essere applicata in maniera appropriata. Perché si dice che ogni carcere è una repubblica a sé, e quanta discrezionalità ha un direttore? Cominciamo col dire che il mio è un lavoro, non una missione. Non direi che ogni struttura carceraria è una repubblica a sé, piuttosto si tratta di realtà distinte, ovvio che esistano carceri dove si sta meglio e altri dove si vive peggio. Gli uomini sono diversi, i contesti sono diversi. I detrattori dicono che sono luoghi dell’abuso, del non diritto. Se posso basarmi sulla mia esperienza, le garantisco che non è vero, anche se immagino, come ho detto prima, che tutti i carceri non siano uguali. Sostengo che il carcere sia un insieme di individui. Per un direttore è fondamentale essere il loro punto di riferimento. Ascoltare sempre e comunque, mantenere rigorosamente quanto promesso, farsi carico di decisioni anche impopolari, motivandole. Questo con totale discrezionalità, che non può essere solo del direttore, il carcere è un intreccio di relazioni umane, formato da miliardi di atti discrezionali. Giustizia e recupero sociale, pena e rieducazione del condannato: utopia o realismo di un principio espresso dalla nostra Costituzione? All’interno della Casa Circondariale che io dirigo, sono sette le cooperative sociali che svolgono attività produttive con lavoratori detenuti. Questo previene il rischio di reiterazione del reato, proprio attraverso il reinserimento sociale, crea un ponte tra il carcere e il territorio, contrasta l’ozio e il senso di inutilità, che caratterizzano la detenzione. Non per pubblicità spicciola, ma mi pare doveroso segnalare queste cooperative, Ecosol, catering e ingegneria naturalistica; Ergonauti, ristorazione, trattamento rifiuti, pannelli fotovoltaici; Eta Beta, informatica, progettazione stand fieristici, prodotti grafici; Extraliberi, serigrafie per stampa su prodotti di abbigliamento; Papili, sartoria; Pausa Cafè, torrefazione caffè e cacao; Punto a Capo, produzione di elementi per l’arredo urbano. 189 posti di lavoro disponibili, nel 2009, alle dirette dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, 56 presso le cooperative sociali. Il valore della produzione delle attività realizzate all’interno della casa circondariale è stato pari a 2.533.639 euro. Giustizia: essere mamme in carcere di Enrico Campofreda Terra, 12 luglio 2010 Viaggio tra le celle di Rebibbia dove i figli, dalla nascita ai tre anni, possono vivere con le loro madri. Una concessione non diffusissima raccontata dai testimoni diretti: detenute, medici e puericultrici. Una nemesi giudiziaria oltre che storica. Figli che scontano le colpe delle madri e sono reclusi con loro, da quando nascono fino ai tre anni d’età, se le madri restano in carcere per pene superiori. è una concessione considerata umana e civile da chi la istituisce ma non sempre gradita da chi ne fruisce. Non è diffusissima perché spesso le patrie galere sono antiche e non attrezzate a servizi che come il nido prevedono la presenza di personale medico e assistenziale adeguato ai bisogni. Rebibbia nella zona di Ponte Mammolo in Roma è il carcere italiano col maggior numero di madri recluse. Attualmente sono venti. Lì incontriamo Malkja, trentadue anni, bosniaca, cinque figlie femmine da tredici anni a trentuno mesi. L’ultima, Esmeralda, è con lei in cella e dovrà lasciarla il prossimo ottobre. Una condizione già conosciuta da Malkja, foriera di stati d’animo e tensioni inevitabili per qualsiasi madre. Dice “Capisco che vogliono aiutarci ma questo sistema è ingiusto, bambini abituati a stare giorno e notte con la madre non si possono distaccare all’improvviso”. “è una lacerazione, una pena più grande di qualsiasi condanna - racconta Malkja -. Se lo Stato vuole essere umano dovrebbe fare due cose: lasciare madre e figlio insieme per più tempo e anziché la cella dargli una casa-famiglia. La prima parola che la bambina ha imparato è chiave. Poi mamma e porta. Lei associa la porta chiusa e le chiavi gradi e rumorose”. L’altro grande problema per chi, scontata la pena torna in società, è il futuro. Un domani che possa coniugarsi col lavoro e la capacità di sostentamento normale e legale. Malkja prosegue “Se mia figlia mi chiede qualcosa e non ho soldi perché sono senza lavoro devo negargliela o rubare. Per le condanne ricevute non ho permesso di soggiorno, senza questo è difficile lavorare. Voglio cambiare vita, ho fratelli occupati con l’Opera Nomadi, vorrei lavorarci anch’io. Quando le altre figlie mi vengono a trovare è sempre difficile gestire i contatti affettivi. Soffriamo tutti, le mie figlie vivono con la nonna perché il padre le ha abbandonate. Nei casi come il mio, la casa-famiglia sarebbe una soluzione perché farebbe scontare la pena alla madre e metterebbe i figli a riparo dal dolore del carcere. I bambini piano piano si rendono conto della stranezza del luogo: vedono le sbarre, i cancelli chiusi, vedono gli agenti in divisa. Mia figlia dice “Agente mi apri? Vado a casa con mamma”. Queste cose fanno male, non sopporto l’idea che possa già mancarle la libertà”. La dottoressa Paola Di Francesco è la pediatra che segue i bambini-detenuti “La contraddizione c’è. Noi svolgiamo il lavoro medico, non ci compete discutere sulla norma che istituisce questo sistema. Per tutelare al meglio le condizioni di madri e figli ho chiesto che non ci fosse un soprannumero e già le attuali presenze sono al limite perché un tempo avevamo trenta madri. In genere le italiane e le nigeriane, che insieme all’etnia rom costituiscono le presenze nella sezione femminile, sono le più refrattarie all’istituzione. Le rom in assoluto le più numerose sono, diciamo così, abituate. Ma dalla testimonianza appena ascoltata anche loro vorrebbero altro”. Elisabetta Petuolo e Antonella Dal Col sono due delle nove “puericultrici” che quotidianamente, dalle 8 alle 20, prestano servizio nella struttura. Ormai ci lavorano da anni, prima sotto la giurisdizione del Ministero di Grazia e Giustizia e dal 2007 della Asl di zona. Ricordano “Sostituimmo le suore che prima di noi svolgevano questo compito, tuttora contrattualmente la funzione di puericultrice non esiste. Noi provvediamo all’assistenza alimentare e pedagogica. L’accompagnamento alla crescita è complesso, non abbiamo la facoltà di stabilire programmi perché allo scadere del terzo anno tutto s’interrompe. Possiamo solo fare in modo che madre e figlio vivano serenamente. Sembra paradossale ma è così”. Aggiunge Di Francesco: “Interagiamo solo con madre e bambino assieme. La donna è privata della libertà, non dei diritti della persona perciò mantiene ogni decisione e facoltà riguardo a quanto il nostro servizio propone. Possiamo sensibilizzare, non decidere. Gradualmente s’instaura una fiducia, fra sanitario e madre c’è un discreto grado di libertà perché nel nido la maternità si percepisce e si preserva. Anche in una comunità legata alla tradizione come sono i rom, si notano trasformazioni, le donne non sono più analfabete, riescono a leggere, s’informano, sono interessate a temi come nutrizione e prevenzione sanitaria. Quel che non è cambiato è il modo d’essere madri: allattano al seno anche a lungo e conservano un’ampia fisicità con bambino”. Emilia Romagna: Assessore Politiche Sociali; nelle carceri una situazione intollerabile Dire, 12 luglio 2010 “Condividiamo la necessità e l’urgenza di un intervento immediato”. Questo il commento dell’assessore regionale alle Politiche sociali Teresa Marzocchi, che oggi ha incontrato il presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, Francesco Maisto, per impostare l’attività di mandato e discutere sulla situazione delle carceri in Emilia-Romagna. “Una situazione che, come già dichiarato dal dottor Maisto, rimane oltremodo grave- ha ribadito l’assessore-, tra sovraffollamento delle persone detenute, carenza del personale, tempi lunghi del piano nazionale del governo”. L’assessore Marzocchi e il presidente Maisto hanno quindi condiviso l’impegno di valutare tempestivamente ogni intervento possibile “per far fronte a una realtà non più tollerabile, e umanamente inaccettabile”. Intanto, la maggioranza di centrosinistra in viale Aldo Moro ha sottoscritto una risoluzione (prima firmataria Monica Donini, della Federazione della Sinistra-Prc) per chiedere ai “gruppi assembleari, nel rispetto della piena autonomia di gestione delle rispettive risorse, ad avvalersi dei servizi svolti dalla tipografia della Casa circondariale di Bologna per poter garantire il pieno funzionamento di tale attività”. Nelle scorse settimane era stata Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, a sollevare il tema della tipografia della Dozza, in difficoltà col calo delle commesse dovuto alla crisi economica. La risoluzione del centrosinistra impegna inoltre “la Giunta regionale a promuovere nelle pubbliche amministrazioni del territorio la possibilità, nel rispetto delle procedure di affidamento di servizi, l’utilizzo della tipografia per dare sostegno e concretezza al progetto Profumo di parole”. Attivato nel 2003 grazie ad un finanziamento regionale di 80.000 euro- spiegano i firmatari del documento- il progetto prevedeva il recupero e l’inserimento lavorativo dei detenuti attraverso l’integrazione tra la formazione professionale e la creazione d’impresa nei settori florovivaististico e tipografico. La tipografia all’interno del carcere bolognese è stata attivata nel 2004 e nel corso degli anni sono stati regolarizzati con contratto di lavoro subordinato due detenuti, mentre attualmente vi lavora un solo detenuto”. In ogni caso “il mantenimento di questa attività - sostengono i consiglieri - è molto importante per il recupero e l’inserimento lavorativo, in quanto solo una piccola parte di detenuti può svolgere attività lavorative tramite borse lavoro o occuparsi di lavoretti all’interno del carcere”. Lazio: Colosimo (Pdl); capire come si possono migliorare condizioni vita dei detenuti Dire, 12 luglio 2010 “La volontà di effettuare la visita odierna nel carcere di Rebibbia nasce dall’attenzione che intendiamo rivolgere alle fasce più deboli e disagiate della nostra società”. Lo dice in una nota il consigliere del Pdl alla Regione Lazio, Chiara Colosimo, che aggiunge: “Il sovraffollamento delle carceri è infatti un dramma reale, ma quello che maggiormente ci interessava capire è come si possono migliorare le condizioni di vita dei detenuti, e allo stesso tempo capire quali possono essere le politiche da adottare per favorirne il reinserimento”. La visita, spiega Colosimo, “si è articolata con un passaggio nel complesso femminile, dove oltre ad un breve giro nella sezione camerotti ci siamo soffermate nei locali adibiti ad asilo nido, dove vi sono 21 detenute con figli da zero a tre anni. Le condizioni di sovraffollamento vengono in questo periodo aggravate dal gran caldo, ma è stato sconvolgente, in senso positivo, vedere il rapporto umano creatosi tra agenti e detenute, dove in alcuni casi i bambini chiamano nonno l’agente. Successivamente, al nuovo complesso maschile abbiamo visitato le sezioni g8 e g12 dove sono attivi un call center e la sede di un giornale interno molto attivo e ben organizzato”. Secondo Colosimo, “questa è una delle prime iniziative che come neo consigliere regionale del Lazio intendo portare avanti nell’ambito delle problematiche che investono la popolazione carceraria. Da sempre, infatti, mi riconosco in una frase di Dostoevskij: ‘Il grado di civilizzazione di una società si misura delle sue prigioni”. Puglia: da inizio anno 3 suicidi tra i detenuti e altri 60 che hanno tentato di togliersi la vita Asca, 12 luglio 2010 “La Puglia è da tempo la regione più affollata di detenuti avendo quasi superato il 100% dei posti disponibili con 4.550 presenze a fronte di 2.300 posti circa”. È quanto denuncia la segreteria regionale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria che evidenzia come proprio in Puglia nel 2010 sono aumentati gli episodi di violenza, i suicidi e i tentativi di suicidi. Il Sappe oltre “che parlare dei suicidi che in questo primo scorcio del 2010 (tre) hanno eguagliato il numero di tutto il 2009, vuole porre l’attenzione in particolare proprio sui tentativi di suicidio nonché sugli episodi di ordinaria violenza che si consumano giornalmente nelle carceri pugliesi”. “Così scopriamo - si evidenzia - che solo i tentativi di suicidio classificati come tali (ma tantissimi altri sfuggono alle statistiche) evitati all’ultimo momento grazie al sacrificio e al coraggio dei poliziotti penitenziari, nei primi sei mesi hanno superato il numero di 60”. “Purtroppo i crudi numeri che abbiamo raccolto presso i penitenziari della regione - si legge nella nota del Sappe - raccontano di un disagio e una tensione preoccupante che è riscontrabile leggendo gli atti di autolesionismo o di protesta da parte dei detenuti, manifestazioni che sono aumentate in maniera allarmante”. “Dei suicidi - si evidenzia - si è parlato (per poco) nei giorni scorsi, ma quello che ci preoccupa è il clima di tensione e violenza che serpeggia nelle carceri pronto a esplodere in qualsiasi momento in questa calda estate, e le prime avvisaglie sono le manifestazioni di protesta (per ora pacifiche), che vedono i detenuti sbattere violentemente le suppellettili contro le inferriate (Lucera, Foggia, Brindisi, Bari, Lecce, Taranto)”. Brindisi: sottosegretario Casellati e senatore Saccomanno in visita al carcere; luci e ombre Corriere del Mezzogiorno, 12 luglio 2010 Qualcuno scrive, molti leggono ma c’è pure chi cucina o taglia i capelli al compagno di cella. I quasi duecento detenuti del carcere di Brindisi sono i primi a meravigliarsi della vitalità e del conforto del sottosegretario Maria Elisabetta Alberti Casellati, la giurista veneta che - su invito del collega senatore Michele Saccomanno - ieri mattina ha voluto visitare la casa circondariale di via Appia, soffermando - attraverso lo spioncino - a parlare con i detenuti, chiedendo loro disagi e problemi che vivono in cella, ma anche suggerimenti per migliorare la loro condizione carceraria. L’esponente politica - reduce da una recente trasferta “Oltreoceano”, nel penitenziario “Sing Sing” - non era a Brindisi solo per fare vetrina. “Qui non si nasconde niente, qui si evidenzia”, sono state le sue parole al cospetto dei funzionari della casa circondariale e degli agenti penitenziari. Maria Elisabetta Alberti Casellati, senatrice Pdl del Veneto, ha le idee chiare e parla senza mezzi termini dei pregi di una struttura recentemente ristrutturata ma anche dei lati ancora oscuri del carcere brindisino. A cominciare da quell’infermeria a mezzo servizio che potrebbe invece diventare un piccolo ospedale o del mancato impiego dei detenuti in lavori e lavoretti che pure - una volta - caratterizzavano la detenzione in via Appia. “È un buon carcere questo - dice -, ma si può fare qualcosa di più. La vivibilità è buona, anche se mancano gli spazi per il lavoro che oltre ad impegnare la mente potrebbe servire ai detenuti per rifarsi una vita una volta usciti da qui”. Accompagnata dalla direttrice Sonia Fiorentino - ma anche dal responsabile dell’area trattamento Francesco Pallara, dal medico Giovanni Indini e dal comandante delle Guardie carcerarie Alessio Mercurio - la sottosegretario si è soffermata sul piccolo reparto ospedaliero, con posti anche per disabili, che resta al momento desolatamente vuoto. Ha voluto anche sapere, attraverso gli operatori sanitari, quali siano le patologie più diffuse scoprendo la necessità di una maggiore assistenza psichiatrica. Due ore e passa per osservare ogni particolare, raccogliere istanze e lanciare proposte. Toccante l’incontro con i detenuti. “Si stiamo bene, ma potremmo stare meglio”: questo in sintesi il messaggio emerso dai brevi colloqui attraverso gli spioncini delle celle. Nella parte ristruttrata, al di là di qualche caso di sovraffollamento, i detenuti hanno anche la doccia - oltre alla tv - a disposizione 24 ore su 24. Qualche problema ancora in alcune sezioni dove più o meno tutto è rimasto come prima, comprese quelle “celle” adattate a posti di guardia per gli agenti penitenziari. “Qua non bisogna pensare solo ai detenuti, ma anche a noi e alle nostre condizioni di lavoro”, commentava più di qualcuno al passaggio del “corteo” con politici e funzionari. Infine, uno sguardo alla biblioteca curata dal volontario-diacono Francesco Bove, alla Cappella che all’occorrenza diventa un teatro sotto l’abile regia di padre Fabiano e la cucina dove lavorano alcuni detenuti in attesa di giudizio. Ieri il menù prevedeva a pranzo pasta al tonno e trance di palombo al forno. Per cena, pasta al minestrone e polpette. La domenica in tavola anche la crostatina. Piatti alternativi sono previsti peri musulmani che non mangiano carne e i diabetici. Della cucina, nessuno si lamenta: o quasi. “Io mi faccio portare gran parte della roba da fuori”, dice uno dei detenuti. Forse un modo per “respirare” aria di libertà. Busto Arsizio: delegazione Uil-Pa Penitenziari in visita alla Casa Circondariale Il Velino, 12 luglio 2010 “Il 6 luglio una delegazione Uil Pa Penitenziari ha fatto visita agli ambienti e luoghi di lavoro della casa circondariale a Busto Arsizio. La struttura è ben conservata e si è anche potuto apprezzare la pulizia di tutti gli ambienti, che si connotano per la loro salubrità. Ovviamente a 25 anni dall’apertura qualche sintomo di deterioramento e di usura, inevitabilmente, si appalesa”. È quanto si legge in un comunicato stampa della Uil Pa Penitenziari. “Il block-house posto all’ingresso dell’istituto e la portineria/carraia sono funzionali e idonei, ma tutte le registrazioni avvengono manualmente sui registri cartacei istituiti che risultano in numero immotivatamente spropositato rispetto alla media. Ne deriva, come già proposto da questa organizzazione sindacale, che sarebbe opportuno e necessario un progetto di informatizzazione di tali servizi con l’obiettivo di razionalizzare i carichi di lavoro del personale, elevare gli standard di qualità e abbattere i tempi di attesa e di registrazione di persone e mezzi che accedono in istituto. Nel corso della visita, come anticipato, si sono accertate anche talune deficienze strutturali. Le note più dolenti riguardano la caserma agenti, il muro di cinta e la porta carraia. L’ultimo piano, il terzo, della caserma agenti presenta ampie e diffuse infiltrazioni di acqua provenienti dal soffitto. Il personale accasermato è costretto, quindi, ad attrezzarsi per la raccolta di tali acque reflue con secchi e contenitori vari, anche al fine di evitare ulteriori infiltrazioni ai piani sottostanti. Non pare inutile segnalare come le infiltrazioni interessino, spesso, zone in prossimità di derivazioni elettriche e pertanto ancor più potenzialmente pericolose. Il muro di cinta necessita di urgenti interventi di manutenzione. In particolare le strutture metalliche che sostengono i vetri blindati sono aggredite dalla ruggine e una loro mancata verniciatura determinerebbe danni strutturali ed economici ben più importanti. Così come si rende indispensabile la verifica dell’impianto elettrico. Occorre, infatti, riparare i guasti e conformare le imperfezioni”. “Non di meno - sottolinea la nota - è necessaria una disinfestazione alla garitta tre (invasa da escrementi di piccioni) e individuare protezioni idonee per quelle garitte esposte in prossimità degli alveari usati per la produzione di miele, giacché gli sciami di api rappresentano un concreto pericolo per l’incolumità del personale addetto al servizio di sentinella. Una volta avuto accesso agli ambienti interni si rileva con immediatezza una diffusa, opportuna automazione dei vari cancelli che rende più agevole e sicuro il lavoro del personale. Tuttavia al terzo e quarto cancello (gli unici due non automatizzati) sarebbe conveniente insediare (anche in economia) un box per l’agente e prevedere, appunto, l’automazione dei cancelli. De visu si è potuto accertare come al reparto osservazione/isolamento e al reparto tossicodipendenti le docce dei detenuti non appaiano essere conformi agli standard minimi dell’igiene e della salubrità, tanto da generare dubbi circa la possibilità possano essere efficaci veicoli di diffusioni di patologie infettive e/o virali. Nella rotonda del piano terra è ubicato un box dal quale l’agente aziona tutti i cancelli preposti al transito di detenuti e personale. L’apprezzata funzionalità del sistema di gestione a comando remoto è molto limitata dall’inefficienza (si spera solo temporanea) dei citofoni. L’auspicio è che si voglia intervenire con urgenza per ripristinare l’efficienza dei citofoni in modo che il personale possa interloquire, in condizioni di sicurezza, con i detenuti in attesa. Al primo piano del corpo centrale troviamo il piano socialità, nei cui locali vengono organizzate le diverse attività culturali, teatrali, musicali, religiose, scolastiche e persino sportive. La sicurezza è garantita in maniera dinamica da una o due unità di Polizia penitenziaria, a seconda del periodo e del numero di attività in corso. Qualche perplessità, invero, ingenera la sorveglianza della palestra in quanto situata all’estremità di uno dei due corridoi che ne limita i controlli. Pertanto l’installazione di un impianto video a circuito chiuso collegato alla postazione dell’agente potrebbe risultare utile a colmare questo gap di efficienza”. Tutte le sezioni detentive sono ben strutturate, ordinate e pulite. Strutturalmente l’istituto gode dell’originaria progettazione di massima sicurezza. Ogni sezione ha percorsi e accessi separati rispetto alle altre sezioni e al personale stesso. I frigoriferi e i freezer preposti alla raccolta e al refrigeramento delle bevande in uso ai detenuti sono allocati all’interno dei locali in uso al personale di sorveglianza. Per garantire una maggiore riservatezza e una più efficace sicurezza si ritiene opportuno posizionare tali elettrodomestici in altro luogo che, a nostro avviso, potrebbe essere il locale adibito a barberia. Ai cortili passeggio il box agenti è dotato di climatizzazione ed è idoneamente strutturato. Si rende necessaria, però, l’automatizzazione dei cancelli d’ingresso ai cortili e, soprattutto, quello di accesso al campo sportivo. Attualmente, difatti, l’unico agente in servizio per consentire l’accesso (o l’uscita) dei detenuti dal campo sportivo è costretto a entrare e attraversare l’intero cortile passeggi, con evidente rischio per l’incolumità personale e la sicurezza dell’istituto. Non meno utile si renderebbe l’installazione di citofoni e altoparlanti per consentire conversazioni o diffusione di comunicazioni senza che il preposto alla sorveglianza sia obbligato a entrare nei cortili. La sezione collaboratori, al pari delle altre, è strutturalmente idonea. L’unica criticità riscontrata - continua la nota della Uil Pa - riguarda il guasto al climatizzatore posto all’interno del box ingresso. L’impossibilità di qualsiasi forma di areazione (le finestre sono fisse e costituite da vetri blindati di sicurezza) rende irrespirabile l’aria e fa sì che le temperature raggiungano livelli insopportabili. La visita ha potuto far apprezzare alla delegazione anche il nuovo reparto per minorati fisici, adeguatamente attrezzato e arredato per i bisogni e le necessità di questa particolare utenza. Il nuovo reparto è quasi pronto, ma non si hanno ancora notizie di assegnazione del contingente di polizia penitenziaria necessario. Considerata la situazione organica complessiva dell’istituto è impensabile che ciò possa avvenire con le risorse umane attualmente disponibili a Busto Arsizio. Il nuovo archivio, ricavato nei sotterranei del nuovo reparto per minorati fisici, si caratterizza per la forte umidità degli ambienti. Al fine di evitare o accelerare processi degenerativi della carta e dei registri riteniamo indispensabile dotare il locale di un impianto di deumidificazione o ogni altra efficiente soluzione”. “Alla data della vista erano 429 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 167. I detenuti con posizione giuridica definitiva risultavano 148. Tutte le celle, originariamente progettate a posto singolo, presentano letti a castello con tre brande. Come più volte sostenuto e illustrato, la casa circondariale di Busto Arsizio risente degli effetti della vicinanza all’aeroporto di Milano Malpensa, ancor più dopo il recente ampliamento. I detenuti non italiani assommavano a 278 ( appartenenti a 37 nazionalità). Le comunità più numerose: Marocco (60), Tunisia (21), Nigeria (23), Paraguay (24), Albania (37). È facile immaginare quali e quanti problemi determini la gestione di una popolazione detenuta così variegata e multietnica rispetto ai rapporti di relazione, di approccio linguistico nonché dall’appartenenza a religioni diverse. L’organico di Polizia Penitenziaria (Dm 2001) è previsto in 286 unità, ne sono assegnate 244: 13 ispettori, 16 sovrintendenti, 101 assistenti capo, 40 assistenti, 33 agenti scelti e 41 agenti. Di queste, 27 sono impiegate presso il nucleo traduzioni e piantonamenti e 35 sono distaccate in altre sedi. Al netto delle unità impiegate nei posti fissi, al servizio operativo di 24 ore interno all’istituto residuano 124 unità (compresi ispettori e sovrintendenti). Riguardo al ruolo degli ispettori è da rilevare che delle tredici unità assegnate, solo due di queste sono preposte ai servizi operativi, in quanto oltre al comandante tre sono assegnati a posti fissi e ben sette sono in distacco. L’attività del nucleo traduzioni e piantonamenti, anche per la già richiamata vicinanza dell’aeroporto, risulta spropositata rispetto alle dimensioni dell’istituto. Dall’inizio del 2010 alla data della visita, infatti, erano state già effettuate 838 traduzioni per un totale 1.363 detenuti movimentati, con l’impiego di 3.500 unità di polizia penitenziaria (2.200 dal Ntp e 1.300 dal servizio interno o da altri istituti). Proprio il ricorso all’ausilio di una aliquota di personale ‘esternò al Ntp superiore al 50 per cento, dimostra che anche l’organico dello stesso Ntp non è assolutamente adeguato alle necessità operative. Nello stesso periodo, i piantonamenti in luoghi esterni di cura assommavano a 75 (49 nei confronti di narcotrafficanti ovulanti), con l’impiego di 2.500 unità di Polizia penitenziaria. Al riguardo occorre segnalare che ci è stato riferito come sia una costante l’assenza di unità di polizia penitenziaria femminile in caso di piantonamenti a detenute. La presente si inoltra per doverosa notizia e per quanto di competenza in ordine agli interventi che si riterrà opportuno adottare”. Roma: Isabella Rauti (Pdl); creare un istituto per le madri detenute con bambini Redattore Sociale, 12 luglio 2010 “Abbiamo visitato l’asilo nido di Rebibbia, che ospita ventuno donne con bambini, di cui venti donne rom ed un’italiana: madri e figli vivono in una situazione di sovraffollamento perché la struttura è in grado di ospitare soltanto quindici detenute con bambini. Si tratta di una situazione critica, e, inoltre, la detenzione dei bambini da zero a tre anni, è in contrasto con tutte le convenzioni Onu sui diritti dell’infanzia”. A dichiararlo, al termine della visita conoscitiva presso gli Istituti di Pena di Rebibbia femminile e maschile, è Isabella Rauti, membro dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale del Lazio che ha effettuato il sopralluogo insieme alla consigliera regionale del Pdl Chiara Colosimo. “Dobbiamo arrivare a creare un Icam, un Istituto di Custodia Attenuata per Madri detenute - ha spiegato Rauti - Ma i problemi della sezione femminile di Rebibbia sono anche altri, a cominciare dal sovraffollamento che vede trecentottantaquattro detenute presenti su una capienza di trecentoventi posti e dal sottodimensionamento dell’organico, con una sola agente di polizia penitenziaria per le sessantotto detenute della Sezione Camerotti. Su questo aspetto inciderà positivamente l’attuazione del Piano nuove carceri che prevede, tra l’altro, l’assunzione di nuovi agenti di Polizia penitenziaria”. “Nella sezione femminile di Rebibbia abbiamo visitato anche le attività destinate al recupero lavorativo delle detenute - ha aggiunto Rauti - ed in particolar modo il laboratorio di pelletteria, che svolge sia la funzione di formazione che quella di lavorazione vera e propria e consente ad alcune detenute di disporre di un reddito. Lo stesso laboratorio ha una sede esterna dove lavorano tre detenute in permesso. Si tratta di una buona prassi perché contribuisce al reinserimento di queste persone nel mondo del lavoro al termine della pena. Nella sezione maschile siamo stati accompagnati dal direttore Carmelo Cantone e dalla vicedirettrice, Maria Carla Covelli”. “Abbiamo visitato le sezioni G12 e G8 ed abbiamo preso atto delle attività di recupero - ha concluso Rauti - Abbiamo incontrato il Gruppo Idee e visitato la redazione del giornale ‘Dietro il cancellò, la biblioteca e la sede del call center del servizio 1254 della Telecom. Abbiamo infine visitato il reparto di prima accoglienza dei nuovi detenuti e ci siamo informati sulle attività trattamentali e lavorative svolte a Rebibbia”. Mantova: per i detenuti niente sport e attività culturali, causa la mancanza di personale La Gazzetta di Mantova, 12 luglio 2010 Ancora una lettera dal carcere di via Poma. E ancora per dire ai mantovani che la situazione per chi vive dietro le sbarre non è affatto migliorata rispetto agli ultimi mesi. Resta il sovraffollamento (presenti in media 220 detenuti a fronte della capienza massima di 120), la carenza di agenti, il blocco delle attività ricreative. Così almeno racconta la popolazione detenuta in una lettera inviata al Sindaco, alla Procura, all’Asl, alla Regione e al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. La lettera inizia con una nota positiva: “Abbiamo notato che sono stati fatti piccoli accorgimenti a livello igienico sanitario”. E cioè, spiegano i detenuti, sono stati cambiati i vecchi materassi di spugna, sono state acquistate della brande pieghevoli che eviteranno ai detenuti in sovrappiù di dormire per terra, sono stati sistemati alcuni locali-doccia e sono in corso di ristrutturazione alcune celle piccole. Ma restano i gravi problemi di sempre, ogni mese che passa sempre più cronicizzati: il sovraffollamento ha come corollari il fatto che sia impossibile spostare i detenuti in altre strutture per sistemare il carcere e il fatto che non sia più possibile dividere la popolazione carceraria per il tipo di reato commesso. La contemporanea riduzione del numero di agenti di custodia fa sì che molte delle attività culturali, ricreative e sportive che via Poma potrebbe offrire risultino impossibili. Si potrebbe fare teatro, guardare film o organizzare corsi di musica; oppure usare la palestra, o l’aula computer che - scrivono i detenuti - non si riempie che al massimo una volta all’anno. “Basterebbe veramente poco per far sì che anche in questo regime di sovraffollamento si rendesse la permanenza in questa struttura meno problematica per tutti”. “Abbiamo capito - chiude la lettera - che la parola carcere non interessa a nessuno, ma all’interno ci siamo noi e siamo esseri umani”. Forlì: consiglieri regionali del Pd visitano il carcere; la situazione è esplosiva Ansa, 12 luglio 2010 I consiglieri regionali del Pd Tiziano Alessandrini e Thomas Casadei, insieme alla Segretaria funzione pubblica della Cgil di Forlì Dealma Mengozzi si sono recati, alcuni giorni fa, in visita alla casa circondariale di Forlì-Cesena. “La situazione è indubbiamente critica, - spiega Alessandrini -, il sovraffollamento dei detenuti aggrava oltremodo le carenze igienico sanitarie della struttura dovute alla vetustà del fabbricato e degli impianti, cosa per altro segnalata anche dal servizio sanitario regionale”. Piena solidarietà dei Consiglieri alla richiesta lanciata dalle associazioni Buon Diritto, Antigone e Carta, di dare sostanza e obiettivi all’appello “Le carceri sono fuorilegge”. Lanciato all’inizio del mese ha come obiettivo la visita alle carceri più sovraffollate d’Italia nell’intento di dialogare con detenuti e personale dirigente al fine di poter avviare azioni di carattere amministrativo volte al miglioramento delle condizioni di vita all’interno delle strutture carcerarie. L’argomento carceri, inoltre, sarà a breve in discussione in Assemblea Legislativa all’interno della prossima seduta della commissione sanità. “Se si affronta poi il tema sicurezza, - aggiunge il consigliere Casadei -, il personale di Polizia Penitenziaria ha subito dal 92 ad oggi un ridimensionamento di circa 20 unità a fronte di un aumento di popolazione detenuta pari al doppio. Secondo il disegno del Ministero , in questo istituto mancherebbero solo 6/7 agenti ma in realtà, per tutelare la sicurezza senza mettere in discussione quei diritti innegabili derivati da contratti e norme che il personale vuole vedere concessi, mancherebbero circa 20 uomini e almeno 4 donne.” “Capiamo la difficoltà della Direttrice, concludono Alessandrini e Casadei, nel tentare di svolgere al meglio le sue funzioni in mancanza di fondi adeguati, ma molto deve essere fatto per raggiungere criteri di salubrità di ambienti e qualità della vita sia per la popolazione detenuta che per il personale.” Modena: Sappe; protesta degli internati nella Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano Adnkronos, 12 luglio 2010 Nella Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano (Modena) è cominciata questa mattina la protesta degli internati, che hanno iniziato a battere violentemente pentole e altri oggetti contro le inferriate delle celle. Ne dà notizia il segretario generale aggiunto del sindacato di polizia penitenziaria Sappe, Giovanni Battista Durante, spiegando come gli internati avrebbero scritto una lettera a varie autorità, chiedendo la concessione delle licenze previste dall’ordinamento penitenziario, per poter trascorrere alcuni giorni fuori dalla struttura detentiva. Licenze che vengono concesse dalla magistratura di sorveglianza. Attualmente nella Casa di Lavoro di Saliceta, ricorda il sindacalista, gli internati in licenza sono 13, mentre nella struttura ce ne sono 84. “La protesta - conclude Durante - crea molti problemi di gestione al personale di polizia penitenziaria, ormai ridotto al minimo per le note carenze di organico. In questo periodo, a seguito del piano ferie, il personale è ulteriormente ridotto. Sarebbe opportuno un immediato invio di agenti di polizia penitenziaria per far fronte all’emergenza”. Livorno: le Circoscrizioni bocciano il Regolamento comunale sul Garante dei detenuti di Luciano De Majo Il Tirreno, 12 luglio 2010 La bufera sul garante dei detenuti arriva dalle circoscrizioni. In due su cinque, la 1 e la 4, il regolamento è stato bocciato. Non si trattava di una votazione sulla persona da indicare per svolgere il ruolo di garante dei detenuti, ma solo sul regolamento, che da palazzo Civico è stato mandato ai cinque consigli di circoscrizione. Se alla 2, alla 3 e alla 5 c’è stato il “via libera”, lo stop è arrivato dalle due circoscrizioni più rosse. E ciascuno dei due casi ha fatto storia a sé. Alla 1 è finita con un solo voto favorevole (quello di Ettore Carpenè, vicepresidente, di Sinistra ecologia e libertà), cinque astenuti e sei contrari, col gruppo del Partito democratico che si è espresso per l’astensione. La presidente della Circoscrizione 1 Daniela Bartalucci, infatti, si è astenuta. Altri due consiglieri del Pd, invece, hanno unito i loro voti a quelli del centrodestra e delle altre forze che hanno votato contro. Il risultato è stato la bocciatura. “Sia chiaro - dice proprio Daniela Bartalucci - che nella nostra astensione non c’è un giudizio negativo sulla figura del garante dei detenuti, ma solo la volontà di una riflessione e un messaggio di preoccupazione sulla creazione di un altro ufficio oneroso, in una fase in cui si tagliano le risorse del decentramento”. Da due mesi, infatti, i consiglieri di circoscrizione non percepiscono più gettone di presenza, per decisione presa dal Comune in vista della soppressione delle Circoscrizioni prevista dalla Finanziaria. Diversa la posizione del Pdl, che invece ha criticato il regolamento affermando che era sbagliato che la nomina fosse una “prerogativa esclusiva del sindaco” preferendo invece che spettasse “al consiglio comunale, dopo una ampia discussione”. Alla Circoscrizione 4 la votazione è finita in parità: sette sì, sette no e due astenuti. Lì la linea del Pd era a favore del regolamento, ma una consigliera ha votato contro insieme al centrodestra e un’altra si è astenuta. Tecnicamente, il voto di parità significa che la delibera non è stata approvata. Nessuno mette in dubbio che queste votazioni fossero non sulla persona ma sul regolamento, ma è difficile che possa sfuggire la portata politica dell’esito negativo del voto in queste due circoscrizioni, visto che il Pdl, attraverso il suo consigliere Andrea Romiti, da alcune settimane sta portando avanti una forte battaglia contro la possibile nomina a garante dei detenuti di Marco Solimano, presidente dell’Arci, per il suo passato (datato oltre trent’anni fa) in gruppi che scelsero la lotta armata. È in quest’ottica che nei prossimi giorni il gruppo consiliare del Pd in consiglio comunale presenterà una mozione (primo firmatario il capogruppo Gabriele Cantù) in cui apprezza l’orientamento già espresso dal sindaco Cosimi, ovvero quella di procedere con la nomina di Solimano. Porto Azzurro: interrogazione parlamentare, ma ministero insiste su ipotesi raddoppio detenuti Il Tirreno, 12 luglio 2010 Il ministero della giustizia non torna indietro. L’ipotesi di raddoppiare il numero dei detenuti nel carcere di Porto Azzurro è tutt’altro che archiviata. E la conferma arriva direttamente da Roma, dalle parole con le quali i vertici del Ministero hanno risposto all’interrogazione della deputata Silvia Velo. L’allarme sicurezza in carcere, seguito al sequestro di due agenti della polizia penitenziaria da parte di un gruppo di detenuti che lamentavano le pessime condizioni di vita all’interno dell’istituto, non è servito a cancellare l’intenzione di portare da circa 300 a 600 il numero dei detenuti, nonostante l’ormai accertata carenza di personale. “Il governo - afferma Velo - non affronta la questione della carenza del personale e della carenza delle infrastrutture: mensa e cucina non sono adeguate e inoltre il problema dell’acqua calda e della lavanderia, causa della ribellione, diventerebbe doppio con il doppio delle persone. La protesta è servita per porre alcuni aggiustamenti ma il dato di fondo, serio e preoccupante, è il raddoppio dei detenuti che deve essere scongiurato”. Enna: in una cella esplode bomboletta di gas; feriti 3 detenuti, uno in modo serio Italpress, 12 luglio 2010 Incidente nel carcere di Enna, dove è esplosa una bomboletta di gas, regolarmente comprata e autorizzata dall’amministrazione penitenziaria. Grazie al tempestivo intervento degli agenti della polizia penitenziaria è stato evitato il peggio. I poliziotti penitenziari hanno sgomberato la stanza in cui si è sviluppato un incendio, mettendo in salvo sette detenuti. Tre di loro sono rimasti feriti. In particolare, uno è stato avvolto dalle fiamme, riportando ustioni di primo e secondo grado agli arti inferiori e superiori, al viso al petto e in testa. Lo ha reso noto il Sappe, che esprime “forte compiacimento con il personale intervenuto per la compostezza e la lodevole gestione della situazione nonostante l’esigua presenza di agenti in servizio”. Locri: grande successo per il concerto nel carcere dei Marvanza Reggae Sound www.corriereinformazione.it, 12 luglio 2010 Locri: grande successo per il concerto nel carcere dei marvanza reggae sound Grande successo per i Marvanza Reggae Sound, che accompagnati da Peppe Voltarelli, Marco Calliari e i suoi musicisti, Isabelle Verville e Jérémi Roy hanno dato il via alla serie di concerti in carcere dell’edizione 2010 di “Un’estate senza barriere”. Un momento artistico intenso e che ha coinvolto quasi tutti i circa 200 detenuti presenti nel carcere di Locri, lasciandoli piacevolmente colpiti, tanto da partecipare attivamente con cori e applausi scroscianti per tutti gli artisti che si sono alternati sul palco. Una miscela di reggae, ska e folk music, senza far mancare il sorriso con le battute ironiche dei Marvanza e di Peppe Voltarelli. Presente tra il pubblico anche Francesco Cagliuso, assessore alla Pubblica Istruzione del comune di Caulonia, dal quale è partito l’invito per i Marvanza. Artisti diversi tra loro che hanno regalato il loro bagaglio musicale al loro particolare pubblico, nel tentativo, come si prefigge lo stesso progetto, di portare un po’ di serenità ai detenuti e per far sentir loro il collegamento con un mondo esterno che non li ha abbandonati. La presenza di Peppe Voltarelli, cantautore e attore cosentino; e Marco Calliari, artista canadese di origini italiane, in Calabria per alcune date insieme a Voltarelli, è stato un ulteriore regalo ai detenuti da parte dei Marvanza Reggae Sound, che hanno approfittato della presenza dei due artisti nella Locride per coinvolgerli nell’iniziativa e aumentare il valore artistico della giornata. “Sono contento di essere qui e di farvi sentire la musica che faccio - ha detto Voltarelli - perché anche nella musica c’è molta disciplina”. Grande soddisfazione anche per i Marvanza, che hanno colto al volo l’opportunità di continuare la loro battaglia contro il degrado sociale, svelando con le loro canzoni una faccia della Calabria più attuale e che sa essere migliore, dimostrandosi ancora una volta d’esempio per tutti i giovani di questa terra spesso rassegnati al malessere della società. “Abbiamo scelto sia canzoni che fanno riflettere sul bisogno di solidarietà e altruismo, sia pezzi su temi sociali e di protesta che fanno capire che pur essendo contrari a molte cose non trascuriamo l’importanza della legalità. Speriamo che questo progetto riesca a sensibilizzare il più possibile, in modo che le carceri non siano più così affollate - hanno dichiarato i quattro Marvanza - un messaggio forte, fatto di amore, uguaglianza e fratellanza, tutti valori che dovrebbero spingere le persone ad avere un altro ruolo nella società. Siamo felici che il nostro messaggio sia arrivato e sia stato ben recepito, speriamo sia anche condiviso e di poter rivedere queste persone fuori ai nostri concerti ma con un’interpretazione diversa della vita”. Un gesto d’altruismo, dunque, da parte di questi musicisti che mettono costantemente la loro arte al servizio della società, regalando le loro note e le loro parole a chi ne ha bisogno. Una presenza che serve anche a rimarcare il già riconosciuto impegno sociale dei MRS, che trasmette messaggi di fratellanza e rispetto con un reggae pacifista e rivoluzionario al tempo stesso, che si propone il difficile scopo di rendere cosciente chi ascolta dei problemi quotidiani della nostra terra. Con i loro pezzi i Marvanza mirano ad una vera e propria rivoluzione sociale, oltre che musicale, puntando a costruire un nuovo tipo di cultura che muova le coscienze e cambi la realtà, soffocando, finalmente, tutti gli stereotipi che caratterizzano la nostra terra. Nei loro testi, sempre briosi ma anche riflessivi e mai banali, raccontano storie quotidiane con un’ironia che coinvolge inevitabilmente tutti coloro che assistono al loro spettacolo ma che lascia anche spazio alla rabbia nei confronti dei responsabili del malessere sociale. Soddisfazione anche da parte dei responsabili della Casa Circondariale di Locri, che hanno organizzato insieme all’assessore Cagliuso l’evento. “La manifestazione - ha spiegato il comandante del Reparto della Polizia Penitenziaria di Locri Domenico Paino - si è svolta grazie all’impegno della Direzione della Casa Circondariale di Locri, alla disponibilità degli artisti, che hanno donato ai detenuti la loro prestazione artistica e al personale di Polizia Penitenziaria, che, oltre a garantire l’ordine e la sicurezza della manifestazione, ha collaborato attivamente all’organizzazione della stessa”. Insieme a Paino tra il pubblico anche il Direttore del Carcere Patrizia Delfino, gli educatori con il Capo Area Maria Valeriani e alcuni poliziotti penitenziari che hanno curato l’attività volta a garantire l’ordine e la sicurezza dell’istituto durante l’iniziativa. Tra questi l’Assistente Capo della Polizia Penitenziaria Diego Cavallo, che ha svolto il lavoro di raccordo tra gli artisti e i responsabili del carcere, creando le condizioni necessarie per un ottimale svolgimento della manifestazione. Prima dell’inizio delle esibizioni Delfino ha voluto ringraziare gli artisti per la disponibilità e la generosità dimostrate, nonché per aver accolto l’invito “portando nella casa circondariale musica di alto livello - come ha affermato - consentendo di portare un pò d’estate da fuori a dentro il carcere, allietando i detenuti”. “Non possiamo garantire soldi a questi artisti che ci regalano la loro arte - ha dichiarato inoltre Paino - ma sicuramente grazie a loro possiamo garantire ai detenuti un’esperienza nuova di trattamento all’interno del carcere”. Alla fine dello spettacolo sono stati consegnati agli artisti il gagliardetto della Polizia Penitenziaria e dei manufatti in terracotta realizzati dai detenuti del carcere di Laureana di Borrello. Libri: “Caravaggio in galera”, di Stefano Zuffi di Laura Forno Affari Italiani, 12 luglio 2010 Una raccolta di brevi racconti, ispirati dalla visione guidata di un quadro, scritti dai detenuti di San Vittore, che affrontano le tematiche più profonde della psiche umana: i rapporti familiari, i ricordi dell’infanzia, dolori, lutti e separazioni, che diventano una terapia per chi sta in carcere per superare i propri disagi e per cercare un reinserimento all’interno della società civile. “Caravaggio in galera”, di Stefano Zuffi, è un libro che affronta la difficile tematica della detenzione e dei problemi che comporta, attraverso una chiave di lettura molto particolare: la funzione liberatoria dell’arte. Zuffi, classe 1961, storico dell’arte, curatore di mostre e di collane di libri, affianca gli psicologi del Gruppo della Trasgressione - fondato nel 1997 insieme a una ventina di reclusi di San Vittore, per promuovere, attraverso dibattiti, riunioni ed esperienze artistiche, le condizioni nelle quali un detenuto può interrogarsi sulla propria storia senza accontentarsi di risposte scontate - durante il percorso di riabilitazione esistenziale che segue spesso chi vive in carcere. In seguito alla specifica richiesta di un detenuto, il professore, qualche anno fa, inizia a incontrare i reclusi e a guidarli nella visione di alcuni dipinti: dalla Tempesta del Giorgione alla Ronda dei Carcerati di Van Gogh, passando per la Vocazione di San Matteo, il Martirio di San Matteo e il Narciso del Caravaggio e il Ritorno del Figliol Prodigo di Rembrandt. Le brevi narrazioni prendono spunto dai quadri ma raccontano storie, esperienze di vita, semplici ma spesso toccanti e sono state raccolte nel corso degli anni nel sito www.trasgressione.net. Quando è perché le è venuta l’idea di raccogliere in un libro i commenti dei detenuti? “L’idea del libro non è esattamente recente, da qualche tempo era in preparazione. Gli incontri nel carcere di San Vittore mi hanno dato lo spunto: il Gruppo della Trasgressione, attivo già da tempo, si è aperto al campo dell’arte quando, per caso, un detenuto ha trovato sul web l’immagine della Tempesta di Giorgione ed ha chiesto ad un volontario se conoscesse qualcuno che potesse dargli informazioni sul dipinto. Così hanno pensato a me e, circa tre anni fa, sono stato inserito all’interno del progetto”. Come è stata la sua esperienza all’interno del Gruppo della Trasgressione? “Sono stato inserito all’interno dell’attività subito, partecipando agli incontri che si tenevano sotto la supervisione di uno psicologo, insieme ai detenuti e agli studenti di psicologia tirocinanti. La caratteristica degli incontri era quella che chi partecipava doveva dare un contributo a qualsiasi titolo, le discussioni erano molto coinvolgenti: spesso duravano anche quattro ore. In genere, ricevevo una richiesta dallo psicologo o dai detenuti per commentare l’iconografia di un immagine o il tempo della sua creazione. Una volta che dato le indicazioni di massima sul quadro, più o meno tutti i partecipanti esprimevano le loro opinioni, sollecitati dalla visione del dipinto”. Con che criterio ha scelto le opere da mostrare ai carcerati? “In realtà non è esistito un vero e proprio criterio di scelta per la scelta delle immagini, alcune volte sono state espressamente richieste, come la Tempesta del Giorgione, ad esempio, altre volte sono stati dati dei temi e ho portato le opere più adatte da visionare”. Da dove provengono i racconti all’interno del libro, in quanto tempo sono stati raccolti? “Tutti questi racconti sono narrazioni di esperienze, di ricordi che affiorano in concomitanza con la visione delle opere, in parte erano già stati raccolti, attraverso il sito del Gruppo della Trasgressione, sotto la supervisione della dottoressa Livia Nascimben”. Quale è stata la risposta alla proposta di questi capolavori ai carcerati? “Ho provato un’ assoluta sorpresa e felicità nell’osservare l’accoglienza dei dipinti da parte dei detenuti: durante la visione de Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt, ad esempio, ho notato con stupore che l’attenzione del mio pubblico si rivolgeva soprattutto alle figure marginali del quadro. Mi sono chiesto il perché di tutto questo interesse, poi ho capito che era dovuto al fatto che questi sono personaggi giudicanti, e che per loro questa tematica era qualcosa di molto difficile da affrontare e molto delicato. Le reazioni davanti a certi capolavori erano molto esagerate, in certi casi sopra le righe, ma tendenzialmente spontanee e sincere. Non è così frequente trovarsi davanti all’arte senza schemi convenzionali, senza un atteggiamento di sussiego. Per me è stata un’esperienza dal bilancio assolutamente positivo. Penso che sia un privilegio avere questo tipo di rapporto quasi fisico con le opere d’arte, inteso cioè non come un passatempo culturale, ma come un incontro inaspettato. Un momento toccante c’è stato quando un detenuto che non conoscevo, durante un incontro, inaspettatamente e senza nessuna premessa, mi ha detto: La ringrazio perché attraverso l’arte ho scoperto di avere dentro di me qualcosa che non conoscevo: i sentimenti”. Immigrazione: a Ponte Galeria saranno costruiti campo di calcetto, mensa, moschea e cinema Asca, 12 luglio 2010 Un campo di calcetto, una struttura per praticare sport, una mensa, una moschea, un cinema. Sono questi, ma non solo, i miglioramenti che si stanno pensando per il Cie, Centro di identificazione ed espulsione, di Ponte Galeria. A darne l’annuncio nel corso di un incontro con la stampa nella sede della Regione Lazio, il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, che, insieme al presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, e al prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, hanno affrontato la questione del Cie in occasione del rinnovo del protocollo d’intesa tra la Regione Lazio ed il Cie di Ponte Galeria per l’assistenza sanitaria. La realizzazione del campo di calcetto sarà finanziato dalla Regione Lazio. Come spiegato dalla Polverini “auspichiamo di aggiungere ulteriori elementi di collaborazione. Intanto sta per partire la costruzione di un campetto di calcio che sarà finanziato dalla Regione Lazio. Credo che si possa poi proseguire anche lavorando per dare un luogo di culto, di preghiera, intrattenimento”, ha aggiunto. Quanto all’accordo rinnovato il documento - come spiegato dalla Polverini - è finalizzato a migliorare le condizioni di vita degli ospiti e a promuovere, attraverso convenzioni con l’Asl RmD territorialmente competente, percorsi di prevenzione, diagnosi e cura delle persone. Il protocollo garantisce la facilitazione e la mediazione tra la direzione sanitaria del centro, le Asl e la direzione degli istituti penitenziari della Regione per ottenere in tempi brevi la documentazione clinica necessaria e, anche attraverso apposite convenzione tra il Cie e l’Asl RmD, per consentire il rilascio dei tesserini sanitari per l’accesso agli stessi servizi. E ancora, il protocollo prevede l’organizzazione dell’accesso all’assistenza specialistica con particolare riferimento ai Sert, ai dipartimenti di salute mentale e ai consultori e l’agevolazione dei rapporti istituzionali tra il Cie e l’ospedale Spallanzani per eventuali ricoveri e l’assistenza specialistica in particolare per le persone sieropositive all’Hiv, per quelle affette da Aids o patologia tubercolare. Il garante regionale inoltre ha sottoscritto un protocollo d’intesa con la Società Italiana Maxillo Odontostomatologica (Simo) ed il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria della Regione Lazio per la visita e la cura di alcune patologie odontoiatriche. Soddisfatto il prefetto Pecoraro che si è detto d’accordo “con il garante quando si dice che sotto certi aspetti è meglio il carcere. Ecco perché stiamo cercando di migliorare il tempo libero degli ospiti del Cie di Ponte Galeria. Faremo dei lavori per organizzare il loro tempo libero, - ha spiegato Marroni - un campetto di calcio, un cinema ed un luogo di culto. Delle attività dove trascorrere serenamente del tempo” perché - come sottolineato da Pecoraro – “non sono carcerati ma sono detenuti”. Polverini: stasera visita al Cie, verificherò condizioni vita “Stasera alle 18 andrò a visitare il Cie di Ponte Galeria. Avevo intenzione di farlo già da qualche tempo, perché voglio capire quali sono le effettive condizioni di vita e cosa si può aggiungere di più”. Lo ha detto la presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, nel corso della firma di un protocollo per l’assistenza sanitaria tra la Regione, la Prefettura e il Garante dei detenuti. “Se non c’è nulla da nascondere di solito i luoghi devono essere aperti- ha aggiunto Polverini- Voglio verificare le condizioni di vita anche perché spesso le persone che vivono lì dentro sono scappate dal loro Paese per miseria”. Il presidente della Regione ha quindi sottolineato che “all’interno del Cie sta per partire la costruzione di un campetto di calcio finanziato dalla Regione. Credo, inoltre, che si possa proseguire lavorando per dare un luogo di culto ma anche di intrattenimento”. Immigrazione: nelle carceri libiche poco cibo, nessuna medicina, frustate e mai una doccia Redattore Sociale, 12 luglio 2010 Il racconto delle carceri libiche di due migranti somali catturati durante il loro viaggio verso l’Italia: “Poco cibo, nessuna medicina, frustate e mai una doccia. Dormivamo pressati l’uno sull’altro”. “Dormivamo ammassati in una piccola stanza. Eravamo almeno in 50, pressati l’uno sull’altro. Mangiavamo soltanto un panino al giorno o una manciata di riso, non potevamo lavarci e venivamo torturati con le scosse elettriche: ci mettevano, legati mani e piedi, in una vasca d’acqua e poi inserivano un cavo elettrico nell’acqua per qualche secondo. Se ci sentivamo male, era quasi impossibile avere le medicine necessarie. Molti si sentivano male ed erano abbandonati al loro dolore. È stato un vero e proprio inferno, in sei mesi di carcere ho perso 12 chili”. È il racconto della detenzione nella prigione di Cufra (al sud della Libia) del giovane A.H.Y, profugo somalo di 26 anni che, in fuga dal suo paese, dopo aver attraversato il Sahara, è stato catturato dai militari libici e incarcerato. La tragica esperienza, che il giovane racconta a margine dell’incontro al Meeting antirazzista dell’Arci a Cecina Mare (Li), risale al 2007 ma nei suoi occhi i ricordi sono ancora vividi. “Le condizioni di detenzione erano davvero disumane, non solo da un punto di vista fisico, ma anche psicologico. I militari ci urlavano nelle orecchie e ci maltrattavano. Dopo un mese di galera, ho dovuto lavorare altri cinque mesi all’interno del carcere per poter essere liberato”. Mentre racconta si attorciglia i pantaloni per mostrare la sua ferita sulla coscia: “È stata una frustata che ho ricevuto da un militare del carcere”. Una storia ugualmente drammatica è quella di A.M.M., un altro giovane somalo di 20 anni. Lui è finito nelle mani di alcuni trafficanti di essere umani, che lo tenevano rinchiuso dentro un fatiscente deposito nei pressi della cittadina libica di Bengasi, nella parte settentrionale del paese, in attesa di venderlo ad altri trafficanti per il viaggio verso l’Italia. “Le condizioni in questa specie di garage - racconta il giovane - erano terribili e, insieme ad altri compagni, ho tentato la fuga. Dopo due giorni, i trafficanti mi hanno ritrovato. Mi hanno riportato nel luogo dal quale ero scappato e mi hanno percosso di botte. Sono svenuto, ho perso la memoria e quando mi sono risvegliato mi sono ritrovato in carcere. Ancora oggi i miei ricordi sono confusi, faccio fatica a metterli in ordine”. Entrambi i giovani, scappati dalla Somalia a causa della guerriglia che imperversa nei loro villaggi, hanno dovuto affrontare lunghissimi ed estenuanti viaggi attraverso il Sahara, e poi in barche di fortuna tra le onde del Mediterraneo. Oggi vivono a Caltagirone, in provincia di Catania, dove lavorano come lavapiatti dopo aver seguito un progetto di reinserimento sociale. Cuba: iniziato il rilascio dei detenuti politici Ansa, 12 luglio 2010 Ancora una giornata di sorprese, e di annunci politicamente rilevanti, a Cuba: è infatti iniziato all’Avana il processo di liberazione di un gruppo di detenuti politici, che saranno successivamente trasferiti in Spagna. Sempre sabato, il blog “Islamia” ha pubblicato cinque fotografie di Fidel Castro, durante una visita - precisa lo stesso blog - che il “lider maximo” ha compiuto lo scorso mercoledì in un centro studi all’Avana. La notizia dei primi rilasci dalle carceri è stato confermato all’Ansa da fonti dei familiari degli stessi prigionieri, e si è diffusa nel corso del pomeriggio di sabato. In un primo momento si era parlato di cinque prigionieri che sarebbero stati liberati. Poi a quei nomi se ne sono aggiunti altri cinque, e successivamente sono stati pubblicati altri sette nominativi. Tali decisioni rappresentano un nuovo capitolo del dialogo avviato ormai tempo fa tra la Chiesa cattolica cubana e il governo di Raul Castro, misure maturate d’altra parte durante la missione all’Avana nei giorni scorsi del ministro degli esteri spagnolo, Miguel Angel Moratinos. In coincidenza con la visita, lo scorso mercoledì è stato dato l’annuncio del rilascio, in tempi diversi, di un “gruppone” di 52 prigionieri politici. Dal Marocco, dove ieri era in visita, Moratinos ha reso noto che i primi prigionieri liberati dovrebbero atterrare a Madrid già lunedì, in alcuni casi accompagnati da familiari. Oltre a Parigi (e a Santiago del Cile), anche altre capitali europee potrebbero accogliere i prigionieri cubani liberati. È ormai da tutta la settimana che all’Avana sono in corso colloqui a tre, tra il governo, l’arcivescovado e Madrid. Nelle ultime ore, le mediazioni diplomatiche si sono intensificate: “Si sta lavorando passo passo e con grande discrezione”, hanno riferito all’Ansa fonti locali, precisando che sono in corso le procedure burocratiche relative non solo all’uscita dal carcere dei detenuti ma anche ai documenti necessari per il viaggio a Madrid. A sottolineare l’importanza della svolta in corso è stata tra l’altro il portavoce della Santa Sede, Federico Lombardi. “Il mondo guarda con speranza alle novità che giungono da Cuba. Buone notizie - ha precisato dal Vaticano padre Lombardi - che aspettavamo da alcune settimane, segnali significativi che speriamo indichino un progresso stabile verso quel clima di rinnovata convivenza sociale e politica che tutti auguriamo alla nazione cubana”. Fonti diplomatiche spagnole hanno tra l’altro sottolineato che i prigionieri in partenza avranno lo status di emigranti, non di esuli, e potranno quindi rientrare a Cuba. Riflettori puntati d’altra parte anche su Guillermo Farinas, il 48/enne dissidente che giovedì ha posto fine ad uno sciopero della fame di 135 giorni, proprio a seguito degli annunci sul rilascio dei prigionieri. Farinas rimane per ora ricoverato nell’ospedale di Santa Clara, dove ha iniziato a ingerire acqua e cibo, anche se, proprio a causa del lungo digiuno, le sue condizioni rimangono critiche.