Giustizia: carceri illegali; Associazioni per tutela dei diritti dei detenuti fanno causa allo Stato Comunicato stampa, 9 giugno 2010 In carcere non si rispettano le leggi. Chi non le rispetta fuori viene messo dentro, chi lo mette dentro, le istituzioni democratiche, non le rispetta e basta. Quasi niente, nelle carceri, è come dovrebbe essere, funziona come dovrebbe funzionare, rispetta il dettato delle norme che dovrebbero regolare la vita penitenziaria. È trascorso quasi un anno dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che ha condannato l’Italia per aver detenuto qualcuno in meno di tre metri quadri. Una violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea, un’ipotesi di tortura o trattamento inumano o degradante. Oggi la situazione generale è ancor peggio di allora. Il prossimo 20 settembre saranno dieci anni dall’entrata in vigore dell’attuale Regolamento penitenziario, che guardava verso condizioni più dignitose di detenzione. Nella metà del tempo, cinque anni, era fissato il termine per adeguare le strutture carcerarie ad alcuni parametri strutturali. Che ci fosse l’acqua calda, per fare solo un esempio. Ne sono passati dieci e quasi ovunque gli edifici sono ancora fuori legge. Carta, A Buon Diritto e Antigone si ritengono da oggi in vertenza contro le istituzioni. Utilizzeremo ogni strumento legale a disposizione per far sì che lo Stato paghi il prezzo della propria illegalità. Giustizia: non si fermano le proteste nelle carceri italiane, a Brescia un detenuto si taglia la giugulare Redattore Sociale, 9 giugno 2010 A Brescia un detenuto ha cercato di togliersi la vita. A Genova e Firenze i detenuti hanno rumorosamente protestato contro il sovrappopolamento delle celle, battendo stoviglie e pentolame contro le grate e i blindi Non si fermano le proteste nelle carceri italiane. Ieri, sino a notte tarda, a Genova Marassi e Firenze Sollicciano i detenuti hanno rumorosamente protestato contro il sovrappopolamento delle celle battendo stoviglie e pentolame contro le grate e i blindi. Nei giorni scorsi analoghe manifestazioni si sono registrate, a Vicenza, Novara, San Vittore Milano e nei due penitenziari di Padova. “Questi sono i sintomi di un malessere diffuso e radicato, che non tarderà a sfociare in proteste su tutto il territorio nazionale”, ha denunciato il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, Eugenio Sarno. Inoltre questa mattina un detenuto italiano (G.C., 40 anni) ristretto nel penitenziario di Brescia Canton Mombello classificato Alta Sicurezza ha tentato di togliersi la vita nel reparto isolamento ove era detenuto. L’uomo, secondo quanto riferito dal sindacato, ha tentato di recidersi la giugulare. “Immediatamente soccorso dagli agenti polizia penitenziaria è stato trasportato in ospedale ed in questi momenti è sottoposto ad intervento chirurgico. La prognosi è riservata e si teme per la vita dello stesso”, si legge nel comunicato della Uil Pa Penitenziari. A Genova Marassi, intanto, si è arrivati al terzo giorno di protesta. “È probabile che anche questa sera la protesta si ripeterà in maniera rumorosissima”, dice Fabio Pagani, segretario regionale Liguria della Uil Pa Penitenziari. Benché in questi giorni l’amministrazione abbia provveduto a uno sfollamento dell’istituto oggi, comunque, si contano 757 detenuti a fronte dei 435 previsti. “È evidente, quindi, che non è stato sufficiente liberare poche decine di posti per placare la protesta causata, anche, da un servizio sanitario che non garantisce completamente il piano di distribuzione delle terapie”, osserva ancora Fabio Pagani. Nelle carceri, ogni centimetro quadrato utile è stato occupato, anche sacrificando spazi originariamente destinati alla socializzazione e all’aggregazione. Un dramma umanitario e sanitario, ma anche una grave questione di ordine pubblico “Nelle galere italiane, per fare un esempio, nei turni notturni alla sorveglianza di circa 67.500 detenuti sono preposti non più di 1.500 agenti. Intere carceri sono sguarnite e i servizi sono sottodimensionati”, denuncia Eugenio Sarno. Giustizia: al ddl sulla detenzione domiciliare manca l’assenso del Governo, domani si decide Camera dei Deputati, 9 giugno 2010 La Commissione Giustizia della Camera prosegue l’esame del provvedimento C. 3291-bis “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”, rinviato il 25 maggio 2010. Giulia Bongiorno, presidente, avverte che nella riunione appena svolta dell’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha invitato i gruppi ad esprimersi sulla prosecuzione dell’iter del disegno di legge in esame, in merito al quale già oltre i quattro quinti dei membri della Commissione hanno dato l’assenso per il trasferimento in sede legislativa. Ricorda che non è ancora pervenuto l’assenso del Governo, mentre, in merito ai pareri delle altre Commissioni, la Commissione Bilancio ha espresso delle condizioni relativamente ad alcune disposizioni del provvedimento. Dichiara di aver sottolineato l’esigenza di verificare se il Governo intenda dare l’assenso e se, alla luce del parere della Commissione bilancio, sussistano ancora le condizioni per il trasferimento in sede legislativa dell’esame del provvedimento. Ritiene che si tratti di una verifica che si deve fare celermente, in quanto il provvedimento è stato espunto dal calendario dell’Assemblea su sua richiesta, a nome della Commissione giustizia, proprio in vista di un trasferimento dell’esame alla sede legislativa. Dopo aver ricordato la drammaticità nella quale versano attualmente le carceri italiane a causa di un sovraffollamento oramai intollerabile, sottolinea l’esigenza di pervenire quanto prima all’approvazione del provvedimento in esame. Conclude dichiarando che nel corso della riunione dell’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, si è convenuto di fissare giovedì prossimo come data ultima entro la quale sarà possibile verificare se sussistano ancora le condizioni per il trasferimento in sede legislativa, avvertendo che qualora queste non sussistessero chiederà al Presidente della Camera l’inserimento del provvedimento nel calendario di giugno dell’Assemblea. Nessuno chiedendo di intervenire rinvia il seguito dell’esame ad altra seduta. Giustizia: Ferranti (Pd): sul ddl “svuota-carceri” Governo e maggioranza sono allo sbando Apcom, 9 giugno 2010 “Sul ddl svuota-carceri il Governo è allo sbando e per nascondere le proprie incapacità fa la voce grossa minacciando di far ricadere sull`opposizione le colpe di un ulteriore nulla di fatto”. Lo sostiene la capogruppo del Pd in commissione Giustizia alla Camera, Donatella Ferranti, commentando la richiesta del governo di approvare una legislativa a costo zero. “La verità - afferma l’esponente Pd - è che si sono infilati in un cul de sac: da una parte, il ministro Maroni che dice che il provvedimento sarà peggio di un indulto se non porterà a reali impegni di assunzione del personale di polizia, dall`altra Tremonti che ribadisce che per le carceri le casse sono vuote. Questo è lo stato dell`esecutivo, ma anche la maggioranza non scherza: con il Pdl che vorrebbe accelerare pur di portare a casa un risultato, anche se solo apparente, e la Lega che chiede altro tempo”. “Per il Pd - prosegue Ferranti - il finanziamento del provvedimento e quindi il potenziamento del personale della polizia e degli uffici civili dell`amministrazione penitenziaria (educatori, psicologi, servizi sociali) è condizione necessaria per consentirne l`attuazione. Come può, infatti, il Governo pensare di aggravare gli uffici locali dell`esecuzione penale esterna (Uepe) anche del monitoraggio di tutte le incombenze derivanti dai nuovi provvedimenti di detenzioni domiciliari senza prevedere un minimo intervento di sostegno numerico e professionale”. Giustizia: Vietti (Udc): il ddl svuota carceri è stato “killerato” da governo e maggioranza Apcom, 9 giugno 2010 La commissione Bilancio della Camera “ha definitivamente killerato il cosiddetto ddl svuota carceri”. Lo riferisce il presidente vicario dei deputati Udc Michele Vietti. “Dopo che anche l’Udc aveva concesso la sede legislativa per il provvedimento e collaborato a salvare il salvabile di un intervento inizialmente ben più ambizioso, le condizioni capestro imposte dal Bilancio - spiega l’esponente centrista - impediscono che alla detenzione domiciliare si accompagnino le necessarie condizioni di sicurezza che solo una integrazione delle forze di Polizia penitenziaria avrebbe potuto garantire”. “Maggioranza e governo - prosegue Vietti - non pensino di scaricare sull’opposizione la responsabilità del ritardo nell’approvare queste norme, ma si preoccupino di ripristinare le risorse che consentano di non fare l’ennesimo spot e che diano effettività alle misure alternative al carcere”. Giustizia: Baio (Pd); chiediamo alla maggioranza un “piano sociale straordinario per le carceri” Il Velino, 9 giugno 2010 “Le carceri italiane sono le più affollate d’Europa, le più invivibili, con una grave carenza di personale di polizia penitenziaria e fanno registrare il maggior numero di suicidi (24 nei primi mesi del 2010). Inoltre rischiano di essere abbandonate dai volontari, gli unici che sopperiscono alla forte mancanza anche di personale educativo specializzato”. Lo dichiara la senatrice del Pd Emanuela Baio che appoggia la protesta pacifica dei volontari che minacciano di autosospendersi dal servizio ed è prima firmataria di un’interrogazione che fotografa la situazione in cui versa il sistema carcerario italiano. “Condivido l’iniziativa proposta dalla Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia che rappresenta il volontariato carcerario in Italia. La problematica è di vastissime proporzioni e rischia di compromettere il grado di civiltà del nostro Paese. È impensabile che i detenuti attualmente censiti siano una volta e mezzo in più dei posti letto disponibili. In 21 senatori abbiamo presentato un’ interrogazione urgente per ottenere spiegazioni e risposte concrete sul perché di un simile sovraffollamento. In questa situazione parlare di rieducazione dei detenuti, funzione assegnata al carcere dalla Costituzione, diventa non solo impossibile ma utopico: 67.593 detenuti a fronte di una capienza di 44.000 posti; 38.337 unità di polizia penitenziaria in forza; solo 9.576 volontari. Questi numeri fanno capire quanto la situazione sia fuori controllo”. “I volontari che operano negli istituti penitenziari - continua Baio - sono costretti ad affrontare le gravissime carenze di personale davanti a una mole di detenuti ingestibile. Ancora una volta parlano i dati: mancano più di 600 educatori, più di 535 assistenti sociali, più di 265 tra psicologi, comunicatori, esperti linguistici, informatici, statistici ed ausiliari. Questo Governo non può incrociare le braccia davanti ad una simile situazione, inasprendo le pene e preferendo il carcere alle misure alternative. Le leggi Gozzini e Smuraglia, se applicate, potrebbero migliorare di molto le condizioni. Chi ha usufruito di pene alternative alla detenzione ha avuto un tasso di recidività del 5 per cento, mentre chi ha scontato tutta la pena è tornato a delinquere 2 volte su 3 (nel 66 per cento dei casi). Chiediamo a questa maggioranza di attivare con urgenza un “Piano sociale straordinario per le carceri”. È nostro dovere garantire ai cittadini maggior sicurezza e - conclude Baio - restituire ai detenuti concrete opportunità di reinserimento e la possibilità di ricostruirsi una vita”. Giustizia: Orlando (Pd); ritardi Governo hanno causato collasso della sanità penitenziaria Adnkronos, 9 giugno 2010 “Il mancato trasferimento alle Regioni delle risorse destinate alla medicina penitenziaria per gli anni 2009-2010 sta aggravando lo stato di emergenza delle carceri italiane. Le aziende sanitarie locali non possono infatti assicurare le funzioni assistenziali nei confronti dei detenuti, costretti a vivere in condizioni di drammatico e insalubre sovraffollamento. Siamo in emergenza umanitaria, come testimoniano i recenti casi di decessi in carcere e l’alta incidenza di malattie infettive e psichiatriche. La situazione è divenuta insostenibile”. Lo dichiara Andrea Orlando, responsabile Giustizia del Pd, primo firmatario dell’interrogazione parlamentare sottoscritta da tutti i componenti democratici della commissione giustizia della Camera che chiede ai ministri Sacconi ed Alfano di fare luce sui mancati trasferimenti della medicina penitenziaria. “La legge del 2007 sul riordino della medicina penitenziaria - spiega Orlando - prevede un trasferimento di funzioni dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e da quello della giustizia minorile al servizio sanitario nazionale. Nessuna determinazione è stata però adottata dal governo per il trasferimento delle risorse per gli anni 2009-2010”. La situazione, si sostiene nell’interrogazione, “ è ancora più incerta per le Regioni a statuto speciale e per le Province autonome di Trento e Bolzano per le quali il trasferimento delle funzioni sarebbe avvenuta invece solo a seguito dell’emanazione di norme di attuazione specifiche di cui però non si sa ancora nulla”. “Considerata l’urgenza evidenziata dalla proclamazione dello stato di emergenza, - conclude Orlando - è assolutamente necessario che il governo assicuri l’effettivo trasferimento delle risorse alle Regioni a statuto ordinario e che intervenga per consentire alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di recepire le norme relative al trasferimento delle funzioni. Sono inammissibili ulteriori inadempienze”. Lettere: le “rivolte” si traducono in botte, trasferimenti punitivi, denunce e perdita dei benefici di Adriano Sofri Il Foglio, 9 giugno 2010 Ho un’idea di che cosa siano le cosiddette rivolte in carcere oggi: si traducono immediatamente in botte, trasferimenti punitivi, denunce e sacrificio dei poveri “benefici” ventilati dalla buona condotta, e anche, inevitabilmente, nello scontro con le persone che il sistema penitenziario mette corpo contro corpo di fronte ai detenuti. Detto questo, non devo spiegare né a me stesso né ad altri la doppia sensazione che provo quando leggo, come in questi giorni, delle “rivolte” in carcere: di preoccupazione e pena per i protagonisti, ma anche di una giustizia, di una legittima difesa della propria incolumità e della propria dignità. A Genova, dei detenuti si sono ribellati perché la cooperativa che somministra i farmaci, non pagata, ha deciso di “sospendere le pastiglie” (sic!). Quanti reati comprende questa notizia, e tutti dalla parte dei carcerieri, e dei più titolati fra loro? L’intera condizione carceraria è oggi illegale, e come tale riconosciuta dalle autorità, per impudenza o demagogia, e dai sindacati della polizia penitenziaria, che sanno meglio di tutti come stanno le cose, e di chi è la responsabilità. Io stesso non saprei dire niente di più duro di quello che stava ieri nei comunicati dei sindacati degli agenti. La Corte costituzionale ha appena stabilito che i giudici di sorveglianza riconoscano i diritti elementari che per regolamento spettano ai detenuti, a cominciare dallo spazio in cui sopravvivere, e che le loro decisioni siano tassative per l’amministrazione penitenziaria. Non so se la notizia sia già arrivata a tutti i tribunali di sorveglianza: ma è l’ennesima dimostrazione, come le sentenze europee, della piena illegalità della situazione delle galere. Basterebbe applicare la legge, e l’intero edificio crollerebbe. Che cosa pensare di un intero edificio costruito sull’oltraggio alla legge? Chi è più fuorilegge, quelli di dentro in basso o quelli in alto di fuori? Ah, ieri si è rivoltato anche un singolo detenuto a Fuorni, Salerno, sarebbe uscito presto, dicono le cronache. Aveva 34 anni, si è impiccato. Era il ventinovesimo dell’anno. Oggi qualcuno si rivolterà con un lenzuolo d’ordinanza in un cesso di cella, per fare cifra tonda. Lettere: le storie di Addolorata e del ladro di pastasciutta, in carcere per fame e disperazione di Maurizio Patricello Avvenire, 9 giugno 2010 La chiamerò Addolorata, come Maria sotto la croce. Nei giorni scorsi è salita agli onori della cronaca. I giornali l’hanno ritratta col volto impaurito, spaesato, pallido. È stata arrestata mentre vendeva droga a Galvano, paese a nord di Napoli. Mamma povera e infelice, girava, come tanti poveri, intorno alla parrocchia. Ricordo qualche anno fa. Pioveva, ma i suoi due figlioli, inzuppati, continuavano, per la strada, a tirare calci a un pallone sgonfiato. Poveri ragazzini! Da sempre vestivano gli abiti smessi degli altri che erano o troppo lunghi o troppo stretti. Avevano bisogno delle scarpe. Andammo a comprarle nel migliore negozio della zona. Le scelsero bianche come la luna e costosissime. Sapevo che ai loro piedi sarebbero durate una settimana appena, ma non mi importò. Volli che, almeno questa volta, fossero loro a scegliere il modello e il colore. Vederli felici bastò a rimette a posto la coscienza, turbata per l’eccessiva spesa. Ci sono giorni in cui il sorriso strappato a un bimbo vale più di un pane per sfamarlo. Addolorata, come tanti, si arrangiava. Arrangiarsi è arte stranissima che si pratica in particolare nell’area partenopea. Vuol dire inventarsi ogni giorno la vita senza essere mai sicuri di niente. Poi, c’era da aspettarselo, anche lei ha ceduto. Rimaneva all’angolo del vicolo ad aspettare il cliente che arrivava senza essere chiamato. Le avevano assicurato che non correva alcun rischio. Invece, l’hanno beccata e condotta nel carcere femminile di Pozzuoli. A un tiro di schioppo, a Cardito, anche un uomo - 42 anni - è stato preso con le mani nel sacco. Non stava rapinando una banca, aveva rubato due chilogrammi di pasta al supermercato. Dentro. L’hanno portato in carcere, e noi dovremmo morire tutti di vergogna. Scene dolorosissime. Rubare per mangiare nel ventunesimo secolo. Anche questa è Italia, anche costoro sono italiani. Le nostre carceri - nelle quali torna a correre rabbia e rivolta -saranno sempre più affollate e invivibili se a riempirle saranno detenuti come questi. Con l’arresto di gente così, gli italiani non hanno vinto alcuna battaglia. Non è cessato nessun pericolo, nessun allarme. Non sono queste le persone da cui difenderci. Questi sono i poveri di cui aver pietà. Lasciano i figli per la strada e vanno a ingolfare inutilmente i penitenziari che già scoppiano. La società civile pagherà un prezzo sempre più alto, a tutti i livelli, a cominciare da quello economico se non si decide a cambiare rotta. Se insieme al delinquente che angaria il cittadino e ammorba la città finisce dentro un uomo che ruba per la fame, urge fermarsi per un serio esame di coscienza. È la camorra la vipera da uccidere e queste persone sono vittime, non sono camorriste. La camorra è uno squalo spietato, con le fauci sempre aperte, che muore solo se gli prosciughi l’acqua. L’acqua è la cultura camorristica che a sua volta si sviluppa quando lo Stato è lontano, assente e negligente. Quando tutto viene meno; quando non si vede uno spiraglio di luce nemmeno da lontano; quando sono già tre giorni che il piatto non si mette a tavola, allora è fatta. La camorra ancora una volta ha vinto. Ha vinto perché il diritto, la legalità, aveva già perduto la battaglia. Quante fatiche inutili, quante ore di lavoro sprecate, quanta vite bruciate... E allora se si avesse un poco di umiltà e ci si mettesse in ascolto della gente e di chi tra la gente vive davvero, si arriverebbe a qualche soluzione più efficace, più dignitosa e anche più economica per il Paese. Perché se c’è la cella per Addolorata e per chi ruba due chili di pasta, il carcere scoppierà sempre. E nessuno potrà mai tirare un respiro di sollievo. Friuli Venezia Giulia: intesa Regione-Ministero per nuove carceri a Pordenone e Gorizia Adnkronos, 9 giugno 2010 Il presidente del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, ha espresso la volontà di fare di più in materia di carceri, nell’ambito della visita alla casa circondariale di Tolmezzo, che è una delle cinque realtà penitenziarie della regione: una in ogni capoluogo di provincia oltreché Tolmezzo, in Carnia. “C’è la volontà - ha detto Tondo - di conoscere a fondo la realtà penitenziaria del Friuli Venezia Giulia, per capire che cosa possiamo fare di più e meglio di quanto stiamo già facendo. Abbiamo la necessità di ammodernare alcune case circondariali, in particolare quelle di Pordenone e di Gorizia, e questo non potrà che avvenire attraverso un’intesa fra la Regione e il ministero della Giustizia”. La decisione di visitare le case circondariali del Friuli Venezia Giulia va vista, ha ricordato Tondo, nel quadro del Protocollo di intesa sottoscritto tra la Regione e il ministero della Giustizia, per approfondire la collaborazione in questo ambito, ma anche nella prospettiva di uno sviluppo del federalismo. La casa circondariale di Tolmezzo, unica struttura del Triveneto per detenuti sottoposti al regime 41 bis, è stata inaugurata nel 1992, quando Renzo Tondo era sindaco della città. Attualmente ospita poco meno di 300 detenuti, di cui 19 con il 41 bis, tutti condannati per reati legati alla criminalità organizzata, e altri 56 sottoposti a un regime intermedio. A Tolmezzo il presidente della Regione è stato accolto dalla direttrice Silvia Della Branca e poi ha visitato i vari settori, tra qui quello regolato dalle norme del 41 bis, e il giardino interno dove alcuni detenuti erano al lavoro nelle serre allestite per un corso di formazione per operatori ortofloricoli. La Regione interviene già nel sistema carcerario del Friuli Venezia Giulia, per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e la formazione professionale dei detenuti. Sono molti i corsi attivati grazie alle risorse della Regione: per cuochi, falegnami, ortofloricoltura, operatori di macchine industriali, informatica, lingua e alfabetizzazione. Proprio a Tolmezzo, otto detenuti in semilibertà hanno potuto seguire, in collaborazione con il Corpo forestale regionale, un programma per la manutenzione dei sentieri nei boschi, contribuendo così a rafforzare il rapporto con le comunità locali. “Dobbiamo inoltre - ha concluso Tondo - sostenere l’azione dei direttori nel promuovere i percorsi di formazione professionale dei detenuti e far sentire, nello stesso tempo, la vicinanza della Regione nei confronti dei nostri agenti di polizia penitenziaria”. Genova: direttore Marassi; i detenuti vivono in condizioni allarmanti, quale reinserimento?! La Repubblica, 9 giugno 2010 “I detenuti vivono in condizioni allarmanti; gli agenti lavorano in situazioni di sicurezza inaccettabili. Marassi è una bomba pronta ad esplodere, rischiamo che il carcere torni ad essere quello di vent’anni fa: della disperazione, della violenza, delle rivolte. Altro che reinserimento sociale...”. Le parole del direttore del carcere, Salvatore Mazzeo, pesano come macigni. Marassi può contenere 450 detenuti, ora hanno raggiunto il numero record di 760. Il problema sovraffollamento si trascina da anni. “È preoccupante, ha raggiunto livelli critici: per ogni cella ne sono previsti tre, ma qui averne sette, otto, anche dieci, è normale. Non si possono muovere, vivono ammassati. Le dico che siamo obbligati a mettere i letti a castello a tre piani e per motivi di sicurezza i detenuti possono fare solo una doccia la settimana!”. La polizia penitenziaria è insufficiente. “È un problema grave, in una giornata normale un’agente gestisce 80-90 detenuti in un’ora. Questo si traduce in stress, super lavoro, il rapporto con chi è “ristretto” di conseguenza diventa difficile”. Cosa si può fare? “Aspettiamo fiduciosi il provvedimento che ha preannunciato il governo, quindi la detenzione domiciliare per chi ha un fine pena non superiore a un anno. Anche se a Genova ho dubbi che la situazione possa migliorare, perché il 60% della popolazione carceraria è straniera e spesso non ha un domicilio”. Si preannuncia un’estate calda. “Sarà sempre peggio, se non si modifica il codice penale. Il magistrato deve poter decidere altre misure alla detenzione perché il sovraffollamento costituisce un fattore che pregiudica le cosiddette attività “trattamentali”, in primo luogo il lavoro ma anche le altre propedeutiche al reinserimento sociale. Se mancano questi punti cardine, chi esce dal carcere ha una percentuale molto alta di recidiva”. Il braccialetto elettronico può aiutare a svuotare le carceri? “È un’idea interessante, che non va abbandonata, anche se preferisco puntare sulle misure alternative”. Per Genova si era anche parlato di carcere galleggiante. “Ho visto il progetto, andrebbe approfondito. Mi ricordo però che aveva delle falle per quanto riguarda la sicurezza. Un cortile di passeggio lungo la banchina è come dire “vai, la porta è aperta”. Lei non sa più dove mettere i detenuti, il questore Piritore al contrario sostiene che escono troppo presto e il lavoro aumenta. “Benediciamo le misure alternative, se non ci fossero avremmo 100 mia detenuti in più...”. Il ministero chiede infermieri all’Asl, ma l’appalto finisce alle cooperative Una gara d’appalto vinta lo scorso anno e che consentirà di fornire assistenza infermieristica dentro il carcere di Marassi. Per ancora 36 mesi. Con questa procedura la Asl Tre ha affidato il servizio alla Cooperativa Sociale Il Gabbiano con sede legale ad Alessandria, ma ramificazioni in tutto il Basso Piemonte e in Liguria. In tutto cento dipendenti, che assicurano i servizi alla persona: forniscono personale per gli istituti per anziani, per minori, per malati psichici ed anche per le carceri. Tutti settori in forte crescita, tanto che sul sito Internet del “Gabbiano” si cercano infermieri a tempo pieno o a part-time: in particolare, cinque come zona di lavoro proprio Marassi. Venticinque operatori socio sanitari della cooperativa si alternano in tre turni e assicurano l’ assistenza infermieristica 24 ore su 24 al carcere genovese. Tre anni fa, infatti, il Ministero di Grazia e Giustizia con una legge apposita ha deciso che l’ assistenza sanitaria non sia più gestita direttamente dall’amministrazione penitenziaria, ma dalle singole aziende sanitarie con competenza territoriale. La Asl 3 Genovese ha mantenuto nella sua gestione il servizio di guardia medica, attraverso la convenzione con alcuni medici di base, ma anche con specialisti e psicologi. Per quanto riguarda quello infermieristico, ha bandito la gara d’ appalto, vinta appunto dal “Gabbiano”. I disordini di Marassi dell’ altro ieri sera quantomeno avrebbero preso spunto da una disfunzione nell’ assistenza sanitaria, da un ritardo dovuto allo stato di agitazione da parte dei dipendenti della cooperativa sociale. Ai quali da due mesi non sarebbe pagato lo stipendio. “Non ci risulta che vi siano azioni dimostrative su questo”, assicura la Asl Tre. “Ho scritto una relazione, trasmessa ai vertici del servizio sanitario”, sostiene invece Salvatore Mazzeo, direttore della casa circondariale di Genova. I responsabili del “Gabbiano” ammettono i ritardi nell’ accredito in banca delle buste paga. Non solo. Spiegano anche il perché: “Si tratta di una serie di problemi dovuti alla crisi economica che comporta una ridotta liquidità finanziaria, alla quale stiamo cercando di provvedere - precisano - ma non si può parlare di ritardi di mesi, anche perché lo stipendio del mese corrente è pagato il 20 del mese successivo. Il personale, comunque, è al corrente dei problemi che stiamo affrontando e cercando di risolvere quanto prima”. Roberto Martinelli del Sappe dice che la ritardata somministrazione dei farmaci sia stata un pretesto. I sette detenuti, tutti in carcere per problemi di droga, volevano aumentata la dose di psicofarmaci, mentre l’ infermiere è tenuto a somministrare la quantità prescritta in cartella. “Questo episodio evidenzia le gravi carenze che il carcere di Marassi soffre- ripete Martinelli -: in materia di sicurezza, insufficienza degli organici, incontenibile aumento della popolazione detenuta e conseguente sovraffollamento delle celle”. “Una polveriera pronta ad esplodere”, denuncia Patrizia Bellotto, della Cgil-Polizia Penitenziaria. Uil Penitenziari: terzo giorno di protesta, agenti feriti “Ancora ieri sera e fino a tarda notte, i detenuti ristretti a Genova Marassi hanno protestato contro le condizioni di detenzione ricorrendo all’oramai classica battitura di stoviglie e pentolame contro le grate e i blindi delle celle. È il terzo giorno di protesta. È presumibile che anche questa sera la protesta si ripeterà in maniera rumorosissima. Sempre ieri le intemperanze di un detenuto magrebino nei locali della scuola ha determinato il ferimento di due agenti penitenziari. Uno trasportato al pronto soccorso è stato giudicato guaribile in cinque giorni, l’altro avendo riportato solo lievi escoriazioni ha preferito non farsi refertare”. Lo afferma Fabio Pagani, segretario regionale Liguria della Uil Pa Penitenziari che denuncia come “benché in questi giorni l’Amministrazione abbia provveduto ad uno sfollamento dell’istituto oggi, comunque, si contano 757 detenuti a fronte dei 435 previsti” e ricorda che, dall’inizio dell’anno, “oltre ai tantissimi gesti di autolesionismo e alle diverse risse”, “sono sei gli agenti aggrediti e feriti e due i detenuti salvati in extremis dal tentativo di suicidio. Senza dimenticare, ovviamente, i gravi fatti di tre giorni fa, con i tumulti alla prima sezione. Più in generale in Liguria dall’1 gennaio sono 14 gli agenti penitenziari feriti causa aggressioni da parte di detenuti e 5 i suicidi sventati all’ultimo momento”. Venezia: Rita Bernardini (Radicali) denuncia; in carcere i detenuti soffrono anche la fame La Nuova di Venezia, 9 giugno 2010 Prima ancora di perdere la dignità, in carcere si patisce la fame. A raccontarlo sono state, ieri, la psicologa Maria Teresa Menotto e la deputata radicale Rita Bernardini, che hanno visitato il sovraffollato carcere di Santa Maria Maggiore; a raccontare loro che mangiano poco sono stati i detenuti. L’associazione “Il Granello di senape” all’Ateneo Veneto ha organizzato un incontro per parlare della dignità negata nelle carceri. I detenuti sono tanti, sono poveri e cercano di mangiare il più possibile perché hanno fame. Vivono stipati fra letti a castello di 3 o 4 piani e nelle celle non ci sono gli specchi, nemmeno in quelle delle donne: molte di loro non sono nemmeno arrivate alla terza media. Il carcere è il luogo dove la privazione della libertà corrisponde all’eliminazioni degli affetti, ma è la perdita di dignità che porta a compiere gesti estremi: suicidi, atti di autolesionismo. Un valore difficile da coltivare e da rispettare, in carcere, perché le celle scoppiano di detenuti, e gli agenti penitenziari, in proporzione sono sempre meno. Ma “non sono solo i detenuti a compiere gesti estremi, anche gli agenti della polizia penitenziaria: nell’ultimo anno ci sono stati 4 suicidi”, ha detto la presidente dell’associazione Maria Teresa Menotto. Il sovraffollamento delle carceri italiane, e veneziane, è ormai noto: in Italia i detenuti attuali sono quasi 67 mila, 23 mila in più rispetto alla capienza massima da rispettare, oltre il 33 per cento sono tossicodipendenti e più di 29 mila sono stranieri. A Venezia, il 70 per cento dei detenuti non è italiano. “Differenze di cui spesso non si tiene conto sono quelle fra detenzione maschile e femminile - ha detto Augusta Roscioli, dell’Ufficio detenuti e trattamento del ministero della Giustizia - tra i primi c’è irrazionalità, tra le seconde emozioni. Il problema è che si cerca di governare le carceri femminili allo stesso modo di quelle maschili. Le donne cercano la creatività, la cultura. In carcere non hanno specchi, non hanno il bidet. È la dignità del loro genere a essere negata - continua - Altro capitolo è la genitorialità. Bisognerebbe iniziare a pensare che vedere un genitore in carcere è prima di tutto un diritto del figlio”. Il 40 per cento delle persone che entrano in carcere, ha riferito Roscioli, escono dopo 4 giorni e “non sarebbe giusto neppure farli entrare e usare le decine di caserme dismesse?”, si è chiesta. Firenze: il Garante; i tossicodipendenti non dovrebbero stare in carcere, 12.000 da far uscire Ansa, 9 giugno 2010 “I tossicodipendenti non dovrebbero stare in carcere”. Lo ha detto il garante dei diritti dei detenuti a Firenze, Franco Corleone, a Cnrmedia, parlando dell’emergenza carceri. Secondo Corleone, spiega una nota di Cnrmedia, “occorrerebbe fare delle modifiche alla legge Fini-Giovanardi e alla legge Cirielli sulla recidiva e soprattutto fare un piano di intervento che veda impegnati le Regioni, i Sert, le comunità terapeutiche, il volontariato, per individuare le soluzioni praticabili per affidamenti terapeutici, cioè misure alternative per una detenzione diversa da quella in carcere”. “Questo piano - ha aggiunto Corleone - potrebbe riguardare fino a diecimila persone, tra quelle che sono in carcere. Dopo si potrebbero anche trovare i modi perché non entrino in carcere nuovi tossicodipendenti. A quel punto, avremmo risolto gran parte delle questioni. Le carceri - ha concluso Corleone - sono piene di tossicodipendenti o di persone che hanno violato la legge sulle droghe. In Toscana siamo oltre il cinquanta per cento dei detenuti con questa caratteristica”. Sulmona: i detenuti restaurano 14 tavole della Via Crucis danneggiate dal terremoto Il Centro, 9 giugno 2010 Quattordici tavole della Via Crucis che il terremoto aveva seriamente danneggiato. I detenuti del carcere di Sulmona le hanno restaurate facendole tornare al loro antico splendore. Quattordici magnifici bassorilievi in ceramica che, grazie al progetto “Adotta una chiesa” della Protezione civile, al quale ha aderito la casa di reclusione di Sulmona, torneranno da domani ad adornare le pareti della chiesa di Santa Felicita di Collarmele, nella Marsica. Alla cerimonia, che si è tenuta ieri mattina nel penitenziario di via Lamaccio, è intervenuto il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso . Il responsabile del Dipartimento ha consegnato gli attestati di ringraziamento ai detenuti e ha avuto parole di elogio per i numerosi progetti che sono stati illustrati e che vedono impegnati i reclusi in attività dedicate al sociale e alla realizzazione di quadri e manufatti in ceramica. E prendendo spunto dalla piccola recita messa in scena dagli stessi detenuti - tratta da un libro di Roberto Vecchioni (“Diario di un gatto con gli stivali”) - il sottosegretario Bertolaso ha quindi aggiunto: “È vero che le favole diventano alibi e gli alibi diventano favole, così come avete sottolineato anche voi nella vostra rappresentazione teatrale; bisogna che qualcuno rifletta su questa cosa qui”. È stata l’unica nota polemica di una giornata di festa che ha celebrato la grande volontà dei detenuti del carcere di Sulmona, un istituto spesso al centro di polemiche, di partecipare attivamente alla ricostruzione delle zone terremotate dell’Aquilano. Una giornata organizzata con grande impegno dalla direzione del carcere, dalla curia di Avezzano, ma soprattutto dalla instancabile suor Benigna, che in questi mesi ha lavorato fianco a fianco con la quarantina di reclusi. Con i soldi guadagnati attraverso il restauro delle tavole in ceramica e di altri manufatti si è riusciti a mettere insieme circa 10mila euro che la religiosa ha donato ad alcune famiglie bisognose di Avezzano. Un’iniziativa lodevole partita dal detenuto Giovanni D’Avanzo, che ha avuto l’immediato appoggio dei suoi compagni. Un’iniziativa subito sposata dal direttore del carcere di massima sicurezza, Sergio Romice , dagli agenti e dagli altri operatori dell’istituto di pena. Presenti alla cerimonia di consegna degli attestati anche i due vescovi delle diocesi di Avezzano e Sulmona, Pietro Santoro e Angelo Spina . Entrambi hanno voluto dire il loro grazie ai detenuti, insieme agli altri ospiti intervenuti, tra cui il senatore Luigi Lusi, la parlamentare Paola Pelino , il provveditore per le carceri d’Abruzzo e del Molise, la vice presidente della Provincia dell’Aquila, Antonella Di Nino. Per la Regione erano presenti Giovanni D’Amico, Giuseppe Di Pangrazio e Nicoletta Verì. Quest’ultima ha garantito il suo impegno per offrire più opportunità di lavoro ai detenuti di Sulmona attraverso la ricostruzione post-terremoto. “Permettere ai detenuti di lavorare è molto importante per il loro reinserimento nella società”, sottolinea la Verì, “ho fatto presente al presidente della giunta la mia idea di dare loro la possibilità di partecipare alla ricostruzione dell’Aquila avvalendoci dei laboratori presenti nel carcere di Sulmona”. Tre stupendi tavoli con scacchiere in ceramica, tra le tante opere realizzate dai carcerati, nei prossimi giorni andranno ad arredare le stanze dei presidenti della Camera, del Senato e del consiglio regionale d’Abruzzo. “Nella speranza”, commentano alcuni detenuti, “di poter continuare nella strada felicemente intrapresa”. Pordenone: il Sindaco; detenuti entro i limiti tollerabili, oppure chiudo il carcere Redattore Sociale, 9 giugno 2010 A Pordenone il primo cittadino, Sergio Bolzonello, ha deciso di affrontare di petto il problema e il 30 aprile scorso ha emanato un’ordinanza. Oggi ci sono 25 detenuti in meno, “ma siamo di fronte alla situazione di un cane che si morde la coda” “In quanto primo cittadino sono responsabile della sanità e dell’ordine pubblico in città. Sarei incorso in una mancanza se non avessi fatto qualcosa per affrontare l’emergenza sanitaria che si stava verificando nel carcere cittadino”. E così Sergio Bolzonello, sindaco di Pordenone, ha deciso di affrontare di petto il problema: il 30 aprile scorso ha emanato un’ordinanza con cui ha chiesto di riportare il numero di detenuti presenti nella struttura entro i limiti tollerabili previsti per legge. In caso contrario, avrebbe fatto chiudere la struttura entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza. La “minaccia” ha avuto effetto: a fronte dei 98 detenuti presenti nel “Castello” di Pordenone il 30 aprile, oggi la popolazione carceraria è passata a una settantina di unità. “C’è stata una diminuzione di 25 unità - precisa Sergio Bolzonello. Ma è inutile nascondere il fatto che siamo di fronte a un cane che si morde la coda”. I detenuti di Pordenone, infatti, sono stati semplicemente sfollati in altri istituti penitenziari. “Se non si mette mano al piano carceri o non si concretizzano altri interventi per alleggerire la pressione, sarà molto difficile continuare a gestire la situazione”. La vicenda ha avuto inizio il 28 aprile, con l’arrivo sul tavolo del sindaco Bolzonello una nota del procuratore della Repubblica di Pordenone sulle gravi condizioni di sovraffollamento e di precarietà igienico-sanitaria del carcere cittadino: 98 detenuti presenti a fronte di una capienza regolamentare di 53 unità e di una “tollerabile” di 68. Inoltre nella nota si denunciano le inaccettabili condizioni ambientali in cui sono costretti a vivere i detenuti (le celle hanno i servizi igienici privi di antilatrine e il rubinetto è dotato solo di acqua fredda, ndr). Una situazione che “costituisce un rischio per la trasmissione di malattie infettive”. E così, il 30 aprile, Sergio Bolzonello ha pubblicato un’ordinanza in cui dà disposizioni affinché il ministero della Giustizia adotti (entro un mese di tempo) “i provvedimenti necessari per riportare a 53 il numero di detenuti nella struttura” incaricando l’azienda sanitaria locale a vigilare sul rispetto dell’ordinanza. Un provvedimento che è stato preso favorevolmente dalla cittadinanza: “Non ci sono mai state polemiche”, conclude il sindaco. Ancora tredici detenuti in più del lecito Sovraffollato, ma in fase di “smaltimento” delle eccedenze. A un mese dall’ordinanza del sindaco Sergio Bolzonello che invita la casa circondariale a rientrare nei parametri previsti dal regolamento quanto a detenuti ospitati, il direttore della struttura Alberto Quagliotto sta lavorando per raggiungere l’obiettivo. A ieri nel carcere di Pordenone c’erano 81 detenuti, compresi 3 in semilibertà (ovvero liberi di giorno, con l’obbligo di rientrare la sera): “In settimana - conferma il direttore della casa circondariale - ne trasferiremo altri cinque dal reparto dei detenuti comuni, che ora sono 28”. Altri 40, invece, sono detenuti nel reparto “sex offenders”, ovvero reclusi per reati a sfondo sessuale. “Resteremo con dieci detenuti in più rispetto alla soglia tollerata”. La capienza della casa circondariale, secondo il regolamento, è pari a 53 unità, mentre la capienza tollerata raggiunge le 68 unità. A fine aprile nel carcere cittadino di piazza della Motta erano ospitati 98 detenuti. Una situazione insostenibile, tanto che il sindaco firmò un’ordinanza, inviata al direttore della strutture e al dipartimento presso il ministero della Giustizia, intimando di rientrare nei parametri regolamentari. Il rischio è quello di una seconda ordinanza di chiusura della struttura. I tempi dettati dall’ordinanza sono quelli dei trenta giorni dalla data di notifica del provvedimento e quindi metà giugno. Nel frattempo, entro il mese, l’Azienda sanitaria è stata incaricata di redigere una relazione sulle condizioni igienico-sanitarie del penitenziario. Il tutto in attesa della realizzazione del nuovo carcere in Comina, la cui concreta realizzazione è ancora lontana. Savona: Sappe; il “patto cittadino per la sicurezza” si dimentica dei problemi del carcere Ansa, 9 giugno 2010 “Il patto per la sicurezza è un documento con gravi omissioni e carenze sul sistema penitenziario savonese. Quando si parla di sicurezza non si può non parlare di polizia penitenziaria”. È la critica del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe al patto per la sicurezza firmato stamane in Prefettura a Savona alla presenza del ministro Roberto Maroni. Donato Capece, segretario generale e Roberto Martinelli, suo vice con funzioni di commissario straordinario Sappe per la Liguria, spiegano che “nel patto per la sicurezza per Savona nulla risulta essere previsto per il sistema carcere e soprattutto per chi in esso lavora in prima linea, ovvero le donne e gli uomini della polizia penitenziaria”. “Maggiore sicurezza - aggiungono - significa più azione preventiva da parte delle forze di polizia ma anche più repressione e quindi più arresti. Ma dove li mettiamo gli arrestati? In un carcere fatiscente come quello di S. Agostino, con celle senza finestre e luce artificiale 24 ore su 24 in cui già oggi rispetto ai 36 posti letto regolamentari previsti ci sono costantemente 80-85 detenuti presenti? Con quali agenti controlleremo i nuovi detenuti visto che a Savona ne mancano già ora ben 14 in organico?’ I due sindacalisti sostengono che ‘se nel patto per la sicurezza di Savona non si sottolinea con forza l’urgente necessità di costruire un nuovo carcere e un sostanzioso incremento degli organici della polizia penitenziaria si dimostra di non avere una visione completa e organica della sicurezza”. Parma: ruba 25mila € dalla cassa dello “spaccio”, agente condannata a carcere e risarcimento Dire, 9 giugno 2010 Era l’addetta alle vendite dello “spaccio agenti” del carcere di Parma, ma nel giro di un anno, da giugno 2005 a maggio 2006, ha sottratto incassi per oltre 24.900 euro: nella maggior parte dei casi facendo sparire banconote prese dal fondo cassa, talvolta rubando anche sigarette e ricariche telefoniche. Per questo motivo l’ex assistente di Polizia penitenziaria Carmela Bracco è stata condannata dalla Corte dei conti dell’Emilia-Romagna al pagamento di 29.993 euro: 24.900 sono per il danno erariale causato alle casse dell’Ente di assistenza per il personale dell’Amministrazione penitenziaria (che gestisce gli spacci), gli altri 5.000 sono per il danno d’immagine arrecato al ministero della Giustizia. La sentenza dei giudici contabili, depositata in segreteria a metà maggio, ricalca in pieno al richiesta del procuratore Ignazio Del Castillo, che aveva chiesto la condanna della donna alla stessa somma. Per la stessa vicenda, l’agente Bracco ha patteggiato la pena di un anno e otto mesi per il reato di peculato, il 5 aprile 2007, davanti a un gup del Tribunale di Parma. Il “buco” nelle casse dello spaccio del carcere di Parma venne scoperto nel marzo 2006 (i conti non tornavano e il gestore dello spaccio, che già aveva segnalato alcune problematiche di gestione a dicembre, fece alcuni accertamenti) e poi definitivamente accertato alla fine di maggio, con un’ispezione dell’Amministrazione penitenziaria. Dal sistema emerse che le vendite effettuate tra il 2 dicembre 2005 e il 4 maggio 2006 (registrate dal programma di gestione) avrebbero dovuto fruttare 99.799 euro, ma gli incassi erano solo 74.803: al sistema risultava un passivo di 24.900 euro. Apposite telecamere filmarono Bracco mentre arraffava denaro dalla cassa. Firenze: al via progetto “Art and cultur in prison”, tre giorni per scoprire le realtà europee di Costanza Baldini In Toscana, 9 giugno 2010 Prende il via il progetto “Art and cultur in prison” coordinato da Regione Toscana e Fondazione Giovanni Michelucci. “Nessuno può immaginare quanto sia importante una balena in carcere” fu questa la risposta che lo scrittore francese Jean Gionò dette a chi gli domandò del periodo di detenzione in cui aveva lavorato alla prima traduzione in francese del romanzo capolavoro Moby Dick di Herman Melville. Chi è impegnato nella promozione di attività culturali, artistiche e teatrali in carcere vive direttamente il significato profondo di questa allegoria. La cultura, intesa nella sua più vasta eccezione è tra le mura di un carcere come la balena di Melville, capace di tirare fuori da una quotidianità fatta di vuoto affettivo e mancata cadenza temporale i detenuti che vengono trascinati in avventure esplorative di se stessi e delle relazioni con gli altri. Il 10, 11 e 12 giugno si svolgeranno a Firenze tre giorni per mettere a confronto le diverse esperienze europee di coloro che lavorano per portare la cultura in carcere. L’appuntamento fiorentino fa da leva alla partenza del progetto europeo “Art and cultur in prison” che coinvolge non solo Regione Toscana e Fondazione Michelucci, ma altri quattro partner europei: Manchester College e Prison Art Foundation (Regno Unito), Berliner Literarische Aktion (Germania) e Dipartimento di Giustizia del Governo Autonomo dalla Catalogna (Spagna). Il progetto si divide in tre fasi da completarsi in un biennio con diverse azioni che si completeranno a Manchester, in Irlanda del Nord, a Berlino e infine di nuovo in Italia con la presentazione dei risultati e la costituzione di una rete europea. Il progetto prevede la predisposizione di schede per un censimento sulle iniziative culturali nei luoghi di pena e la realizzazione di un portale internet. La tre giorni fiorentina prende il via giovedì 10 giugno con due sessioni di lavoro: una interna guidata dal Presidente della Fondazione Michelucci Alessandro Margara e una (ore 15.30) pubblica nella sede del Provveditorato in via bolognese, presieduta dal Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria in Italia Maria Pia Giuffrida. Seguirà la sera lo spettacolo Marat Sade per la regia di Armando Punzo con la Compagnia di Volterra trasmesso in diretta streaming su intoscana.it (ore 21.00). Venerdì 11 i lavori si spostano nel carcere di Sollicciano, al Giardino degli Incontri, con un seminario moderato da Ilaria Fabbri, su “Il teatro nel teatro della pena”. Verrà presentata dall’Assessore Cristina Scaletti la rete toscana del teatro in carcere che conta 12 compagnie e gruppi che operano in 15 carceri: Arezzo, Empoli, Firenze Sollicciano, Firenze Gozzini, Firenze Istituto Minorile, Livorno, Massa, Massa Marittima, Montelupo Fiorentino, Pisa, Pistoia, Porto Azzurro San Gimignano, Siena, Volterra. Nel pomeriggio sessione moderata da Gianfranco Pedullà e alle 16.30 performance di Elisa Taddei e Massimo Altomare. I lavori si concludono la mattina di sabato 12 giugno al saloncino delle Murate di Firenze con un seminario moderato da Nicola Solimano su “Gli spazi della cultura nell’architettura carceraria” con interventi di Salvatore Allocca Assessore toscano al welfare, Alessandro Margara e Franco Corleone garante dei diritti delle persone private della libertà. Libri: “Il carcere spiegato ai ragazzi”… e le vite messe alla sbarra dal senso comune di Stefano Anastasia Il Manifesto, 9 giugno 2010 “Quando sentite dire che “le carceri sono alberghi a cinque stelle”, non credeteci. Quando sentite dire con disprezzo che “i detenuti hanno perfino la televisione”, riflettete sul fatto che è una delle poche cose che hanno… Quando sentite al telegiornale che “c’è un allarme criminalità”, andate a guardare le statistiche e scoprirete che i reati gravi sono in calo costante. Quando leggete sui giornali che “quel rapinatore era libero grazie alle scarcerazioni facili, … pensate che per un detenuto premiato che torna a fare una rapina, ce ne sono oltre cento che lavorano onestamente e di cui nessuno parla”. Inizia così, con queste istruzioni per l’uso, l’ultimo capitolo, quello dedicato ai media, de “Il carcere spiegato ai ragazzi” (Manifestolibri 2010, pp. 143, € 15), con il quale Patrizio Gonnella e Susanna Marietti si sono cimentati nel temerario compito di rendere conoscibile il penitenziario. Non un esercizio letterario, né un sermone ex cathedra, “Il carcere spiegato ai ragazzi” è il risultato di un lavoro sul campo, che ha portato lo scorso anno l’associazione Antigone, di cui Gonnella e Marietti sono instancabili animatori, a cimentarsi in un corpo a corpo con alcune scolaresche romane, nell’ambito di un progetto voluto dalla Regione Lazio. Il risultato è un saggio lieve, che con linguaggio diretto e comunicativo spiega anche ai più grandi, che più frequentemente e più colpevolmente dei ragazzi parlano a sproposito del carcere, il funzionamento reale del nostro sistema penitenziario. Prendendo a prestito l’aggettivo con il quale gli autori qualificano il capitolo dedicato al lavoro e all’istruzione in carcere, dell’intero volume si potrebbe dire che si tratta di un libro “sconsolato”: esso infatti mostra la verità del carcere nella sua contraddittorietà, nella sua irragionevolezza, nella sua ipocrisia, nel caos delle sue prescrizioni e delle sue prassi. Sia chiaro, Gonnella e Marietti tendono all’ottimismo normativo: ciò che il diritto dice, ciò che si dovrebbe fare. E comprensibilmente scrivono perché i giovani lettori sappiano, conoscano quel “dover essere”, e magari lo condividano, contro lo spirito del tempo. Poi però, inevitabilmente, cadono loro malgrado “sconsolati”, letteralmente privi di consolazione: quel diritto, quei diritti, non riescono a fare del carcere ciò che gli è contrario per statuto. Il carcere è un luogo di pena, e la pena è sofferenza, e la sofferenza si avverte nel corpo e nell’anima, attraverso un processo di degradazione che resta l’essenza della punizione e di cui il libro dà un’immediata percezione. Uno dei capitoli più curiosi e divertenti (se possibile) racconta del gergo carcerario, di “una lingua strana, da un lato spaccona e smaliziata e dall’altra sprovveduta e fanciullesca”. Così viene descritta quella particolare forma di bilinguismo che si usa in carcere: la lingua parlata e quella formale, quella spaccona, che restituisce identità ai detenuti, e quella infantilizzante, che asseconda l’ideologia rieducativa del penitenziario. Del gergo penitenziario fa parte quell’insolito uso del participio presente del verbo lavorare, su cui Gonnella e Marietti, a più riprese, richiamano l’attenzione dei loro lettori: lavorante piuttosto che lavoratore. L’essere un lavoratore indica(va) una condizione sociale (relativamente) stabile; il lavorante è colui che sta, in questo momento, lavorando, non che lo abbia fatto in passato, non che lo farà in futuro: un lapsus freudiano, che tradisce il non detto della ideologia penitenziaria, e cioè che il lavoro penitenziario è una forma di disciplinamento, non la conquista di una identità sociale. Torna, insistentemente, in questo viaggio nelle carceri italiane, il riferimento al sovraffollamento e al suo condizionamento di tutta la vita penitenziaria. Alla vigilia dell’ennesimo fallimento di un tentativo di farvi fronte, c’è da sperare che questo libro incontri i suoi lettori. In fondo, nella bulimia penitenziaria che segna la nostra epoca, gli editti normativi non sono altro che strumenti di soddisfazione di una pulsione sociale di rassicurazione simbolica nella forma del sacrificio penitenziario. Un altro ordine del discorso e un’altra cultura diffusa nelle generazioni più giovani potrebbe aiutarci a invertire la rotta. Libri: è in uscita “Vittime e carnefici”, il nuovo libro di Vincenzo Andraous Redattore Sociale, 9 giugno 2010 In uscita il nuovo libro di Vincenzo Andraous, detenuto-scrittore in stato di semilibertà. Un testo che analizza i fenomeni della droga e del bullismo e parla delle condizioni detentive nelle carceri italiane. Negli anni 80 era soprannominato il “killer delle carceri”, perché in galera colpiva gli affiliati a bande rivali della sua, ora è giunto all’undicesima fatica letteraria. È in uscita “Vittime e carnefici” (ed. Casa del giovane), il nuovo libro di Vincenzo Andraous: un testo che analizza i fenomeni della droga e del bullismo e parla delle condizioni detentive nelle carceri italiane. Vincenzo Andraous sta scontando la condanna all’ergastolo nel carcere di Pavia, grazie al suo percorso riabilitativo ha ottenuto la semilibertà e attualmente lavora come tutor alla “Casa del giovane”. I suoi libri gli sono valsi ben 80 premi letterari. Nato a Catania in una famiglia disagiata, Andraous inizia ben presto la “carriera” criminale. “Già alle elementari avevo capito che con la violenza si ottiene tutto - scrive nel libro - e così diventai il bulletto della scuola”. Per questo il bullismo è al centro della sua riflessione, lo considera il primo passo che porta il ragazzo difficile sulla strada della delinquenza vera e propria: “Si comincia sempre così, chi in gioventù ha bruciato le tappe del tutto e subito, sa bene come è facile perdere la propria dignità e depredarne parte agli altri”. A soli quattordici anni ruba un automobile insieme ad altri tre ragazzi, sotto l’effetto della droga si lanciano in una folle corsa che si interrompe contro un albero, nello scontro uno dei ragazzi muore: è l’inizio della carriera carceraria di Andraous. Per l’autore, proprio la droga è spesso il secondo passo verso la criminalità: “È un sintomo di disagio - scrive - un modo autistico per interpretare le emozioni”. “La sua diffusione tra i giovani - prosegue - chiama in causa genitori e istituzioni in quanto è frutto di un dialogo generazionale inesistente e dei dibattiti sterili della politica”. Nella produzione letteraria di Andraous l’esperienza del carcere riveste sempre un ruolo centrale. Nel suo nuovo libro scrive: “Il carcere reclama sacrifici umani e lo fa con inusitata violenza. In fin dei conti parliamo di materiali difettati, di prodotti cancerogeni, di merce da smaltire in fretta senza fare rumore”. Per Andraous è necessario ripensare il carcere da “pattumiera sociale” a struttura che si ponga il reinserimento sociale del detenuto. Perché, scrive: “Quei ragazzi appesi a una corda e quegli uomini in procinto di rifare del male, sono il risultato del carcere che non cambia”. Immigrazione: il Cie di Crotone è chiuso per ristrutturazione, dopo una grave rivolta Redattore Sociale, 9 giugno 2010 Il Centro di identificazione ed espulsione di Crotone in ristrutturazione dopo una grave rivolta. Era successo anche a Caltanissetta, chiuso a novembre. Da Sant’Anna di Isola Capo Rizzuto immigrati trasferiti anche a Lamezia, uno dei peggiori secondo Msf. Cie chiusi per i gravi danneggiamenti causati dalle rivolte. Immigrati reclusi per sei mesi in strutture spesso inadeguate da cui cercano di evadere con gesti eclatanti. Ma tutto accade nel silenzio generale della stampa, della politica, dei sindacati e delle organizzazioni umanitarie. Già due centri di identificazione e di espulsione sono stati chiusi perché resi inagibili dalle rivolte dei detenuti. Dopo il caso a novembre 2009 del Cie Pian del Lago di Caltanissetta, a fine aprile è stata la volta del Cie di Sant’Anna, all’interno dell’ex base dell’aeronautica nel comune di Isola di Capo Rizzuto (Kr). “In seguito alla rivolta degli stranieri, il centro è stato chiuso per svolgere i necessari lavori strutturali”, afferma Maria Antonia Spartà, Vicequestore aggiunto a Crotone e dirigente dell’ufficio immigrazione. “Dovrebbe riaprire a Settembre - spiega Spartà - nel frattempo gli immigrati sono stati trasferiti nei Cie di Torino, Bari e Lamezia”. Quello di Lamezia, insieme a Trapani, è secondo Medici Senza Frontiere un luogo al di fuori degli standard minimi di vivibilità in cui non c’è rispetto della dignità umana. Dopo il rapporto pubblicato a febbraio scorso dall’Ong, il Viminale si è impegnato a chiudere entrambi per la fine dell’anno. Di chiusura per “lavori di ristrutturazione” parla l’avvocato Pasquale Ribecco, legale delle Misericordie d’Italia, ente gestore del Cara-Cie di Sant’Anna. Nel Cie di Crotone erano detenuti circa 50 immigrati. Redattore Sociale aveva visitato il centro a fine marzo, due settimane prima della rivolta. La tensione era già alle stelle, con gli stranieri che avevano sfondato un muro esterno di una delle due palazzine del Cie scagliandovi contro le reti dei letti per disperazione. Gli agenti di polizia in servizio e il personale lamentavano continue distruzioni da parte dei detenuti. L’agitazione aveva raggiunto il picco massimo per i sei mesi di trattenimento decisi con il pacchetto sicurezza. Pochi giorni dopo il nostro reportage, una grave rivolta con violenti disordini ha portato il Coisp, Sindacato indipendente di polizia, a definire il Cie gestito dalle Misericordie “una bomba a tempo pronta a esplodere e da disinnescare al più presto”. A chiedere la chiusura del Centro era da mesi il segretario generale del Coisp, Franco Maccari. “Un mostro che non dovrebbe esistere” aveva detto Maccari al termine di una visita al Cda, Cie Cara di Sant’Anna lo scorso autunno. La situazione del centro veniva definita “la più critica, sia sotto il profilo della pericolosità, sia per le condizioni igienico-sanitarie”. Venivano segnalati casi di Tubercolosi, scabbia e malattie infettive. “Carenze fortissime, che tra l’altro troviamo inspiegabili a fronte dei cospicui finanziamenti elargiti a chi gestisce l’accoglienza degli immigrati e la manutenzione del centro, che presenta tra l’altro gravissime carenze strutturali” afferma il Coisp sul suo sito. Durante i disordini di aprile, sono rimasti feriti due uomini della Polizia e due della Guardia di Finanza, con prognosi dai quattro ai sette giorni. Due tunisini di 23 e 32 anni e un marocchino di 30 anni sono stati arrestati dagli agenti di Polizia in quanto promotori della rivolta. Nel corso della protesta, gli stranieri detenuti hanno danneggiato le strutture, lanciato pietre, calcinacci e pezzi di marmo contro il personale in servizio di vigilanza. Alcuni immigrati sono saliti sul tetto dell’edificio e da lì hanno scaraventato pietre e vari oggetti. Altri si sono aggrappati alla rete di recinzione cercando di sfondarla per fuggire. Alla rivolta è seguito un sopralluogo nel Cie del prefetto Mario Morcone, prima che passasse dal Dipartimento per l’immigrazione del ministero dell’Interno alla guida dell’Agenzia per i beni confiscati. Dopo la visita del rappresentante del Viminale è arrivata la decisione di chiudere completamente la struttura, dove erano già in corso i lavori di ristrutturazione per rendere agibili tutti e quattro i moduli che la costituiscono. L’obiettivo era quello di allargare i posti dai 50 disponibili fino a 124. Tutto doveva essere pronto per fine aprile. Al contrario, per quella data il Cie è stato chiuso. Immigrazione: Borsellino (Pd); Italia sospenda accordi con Libia dopo espulsione Unchr Il Velino, 9 giugno 2010 “L’espulsione dell’Unchr è l’ultimo atto di un paese che continua a considerare carta straccia i diritti umani. L’Italia sospenda immediatamente gli accordi in materia di contrasto all’immigrazione clandestina sottoscritti con la Libia”. Lo ha detto Rita Borsellino, deputato del Parlamento europeo, dopo la decisione del governo libico di chiudere la sede di Tripoli dell’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unchr) e di espellere i suoi funzionari. “Proprio l’Unchr - continua - aveva denunciato a più riprese il trattamento disumano riservato ai migranti clandestini trattenuti nelle carceri e negli altri centri di detenzioni libici. Tripoli, del resto, non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra. Per queste e altre ragioni, nei mesi scorsi, dal Parlamento europeo, ho criticato duramente il governo italiano per aver sottoscritto accordi in materia di contrasto all’immigrazione clandestina con Gheddafi e per aver rimpatriato, a seguito di questi accordi, centinaia di migranti senza alcuna garanzia di tutela dei loro diritti, a partire da quello all’asilo. Oggi, dinanzi a questo ulteriore atto antidemocratico e antiumanitario, reputo doveroso che l’Italia sospenda immediatamente gli accordi con la Libia”. Gran Bretagna: secondo uno studio i detenuti si convertono all’Islam per avere dei vantaggi Ansa, 9 giugno 2010 Nelle carceri britanniche i detenuti si convertono all’Islam per avere vita più facile dietro le sbarre. È questa una delle conclusioni di un nuovo rapporto sulla fede musulmana nelle carceri del Regno secondo il quale inoltre le guardie carcerarie sarebbero più sospettose nei confronti dei detenuti islamici. Lo studio, riporta oggi il Times, è stato realizzato dall’ispettore capo elle prigioni Dame Anne Owers, basandosi su numerose ispezioni e sui colloqui approfonditi avuti con 164 detenuti musulmani. Da essi emerge che alcuni criminali si convertono per ricevere benefici accordati solamente ai musulmani praticanti, come un menù a base di cibo halal - che da molti viene considerato migliore di quello usuale - e l’esenzione dal lavoro e dallo studio il venerdì, giornata dedicata alla preghiera. Spesso inoltre, le conversioni vengono motivate dalla voglia di appartenere ad un gruppo più potente, con una forte identità ed i cui membri si sostengono tra loro. Il numero di prigionieri musulmani è aumentato sensibilmente dal 1994, quando erano 2.513, ovvero il 5% della popolazione carceraria, al 2008, quando erano 9.795, ovvero l’11%. In alcune delle prigioni dal grado di sicurezza più alto, il numero di musulmani è ben sopra alla media: a Whitemoor, nel Cambridgeshire, i detenuti islamici formano un terzo del totale. I prigionieri musulmani sono anche, secondo lo studio, quelli più inclini a protestare per le condizioni che devono sopportare in carcere e a lamentarsi di non sentirsi al sicuro e di sentirsi minacciati dai secondini. Nelle prigioni di massima sicurezza, tre quarti dei musulmani dice di sentirsi minacciato. Secondo la Owers è dunque necessario che le autorità carcerarie non si comportino in maniera sospettosa nei confronti dei detenuti islamici e che non li trattino come potenziali estremisti. “Molti prigionieri musulmani hanno sottolineato il ruolo positivo e di riabilitazione che la loro fede ha nella loro vita. Ciò è in marcato contrasto con il sospetto che l’osservanza delle regole religiose, e in particolare la conversione o la reversione, tende a produrre nel personale”.